"ISIS: tra fatti e diritto. Dialogo sullo Stato islamico fra consenso e

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"ISIS: tra fatti e diritto. Dialogo sullo Stato islamico fra consenso e
Nomodos - Il Cantore delle Leggi
augura a tutti buone feste!
“Pallina di Natale” di Morena Naldi, licenza CC BY-NC-ND 2.0 da
www.flickr.com
Siamo giunti alla fine di un anno ricco di approfondimenti e di novità! Tutti
i Cantori di Nomodos – Il Cantore delle Leggi vi ringraziano per aver
dedicato un po’ del vostro tempo alla lettura del nostro blog.
A tutti voi porgiamo i nostri più calorosi auguri di buone
feste!
La pubblicazione dei nostri articoli riprenderà il 6 gennaio 2016 con nuovi e
interessanti approfondimenti sul mondo del diritto.
NOMODOS – IL CANTORE DELLE LEGGI
I fatti di Parigi e lo stato di
emergenza
Il blog “Nomodos – Il Cantore delle Leggi”, all’indomani dei devastanti
attacchi subiti dalla popolazione parigina, intende esprimere nella maniera
più forte e netta possibile la propria condanna contro l’utilizzo
indiscriminato e cieco della violenza, in qualsiasi forma esso si manifesti,
nonché il proprio sgomento e la propria vicinanza a quanti sono stati
raggiunti da questa tremenda tragedia. Quanto accaduto a Parigi è terribile e
pericoloso, soprattutto perché capace di raggiungere il proprio obiettivo:
generare paura, confusione ed esasperazione tali da innescare reazioni
generalizzate e a loro volta violente.
È proprio per questo che, di fronte al doloroso e sconvolgente attacco a vite
umane indifese, è necessario rimanere lucidi ed umani, per quanto difficile.
È necessario condannare la violenza di chi ha sparato ed ucciso ed altresì
quella di chi vorrebbe sparare ed uccidere per reazione; la violenza di chi
rifiuta qualsiasi dialogo e si scaglia insensibile contro i simboli di ciò
che reputa sbagliato, quali che essi siano (oggi la popolazione di Parigi,
capitale occidentale, ieri Charlie Hebdo, giornale laico e satirico, il
giorno prima ancora il museo del Bardo di Tunisi, terra araba e musulmana
sulla strada della democrazia, e quello prima ancora Malala Yousafzai,
ragazza istruita pronta a combattere contro l’oscurantismo dei taliban) e
altresì quella di chi, alla ricerca di un capro espiatorio di brutale
efficacia, tenta di porre una rigida separazione fra quanti sarebbero i
“buoni” e quanti i “cattivi” (in questo caso l’Islam, religione che, è
doveroso ribadirlo, è ben altra cosa sia rispetto alla grottesca
strumentalizzazione datane da frange estremiste come l’ISIS sia rispetto alla
visione che moltissimi mezzi di informazione occidentali tentano di
costruirne).
Gli uni e gli altri sono i veri nemici di quei valori universali di umanità,
solidarietà, tolleranza e pace che non sono appannaggio di questa o quella
cultura, popolazione o religione ma dell’umanità tutta, chiamata oggi ad
interrogare se stessa nello sforzo di riscoprirsi coesa e capace di
razionalità.
“Nomodos” pertanto – come ha già avuto modo di affermare – crede che solo
difendendo e rafforzando i diritti civili previsti dalle Costituzioni
pluraliste e democratiche si possano combattere fenomeni come il terrorismo,
e si propone, anche in questa circostanza, di adempiere al proprio ruolo di
informazione giuridica tramite la breve analisi che segue sulle conseguenze
dello “stato di emergenza” proclamato in Francia e sui limiti che tali
conseguenze possono porre all’esercizio di tali diritti.
Nella conferenza straordinaria sulla sicurezza tenutasi ieri notte, il
Presidente francese François Hollande ha dichiarato lo “stato di emergenza”,
istituto attraverso il quale è anche possibile derogare a determinati diritti
dell’uomo sanciti da numerose Carte.
