Come si apre ITA - Packaging Observer
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Come si apre ITA - Packaging Observer
USO Packaging Observer – Aprile 2006 Come si apre? Facilitare l’apertura di una confezione si può. E senza ricorrere a istruzioni e pittogrammi. Forma, colore, rumore e sensazione al tatto possono comunicare più di mille parole Le confezioni, spesso, parlano da sole. Un tappo cilindrico invita a ruotare in senso antiorario. Una linguetta suggerisce di strappare. Un pulsante dev’essere schiacciato. Una molla va compressa verso il basso, un tubetto va schiacciato, un anello va preso con un dito. Sono questi soltanto alcuni degli schemi manipolativi che la mente umana ha acquisito e che ripete automaticamente di fronte alla maggior parte dei sistemi di apertura. Eppure succede spesso di sbagliare, di non riuscire ad aprire una confezione. Avviene di frequente con i tappi child resistant applicati a confezioni di farmaci o di detersivi pericolosi; succede con il sigillo tamper evident di un trigger, oppure con sistemi innovativi, come i tappi corona che vanno svitati anziché sollevati con un apribottiglie. Se un contenitore si presenta con un certo standard di forma, colore e dimensione già conosciuto, si cercherà di aprirlo seguendo uno schema già sperimentato con contenitori simili: ma non sempre i progettisti tengono conto di questo automatismo mentale. Succede così che scelgono un nuovo packaging per un nuovo prodotto, con schemi manipolativi differenti ma usano elementi di design che suggeriscono azioni sbagliate. Errori e difficoltà capitano sia con prodotti nuovi in assoluto sia con prodotti che risultano nuovi soltanto perché un consumatore non li ha mai acquistati prima. La probabilità di sbagliare è molto alta. Non solo perché industria e distribuzione immettono ogni giorno sul mercato migliaia di nuovi prodotti, ma anche perché i consumatori cambiano spesso scelte e comportamenti: per esempio, cambiano marca per sperimentare prodotti diversi, acquistano un'altra marca perché in quel momento non trovano o non hanno tempo di cercare quella preferita; oppure si distraggono e acquistano un prodotto simile a un altro. Di fronte alle novità assolute e relative, dunque, si è piuttosto restii a leggere le istruzioni e a interpretare simboli e pittogrammi; oltretutto non sono facili da trovare, sono quasi sempre scritti in caratteri piccoli, sul retro della confezione e lontani dal punto in cui occorre agire sul sistema. In quest’ultimo caso, poi, è necessario manipolare più volte il contenitore, tante volte quanti sono gli step descritti nelle istruzioni. Packaging Observer – Aprile 2006 1 Nei dispenser dei granuli omeopatici occorre capovolgere il contenitore, togliere il tappo ma non completamente, ruotare in senso orario e far cadere i granuli nel tappo, senza toccarli. Questo pittogramma spiega soltanto una delle fasi e non risulta leggibile a confezione capovolta. I NUOVI BISOGNI Ma la mappa dei problemi è ancora più vasta: finora abbiamo immaginato che i consumatori siano un po’ tutti uguali rispetto al problema dei sistemi di apertura. La realtà è ben diversa. In ogni nazione sono individuabili gruppi di consumatori (cluster) con caratteristiche specifiche: anziani con problemi di vista e con scarsa agilità delle mani; immigrati costretti a vivere in un paese straniero dove si usa un alfabeto latino, molto diverso da quello della loro lingua d’origine; esistono consumatori con disabilità motorie e articolari di diverso genere, compresi i ciechi e gli ipovedenti. Senza contare l’universo femminile, che odia sistemi di apertura rischiosi per la cura e la bellezza delle unghie. Negli Stati Uniti molti prodotti di largo consumo vengono realizzati anche tenendo conto delle necessità di pazienti con scarsa o ridotta capacità manuale. Aleve è un antinfiammatorio con un sistema di apertura intuitivo e facilitato. Questa