edith stein donna e la donna

Transcript

edith stein donna e la donna
r v s
6 7
( 2 0 1 3 )
1 9 5 - 2 2 8
a rt i c o l i
EDITH STEIN
DONNA E LA DONNA
Cristiana Dobner
L’
audace espressione posta a titolo appartiene a Edith Stein
in un contesto ben specifico:
Forse, nel corso dei secoli, ci siamo assuefatti troppo a un nostro
atteggiamento passivo nella Chiesa, concedendo qualche singolare persona (Teresa di Gesù, Hildegard von Bingen, Caterina da
Siena, ecc.), come “eccezione che conferma la regola”. Il XX secolo pretende di più! (F 299).
Noi, donne (e uomini), che ci troviamo nel XXI secolo, possiamo ancora riferirci a una figura testimoniale di indubbio valore
storico ma ormai appartenente al secolo passato? Sia da un punto
di vista teoretico, sia da quello esperienziale e sociale? L’asserzione
articoli
195-228
è ancora valida? Chi è questa donna che suscitava interrogativi
ardui anche nella nipote Susan?
Zia Edith, ti conosciamo appena
Chi sei in realtà?
Un insieme di teologia e fenomenologia?
Di antenati ebrei e di freddi ecclesiastici?
Una discepola di dei stranieri?
Che cosa ti ha condotto ad adorare l’ebreo sulla croce?1
Il padre spirituale della neoconvertita, abate Raphäel
Walzer, ebbe a scrivere:
Non sappiamo quali siano i disegni della Provvidenza divina su
coloro che ci hanno lasciato. Edith Stein sarà un giorno elevata
agli altari o entrerà semplicemente nella storia come una personalità ideale?… Una cosa resterà sempre vera: la sua immagine,
la sua preghiera e il suo lavoro, il suo silenzio e la sua passione,
il suo esodo verso l’Est non si cancelleranno più dalla memoria delle generazioni a venire. Questi ricordi non cesseranno di
comunicare forza e di risvegliare un’aspirazione verso le profondità della fede, della speranza e dell’amore2.
Quale il volto di questa “personalità ideale”?
Oggi chiediamo alla donna di essere pensante da se stes3
sa , al femminile, avendo superata o trovandosi in fase di supera-
S. Batzdorff – Biberstein, Ricordo di mia zia Edith Stein, in W. Herbstrith, Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova, Roma 1987, p. 76.
2
W. Böhm, Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, Paris 1985,
p. 113.
3
K. Børresen, Le madri della chiesa, M. D’Auria, Napoli 1993, pp.
5-108; Id., A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana,
Carrocci, Roma 2001; Id., Gender, Religion and Human Rights in Europe, Herder,
Roma 2006; M. Perroni, Visibilità e invisibilità delle donne nella storia della teolo1
196
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
– la donna Edith Stein;
– il suo pensiero sulla donna;
– la sua azione concreta per la donna;
– oggi il “pianeta” donna.
Cristiana Dobner
mento dell’ipoteca androcentrica, peraltro già indicata da Stein
stessa4.
Si apre allora un possibile ventaglio di riflessione:
La Donna Edith Stein
Edith Stein visse, in una vita «a zigzag» (LJF 459), dalla
fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, epoca che,
nella sua prima fase di vita, «può essere convenzionalmente divisa in due periodi: l’epoca del potere di Bismarck e i decenni a
gia dall’età dei Padri alla nascita del femminismo, intervento svolto durante il VII
Colloquio “Donna e teologia: bilancio di un secolo”, Roma 6-8 novembre
1996: «La loro percepibilità quali soggetti del vivere la fede e del riflettere
sulla fede – i due poli sono inseparabili – è stata sin qui sempre filtrata al
maschile»; per tutta la riflessione del «femminismo della differenza» cfr. C.
Dobner, Fare Teresa fare Diotima? Donne pensanti pratiche XVI e XXI secolo, Edizioni
OCD, Roma 2006.
