Ultime notizie dal mondo 1/ 15 Maggio 2007

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Ultime notizie dal mondo 1/ 15 Maggio 2007
Ultime notizie dal mondo
1/ 15 Maggio 2007
(http://www.rivistaindipendenza.org/)
a) Italia. Il governo di centrosinistra annuncia l’invio di ulteriori mezzi ed uomini in
Afghanistan (1 e 15 maggio). Ma nell’ultima campagna elettorale il centrosinistra non aveva
promesso un significativo cambio di direzione della politica estera? Dov’è la discontinuità
con il governo Berlusconi? Intanto il presidente –”comunista”– della Camera Fausto
Bertinotti (8 maggio) esalta in Libano l’operato della Folgore. Sulla dipendenza dagli USA,
si ponga attenzione al sistema GPS (9 maggio) ed a chi deterrebbe il controllo dello scudo
anti missile (11 maggio). Su Calipari ed il suo assassino, Mario Lozano, infine, curiosa la
notizia sempre all’11.
b) Russia. Mosca e Pechino temono il dominio globale di Washington, ma diffidano
reciprocamente per ragioni storiche e geopolitiche (2 maggio). Intanto il viaggio di Putin a
Turkmenbashi conferma il controllo russo sull’Asia centrale (12 maggio). Sulla questione
dello scudo antimissile USA (11 maggio), la Russia ribadisce il congelamento del trattato
CFE (4 maggio). E mentre con gli USA permangono divergenze anche in merito al futuro
del Kosovo (13 maggio), densa di conseguenze per gli equilibri geopolitici globali potrebbe
essere l’apertura a Teheran per l’ingresso nella CSTO, la cosiddetta “NATO russa” (15
maggio).
c) Libano. Il rapporto Winograd, sulla sostanziale sconfitta d’Israele nell’aggressione al
Paese dei Cedri (3 maggio), continua a far discutere e dovrebbe far riflettere. Intanto Siria
ed Hezbollah avvertono l’ONU a non imporre un Tribunale internazionale. Con il pretesto di
voler far luce sull’assassinio dell’ex premier libanese Hariri, non pochi sono convinti che
Washington voglia intorbidare le acque e attizzare conflitti nell’area (1 e 15 maggio). In altre
edizioni del notiziario abbiamo evidenziato circostanze e dichiarazioni di chi, senza mezzi
termini, arriva ad accusare Washington e Tel Aviv come mandanti di quell’assassinio.
Sparse ma significative:
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Venezuela. Uno sguardo sugli ultimi provvedimenti di politica interna ed estera del
presidente Chàvez (2 e 11 maggio).
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Montenegro. Il presidente Vujanovic, a nome di un paese privo addirittura di esercito, firma
con Washington un trattato militare «bilaterale» con cui gli USA allargheranno il dispositivo
di basi che già hanno nell’area balcanica, con la preventiva assicurazione di impunità per
qualsiasi atto compiuto dai militari USA in territorio montenegrino (4 maggio).
•
Israele. Tel Aviv «tortura e sevizia», denunciano due note organizzazioni umanitarie
israeliane. All’8, 11 e 14 maggio qualche esempio delle persecuzioni e sevizie praticate
dallo Stato sionista verso i palestinesi. Persecuzioni che non risparmiano gli stessi cittadini
israeliani, come l’eroico Mordechai Vanunu, l’ex tecnico della centrale atomica di Dimona
che fece conoscere al mondo i programmi nucleari segreti di Israele, che rischia di tornare
in carcere (1 maggio). Indignazione e offesa per le «aberrazioni» di Israele sono espresse
anche da esponenti ebrei (9 maggio).
•
Pakistan. Tensione politica alle stelle dopo la rimozione del giudice della Corte suprema
Iftikhar Chaudhry da parte del presidente-generale Musharraf. Massiccio il sostegno
popolare al giudice (6, 7, 13 e 14 maggio). Intanto al via la costruzione di un muro al
confine con l’Afghanistan per impedire l’arrivo di taliban e separare il Pashtunistan (11
maggio).
1
Tra l’altro:
Catalogna / Euskal Herria (3 maggio).
Euskal Herria (11, 13 maggio).
Irlanda del Nord (4, 8 maggio).
Scozia / Gran Bretagna (5, 6 maggio).
Repubblica Ceca / USA (11 maggio).
Etiopia / Somalia (1 maggio).
Somalia (10, 12 maggio).
Iraq (4 maggio).
Armenia (12 maggio).
Georgia (1 maggio).
Cuba (9 maggio).
Colombia / USA (11 maggio).
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Italia / Afghanistan. 1 maggio. «Il ministro ha espresso la sua preoccupazione per un
eventuale coinvolgimento dei nostri militari in azioni estranee alla missione autorizzata dal
Parlamento». A parlare, ieri, è Andrea Armaro, portavoce del ministro della Difesa, Arturo
Parisi, preoccupato di quel che accade. È un segno che, sul ruolo dell’Italia nell’offensiva di
Herat, persino il principale responsabile politico del comportamento dei militari è
preoccupato. E, forse, che in queste ore non si sa nemmeno cosa stanno davvero facendo i
soldati italiani nell’area, visto che già da tempo, nel silenzio generale, sono coinvolti in
operazioni di affiancamento formalmente coperte dal mandato del parlamento e
praticamente tutelate solo dalle regole di ingaggio fissate in ambito NATO: «Il ministro
Parisi», dice Armaro, «ha chiesto con urgenza informazioni più dettagliate al nostro Stato
maggiore a proposito delle informazioni provenienti dall’Afghanistan, in riferimento ad
un’azione offensiva condotta da forze speciali USA in unione con reparti afgani nell’area
ovest, e in particolare nella provincia di Herat, dove opera il contingente italiano nel
quadro della missione ISAF». Elettra Deiana di Rifondazione Comunista, partito di governo,
ha fatto la mossa chiedendo che il governo riferisca in parlamento.
•
Croazia. 1 maggio. Un filmato conferma le accuse di genocidio verso i serbi all’ex governo
croato condotto dal deceduto Tudjman. La Televisione croata ha trasmesso il 25 aprile un
filmato registrato della riunione del vertice politico e militare croato svoltosi alla vigilia
dell’operazione militare “Tempesta” del 31 luglio del 1995. Nel corso della riunione l’allora
sciovinista presidente croato Franjo Tudjman, ordinando che venisse bombardata la città di
Knin, dichiarò che i serbi dovevano essere cacciati via e sparire dalla Croazia. In base ad
alcune dichiarazioni pronunciate durante questa riunione, il tribunale dell’Aia ha accusato i
generali croati Ante Gotovina, Ivan Cermak e Mladen Markac di aver partecipato
all’impresa criminale del vertice politico e militare della Croazia di pulizia etnica verso i
serbi in Croazia. L’operazione aveva l’appoggio della Germania e della NATO e sarebbe
stata approvata dagli Stati Uniti se fosse stata eseguita in modo professionale e in pochi
giorni, al pari dell’azione effettuata nella Slavonia occidentale. La procura statale della
Croazia ha confermato precedentemente che questo filmato è autentico. Secondo i dati delle
associazioni dei profughi serbi della Croazia, durante l’operazione Tempesta sono stati
uccisi 2.400 serbi, la metà dei quali civili, mentre 250mila serbi sono stati costretti
abbandonare il territorio croato. Tutte le loro case e edifici pubblici sono stati saccheggiati.
Circa 20mila case sono state date alle fiamme.
2
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Sahara Occidentale. 1 maggio. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato l’altro ieri una
risoluzione per colloqui diretti Polisario-Marocco sotto egida ONU per cercare una
soluzione che «includa l’autodeterminazione per il popolo del Sahara occidentale». Il
Polisario si è detto pronto a «negoziati diretti» con Rabat per «consentire al popolo
saharawi di esercitare il diritto all’autodeterminazione».
•
Etiopia / Cina. 1 maggio. Sessantacinque etiopi e nove cinesi sono morti una settimana fa
nella regione etiope dell’Ogaden, al confine con la Somalia, dove la quasi totalità della
popolazione è di etnia somala. Altri sette lavoratori cinesi sono stati rapiti. L’attacco è
avvenuto nei pressi di Abole (a circa 120 chilometri dalla capitale regionale Jijjiga) in un
campo di esplorazione petrolifero gestito dalla Zhongyuan Petroleum Exploration Bureau,
una società del gruppo cinese China Petroleum and Chemical Corporation, meglio nota
come Sinopec. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce del Fronte nazionale di
liberazione dell’Ogaden. «Abbiamo più volte avvertito il governo cinese e quello etiopico
sul fatto che non avevano nessun diritto a trivellare quelle zone. Sfortunatamente nessuno ci
ha dato ascolto. Siamo dunque dovuti intervenire per difendere la nostra integrità
territoriale. I rapiti saranno trattati umanamente finché saranno sotto la nostra protezione»,
ha dichiarato il portavoce Abdirahaman Amdhi. Il premier filo USA Meles Zenawi ha
definito l’accaduto «un massacro a sangue freddo». Un’importante personalità del governo
etiope, Bereket Simon, consigliere speciale del premier, non si è limitato ad accusare il
Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden, ma ha aggiunto che è il governo eritreo a
supportare queste azioni.
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Etiopia / Somalia. 1 maggio. L’Ogaden è una regione dell’Etiopia sudorientale a lungo
contesa tra Addis Abeba e Mogadiscio, che a riguardo si combatterono una feroce guerra di
trincea alla fine degli anni ‘70. In quest’area vivono circa 4 milioni di persone, al 99% di
etnia somala, in condizioni durissime, a causa della aridità del suolo, delle ripetute siccità
seguite spesso da inondazioni (l’ultima solo alcuni mesi fa), ma anche dalla totale mancanza
di infrastrutture e di aiuti da parte del governo centrale. È proprio su questa “dimenticanza”
che i ribelli ricevono il sostegno della popolazione dell’area. Il Fronte nazionale di
liberazione dell’Ogaden conduce una guerra a bassa intensità nell’area, chiedendone
l’indipendenza. Mesi fa, prima dell’attacco etiope in Somalia, l’Ogaden era stata al centro di
una dura battaglia verbale tra il governo etiope e l’Unione delle Corti Islamiche somale, che
ne rivendicavano l’appartenenza appunto alla Somalia. Già lo scorso anno, il Fronte aveva
avvertito che non avrebbe tollerato qualsiasi investimento effettuato nell’Ogaden di cui
avesse beneficiato il governo centrale. Questa è comunque la prima volta che il gruppo
attacca un’installazione petrolifera, per di più gestita da una compagnia straniera.
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Libano. 1 maggio. Il tribunale ONU su Hariri «non ha precedenti nella storia». Lo sostiene
il responsabile della diplomazia siriana, Walid Muallem, denunciando che gli statuti del
tribunale per giudicare la morte, in un attentato, dell’ex primo ministro libanese, Rafic
Hariri, «non hanno precedenti nella storia dei tribunali internazionali». «Questi statuti
trasformeranno il procuratore generale –che sarà designato dall’ONU– in un alto
commisario non solamente per il Libano ma in tutta la regione», denuncia. Il governo prooccidentale di Fouad Siniora ha firmato la convenzione con l’ONU, ma manca la firma del
presidente, Emile Lahoud, e del presidente del Parlamento, Nabih Berri. Muallem ha messo
in guardia il Consiglio di Sicurezza dal creare un tribunale «che risponde solamente agli
interessi particolari di Francia e Stati Uniti». «Un tribunale di questo tipo», aggiunge,
«potrebbe acutizzare le divisioni in Libano (...) noi siamo invece favorevoli a che siano i
libanesi a trovare un accordo». Ha quindi avvertito che, continuando gli attacchi del
governo Siniora al suo paese, non saranno ristabilite le relazioni diplomatiche con il Libano.
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Palestina. 1 maggio. C’è il rischio di una grande esplosione in Medio Oriente. Lo ha detto
ieri Khaled Mechaal (Hamas) in un’intervista, da Il Cairo, al quotidiano di Ramallah AlAyyam. Secondo il dirigente, in esilio, dell’ufficio politico di Hamas, le drammatiche
circostanze in cui vivono i palestinesi in Cisgiordania e Gaza sono simili a quelle che
portarono all’Intifada alla fine degli anni Novanta. «Se il popolo palestinese continua a
trovarsi tra la spada ed il muro, se continuano le sanzioni collettive e l’aggressione
israeliana e se l’assenza di una prospettiva di soluzione politica persiste... tutto questo
sfocerà in una grande esplosione che riguarderà non solo i palestinesi ma l’insieme della
regione, e in particolare l’entità sionista», assicura il dirigente islamista, rifugiato a
Damasco (Siria). Mechaal, a Il Cairo per un incontro con il presidente dell’Autorità
Nazionale Palestinese, Mahammud Abbas, ha denunciato le restrizioni finanziarie e
diplomatiche internazionali nonostante la messa in essere, a marzo, di un governo di unità
nazionale con Al Fatah.
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Israele. 1 maggio. Vanunu potrebbe tornare in carcere. Nuova condanna per Mordechai
Vanunu, l’ex tecnico della centrale atomica di Dimona che nel 1986, con le sue rilevazioni
al Sunday Times, fece conoscere al mondo i programmi nucleari segreti di Israele. Il
tribunale di Gerusalemme ieri lo ha riconosciuto colpevole di violazione delle pesanti
restrizioni impostegli tre anni fa dopo la sua scarcerazione. Il verdetto potrebbe riportare in
carcere Vanunu, che ha già scontato 18 anni di prigione, di cui 11 in isolamento totale.
Secondo l’accusa, il tecnico nucleare avrebbe avuto contatti con giornalisti e cittadini
stranieri e tentato di lasciare Gerusalemme per andare a Betlemme, in Cisgiordania. Le
autorità israeliane, dieci giorni fa, gli avevano prolungato di sei mesi il divieto di espatrio,
perché sarebbe ancora «custode» di informazioni riservate. Residente da tre anni nella zona
araba di Gerusalemme, e convertito al cristianesimo, Vanunu ha più volte tentato, invano, di
ottenere asilo politico all’estero.
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Afghanistan. 1 maggio. Nuove proteste contro la NATO per la morte di civili. Migliaia di
manifestanti sono scesi in strada nella provincia orientale di Nangarhar. È difficile che
NATO ed USA ammettano la morte di civili nei frequenti bombardamenti sui villaggi.
Recentemente la BBC ha documentato come, dopo un bombardamento, militari statunitensi
collocassero armi accanto ai cadaveri spacciandoli poi per taliban uccisi. I video del
giornalista suscitarono scalpore per qualche ora, poi tutto è passato nel dimenticatoio. I
manifestanti hanno portato i cadaveri sulla strada principale della zona bloccandola. Slogan
contro il presidente degli Stati Uniti, George Bush, il suo omologo fantoccio afgano, Hamid
Karzai, e contro il governatore di Nangarhar.