prerogativa costituisce uno degli elementi di marketing (fonte: www.aleve.com). Il consumatore non ha voglia di leggere, né di usare forbici o attrezzi speciali; non vuole rompere un contenitore ma aprirlo, non vuole far fatica. Se rifiuta, infatti, di leggere 170 pagine di istruzioni per una fotocamera digitale, che dura cinque anni e offre un servizio ad alto valore, a maggior ragione non cerca neanche le istruzioni per il tappo di un prodotto che durerà meno di cinque minuti. Ma non è solo un problema di affaticamento; spesso entrano in gioco temi che richiedono una considerazione più attenta, perché coinvolgono la sfera della sicurezza e della salute. “Se il packaging cambia molto di forma rispetto alle conoscenze tradizionali – sostiene l’architetto Paola Bucciarelli di HBgroup, uno studio di progettisti di Milano che ricerca da oltre 10 anni AI CONSUMATORI NON PIACE … soluzioni di design per un’utenza Leggere istruzioni per aprire ampliata - il consumatore non solo Usare gli occhiali per leggere le istruzioni non riesce ad aprirlo e usarlo, ma Fare fatica a trovare le istruzioni Fare fatica addirittura va incontro a rischi di Distruggere l’imballo utilizzo più o meno gravi. In Rompersi le unghie Inghilterra, uno studio condotto in Utilizzare i denti Ricorrere alle forbici ambito ospedaliero ha evidenziato Usare attrezzi impropri come numerosi fattori influenzino Disperdere il contenuto l’usabilità corretta di un packaging. Lasciare cadere la confezione Non poter richiudere la confezione Spesso, in questi luoghi il tempo è Sporcare oggetti e superfici in fase di apertura tiranno, il personale è scarso, e le conseguenze di un semplice gesto Packaging Observer – Aprile 2006 2 impreciso possono essere anche molto gravi. Il fatto che in queste strutture vi sia molto personale straniero, che conosce poco la lingua locale, costituisce un ulteriore problema. E’ sempre in agguato Il rischio di una somministrazione sbagliata di farmaci, di norma inseriti in confezioni di uguale forma e dimensione, differenti unicamente per scritta del contenuto ed eventualmente per colore dell’etichetta: in queste situazioni il packaging non deve assolutamente essere confondibile ed equivoco”. Ritornando alle condizioni di utilizzo più frequenti, secondo Bucciarelli in futuro ci troveremo di fronte a un numero sempre maggiore di consumatori che non saranno in grado o disponibili a modificare le proprie abitudini, ad adattarsi ai prodotti. Con l’avanzare dell’età lo schema culturale di lettura dell’oggetto si va indebolendo, il rapporto cognitivo può diventare sottile, arriva a scomparire. In generale, poi, non si è molto disponibili al cambiamento, soprattutto nella seconda parte della vita: si tende, infatti, a ripetere gli stessi gesti che si fanno da sempre. Perché, allora, i sistemi di apertura non vengono semplificati? Perché non ridurre, o eliminare, quando sia possibile, istruzioni, diciture, simboli e pittogrammi? Perché non sfruttare materiali, forme, colori, suoni e sensazioni tattili-olfattive per guidare in modo logico e intuitivo la mano del consumatore verso la manipolazione corretta e non affaticante? Dove agire per aprire? HBgroup è uno studio di architetti di Milano esperti nella progettazione di oggetti e ambienti adatti a un’utenza ampliata. Questo è il criterio-guida per la definizione delle soluzioni: se un oggetto è facile da usare per una persona con vari gradi di disabilità, sarà semplice anche per una persona completamente abile. E la realizzazione di un concept di questo tipo non necessariamente è più complessa o costa di più . Nell’ambito di questa specializzazione, gli architetti che formano il team di lavoro vengono interpellati da scuole di design e centri di formazione per seminari sul tema dell’usabilità. Di recente HBgroup ha tenuto un seminario sul packaging dei prodotti per l’igiene personale a un gruppo di studenti presso la Domus