Introduzione

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Introduzione
Introduzione
di Carmine Pacente*
Ogni volta che si arriva a conclusione di un ciclo di programmazione finanziaria pluriennale dell'Unione europea, restiamo sistematicamente indignati di
fronte alla constatazione della nostra incapacità di utilizzare le risorse a noi
destinate.
A quel punto, ciclicamente, il tema diventa di dominio pubblico e alla
generale (e spesso scontata e un po' banale) indignazione seguono dibattiti,
ricette e soluzioni, fino alla puntata successiva quando le constatazioni sono,
mutatis mutandis, sempre le stesse (l'Italia non riesce a spendere/investire buona
parte delle risorse che le vengono destinate; le regioni in ritardo di sviluppo restano più o meno nelle medesime condizioni in cui versavano nel periodo precedente;
magari si scopre qualche frode ai danni dell'Unione in qualche territorio della
penisola; si attribuisce tutta la responsabilità alla eccessiva burocratizzazione dei
meccanismi previsti da Bruxelles, all'obbligo del cofinanziamento e così via).
Il nodo vero però è che preferiamo sfuggire all'etica della responsabilità,
come è nel nostro costume. Invece di “inveire” contro l'Unione europea, rea di
non assicurarci ulteriori risorse finanziarie per risolvere i problemi della nostra
quotidianità (e si chiedono – giustamente - gli eurobond, gli europroject bond,
risorse per l'occupazione giovanile, per la crescita, per la creazione di nuovi
posti di lavoro, per risolvere i problemi ambientali, per fronteggiare i fenomeni
migratori e via discorrendo 1…), bisognerebbe riconoscere che l'inefficiente (e
inefficace) utilizzo delle risorse europee è responsabilità oggettiva (sopratutto)
del nostro Paese, circostanza che imporrebbe una seria riflessione per ricercare
la via di un corretto utilizzo di tali risorse, finalizzate alla creazione di sviluppo
economico, sociale e culturale nei territori.
* Responsabile del Servizio Europa della Provincia di Milano
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Bisognerebbe chiarire alle pubbliche opinioni che l'Unione europea dovrebbe peraltro risolvere queste sfide
“epocali” con le scarse risorse che gli stati membri le garantiscono quando si definiscono, ogni 7 anni, le Prospettive finanziarie pluriennali (una sorta di bilancio pluriennale dell'UE).
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Il ruolo degli enti locali nella programmazione europea
È evidente che non possano essere credibili e trovare accoglienza le
istanze avanzate da parte di chi, da un lato non investe ciò che riceve 2, e
dall'altro rivendica maggiori risorse, appellandosi alla difficoltà della compartecipazione finanziaria agli investimenti (il cosiddetto cofinanziamento), alla
eccessiva burocratizzazione dei meccanismi previsti, al limite del patto di stabilità. Tutti aspetti problematici reali ma non tali da giustificare il livello di inefficienza del nostro Sistema Paese (talvolta “imbarazzante”, nonostante performance molto differenziate – e che pure vanno correttamente sottolineate tra singole regioni e territori).
Come è noto, l'alternativa di risorse erogate a fondo perduto 3 - senza
compartecipazione finanziaria per intenderci – non rientra (per fortuna soprattutto nostra) nei programmi di Bruxelles 4. Peraltro esperienze in questo senso
hanno già dimostrato la loro impraticabilità nel nostro paese.
Premesso che:
- la compartecipazione finanziaria è necessaria poiché responsabilizza
gli utilizzatori delle risorse europee;
- la semplificazione dei meccanismi burocratici previsti rappresenta un
problema reale ma non tale da giustificare l'inefficienza del nostro sistema paese;
- vi sono esperienze differenziate tra regioni e territori ma il livello di
utilizzo complessivo è inadeguato;
- è irragionevole pretendere risorse aggiuntive e non utilizzare ciò che ci
viene destinato;
- è inaccettabile che alcune regioni continuino a versare nelle medesime condizioni di ritardo di sviluppo dopo vari cicli di programmazione;
- è comodo ma ipocrita scaricare le responsabilità (in gran parte nostre) su soggetti terzi;
vediamo quale è l'obbiettivo di questo lavoro.
