Autonomia e costruttivismo File

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AUTONOMIA E COSTRUTTIVISMO
GIOVANNI GUERRA
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche
Università di Firenze
[Guerra G. (2003): Autonomy and Constructivism, European Journal of School Psychology, 1, 1, 97-118]
[qui pag.1-6; 9-13;
Nel dibattito sui fondamenti della conoscenza, il costruttivismo occupa una posizione
piuttosto controversa e non univoca. In generale, indica in modo ampio quelle posizioni che in
ambiti diversi (epistemologia, psicologia, scienze sociali, etica, matematica) contrappongono a
forme ingenue di empirismo e di realismo la convinzione che la conoscenza non sia la “scoperta” di
elementi posti “là fuori” nel mondo, indipendenti dai soggetti conoscenti, ma sia il prodotto di una
attività di costruzione, in cui il ruolo costruttivo è giocato ora dalla mente (o anche dal cervello), ora
dalla società (o da specifiche forme di potere istituzionale), ora dal linguaggio (Pagnini)1.
Nell’elenco delle discipline che variamente si richiamano al costruttivismo non compare la
biologia. Ciò che qui propongo assume invece come punto di partenza proprio una serie di
considerazioni biologiche che portano al concetto di autonomia: è proprio questo concetto che
fonda, a mio avviso, l’ipotesi costruttivista. Ed è quanto mi propongo di discutere.
Ogni argomentazione ambisce ovviamente ad essere autosufficiente. Tuttavia non eviterò di
ricorrere all’Autore per dare maggior forza a ciò che può comunque apparire un accostamento di
saperi più sincretico che necessario. Freud nel Disagio della civiltà afferma che “l’incivilimento
dell’umanità e lo sviluppo dell’individuo sono entrambi processi vitali, che quindi devono
partecipare del più generale carattere della vita” (p. 625). Il biologico, lo psichico individuale e il
sociale sono dei fatti di natura e come tali vanno studiati. Freud ha sempre riservato uno sguardo
attento alla biologia dalla quale, peraltro, erano partiti i suoi studi. Nel brano riportato il conflitto è
tra Eros e pulsione di morte. La proposta che qui faremo è piuttosto lontana da un accostamento
metaforico tra processi biologici e processi psichici, utilizzando concetti fioriti negli ultimi decenni
ma parte dalla stessa premessa di individuare caratteri o processi generali comuni ai fenomeni vitali.
In ogni caso, l’accostamento tra i processi biologici e quelli psicosociali non si propone
certo di offrire un più solido appoggio a un approccio psicologico percepito come “debole” ma di
trovare una definizione transdisciplinare convincente di autonomia: una definizione che permetta di
elucidare i principi che, in ipotesi, dovrebbero reggere un sistema autonomo e dare consistenza alla
proposta costruttivista.
1. UN INCONTRO CON LA BIOLOGIA
Vorrei accennare a due filoni di ricerca biologica: quello relativo alla organizzazione del
vivente e quello relativo alla evoluzione - che per vie diverse ma convergenti portano verso il
concetto di autonomia.
1.1. L’organizzazione del vivente
1
Per sottolineare l’aspetto controverso della nozione vale la pena di ricordare che un pensatore come Friedrich A. von
Hayek usa il termine “costruttivismo” per designare quella teoria che, a suo dire, ha infestato in modo deleterio le
scienze sociali sostenendo l’idea secondo la quale l’uomo, avendo creato egli stesso le istituzioni della società e della
civiltà, può anche modificarle come vuole per i fini che desidera. A questo costruttivismo, von Hayek contrappone
l’idea che le azioni umane intenzionali comportino conseguenze inintenzionali e proprio allo studio di tali effetti
dovrebbero dedicarsi le scienze sociali.
1
E’ opportuno ricordare, in via preliminare, che esistono differenti concezioni della biologia.
In particolare, ai nostri fini, può essere utile identificare due modelli di biologia che per brevità
chiamerò “riduttivistica” o fisicalista e “complessa” (Guerra, 1997).
