La moneta tiene assieme l`Europa

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La moneta tiene assieme l`Europa
Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
La moneta tiene assieme l’Europa
65 anni fa, esattamente il 18
aprile 1951 i paesi del Benelux
assieme a Germania, Francia e
Italia firmarono il trattato che
istituì la Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Ben sei anni dopo la fine della
Seconda Guerra mondiale e il
crollo del Terzo Reich era questa la prima istituzione comune
che valicava i confini in Europa.
Questa unione, oltre ad avere una componente nettamente economica ne aveva di certo anche una politica.
Tra gli obiettivi più significativi del potere esecutivo
dell’epoca non vi era solo la ricostruzione dell’Europa ma
soprattutto la pace. L’idea di unificare la produzione di
acciaio tedesca e quella francese nacque per necessità.
All’epoca l’industria del carbone e quella dell’acciaio
erano per l’economia europea un settore fondamentale.
Il tasso di occupazione in tale settore rappresentava un
barometro per il clima vigente nel mercato del lavoro e
per questo un punto chiave in politica. Fin da allora
questi settori si mostrarono soggetti a crisi.
Anche se i Tedeschi elogiavano a dismisura il loro acciaio
“Krupp” e questa tendenza si trasferì se per poco
all’acciaio svedese fu presto chiaro che questi settori
erano ormai oltrepassati. Com`è noto ci furono tre grandi
crisi che sancirono la fine della produzione dell’acciaio
ordinario. Con il senno di poi, la CECA, non rappresenta
altro che un paracadute aperto dai suoi membri per salvare un settore ormai in declino. Tuttora ne carbone ne
acciaio figurano tra i beni di esportazione europei principali. Sono stati tenuti in vita artificialmente. La differenza
per qualità la riescono a fare solo pochi offerenti di nicchia; redditizi ma piccoli. Altrimenti è unicamente il prezzo a guidare il mercato dell’acciaio e l’Europa ha pochissime sennonché nessuna possibilità. L’estrazione del
carbone, nero quello dell’Ovest e marrone quello dell’Est,
non ha mai rappresentato un ramo dell’economia competitivo bensì uno status politico. In qualche modo però,
l’industria del Carbone riuscì a tenere insieme l’Europa.
Così come oggi, solo che il carbone non viene più estratto ma somministrato sotto forma di denaro dalla BCE in
dosi massicce al sistema bancario già cagionevole dove
svanisce quasi completamente o va in fumo nei mercati
finanziari.
Morale della storia?
La situazione dell’Europa nel settore dell’estrazione del
carbone è generalmente conosciuta. L’Europa non è più
da tempo tra i maggiori produttori. La Polonia, il maggiore produttore di carbone europeo (esclusa la Russia con
4.3% di partecipazione al mercato) si trova al 9° posto
della classifica mondiale di produttori di carbone con una
Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
29.06.2016
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partecipazione al mercato minima di 1.5%). La Germania
è all’11° con l’1.1%. La Cina estrae quasi la metà del
carbone su scala globale, gli USA scarso il 13%, Indonesia e Australia rispettivamente ben 7% della produzione
mondiale. Fermare il declino dell’industria del carbone
non era possibile nemmeno con la CECA. Si è potuto
solamente assistere alla sua dispendiosa sconfitta. Allo
stesso modo non si è potuta salvare l’industria
dell’acciaio ma unicamente prolungare la sua agonia
rimettendoci somme di denaro ingenti. Anche se cercando su google «crisi europea dell’acciaio» si ottengono
svariati risultati sarebbe più corretto cercare al plurale.
Infatti, dopo la sottoscrizione della CECA non ci è stato
un decennio in cui il settore - precisamente quello della
produzione dell’acciaio ordinario - non sia stato sopraggiunto dalla crisi. La CECA fallì decisamente i suoi obiettivi (economici). Sulla base di un mercato comune si volevano dare degli impulsi positivi di crescita all’economia e
così aumentare l’occupazione. In realtà la partecipazione
al mercato della produzione di acciaio europeo diminuì
drasticamente. Oggi l’EU28 ha una partecipazione di
circa il 10% mentre la Cina di quasi il 50%. Si registra
invece una partecipazione esorbitante per quanto riguarda la mancanza di produzione dovuta a scioperi legati
alle tariffe e altro. Questa sembra essere la morale della
storia. Quando l’Europa si unisce per salvare i deboli va
(quasi) tutto storto e non solo col carbone.