Se da un lato gli Stati negli ultimi decenni si sono sempre più prodigati nel
riconoscere e tutelare un numero considerevole di diritti c.d. “dell’uomo”,
dall’altra si sono sovente riservati la facoltà di potervi, in determinate
circostanze, derogare.
Un esempio di questa deroga è l’art. 4 del Patto Internazionale sui Diritti
Civili e Politici (firmato in seno alle Nazioni Unite nel 1966), il quale
prevede:
1. In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della
nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati parti del
presente Patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi
imposti dal presente Patto, nei limiti in cui la situazione strettamente
lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri
obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non
comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul
colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull’origine sociale.
2. La suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6,7,8
(paragrafi 1 e 2), 11, 15, 16 e 18.
3. Ogni stato parte del presente Patto che si avvalga del diritto di deroga
deve informare immediatamente, tramite il Segretario generale delle
Nazioni Unite agli altri Stati parti del presente Patto sia delle
disposizioni alle quali ha derogato sia dei motivi che hanno provocato
la deroga. Una nuova comunicazione deve essere fatta, per lo stesso
tramite, alla in cui la deroga medesima viene fatta cessare.
Come ben si vede il primo comma del suddetto articolo stabilisce delle
limitazioni a questa facoltà: innanzi tutto si deve trattare di un pericolo
di dimensioni tali da minacciare “l’esistenza della nazione”. Per quanto
riguarda questo primo limite, è drammaticamente palese che gli attacchi
susseguitesi la notte scorsa tra le strade di Parigi possano essere
qualificati come atti che minacciano l’integrità della Nazione francese e dei
suoi cittadini.
In secondo luogo, la decisione di derogare ad alcuni diritti della
Convenzione deve essere adeguatamente pubblicizzata. Nei casi di emergenza,
come quello avvenuto l’altra sera, la stessa Corte EDU in passato ha ritenuto
sufficiente la dichiarazione della volontà di derogare alla CEDU fatta da un
Ministro inglese al proprio Parlamento.
Un ulteriore elemento richiesto è il rispetto del criterio di
proporzionalità: questo criterio, molto utilizzato nei casi in cui viene
richiesto un bilanciamento fra due o più diritti, è quello che apre alla
possibilità di una serie di usi smodati di questa facoltà da parte degli
Stati. Questa situazione è conseguenza delle difficoltà di trovare un metodo
sufficientemente oggettivo, che possa aiutare gli Stati nella scelta delle
misure più efficaci, ma anche più garantiste. A riguardo gli studiosi hanno
dedicato i propri sforzi a cercare di regolare questa disciplina, producendo
documenti come The Paris Minimum Standards of Human Rights Norms in a State
of Emergency o i Siracusa Principles on the Limitations and Derogation
provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights.
Questi, comunque, non essendo testi vincolanti nei confronti degli Stati non
hanno sortito l’esito sperato. Sfortunatamente, il criterio fin ora
utilizzato – il c.d. proportionality test, che presuppone appunto un
bilanciamento fra il diritto che si vuole derogare e i mezzi attraverso i
quali raggiungere questo scopo – lascia un “margine di apprezzamento” nelle
mani dello Stato che, in determinati casi, non impone dei veri limiti alla
discrezionalità statale.
Infatti, in questi delicatissimi casi di derogazione ai diritti dell’uomo –
come ben si immagina – il rischio dell’abuso di diritto è prepotente e la
prassi degli Stati ne è esempio: il Regno Unito in più occasioni (Brannigan
and McBride v. the United Kingdom, Brogan and Others v. the United Kingdom, A
and Others v. the United Kingdom) è stato portato di fronte alla Corte EDU
per la violazione di innumerevoli principi che sono parte di quello del fair
trial. I soggetti che venivano accusati di aver compiuto o sostenuto atti
terroristici potevano essere detenuti senza imputazione – c.d. pretrial
detention – per un numero considerevole di giorni (ora limitato a 28) e senza
neanche avere diritto di conoscere le prove a proprio carico.
Per arginare queste pratica vi è l’ulteriore previsione per cui uno Stato non
può adottare provvedimenti “incompatibili con gli altri obblighi imposti” sul
piano internazionale e il divieto, al secondo comma, di derogare al diritto
alla vita, al divieto di tortura e di schiavitù, al principio per cui
“nessuno può essere imprigionato per il solo motivo che non è in grado di
adempiere a un obbligo contrattuale”, al principio di nulla poena sine lege
e, infine, alla libertà di pensiero e religione.
