le àncore - Ancora Libri

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collana
LE ÀNCORE
Nella stessa collana
Davide Caldirola
Con le ali ai piedi
Frammenti di vita negli Atti degli apostoli
Davide Caldirola
Di donne e di gioia
Itinerario spirituale nel Vangelo di Luca
Davide Caldirola
Il fuoco e la strada
Sulle tracce di Mosè
Bruno Maggioni
Con le finestre aperte
La Bibbia racconta la famiglia
Bruno Maggioni
Fin dal mattino la mia voce ascolta
La Bibbia scuola di preghiera
Franco Manzi
Prove di Dio o tentazioni del diavolo?
Itinerario biblico per non perdere la fede
Carlo Maria Martini
Teresa d’Avila maestra di preghiera
Roberto Seregni
Risillabare le Parabole
Luca Violoni
La disciplina della misericordia
alla luce del Discorso della montagna
Luca Violoni
Tommaso, la beatitudine della fede
Meditazioni evangeliche
Il catalogo Àncora aggiornato si trova su www.ancoralibri.it
Davide Caldirola
La compassione
di Gesù
Meditazioni bibliche
Prefazione di Franco Brovelli
Immagine di copertina:
Giotto (1267-1337), Ultima cena (part.)
Padova, Cappella degli Scrovegni
Per i testi biblici:
© 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi
e Caterina da Siena, per gentile concessione
Prima edizione: 2007
Nuova edizione: 2016
© 2007 ÀNCORA S.r.l.
ÀNCORA EDITRICE
Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano
Tel. 02.345608.1 - Fax 02.345608.66
[email protected]
www.ancoralibri.it
N.A. 5605
ISBN 978-88-514-1686-7
Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano
Questo libro è stampato
su carta certificata FSC ,
che salvaguarda le foreste,
in uno stabilimento grafico
con Catena di Custodia
certificata FSC (Forest
Stewardship Council ).
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Prefazione
Non l’abbiamo certo inventato noi, donne e uomini
di oggi, il tema della «compassione di Gesù»; né lo
mettiamo in risalto per le immediate sintonie che esso
può mostrare di avere con il clima culturale e religioso
del nostro tempo. Chi accosta con attenzione le pagine
della Scrittura, e quelle dei Vangeli in particolare, lo
deve riconoscere come un richiamo ricorrente, quasi
fosse un colore irrinunciabile nel quadro vivo del Vangelo di Gesù.
Don Davide lo ha intuito bene; ci racconta con il suo
linguaggio incisivo e fresco le risonanze che numerose
pagine del Vangelo gli fanno nascere nell’animo ascoltando il Maestro che «prova compassione per la folla».
Il commento è suo, certo; espresso con la sensibilità
di un prete che è parroco nella città di Milano. Non
sarà difficile riconoscere però in quanto scrive l’eco
di esperienze, fatiche ed attese di tanti altri che dentro
una molteplicità di vocazioni stanno servendo il Vangelo nel cammino delle comunità cristiane. Le molte
relazioni di cui è intessuta la sua vita l’hanno reso sempre più desideroso di ascolto e di condivisione sincera.
Le sue sono parole dette «in cordata», con molti altri
compagni di viaggio; mi ci ritrovo anch’io, che ho con
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lui un legame di intensa amicizia e di comunione sin
da quando divenne prete.
Una presenza consistente in questa sua predicazione l’hanno avuta certamente le Piccole apostole della
Carità che l’ascoltavano in un clima di silenzio e di
preghiera; hanno una familiarità grande con i bimbi
disabili, stanno accanto con finezza e competenza alle
loro famiglie, animano genialmente molte espressioni
di carità e di servizio. Hanno davvero imparato il linguaggio della «compassione di Gesù», fino a scegliere
di dedicare la loro vita a percorrere sentieri che ne
dicono, almeno un poco, l’intensità e la bellezza.