Academy di Milano. “A 40 laureati in design di varie nazionalità e con differenti approcci culturali - spiega Paola Bucciarelli, responsabile del seminario - ho creato situazioni di disabilità temporanee tramite occhiali simulanti una cataratta bilaterale, bendaggio degli occhi, bloccaggio del dito medio e anulare, in modo che non potessero usare la cosiddetta pinza tridigitale; quest’ultima è fondamentale nella presa della maggior parte degli oggetti. Ho acquistato in un grande magazzino prodotti di marca e sconosciuti, con packaging difficili ed equivoci; ho chiesto ai corsisti cosa stessero aprendo, se fosse facile dal punto di vista cognitivo, sensoriale e motorio”. I risultati, prevedibilmente, sono stati sconfortanti: alcuni sistemi di apertura sono stati danneggiati nel tentativo di aprirli, altri erano di difficile comprensione per i mancini, poche confezioni erano apribili con una sola mano. Alcuni studenti orientali annusavano la confezione prima di tentare di aprirla, per capire che prodotto fosse. Un prodotto è stato identificato come deodorante ascellare perché tutti i codici di comunicazione (forma del contenitore, colore, sistema di erogazione e grafica) suggerivano che si trattava di un articolo per uso personale. Era invece un deodorante per ambienti, che risulta irritante se applicato alla pelle. Infine, di fronte a packaging che richiedevano operazioni multiple (schiacciare e tirare) la maggior parte degli studenti ha avuto difficoltà. Molti non operavano dove era necessario ma agivano come se l’apertura fosse di diverso tipo. Alcuni, sfiniti, hanno rotto la confezione. Packaging Observer – Aprile 2006 3 COSA GUIDA IL PROGETTO? La risposta non può essere una sola: numerosi fattori determinano le scelte dell’industria. Il primo di questi è di tipo culturale: spesso il progettista eredita uno schema tecnico dal passato; in questi casi le sue modifiche sono di carattere prevalentemente estetico e avvengono a tavolino. A volte i miglioramenti seguono una logica per tentativi, che vengono sottoposti a panel test non sempre accurati e ripetuti. Difficilmente si mette in discussione il modello originario per limitare al massimo costi aggiuntivi. E qui entra in gioco il secondo fattore, uno dei più importanti: il costo, appunto. Per esempio, una delle difficoltà che il consumatore riscontra più di frequente nei sistemi a pompa per l’erogazione di sapone liquido consiste nello sbloccare l’asta dalla sua posizione di chiusura ed estrarla verso l’alto, per iniziare a schiacciare la testa della pompa. In genere, è richiesta la rotazione della testa in un senso, ma l’utente non sa mai in quale direzione. Spesso il beccuccio gira a vuoto in entrambi i sensi e l’asta non si sblocca. Infine, manipolando senza logica, ecco che casualmente l’erogatore si libera e, talvolta, il prodotto liquido fuoriesce accidentalmente. Lo stesso problema, ma al contrario, si verifica quando il consumatore vuole chiudere la pompa per riporre il prodotto in valigia e usarlo fuori casa. “Riprogettare una pompa – spiega Paolo Santagiuliana, amministratore delegato di Taplast, specialista in erogatori in plastica - comporta un costo di sviluppo e investimento intorno ai 2 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti gli altri costi relativi all’adattamento delle macchine di confezionamento che devono manipolare e orientare la pompa rispetto al flacone secondo indicazioni precise, per garantire la tenuta e il trasporto in sicurezza ”. Una terza voce di costo è rappresentata dalla necessità di sottoporre un qualsiasi nuovo progetto a più di un panel test; solo le multinazionali sono in grado di sostenere investimenti adeguati per verifiche sul campo che siano credibili e diano riscontri oggettivi. Ammesso poi che l’industria abbia le risorse per sviluppare l’innovazione, non è detto che il consumatore sia poi disponibile a pagare un prezzo superiore per