A questa serie di divieti si impone l’obbligo di non prevedere trattamenti
discriminatori: una pratica comune a molti Stati, infatti, è quella di
derogare solo nei confronti dei non- cittadini; alla base di questa decisione
vi è la credenza che questa determinata tipologia di attacchi provenga
solamente da stranieri. Purtroppo, i fatti di ieri hanno reso palese come
questa concezione sia errata: le notizie delle ultime ore confermano,
infatti, che almeno uno degli attentatori fosse di nazionalità francese.
Questa veloce panoramica mette in luce quali sono i limiti di questa
possibilità di deroga: se, da una parte, è fondamentale la previsione di
questa facoltà per fronteggiare minacce gravissime come quella del
terrorismo, dall’altra appare chiaro che siano necessarie ulteriori
delimitazioni nei confronti dei poteri di uno Stato, poteri che potrebbero
arrivare ad essere quasi illimitati. Gli innovativi passi avanti fatti nei
confronti dei diritti garantiti al singolo devono, anche in queste situazioni
estreme, continuare ad essere rispettati.
FABRIZIO TORELLI E SARA VETULLI,
TUTTI I CANTORI DI NOMODOS
Droni: limbo tra amicizia e inimicizia
“Predator KAZ”, foto di KAZ Vorpal, licenza CC BY-SA 2.0, Flickr.com
Un solo nome chiave serve a ricondurre le nostre menti ad una vicenda assai
complessa e dolorosa: Giovanni Lo Porto.
A questo nome si collegano due date: quella del Gennaio 2012, data del suo
rapimento in Pakistan, e quella del Gennaio 2015, data della sua morte per
l’errore di un drone americano.
Ma perché parlare di questa vicenda così complessa e che lascia l’amaro in
bocca? È necessario parlare di quanto accaduto perché fa emergere un aspetto
nuovo della vita che viviamo a cui però non siamo minimamente preparati.
Quello di cui si parlerà di seguito, cioè l’utilizzo del drone in guerra e i
suoi molteplici risvolti, non è l’unico strumento tecnologico che oramai
convive con noi nella realtà di tutti i giorni, ma è sicuramente uno di
quelli più interessanti e complicati perché dal suo utilizzo possono
dipendere numerose vite umane.
Un utile punto di riferimento da conoscere è il fatto che i droni sono un
progetto del settore Robotica, che viene definito come “l’area
dell’Intelligenza Artificiale volta alla costruzione di macchine in grado di
sentire, pensare e agire” (Bekey). Quindi l’abilità di queste macchine è
quella di percepire l’ambiente e la situazione in cui si trovano e prendere
decisioni appropriate.
All’interno di questo scenario, come i più avvezzi alla materia avranno
capito, non c’è posto per una interazione, per un comando umano ed è proprio
questo il punto di riflessione sul quale ci vogliamo soffermare.
Quello di cui sono dotati i robot e quindi i droni è la capacità di agire, ma
il quesito a cui ancora non c’è risposta è l’imputabilità di tali azioni in
sede giuridica. Per essere più chiari, si può ricondurre quanto detto al
concetto di nesso di causalità in quanto regola applicata agli esseri umani
per sapere se, in base alle loro azioni od omissioni, sono responsabili o
meno del verificarsi di un determinato evento. Il nesso di causalità quindi è
la situazione per cui un soggetto risponde nella misura in cui l’evento che
si è prodotto è derivato da un atto o un fatto da lui compiuto. Se
ipotizziamo di utilizzare detta regola anche per i robot, ecco che sorgono
dei problemi in quanto gli esseri umani hanno si capacità di agire come si è
precedentemente detto per i robot, ma al contrario di questi ultimi sono
anche dotati di consapevolezza. È proprio sulla base dell’assenza di questa
consapevolezza che si fonda l’inadeguatezza di tale regola per i droni.
