di Garth Davis - Lo Spettacolo del Veneto
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di Garth Davis - Lo Spettacolo del Veneto
Federazione [email protected] Italiana Cinema d’Essai INTERPRETI: Nicole Kidman, Dev Patel, Rooney Mara, David Wenham, Nawazuddin Siddiqui, Eamon Farren, Tannishtha Chatterjee SCENEGGIATURA: Luke Davies FOTOGRAFIA: Greig Fraser MONTAGGIO: Alexandre de Franceschi DISTRIBUZIONE: Eagle Pictures NAZIONALITÀ: Australia, Gran Bretagna, USA, 2016 DURATA: 120 min. [email protected] wwww.spettacoloveneto.it Associazione Generale Italiana dello Spettacolo di G a r t h D a v i s PRESENTAZIONE E CRITICA Il piccolo Saroo vive con la mamma e i due fratelli in un villaggio indiano. La famiglia è molto povera, la mamma trasporta pietre per guadagnare qualche soldo e anche Guddu, il fratello maggiore di Saroo e Saroo stesso devono darsi da fare. Proprio per seguire Guddu che ha trovato un lavoro fuori dal villaggio, Saroo finisce per perdersi e per salire su un treno che lo porta a chilometri e chilometri da casa sua. Piccolo, indifeso è assolutamente incapace di tornare a casa: non sa nemmeno di preciso dove sia il suo villaggio e quale sia il suo nome. E' così che dopo varie peripezie Saroo finisce in orfanotrofio, un posto fatiscente e governato da uomini che non esitano ad utilizzare metodi violenti o ad abusare dei bambini. Saroo però è fortunato, una coppia australiana decide di adottarlo e così il bambino parte alla volta della Tasmania. Per tutta la sua vita Sue e John saranno un'amorevole coppia di genitori, ma a un certo punto qualcosa scatta in Saroo e l'impellenza di ritrovare la mamma e il fratello è troppo forte. La sua vita esce improvvisamente dai binari, lascia Lucy, la sua ragazza, allenta i contatti con i genitori a cui non vuole parlare del progetto per paura di ferirli. Dopo molte ricerche Saroo riesce ad identificare il suo villaggio di origine e parte alla volta dell'India per trovare finalmente una risposta alle sue domande e ritrovare la pace. LION - LA STRADA VERSO CASA è diviso in due sezioni, la prima è ambientata in India e segue le vicende del piccolo Saroo, dallo smarrimento all'adozione da parte dei genitori australiani ed è certamente la parte più bella del film. Bella e dura, perché la pellicola è estremamente schietta sulle condizioni della popolazione indiana che vive ai margini e anche su quelle dei bambini che abitano le strade di metropoli come Calcutta. LION - LA STRADA VERSO CASA è onesto e sincero nel descrivere tutto questo. La fotografia è meravigliosa, gli immensi spazi del continente indiano sono splendidi e allo stesso tempo ben sintetizzano l'irrilevanza del singolo rispetto ad una tale vastità. La parte più debole è la seconda, quella che segue le ricerche di Saroo. E' più confusa e prevedibile, a tratti si vede che cerca a tutti i costi il dramma, la lacrima. E non ce ne sarebbe bisogno, perché la storia è davvero coinvolgente. Resta comunque il fatto che i temi trattati, l'adozione, il ricongiungimento, la scoperta delle proprie origini sono certamente interessanti e delicati e che Lion - La strada verso casa offre in questo senso uno spunto di riflessione significativo. (www.pianetadonna.it) Esistono molti modi di ricordare qualcosa: ci si può affidare alla razionalità, a un metodo esplicito, oppure si può fare come i bambini e raccogliere autonomamente suoni, colori, odori e sensazioni. Guardare il mondo senza verbalizzarlo, raccogliendo solo una "memoria di qualcosa" impossibile da definire eppure imprescindibile dal circoscrivere ciò che siamo e disegnare la forma del nostro esistere. Saroo (Sunny Pawar) ha cinque anni, e la sua memoria senza volerlo immagazzina tutte queste cose: suoni, colori, sensazioni e odori della sua terra, l'India, con cui vive insieme al fratello maggiore, la sorellina e sua madre, impegnata a raccogliere le pietre e sfamare la famiglia. Non importa che un giorno Saroo finisca per perdersi per sbaglio su un treno che lo porta lontano centinaia di chilometri dal suo villaggio, non importa che arrivi a Calcutta, non sappia dove andare, venga portato in un orfanotrofio e poi adottato da una famiglia australiana. La sua memoria custodisce dentro di lui la forma della sua anima, in un cassetto pronto a riaprirsi al minimo stimolo. Basta il ricordo di un odore, di una sensazione a lungo desiderata e finalmente compiuta ad aprirlo e far ritornare prepotente quella forma di bambino, che a fatica si rimodella dentro l'uomo che è diventato come un puzzle i cui pezzi non combaciano. La ricerca di quell'incastro costa all'ormai adulto Saroo molto tempo e molta sofferenza: la sua vita perfetta costruita grazie ai nuovi genitori Sue e John inizia ________________________________________________________________________________ di G a r t h D a v i s a soffocarlo, mentre tornano a galla immagini, odori e sensazioni a cui Garth Davis affida il compito di richiamare il ragazzo, come un istinto primordiale e animalesco che lo porta a cacciare una preda. Saroo si dimena nella sua gabbia dorata, allontana gli affetti e ripercorre su rotaie immaginarie il suo