il prodotto. “Certo, oggi la pompa è un accessorio molto apprezzato e indispensabile – precisa Santagiuliana – possiamo dire che sia entrata nell’uso comune per alcune categorie di prodotto ma ciò non deve far credere che il mercato accetti un costo maggiore. Comunque non dimentichiamo che si tratta di un elemento usa e getta, che il tempo di utilizzo è molto breve”. E’ proprio questo il terzo fattore che vincola le scelte industriali: la necessità di bilanciare fra ricerca di innovazione spinta e valore/durata del prodotto: non a caso il pack più curato e ad alto contenuto di servizio si ritrova nei prodotti di maggior costo e che durano di più di altri, come i profumi. INNOVAZIONE E SELL OUT Ne deriva che l’efficienza viene sacrificata spesso e volentieri, a conferma che il packaging resta evidentemente un elemento di marketing residuale. Peccato, poi, che i marketing manager sostengano pubblicamente il contrario: sono tutti Packaging Observer – Aprile 2006 4 convinti che sia strategico, ma vengono smentiti dai fatti. Il marketing viene prima dell’esigenza d’uso, ma non è detto che il packaging più originale faccia vendere di più: è sempre da dimostrare. Nella gamma della private label Esselunga, distributore italiano specialista nel format del supermercato, il packaging delle fette biscottate è stato provvisto di un sistema di apertura intuitiva a strappo che non distrugge la confezione e permette di aprirla e richiuderla come un piccolo baule. L’innovazione ha richiesto la creazione di una zona di pretaglio. Il prezzo del prodotto è inferiore a quello dei prodotti di marca, leader di mercato. Tuttavia non mancano casi in cui il produttore ritiene strategico innovare e affrontare nuovi costi: quando arriva un nuovo competitor, quando la pressione concorrenziale aumenta, si è quasi obbligati a fare innovazione e a investire, rivedendo il percorso progettuale. Resta comunque il fatto che nel packaging, oggi, l’innovazione consiste in un miglioramento marginale e molto piccolo di qualcosa di esistente. Una soluzione radicalmente diversa dovrebbe integrare numerosi aspetti e questo potrebbe richiedere un capovolgimento nell’organizzazione non solo della produzione ma anche della distribuzione e nei processi di consumo. L’ago della bilancia è sempre e comunque nei benefici che si possono ottenere. In alcuni casi, infatti, il miglioramento creato con un sistema di apertura più semplice e immediato da utilizzare potrebbe non essere apprezzato dai consumatori. “I panel test, per frequenti e accurati che siano, presentano sempre un margine di errore – spiega Claudio Piacentini, packaging engineer in Johnson Wax Italia - Nei numerosi test che effettuiamo prima, durante e dopo le fasi progettuali otteniamo una determinata risposta dai consumatori ‘tipo’, ma quando il prodotto arriva sul mercato, scopriamo che il comportamento potrebbe cambiare. Ciò non significa aver sbagliato il panel test o che il panel test sia uno strumento sbagliato. La spiegazione è che ogni consumatore ha una percezione diversa delle tecnologie; il tipo di risposta alle sollecitazioni derivanti dall’oggetto è differente da persona a persona e differente anche per una singola persona, a seconda del contesto in cui si trova”. In pratica, il rapporto con il prodotto può essere un fenomeno altamente soggettivo. Ciononostante è possibile, in molti casi, progettare sistemi di apertura che non richiedano la lettura di istruzioni e pittogrammi e che non abbiano un impatto costoso sulla produzione. Inutile tentare di definire criteri e strumenti per un buon progetto: le variabili sono troppo numerose. Tuttavia alcuni spunti di riflessionE potranno offrire ai progettisti un diverso punto di osservazione e contribuire a migliorare la metodologia di lavoro. Non affermazioni apodittiche, ma semplici domande. La prima arriva dall’architetto Giovanni De Zanna, di HBgroup: “Di fronte a packaging