Infatti non è possibile parlare di colpevolezza o innocenza in merito agli
agenti artificiali, in quanto il robot non essendo cosciente non si può dire
che “possa voler tenere” quel determinato comportamento.
Un agente artificiale come il drone agisce se è interattivo, autonomo e
capace di adattarsi all’ambiente, quindi deve essere in grado di rispondere
agli stimoli dell’ambiente attraverso il mutamento degli stati interni o
delle sue proprietà, di cambiare tali stati anche indipendentemente da
stimoli esterni provenienti dall’ambiente, oltre che di accrescere o
migliorare le regole attraverso cui tali stati cambiano.
Queste capacità richieste ai droni rendono però imprevedibili le loro azioni
da parte di programmatori, costruttori e proprietari in quanto è stato
possibile dimostrare che i suddetti agenti sono in grado di “apprendere
dall’esperienza”, ma non è possibile per l’uomo intervenire su tale
apprendimento. Eppure questi soggetti umani, programmatori, costruttori e
proprietari, sono quelli più vicini alla “macchina” e quindi, in quanto
coscienti, anche gli unici eventuali possibili responsabili per le azioni del
drone, in quanto in qualità di non-cosciente esso non può essere punito e
rieducato per quanto fatto e per i danni causati tenendo tali azioni.
Come si è potuto osservare nel caso di Lo Porto i conflitti bellici possono
essere progettati, iniziati e combattuti da robot, ma mentre loro fanno tutto
ciò si è materializzato un problema di fondamentale rilevanza: come far
rispettare a queste macchine il Diritto Internazionale Umanitario? E il
Diritto Bellico? A questa domanda non esiste ancora una risposta in quanto
ciò che rende critico il loro impiego è proprio la difficoltà riscontrata nel
programmare tali macchine in modo che rispettino i principi di
discriminazione e immunità che nei secoli sono andati a formare il Diritto
Bellico. Nella realtà delle cose è difficile quindi far comprendere ai droni
la differenza tra amico e nemico, tra militare e civile.
Ulteriore questione da disquisire è quella della “autorizzazione” per far
agire questi droni. Questa proposizione va un momento spiegata in quanto qui
non si parla di un comando dato da un essere umano al drone per agire ma si
parla di qualcosa di molto diverso. Si parta considerando che fino a ieri le
guerre erano combattute da soldati umani, per cui il Presidente e/o il
Parlamento erano tenuti a giustificarsi pubblicamente in caso di perdite
umane. Oggi invece si parla di guerre tenute da soldati-robot e droni, ma è
possibile identificare questo nuovo scenario come guerra? E se si, si deve
rendere conto delle perdite di tali “macchine”? E se si, a chi? Queste
domande rimangono ad oggi senza risposta e sicuramente anche domani non
perverrà una risposta in quanto si parla di questioni in cui noi esseri umani
dobbiamo ancora trovare un capo e una fine.
Alcuni esperti del settore auspicano la creazione di una nuova Convenzione
internazionale che tratti di nuove regole in materia di Ius in Bello e Bellum
Iustum.
Noi guardiamo molto lontano, alla guerra, che solo raramente tocca le nostre
vite di tutti i giorni, senza renderci conto invece che i robot “sono tra di
noi” e che è compito del diritto regolare i diversi rapporti che si
instaurano tra umani e robot.
Gettando uno sguardo molto meno lontano si può venire a conoscenza del fatto
che molti esperti del settore stanno cercando una soluzione al problema della
responsabilità per danni dovuti da azioni di robot. Tali tentativi di
soluzione si rivolgono in primis alla robotica civile, ma una volta venuti a
capo di tale questione in questo settore, l’applicabilità potrebbe essere
estesa anche al settore della robotica militare. Un docente dell’università
degli studi di Torino, il prof. Ugo Pagallo, ha ipotizzato un ritorno del
peculium romano ma in versione 2.0. In questa sua teoria si può constatare un
parallelismo tra la figura dello schiavo e quella del robot, per cui il
Peculium Digitale garantirebbe i proprietari di robot dall’essere rovinati
dalle decisioni prese dalle macchine, ma senza perdere di vista la tutela
delle controparti per i diritti e le obbligazioni assunte in caso di
contratto e per i danni subiti in caso di situazione extra-contrattuale.