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Georgia. 1 maggio. Tbilisi è pronta ad un ingresso nella NATO entro la fine del 2007. Lo
ha affermato il 19 aprile il presidente Mikhail Saakashvili. Secondo quanto rivelato
dall’agenzia di notizie RIA Novosti, «la Georgia sarà pronta a passare al livello più alto del
programma quest’anno, ragion per cui aspettiamo che ci venga riconosciuto lo status di
candidato ufficiale entro pochi mesi». Con l’adesione nella NATO, Saakashvili ritiene di
poter contare su un potente alleato per recuperare il controllo sulle regioni dell’Abkhazia e
dell’Ossezia Meridionale, la cui indipendenza di fatto è sostenuta dalla Russia anche con
truppe militari. Lo speaker del parlamento georgiano Nino Burdzhanadze ha affermato che
la NATO «rappresenta una priorità» e che il paese sta ristrutturando il proprio apparato
militare per adeguarsi agli standard previsti dal Trattato. Proprio il 10 aprile, il presidente
USA George Bush aveva firmato il “NATO Freedom Consolidation Act”. Già approvato il
15 marzo dal Senato e il 26 marzo dalla Camera dei Rappresentanti, tale legge prevede uno
stanziamento di 12 milioni di dollari di aiuti a Albania, Croazia, Macedonia, Georgia e
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Ucraina nel 2008, poiché «hanno chiaramente manifestato la loro volontà di entrare nella
NATO e stanno lavorando alacremente per rispondere ai requisiti specifici richiesti per
l’adesione».
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USA. 1 maggio. Il generale delle forze aeree Henry Obering III, direttore del programma di
difesa missilistica, ha affermato il 1 marzo che gli Stati Uniti vorrebbero piazzare elementi
del loro sistema di difesa missilistica nel Caucaso Meridionale, non specificando però quale
dei tre paesi ex sovietici verrà prescelto: Armenia, Azerbaigian o Georgia. La dichiarazione
segue i piani USA rivelati in gennaio che prevedono il dispiegamento del sistema di difesa
missilistica nella Repubblica Ceca e in Polonia per fronteggiare presunti attacchi da Iran e
Nord Corea. Mosca, da parte sua, ha dichiarato che risponderà adeguatamente all’eventuale
dispiegamento di uno scudo missilistico nel Caucaso.
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Cina / Russia. 2 maggio. Relazioni diplomatiche ed economiche sì, ma una reale intesa
strategica no. Perlomeno, non ancora. Questo, nei rapporti tra Cina e Russia, scaturisce dalla
recente visita del presidente cinese Hu Jintao a Mosca (26-28 marzo 2007). I presidenti di
Cina e Russia hanno mostrato di non volersi opporre in modo più deciso alle iniziative,
spesso unilaterali, promosse dagli Stati Uniti sulla scacchiera mondiale. Nella dichiarazione
finale del Summit non c’è alcuna critica agli Stati Uniti né dichiarazioni di principio su un
possibile sistema internazionale multilaterale, garante di un ruolo politico maggiore per i
due paesi. La ragione? Diffidenze reciproche.
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Cina / Russia. 2 maggio. Pechino non segue Mosca sui due punti a cuore al Cremlino:
l’opposizione al piano Ahtisaari sul futuro del Kosovo (che la Russia vede anche come un
pericoloso precedente per spirali secessioniste che possano riguardarla) e al progetto USA
del sistema di difesa anti-missile nell’Europea orientale. Di significativo, nella dichiarazione
finale, ci sono due punti: entrambe le parti hanno posto in evidenza la necessità di risolvere
pacificamente la crisi con Teheran. Un chiaro timore degli effetti destabilizzanti
dell’aggressività statunitense sulla regione del Golfo Persico e sull’economia mondiale.
Inoltre è indirettamente criticata la crescente presenza statunitense in Asia centrale.
L’invocazione al rispetto per la «storia e le tradizioni culturali» dei paesi dell’Asia centrale,
sottintende che entrambe le potenze non vedono favorevolmente modifiche dello status quo
nella regione né sono ovviamente interessate allo sviluppo pro-occidentale delle repubbliche
nate dal collasso della Unione Sovietica. Gli interessi di Cina e Russia in Asia centrale
restano tuttavia conflittuali, soprattutto per quanto riguarda l’accesso alle risorse naturali di
cui l’area è ricca.
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Cina / Russia. 2 maggio. Sull’interscambio commerciale che conta non mancano le frizioni.
Mosca è sempre restia a vendere sistemi d’arma avanzati alla Cina né intende avviare
produzioni congiunte o su licenza in territorio cinese, nonostante la firma di contratti su,
principalmente, forniture di minerali, acciaio e aerei commerciali. Il Cremlino non intende
creare legami di interdipendenza con l’economia cinese. Non sorprende che il progetto di
costruire un oleodotto che colleghi i giacimenti petroliferi della Siberia orientale con la città
cinese di Daqin sia stato ulteriormente rinviato. Mosca sta seriamente riflettendo
sull’opportunità di modificarne il tracciato facendolo terminare a Nakhodka sulla costa
dell’oceano Pacifico. Questa variante permetterebbe ai russi di offrire i prodotti petroliferi
siberiani non solo alla Cina ma anche al Giappone e alla Corea del Sud. La Federazione
russa ha chiaramente condizionato la vendita di maggiori quantità di idrocarburi alla
disponibilità cinese di aprire i propri mercati ai prodotti industriali russi (mezzi di trasporto,
prodotti agricoli e impiantistica nucleare). La firma di un accordo tendente ad aumentare le
esportazioni di petrolio russe verso la Cina da 10 a 15 milioni di tonnellate all’anno, prevista
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nel corso della visita del premier cinese, è stata annullata. Ufficialmente, la causa è stata
imputata al perdurante contenzioso tra la società Rosneft e le ferrovie russe circa
l’ammontare delle tariffe di transito. La cooperazione bilaterale nel settore del gas rimane
anche qui difficoltosa. Nonostante l’offerta russa dell’anno scorso di creare un gasdotto che
legasse i giacimenti siberiani alla Cina, non sembra che il Summit abbia offerto l’occasione
per concludere le negoziazioni e per definirne i tempi di esecuzione che rimangono lunghi e
incerti.
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Venezuela. 2 maggio. Lo Stato prende possesso dei campi dell’Orinoco. Ieri, primo
maggio, in un atto «popolare» alla presenza del presidente Hugo Chávez «accompagnato
dai militari», la Pdvsa, compagnia statale del petrolio, ha preso il controllo dei campi
petroliferi gestiti finora dalle compagnie straniere nella fascia dell’Orinoco, la nuova
«Arabia Saudita venezuelana». Il 25 aprile il ministro per l’energia e petrolio, Rafael
Ramirez, aveva firmato i memorandum d’intesa con 13 imprese straniere concessionarie per
i nuovi contratti «di associazione strategica». Solo la statunitense ConocoPhillips e
l’italiana Eni non l’hanno sinora fatto. Il controllo nell’Orinoco configura «il recupero della
piena sovranità petrolifera» ha detto Chávez. Dopo aver aumentato royalities e imposte, ora
si «nazionalizza», formando società miste in cui Pdvsa avrà almeno il 60% delle azioni. Per
questo c’è tempo fino al 26 agosto, poi gli accordi passeranno all’esame del Congresso.
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Venezuela. 2 maggio. L’uscita del Venezuela dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e
dalla Banca Mondiale (BM), annunciata due giorni fa dal presidente Hugo Chávez, «non
implica l’isolamento economico del paese che, anzi, approfondirà i suoi rapporti con i paesi
latinoamericani»: così il ministro delle Finanze di Caracas, Rodrigo Cabezas, ha replicato al
portavoce del Dipartimento di Stato USA, Sean McCormack, rivendicando la «sovranità
economica del Venezuela» rispetto a FMI e BM, giudicati «meccanismi dell’imperialismo».
Secondo Cabezas, «FMI e BM hanno voltato le spalle all’America Latina e per questo oggi
i paesi più importanti della regione, Brasile, Argentina e Venezuela, non hanno più debiti
con loro».
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Venezuela. 2 maggio. Già il mese scorso il governo di Caracas aveva cancellato tutti i
debiti con i due organismi finanziari, debiti che sarebbero scaduti nel 2012. Così il ministro
delle Finanze, Rodrigo Cabezas, aveva dato l’annuncio: «Signori del Fondo Monetario
Internazionale e della Banca Mondiale vi salutiamo. Il Venezuela è libero e grazie a Dio, né
i venezuelani di oggi né i bambini che nasceranno avranno un solo centesimo di debito con
questi organismi dominati dai falchi statunitensi». Termina un lungo periodo di dipendenza
che aveva toccato i suoi massimi livelli nel 1989, quando il debito estero del Venezuela si
aggirava sui 25.000 milioni di dollari e non c’erano soldi per pagarlo. Il governo di Carlos
Andrés Pérez firmò in quell’occasione un accordo con il Fondo, impegnandosi a un rigido
programma di austerità che provocò la rivolta sociale nota come Caracazo.
•
Venezuela. 2 maggio. Giornata lavorativa a 6 ore, dal 1° maggio 2010. L’annuncio, ieri, è
di Hugo Chávez, in occasione della Festa del Primo maggio. La neo costituita commissione
presidenziale promuoverà una riforma costituzionale tendente ad arrivare progressivamente
a quella data. L’obiettivo è una nuova riorganizzazione della giornata dell’uomo: 6 ore per il
lavoro, 6 ore per dormire, 6 ore per lo svago e 6 ore per la formazione e la rigenerazione, per
alimentare il corpo e formare il cervello. Non meno importanti gli altri provvedimenti
annunciati: da oggi il salario minimo in Venezuela passa a 614.000 bolivares circa, con un
aumento del 20%. È bene ricordare che il salario minimo è accompagnato anche da un
buono pasto giornaliero. Negli otto anni di governo Chávez il recupero del potere d’acquisto
reale del salario del lavoratore è cresciuto come in pochi paesi al mondo: dai circa 30 dollari
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USA mensili del 1999, anno dell’arrivo di Hugo Chávez al Governo, ai poco meno di 300
dollari USA mensili attuali; in realtà aggiungendo il valore del buono pasto giornaliero, il
salario minimo supera abbondantemente i 400 dollari USA mensili. Va anche considerato
che, quando Chávez arriva al governo, l’inflazione, che nel 1996 arrivò a superare il 100%,
divorava interamente lo scarso salario; negli anni di Chávez l’aumento del salario è sempre
stato al di sopra dell’inflazione.
•
Venezuela. 2 maggio. Altri i provvedimenti annunciati e che da oggi entrano in vigore per
migliorare la qualità della vita delle fasce più deboli. Istituita la pensione sociale (il 60% del
salario minimo) per le persone anziane (61 anni di età) che non hanno versato contributi
previdenziali e che fino ad oggi non avevano diritto a nessuna fonte di reddito. Oggi è anche
il giorno della fine della “Apertura petrolifera”, ossia la legge che permise la privatizzazione
del settore petrolifero, pur in presenza di una legge costituzionale che riservava l’attività
lucrativa nel settore petrolifero ed energetico esclusivamente allo Stato. Con l’”apertura
petrolifera” negli anni Novanta si permise praticamente la privatizzazione del settore. A
partire da oggi, l’attività torna ad essere interamente di uso esclusivo dello Stato. Grazie al
recupero degli introiti derivanti dallo sfruttamento delle fonti energetiche, il governo Chávez
sta operando una ridistribuzione delle ricchezze più giusta ed indirizzata fortemente a pagare
l’enorme “debito sociale” di cui furono vittime le classi lavoratrici e più povere. Fino
all’avvento del Governo Chávez, le enormi ricchezze del Venezuela erano invece ad
appannaggio esclusivo delle classi oligarchiche e di governo. Il grosso della popolazione
(70%) sopravviveva con circa 30 dollari USA mensili di salario minimo, senza aver diritto a
sanità, educazione, formazione, pensione, assistenza sociale.
•
Catalogna / Euskal Herria. 3 maggio. Presentato ieri un manifesto per esigere
l’abrogazione della Legge dei Partiti. Si tratta di una normativa, varata su misura dal
governo di destra Aznar, per illegalizzare qualsiasi formazione indipendentista basca.
L’iniziativa catalana “Sì al Processo”, nella sede della Federazione Catalana delle ONG per
lo sviluppo, ha sollecitato la partecipazione della sinistra patriottica basca alle prossime
elezioni forali e municipali del 27 maggio. Secondo l’avvocato catalano Jaume Asens la
«normativa è da tempi di guerra» e la giornalista Elvira Altés ha rivendicato «di fronte a
questa legge di esercitare il diritto a scandalizzarci». La campagna “Sì al Processo”,
iniziata alla fine del 2006, si batte per un processo democratico in Euskal Herria e rifiuta una
«legge che suppone la violazione del diritto di associazione, partecipazione e libertà di
espressione».
•
Unione Europea / Palestina. 3 maggio. Aiuti all’Anp (Autorità nazionale palestinese): la
Commissione Europea bacchetta gli europarlamentari. Nel giorno in cui decine di migliaia
di lavoratori palestinesi hanno incrociato le braccia per chiedere il pagamento dei salari
arretrati, la commissaria Waldner ha rimproverato un gruppo di europarlamentari
«colpevoli» di sollecitare il riconoscimento del governo di unità nazionale tra Fatah ed
Hamas e la rottura dell’embargo che –secondo gli ultimi rapporti delle Nazioni Unite– sta
riducendo la Palestina alla fame e sull’orlo di un disastro economico-umanitario. L’Unione
Europea è il principale donatore nei Territori Occupati. Un gruppo di 12 europarlamentari
guidato da Luisa Morgantini (Sinistra europea) aveva portato la propria solidarietà al
governo di unità nazionale, incontrando l’altro ieri, tra gli altri, il premier di Hamas
Haniyeh. Il Parlamento europeo non è «il rappresentante ufficiale» della politica estera
nell’Unione Europea, si è affrettata a dichiarare Christiane Hohmann, portavoce del
commissario UE alle relazioni esterne Ferrero Waldner. La presidenza tedesca resta tiepida
sull’ipotesi di aprire a un governo in cui ci sono ministri indipendenti eletti nelle liste di
Hamas, mentre Gran Bretagna, Olanda e gran parte dei nuovi membri dell’Europa a 27
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restano appiattiti sulla posizione USA-israeliana: nessuna trattativa, in modo da ottenere
governi palestinesi sempre più deboli, per non disturbare la colonizzazione israeliana.
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Libano. 3 maggio. Elogio senza precedenti di Hassan Nasrallah della politica israeliana. Ieri
il massimo dirigente del movimento della Resistenza libanese Hezbollah, ha detto di
«rispettare» l’ammissione del fallimento israeliano nel conflitto della scorsa estate con i
suoi uomini in Libano. «È degna di rispetto la circostanza che una commissione d’inchiesta,
nominata dallo stesso primo ministro israeliano Ehud Olmert, lo abbia condannato», ha
aggiunto. Il riferimento è alla pubblicazione del rapporto Winograd sul fallimento
dell’offensiva che la scorsa estate ha devastato il Libano del sud e i quartieri meridionali di
Beirut. Il leader di Hezbollah ha quindi detto: «Il primo risultato importante della
commissione è di aver finalmente ed ufficialmente detto una parola decisiva su chi abbia
vinto e chi abbia perso» in quanto la commissione stessa «ha parlato di una grandissima
sconfitta» per gli israeliani.