Per la biologia riduttivistica tutti i fenomeni biologici vanno ricondotti al livello inferiore
che sostiene il fenomeno osservato. Tale livello coincide, in definitiva, con le componenti fisicochimiche le cui interazioni, seguendo le leggi generali che governano il mondo, danno origine a tutti
i fenomeni osservabili.
La biologia “complessa” valorizza, invece, l’organizzazione: ciò che diventa cruciale non è
tanto l’identificazione delle componenti ma il modo assolutamente unico e particolare di
organizzarsi di queste nel dare origine al vivente. I sistemi biologici si caratterizzano per le tre
seguenti proprietà: (1) una rete di processi che producono e distruggono delle componenti che, a
loro volta, rigenerano continuamente la rete che le produce; (2) una barriera strutturale composta da
elementi prodotti dalla rete e che rende possibile la dinamica della rete stessa; 3) la presenza, in
aggiunta ai vincoli esterni, di vincoli interni rappresentati dal genoma. Da questo punto di vista, un
organismo vivente produce la sua stessa organizzazione che è ciò che gli permette di esistere, di
distinguersi e di essere distinto dall’ambiente (Varela, 1987, 1989). A questa organizzazione
particolare Humberto Maturana e Francisco Varela (1980, 1984) hanno dato il nome di autopoiesi.
L’autopoiesi è il meccanismo che caratterizza l’autonomia dei sistemi viventi. Un sistema:
1) è autonomo in quanto tutti i cambiamenti sono subordinati solo al mantenimento della propria
organizzazione; 2) ha un’individualità: mantenendo invariante la propria organizzazione, conserva
un’identità indipendente; 3) è un’unità: le frontiere sono specificate dai processi di autoproduzione;
4) gli avvenimenti esterni non hanno il carattere né di input informativi né di istruzioni, ma sono
perturbazioni che il sistema compensa modificandosi e mantenendo però sempre la sua
organizzazione interna: le perturbazioni possono solamente modulare la costante dinamica degli
equilibri interni.
Il concetto di autonomia nasce in contrapposizione a tesi che, più o meno consapevolmente,
propongono l’eteronomia. Il punto di vista eteronomo propone l’immagine di un organismo
determinato da un qualche fattore o interno (come il genoma) o esterno (l’ambiente o certi suoi
aspetti). L’autonomia pensa invece questi fattori non più come fattori che causano la vita del
sistema ma come vincoli all’interno dei quali il sistema si sviluppa secondo le sue potenzialità
autorganizzative. Un vincolo, da questo punto di vista, costituisce un limite ma anche una
possibilità per lo sviluppo.
D’altra parte, l’autonomia non significa isolamento o autosufficienza ma indica la
condizione che permette sia l’evoluzione del sistema sia l’interazione con altri sistemi autonomi.
Qui la biologia cellulare si articola con quella etologica.
Infatti, una volta che un’identità autopoietica si sia specificata, si può avviare una storia di
interazioni con altre unità autopoietiche e con il mondo. Interazioni che Maturana e Varela
chiamano “accoppiamenti strutturali”. Gli accoppiamenti possono dare origine ad una storia, ad una
evoluzione o possono anche essere distruttivi e portare alla scomparsa del sistema. Tra le possibilità
di accoppiamento strutturale ci sono quelle che danno origine agli organismi pluricellulari,
definibili come sistemi di secondo ordine e quelle tra organismi che danno origine ai sistemi di
terzo ordine (famiglia, clan, società).
L’identità di un sistema di secondo o di terzo ordine si realizza in modo analogo alla
autopoiesi: il meccanismo chiamato in causa è definito chiusura organizzativa. Un sistema si dice
organizzativamente (operazionalmente) chiuso se è caratterizzato da processi che: (a) dipendono
ricorsivamente gli uni dagli altri per generare e realizzare i processi stessi e (b) costituiscono il
sistema come una unità riconoscibile nello spazio in cui esistono i processi.
2
Vale la pena di sottolineare che, per gli animali superiori e per l’uomo in particolare, la
normale interazione con le figure parentali è indispensabile per attraversare i “periodi critici”2 al
tempo giusto. L’interazione sociale, in questo senso, è costitutiva dello sviluppo individuale.