poco utilizzabili, spesso ci domandiamo quante energie sono state investite nello studiare l’aspetto cognitivo e funzionale dell’utente. In molti di questi casi risulta evidente che il progettista non ha osservato e verificato il rapporto delle persone con l’ambiente”. La distanza tra le esigenze del consumatore e il prodotto può anche nascere dai vincoli che il committente, cioè il marketing, ha posto al progettista. “Infatti chi progetta riceve specifiche sulla forma, sulle esigenze funzionali ed Packaging Observer – Aprile 2006 5 ergonomiche del prodotto nonché un target di costo finale – precisa Santagiuliana di Taplast – e il ventaglio delle alternative eseguibili può risultare ristretto se le soluzioni da usare devono essere economiche in rapporto al costo atteso. La capacità differenziante del progettista è saper coniugare la semplicità tecnologica con la completezza dei requisiti del consumatore”. RIAPRIRE GLI OCCHI L’invito è quindi a recuperare un contatto diretto con la realtà, basato sull’autopsia, sull’analisi personale dei comportamenti e degli schemi manipolativi. Da un’osservazione attenta non può che derivare il recupero di un valore spesso dimenticato, l’usabilità, che va integrata nei tre classici principi guida: la praticità, la prestazione tecnica, l’estetica. Un esempio recente di progettazione sostenibile, sia sotto il profilo sociale sia economico, è l’uso del Braille su oltre 1.000 prodotti di uso comune a marchio Auchan. Paradigmatiche le affermazioni di André Tordjman, responsabile marketing dei prodotti a marchio del gruppo, a proposito dei criteri che presiedono lo sviluppo della private label di Auchan: “I nostri prodotti trovano la loro origine e diversità nell’ascolto e nel dialogo costante con i clienti. Nascono dal desiderio continuo di dare le migliori risposte possibili ai bisogni dei consumatori nella vita di tutti i giorni”. Queste le sue parole nell’intervista istituzionale presente sul sito del gruppo. Emblematico, poi, che nel sito stesso tutti i prodotti a marchio, e non solo quelli etichettati in Braille, siano reperibili cliccando su un menù dal nome “Facilitez vous la vie”. Insomma, un marchio, un programma. “E’ un errore storico pensare che packaging migliori siano destinati a un’élite”, commenta Del Zanna di HBgroup. In genere per progettare un sistema di apertura si fa riferimento a codici culturali il più possibile diffusi e legati a forme riconoscibili: per esempio, un tappo push-pull, oppure un coperchio provvisto di un recessoinvito che porta istintivamente ad appoggiarvi il dito di una mano. Inoltre è importante conoscere bene e rispettare i singoli schemi manipolativi: basta infatti una sola variante perché il consumatore non ritrovi l’esatto e automatico ordine sequenziale che ha memorizzato e si trovi in difficoltà. Le dimensioni del sistema, la sua ergonomia, il riferimento a uno standard antropometrico, la forma e il colore sono elementi da mixare in modo integrato e sempre funzionale a far capire, senza parole, la corretta manipolazione. Il tappo a vite è il classico esempio di un sistema che indica, attraverso la sua forma, la sua funzione: i filetti a spirale suggeriscono un movimento di rotazione. Questo sistema di chiusura è oramai diventato un codice culturale molto diffuso. Queste indicazioni di carattere generale sono utili nel caso in cui si decida di utilizzare schemi già collaudati. Più difficile, invece, è studiare un sistema di apertura non convenzionale, che aiuti la marca a Packaging Observer – Aprile 2006 6 distinguersi dalle altre grazie a una maggiore precisione, riutilizzo, facilità d’impiego ma che al tempo stesso non crei problemi agli utenti. Difficile ma non impossibile: basti pensare a come Garnier ha concepito il proprio tappo flip top sulle confezioni di shampoo. Una mela verde scura indica visivamente il punto esatto dove applicare forza per aprire. Ma anche ad