•
Libano. 3 maggio. Il rapporto Winograd indirettamente riconosce che il reale vincitore nella
guerra d’aggressione di Israele dell’estate scorsa è proprio Hezbollah. Questa non è rimasta,
nel frattempo, con le mani in mano: la sua attività tra i “diseredati nella propria terra”, così
come definiti dall’imam Moussa Sadr, figura di spicco dello sciismo libanese, è proseguita e
prosegue incessantemente attraverso le molteplici realtà assistenziali in senso lato di cui è
dotata la struttura del partito, impegnate nell’aiuto alla ricostruzione, nell’assistenza medica,
nell’aiuto per la ricerca di un impiego ed altre attività di ausilio alla popolazione. «Jihad alBinaa», la fondazione di Hezbollah che si occupa della ricostruzione, ha dato a chi ha perso
la casa 10 mila dollari, che se ne vanno per pagare gli affitti, raddoppiati dalla fine del
conflitto. Inoltre Hezbollah, grazie a donazioni iraniane (112 milioni di dollari), sta
riparando migliaia di case e costruendo centinaia di edifici (lavori a buon punto a Beirut). La
credibilità e la stima sociale nei confronti di Hezbollah, anche in tal modo, è
prepotentemente in crescita ben al di là dell’area sciita del paese.
•
Libano. 3 maggio. La strage di Qana con i suoi 29 morti? I civili fatti a pezzi dai razzi
sganciati dai caccia israeliani mentre cercavano di mettersi in salvo? Le distruzioni immense
in sud Libano e nei quartieri meridionali di Beirut? Di tutto ciò non c’è traccia nel rapporto
Winograd. La guerra della scorsa estate, hanno confermato i membri della commissione
d’inchiesta israeliana, è stata giusta; l’unico problema è che lo Stato sionista non è riuscita a
vincerla a causa dell’incompetenza del primo ministro Olmert, del ministro della Difesa
Peretz e dell’ex capo di Stato maggiore Dan Halutz. Circa 1.200 libanesi, in gran parte
civili, e 158 israeliani, 119 dei quali militari, sono stati uccisi nel conflitto del luglio-agosto
2006. Nei 34 giorni della guerra scatenata da Israele dopo la cattura di due suoi soldati da
parte di Hezbollah, la distruzione in Libano è stata rapida e vasta. Infrastrutture civili, strade,
ponti, sono stati polverizzati nel sud del paese. Diversi villaggi e cittadine sono stati in gran
parte distrutti dall’artiglieria e dall’aviazione di Israele «in preparazione» dell’offensiva di
terra. Bint Jneil è stato raso al suolo per il 45%. I danni ammontano a oltre cinque miliardi di
dollari. Non vanno dimenticati anche i danni ingenti alle industrie, le centinaia di milioni di
dollari perduti dal turismo (che è uno dei settori trainanti dell’economia), i disastri
ambientali causati dai bombardamenti (diverse inchieste hanno anche provato la
sperimentazione di nuove armi di distruzioni di massa o l’impiego di armi proibite
internazionalmente) e le migliaia di contadini delle regioni meridionali che non possono
recarsi nei campi, oppure lo fanno rischiando la vita, a causa della presenza delle bombe a
grappolo sganciate da Israele. Durante la guerra Israele ha lanciato sul Libano dai 3.000 ai
6.000 ordigni al giorno e, secondo i dati diffusi dall’UnMacc (l’agenzia dell’ONU per lo
sminamento del Libano), attualmente vi sono ancora un milione di bombe inesplose. Due
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giorni fa Chris Clark, direttore dell’UnMacc, ha riferito che sono al lavoro ogni giorno 60
squadre di sminatori che dovrebbero terminare il loro compito entro la fine del 2007. Dalla
fine del conflitto sono stati uccisi dall’esplosione di ordigni abbandonati 22 civili (178 i
feriti). Numeri su cui la Commissione Winograd non ha mostrato il minimo interesse.
•
Ecuador. 3 maggio. Niente manovre con gli USA. María Fernanda Espinosa e Lorena
Escudero, rispettivamente ministre degli Esteri e della Difesa, hanno annunciato che
l’Ecuador non parteciperà alle manovre militari Unitas 2007, programmate con le marina di
USA, Colombia, Perù e Cile. Secondo il presidente Correa, la decisione «rientra nella
determinazione del governo nazionale di salvaguardare la sua sovranità e dignità». Negli
scorsi anni, contro le manovre Unitas si erano pronunciate associazioni sociali e politiche,
che le avevano definite «un’ingerenza e una prova di invasione».
•
Irlanda del Nord. 4 maggio. L’UVF dà per finita la sua campagna militare.
L’organizzazione paramilitare lealista più temuta in Irlanda, l’UVF (Forza Volontaria
dell’Ulster), conosciuta anche come Comando della Mano Rossa, si è dissolta alla
mezzanotte di ieri e si è trasformata in un’organizzazione civile. Il suo armamento –ha
sostenuto l’ex prigioniero lealista e fondatore del gruppo paramilitare nel 1966, Gusty
Spence– non è più nella disponibilità dei militanti, le attività di reclutamento, addestramento
militare e selezione degli obiettivi sono cessate e le unità in servizio attivo disattivate. La
Commissione di Messa Fuori Uso delle Armi, guidata dal canadese John de Chastelain, ha
però già fatto sapere che le modalità di disarmo dell’UVF non adempiono ai requisiti
richiesti. In un’intervista alla rete pubblica irlandese RTU, l’ex prigioniero dell’UVF Tom
Roberts ha dichiarato che la decisione dell’UVF di rendere pubblica tale dichiarazione in
questo momento è un’indicazione chiara che «l’UVF e la Mano Rossa sono contenti del
ripristino delle istituzioni politiche e della compresenza di Ian Paisley e Martin McGuinness
nel governo».
•
Montenegro. 4 maggio. «Questo accordo sullo status delle forze, che il presidente
Vujanovic e io firmiamo, stabilisce una base perché personale militare degli Stati Uniti
operi in Montenegro per attività reciprocamente concordate». Così, a Washington, la
segretaria di Stato Condoleezza Rice ha annunciato che il Montenegro diventa una base per
le truppe USA. La firma del trattato militare «bilaterale» vede da un lato l’unica
superpotenza rimasta sulla terra e dall’altro uno staterello balcanico di 14mila km2 (meno
della Puglia), con 650mila abitanti (un sesto di quella pugliese) e senza ancora nemmeno un
soldato perché non esiste una legge di difesa che abbia istituito un esercito. Nell’accordo
Washington si è assicurata l’impunità per qualsiasi atto compiano i suoi militari in territorio
montenegrino.
•
Montenegro. 4 maggio. Nemmeno un anno fa, il 3 giugno 2006, il Montenegro dichiarava
l’indipendenza dalla Serbia, per diventare adesso una base militare statunitense. Questa
(formale) indipendenza fu fortemente voluta prima dall’Amministrazione Clinton, tramite
l’allora segretario di Stato Madeleine Albright, poi nell’agosto 2006 sono state stabilite le
relazioni displomatiche e, in settembre, l’allora capo del Pentagono, Donald Rumsfeld,
effettuò una visita in Montenegro preparando il terreno all’odierno accordo militare.
•
Montenegro. 4 maggio. Il Montenegro è un trampolino di lancio decisivo per proiettare
forze militari ad est e a sud con gli aeroporti di Podgorica e Tivt. Il porto di Bar, già in parte
sede della marina jugoslava, ora diverrà base delle forze navali USA e scalo per i
sottomarini nucleari statunitensi che saranno spostati dalla base italiana de La Maddalena.
L’immensa portaerei USA si sposta cioè dal Mediterraneo all’Adriatico. Dopo le basi in
9
Bosnia e l’immenso complesso militare di Camp Bondsteel in Kosovo, gli Stati Uniti con
questo nuovo accordo si avviano a controllare tutto il sud-est europeo. Con un occhio al
sistema di «scudo» anti-missili USA in Europa, dopo la Repubblica Ceca e la Polonia: il
Montenegro per la sua posizione geografica, è infatti particolarmente adatto per
l’installazione sia di radar che di missili intercettori rivolti verso Medio Oriente e Nord
Africa.
•
Russia. 4 maggio. «La Russia è libera di procedere a spostamenti di truppe sul proprio
territorio senza notificarli ai colleghi della NATO». Lo ha detto il vice primo ministro
Serghei Ivanov sottolineando che tale obbligo è venuto meno con il congelamento
dell’impegno russo al rispetto del trattato sulle Forze convenzionali in Europa (CFE),
annunciato la settimana scorsa da Vladimir Putin. «Abbiamo proclamato una moratoria e
quindi non informeremo nessuno sui movimenti di truppe sul nostro territorio», ha detto
Ivanov, secondo cui comunque il CFE «resta la pietra angolare della sicurezza in Europa».
Il vice premier ha ribadito che la moratoria resterà in vigore fino a quando tutti i paesi
NATO non avranno ratificato il testo emendato nel 1999 dello storico trattato del 1990.
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Iraq. 4 maggio. Dichiarazione choc che sta suscitando polemiche in Gran Bretagna. L’ex
generale britannico Michael Rose ha detto di comprendere la resistenza irachena. Ha
equiparato la sua lotta alla guerra statunitense di indipendenza. «Già l’ho detto a lord
Chathman. Se fossi stato americano, mentre gli inglesi rimanevano in terra americana, non
avrei mai deposto le mie armi».
•
Scozia / Gran Bretagna. 5 maggio. Elezioni, Blair contento: «Non è stata una catastrofe».
Nonostante il sorriso del primo ministro inglese, in Scozia, dove si sono segnalati problemi
con lo spoglio elettronico tanto da far gridare ai brogli, i nazionalisti dello Scottish
Nationalist Party hanno vinto conquistando 47 dei 129 seggi del parlamento decentrato. Se è
vero che i laburisti hanno perso 4 seggi rispetto alle precedenti elezioni (50 contro gli attuali
46), il risultato dello SNP è stato strepitoso: un raddoppio dei seggi da 27 a 47. Il leader
Alex Salmond ha parlato di «forte richiesta di indipendenza» dal potere centrale di Londra.
In Galles, invece, i laburisti si confermano il primo partito, pur perdendo 3 seggi (26 quelli
attuali). Segue il nazionalista Plaid Cymru che ha ottenuto 15 seggi, 3 in più che nelle
precedenti elezioni. Il Labour non è in grado di stare al governo da solo in Galles e dovrà
ricorrere ancora una volta ai voti dei liberal-democratici che giovedì hanno mantenuto i 6
seggi che avevano. In Inghilterra i conservatori spadroneggiano conquistando 157 seggi nei
vari enti locali: ben 37 seggi in più che nelle precedenti amministrative. Il Labour, a spoglio
quasi completo, conquista solo 33 seggi e ne perde 8. Anche i liberal-democratici non sono
andati bene: hanno ottenuto 22 seggi, 5 in meno che nella precedente tornata
elettorale.Quella di giovedì per Tony Blair è una sconfitta pesante soprattutto perché il
premier aveva fatto della creazione di parlamenti decentrati in Scozia, Galles e nord-Irlanda
uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna elettorale del 1997 che lo portò alla trionfale
elezione il 1° maggio di quell’anno. Una politica allora premiata sia dai gallesi che dagli
scozzesi nelle prime elezioni dei nuovi parlamenti, tenutesi nel 1999.
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Ucraina. 5 maggio. Accordo per elezioni anticipate anticrisi. Il presidente Viktor Yushenko
e il primo ministro Viktor Yanukovich hanno annunciato ieri un accordo per uscire dalla
crisi istituzionale che attanaglia l’Ucraina: si terranno elezioni politiche anticipate, in data da
stabilire. L’accordo ha provocato sconcerto e irritazione nei partiti minori dei due opposti
schieramenti (si sono levate voci di «tradimento»), ma soprattutto lascia aperte questioni
cruciali come la data del voto, le sue condizioni, l’attività che il parlamento potrà continuare
a svolgere nel frattempo. Tutte cose che un gruppo di lavoro comune dovrà decidere «entro
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un paio di giorni». La crisi era iniziata quando Yushenko aveva definito «incostituzionale e
illegale» l’«acquisto» di un certo numero di deputati da parte della maggioranza guidata dal
premier, e aveva deciso di sciogliere il parlamento fissando le elezioni, rifiutate dalla
maggioranza di governo, al 24 giugno. Yanukovich aveva replicato rilanciando al mittente
l’accusa di incostituzionalità e chiedendo elezioni presidenziali anticipate in contemporanea
alle legislative.
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Iran. 5 maggio. Il vertice di Sharm el-Sheikh sull’Iraq si chiude con un attacco iraniano agli
Stati Uniti: «via le truppe occupanti, causa della violenza a Baghdad». Che la stretta di
mano tra USA ed Iran sia stata impedita da una violinista in abiti succinti, è una bufala: il
ministro degli esteri iraniano Mottaki aveva abbandonato il posto al quale era stato
assegnato –di fronte al suo omologo statunitense Condoleezza Rice– prima che quest’ultima
si sedesse a tavola per una cena a margine della conferenza di Sharm el Sheikh sul futuro
dell’Iraq. Mottaki aveva in precedenza attaccato l’Amministrazione Bush e chiesto il ritiro
delle truppe occupanti, segnalando che la repubblica islamica ha ancora troppi contenziosi
aperti per poter avviare un dialogo ad alto livello con Washington. Per Mottaki «il governo
degli Stati Uniti deve presentare il suo piano per il ritiro dall’Iraq per permettere il ritorno
di pace e stabilità nel Paese». Il ministro degli esteri iraniano ha poi ricordato la questione
dell’attacco al consolato iraniano con l’arresto, da parte degli USA, di quelli che Teheran
difende come diplomatici iraniani. Se questa questione e quella del programma nucleare
(che Teheran assicura essere a fini esclusivamente civili) non verranno risolte in maniera
soddisfacente per la repubblica islamica, Teheran non avrà alcun interesse ad “aiutare”
Washington sullo scacchiere iracheno, dove può contare su un governo amico (i due
principali partiti al potere, lo Sciri e il Dawa, furono fondati in Iran) e su una situazione
militare disastrosa per le truppe occupanti. Mentre il tempo logora gli occupanti, Mottaki
ribatte affermando che «c’è bisogno di tempo per risolvere i problemi: un meeting tra due
ministri degli Esteri necessita di condizioni» precise e si deve trattare «di incontri
sostanziali e non teatrali».
•
USA. 5 maggio. La tortura piace a un marine su tre. Lo sostiene una ricerca dell’equipe di
psicologi dello stesso esercito USA, secondo i quali un soldato su dieci ha ammesso di aver
maltrattato i civili. Gli esperti hanno riscontrato un aumento dello stress psicologico e delle
malattie mentali gravi nelle truppe inviate in Iraq, costrette a massacranti turni di
pattugliamento e spesso alla seconda o la terza missione nel Paese. «Guardano sotto ogni
pietra, e spesso ciò che trovano non è facile da monitorare», ha commentato Ward
Casscells, il capo del dipartimento Salute del Pentagono
•
Scozia / Gran Bretagna. 6 maggio. Alex Salmond (SNP), disposto a collaborare con lo
scozzese Gordon Brown se diventerà primo ministro britannico. Il leader del Partito
Nazionalista Scozzese (SNP), Alex Salmond, ha definito «storici» i risultati di giovedì in
Scozia, che hanno visto la sua formazione vincitrice per la prima volta in 50 anni. Salmon ha
proposto un referendum per il 2010 per l’indipendenza della Scozia dopo 300 anni di unione
con l’Inghilterra. Allo stato attuale in Scozia vige una parziale autonomia. ad eccezione di
politica estera, immigrazione, difesa, sicurezza sociale, impiego e sicurezza nazionale, il
resto dei poteri corrispondono al Parlamento di Holyrood.