La domanda alla quale si tenterà di dare una risposta è se il coinvolgimento reale (non il mero coinvolgimento formale nei singoli step - o la semplice
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A questo proposito è utile accennare a un'altra questione spesso ventilata dagli euroscettici: l'Italia è uno dei
paesi “contributori netti” dell'Unione europea, ovvero riceve meno risorse di quante ne destini a Bruxelles. È
certamente vero ma va aggiunto per completezza che, al di là dell'effetto leva di ogni euro investito dall'UE per
la politica di coesione, oltre alle risorse destinate ai fondi strutturali, l'Unione mette a disposizione dei 28 paesi
e dei loro territori (enti locali, università, centri di ricerca, associazioni, cittadini...) anche ulteriori risorse, questa
volta “contendibili” (si tratta in gran parte di fondi cosiddetti a gestione diretta o tematici o settoriali). Certamente per sistemi avversi alla competizione è un problema ma essi devono, nel mondo di oggi, farsene una ragione. Inoltre come “quantificare” e "monetizzare" il mercato unico, l'assenza di frontiere, la politica commerciale e
le regole sulla concorrenza? A latere, ma non troppo, dovrebbe valere anche il principio di solidarietà tra Paesi
membri anche se oggi, purtroppo, esso appassiona meno; soprattutto quando si tratta di solidarietà “al contrario” (dare e non ricevere).
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Molto care a sistemi che non praticano il principio della responsabilità, la competizione e la contendibilità.
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Tranne alcuni casi specifici.
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consultazione - ma l'influenza concreta nel processo decisionale) degli stakeholder “più rilevanti” - a cominciare dalle autorità locali - sin dalle prime fasi di
programmazione, possa aiutare a migliorare impatto e utilizzo delle risorse
europee disponibili; ed eventualmente quali autorità locali coinvolgere ? a quale livello ?
La risposta non è semplice anche in considerazione dell'annoso dibattito
tra l’esigenza di garantire concentrazione tematica e finanziaria delle risorse
europee (pianificando dal centro o dall’alto) e impatto reale delle politiche e
degli interventi nei territori (condividendo con i soggetti locali o dal basso).
La Commissione europea ritiene il partenariato uno strumento fondamentale per realizzare la Strategia “Europa 2020” ed esso implica una stretta
collaborazione, negli Stati membri, tra le autorità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale oltre che con il settore privato e il terzo settore. E a questo
fine proprio la Commissione, sostenuta dal Comitato delle Regioni (CdR) e
dal Parlamento europeo (PE) ma non dal Consiglio, ha deciso di integrare il
regolamento “Disposizioni comuni” con un Codice di condotta europeo sul
partenariato (CCEP) per stimolare la partecipazione dei vari stakeholder al
processo di programmazione.
Anche il CdR ha chiesto (Cfr. Parere 2013/C17/04) un coinvolgimento
pieno di enti regionali e locali nella preparazione dei contratti di partenariato e
nella definizione e attuazione delle priorità di investimento della politica regionale (dall’analisi di sfide e bisogni, alla scelta di obbiettivi e priorità, al coordinamento), per realizzare autenticamente un approccio integrato e dal basso.
La questione si sviluppa lungo il crinale di una tensione costante tra
l’esigenza di un approccio top down (dall'alto) e la necessità di un percorso bottom up (dal basso), la cui risoluzione è tutt’altro che a portata di mano.
L’approccio top down sembra più idoneo a evitare la frammentazione
delle risorse pubbliche e a scongiurare la possibile “inadeguatezza” delle autorità locali rispetto alla loro capacità amministrativa, tecnica e istituzionale (di
gestire politiche e programmi europei). D’altro canto l’approccio bottom up
sembra decisamente più idoneo a garantire un impatto reale degli interventi sui
territori, attraverso il ruolo centrale degli enti locali nel miglioramento
dell’attuazione di programmi e dei piani di azione e considerata la rilevanza
che città e grandi aree urbane assumono per la crescita, lo sviluppo e la coesione dei territori europei.
In definitiva, al fine di rispondere al quesito che ci siamo posti, è necessario, dopo aver analizzato il protagonismo dei territori subregionali e delle
aree urbane nella programmazione europea (capitolo 1), verificare quale sia –
oggi – il ruolo reale (in contrapposizione a quello teorico) degli enti locali nella
programmazione europea a livello nazionale e regionale nel nostro Paese (capitolo 2) e in altri casi europei (capitolo 3).
