Tor Sapienza, the walking dead

Transcript

Tor Sapienza, the walking dead
Tor Sapienza, the walking dead
Venerdì 14 Novembre 2014 12:52
di Fabrizio Casari
La si può moltiplicare per 10 Tor Sapienza. E’ la storia delle periferie romane, 40 anni dopo
Petroselli, l’ultimo sindaco comunista che sul risanamento delle borgate, pur con i suoi errori,
mise la condizione delle periferie al centro dell’agenda del governo di Roma. Dopo di lui, nulla.
Degrado, marginalità, sporcizia, assenza di servizi, insicurezza, difficoltà di promuovere cultura,
partecipazione, dimensione collettiva di quartiere. La strada per trasformare le periferie romane
da dormitori e sacche di marginalità in quartieri è lunga come quella che separa la dignità dalla
disperazione, irta di ostacoli e deficitaria di attenzioni.
Succede così, dunque, che il nemico della tua qualità della vita lo s’individua nell’ultimo arrivato,
soprattutto se più povero e più marginale di te. Soprattutto se privo di rappresentanza e lontano
da ogni speranza.
Quel vialone di Tor Sapienza è diventato il luogo simbolo della protesta perché non manca
niente del corredo dell’orrore. Spaccio, prostituzione, immigrati, trans, papponi, malavitosi di
quartiere, bulli e ultràs. Il menù dell’invivibile affolla piatti che nessuno vorrebbe mangiare a che
giacciono, stanziali e ogni giorno più maleodoranti, senza che qualcuno provi a rovesciare il
tavolo. Senza che nessuno finalmente racconti di una periferia un tempo umana ed oggi
infernale, che nella fine del lavoro e del reddito ha visto la fine anche di ogni piccolo sogno, per
modesto che fosse. In una periferia che da culla della romanità è divenuta con la crisi
l’immagine di una Roma ridotta ad un colabrodo, quel quartiere racconta di una zona un tempo
diversa e oggi drammaticamente uguale a quelle di peggior fama.
Ai più deboli tra i deboli, agli ultimi tra gli ultimi, li si vuole cacciare, come in un rito purificatorio.
Li si vuole lontani dalla vista prima che dal contatto, per esorcizzare un futuro prossimo che gli
somigli. Come a voler scacciare l’incubo di precipitare negli inferi degli ultimi, i penultimi
scatenano le paure alle quali danno un simbolo, agnello sacrificale sull’altare della morte
presunta della civiltà del lavoro e del decoro.
La disperazione sociale, il senso di un abbandono irreversibile, la certezza di non poter invertire
la corsa verso un piano ogni giorno più basso, alimenta i pensieri che, disperati, si trasformano
1/4
Tor Sapienza, the walking dead
Venerdì 14 Novembre 2014 12:52
in grugniti e urla piuttosto che opinioni. Su quella disperazione, provocatori in cerca d’ingaggi
lavorano sodo. Si dedicano anima e corpo a trovarsi un ruolo che vaghi negli spazi dell’odio e
che ritorni sotto forma di prebende da parte di chi, su quell’odio, costruisce le sue fortune
politiche, quasi sempre in combutta con chi poi, a macerie spente, fa affari edili.
C’è un retroterra di razzismo sociale, subìto e riproposto. Chi di quel razzismo sociale è stato
vittima, diventa oggi artefice. Incapace di generare un canale politico dove indirizzare la
protesta e il bisogno di riscatto, si lascia abbindolare da farabutti alla Borghezio, il cialtrone per
eccellenza della politica, o dal furbetto Salvini, imprenditore dell’odio, che sull’odio e sulla
furbizia costruisce la sua fortuna, cercando di far dimenticare le vicende grottesche che hanno
animato la storia della Lega Nord. Sull’odio per gli albanesi e romeni costruivano consenso e
potere, per poi pagare, con i soldi che rubavano, le laure finte romene e albanesi.