•
Unione Europea. 6 maggio. Prove di libero scambio tra Unione Europea e Stati del Golfo.
Martedì prossimo si riunirà a Ryad il “Consiglio ministeriale congiunto”, dedicato al
perfezionamento di un accordo di libero scambio tra rappresentanti di Bruxelles e degli Stati
del Golfo che hanno aderito al “Consiglio di cooperazione”: Arabia Saudita, Bahrein,
Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Un accordo prettamente economico che la
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diplomazia europea ritiene «essenziale» anche per il rafforzamento dei legami politici e
strategici tra UE e paesi del Golfo. E per cercare un nuovo slancio nel comune impegno per
la sicurezza. Il viceministro degli esteri Ugo Intini sottolinea che verso la firma di un
accordo «sono stati fatti notevoli progressi», anche se devono ancora essere chiariti diversi
punti, in particolare le norme per gli investimenti ed il libero accesso al mercato dei servizi.
L’Accordo di libero scambio UE-paesi dell’area del Golfo prende le mosse dall’accordo di
cooperazione firmato nel 1988 dalla Comunità europea e dal “Consiglio di cooperazione”
del Golfo per favorire le relazioni commerciali e promuovere la stabilità dell’area. In
quell’occasione ci si impegnò ad avviare i negoziati per la firma di un accordo di libero
scambio, non appena nell’ambito del “Consiglio di cooperazione” del Golfo fosse stata
avviata la prevista Unione Doganale. I negoziati, di fatto avviati nel 2002, hanno avuto
un’accelerazione dall’autunno del 2005 e nel settembre del 2006. L’opportunità di chiudere
il negoziato e giungere alla firma dell’accordo è stata sottolineata anche alla riunione dei
ministri degli esteri del gennaio scorso.
•
Pakistan. 6 maggio. Migliaia di persone in piazza contro Musharraf e per acclamare il capo
della Corte suprema Iftikhar Chaudhry. Chaudhry è stato rimosso dall’incarico dal
presidente Parvez Musharraf con un gesto d’autorità che ha suscitato le proteste di avvocati
e magistrati (represse brutalmente dalla polizia), della stampa e delle organizzazioni per i
diritti umani, nonché dell’opposizione pakistana. Una manifestazione di solidarietà con il
giudice è prevista a Lahore, capitale del Punjab pakistano, ma ha avuto un antefatto ieri:
partito da Islamabad, il viaggio in auto del giudice Chaudhry, lungo i 300 chilometri della
Islamabad-Lahore, è durato 25 ore per la presenza di folle che hanno salutato il passaggio
della macchina con tamburi, mortaretti, petali di rosa e con cartelli e slogan «Musharraf se
ne deve andare». «Le dittature appartengono al passato e i paesi che non rispettano le
regole del diritto sono destinati all’autodistruzione», aveva poi detto Chaudry a Lahore
davanti a centinaia di migliaia di persone.
•
Pakistan. 6 maggio. Secondo vari analisti, il giudice supremo sarebbe stato fatto fuori da
Musharraf non solo per aver avviato inchieste sulla corruzione e su certe privatizzazioni
poco trasparenti, ma soprattutto perché si opponeva all’ennesimo colpo di mano del
presidente-generale per rimanere in sella. Musharraf, arrivato al potere con un colpo di stato
7 anni fa, che continua a tenere un piede nella massima carica dello Stato e l’altro nella
massima carica dell’esercito, progetta infatti, in violazione della Costituzione, di farsi
rieleggere presidente dall’attuale parlamento, a lui fedele, invece che da quello che verrà
rinnovato con le elezioni di ottobre –e che probabilmente vedrà un cambio di maggioranza.
Chaudry è stato in grado di catalizzare e risvegliare le confuse speranze di cambiamento di
tutti i pachistani stanchi di Musharraf, del suo autoritario e corrotto regime.
•
Pakistan. 7 maggio. La Corte Suprema del Pakistan ha sospeso l’inchiesta giudiziaria sul
suo ex presidente Iftikhar Chaudry per presunti abusi nell’esercizio delle sue funzioni che ha
provocato settimane di proteste in tutto il Paese. Il tribunale ha ordinato la sospensione, una
decisione che potrebbe mettere in imbarazzo il governo del presidente Pervez Musharraf,
dopo aver esaminato un ricorso dello stesso Chaudry.
•
Irlanda del Nord. 8 maggio. Si è insediato oggi, dopo cinque anni di sospensione, il nuovo
governo autonomo nord-irlandese, comprendente unionisti e repubblicani. La nascita del
nuovo governo nord-irlandese è una data storica per la regione. Paisley (DUP) e
McGuinness (Sinn Féin), un ex comandante dell’IRA, guideranno un esecutivo composto da
quattro ministri del DUP, tre del Sinn Féin, due del Partito Unionista (UUP), e uno del
Partito Socialdemocratico e Laburista (SDLP). Peter Robinson, Nigel Dodds, Edwin Poots e
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Arlene Foster sono i titolari di Finanze, Imprese, Cultura e Medioambiente, rispettivamente,
per il DUP. Il figlio di Paisley ed il repubblicano Gerry Kelly occuperanno i posti di
segretario di Stato nell’Ufficio dei Ministri e Viceministro Principale. Per il Sinn Féin ci
sono Conor Murphy, Michelle Gildernew e Catriona Ruane come titolari di Sviluppo
Regionale, Agricultura ed Educazione. Il dirigente dell’UUP, Reg Empey, guiderà il
dicastero di Impiego e Formazione ed il suo collega di partito Michael McGimpsey quello
della Sanità. Il SDLP dirigerà il Ministero dello Sviluppo Sociale attraverso Margaret
Ritchie.
•
Irlanda del Nord. 8 maggio. Il giuramento d’insediamento dei neoministri ha incluso anche
il controverso vincolo a sostenere la nuova polizia del nord Irlanda (erede della famigerata
Royal Ulster Constabulary, Ruc) e i tribunali. Ha commentato Martin McGuinness: «penso
che tutti coloro che oggi hanno assistito alla cerimonia di insediamento del governo hanno
rivolto un pensiero ai tanti morti di questa guerra. Tutti noi siamo consapevoli che bisogna
continuare su questa strada, per abbandonare definitivamente la situazione di ingiustizia,
discriminazione, violenza, guerra in cui ci siamo trovati per troppi anni e che ancora non
abbiamo superato». Il presidente del partito repubblicano (Sinn Féin), Gerry Adams, ha
ricordato che «tante ancora sono le sfide che ci attendono, ma sapremo vincerle».
•
Italia / Libano. 8 maggio. I circa 2.500 soldati della Folgore impegnati in Libano nella
Unifil sono «la vetrina migliore del paese». Parole sorprendenti da parte di Fausto
Bertinotti, presidente della Camera, rilasciate a Beirut, che hanno creato malumori anche nel
suo partito, Rifondazione Comunista. Da ieri ha iniziato la sua visita nei Territori occupati
palestinesi e in Israele. A Ramallah e si espresso contro il blocco ai finanziamenti
all’Autorità Nazionale Palestinese senza però fare menzione delle responsabilità israeliane.
C’è chi ha proposto di assegnare a Bertinotti «una medaglia al valore per il più audace e
penoso trasformismo». In Israele, ieri, il presidente della Camera aveva incredibilmente
ammorbidito la condanna del «Muro» israeliano in Cisgiordania fatta anche dal suo partito,
suggerendo, di fatto, di abbatterlo quando ci sarà la pace (e nel frattempo centinaia di
migliaia di palestinesi come potranno vivere?).
•
Israele. 8 maggio. «Israele tortura e sevizia». Lo denunciano Betselem (l’Organizzazione
per la tutela dei diritti umani nei Territori occupati) e Ha-Moked (il Centro per la protezione
dell’individuo), due note organizzazioni umanitarie israeliane, che accusano lo Shin Bet, i
servizi segreti interni, di abusi sistematici, umiliazioni, torture sui prigionieri palestinesi. Nel
rapporto reso pubblico domenica sono contenute le testimonianze di 73 palestinesi sottoposti
a interrogatorio fra il luglio del 2005 e il marzo del 2006. Il rapporto, a quanto sottolinea
l’edizione elettronica di Haaretz, parla di alcune tipologie di interrogatorio, come la
privazione di sonno per oltre 24 ore (in 15 casi su 73), «percosse invisibili» che non lasciano
tracce (17 casi), l’obbligo di rimanere nella «posizione del rospo» (3 casi), o nella
«posizione della banana» (5 casi). «Queste pratiche sono chiaramente classificate come
torture dalla legge internazionale» sottolinea il rapporto, che critica anche la «collusione»
con il sistema giudiziario israeliano. Secondo le due organizzazioni dal 2001 sono state
presentate 500 denunce per maltrattamenti contro lo Shin Bet ma in nessun caso è stata
aperta un’inchiesta criminale. Le denunce vengono sottoposte all’esame, per verificarne
l’attendibilità, dello stesso Shin Bet. Le due organizzazioni denunciano peraltro una
sentenza dell’Alta Corte israeliana, che esonora membri della sicurezza interna da ogni
accusa nel caso in cui credano che le persone che stanno interrogando abbiano informazioni
relative a un «attacco terroristico» in preparazione. Una sorta di via libera alla tortura di
Stato.
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•
Israele. 8 maggio. Il parlamento (Knesset) ha respinto ieri tre mozioni di sfiducia presentate
dall’opposizione contro il primo ministro Ehud Olmert, ad una settimana dal rapporto
Winograd che lo ha criticato duramente per la conduzione della guerra in Libano, nell’estate
scorsa. Olmert e il ministro della Difesa, il laburista Amir Peretz, sono sottoposti a
numerose pressioni perché si dimettano, il tutto, sinora, senza esito.
•
Italia / Palestina / Israele. 9 maggio. «Compito della sinistra è sostenere l’oppresso, non
l’oppressore; l’occupato, non l’occupante. La nostra delusione non è solo etica: è anche
politica. Se non si distrugge il Muro, se non si abbandonano le colonie (costruite contro la
legge internazionale), non può nascere uno stato palestinese economicamente
autosufficiente, ma solo un insieme di bantustan senz’acqua, sotto il controllo israeliano.
Gli esponenti italo-israeliani ci hanno offeso come ebrei (il riferimento è alla contestazione
a freddo subita da Bertinotti nella sinagoga di Gerusalemme per il fatto che in Italia la
stampa «di sinistra» avrebbe «pregiudizi contro Israele», ndr): l’Israele che difendono ha
gettato alle ortiche, disonorandola, la nostra tradizione culturale di universalismo e di
pace, che ci ha sempre schierati contro il più sanguinario degli idoli, il nazionalismo.
Questo ha generato le peggiori aberrazioni, di cui purtroppo Israele è ora un esempio». Lo
scrive sull’edizione odierna de il Manifesto Paola Canarutto, dell’associazione “Ebrei
europei per una pace giusta”. Canarutto parla di «drammatica situazione del popolo
palestinese, in Israele e nei Territori Occupati: molte migliaia di case distrutte, economia
strozzata, oltre 10.000 prigionieri, fra cui centinaia di minorenni, molti dei quali senza
formale incriminazione, spesso torturati. Gli ospiti di Bertinotti hanno sbrigativamente
sorvolato su tutti questi fatti accertati, denunciati anche dal quotidiano israeliano Ha’aretz.
Hanno sostenuto che i cittadini israeliani arabi-palestinesi godono dei diritti di cui godono
gli israeliani ebrei, mentre sono discriminati nella scuola, sul lavoro, l’accesso alla terra e
il diritto alla proprietà. Gli esponenti israelo-italiani, che hanno ricevuto Bertinotti nella
sinagoga, lo hanno attaccato approfittando del fatto che, per la qualifica istituzionale, non
poteva difendersi liberamente. Ma, da Bertinotti, noi della sinistra ebraica speravamo
qualcosa di più: una parola chiara contro il Muro –costruito in gran parte in territorio
palestinese–, contro i posti di blocco, che rendono impossibile ai palestinesi spostarsi e
raggiungere il luogo di lavoro, contro la confisca di acqua, contro l’uso di scudi umani,
contro le torture in carcere, contro la politica di vietare (da 14 anni!) ai palestinesi senza il
permesso dell’occupante di raggiungere Gerusalemme Est (territorio occupato!), e quella di
rinchiudere (da 14 anni!) gli abitanti di Gaza in una prigione a cielo aperto».
•
Italia. 9 maggio. Mentre il progetto Galileo è in crisi, il GPS rimane controllato dagli Stati
Uniti. Il Global Positioning System (abbreviato in GPS, a sua volta abbreviazione di
NAVSTAR GPS, acronimo di Navigation Satellite Timing And Ranging Global Positioning
System), è un sistema di posizionamento su base satellitare, a copertura globale e continua,
gestito dal dipartimento della difesa statunitense. Avviato dagli USA a partire dagli anni ‘70
e completato nel 1993, il sistema è stato realizzato per motivi principalmente militari, per
rispondere all’esigenza del Pentagono di seguire il percorso di mezzi militari sulla
terraferma ed in mare in modo da localizzarne la posizione in ogni momento. Esso
costituisce un sistema di tracciamento radio dell’intero pianeta che permette di stabilire la
posizione (e parecchie altre cosette) con una precisione nell’ordine dei 5 metri. Il Pentagono
lo ha dato in concessione gratuita a parecchi Stati, tra cui l’Italia, ritenendo così di
sbaragliare la concorrenza commerciale (potenzialmente aperta anche ai “nemici”)
mantenendo ben strette le chiavi di controllo del sistema.
•
Italia. 9 maggio. Con la rete di satelliti Gps si possono fare anche molte altre cose: controllo
traffico aereo, sistemi di emergenza (ambulanze, protezione civile, polizia), utility
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energetiche, movimenti di camion, treni, sistemi logistici integrati, telecomunicazioni,
servizi bancari. Insomma: l’intera economia, da qui a pochissimi anni, avrà il GPS come
infrastruttura indispensabile, senza alternative. Il tutto nelle mani degli USA. Ecco perciò
lanciato dall’Unione Europea nel 2003 il «progetto Galileo», un sistema GPS basato su 30
satelliti geostazionari indipendente da quello USA. Il nome dell’ideologia della
privatizzazione, l’Unione ha affidato il progetto a un consorzio di otto imprese private
continentali: Eads, Aena, Finmeccanica, Hispasa, TeleOp, Alcatel-Lucent, Thales e
Inmarsat. Che hanno prodotto il bel risultato di un solo satellite in orbita.
•
Sudan. 9 maggio. Amnesty International accusa Pechino e Mosca di vendere armi al Sudan.