Proprio in tema di danno extra-contrattuale si ritiene che i giuristi
guarderanno alla Tutela Aquiliana, anch’essa in versione 2.0, per cui la
responsabilità discenderà dal fatto che le persone sono responsabili al di là
dei patti nel caso in cui venga cagionato un danno ingiusto per colpa
propria.
Alcune persone con lo sguardo rivolto al futuro riflettono sulla
configurazione di nuove forme di mandato e rappresentanza, in base a cui la
responsabilità giuridica per le azioni dei robot ricadranno sulle persone che
hanno permesso al robot di agire in proprio nome. Altre invece riflettono
sulla creazione di nuove forme di assicurazione obbligatoria e clausole di
responsabilità limitata per fare in modo che l’utilizzo di tali macchine non
venga disincentivato.
In conclusione quindi si può dire che la realtà digitale pervade le nostre
vite e la maggioranza di noi non ne è cosciente. Al giorno d’oggi, in cui le
generazioni più anziane sono ancora lì che combattono la tecnologia che vista
dai loro occhi è una nemica, quasi alla stregua del figlio del diavolo, e
altre che sono più giovani e hanno sempre vissuto con la tecnologia, tanto
che non riescono ad immaginare un mondo che è riuscito a stare senza tutte
queste innovazioni, tutte queste macchine, tutte queste connessioni. Il mondo
digitale non è qui e ora ma è “lì e ieri”. Forse dovremmo semplicemente
smettere di combatterlo, il che non vuol dire arrendersi ma essere
maggiormente coscienti, interattivi e adattativi, facendo si che l’uomo
risponda agli stimoli dell’ambiente mutando gli stati interni o le sue
proprietà ma soprattutto far si che l’uomo accresca e migliori le regole
attraverso cui tali stati cambiano.
FEDERICA GRECO
Bibliografia:
–
“Morte Lo Porto, Nyt: Obama lo sapeva ma non lo disse a Renzi. Il
premier: ce l’hanno detto quando hanno avuto la certezza”:
http://www.repubblica.it/esteri/2015/04/24/news/lo_porto_la_casa_bianca_mette
_in_discussione_la_strategia_dei_droni-112709858/
–
“Lo Porto: Obama non aveva certezze quando vide Renzi”:
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/asia/2015/04/23/lo-porto_c33adf81-a4be4763-9f44-ac0603c32533.html
–
Massimo Durante, Ugo Pagallo, Manuale di informatica giuridica e
diritto delle nuove tecnologie, UTET Giuridica, 2012.
Voluntary Disclosure: come, quando,
perché
“The Euro | Frankfurt Main (Germany)” foto di Nico
Trinkhaus, licenza CC BY-NC 2.0, www.flickr.com
La legge 15 dicembre 2014, n. 186, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 292
del 17 dicembre 2014 recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro
di capitali detenuti all’estero nonché del potenziamento della lotta
all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio” introduce
nel nostro ordinamento la voluntary disclosure, ossia un procedimento di
“pacificazione fiscale” tra il contribuente e l’amministrazione, su
iniziativa del contribuente stesso.
I primi accenni di questo meccanismo si rinvengono negli Stati Uniti durante
anni ’90, ma negli ultimi anni è tornato d’attualità nei programmi di
emersione per i depositi esteri promossi da vari Paesi europei.
La voluntary disclosure è uno strumento che consente ai contribuenti che
detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria
posizione denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria la
violazione degli obblighi di monitoraggio.
Possono avvalersi della procedura anche i contribuenti non destinatari degli
obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale per regolarizzare le violazioni
degli obblighi dichiarativi commesse in materia di imposte sui redditi e
relative addizionali, imposte sostitutive, imposta regionale sulle attività
produttive e imposta sul valore aggiunto, nonché le violazioni relative alla
dichiarazione dei sostituti d’imposta.
La collaborazione volontaria può essere attivata fino al 30 settembre 2015 ed
è ammessa per le violazioni commesse fino al 30 settembre 2014.