Normale dunque che imprenditori dell’abuso e imprenditori dell’odio si mettano insieme. E
l’innesto di fascisti e leghisti ad appestare l’aria non può stupire. Normale anche che il ciarpame
nero si associ, l’odore del sangue attira sempre le carogne. Meno normale è che trovino
qualcuno che possa prestargli anche solo un momento di attenzione invece che di seppellirli di
pernacchie.
In quella polveriera di odio incrociato, dove il confronto diventa su chi ha e chi non ha, la vittima
inevitabile diventa il chi siamo e il cosa non vorremmo diventare. A fornire l’innesco per quella
giacenza umana esplosiva, l’altro giorno è stata una presunta aggressione di presunti stranieri;
ma conta poco il fatto in sé, dal momento che le persone in strada raccontano di episodi di
violenza, di oltraggi continui, di mancanza di rispetto e d’insicurezza ormai quotidiane.
Conta fino a un certo punto, oggi, stabilire se sia stata o no una buona idea lo sgombero che si
annuncia parziale ma che sarà totale. A chi parla di resa dello Stato si dovrebbe ricordare che
non può esservi resa da parte degli assenti. A chi vede l’operazione come argine di possibili
estensioni di violenza, di drammi sottocoperta che potrebbero innescare fuochi e funerali, si può
riconoscere il temporeggiare come agire nel tempo della morte delle parole.
2/4
Tor Sapienza, the walking dead
Venerdì 14 Novembre 2014 12:52
Ma se si vuole andare oltre la condanna di come nel calderone dell’odio ci sia finito soprattutto
chi non c’entra, se si vuole uscire dalla retorica che vede nell’immigrato una vittima incapace di
riprodursi in forma delinquenziale, e se si vuole evitare il salmo dell’accoglienza qualunque,
quantunque e comunque come principio cardine della nostra esistenza, si deve, per forza,
puntare il dito sulle responsabilità politiche di chi ha deciso che le periferie della città, già
piagate e piegate dalla crisi economica e dalla mancanza di presenza dello Stato sul territorio,
debbano diventare pure il supporto unico di ogni gradino della degradazione umana.
Un controllo del territorio migliore, un’illuminazione decente, insediamenti di poche unità di per
sé facilmente integrabili e non di decine e decine di persone, inevitabilmente destinate a
formare nuclei organizzati, sarebbero le prime cose di buon senso da mettere in agenda. Invece
i problemi dettati da una mancanza di una politica dell’immigrazione vengono scaricati sulle
periferie e sulle aree più difficili delle città. Discuterne negli happy hours dei quartieri bene con
un tocco di vintage è inutile prima che stupido. Quando la sinistra abbandona lo spazio, la
destra avanza. Quando la ragione emigra verso più comodi siti, l’assenza di ragione diventa la
nuova ragione.
Quando in un territorio abbandonato politicamente, socialmente ed economicamente, già in
estremo disagio, si decide d’importarvi un’area di disagio ancora maggiore, oggettivamente non
composta solo da gentiluomini, fatta di campi nomadi, centri d’accoglienza e quant’altro a
disposizione per gli ultimi tra gli ultimi, significa dire ai penultimi che non diventeranno mai i
primi, semmai da penultimi diventeranno ultimi, perché chi non ha niente da perdere, sa come
prevalere su chi, per quanto poco, da perdere ce l’ha.
Non si hanno notizie di spostamenti di disperazione, di scarichi di marginalità in carne e ossa in
zone dove la borghesia vive e si riproduce socialmente. Non ci sono i quartieri bene ad ospitare
il degrado, che viene invece spedito su aree già degradate. Non perché vi sia l’illusione che le
diverse forme di degrado possano integrarsi, ma solo per fare in modo che la disperazione degli
ultimi si scontri con il degrado dei penultimi, in modo di lasciare così i primi a debita distanza.
3/4
Tor Sapienza, the walking dead
Venerdì 14 Novembre 2014 12:52
Come un generale editto di Saint Cloud, come in un orrendo film senza storia né senza star,
dove tutti gli attori sono non protagonisti, grazie alla fine della politica si proietta la storia del
fascismo sociale e diffuso di ritorno. Non ci sono scenografie che illuminino e fondali che
stemperino. Il nero domina.
4/4