Secondo Amnesty, eludendo l’embargo sulla vendita di armi al Sudan, sancito dal Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2005, Cina e Russia rifornirebbero le milizie
Jianjaweed di jet come il “Fanfan” e l’”Antonov 26” che, sempre secondo il rapporto,
verrebbero impiegati contro le popolazioni civili che abitano il Darfur. A supporto di queste
accuse Amnesty produce una serie di fotografie dei velivoli, e completa il quadro con stime
assai precise che testimoniano l’enorme giro di affari che starebbe dietro alla vendita illegale
di armi. Un commercio dal valore complessivo di 45 milioni di dollari, 24 dei quali destinati
alle tasche di Pechino, il resto alle casseforti del Cremlino. L’ambasciatore sudanese presso
l’ONU afferma che le immagini delle armi cinesi e sovietiche potrebbero essere state
scattate in un qualsiasi luogo dell’Africa, non essendoci alcun particolare che le riconduca
espressamente al Sudan.
•
Sudan / Cina. 9 maggio. La Cina è il più grande alleato del Sudan. Pechino acquista il 60%
del petrolio di Khartoum (pari all’8% delle importazioni complessive di greggio in Cina) ed
è impegnato nel Paese in progetti miliardari, come la costruzione del complesso idroelettrico
di Merowe. Se da una parte la Cina non può scontentare un alleato strategico, da cui dipende
per una discreta fetta del suo approvvigionamento energetico, dall’altro ha indicato come
priorità della sua politica estera quella di mostrare un volto pacifico e “giusto”. Meno di due
settimane fa, il 26 aprile, al ritorno da una missione ufficiale in Sudan, il viceministro degli
Esteri Zhai Jun aveva convocato la stampa internazionale dichiarando che solo grazie agli
sforzi di Pechino Khartoum aveva finalmente deciso di accettare l’invio a dislocare una
forza internazionale di “peacekeeping” sul territorio sudanese per mettere fine ai massacri
del Darfur.
•
Palestina. 9 maggio. L’embargo minaccia la sopravvivenza del governo palestinese di
unità nazionale. Lo ha affermato il ministro palestinese agli affari esteri Ziad Abu Amr, che
deplora come nonostante il governo abbia proclamato di voler rispettare gli accordi in
precedenza firmati con Israele, «gli aiuti economici non sono ripresi, l’embargo continua e
non abbiamo conseguito quello che volevamo ».
•
Iraq. 9 maggio. Al Sadr sempre più spinto contro la presenza delle truppe invasori in Iraq.
per questo, informava ieri il quotidiano arabo Al Hayat, la guida politico-religiosa sciita,
Moqtada al Sadr, ha attivato un «piano di riforme e riconciliazione» all’interno della sua
milizia, l’Esercito Al Mahdi, con l’obiettivo di espellere quei comandanti coinvolti in
«azioni di violenza religiosa». A parlarne al quotidiano è stato Abu Jaffar al Abadi, uno dei
suoi consiglieri.
•
Afghanistan. 9 maggio. Attacco USA: altra strage. Almeno 21 i civili uccisi in un raid
aereo, ieri, sull’Afghanistan meridionale. Tra i morti, donne e bambini. La denuncia è del
governatore della provincia di Helmand, Assadullah Wafa. Sale così a 90 il numero dei
civili morti per gli attacchi della coalizione occidentale nelle sole ultime due settimane sui
15
villaggi nel distretto di Songin. Secondo il portavoce della NATO, James Appathurai, il
bombardamento è stato condotto da forze della coalizione sotto il comando degli Stati Uniti
e non della NATO. Il rischio di degenerazione è ben presente nei governanti. Martedì la
camera alta del parlamento afghano ha chiesto di negoziare con i taleban e la fine delle
operazioni militari contro di loro. Alcuni deputati cominciano a chiedere che sia creato un
ruolo di premier per affidargli alcuni poteri da togliere al presidente.
•
Cuba. 9 maggio. Pensione dorata a Miami per il «terrorista buono» Luis Posada Carriles
assolto (e con tante scuse) anche dall’ultimo piccolo reato migratorio. Dopo una farsa durata
due anni, ieri una giudice federale di El Paso, Kathleen Cardone, lo ha definitivamente
prosciolto dalle accuse (ridicole) per cui era sotto custodia dal maggio 2005: violazione
delle pratiche d’immigrazione negli Stati Uniti. Non terrorismo. Anche se il vecchio Posada,
che ha ormai 80 anni, è un terrorista confesso, non pentito e in servizio permanente effettivo.
Posada nel ‘61 era già al soldo della CIA. Partecipa all’attacco alla Baia dei porci. Nel ‘76
organizza un attentato contro un aereo civile della Cubana de Aviacion che saltò in pezzi
alle Barbados con dentro tutti i passeggeri, 73, fra cui la squadra di scherma di Cuba; cessata
(cessata?) la collaborazione diretta con la CIA passo in Venezuela, prese la cittadinanza
venezuelana e divenne il capo della Disip, la polizia politica, dove ne fece di tutti i colori,
fino a che fu arrestato e condannato ma nell’85 riuscì a scappare di prigione; nel ‘97 pagò
alcuni mercenari centramericani per seminare di bombe gli hotel dell’Avana dove rimase
ucciso l’imprenditore italiano Fabio di Celmo; nel 2000 è a Panama per cercare di nuovo di
assassinare Fidel in occasione di un vertice, fu arrestato ma nel 2004 la presidenta
panamegna Mireya Moscoso come ultimo atto fece un piacere alla Casa Bianca e lo liberò.
Nel maggio 2005 fu arrestato dalle autorità d’immigrazione USA per essere entrato
clandestinamente. Martedì è stato liberato. Ora, in teoria potrebbe essere arrestato da una
Corte del New Jersey che sta indagando per l’assassinio di Di Celmo (straordinario:
indagano dei giudici del New Jersey, mentre la giustizia e il governo italiani tacciono e
latitano).
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Cuba. 9 maggio. Sull’assoluzione di Posada lapidario il commento di ieri del quotidiano
Granma: «Libero il terrorista, si consuma l’impunità (...) Per l’amministrazione USA
processare Posada Carriles come terrorista, era come processare se stessa». Intanto tra
USA e Cuba è in piedi il caso dei 5 agenti cubani infiltrati fra gli anti-castristi di Miami in
funzione anti-terrorista e condannati a ergastoli su ergastoli in processi farsa da una Corte e
una giuria popolare... di Miami.
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Somalia. 10 maggio. Sharif Sheikh Ahmed invita alla guerra contro gli etiopi. Il dirigente
islamico più influente in Somalia, dirigente dell’Unione dei Tribunali Islamici, ha lanciato
ieri questo appello ai suoi concittadini dal suo esilio ad Asmara, capitale dell’Eritrea, per
cacciare gli invasori. Per Sheikh Ahmed «l’Etiopia non ha diritto ad occupare la Somalia,
ma il regime di Bush le sta dando luce verde, così come lo stanno permettendo le Nazioni
Unite». Questo invito alla lotta armata è la continuazione di un comunicato dello stesso
leader congiuntamente con l’antico portavoce del Parlamento somalo di transizione, Sharif
Hassan Sheikh Adan, e il viceprimo ministro, Hussein Aideed, nel quale si esige dal
governo etiope un pronto ritiro delle sue truppe dalla Somalia. I tre dirigenti invitano quindi
i loro concittadini a dimenticare le dispute tra loro e a far fronte comune.
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Palestina. 10 maggio. Banca Mondiale: metà dei Territori occupati da Israele nel 1967
inaccessibile ai palestinesi, i check points distruggono l’economia. Oltre alle “barriere
fisiche” ben visibili rappresentate da 546 blocchi posti dall’esercito e 41 segmenti
autostradali –per un totale di 700 chilometri– riservati unicamente a cittadini dello Stato
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sionista, «gli strumenti per limitare la libertà di movimento e di accesso dei palestinesi sono
molto più complessi, basati su un insieme di misure amministrative e una politica di
permessi che limita la loro libertà di spostarsi da casa, ottenere un lavoro, intraprendere
un’attività economica». Il rapporto pubblicato ieri dalla Banca Mondiale, nel voler rilevare
l’impossibilità di condurre in piena “libertà” affari in Palestina, rappresenta un duro atto
d’accusa nei confronti di Israele. Nel documento di 12 pagine vengono esaminate le
restrizioni amministrative che chiudono ai palestinesi le porte di «tutte le aree all’interno
dei confini municipali degli insediamenti, la “zona di cerniera”, la Valle del Giordano,
Gerusalemme est, strade e altre aree chiuse».
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Palestina. 10 maggio. Il numero di blocchi registrati nel marzo 2007 era pari a 546,
superiore del 44% rispetto a quanto previsto dall’Accordo sugli spostamenti, siglato il 15
novembre 2005 dal governo di Tel Aviv e dall’Autorità nazionale palestinese grazie alla
mediazione statunitense. Sono dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per l’assistenza
umanitaria ai Territori occupati. Quel patto è rimasto lettera morta. Per effetto delle chiusure
il territorio della West Bank –prosegue l’analisi della Banca Mondiale– è stato diviso in
cantoni, che stanno diventando sempre più piccoli e scollegati tra loro. «Il sistema ha creato
un livello così alto d’incertezza e inefficienza, che la normale conduzione di affari in
Cisgiordania è diventata estremamente difficile e gli investimenti sono stati ostacolati», ha
dichiarato David Crieg, direttore della Banca Mondiale per Israele e i Territori occupati.
«Ristabilire uno sviluppo economico palestinese sostenibile dipende dallo smantellamento
del sistema» dei check points, delle strade solo per coloni e delle misure amministrative di
restrizione alla circolazione dei palestinesi: così l’organismo presieduto dal neoconservatore
statunitense Paul Wolfowitz.
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Euskal Herria. 11 maggio. La Corte Costituzionale spagnola ha confermato il veto alla
maggior parte delle liste indipendentiste alle amministrative. Le liste sono considerate
emanazione del partito fuorilegge Batasuna, giudicata come “braccio politico dell’ETA”. La
Corte ha respinto i ricorsi e confermato la sentenza del Tribunale Supremo che la scorsa
settimana aveva vietato tutte le liste civiche di Abertzale Sozialistak e la metà di quelle del
partito legale Azione nazionalista basca.
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Repubblica Ceca / USA. 11 maggio. Sistema antimissile, via alla trattativa con
Washington. È partito ieri a Praga il negoziato ufficiale tra la Repubblica Ceca e gli Stati
Uniti per l’installazione della base radar antimissile nell’area militare di Brdy, a 60 km da
Praga, che sarà operativa nel 2011. I colloqui riguardano in particolare gli aspetti legali della
stazione e del personale USA nella Repubblica Ceca, nonché i relativi finanziamenti. Le
trattative dovrebbero durare alcuni mesi. Intanto lo stato maggiore russo, ricordando che
nemmeno tra 20 anni l’Iran sarà in grado di rappresentare una minaccia missilistica, non ha
risparmiato critiche al ministro degli esteri ceco Karl Schwarzenberg che aveva difeso la
partecipazione di Praga al progetto USA. Come si ricorderà, per protesta contro la volontà
d’installare lo Scudo nella Repubblica Ceca e in Polonia, il presidente russo Vladimir Putin
ha annunciato la moratoria sul decisivo Trattato europeo per la riduzione della armi
convenzionali (CFE).
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Repubblica Ceca / USA. 11 maggio. Il progetto del radar è accompagnato da forte
opposizione popolare. Contro di esso è scesa la la maggior parte dei Comuni dell’area
militare di Brdy. A marzo c’è stato il pronunciamento degli abitanti della piccola località di
Trokavec dove dovrebbe essere installato il radar e dove il sindaco Jan Neoral, ex radarista,
guida la protesta denunciando pubblicamente e sulla stampa nazionale la pericolosità del
sistema per la popolazione civile. Anche le cittadine di Visky e Prikosice si sono espresse
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nettamente contro la realizzazione dello scudo. Ora altri paesi della regione di Pribram,
limitrofi alla zona militare di Brdy, hanno intenzione di chiamare i cittadini ad esprimere in
un referendum la loro opposizione allo scudo, dovuta principalmente al timore per la salute
dei residenti. «Sicuramente non sarà una cosa buona per la nostra salute, ci vogliono usare
come cavie, stanno coprendo la verità» ha detto il sindaco Fiala. In 7 degli 11 paesi a sud di
Brdy si voterà il prossimo 9 giugno, mentre altre consultazioni si terranno il 2 giugno, due
giorni prima delle visita a Praga di George Bush per perorare la causa dello scudo. Intanto il
primo ministro slovacco Robert Fico, in un’intervista all’austriaco Die Presse, ha definito un
«grave errore» lo scudo USA, ricordando che la decisione non è stata discussa né con l’UE,
né con la NATO, né con la Russia.
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Repubblica Ceca / USA. 11 maggio. In Parlamento, invece, l’opposizione
socialdemocratica (Cssd) e comunista (Kscm) è riuscita a far passare la proposta di indire un
referendum sull’istallazione della stazione radar nell’ambito del progetto di scudo spaziale
USA. Quasi impossibile però una sua approvazione in mancanza dei numeri. Intanto si
annunciano nuove marcie di protesta in Repubblica Ceca, dove alcune manifestazioni
indette dal movimento contro l’installazione del radar antimissile USA sono state vietate.
Vige infatti una curiosa legge che vieta la propaganda della lotta di classe. E non è diretta
semplicemente contro l’ideologia comunista e marxista, ma contro qualsiasi manifestazione
di scontento popolare. Col pretesto di questa legge, qualsiasi sciopero o qualsiasi lotta per la
difesa di diritti o per la conquista di migliori condizioni di vita o di lavoro possono essere
interpretati come «propaganda della lotta di classe» e, come tali, vietati e repressi, come di
fatto sta avvenendo.
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Palestina. 11 maggio. Israele celebra 40 anni di occupazione di Cisgiordania, Gaza e del
settore arabo di Gerusalemme con un passo avanti nel progetto di costruzione della «madre
di tutte le colonie ebraiche». Secondo il quotidiano Ha’aretz di ieri, la commissione
competente del municipio israeliano di Gerusalemme ha approvato un documento
preliminare per la nascita di tre nuovi insediamenti nella zona araba (est) della Città santa:
almeno 10mila nuove case per coloni, ma secondo altre fonti, palestinesi e della sinistra
israeliana, le abitazioni alla fine saranno circa 20mila. Un’unica gigantesca colonia, che
prevede continuità fra Gerusalemme e gli insediamenti di Etzion a sud e di Bet El a nord. Il
piano, per i suoi ideatori, mira ad escludere qualsiasi discussione sullo status futuro di
Gerusalemme e a spegnere le aspirazioni palestinesi di proclamare la loro capitale nel
settore
arabo
della
città.
Iraq. 11 maggio. Deputati iracheni chiedono un calendario per il ritiro delle truppe straniere
dal paese ed intanto chiedono che si congeli il numero degli effettivi già presenti nel paese.
Il progetto di legge, elaborato dal blocco parlamentare che fa riferimento al dirigente sciita
Muqtada al Sadr, è stato sottoscritto da 144 dei 275 membri della Camera. È la prima volta
che il blocco pro Sadr, che ha già promosso leggi simili in passato, ottiene l’appoggio della
maggioranza.