Don Franco Brovelli
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Introduzione
Rabbi Moshe di Sassov narrava: «Come amare gli
uomini, l’ho imparato da un contadino. Questi sedeva
in una mescita con altri contadini e beveva. Tacque a
lungo, come tutti gli altri, ma quando il suo cuore fu
mosso dal vino si rivolse al suo vicino dicendo: “Dimmi
tu, mi ami o non mi ami?”. Quegli rispose: “Io ti amo
molto”. Ma egli disse ancora: “Tu dici: io ti amo molto e
non sai che cosa mi affligge. Se tu mi amassi veramente, lo sapresti”. Allora io compresi che questo è l’amore
per gli uomini: sentire di che cosa hanno bisogno e
portare la loro afflizione».
Nel maggio di alcuni anni fa mi trovavo a Lourdes.
Partecipavo al pellegrinaggio che ogni anno «La Nostra Famiglia» organizza e prepara con cura per i suoi
ragazzi e le loro famiglie, gli amici, i conoscenti, tanti
semplici fedeli. Tra le domande e le aspettative che uno
porta con sé in una circostanza così, me ne tenevo stretta una in particolare. Non era la più importante, certo,
ma in qualche modo aveva il suo peso. Sapevo che di lì
a qualche mese avrei dovuto predicare questo corso di
esercizi. Al di là della mia palese insufficienza e impreparazione («Ci penserà lo Spirito a lavorare», pensavo
con grande tranquillità), mi restava la domanda: «Cosa
dire, di cosa parlare?».
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Certo – mi dicevo – non è la mia parola quella che
conta, ma quella del Signore. Ma come aiutare a proporre e a far gustare questa Parola? Come orientarsi
nella sterminata ricchezza della Scrittura, quali testi
sottoporre all’attenzione e alla preghiera di chi entrerà
nell’esperienza degli esercizi?
Sono stato indubbiamente aiutato dal tema che il pellegrinaggio proponeva: «Venite a me…». Era l’invito di
Gesù a lasciarsi attirare dalla sua compassione e dalla
sua tenerezza. Noi, affaticati e oppressi, abbiamo riletto
e riascoltato insieme la parabola del samaritano, ci siamo riconosciuti nello sconosciuto aggredito e lasciato
mezzo morto, abbiamo sperimentato la consolazione di
un Gesù che si china sulle nostre ferite e le cura.
Ma sono stati due episodi semplici a orientare la mia
attenzione verso la compassione di Gesù.
Il primo. Al termine della grande processione eucaristica ci siamo ritrovati nella basilica sotterranea.
Eravamo migliaia di persone. Durante l’adorazione al
Santissimo si è creato un istante di silenzio, e proprio
in quel momento hanno preso forza e risalto i lamenti
degli infermi sulle lettighe, le grida scomposte dei
bambini disabili, i gemiti dei sofferenti, le cantilene
ossessive dei malati di mente. Mi è parso di capire che
quel linguaggio assolutamente incomprensibile alle
mie orecchie suonava chiarissimo al cuore di Cristo.
Il Signore capiva la voce della sofferenza, ascoltava il
grido del povero. I gemiti diventavano salmi, i lamenti
preghiera. E mi sono detto: «Qui c’è qualcosa che fa i
conti col miracolo della compassione di Gesù, qui si
apre per un istante la porta del Mistero. Mi piacerebbe
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capire qualcosa di più, ma per farlo non ho altro mezzo che di entrarci anch’io, di porre in qualche modo
davanti a lui la mia ferita, il mio pianto, le mie parole
inarticolate e sconnesse, il mio gridare “dal profondo”,
come dice il Salmo 130». Ho deciso che volevo provare
a toccare il lembo del mantello della compassione di
Gesù.