occhi chiusi, sotto la doccia, risulta facile individuare il punto esatto. Da notare, infine, l’integrazione fra elemento funzionale ed elemento di identità di marca: la mela verde è parte costituiva della brand e viene declinata in forme diverse su tutta la gamma Garnier Fructis. APERTURA E BRAND IDENTITY La soluzione adottata da Garnier non può considerarsi un’innovazione radicale, ma resta pur sempre un intervento migliorativo importante ai fini dell’usabilità. Questo esempio offre lo spunto per considerazioni relative al costo di un’innovazione o di un semplice miglioramento. Indubbiamente, il sistema di chiusura adottato non è del tipo standard e ha richiesto uno stampo dedicato. Ma i vantaggi in termini di visibilità di marca a scaffale e di memorizzazione della brand hanno ripagato ampiamente l’investimento fatto. Insomma, un sistema user friendly e privo di istruzioni è realizzabile e non è detto che costi di più. Semmai va dimostrato il contrario, e cioè che i sistemi di apertura finora utilizzati siano, sotto tutti gli aspetti, i migliori possibili. La forma a soffietto spiralato è un tipico esempio di design parlante: rispetto a un semplice tubo verticale di plastica, indica che il contenitore contiene un liquido e potrà essere usato premendo dall’alto verso il basso grazie a una pompa dotata di un effetto di ritorno. La pompa a soffietto è un raro caso in cui il meccanismo interno di un componente del packaging viene esternalizzato, comunicato al consumatore e utilizzato come fattore distintivo rispetto alle confezioni di altre marche. (fonte: Taplast). Nel realizzare un sistema innovativo, ad alta usabilità e privo di istruzioni, si deve comunque tener conto del fattore “novità”: di fronte a un’apertura sconosciuta, anche se chiara e ricca di indicazioni e inviti, la prima volta il consumatore sbaglia, la seconda volta impara la sequenza corretta. Ciò avviene anche per aperture corredate da istruzioni scritte e pittogrammi, anche se chiari e collocati vicini al punto dove si deve agire. Insomma, c’è un coefficiente fisiologico di insuccesso iniziale, ma è da mettere in conto in moltissime situazioni. Packaging Observer – Aprile 2006 7 A SCUOLA CON LE SCIMMIE? Di solito si attribuisce la ragione di questo comportamento al fatto che ognuno di noi è diverso dagli altri e segue una sua logica e sue abitudini. E’ vero, ma si potrebbe sostenere anche il contrario: e cioè che di fronte agli oggetti ci comportiamo un po’ tutti allo stesso modo. E in quel ‘tutti’ vi mettiamo anche le scimmie. “In alcuni stadi evolutivi, ma talvolta anche da adulti – racconta Elisabetta Visalberghi, etologa e dirigente di ricerca dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma – abbiamo comportamenti e dinamiche di approccio alle cose che ricordano quelli delle scimmie”. Dal 2003 Visalberghi studia a Piauì, in Brasile, i ‘cebi dai cornetti’, scimmie sudamericane che circa 40 milioni di anni fa avevano antenati comuni ai nostri. In questi animali si evidenziano schemi manipolativi simili o evocativi di quelli umani. I cebi dai cornetti possiedono schemi manipolativi simili a quelli umani. Si tratta di animali onnivori che si cibano di frutti, insetti e piccoli vertebrati che trovano in foresta, l’ambiente che prediligono. I cebi sono bravissimi ad aprire i packaging messi a punto dalla natura e dimostrano la capacità di saper scartare ciò che di un frutto non ritengono buono abbastanza, o commestibile: per esempio, con le dita e con la bocca cercano di aprire i frutti, spesso ne scartano la buccia. In laboratorio sono veramente sofisti: scartano la buccia dei chicchi d’uva, tolgono il guscio e la pellicina rossa dalle noccioline americane, e hanno tanti altri comportamenti del genere. Selettività, cautela e determinazione sono presenti anche in natura: i cebi, ad esempio, sono capaci di predare alveari e di scappare via in modo tale da evitare di