•
Iran / Venezuela. 11 maggio. Chávez chiede agli alleati dell’America latina di sostenere
l’Iran. Ieri, sul sito iraniano Batzab, è uscito un articolo dal titolo “Chávez spinge gli alleati
a sostenere l’Iran”. L’incitamento del presidente venezuelano Hugo Chávez sarebbe
giustificato dall’inasprirsi delle relazioni con Washington e dalla rete di alleanze che
Teheran sta tessendo per mettere in difficoltà gli Stati Uniti: sostenendo la crescita
economica del Sud america, strapparlo al controllo statunitense e aprendo le porte a una
grande alleanza contro gli Stati Uniti. Nei suoi due recenti incontri con Chávez, il presidente
iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha già firmato accordi finanziari per 17 miliardi di dollari.
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Il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, in visita in Nicaragua, ha annunciato
nuovi rapporti commerciali il presidente Daniel Ortega, che ha parlato di giustizia e verità
come principale collante nei rapporti economici dei due Paesi e di un Iran vittima degli Stati
Uniti. Ortega ha ribadito quanto già detto dal presidente Ahmadinejad, apostrofando
Washington come il vero sostenitore del terrorismo. Con Morales, l’Iran si è detto disposto a
sostenere e acquistare la produzione agricola boliviana di soia.
•
Pakistan. 11 maggio. Al via la costruzione del muro per impedire l’arrivo di taliban. Il
Pakistan ha innalzato la prima sezione di una barriera di sicurezza al confine con
l’Afghanistan che dovrebbe interrompere uno dei varchi solitamente usati dai miliziani
talebani per penetrare nel Paese. Un’iniziativa destinata a scatenare se non l’irritazione della
comunità internazionale, almeno quella di Kabul. Il “muro” di filo spinato attraversa la
regione tribale del Nord Waziristan, nell’area di Lwara Mundi. «Abbiamo completato i primi
20 chilometri», ha detto un portavoce, spiegando che altri 15 chilometri attraverseranno il
Sud Waziristan. L’esercito pakistano ha anche militarizzato la zona.
•
USA / Italia. 11 maggio. «Questo è un sistema statunitense: il suo comando e controllo
rimarrà quindi nelle mani degli Stati Uniti», ha detto a chiare lettere il sottosegretario USA
al Pentagono Eric Edelman. Il riferimento ai missili intercettori dello «scudo» antimissili in
Europa. Secondo Edelman i tempi di attivazione «sono oggi molto più brevi (...) Una
finestra tra 2 e forse 12 minuti». In altre parole, una volta schierati in Europa (non solo in
Polonia ma, com’è nei piani del Pentagono, anche in altri paesi Italia compresa), i missili
intercettori potranno essere lanciati senza il consenso dei paesi in cui sono installati. Gli
stessi governi europei non saranno neppure preavvisati, in quanto la «finestra» di 2-12
minuti non lascia tempo. Una volta coperti dallo «scudo», i paesi europei saranno quindi in
balia dei «protocolli di esecuzione preprogrammati» dal Pentagono. E la «risposta», di cui
parla Edelman, prevede non solo l’uso dello «scudo» ma anche l’attacco nucleare, compreso
quello «preventivo». La segretaria di Stato Condoleezza Rice si recherà a Mosca, il 14-15
maggio, a spiegare che lo «scudo» in Europa serve a fronteggiare i missili iraniani e nordcoreani e non ad acquisire un vantaggio strategico sulla Russia. In questa faccenda sempre
più complessa e pericolosa, il governo Prodi ha trascinato l’Italia, firmando in segreto al
Pentagono l’accordo-quadro, che il generale Obering ha definito «pietra miliare di maggiore
importanza» nelle relazioni USA-Italia.
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USA. 11 maggio. Le banche d’affari Merrill Linch e Morgan Stanley sono tra i finanziatori
del soldato Mario Lozano, accusato di aver ucciso volontariamente, in Iraq, forse anche per
ordini superiori, il 4 marzo 2005, il dirigente del Sismi Nicola Calipari, che stava
conducendo all’aeroporto l’appena liberata giornalista de il Manifesto Giuliana Sgrena. Una
macchina mediatica perfetta. L’elenco degli sponsor di Mario Lozano è pubblicato sul sito
degli Amici del Sessantanovesimo Reggimento della Guardia nazionale
(www.69thfriends.org), di cui fa parte anche il nostro «specialista». L’elenco è sintetico, ma
tra i maggiori finanziatori spiccano i nomi di Morgan Stanley e Merrill Linch, le due
principali banche d’affari di Wall street ma anche quello di Price Waterhouse Coopers, una
società di consulenza e di revisione contabile. C’è pure la Reuters, sebbene i suoi inviati
siano stati più volte vittime del fuoco amico, e persino i veterani del Vietnam. La home page
dell’associazione è molto chiara. Gli organizzatori sostengono di aver creato un fondo, lo
Spc Mario Lozano Defense Fund per aiutare il soldato processato dall’Italia. E la prima
mossa è stata quella di assumere il penalista statunitense Edward W. Hayes (negli anni ’80 il
più quotato tra i penalisti impegnati a difendere i malaffari dei finanzieri di Wall Street) ed il
criminalista Gregory W. Kehoe. Nessuno dei finanziatori però, neppure la Reuters, ha voluto
spiegare il perché di questa scelta. Per loro Calipari è «l’ufficiale dei servizi segreti del Sismi
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che guidava l’operazione e ha preso la decisione di non informare gli Americani di ciò che
stavano facendo. Ha violato le regole del Comando e questo gli è costato la vita».
•
Colombia / USA. 11 maggio. Legami tra il presidente colombiano ed i gruppi paramilitari.
Secondo quanto reso noto dal National Security Archive, istituzione legata alla George
Washington University e dedita alla pubblicazione dei documenti declassificati del governo
USA, vi sarebbero prove di contatti diretti tra Alvaro Uribe e i gruppi paramilitari. Secondo
un rapporto di intelligence reso noto dal Los Angeles Times e riportato nel sito del National
Security Archive, il generale Mario Montoya, uno dei principali consiglieri militari di Uribe,
sarebbe strettamente collegato con una delle formazioni paramilitari di estrema destra
responsabili degli episodi di violenza. Non solo, l’esecutivo colombiano è apparso spesso
incapace di agire con efficacia anche contro il narcotraffico: solo per fare un esempio,
qualche giorno prima dell’arrivo di Uribe a Washington, in un porto USA è stata sequestrata
una nave colombiana carica di 27 tonnellate di cocaina. L’inerzia o la scarsa dedizione del
governo è dovuta al fatto che spesso i maggiori responsabili del traffico di stupefacenti
fanno capo proprio a quei gruppi paramilitari di estrema destra a cui l’esecutivo di Uribe
non sarebbe estraneo. Non a caso, la maggior parte delle volte in cui le autorità statunitensi
della Dea (l’agenzia anti-droga di Washington) hanno chiesto al governo di Bogotà
l’estradizione di esponenti di queste formazioni paramilitari colluse con i narcotrafficanti,
l’esecutivo ha sempre rifiutato di accogliere simili richieste. Per questi motivi il nuovo
Congresso ha preferito posporre la ratifica dell’accordo di libero commercio firmato con la
Colombia e il senatore Patrick Leahy (presidente della Commissione per le operazioni e i
programmi all’estero) ha congelato lo stanziamento di ulteriori 55 milioni di dollari di aiuti
militari.
•
Somalia. 12 maggio. Le truppe ugandesi si ritireranno dal paese nell’arco di quattro mesi.
Lo ha detto ieri il ministro ugandese della Difesa, Crispus Kiyonga, all’agenzia Efe. Le
truppe ugandesi integrano la forza dell’Unione Africana (UA). Kiyonga ha detto che la UA
soffre problemi economici per pagare i soldi dei soldati dispiegati in Somalia. Allo stato
solo l’Uganda ha dispiegato truppe come UA.
•
Libano. 12 maggio. Il presidente del Parlamento libanese Nabih Berri ha dichiarato al
quotidiano al-Nahar che convocherà l’Assemblea per eleggere il nuovo presidente della
Repubblica il 25 settembre prossimo. Berri ha affermato che per la validità dell’elezione
sarà necessaria la presenza in aula di due terzi dei deputati, ossia 86 su 128. L’opposizione
libanese potrebbe boicottare il voto, impedendo alla maggioranza parlamentare filo USA,
che non arriva al quorum richiesto, di eleggere il proprio candidato.
•
Iraq. 12 maggio. Le truppe USA e britanniche dovranno rimanere in Iraq «ancora un anno
o due». Lo ha dichiarato il presidente iracheno Jalal Talabani parlando all’università di
Cambridge. Secondo il presidente iracheno, in un anno o due il governo di Baghdad sarà
riuscito a reclutare un numero sufficiente di truppe ed a «preparare le nostre forze in modo
da poter dire arrivederci ai nostri amici». Ricordiamo che già un paio di anni fa lo stesso
Talabani aveva parlato di un paio di anni per congedarsi dalle forze di occupazione.
Evidentemente nessuno gli ha mai chiesto ancora: un paio di anni, ma a cominciare da che
anno?
•
Iran. 12 maggio. Ahmadinejad in visita nei prossimi giorni negli Emirati Arabi Uniti. La
visita ad Abu Dhabi sarà storica, essendo infatti la prima volta che un presidente iraniano vi
si reca dopo la Rivoluzione islamica. Tra l’Iran e gli Emirati, nonostante gli stretti rapporti
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economici e commerciali, c’è una disputa territoriale inerente a tre piccole isole nel Golfo
Persico.
•
Iran. 12 maggio. Emancipazione femminile, notevoli i progressi in Iran. Lo sostiene l’ex
presidente iraniano Mohammad Khatami. «Con la rivoluzione islamica le donne hanno fatto
in Iran passi in avanti enormi. Ma ancora non basta. Nell’anno in cui sono diventato
presidente c’erano 70mila donne all’università; oggi abbiamo due milioni e 700 mila
studentesse. Sempre nel 1998 le donne manager erano poco più del 3% mentre oggi sono il
16% del totale. Insomma hanno fatto passi in avanti notevoli. Non basta e le prime a
saperlo sono le stesse donne». Khatami non ha rinunciato a una battuta: «Da noi le donne
possono guidare l’automobile, mentre in un Paese a noi vicino, molto amico degli USA, le
donne non hanno nemmeno la patente. Nelle nostre scuole di teologia ci sono anche donne e
io stesso ho portato nel mio governo due donne».
•
Russia / Turkmenistan / Kazakistan. 12 maggio. Putin rinsalda il controllo sul gas
dell’Asia centrale. I leader di Mosca, Ashgabat e Astana si sono accordati nella città di
Turkmenbashi per costruire un nuovo gasdotto a nord del Mar Caspio che porterà il gas dal
Turkmenistan in Russia attraverso il Kazakistan: una mossa che mantiene il ruolo dominante
della Russa nella distribuzione del gas. Sul gasdotto sono stati forniti pochi dettagli ma
l’accordo, al centro di un viaggio di sei giorni nell’Asia centrale del presidente russo
Vladimir Putin, sembra essere un colpo per le speranze di USA e del suo vassallo Unione
Europea di ridurre la dipendenza energetica da Mosca ed ottenere accesso diretto al gas
turkmeno, da convogliare ad esempio in un previsto gasdotto sotto il Mar Caspio che
attraversi Azerbaigian e Turchia,. Il ministro russo dell’energia Viktor Khristenko ha
confermato che il nuovo gasdotto lungo la costa del mar Caspio transiterà in Russia. In una
dichiarazione congiunta espressa a Turkmenbashi, i tre Stati affermano altresì di voler
lavorare con l’Uzbekistan per migliorare le esistenti infrastrutture per l’esportazione del gas,
risalenti all’era sovietica.
•
Russia. 12 maggio. Un trionfante Putin ha detto che l’accordo ufficiale sarà siglato entro
settembre per iniziare i lavori entro il 2008 e che «il gasdotto potrà trasportare 10 miliardi
di metri cubi di gas l’anno». I tre leader hanno anche deciso di aumentare a 90 miliardi di
mc annui la capacità di un gasdotto esistente che attraversa Kazakistan e Uzbekistan. Mosca,
soprattutto tramite la ditta statale Gazprom, controlla gli immensi giacimenti di gas e già
importa dal Turkmenistan 42 miliardi di mc. di gas l’anno al prezzo di 100 dollari per 1.000
mc., rivenduti poi in Europa a 250 dollari per 1.000 mc.
•
Russia / Kazakistan. 12 maggio. In precedenza tra Mosca ed Astana ci si era accordati per
un incremento del petrolio trasportato via mare dai giacimenti kazaki di Tengiz fino al porto
russo di Novorossiisk sul Mar Nero (oggi pari a 750mili barili al giorno) e il presidente
Nazarbayev ha ottenuto di poter partecipare alla costruzione dell’oleodotto (controllato dalla
Russia) di 280 chilometri dal porto bulgaro di Burgas sul Mar Nero ad Alexandroupolis in
Grecia.
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Armenia. 12 maggio. Erevan al voto tra Russia, Iran e USA. L’Armenia, che vanta più
abitanti fuori il Paese che dentro (8 milioni che si aggiungono ai tre miloni di residenti), è
stata finora tagliata fuori dal «grande gioco» caucasico dei corridoi gas-petroliferi promossi
da USA ed UE, che hanno prediletto Georgia e Azerbaigian. Anche dopo la caduta
dell’URSS, l’Armenia rimane fedele a Mosca, che la sostiene economicamente e qui alloca
proprie basi e truppe. Il russo è parlato e capito nel paese, tanto che le tv di Stato
quotidianamente trasmettono spot di prodotti russi e film sovietici senza traduzione. La
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vittoria sovietica sui nazisti nel ‘45 non viene messa in discussione. Del resto Erevan non ha
scelta: con due frontiere su quattro bloccate, l’economia è strozzata. Chiusi i cancelli a ovest
verso la Turchia e a est verso l’Azerbaigian, a causa del conflitto per il Karabakh, vero
argomento tabù nella campagna elettorale, perché il governo non tollera posizioni diverse
dalla propria (il presidente Robert Kocharian è proprio originario di lì) e se l’opposizione
propone di considerare soluzioni alternative è tacciata di debolezza. A nordovest abbiamo la
Georgia, filo-USA e filo-NATO: vi passano i commerci indirizzati verso la Russia, ma con
Tbilisi c’è scarsa simpatia per il trattamento della minoranza armena nella Georgia
meridionale. Non resta allora, oltre che alla Russia, che guardare a sud, all’Iran musulmano,
il confine più aperto dove la relativa cordialità dei rapporti con Teheran ha fatto fiorire
traffici d’ogni tipo e vede un intenso via vai di mezzi e merci. Mentre nella periferia della
cristiana Erevan vive indisturbata la comunità iraniana, Ahmadinejad ha appena inaugurato
un nuovo gasdotto che dovrebbe sottrarre l’Armenia al suo isolamento e in prospettiva pensa
a un futuro collegamento con Mosca a nord e India a est per sviluppare corridoi alternativi a
quelli USA-UE. Gli armeni guardano però anche a Washington, dove l’influente lobby
armena al Congresso riesce a far viaggiare con discrezione cospicui fondi verso il paese
caucasico, secondi per entità pro capite solo a quelli destinati a Israele.