percorso verso casa, una puntina dietro l'altra, eterna rincorsa verso la giusta forma e l'incastro perfetto. L'India di Saroo e di Garth Davis è duplice: un labirinto urbano pieno di insidie e un tessuto rurale accogliente e sicuro uniti da due rotaie, che conducono verso un pericolo assicurato da cui solo un caso riesce a salvare il protagonista. Una situazione fin troppo favolistica per essere vera, eppure Saroo Brierley è esistito davvero e dal suo libro di memorie il regista ha adattato Lion, che si districa nelle emozioni del suo protagonista tentando di restituire la sua ossessiva ricerca sullo schermo. Per farlo Davis richiama proprio la nostra memoria procedurale, accompagnando il piccolo Saroo nella prima parte, e con lui lo spettatore, nella scoperta del suo mondo, creando una sensazione di nostalgia che spinge a compiere quel viaggio per mano del protagonista, accanto a lui, proprio come la sua fidanzata Lucy vorrebbe fare. La tecnica passa al servizio delle emozioni quindi, non dichiara ma al contrario sottintende, lasciando scivolare tutto attraverso gli enormi e dolci occhi color cioccolato di Sunny Pawar che si trasformano in quelli di Dev Patel, velati da una patina lucida di rimpianti e bisogni. Il gioco funziona a metà, fino al momento in cui lo spettatore non sente il bisogno di qualcosa di più, di un'azione che rimane costantemente in passivo e non riesce ad attivarsi trascinandoci verso un ritmo più sostenuto. L'universo cercato dal protagonista è piccolo come un villaggio senza nome, ma vasto come il mondo intero sul suo schermo del computer. Più cerca e più si perde, eppure in quell'insistenza Garth Davis mette tutta la sua delicatezza, costruendo una strada dopo l'altra il bisogno di sentirsi identificati, di capire le proprie origini e di ritrovare il proprio posto nel mondo, anche se questo significa capire che lo si aveva già. Perdersi per ritrovarsi, e ritrovarsi perdendosi: una dicotomia che segna profondamente la vita di Saroo e il senso del suo viaggio, dal finale emotivamente sperato ma lievemente ricattatorio dal punto di vista cinematografico, complice una pennellata finale nella realtà che ammorbidisce qualcosa che, al contrario, avrebbe avuto bisogno di un pizzico di solidità in più per potersi elevare. A restare è una intensa struttura emotiva, una rispettosa attenzione per una storia reale e delle interpretazioni perfettamente bilanciate, che rendono Lion un film fatto di sensazioni: "memoria di qualcosa", non verbalizzabile eppure con un piccolo posto nel cuore. (www.movieplayer.it) Tutta la prima parte, che vede protagonista il piccolo Sunny Pawar, ha un che di magnetico. Si resta incollati alla forza d'animo del bambino, al suo sguardo attento, al suo cuore gonfio, mentre viene catapultato suo malgrado dal nulla della casa d'origine alla vastità della megalopoli e della sua disumanità. Davis racconta bene come lo sguardo di Saroo si aggrappa a quello degli altri bambini, in cerca di una fratellanza, sullo sfondo di un mondo adulto ambiguo se non meschino. LION è perciò un oggetto particolare, un film "da Oscar" che dei film "da Oscar" evita più o meno tutti i soliti difetti. Un grande narrazione a lieto fine, sì, ma nel quale il risarcimento emotivo non è completo e lascia dietro di sé e nello spettatore degli strascichi forse non contemplati; un film in cui le immancabili "rimonte" di sceneggiatura, tipiche del genere, sono gestite con eleganza non comune, senza che quasi che ne accorgiamo, e così il destino di Saroo è raccontato come una storia nella storia, quella di un cucchiaio immaginario che diventa un reale e anglofono "spoon" e del quale si deve liberare, tornando ad usare il naan, il pane indiano, come un cucchiaio, per poter tornare a toccare il proprio sé. L'India stessa, infine, non è quella povera ma colorata e pop di Danny Boyle, è più vera o per lo meno credibile: c'è infatti una ricerca di verosimiglianza, che si trova anche nell'estremo avvicinamento della coppia Nicole Kidman- David Whenam alla coppia vera della storia vera che ha ispirato il film, che non è francamente richiesta ad un prodotto di questo tipo, però fa la differenza. Nella seconda parte, il discorso cambia: l'ellissi è molto, forse troppo, ampia, e affidare il riemergere del passato di Saroo ad un jalebi, come ad una madeleine proustiana, vuol dire tirare un po' la corda. Subentrano nuove tematiche, legate alla nuova famiglia, al destino della madre e alla figura di Mantosh, il fratello "diverso", l'altra faccia della favola dell'adozione. Troppo materiale, forse; che sarebbe stato perfetto per lo spazio concesso ai personaggi tipico della nuova serialità, meno, invece, per un pezzo di film che comincia e finisce altrove. Eppure, la seconda parte è importante, è il vero viaggio del film, sviluppato con qualche insistenza di troppo (il "ritorno" ad una condizione trasandata e disperata del personaggio di Dev Patel non era affatto necessario), ma sempre al riparo dal pericolo, pur presente, di grossolani scivoloni nel mélo. (www.mymovies.it) ________________________________________________________________________________