Locandina - Associazione Amici del Palazzo e Parco Arese Borromeo

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Locandina - Associazione Amici del Palazzo e Parco Arese Borromeo
Urla dal silenzio: immagini degli ex ospedali psichiatrici
Personale di fotografia di Ferdinando Zanzottera
Palazzo Arese Borromeo (Cesano Maderno)
7-19 novembre 2013
La mostra Urla dal silenzio: immagini degli ex ospedali psichiatrici costituisce una selezione di
scatti fotografici realizzati tra il 2010 e il 2013 negli ex Ospedali Psichiatrici di Cremona,
Gorizia, Sondrio, Trieste, Udine e Mombello (Limbiate). Si tratta di un’estrema selezione di un
più vasto lavoro realizzato per una ricerca ministeriale interuniversitaria che mi ha spinto a
peregrinare in quattro regioni (Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e
Veneto) per documentare lo stato di fatto di un nutrito numero di ex Manicomi e che ha
portato a realizzare una campagna fotografica di oltre 9.000 scatti. Soggetti preferenziali della
mostra non sono le architetture, sebbene una specifica sezione a colori illustra ampiamente il
degrado in cui versa la vicina struttura di Mombello, o i Beni Culturali che talvolta sono
conservati negli ex manicomi italiani, ma sono i silenzi che questi luoghi mi hanno suggerito.
Le immagini che ho dunque deciso di esporre raffigurano le impronte delle mani lasciate dai
pazienti sui vetri delle camere di sicurezza, le scritte lasciate da persone ignote sui muri di
questi ospedali della mente, gli intonaci caduti di edifici più o meno fatiscenti, i cartelli che
registrano la situazione che talvolta sembra grottesca, gli oggetti dimenticati dai pazienti e gli
utensili abbandonati da tutti dopo la chiusura ufficiale di queste strutture. Semplici elementi di
uso quotidiano utilizzati da mani alle quali spesso la normalità della quotidianità, così come la
si intende abitualmente, non fu mai concessa. Questi semplici oggetti hanno infatti risvegliato
in me un turbinio di pensieri che hanno richiamato nella mia mente gli scritti lasciati da molti
‘amici’ che in queste mura hanno vissuto per molti anni e che, almeno all’inizio della mia
ricerca, ho letto solamente con un distacco professionale. “Abito in questo lager come una
foglia sbattuta dal vento e calpestata dagli uomini” scriveva Adelina quando era ancora
“rinchiusa” nella Grande Astanteria Manicomiale Paolo Pini di Milano.
Calpestando quelle stesse foglie e camminando sui pavimenti sui quali alcuni pazienti hanno
vissuto per decenni ho provato a chiudermi alle spalle le porte delle piccole celle di
contenimento dei furiosi, che un tempo ospitavano legati al letto i malati più violenti, e in me
sono riaffiorate le parole pronunciate da alcuni di loro, che la scienza medica ha catalogato
secondo la loro patologia della reale o presunta malattia: “dissociazione traumatica con
Palazzo Arese Jacini - Piazza Arese, 12 - 20031 Cesano Maderno - MB - Italia
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accentuazione dell’insicurezza ontologica comune”; “soggetto con disturbo delirante cronico e
sindrome di de Clerambault”; “refrattaria al senso comune della decenza e all’autorità del
marito”. Patologie che per me, non medico, con l’andare del tempo sono divenute
semplicemente Marco, Guglielmo Maria e Adelina, persone incontrate lungo il mio
pellegrinare o ‘conosciute’, leggendo le loro antiche cartelle cliniche.
Non sempre, però, i manicomi mi hanno parlato di maltrattamenti o di diagnosi ‘bislacche’
che oggi farebbero sorridere se non fossero così drammaticamente vere (Maria è stata
rinchiusa in un ospedale psichiatrico perché ha tirato uno zoccolo di legno in testa al marito
che la tradiva con un’altra donna), perché in questi luoghi ci sono stati anche atteggiamenti
commoventi da parte di medici, infermieri e operatori sanitari che ancora oggi, magari in
pensione, chiamano “fratelli” le persone più sfortunate che hanno curato.
Le fotografie esposte, dunque, sono immagini semplici, forse anche disarmanti per la loro
elementarità, che si mostrano senza troppo clamore, anche se nel loro silenzio cercano di
urlare le storie di chi tra quelle mura ha vissuto e, talvolta, è stato dimenticato.
Mi piace definire queste fotografie ‘gentili’, senza orpelli didascalici, ma spero ricche di
suggestioni, raccolte in una mostra che cerca di raccontare anche una parte della storia italiana
recente iniziata il 13 maggio 1978 con la promulgazione della Legge n. 180 (gergalmente
denominata Legge Basaglia) e che si è conclusa, per molti ospiti, solo una decina di anni fa.
Tra le immagini che ho scelto non ho dunque voluto inserire nessuno degli ammalati
incontrati nei miei viaggi in queste cittadelle della cura dell’infermità mentale, sebbene in
qualche occasione alcune pazienti mi abbiano chiesto esplicitamente di essere ripresi perché si
sentivano modelle. Nelle fotografie esposte, dunque, solo oggetti dimenticati e abbandonati o
manufatti reinventati ad uso non sempre idoneo. In mostra non vi sono nemmeno immagini
di oggetti musealizzati, sebbene molti sarebbero meritevoli di essere conservati in un museo,
perché non si censuri un’altra volta questa parte della storia della società attuale.