essere inseguiti dalle vespe inferocite, o di arrivare lo stesso a frutti proibiti difesi da formiche terribili. Quando incontrano una specie di noce simile per durezza, polpa e gusto alla noce di cocco, ma grande un albicocca, adottano il sistema dell’incudine e del martello: cercano una superficie piana e dura, ci poggiano la noce sopra e la colpiscono con una pietra. In laboratorio, poi, hanno scoperto come estrarre succo da un recipiente lungo e stretto. Inizialmente i nostri cebi – racconta l’etologa – hanno fatto di tutto, hanno provato a mordere il tubo, ad infilarci dentro la lingua, o qualche foglia, sino a quando infilando un bastoncino nel tubo sono riuscite ad intingerlo nel succo. Così facendo il liquido rimaneva sull’estremità del bastone, e per contatto ripetuto, sono riuscite a cibarsi leccando più volte lo strumento”. In caso di estrema necessità, quando hanno a che fare con un oggetto che non riescono ad aprire in nessun modo, arrivano anche a scagliarlo per terra. Così, ad esempio, riescono ad aprire le noci di cocco. “Io stessa – ricorda la studiosa – ho sperimentato l’apertura di una noce di cocco in questo modo. Quando non avevo attrezzi a portata di mano, mi sono ricordata delle scimmie, sono andata in giardino e l’ho scagliata con violenza per terra, su una superficie dura. Il cocco si è aperto, come Packaging Observer – Aprile 2006 8 desideravo. Ed io ho faticato meno di quando mi è capitato di usare un martello”. L’osservazione dei cebi brasiliani offre lo spunto per riflettere sul modo con cui interagiamo con gli oggetti. La prima esperienza che si ha del mondo è di tipo tattile e si ha inizialmente con la bocca, fin dalla prima poppata. La ripetizione del gesto è stimolata e trainata dal piacere e dal vantaggio che se ne ricava (un principio importante anche nella progettazione di un sistema di apertura!). Con il perfezionamento della vista inizia una seconda fase esplorativa: e per conoscere meglio ciò che vediamo, istintivamente vogliamo portarlo alla bocca. Così nasce la coordinazione mano-bocca: è però necessario che la mano entri nello stesso campo visivo in cui si trova l’oggetto, poi si cercherà di muovere l’oggetto verso la bocca. Più tardi si comincia ad esplorare con la mano e con le dita, scagliando l’oggetto per terra oppure cercando di aprirlo dapprima con le dita e poi con attrezzi. Nella specie umana, diversamente dalle scimmie, si arriva a scegliere gli attrezzi giusti, a leggere le istruzioni e addirittura a non utilizzare né gli uni né gli altri: l’uomo possiede infatti una capacità di analisi in termini causali di ciò che capita e del perché avviene. Questo gli permette di ripetere gli schemi manipolativi e le sequenze. Tuttavia la fase dell’apprendimento è simile sia per gli uomini sia per le scimmie, come per altri animali. “In laboratorio abbiamo scoperto che i cebi ricorrevano al sistema incudine/martello per aprire le noci; poi ci siamo accorti che usavano lo stesso sistema anche in natura – racconta Visalberghi – Chi aveva insegnato loro questa tecnica? Avevamo escluso l’imitazione, perché le scimmie possono vedere una sequenza centinaia di volte e non ripeterla mai, a differenza dell’uomo che è in grado di imitare e di imparare da ciò che osserva fare agli altri. In sostanza, i cebi non apprendono come eseguire un compito nuovo osservando e ripetendo, ma stando insieme agli altri negli stessi posti, con le stesse cose: provano, sbagliano, riprovano ancora. Se poi la forma dell’oggetto e delle sue parti canalizza certi comportamenti, l’apprendimento può diventare più rapido; ma può anche capitare che un individuo non impari mai la soluzione di un problema che gli altri membri del gruppo risolvono con facilità”. In pratica, ad un elevato numero di interazioni con gli altri, ad occasioni e stimoli idonei corrisponde una maggiore probabilità di apprendimento, ma non del tipo ‘guardo come si fa, e lo