4
Legenda per queste pagine: ESW: Edith Stein Werke, Herder, FreiburgBasel- Wien; EE: Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins,
ESW 1986, Band II Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere,
Città Nuova, Roma 1988; F: Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, ESW
1959, Band V; La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova,
Roma, 1968; LJF: Aus dem Leben einer Jüdischen Familie, ESW 1965, Band VII;
ESGA 1, 2000: Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, Città
Nuova Edizioni OCD, Roma 2007; P: Positio super causae introductione, Roma
1983; SB: Selbstbildnis in Briefen. Erster Teil (1916-1933), ESW 1998, Band VIII;
Selbstbildnis in Briefen. Zweiter Teil (1934-1942), ESW 1977, Band IX; WPH:
Was ist Philosophie? Ein Gespräch zwischen Edmund Husserl und Thomas von Aquino,
ESW1993, Band XV, pp. 5-47.
197
articoli
195-228
cavallo del secolo fino alla prima guerra mondiale»5, mentre la
seconda sarà interamente attraversata dalla furia nazista della
Shoah.
La famiglia Stein presentava una fisionomia molto particolare, lo deduciamo da quanto afferma la sorella Erna:
[…] La nostra era una casa di ebrei ortodossi, in cui si osservavano scrupolosamente i digiuni e le feste. Mia madre credeva
in Dio con tutto il cuore, ma aveva una mentalità aperta e in
seguito non esercitò su di noi alcuna pressione6.
Con alcune specificazioni chiarificatrici essenziali:
A casa eravamo religiosi, nel senso che la nostra era una casa
osservante della purità rituale riguardo al cibo (P II, 1, 220).
La piccola Edith amava molto la madre che riconosceva in
lei l’ultimo frutto dell’amato consorte perito tragicamente:
Malgrado questo intimo legame, mia madre non era la mia
confidente –, come nessun altro, del resto. A partire dalla prima
infanzia, ebbi una strana doppia vita e agli occhi di un osservatore esterno io attraversavo trasformazioni incomprensibili e
discontinue. Nei primi anni di vita avevo l’argento vivo addosso,
sempre in movimento, traboccante di idee bizzarre, impertinente e saccente, invincibilmente ostinata e piena d’ira quando
qualcosa andava contro la mia volontà (LJF 82).
Una descrizione in cui, a fatica si riconosce l’adulta padrona di sé e anche piuttosto compassata.
R. Calimani, Capitali europee dell’ebraismo tra Ottocento e Novecento,
Mondadori, Milano 1998, p. 160.
6
E. De Miribel, Edith Stein, Edizioni Paoline, Milano 1987, p. 19; lettera di Erna Biberstein, New York, 13-11-1952.
5
198
Il clima familiare talvolta era proprio burrascoso per il
carattere irruente dei fratelli e delle sorelle:
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Ma nel mio intimo c’era un mondo nascosto. Tutto ciò che
vedevo e sentivo durante il giorno veniva trasformato interiormente (LJF 83).
Cristiana Dobner
La piccola però era anche molto percettiva e riflessiva:
Di tutte queste cose, per le quali soffrivo segretamente non facevo parola con nessuno. Non mi veniva neppure in mente che se
ne potesse parlare con qualcuno (LJF 83).
Era una bimbetta, e poi un’adolescente, molto rivolta all’interno che non si aprì neppure durante il soggiorno ad
Amburgo presso la sorella maggiore:
La mia vita si svolgeva in una cerchia molto limitata ed io ero
ancora più chiusa nel mio mondo interiore di quanto fossi a
casa (LJF166).
Bambina che le sorelle maggiori avevano denominato
«libro dai sette sigilli», educata secondo la Bildung, cioè lo standard di comportamento codificato che allora andava sempre
rispettato.