Tra le immagini che ho selezionato con l’aiuto di qualche severo amico, mi sembra
particolarmente significativa quella in bianco e nero che fissa nei sali d’argento una semplice
etichetta con un nome di persona: una fotografia che ‘parla’, senza riprenderla, di una paziente
ospite di una struttura sanitaria. Quest’ultima per molti anni disattese la legge di chiusura dei
manicomi sino a quando, per non ricevere una severa multa, fu costretta a trasferire i pazienti
in soli trenta giorni. Il provvedimento colse così ‘impreparati’ alcuni operatori locali che si
videro ‘costretti’ a realizzare nuovi e moderni luoghi di cura dove trasferire i loro ospiti in
Palazzo Arese Jacini - Piazza Arese, 12 - 20031 Cesano Maderno - MB - Italia
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pochi giorni. Quella donna, insieme alle sue compagne, fu dunque ‘invitata’ a fare i bagagli in
fretta e nei locali dove prima si viveva una vivace quotidianità scese l’oblio.
Quando sono entrato in quel luogo ho avuto la sensazione che il tempo si fosse dimenticato di
scorrere e tutto mi è apparso esattamente come fu lasciato in quell’istante di dieci anni prima.
La polvere è divenuta la padrona dei poster di montagna appesi alle pareti dalle pazienti che
affermavano di essere novelle Messner, mentre gli acari, unici nuovi abitatori di un mondo
immobile, si sono stratificati sugli oggetti dimenticati. Non più un suono. Non più le impronte
lasciate da mani stanche o tremanti.
Le fotografie scattate in questo mondo surreale, in cui tutto oggi appare come tanti anni fa, i
nomi dei pazienti scritti per indicare il ripiano dell’armadio a muro in cui le ospiti potevano
posizionare i propri pochi oggetti personali, si sono trasformati in ‘pugni nello stomaco”.
Quelle etichette, infatti, hanno costituito per me una sorta di prova di colpevolezza perché per
anni non mi sono domandato cosa accadesse oltre i muri dei manicomi e perché non avevo
ancora capito con lucida chiarezza che ciò che fotografavo non erano solamente le “reti dei
matti”, ma erano anche il luogo nel quale per anni persone dotate di un nome, di un volto e di
una personalità precisa avevano vissuto quasi ignorate dalla società civile.
Sono questi, dunque, i pensieri che mi hanno condotto a scattare le fotografie in mostra, come
quella che raffigura il letto di contenimento di un Manicomio del Friuli Venezia Giulia, triste
testimonianza del concetto di contenzione terapeutica forzata che, sebbene evitava al paziente
di fare del male a se stesso e agli altri, lo costringeva a rimanere legato in un letto racchiuso in
una rete che lo avvolgeva completamente, senza lasciare scoperto nemmeno lo spazio sopra le
coperte. Nelle immagini esposte vi sono dunque raffigurate sedie abbandonate, piccoli alberi
dimenticati abbattuti dal tempo e ombre lasciate da oggetti immobili che sembrano
avvinghiate a questi luoghi. È tra questi oggetti che si possono osservare una palla, con un
Winnie the Pooh ormai sbiadito, abbandonata su una sedia o una macchina da cucire che
richiama alla memoria l’esistenza di una sartoria ormai nullafacente.
Le immagini che ho selezionato cercano dunque di raccontare queste semplici storie, un
tempo protette da mura perimetrali, reti metalliche e angusti giardini recintati, entro ai quali i
pazienti erano costretti a deambulare in circolo. Di quei percorsi talvolta oggi non rimangono
che labili testimonianze, come i bassi muriccioli in cemento armato sui quali un tempo si
ergevano le reti metalliche con filo spinato che separavano i singoli padiglioni, perché spesso
abbattute nel periodo postbasagliano. Quei frammenti murari, oggi impiegati per delimitare
Palazzo Arese Jacini - Piazza Arese, 12 - 20031 Cesano Maderno - MB - Italia
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parcheggi o giardini curati, sono oggi abitati da piante resistenti che hanno voglia di vivere, e
che stoicamente si arrampicano su questi oggetti dimentichi.
Alcune immagini, invece, sono dedicate alla situazione di degrado dell’ex Ospedale
Psichiatrico di Mombello (Limbiate) sul quale non si può che urlare di dolore di fronte a tanto
sfacelo. Sono queste “fotografie diverse”, perché differenti sono le sensazioni che il luogo ha
suscitato in me.
Chiunque abbia provato a permanere in silenzio per qualche ora in questi padiglioni non può
che provare dolore e rabbia di questa situazione. Un dolore provocato anche dall’insipienza di
chi gode nel distruggere questi spazi cercando forse di sentirsi dei grandi uomini, ma
dimostrando però di essere solamente dei “re del nulla”. Incomprensibili sono per me i roghi
appiccati in alcune stanze solo per godere delle fiamme, vedere le cartelle cliniche utilizzate
come insipienti tappeti postmoderni, o constatare che qualcuno ha gioito nel rovesciare
armadi e lanciare sedie, che talvolta sono giunte a sfondare i tetti. Queste fotografie sono per
me come un urlo strozzato perché non comprendo il senso di ritrovare una pellicola
cinematografica, un tempo diletto dei pazienti, e farla a brandelli tra le siepi, le serre, gli
arbusti e i rovi del manicomio. Queste immagini, dunque, non vogliono esprimere alcuna
condanna per questa terra devastata o per gli oggetti vilipesi che vi si trovano, ma il dolore per
la dimenticanza di quanti non comprendono che dentro ad ogni fotogramma di quella
pellicola cinematografica sono impressi anche immagini della sua storia e del suo essere.
Palazzo Arese Jacini - Piazza Arese, 12 - 20031 Cesano Maderno - MB - Italia
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