•
Turkmenistan. 12 maggio. Il neo presidente turkmeno Kurbanguly Berdymukhamedov
sembra voler continuare la politica filo russa del predecessore Nyazov. Berdymukhamedov
ha comunque detto che «è ancora sul tavolo» lo studio di una via alternativa per il gas sotto
il Mar Caspio, anche se analisti evidenziano gli immensi rischi tecnici, legali ed ambientali
che rendono il progetto poco conveniente. Inoltre incontrerebbe il veto di Iran e Russia, che
si affacciano sul Caspio. Il presidente ha anche promesso di costruire un gasdotto fino alla
Cina e ha detto che sta considerando anche le vie verso Afghanistan e India. «Niente paura,
c’è gas a sufficienza», ha affermato.
•
Cina / Russia /Uzbekistan. 12 maggio. Secondo alcuni analisti, la Cina appare, al
momento, il principale antagonista della Russia nella zona. A fine aprile l’Uzbekistan ha
dichiarato che costruirà un gasdotto di 530 chilometri fino in Cina per una capacità di 30
miliardi di mc. annui: circa la metà della produzione stimata del Paese. Dato che potrebbe
irritare Mosca: Tashkent ha venduto alla Gazprom “solo” 9 miliardi di mc. di gas nel 2006 e
13 miliardi nel 2007, nonostante la ditta ne chieda molti di più.
•
Euskal Herria / Spagna. 13 maggio. Rappresentanti del governo spagnolo hanno
incontrato in aprile membri dellETA per discutere la questione della presenza della
fuorilegge Batasuna alle elezioni amministrative del 27 maggio. Lo afferma il quotidiano
spagnolo ABC, ma la notizia è stata smentita alla France Presse dal governo di Madrid.
Secondo il giornale, due diplomatici inviati dal governo del premier socialista José Luis
Rodriguez Zapatero e due membri dell’ETA si sono incontrati in una «importante città
europea» per parlare, tra l’altro, dell’eventuale presenza di Batasuna alle elezioni comunali
nel Paese basco, e comunali e regionali in Navarra. Secondo il giornale, l’ETA –di cui uno
dei due rappresentanti era Egoitz Urrutikoetxea, figlio dello storico leader Josu
Urrutikoetxea (alias Josu Ternera)– e gli emissari del governo si erano accordati su una
rappresentanza di Batasuna nelle liste del partito Azione nazionalista basca (Anv), vecchia
formazione indipendentista co-fondatrice di Batasuna. Secondo il giornale ABC, una
presenza di Batasuna alla consultazione è importante per il governo, il quale teme che, in
caso contrario, ETA «cerchi di rovinare le elezioni con attentati di rilievo». L’ETA, pur
sostenendo che il suo “cessate il fuoco permanente” proclamato il 22 marzo 2006 resta in
vigore, aveva avvertito a inizio aprile che «avrebbe tenuto conto» di un’assenza delle
sinistra indipendentista alle elezioni. Secondo il quotidiano, nella riunione con l’ETA gli
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emissari del governo avrebbero sottolineato che la decisione ultima di autorizzare le
candidature dipende dal Tribunale supremo. Quest’ultimo ha vietato la settimana scorsa la
metà delle liste di Anv e le “liste civiche” presentate da Batasuna sotto la denominazione
Abertzale Sozialistak (“Patriota e socialista”), decisione confermata dal Tribunale
costituzionale.
•
Kosovo. 13 maggio. Bozza ONU per l’indipendenza del Kosovo sotto supervisione
internazionale. Ad averla presentata sono gli Stati ed i paesi europei del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU –Gran Bretagna, Francia, Italia, Belgio e Slovacchia– più Germania,
nonostante l’opposizione russa. Il testo, che invoca il Capitolo VII della Carta dell’ONU,
autorizza la UE a stabilire una missione per mettere in atto l’accordo e promuovere lo
sviluppo dei settori giudiziario e poliziesco. Ci sarà una presenza militare internazionale, che
rimpiazzerà le attuali forze KFOR della NATO, che dovranno ritirarsi quando trascorrino
120 giorni dall’adozione del documento. Perché questa risoluzione passi, sono necessari
almeno nove voti a favore dei quindici memebri del Consiglio di Sicurezza e che nessuno di
quelli permanenti (USA, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) esercitino il loro potere di
veto. Mosca ha qualificato ieri come «inacettabile» il nuovo progetto di statuto sul Kosovo.
•
Iraq. 13 maggio. Il Parlamento iracheno si è pronunciato ieri contro la costruzione di muri
nella capitale attorno ad alcuni quartieri sunniti. Con 138 voti a favore e 88 contro è stato
bocciato il piano USA di creare ghetti sunniti murati all’interno di Baghdad.
•
Iran. 13 maggio. Un salto qualitativo nella tecnologia nucleare: è quanto chiede il
presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad per compensare il sottosviluppo ereditato dai
governi precedenti. Insistendo nell’uso pacifico della tecnologia nucleare, il presidente
iraniano ha accusato Washington e Tel Aviv di mentire quando afferma che «sono
preoccupati per la bomba nucleare. Coloro che sono inquieti, devono distruggere le proprie
bombe».
•
Afghanistan. 13 maggio. Le milizie dei taliban hanno ammesso la morte del loro capo
militare della provincia di Helmand, il Mullah Dadullah, avvenuta ad opera delle forze
NATO. I talebani hanno ammesso la sua morte in un collegamento con il corrispondente
della Tv araba al-Jazeera, aggiungendo che è scaturita nel corso di un conflitto a fuoco
avvenuto ieri sera nella provincia meridionale afgana.
•
Pakistan. 13 maggio. Ammonta ad una quarantina il bilancio delle vittime a Karachi, la
città della costa meridionale dove è sepolto il padre del Pakistan Muhammad Jinnah e dove
era previsto un comizio del giudice Iftikhar Chaudhry. Le forze speciali dell’esercito sono
intervenute con licenza di uccidere. I militanti dei partiti filo-Musharraf hanno indetto una
manifestazione contro Chaudhry e a sostegno del governo. Vere e proprie battaglie sono
state segnalate fra attivisti del partito filo-governativo (al potere nella provincia del Sindh)
del Movimento Muttahida Qaumi (MQM, che raccoglie gli immigrati dall’India che per la
maggior parte parlano urdu) contro gli esponenti del partito islamista d’opposizione Jamaati-Islami, in particolare all’esterno dell’aeroporto, dove è atterrato Chaudhry, giunto da
Islamabad. Nella notte di ieri tre sostenitori del giudice sono stati uccisi da militanti filoMusharraf. Giovedì erano stati sparati colpi di pistola contro la casa dell’avvocato che
difende Chaudhry dalle accuse di corruzione con le quali il presidente ha motivato la sua
rimozione dalla guida della Corte Suprema, avvenuta il 9 marzo scorso.
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Pakistan. 13 maggio. In poche settimane Iftikhar Muhammad Chaudhry è diventato l’idolo
del popolo pachistano e il nemico numero uno del regime del generale Pervez Musharraf.
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Grazie al suo licenziamento, questo sessantenne magistrato –fino ad allora sconosciuto– è
diventato il leader acclamato dell’opposizione al regime pachistano, di un movimento
popolare e trasversale che, per la prima volta dal 1999 (anno del golpe di Musharraf), pare
avere la forza di cambiare le sorti politiche del Pakistan. Chaudhry è diventato il paladino di
ricchi e poveri, professionisti e disoccupati, laici e fondamentalisti islamici, democratici e
conservatori. A sostenerlo ci sono i principali partiti d’opposizione filo-occidentali (il Partito
Popolare di Benazir Bhutto, in esilio tra Londra e Dubai, di cui Washinton caldeggiava un
riavvicinamento con il presidente-generale, e la Lega Musulmana di Nawaz Sharif in testa)
ma anche i partiti integralisti islamici dell’Mma, l’alleanza religiosa filo-talebana che
governa le Aree Tribali.
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Giappone. 13 maggio. Migliaia di manifestanti si sono riuniti a Okinawa per protestare
contro la presenza di basi statunitensi nell’arcipelago del sud del Giappone. I manifestanti
hanno formato una catena umana attorno alla base di Kadena, chiedendo il ritiro dei 22mila
marines che vi stazionano. La manifestazione, organizzata da sindacati locali e
organizzazioni pacifiste, ha avuto luogo nel giorno del 35° anniversario del ritorno al
Giappone dell’arcipelago.
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USA. 13 maggio. Il vicepresidente USA Dick Cheney è giunto ieri nella città saudita di
Tabuk, dove in serata ha avuto colloqui con il re Abdullah dell’Arabia Saudita.
Successivamente, Cheney si è trasferito nella città giordana di Aqaba. Il vice di Bush è in
giro per il Medio Oriente per consultare i Paesi amici degli Stati Uniti, mobilitarli contro
l’Iran e cercare di convincerli ad assistere il governo di Baghdad. L’Arabia Saudita è la terza
tappa nell’area, dopo l’Iraq e gli Emirati. Oggi stesso, il numero due dell’attuale
amministrazione repubblicana proseguirà per il Cairo per poi tornare in Giordania.
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USA. 13 maggio. Il Board esecutivo della Banca Mondiale sta preparando una mozione di
sfiducia per porre fine al mandato del presidente Paul Wolfowitz. La decisione sarebbe
arrivata dopo che è emersa la vicenda che ha coinvolto la sua compagna. Lo scrive il
Washington Post. Lo scenario delineato non prevede il licenziamento di Wolfowitz per non
provocare uno strappo con gli USA, maggiore azionista della Banca, quanto una risoluzione
di sfiducia, nella speranza che il neoconservatore Wolfowitz, grande stratega dell’aggressiva
politica USA, si dimetta.
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Gran Bretagna. 14 maggio. Dimissioni di Blair? Conseguenza di fattori esterni ed intenri.
Secondo il direttore della rivista inglese Peace means, Millan Rai, tra i fattori che hanno
costretto il premier britannico a dare dimissioni c’è la guerra in Iraq, non digerita dal popolo
inglese. Ma anche sul piano della politica interna il bilancio del leader laburista non è
positivo: le sue misure neoliberiste hanno aumentato l’insicurezza economica nella società,
mentre settori come quello medico si dibattono in un mare di problemi, tanto che molti
inglesi si recano in Germania per problematiche sanitarie.
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Giordania. 14 maggio. Il re Abdullah II di Giordania ha esortato gli USA a cercare una
«soluzione pacifica» nella crisi nucleare iraniana con i Paesi occidentali. Lo ha reso noto il
comunicato diffuso dal Palazzo Reale al termine dell’incontro tra il monarca hashemita e il
vicepresidente USA, Dick Cheney. Il monito di re Abdullah è arrivato proprio mentre il
presidente iraniano Mahmoud Ahamadinejad avvertiva che Teheran avrebbe reagito con
durezza ad un eventuale attacco USA. Cheney era arrivato ieri ad Aqaba, località turistica
sul Mar Rosso, ultima tappa del suo giro regionale in Medio Oriente. Dopo Iraq, Emirati
Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, è approdato in Giordania prima di ripartire alla volta
di Washington. Una missione diplomatica ufficialmente con l’obiettivo di garantire agli
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USA l’appoggio degli alleati nel processo di riconciliazione nazionale in Iraq, ma secondo
alcuni analisti con l’obiettivo ultimo di tastare il terreno in vista di un eventuale attacco
militare contro le centrali nucleari iraniane. Dalla Giordania il monito è stato chiaro. Una
fonte anonima vicina alla monarchia hashemita ha detto alla France Press che «la
Giordania è assolutamente contraria a qualsiasi attacco militare contro l’Iran perché
metterebbe a rischio la stabilità dell’intera regione». Nei colloqui di Aqaba si è parlato
anche di sicurezza in Iraq e di pace in Medio Oriente. Del resto, come ha detto Cheney alla
Fox News, «dobbiamo affrontare tutti i problemi, non possiamo permetterci il lusso di
tralasciarne alcuno». L’iniziativa araba di pace, lanciata nel vertice a Beirut del 2002 e
rilanciata a Ryad a marzo, propone di stabilire relazioni tra arabi e israeliani in cambio del
ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967.
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Israele. 14 maggio. Il gabinetto politico-militare del regime sionista ha deciso di
intensificare le uccisioni mirate di palestinesi. «Si è deciso che ci saranno uccisioni mirate
di palestinesi e penso che questo limiterà i danni», ha detto il ministro per le infrastrutture
israeliano Binyamin Ben Eliezer alla radio delle forze armate. Sulle decisioni prese
dall’esecutivo del regime sionista, le cui riunioni sono coperte dal segreto di Stato, non è
stato emesso finora alcun comunicato.
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Israele. 14 maggio. Molte migliaia di palestinesi sono stati costretti negli ultimi anni ad
abbandonare il centro di Hebron (Cisgiordania) in seguito alla politica applicata dalle
autorità israeliane a protezione dei coloni ebrei che risiedono. Lo sostiene un rapporto del
gruppo umanitario israeliano Betzelem. Hebron è suddivisa in due settori: uno sotto
autonomia palestinese e il secondo, più piccolo, sotto controllo militare israeliano. Al suo
interno si trovano il rione ebraico e il mercato ortofrutticolo palestinese. Dall’inizio
dell’intifada, afferma Betzelem, per gli abitanti palestinesi di questo settore la città è stata
molto difficile. Nei primi tre anni di rivolta sono stati sotto regime di coprifuoco
complessivamente 377 giorni, di cui 182 consecutivi. Il rapporto menziona inoltre una lunga
serie di imposizioni militari nei confronti degli abitanti palestinesi di questo settore, e anche
di prevaricazioni da parte dei coloni. Secondo i calcoli di Betzelem, 659 appartamenti
palestinesi che si trovano nel settore controllato da Israele sono stati abbandonati negli
ultimi anni. Così pure, sono stati chiusi 1141 negozi. La politica israeliana a Hebron,
conclude Betzelem, ha colpito direttamente o indirettamente decine di migliaia di palestinesi
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Iran. 14 maggio. «Pesanti ripercussioni» nel caso in cui gli Stati Uniti attacchino la
Repubblica islamica. Ad affermarlo è Mahmoud Ahmadinejad. «Gli USA capiscono che se
commettono quell’errore, la risposta dell’Iran sarà pesante tanto da farli pentire», ha detto
il presidente iraniano in conferenza stampa negli Emirati Arabi Uniti. «Tutti sanno che non
possono colpirci. L’Iran è capace di difendersi. È un paese forte», ha detto Ahmadinejad,
aggiungendo che l’Occidente non può obbligare Teheran a mettere fine al suo programma
nucleare. Gli USA, che hanno una forte presenza militare nel Golfo Persico, accusano l’Iran
di voler produrre armi nucleari e cercano di imporre sanzioni sempre più dure attraverso le
Nazioni Unite. L’Iran sostiene di aver solo intenzione di produrre energia elettrica per poter
esportare più petrolio. Sollecitando gli USA a ritirare le loro truppe dalla regione,
Ahmadinejad ha detto oggi che i paesi limitrofi dovrebbero «cacciare» le forze straniere,
che sono la causa dell’instabilità dell’area. «Nel Golfo Persico stiamo affrontando difficoltà
e nemici. Questi nemici non vogliono che la regione viva in condizioni di sicurezza ( …) la
pace può essere ottenuta cacciando queste forze», ha detto il presidente iraniano.