La procedura risponde alla necessità di promuovere, attraverso l’adozione di
una procedura straordinaria, la collaborazione volontaria del contribuente
per consentirgli di riparare alle infedeltà dichiarative passate e porre le
basi per un futuro rapporto col Fisco basato sulla reciproca fiducia.
In tale senso, infatti, la procedura delineata dalla legge, coerentemente con
le linee tracciate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (OCSE), non è solo finalizzata a fornire al contribuente uno
strumento che gli consenta di definire la propria posizione fiscale pregressa
ma, escludendo l’anonimato ed essendo informata ai princìpi della
spontaneità, della completezza e della veridicità, contiene misure
effettivamente strumentali alla futura compliance da parte di coloro ai quali
è destinata.
La voluntary disclosure si inserisce in un più ampio progetto di lotta
all’evasione fiscale basato sulla razionalizzazione e l’allargamento dei
meccanismi di scambio di informazioni fiscali di cui si rivengono le tracce
anche nel proliferare degli accordi bilaterali aventi ad oggetto la
cessazione del segreto bancario.
Si segnalano in tal senso gli accordi con la Svizzera, il Liechtenstein ( del
26 febbraio 2015) ed il Principato di Monaco ( del 2 marzo 2015) i quali
prevedono lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo
standard OCSE, ponendo così fine al segreto bancario ritenuto da molti il
vero grande alleato dell’evasione fiscale
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina
della voluntary disclosure, possono accedere alla procedura di collaborazione
volontaria internazionale, in base all’articolo 5-quater, comma 1, decreto
legge 28 giugno 1990, n. 167, coloro che hanno violato gli obblighi
dichiarativi previsti dal comma 1 dell’articolo 4 dello stesso decreto.
Pertanto, la presente procedura è destinata solo alle persone fisiche, agli
enti non commerciali e alle società semplici ed associazioni equiparate,
fiscalmente residenti nel territorio dello Stato che hanno violato gli
obblighi in materia di monitoraggio fiscale.
Per aderire alla presente procedura non è necessario che il soggetto
interessato sia fiscalmente residente nel territorio dello Stato al momento
della presentazione della richiesta di accesso alla procedura, ma è
sufficiente che questi fosse fiscalmente residente in Italia in almeno uno
dei periodi d’imposta per i quali è attivabile la procedura.
Il contribuente che decide di aderire alla procedura di collaborazione
volontaria dovrà presentare istanza telematica all’UCIFI – Ufficio centrale
per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali – entro 30 settembre
2015, indicando tutti gli investimenti e le attività finanziarie costituite o
detenute all’estero, anche indirettamente o per interposta persona. Devono
essere evidenziati anche il dettaglio dei movimenti, le dismissioni, i
prelievi, gli utilizzi a qualunque titolo di tali fondi.
Sulla base delle informazioni e dei documenti prodotti dal contribuente,
l’Agenzia delle Entrate determinerà in maniera analitica tutte le imposte
dovute (Irpef, addizionali, imposte sostitutive, Irap, Iva, ritenute e
contributi previdenziali), e contestualmente verranno calcolati gli interessi
dovuti.
È prevista però una condizione ostativa: l’istanza non è ammessa se la
richiesta è presentata dopo che il soggetto richiedente abbia avuto formale
conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque
attività di indagine amministrativa o penale relativi all’ambito oggettivo di
applicazione della procedura stessa.
Nei confronti del contribuente che si avvale della voluntary è esclusa la
punibilità per i reati di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del
d.lgs. n. 74/2000 ovvero i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante altri
artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omessa versamento di
ritenute certificate, omesso versamento di IVA.
Inoltre è esclusa la punibilità in relazione alle sanzioni penali su
riciclaggio e autoriciclaggio.
Per quanto concerne il calcolo delle somme dovute, le sanzioni previste per
le violazioni sul quadro RW (specifica sezione del modello unico delle
persone fisiche avente ad oggetto gli investimenti all’estero)vengono ridotte
alla metà del minimo edittale.
L’adesione all’accertamento comporta un ulteriore abbattimento a un terzo del
minimo: in sostanza la sanzione sul monitoraggio fiscale sarà pari allo 0,5%
annuo dell’importo non dichiarato se i capitali sono detenuti in paesi
collaborativi e all’1% annuo nei paesi rientranti nella “black list”.