2.2. L’evoluzione e l’adattamento
Quanto abbiamo presentato concerne il tema della organizzazione del vivente. Veniamo alla
biologia evoluzionista e al tema centrale dell’adattamento.
Tra le diverse interpretazioni, troviamo l’ipotesi che Varela, Thompson e Rosch (1991)
hanno chiamato della co-evoluzione e della co-determinazione e, all’interno di questa, l’ipotesi
cruciale, ai nostri fini qui, della costruzione dell’ambiente.
L’ambiente non è considerato come un dato con il quale l’organismo deve fare i conti ma è
costruito dall’organismo stesso che seleziona nel mondo che lo circonda quei pezzi che sono per lui
significativi. In effetti, il mondo può essere suddiviso e assemblato in infiniti modi per dare un
“ambiente”; ma per sapere qual è precisamente l’ambiente di un certo organismo dobbiamo
considerare appunto l’organismo che lo abita o –più propriamente- lo costruisce. Con Lewontin, si
potrebbe dire che, da questo punto di vista, l’ambiente degli organismi è codificato nel loro DNA,
invertendo in un certo senso la posizione di Lamarck. Questi infatti insisteva sull’idea che i
cambiamenti del mondo esterno determinassero i cambiamenti delle strutture interne. Viceversa qui
sono piuttosto i geni che, segnando i limiti fisiologici e morfologici dell’organismo, aiutano a
costruire l’ambiente.
Per ogni specie l’ambiente è un qualcosa di diverso. Le specie vivono tutte nello stesso
mondo ma non sono immerse tutte nello stesso ambiente: ciascuna ha costruito il proprio, di questo
ha esperienza e rispetto a questo esprime delle azioni adeguate.
Un secondo concetto cruciale biologico, all’interno di una visione evoluzionista, è quello di
selezione. In effetti, l’essenza della teoria di Darwin si trova nell’idea di selezione naturale che si
fonda sul postulato della variazione.
Su questo punto va ripreso e criticato un implicito che spesso grava nell’interpretazione
dell’evoluzione selettiva. Ogni “tratto” selezionato costituirebbe un aspetto migliorativo:
l’evoluzione biologica costituirebbe un vantaggio, vivremmo, come direbbe il leibniziano dottor
Pangloss, nel migliore dei mondi possibili.
Non è questa la sede per discutere di questa impostazione che riprende l’immagine di un
progresso biologico (ma, per estensione, anche sociale) che si autolegittima e si autogiustifica: ciò
che si afferma, per il fatto stesso di affermarsi, ha un sicuro valore migliorativo. Basterà rinviare
alle penetranti critiche di Stephen Jay Gould e alla sua suggestiva proposta delle cosiddette
“lunette”: ci sono delle circostanze casuali che offrono delle occasioni per degli sviluppi
contingenti, imprevisti e imprevedibili che non rispondono ad alcun progetto migliorativo ma che
comunque aprono vie nuove.
Ciò che permetteva a Darwin di interpretare l’evoluzione delle specie, viene ripreso in anni
recenti come spiegazione dello sviluppo di subsistemi biologici come il sistema immunologico e il
sistema nervoso centrale che possono essere considerati sistemi, a loro volta, autonomi.
Edelman (1987) ricorda che i requisiti ideali per ogni teoria selettiva sono: 1) una sorgente
di variazione che genera caratteri diversi; 2) degli strumenti che favoriscono un’interazione effettiva
con un mondo indipendente e privo di categorie assolute o predeterminate; 3) degli strumenti che,
nel tempo, amplificano in modo differenziale le forme varianti di una popolazione più adatta 3.
A questi requisiti rispondono in modo appropriato sia la teoria immunologica della selezione
clonale sia la teoria della selezione dei gruppi neuronici di Edelman (1987, 1992). Notiamo peraltro
che, a differenza di quanto avviene nel caso dell’evoluzione, questa selezione avviene nelle cellule
2
Per “periodo critico” si intende un periodo dello sviluppo temporalmente piuttosto ristretto che rende particolarmente
sensibili a certe esperienze che devono avvenire proprio in quel momento per consentire una evoluzione normale.