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Il ruolo degli enti locali nella programmazione europea
Grazie alla collaborazione di ANCI (sia nazionale che regionale della
Lombardia) e di colleghi di importanti autorità locali europee (Barcellona,
Lione, Vienna e Budapest) abbiamo indagato lo stato dell'arte nei diversi casi
proposti, soffermandoci su alcuni punti chiave:
a- per la programmazione europea a livello nazionale, ci siamo concentrati sul principio di partenariato e sulla sua declinazione pratica
nell’accordo di partenariato tra Commissione e Stato membro, sulla capacità tecnica delle autorità locali e sulla gerarchia tra i partner;
b- per la programmazione europea a livello regionale, ci siamo concentrati sul rapporto tra autorità regionali e locali, rispetto a 3 principali
elementi, il mero coinvolgimento, la reale influenza nel processo decisionale, l'impatto associato.
c- infine ci è sembrato utile sottolineare quanto le autorità locali, oltre
al coinvolgimento nella programmazione nazionale e regionale, siano
informate e consapevoli degli orientamenti e delle decisioni che vengono assunte a Bruxelles, relativamente ai temi di cui parliamo.
Dall'indagine è emerso che il coinvolgimento reale delle autorità locali
nella programmazione - utile per rendere più efficace l'utilizzo delle risorse europee nel nostro Paese - è notevolmente migliorabile (semplificando, se si condivide la programmazione non bisogna poi rincorrere “decisioni assunte da altri”
in fase di implementazione degli interventi).
Va aggiunto che, poiché nei casi presi in esame le diverse autorità locali
sono coinvolte in maniera sensibilmente differente nella programmazione:
1. per ragioni dimensionali; in generale in Francia, Spagna, Ungheria e
Austria, i grandi agglomerati urbani si sono organizzati in maniera efficace, con staff dedicati ai temi di cui discutiamo (programmazione,
finanziamenti, fondi...), e hanno sviluppato una notevole capacità tecnica. Per le autorità locali più piccole ciò accade solo in alcuni casi e in
maniera disomogenea;
2. per ragioni legate all'esperienza pregressa” ovvero al coinvolgimento
che le autorità locali hanno storicamente avuto nelle politiche europee.
In Francia, per esempio, emerge che i territori che hanno maggiormente beneficiato in passato dei finanziamenti europei, derivanti dalla politica di coesione, risultano anche i più efficacemente dotati di capacità
tecniche;
3. per ragioni legate a esigenze di sviluppo a volte dissimili a seconda dei
territori e degli interessi dei diversi stakeholder sia nel caso ungherese
che francese (per esempio nel Nord - Passo di Calais, sono coinvolti molti attori privati, associazioni e partner economici a differenza della regione Rodano-Alpi ove sono consultati essenzialmente attori pubblici);
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sarebbe anche necessario individuare quali tra esse vadano coinvolte (associazioni di rappresentanza ?) e a quale livello (solo le grandi realtà urbane o
metropolitane ?).
Ricordiamo infatti che la politica di coesione investirà molto nelle aree
urbane per il periodo 2014 – 2020 e che quindi le autorità locali non possono
essere “marginalizzate” nelle fasi di elaborazione, implementazione, monitoraggio e valutazione.
Pensiamo, a titolo di esempio, che “le comunità locali sono state individuate come il contesto in cui è maggiormente utile agire per realizzare una riduzione delle emissioni e una diversificazione dei consumi energetici... (e come) il
luogo ideale per stimolare gli abitanti a un cambiamento delle abitudini quotidiane in materia ambientale ed energetica, al fine di migliorare la qualità della vita e
del contesto urbano”. E tale indicazione è applicabile a molti altri ambiti.
Solo attraverso il loro reale coinvolgimento si massimizzano quindi impatto e utilizzo delle scarse risorse pubbliche, evitando sovrapposizioni, anche
attraverso l'integrazione tra i fondi strutturali con le altre politiche settoriali
dell'Unione europea. Purtroppo, nel nostro paese, ANCI testimonia che tale
coinvolgimento risulta ancora inadeguato.
A nostro giudizio è utile cominciare a discuterne seriamente.
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