I benefici economici di cui sopra sono concessi a specifiche condizioni, in
primo luogo l’obbligo di trasferire in Italia o in uno dei paesi rientranti
nella “white list” i capitali, oppure di consentire adeguata trasparenza se
le attività vengono mantenute presso un intermediario estero.
Nei confronti del contribuente che si avvale della procedura, la misura
minima della sanzioni per le violazioni in materia di imposte è fissata al
minimo edittale, ridotto di un quarto.
Resta comunque possibile l’abbattimento fino a 1/6 del minimo dovuto
all’adesione.
Per i patrimoni fino a 2 milioni di euro, il contribuente può chiedere il
calcolo delle imposte a forfait, applicando l’aliquota del 27% su un
rendimento presunto del 5% annuo.
Con legge 15 dicembre 2014, n. 186 si è inoltre previsto l’adozione di un
provvedimento dell’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’entrata in
vigore della legge.
Il provvedimento in questione è stato adottato dal direttore dell’Agenzia
delle Entrate il 30 gennaio 2015, prot. n. 2015/13193 con oggetto
l’approvazione del modello per la richiesta di accesso alla procedura di
collaborazione volontaria per l’emersione ed il rientro di capitali detenuti
all’estero e per l’emersione nazionale.
Successivamente con Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 l’Agenzia delle
Entrate ha fornito le prime indicazioni circa le modalità di presentazione
dell’istanza di collaborazione volontaria e il pagamento dei relativi debiti
tributari.
Molte sono le critiche mosse da più parti: alcuni ritengono la voluntary
disclosure un vero e proprio condono, consuetudine ciclica del nostro paese,
abbandonata da qualche tempo stante il richiamo europeo in materia di imposta
sul valore aggiunto, che sarebbe ora ritornata in una nuova veste.
Altri, invece, ritengono la procedura di scarsa utilità nonché dannosa per
l’Agenzia delle Entrate in quanto graverebbe i dipendenti di un eccessivo
carico di lavoro.
Infine alcuni dubbi sono stati espressi anche da alcuni consulenti legali in
quanto resta incerta la tempistica necessaria all’Agenzia per operare le
opportune verifiche e gli effetti sul termine del 30 settembre 2015 con
possibili conseguenza negative nei confronti dei contribuenti.
Nonostante le perplessità un dato certo va considerato: secondo il quotidiano
economico e finanziario Italia Oggi, risulterebbero giacenti presso le
direzioni provinciali dell’Agenzia addirittura 25 mila domande, un numero
impressionante, e destinato a crescere rapidamente, se si considera che i
contribuenti la cui situazione risulta particolarmente delicata siano
certamente in attesa che l’esecutivo sblocchi l’apposito decreto legislativo
sull’abuso di diritto che contiene la revisione della disciplina sul
raddoppio dei termini.
Nonostante le critiche, i dubbi e le perplessità è innegabile che la
procedura di collaborazione volontaria abbia attirato numerosi contribuenti e
quindi risponda positivamente alle esigenze di emersione e rientro di
capitali detenuti all’estero nonché del potenziamento della lotta
all’evasione fiscale per i quali è stata istituita.
ALESSIA CHIARELLO
Bibliografia:
Legge 15 dicembre 2014, n. 186
Decreto legge 28 giugno 1990, n. 167
La Conferenza "ISIS: tra fatti e
diritto. Dialogo sullo Stato islamico
fra consenso e reazioni"
Nomodos – Il Cantore delle Leggi desidera rivolgere un sentito ringraziamento
ai tanti che hanno partecipato al nostro secondo incontro pubblico “ISIS: tra
fatti e diritto”: i nostri sforzi sono stati ripagati con grande
apprezzamento e attenta partecipazione. Un grazie particolare ai relatori,
dott. Andrea Spagnolo e al giornalista Sherif el-Sebaie, nonché
all’Università di Torino tutta.
Ecco alcune foto scattate durante la conferenza.
ISIS: tra fatti e diritto
Non mancate il 6 maggio 2015 alla conferenza organizzata da Nomodos – Il
Cantore delle Leggi: ISIS: tra fatti e diritto.