3
La proposizione di Edelman potrebbe essere riformulata nei termini di “una popolazione in grado, più di altre, di
utilizzare le occasioni incontrate”.
3
(linfociti) o nella competizione tra gruppi di cellule (neuroni) in tempi brevi: è un sistema selettivo
somatico.
Se è vero che l’evoluzione delle specie, il sistema immunitario, lo sviluppo del sistema
nervoso centrale affrontano le novità secondo principi selettivi simili si deve anche riconoscere che
l’organizzazione e i meccanismi sono molto diversi, specifici, propri ad ogni sistema. Ed è
naturalmente la nozione di validità dei principi e di specificità dei meccanismi che va ritenuta.
Le teorie selettive condividono proprio quei caratteri che prima abbiamo elencato come
specifici dell’autonomia. In particolare va sottolineato il fatto che l’interazione con l’ambiente non
ha nulla di istruttivo. Il mondo (dal punto di vista delle specie, dei neuroni e dei linfociti) si presenta
senza etichette, non c’è trasferimento di informazione dall’ambiente al sistema ma una
modificazione dello stato interno del sistema dovuta all’interazione con il mondo esterno: la natura
degli stati interni è determinata dalle proprietà auto-organizzative del sistema.4
2. PROGETTI DI PSICOLOGIA E RAPPRESENTAZIONI DEL SOGGETTO
Per affrontare il tema della autonomia in psicologia è indispensabile una premessa sulla
organizzazione del sapere psicologico.
Nel dibattito sulla psicologia si distinguono abitualmente le diverse teorie sulla base
dell’oggetto e/o del metodo. Canguilhem, in suo fondamentale articolo del 1958, invita invece ad
analizzare un momento precedente: quello della formulazione più o meno esplicita di un’intenzione
che organizza le esperienze e le osservazioni (Canguilhem, 1958, Guerra 2001). Su questa base è
possibile rintracciare una serie di progetti che indirizzano la ricerca psicologica in direzioni diverse.
Riprendendo l’analisi di Canguilhem e modificandola, ho proposto (Guerra, 1997) l’identificazione
di quattro grandi progetti di psicologia: come scienza naturale (psicofisiologia); come scienza del
controllo del comportamento; come scienza del rapporto soggetto/mondo (includendovi la
psicofisica, la teoria della Gestalt, il cognitivismo); come scienza della costruzione della realtà
(Piaget e Freud).
Non approfondirò ulteriormente qui l’analisi della psicologia per progetti se non per
evidenziare che, lungo questa via, si possono cogliere in modo piuttosto chiaro alcune
rappresentazioni del soggetto/organismo: il soggetto è passivo, attivo o autonomo.
Per le teorie S-R, il soggetto è sostanzialmente considerato passivo, rispondente a stimoli.
Anche laddove viene richiesta una sorta di attività, si pensi al condizionamento operante, di fatto il
soggetto è passivo rispetto alle scelte dello sperimentatore che decide quali comportamenti
rinforzare.
Altre teorie, invece, propongono l’immagine di un soggetto attivo: in modo molto evidente il
cognitivismo (il soggetto elaboratore di informazioni), ma anche certi aspetti della teoria della
Gestalt (Meinong, ad esempio) e della psicofisica (si pensi alla percezione come decisione del
soggetto nella Signal Detection Theory).
Infine, alcune teorie ci propongono la rappresentazione di un soggetto autonomo:
l’epistemologia genetica e una certa lettura della psicoanalisi si muovono in questa direzione.
Se ci fermiamo su alcuni aspetti della teoria indipendente dagli stadi, notiamo come Piaget,
nella ricerca dei meccanismi costruttivi generali che operano nell’intero sviluppo genetico,
attribuisca un particolare rilievo all’equilibrazione. I differenti stadi cognitivi sono stati di relativo
equilibrio, risultato di due processi fondamentali: l’assimilazione e l’accomodamento.