Stucco invece che carbone
Oggi l’unione dell’Europa non è dovuta più al carbone
bensì alla moneta unica. La scelta errata di una moneta
comune viene difesa ad ogni costo anche se solo marginalmente e non nelle fondamenta e questo causa costi
esorbitanti. Oggi, nella zona monetaria il denaro viene
distribuito a destra e a manca per suscitare all’apparenza
una comunità solidale con un grande futuro dinanzi a se
che deve solo risolvere un problema temporaneo. Lo
stucco sotto forma di libertà di scelta non viene però
sostituito dalla moneta. La decisione dei Britannici a favore del Brexit mostra chiaramente i limiti di tale autonominata Comunità Solidale. Si vuole rendere l’uscita il più
doloroso possibile. Chi esce paga, così tuonano a Bruxelles e soprattutto a Parigi. Le ragioni per la decisione della
Gran Bretagna vengono messe in secondo piano poiché
lo spazio monetario europeo e l’unione economica devono prevalere su ogni dubbio. Uscire dall’Europa eguaglia
aver offeso la Regina in persona. Ma attenzione. L’UE
farebbe meglio a mettere da parte il rancore, pensare
approfonditamente e non mettersi ad urlare come è
abituata a fare, poiché non è nell’interesse di nessuno
isolare completamente le Isole Britanniche. Di ciò si è
resa conto anche la signora Merkel che non ha preso
parte all’attacco nei confronti dei Britannici. La Germania
infatti genera quasi 50 miliardi di Euro in eccedenza solo
con la circolazione delle merci verso e dal Regno Unito.
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Fretta falsa e finta
In Gran Bretagna le discussioni sfrenate dopo l’evento
hanno appena avuto inizio. Ora bisogna dare loro spazio
e tempo poiché il Paese è sottosopra e forse addirittura
destinato a dividersi. Questo non può far piacere
all’Europa poiché i danni sarebbero ingenti. Dopo la
Brexit gli Inglesi sono stati beffati anche dell’uscita dal
campionato europeo di calcio perdendo inaspettatamente contro l’Islanda. La Gran Bretagna ora ha bisogno di
rimettersi e soprattutto gli Inglesi devono ritrovare la
fiducia in se stessi. La fretta di Bruxelles è fuori luogo e
viene al momento sbagliato. Spingere il Primo Ministro
Britannico a dare le dimissioni solo per introdurre l’inizio
delle trattative di scissione è un’insignificante e stupida
dimostrazione di potere. Non è tipico dell’UE fare le cose
in fretta, infatti sono i campioni della lentezza e i migliori
a tirare per le lunghe i problemi. Ma secondo Bruxelles,
l’insicurezza dovuta alla Brexit è un problema di tale portata da dover essere risolto immediatamente. E la Grexit
invece è stato un «piacere» che non bisognava risolvere
mai? Anche altre questioni sono rimaste irrisolte. I profughi possono ancora rimanere in Grecia, i trafficanti farsi
strada per tutta l’Europa senza pensieri, invece la questione Brexit non può attendere? Si tratta di pura ostinazione poiché la Gran Bretagna non è andata via dal Paradiso bensì da un orfanotrofio triste e oscuro. E a questo
punto Bruxelles preferirebbe sbattere fuori i Britannici
con una mossa lampo e così mettere fine alla storia.
La logica dell’UE: meglio il greco dell’inglese?
Ho preso il massimo dei voti in inglese
Non ti serve più
Se la politica europea avesse agito in modo rapido come
ora sin dall’inizio della crisi dell’euro o forse meglio se
avesse mantenuto le promesse e ottemperato ai contratti
molto prima, allora oggi la Gran Bretagna sarebbe ancora con certezza un affidabile membro dell’UE. E chi lo sa
forse anche la Sterlina sarebbe già da tempo solo storia.
Così come la roccaforte dell’acciaio e del carbone che
alla fine divennero vittime della comunità. Per una volta
deve essere la pazienza a prevalere e questo da entrambi
i lati del Canale della Manica.
Martin Neff, Economista capo di Raiffeisen
Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
29.06.2016
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Tel. +41 (0)44 226 74 41
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