Ahmadinejad ha poi aggiunto che l’Iran ha accettato di discutere con gli USA della
situazione dell’Iraq per aiutare il popolo iracheno. «Per risolvere la situazione in Iraq, gli
americani hanno chiesto di parlarci. E per sostenere il popolo iracheno, noi lo faremo», ha
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detto il presidente iraniano, che ha rivelato che l’incontro avverrà a Baghdad alla presenza
del governo iracheno, precisando però che la data non è ancora stata fissata.
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Iran. 14 maggio. Il Segretario generale del Consiglio per la cooperazione del Golfo Persico,
Abdul-Rahman al-Atiah si è detto fortemente preoccupato per i «pericoli di un eventuale
escalation militare» in tutta l’area, ed ha respinto la linea dura intrapresa dagli Stati Uniti
contro la Repubblica islamica dell’Iran in merito al suo programma nucleare.
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Pakistan. 14 maggio. La Corte suprema del Pakistan ha sospeso stamani l’esame del ricorso
del suo ex presidente Iftikhar Chaudhry contro la propria rimozione decisa dal presidente
Pervez Musharraf lo scorso 9 marzo per presunto abuso di potere. Una rimozione che ha
dato luogo ad un’ondata di violenze in tutto il Pakistan, culminate sabato in sanguinosi
scontri sabato a Karachi con una quarantina di morti. La sospensione è stata decisa dopo che
uno dei 14 giudici della Cortek, Falak Sher, ha rifiutato di prendere parte all’udienza,
adducendo che alcuni membri della corte sono troppo poco inesperti per affrontare il caso. Il
9 marzo scorso il presidente Musharraf sospese il giudice Chaudhry, considerato un
difensore dei diritti umani e della legalità, per presunti abusi di potere, con l’accusa di aver
procurato favori a sé e a persone a lui vicine. Da allora il Pakistan ha vissuto giorni di
intensa crisi, con continue proteste di piazza. Un amico di Musharraf, il funzionario della
Corte Syed Hamid Raza, è stato ucciso proprio oggi e l’intero paese è sceso in sciopero. Il
giudice è diventato la bandiera dell’opposizione al regime, dagli islamisti al democratici
laici. Per diversi analisti si assiste alle più cruenti violenze politiche di strada in Pakistan
dagli anni ‘80.
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Taiwan. 14 maggio. L’ex premier taiwanese Frank Hsieh sarà il candidato del DPP (Partito
Democratico Progressista) alle presidenziali del 2008. Sul fronte opposto, il partito
concorrente del KMT (il Kuomintang, il Partito cosiddetto “Nazionalista”) aveva già
nominato Ma Ying-jeou quale concorrente alla poltrona di Presidente. I suoi problemi
giudiziari potrebbero però favorire la candidatura del suo “secondo” Wang Jin-pyng. La
campagna del 2008 rivestirà un’importanza fondamentale per l’isola. I due candidati sono
comunque orientati a non cercare scontri con Pechino, a differenza dell’attuale Presidente
Chen Shui-bian (candidato del DDP), al suo secondo ed ultimo mandato presidenziale e
molte volte vicino allo scontro con la Repubblica Popolare Cinese. Il presidente Chen ha
combattuto finora invano per proporre l’isola come membro dell’ONU, dell’Organizzazione
mondiale del commercio e dell’Organizzazione Mondiale della sanità. «Non si possono più
accettare gli sforzi di Pechino, tesi a rendere l’isola invisibile, e per questo bisogna cercare
di essere ammessi nelle Nazioni Unite con il nostro proprio nome, Taiwan. Non dobbiamo
più nasconderci dietro termini e nomi fasulli», ha dichiarato il mese scorso Chen in un
discorso pronunciato due settimane dopo la lettera inviata proprio all’Organizzazione
mondiale della sanità, in cui il governo di Taipei ha chiesto di essere accettato nella
comunità internazionale con il nome di Taiwan, e non con il titolo di “entità sanitaria” che è
stato usato fino ad ora. Le possibilità di riuscita di un ingresso dell’isola con il nome
ufficiale di Taiwan sono però molto basse anche perché, oltre al sicuro “no” di Pechino, gli
Stati Uniti hanno criticato la mossa di Chen e rifiutato il sostegno alla candidatura. Pochi,
circa una dozzina, i Paesi che sostengono attivamente la richiesta; di questi, nessuno ha un
grosso peso in ambito internazionale. Simbolicamente, questa è l’ennesima sfida lanciata da
Chen a Pechino e i due candidati al prossimo seggio presidenziale dovranno essere in grado
di gestire già da ora l’eredità dell’attuale Presidente. La campagna presidenziale si inserirà
in un anno solare di importanti appuntamenti politici interni e internazionali: la nomina del
nuovo Politburo cinese nell’autunno 2007; le elezioni del dicembre 2007 per il rinnovo dello
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Yuan Legislativo di Taiwan; la campagna presidenziale statunitense del 2008. Tre
avvenimenti che avranno un notevole impatto sulla gestione politica dell’isola.
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USA. 14 maggio. Il segretario di Stato USA Condoleezza Rice conferma che saranno
avviati al più presto colloqui con l’Iran sulla sicurezza dell’Iraq, nella convinzione che sia il
momento giusto per un’iniziativa diplomatica da tempo attesa e sollecitata. «Avevamo da
qualche tempo canali per i colloqui e ci è sembrato un buon momento per attivarli», ha
detto il capo della diplomazia USA in visita a Mosca, sottolineando come con tutti i Paesi
vicini dell’Iraq «abbiamo preso un impegno per fare il possibile per aiutare gli iracheni».
Ad annunciare l’avvio di trattative dirette tra Washington e Teheran sulla sicurezza in Iraq
era stato ieri il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Mohammad Ali Hosseini,
precisando che «la data e il livello dei partecipanti ai colloqui saranno decisi nei prossimi
giorni». L’annuncio di Teheran era stato poi confermato dal portavoce del Consiglio di
sicurezza nazionale USA, Gordon Johndroe, secondo cui «l’obiettivo è di cercare di
assicurare che gli iraniani giochino un ruolo produttivo in Iraq».
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USA / Iran. 14 maggio. Teheran vuole un «immediato rilascio senza condizioni» di cinque
iraniani prigionieri delle forze statunitensi in Iraq dall’11 gennaio scorso. Lo fa convocando
oggi, al ministero degli esteri, l’ambasciatore svizzero in Iran, Philippe Welti, nella veste di
rappresentante degli interessi statunitensi nella Repubblica Islamica. Secondo Washington, i
cinque, arrestati ad Erbil (Kurdistan iracheno), sono Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione)
che erano impegnati a rifornire di armi gruppi di resistenti in Iraq. Per Teheran si tratta
invece di personale diplomatico in servizio presso il locale consolato. La protesta iraniana è
stata notificata il giorno dopo che Teheran e Washington hanno annunciato la prossima
tenuta di consultazioni dirette a Baghdad sulla situazione in Iraq. USA e Iran non hanno
relazioni diplomatiche dal 1980, quando furono interrotte in seguito alla presa di ostaggi
nell’ambasciata statunitense a Teheran.
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Italia / Afghanistan. 15 maggio. Il ministro della difesa Parisi annuncia l’invio di nuovi
mezzi in Afghanistan. Alle commisioni Difesa e Esteri di Camera e Senato, il ministro del
centrosinistra comunica che tra pochi giorni, nella regione di Herat (confinante ad ovest con
l’Iran) saranno operativi 5 elicotteri Mangusta, 8 corazzati Dardo e 10 blindati Lince in più.
Insieme ai nuovi mezzi, verranno inviati in Afghanistan gli equipaggi ed il personale di
supporto tecnico e logistico, per un complesso di 145 militari. La spesa preventivata per
questo schieramento è quantificata in 25,9 milioni di euro per un periodo di circa sette mesi,
fino a dicembre 2007. Tuttavia, assicura il ministro, «queste modifiche non alterano in alcun
modo la natura della missione» che resta “di pace” in un territorio dove la NATO si
distingue in sanguinosi attacchi che mietono vittime tra le popolazioni civili.
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Russia / Germania, 15 maggio. Il presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto il ministro
degli esteri tedesco Frank Walter Steinmeier, il cui paese ha la presidenza di turno dell’UE,
nella sua residenza di Novo Ogarevo, vicino a Mosca. Lo annuncia l’agenzia Itar-Tass,
ricordando che al centro dei colloqui sono il vertice UE-Russia in programma a Samara
venerdì e il summit dei G8 che si terrà in luglio in Germania. Venerdì a Samara, sul Volga,
Mosca e Bruxelles avrebbero dovuto affrontare il nodo dell’accordo di partnership strategica
in scadenza a fine anno, ora paralizzato da un doppio veto polacco.
•
Russia / Iran. 15 maggio. Mosca pronta ad accogliere Teheran nella CSTO, la cosiddetta
“NATO russa”. Lo scrive il Giornale, secondo cui la notizia sarebbe emersa duranti i
colloqui di Mosca tra il segretario di Stato Condoleezza Rice e le autorità russe per cercare
di appianare la contesa sullo scudo spaziale. Colloqui dopo i quali forse non a caso la Rice a
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sorpresa annunciava da Mosca il via libera ad incontri sulla situazione irachena con il
regime della Repubblica Islamica. Subito dopo l’annuncio della Rice, Mosca fece sapere di
esser pronta ad ammettere Teheran nell’Organizzazione per il trattato collettivo di sicurezza
(CSTO), alleanza che riunisce sotto l’egida di Mosca Armenia, Bielorussia, Kazakistan,
Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Tale mossa renderebbe estremamente pericoloso per
gli USA attuare un “attacco preventivo” su Teheran. Intanto il presidente iraniano
Ahmadinejad, rispondendo ai moniti guerrafondai del vice presidente USA Dick Cheney
sulla necessità di metter fine alle attività d’arricchimento dell’uranio, ha promesso durissime
rappresaglie in caso di attacco. «Sanno bene che se commetteranno un errore di quel genere
la rappresaglia sarà durissima e li farà pentire del loro gesto».
•
Palestina. 15 maggio. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) accusa Israele di
rimodellare Gerusalemme a scapito dei palestinesi che vivono nella parte orientale della
città. In un rapporto confidenziale pubblicato oggi dall’International Herald Tribune, il Cicr
scrive che Israele utilizza il suo status di potenza occupante per «promuovere i suoi interessi
o quelli della sua popolazione a discapito della popolazione del territorio occupato», fatto
che è «estraneo alla lettera e allo spirito del diritto umanitario relativo all’occupazione».
Israele ha conquistato e annesso il settore orientale arabo di Gerusalemme durante la guerra
israelo-araba del giugno 1967 e, nel 1980, ha proclamato che l’insieme della città è la sua
«capitale eterna e indivisibile». Quest’annessione non è mai stata riconosciuta dalla
comunità internazionale, che considera Gerusalemme est un territorio occupato al pari di
Cisgiordania e Gaza.
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Palestina. 15 maggio. Le fazioni rivali palestinesi si sono accordate su una nuova tregua per
tentare di frenare i violenti scontri in corso fra Hamas e Fatah nella Striscia di Gaza. La
notizia è stata data dal portavoce governativo Ghazi Hamad. D’altro canto i passati accordi
non sono serviti ad arginare gli scontri, che questa notte hanno portato all’uccisione di un
membro di Hamas e di almeno cinque esponenti di Fatah, nel corso della mattinata. Dalla
scorsa domenica almeno 9 persone sono morte e oltre 30 ferite nel peggior scoppio di
violenza che la Striscia di Gaza abbia conosciuto da molti mesi a questa parte. Lunedì
l’Autorità Palestinese aveva mobilitato tutte le proprie forze di sicurezza nel tentativo di
fermare gli scontri per le strade della Striscia.
•
Libano. 15 maggio. Il deputato libanese di Hezbollah Ali Ammar ha affermato, nel corso di
una conferenza stampa, che potrebbe avere gravi conseguenze la decisione del Consiglio di
sicurezza ONU di imporre unilateralmente al Libano un Tribunale internazionale chiamato a
giudicare i presunti responsabili dell’attentato Hariri, come richiesto, invece, dalla
maggioranza parlamentare libanese che sostiene il premier Fouad Siniora. «State attenti a
fare qualcosa del genere. Considereremo il Consiglio di Sicurezza responsabile se adotterà
una simile decisione», ha detto Ammar.
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USA. 15 maggio. Il Pentagono ha deciso di rendere inaccessibile dalla sua rete telematica
tredici siti tra cui MySpace e YouTube. A riferirlo è stato il New York Times che ha citato
una disposizione impartita dal generale Bell, comandante delle forze USA in Corea del Sud.
Ufficialmente, il Pentagono vuole impedire ai militari impegnati in missioni all’estero di
collegarsi troppo spesso a internet per divertimento. Il traffico eccessivo, ha spiegato Bell,
influisce sull’efficienza della rete e pone rischi dal punto di vista della sicurezza informatica.
Il sospetto è però che Washington voglia impedire ai soldati di divulgare filmati
indipendenti e incontrollati, proprio mentre il Pentagono ha iniziato un’offensiva
propagandistica proprio su YouTube.
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USA. 15 maggio. CIA-Gate, Libby colpevole per quattro dei cinque capi d’accusa. Scooter
Libby, il fedele capo dello staff di Dick Cheney, è stato giudicato colpevole per ostruzione
della giustizia, due imputazioni di falso giuramento, e una imputazione di falsa
dichiarazione agli agenti dell’FBI, mentre è stato assolto dall’accusa di aver mentito
riguardo a una telefonata con il giornalista di Time, Matt Cooper. Libby rischia ora una
condanna fino a venticinque anni di carcere per una vicenda che lo ha visto in realtà soltanto
come un comprimario. Durante il processo, infatti, diversi documenti hanno dimostrato che
nel 2003, l’anno dell’aggressione all’Iraq, sia il vicepresidente Cheney che la Casa Bianca
erano preoccupati per le rivelazioni dall’ambasciatore Wilson. Dopo una missione in Africa,
Wilson aveva infatti smentito le informazioni dei servizi segreti sugli acquisti di materiale
nucleare in Niger da parte di Saddam Hussein e aveva poi accusato l’amministrazione di
aver ignorato le sue conclusioni per non smentire una delle giustificazioni alla guerra. Per
colpire un testimone imbarazzante, dalla Casa Bianca e dallo staff di Cheney uscì così la
pericolosa indiscrezione sull’identità di Valerie Plame, agente segreta della CIA e moglie
del diplomatico. Dopo una lunga inchiesta, il procuratore speciale Fitzgerald ha evitato di
incriminare sia Libby che Karl Rove (il principale consultente strategico di Bush) per la
rivelazione del nome di un’agente segreta, ma ha accusato il solo Libby di aver mentito più
volte negli interrogatori sui suoi rapporti con un piccolo gruppo di selezionati giornalisti.
Durante le udienze, tuttavia, le manovre dell’intera amministrazione per mettere a tacere una
storia imbarazzante, le rivalità interne e le tensioni sono venute palesemente alla luce.
«Questa è la fine di una storia molto triste, perché abbiamo dimostrato che degli alti
ufficiali di questa amministrazione erano disposti a mentire e a ostruire la giustizia», ha
spiegato Fitzgerald dopo la lettura della sentenza.
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