L’assimilazione è il processo attraverso il quale il soggetto riconduce nuovi aspetti della conoscenza
a schemi già noti. L’accomodamento, invece, rappresenta la modificazione degli schemi già
posseduti per adattarsi a nuovi aspetti della realtà. Il gioco dei due processi rende chiaro il fatto che
l’equilibrio non è uno stato ma un processo che attraversa squilibri ed equilibri successivi. Questa
4
Si dovrebbe sviluppare anche un discorso sul rapporto geni/esperienza. Non posso sovraccaricare questo testo già
troppo denso di riferimenti aggiungendo anche questa parte. Rinvio comunque a Lewontin (per esempio 1998) e in
particolare al concetto di norma di reazione.
4
complessa interazione prende il nome equilibrazione. Sua caratteristica è l’essere “maggiorante”,
nel senso che il raggiungimento di un nuovo equilibrio implica la costruzione di nuove forme di
pensiero. Il nuovo equilibrio è dunque di livello superiore: il che permette di chiarire lo sviluppo
delle strutture cognitive nell’interazione con l’ambiente.
E’ importante notare come gli “aspetti nuovi” della realtà che il soggetto incontra e che
inducono il processo di equilibrazione presentino delle caratteristiche particolari. Nelle teorie S-R
gli “aspetti nuovi” svolgono la funzione di stimoli che spingono l’organismo a rispondere secondo
certe regole. Nel cognitivismo assumono invece la funzione di informazioni che indirizzano
l’elaborazione dei processi cognitivi. In Piaget, gli aspetti nuovi sono delle “perturbazioni” cioè
elementi che perturbano l’equilibrio attivando i processi di equilibrazione senza peraltro essere
dotati del potere di istruire l’organismo sul da farsi. E’ piuttosto l’organismo che utilizza le
perturbazioni cosicché il suo adattamento può essere letto (in termini appunto costruttivistici) non
solo come un’espansione delle strutture adattative ma anche come un’estensione dell’ambiente al
quale si adatta. La costruzione delle strutture cognitive implica, infatti, una concomitante
costruzione dell’ambiente.
Lo sviluppo è dunque un processo di autorganizzazione: il centro al quale si riferisce lo
sviluppo è il soggetto stesso. Alla (auto)costruzione del soggetto corrisponde una correlativa
costruzione del mondo: il mondo è costantemente diverso in funzione del livello delle strutture
cognitive.
La proposta di Piaget è perfettamente in linea con quella prospettiva dell’autonomia di cui si
è detto.
Ma l’uomo costruisce la realtà anche in un altro modo cioè attribuendo senso alle sue
esperienze, alla sua storia, alle sue relazioni. Da dove viene la capacità dell’uomo di dare significati
sempre nuovi alla realtà ovvero di costruire realtà di significato differenti? La psicoanalisi può
aiutarci a ottenere una risposta.
Da un punto di vista filogenetico, l’invenzione degli strumenti segnala la comparsa del tratto
specie-specifico dell’uomo: la capacità simbolica. È qui che si colloca la biforcazione tra gli
antenati dell’homo sapiens e gli altri Primati. La fabbricazione della selce tagliente è indipendente
dall’occasione d’uso: si fabbricano le armi in vista di un utilizzo non immediato. Nello stesso modo,
la parola non è né solo né tanto un segnale in quanto è agganciata al concetto la cui “durata”, pur di
natura diversa, è paragonabile a quella dell’utensile. Parlare e fabbricare strumenti sono attività
correlative della capacità di porre una relazione tra i fenomeni e di farsene uno schema simbolico
(dunque in assenza dei fenomeni stessi): questa capacità segnala la comparsa delle specie umana
(Leroi-Gourhan, 1964).
Tutto ciò però non basta a fornire una risposta soddisfacente a quel di più che è la capacità
di creazione dell’uomo. Da dove viene questa capacità? Dove trova alimento?