Il secondo. Al termine della processione aux flambeux, che attraversa tutta la spianata del santuario, saluto una delle dottoresse che accompagnano il pellegrinaggio. Mentre scambiamo quattro parole, mi indica
una ragazza portatrice di handicap, e mi racconta: «La
vedi quella ragazza? Stamattina era tutta vestita bene,
come per le grandi occasioni. Ci incontriamo, la saluto,
e le dico: “Come sei bella oggi!”. E lei mi risponde: “Io
sono bella quando mi vogliono bene”. Hai visto cosa
ci insegnano i nostri ragazzi?». Ho subito intuito che
un’intera settimana di pellegrinaggio poteva essere
racchiusa in una frase così, detta non si sa con quanta
consapevolezza, ma certamente con la sapienza dei
piccoli, di coloro a cui sono rivelati i misteri del Regno
di Dio nascosti ai sapienti e agli intelligenti. E anche qui
mi è parso di entrare in qualche modo nel mistero della
compassione di Gesù, che non smette per un istante di
amarci, con quella tenerezza e quella forza di cui lui
solo è capace.
Ecco perché ho voluto iniziare col racconto chassidico dei due contadini. Perché «sentire di cos’hanno
bisogno gli uomini e portare la loro afflizione» non
è anzitutto qualcosa che io sono chiamato a fare, ma
è il dono di cui ogni giorno Cristo mi ricolma. Co9
nosce e comprende la mia debolezza, e ne fa motivo
d’amore.
Vorrei concludere questa introduzione suggerendo
alcuni brani biblici per la preghiera personale che
commento in maniera molto sintetica e che vogliono
aprire in qualche modo la strada a un confronto più
approfondito con la Parola.
Il primo brano è Lam 3,22-26, anche se suggerisco la
lettura di tutto il capitolo 3.
22Le
misericordie del Signore non sono finite,
non è esaurita la sua compassione;
23esse son rinnovate ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
24«Mia parte è il Signore – io esclamo –
per questo in lui voglio sperare».
25Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l’anima che lo cerca.
26È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore.
Raccolgo da una Parola così almeno due atteggiamenti. Il primo è quello della fiducia. Se la compassione di
Dio non è esaurita vuol dire che ce n’è anche per me, che
è dono disponibile per la mia vita, da qualunque smarrimento provenga e in qualunque situazione mi trovi.
Tutto questo diventa possibile se l’attesa di Dio è
riempita di silenzio, ed è il secondo atteggiamento.
«È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore».
Quella di vivere il silenzio non è una pia esortazione:
è l’invito a entrare in una condizione in cui Dio veramente possa parlare e portare salvezza, in cui i semi
della sua parola possano fiorire.
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Il secondo testo è Os 11,7-9.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto
nessuno sa sollevare lo sguardo.
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Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Admà,
ridurti allo stato di Zeboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
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Non darò sfogo all’ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Efraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò nella mia ira.
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Il brano è uno dei più noti di Osea ed è stato letto
e commentato migliaia di volte. Vorrei sottolineare
questa commozione profonda, questo fremito di compassione che descrive com’è fatto il cuore di Dio. È
come se Dio perdesse il controllo, non riuscisse a tenere
a bada i suoi sentimenti, si consegnasse inerme a una
passione che lo divora, che è la passione per l’uomo, per
il suo popolo. Credo che l’abbiamo fatta tutti, almeno
qualche volta nella vita, l’esperienza di un Dio così,
ed è a un Dio così che abbiamo legato il cuore. Non al
Dio dei codici, non al Dio ingessato delle statue, non al
Dio artificiale che ti risolve sempre tutto. A un Dio che
freme, che soffre, si agita, perde il controllo, come un
innamorato che non capisce più nulla davanti all’amata, e soffre pene indicibili di fronte al suo tradimento
o al suo dolore.
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Infine, possiamo rileggere Eb 5,1-2.
1Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costi-
tuito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano
Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2In tal modo
egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli
che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli
rivestito di debolezza.
Anche qui, senza entrare nel dettaglio dell’esegesi,
possiamo aprire una parentesi su un’altra grazia tipica
di un tempo prolungato di preghiera: quella di riscoprire la debolezza di cui siamo rivestiti. Non dobbiamo
averne paura perché è l’occasione privilegiata in cui Dio
dispiega misericordia; non dobbiamo temerla, perché
diventa opportunità preziosa per chinarci sui nostri
fratelli senza alcuna presunzione, consapevoli di una
debolezza da condividere e di una salvezza da accogliere insieme, grati al Signore per la sua misericordia e la
sua compassione.
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