ripeto’. PROVE ED ERRORI Per esempio, se un bambino vive in una famiglia dove abitualmente si rompono le noci con determinati metodi o utensili, ha più probabilità di imparare a farlo rispetto a un bambino che vive in una famiglia dove non c’è occasione di vedere queste azioni. Ciò avviene perché è portato ad interessarsi ai frutti – che sa essere buoni -- e agli utensili, e a giocarci. Ma il bambino, a differenza delle scimmie, osserva con attenzione cosa fanno i grandi ed è in grado di ripeterlo. Quindi, l’ambiente sociale canalizza i tentativi in un modo tale che rende l’acquisizione di quel comportamento molto più probabile di quanto non sarebbe se il bambino si trovasse in una famiglia in cui nessuno rompe le noci. Il gioco favorisce l’acquisizione, e il vedere cosa fanno gli altri membri della famiglia permette al bambino di imparare in fretta. Ma per Packaging Observer – Aprile 2006 9 imparare guardando è molto importante conoscere almeno un po’ gli elementi del problema, averli esplorati per gioco. I bambini imparano ad usare il pc perché lo esplorano con grande interesse e non necessariamente per imparare. Se fossero costretti a farlo, probabilmente imparerebbero molto più lentamente. A. B. C. D. E. F. G. H. I. J. APERTURE “PARLANTI” Consigli per l’usabilità ottimale La scelta più semplice è utilizzare un codice culturale già conosciuto senza modificare o invertire l’ordine di sequenze nello schema manipolativo. Se si sceglie un’apertura che richiede uno schema manipolativo poco noto o del tutto nuovo, è necessario che i componenti del sistema suggeriscano con forme e/o colori differenti, anche con codici tattili, le sequenze corrette. Tener conto che ogni consumatore elabora un suo schema manipolativo, procede per prova ed errore e trascura spesso le istruzioni. E’ importante considerare l’usabilità per tutte le forme di disabilità/diversità nei loro vari gradi. Ridurre la quantità di forza da applicare, il numero delle fasi, la sincronizzazione dei gesti. Dove possibile, dev’essere preferibile l’apertura con una mano sola. Se è necessario riportare informazioni scritte e/o pittogrammi, devono essere immediatamente visibili ed è meglio collocarli vicino all’area del sistema dove si dovrà agire. Verificare sempre il grado di leggibilità delle istruzioni. Evitare che il consumatore debba ricorrere ad un attrezzo improprio. Un’apertura erronea è accettabile, ma non deve provocare danni al prodotto, alle cose e alle persone (e all’imballo primario nel caso si tratti di un imballo secondario). Non è detto che il consumatore si accorga subito dell’innovazione: va comunicato esattamente qual è il plus, altrimenti non viene comperata. Queste osservazioni spiegano l’importanza e il significato del cosiddetto ‘fattore culturale’: Il modo di aprire e usare lo stesso oggetto è differente a seconda di popoli e culture anche molto vicini. La diversità è correlata alle diversità di input culturali che riceviamo, ma i sistemi che vengono utilizzati sono tutti efficienti. Perché una determinata comunità sceglie un certo sistema? Probabilmente non ce n’é uno migliore degli altri, fino a quando quella comunità non entra in contatto con un’altra. In conclusione, numerosi fattori possono aiutare il progettista a velocizzare il processo di apprendimento e utilizzo di un sistema di apertura. Leggere istruzioni e pittogrammi è una soluzione, ma non la migliore; è sicuramente la più lenta. Le forme e i colori che canalizzano i gesti sono più immediati ed efficaci. E sono gli stessi strumenti ai quali ricorre la natura per invitare all’uso ripetuto nel tempo e nello spazio, dal colore dei frutti che attira gli uccelli all’odore dei fiori che attira gli insetti. In fondo, il marketing funziona un po’ come la natura: l’obiettivo di entrambi, infatti, non è provocare un’azione una sola volta ma far sì che si ripeta più volte. . Packaging Observer – Aprile 2006 10