Freud fornisce una via di risposta nel proporre la dimensione dell’Inconscio (Ics) e la
complessa articolazione dell’apparato psichico. A questo proposito, la rilettura di Matte Blanco
(1975, 1988) dell’inconscio in termini di bi-logica è una guida illuminante. Matte Blanco propone,
infatti, l’idea che l’Inconscio non sia né solo né tanto un contenitore di contenuti rimossi ma anche
una modalità specifica del funzionamento della mente. Il modo d’essere del sistema conscio è
esemplarmente rappresentata dalla logica aristotelica basata sui principi d’identità, di non
contraddizione, del terzo escluso. Questa logica è definita da Matte Blanco asimmetrica proprio
perché distingue e differenzia gli oggetti e le rappresentazioni. L’Inconscio, invece, presenta
un’altra logica definibile come simmetrica, i cui principi fondamentali sono il principio di
generalizzazione e il fatto di trattare la relazione inversa di qualsiasi relazione come se fosse
identica alla relazione.
La mente umana risulta così un sistema bi-logico, formato cioè da due logiche: asimmetrica
e simmetrica, la prima funzionante in termini proposizionali-relazionali, la seconda in termini di
generalizzazione. Il pensiero (attività proposizionale-relazionale, propria della logica asimmetrica,
cosciente) è costantemente indotto all’attività per il fatto di essere circondato da simmetria: il
5
pensiero costruisce delle “borse di simmetria”, introduce una rottura della simmetria, crea una
differenziazione. L’essere simmetrico fornisce al pensiero una fonte inesauribile, una materia
infinita da cui possono nascere le significazioni, il senso, la conoscenza. L’Inconscio appare come
una sorgente infinita di possibili significazioni.
Il riferimento ad una fonte inesauribile di varietà e alla dialettica tra le parti dell’apparato
psichico è presente anche in Castoriadis (1975, 1978 a) quando parla dell’immaginario radicale,
cioè di quella capacità di creazione ex nihilo che è propria dell’inconscio. In effetti, “l’immaginario
deve utilizzare il simbolico, non solo pour esprimersi, ciò che va da sé, ma per esistere, per passare
dal virtuale a qualunque cosa sia di più” (Castoriadis, 1975, p. 177).
L’Inconscio, dunque, fornisce del materiale (infinito) sul quale opera il pensiero cosciente.
Tenendo il filo della nostra argomentazione (e il riferimento alla terminologia biologica),
possiamo parlare dell’inconscio come di una sorgente di variazione ovvero come della fonte
inesauribile di un materiale su cui può operare il pensiero conscio.
Va anche detto che se la potenzialità creatrice dell’Ics da una parte appare infinita è per altro
anche limitata. E lo è per almeno due ragioni.
Una ragione risiede nel fatto che il “repertorio di fantasie inconsce che l’analisi può scoprire
in tutti i nevrotici e probabilmente in tutti gli esseri umani” (Freud, 1915) è piuttosto limitato. È un
repertorio finito, anche se le modulazioni individuali sono naturalmente infinite. Ne sono un
esempio i fantasmi originari (Laplanche e Pontalis, 1985). Lo sviluppo stesso ruota intorno a degli
attrattori e per quanto le esperienze e la loro elaborazione sia assolutamente unica e individuale è
possibile elaborare una metapsicologia che indica delle linee epigenetiche generali. Si può dire che
l’organizzazione psichica ruota intorno ad una serie finita di organizzatori infinitamente variati.
Una seconda limitazione proviene dalla storia del soggetto, nel senso che il soggetto
seleziona le sue esperienze, introducendo così un percorso che lo porterà a scegliere, a riconoscere e
a ritrovare certi aspetti del reale e a escludere e a ignorare altri.
È nel rapporto tra Inconscio, Conscio, esperienza e linguaggio che si determinano, per
selezione, i modi di sentire, le scelte di vita, i comportamenti, nonché la “scelta della nevrosi”
(Freud, 1913).
Tra una posizione che pensa al Sé come costruzione individuale intrapsichica del soggetto e
una posizione che pensa al Sé come costruzione interpersonale le differenze sono molte ma non è
semplicistico affermare che risiedono sostanzialmente nel privilegio accordato a certi processi
organizzativi piuttosto che altri. Indubbiamente l’assunzione di un punto di vista piuttosto che di un
altro determina delle conseguenze divergenti sia nella lettura del funzionamento del soggetto (o
della psicopatologia) sia nella tecnica di intervento5. Il concetto di autonomia non è certo di per sé
sufficiente a risolvere l’impasse ma, assumendo la complessità dei sistemi, porta (1) a considerare
con uguale rispetto le diverse componenti e (2) ad accettare anche la limitatezza di uno sguardo che
può guardare (e intervenire) da una sola prospettiva.
Devo, infine, aggiungere una piccola nota a questa sin troppo rapida incursione nella
psicoanalisi. Più sopra parlavo di “una certa psicoanalisi” che può portare alla rappresentazione di
un soggetto autonomo e mi sono appoggiato su Matte Blanco e Castoriadis per indicare una via in
questa direzione. Il dibattito nella psicoanalisi, come è noto, è assai ampio e si trovano posizioni
diversissime. Proprio sul punto dell’autonomia segnalo, come esempio, la posizione diametralmente
opposta di Jean Laplanche ben evidenziata dalla sua ripresa della teoria della seduzione: la
sessualità infantile proviene dall’impianto di messaggi seduttivi provenienti dall’adulto (per
esempio, dalle manipolazioni materne del neonato). Senza ignorare il ruolo di chi si prende cura del
bambino, per parte mia suggerirei che è il bambino a selezionare, tra le diverse esperienze, quelle
così rilevanti da diventare organizzatrici del suo sviluppo. Certamente il mondo circostante offrirà
al bambino occasioni diverse per qualità e quantità: un mondo più ricco di occasioni permetterà uno
sviluppo con maggiori potenzialità e –viceversa- un mondo più povero (o più patologico) offrirà
5
Per la verità, questa situazione sembra soprattutto una buona dimostrazione del fatto che le teorie sono –per dirla con
Quine- sottodeterminate dalla esperienza.
6
minori chance. Ma il tutto rimane comunque imprevedibile. Probabilmente non riusciremo mai a
sapere il “perché” di una certa selezione e, dunque, di una certa evoluzione ma è certamente
possibile farci un’idea del “come” sia avvenuta e di cosa abbia prodotto.
[…]
4. PER UNA CARATTERIZZAZIONE DEGLI OGGETTI AUTONOMI
A questo punto possiamo dire che i concetti chiave di autorganizzazione, costruzione di sé e
dell’ambiente, vincoli e possibilità (Ceruti, 1986), varietà, selezione, evoluzione, contingenza
offrono un’idea piuttosto precisa e coerente del significato del termine “autonomia”.
Il costruttivismo si iscrive nella logica della autonomia. Partendo dal vertice dell’autonomia
(dell’organismo biologico, del soggetto psicologico, del sistema sociale) ne deriva inevitabilmente
il carattere costruttivista della vita.
Vale la pena di aggiungere alcune precisazioni.
1. Il discorso sull’autonomia si muove all’interno di quel insieme di tematiche che vanno sotto il
nome di complessità. La complessità come discorso di moda sembra fortunatamente tramontato ma
non sono però tramontati alcuni punti forti. Una delle nozioni chiave è l’acquisizione che un sistema
complesso non può essere descritto contemporaneamente da tutti i punti di vista. Nozione
elementare, quasi di buon senso, che si inserisce all’interno dei teoremi di limitazione. La scelta di
un punto di vista rende visibili e comprensibili certi fenomeni e ne rende invisibili altri. Un secondo
punto forte è dato dal fatto che la complessità non si riferisce solo alla complicazione cioè al fatto
che molti elementi sono in relazione fra di loro. L’aspetto più specifico è dato dal fatto che le
caratteristiche di organizzazione sono imprevedibili a livello delle componenti e non sono prescritte
dall’esterno del sistema stesso. Una terza nozione chiave è l’imprevedibilità della evoluzione dei
sistemi complessi in ragione della sensibilità a perturbazioni casuali non facilmente definibili di per
sé come cause. L’ambizione à la Laplace di poter controllare il mondo è destinata a naufragare
rapidamente di fronte ai sistemi complessi. Il che non vuol dire che si cade nell’indeterminismo,
nell’ineffabile o magari nel magico. Molto più semplicemente, determinismo e prevedibilità non
sono più sinonimi, due facce della stessa medaglia ma si separano: ogni fenomeno è certamente
determinato ma non è (del tutto) prevedibile nella sua evoluzione.
2. L’autonomia non equivale alla autosufficienza onnipotente. Il concetto di autonomia deve essere
sempre accompagnato dalla nozione di vincolo: vincoli fisici (ad esempio, quelli dati dal mondo nel
quale viviamo: gravità, ecc.), biologici (ad es. il genoma), psicologici (ad esempio, la necessità della
presenza per il neonato di figure di accudimento). “Imporre la propria norma all’ambiente”, che per
Canguilhem sarebbe la caratteristica del vivente, non è un’operazione di potere, tanto meno di
onnipotenza: molto semplicemente indica quelle caratteristiche proprie del vivente che si possono
esprimere costruendo un ambiente ma sempre e inevitabilmente all’interno di limiti.
3. Spesso si usano autonomia e indipendenza come sinonimi. L’errore non è solo lessicale ma
soprattutto concettuale. L’autonomia si riferisce alla questione: chi detta la norma (di vita)? La
dipendenza/indipendenza misura (secondo una qualche scala da definire di volta in volta) la
quantità o la qualità dei vincoli che limitano il ricorso alle risorse circostanti data una certa norma.
Un neonato, ad esempio, è assolutamente autonomo ed è, nello stesso tempo, totalmente dipendente
per la sua sopravvivenza.
4. Una ulteriore precisazione concerne la questione delle “occasioni” o possibilità offerte dal mondo
all’organismo/soggetto. La costruzione dell’ambiente deve fare i conti con le risorse del mondo
circostante. Ancora una volta la biologia ci può aiutare nel comprendere questa vicenda attraverso il
concetto di “norma di reazione” (cfr. nota 2). È lapalissiano sostenere che, come dicevamo più
sopra, un mondo più ricco di occasioni permetterà uno sviluppo con maggiori potenzialità e
viceversa, un mondo più povero offrirà minori chance. Ma il tutto rimane comunque imprevedibile.
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In questa prospettiva, ci ritroviamo nell’ipotesi di uno sviluppo nella quale il determinismo appare
sganciato (parzialmente) dalla prevedibilità.
5. Il punto di vista della autonomia permette di affrontare una serie di antinomie del tipo: individuo
e società, mente e cervello/soma, geni ed esperienza, natura e cultura, soggettivo e oggettivo,
razionalità ed emozione e così via– antinomie che invocano la ricerca di “ponti” se non proprio di
soluzioni. Nella misura in cui queste antinomie riguardano oggetti autonomi, più che una soluzione
o una via intermedia abbiamo una vera e propria alternativa se si tengono presenti sia la limitazione
del punto di vista dell’osservatore di fronte ad un sistema complesso sia la comparabilità dei
processi costitutivi degli elementi posti come antinomici.
La proposta dell’autonomia mi sembra che possa fornire una chiave di lettura unitaria e non
confondente dei diversi oggetti di lavoro con cui psicologi, educatori, formatori, “agenti di
cambiamento” si confrontano, così come può permettere una lettura dei processi di cambiamentoterapia, apprendimento, socializzazione, formazione ecc.
Soprattutto mi preme sottolineare che il punto di vista della autonomia permette la
distinzione dei diversi oggetti di lavoro e dei diversi livelli di intervento. Lavorare con un soggetto
singolo, con un gruppo, con un sistema organizzativo non sono la stessa cosa; così come un lavoro
psicoterapeutico non è un lavoro di formazione né di insegnamento. Ma la lettura dei fenomeni e le
tecniche di intervento possono riconoscersi all’interno dello stesso quadro concettuale. Si può allora
instaurare un dialogo non confusivo ma fecondo tra attori diversi che proponendosi obiettivi diversi
camminano nella stessa direzione.
[…]
BIBLIOGRAFIA
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