Bildung significava ottimistica fiducia nella cultura e nella
vita, che plasmava il carattere, l’educazione morale, il primato
della cultura e una credenza nell’umanità potenziale7
A.J. Peck, The German Jewish Legacy in America 1938-1988, Wayne
State University Press/Detroit 1989, intr.; G.L. Mosse, Il dialogo ebraico-tedesco.
Da Goethe a Hitler, Giuntina, Firenze 1988, p. 13.
7
199
articoli
195-228
Questo patrimonio umano-culturale pervadeva i rapporti
e ogni tedesco ebreo ne sentirà il sigillo, anche se costretto a lasciare
la patria e a intraprendere la via dell’esilio, come Mosse:
In un certo modo quest’eredità tedesco-ebrea pervase la mia
famiglia residente in Germania e in esilio, centrata com’era
sulla cosiddetta “missione dell’ebraismo” con tutta la sua enfasi
sulla Bildung come autocultura, cosmopolitismo ed atteggiamento razionale verso la vita8.
La prova del nove la si trova in coloro che emigrarono
negli Stati Uniti d’America e che avevano forgiato una denominazione particolare:
Si dicevano americani-ebrei e non ebrei-americani, uno specchio diretto del loro passato. Perché anche nella terra del Kaiser
pure erano stati tedeschi-ebrei e non ebrei-tedeschi9.
La conferma di quanto Edith Stein ne sia impregnata la
troviamo nelle prime pagine di presentazione a Storia di una famiglia ebrea:
Negli ultimi mesi gli ebrei-tedeschi sono stati strappati alla tranquilla ovvietà dell’esistenza e costretti a riflettere su se stessi,
sulla loro natura e sul loro destino (LJF 23).
8
G.L. Mosse, The End is not Yet: A Personal Memoria of the German – Jewish
Legacy in America, in A.J. Peck, The German-Jewish Legacy in America 1938-1988,
cit.
9
W.G. Plaut, The Elusive German Jewish Heritage in America, A.J. Peck,
The German Jewish Legacy in America 1938-1988, p. 87.
200
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
[…] quella grande cultura tedesca “rappresenta il più nobile approccio a tutto ciò che è umano, ed è parte integrante
dell’ebraicità”11.
Cristiana Dobner
Alcuni autori, come Wolfskehl10, nel 1933 pensavano che
proprio nella Bildung si sarebbe potuto trovare il punto di incontro fra i tedeschi e gli ebrei:
Edith, facendosi adulta, si dimostrò una grande amica,
capace di vive relazioni interpersonali e una donna dirompente
per molti suoi atteggiamenti e scelte.
L’amica Rose Guttmann che ben ne conosceva l’intelligenza e la mente perspicace per cui «ogni problema veniva così
ricercato a lungo fino a quando la verità non veniva alla luce»,
la fece entrare nel gruppo pedagogico, formato prevalentemente da
studenti appartenenti ai seminari di Stern.
La loro prassi prevedeva la visita, un paio di volte all’anno,
di qualche istituto, guidati da qualche persona competente.
L’episodio avvenuto nella casa madre della contessa Thiele–Winkler, nell’Alta Slesia, divenuta “Madre Eva”, è significativo per comprendere la mentalità e il giudizio sottile della giovane universitaria.
Grazie alla preghiera, sorella Frieda, aveva ricevuto in
dono la macchina da cucire che le serviva. Il fatto suscitò stupore
nei giovani perché tutti erano «liberi pensatori ma nessuno rise.
Tutti chinammo il capo di fronte a tanta infantile fiducia» (LJF
220).
10
p. 148.
J. Bab, Kulturbund deutscher Juden, «Der Schild», 12, 14 settembre 1933,
M. Sechi, Karl Wolfskehl «Exul immeritus», in M. Sechi (a cura di)
Ritratti dell’altro. Figure di ebrei in esilio nella cultura occidentale, Giuntina, Firenze
1997, p. 111.
11
201
articoli
195-228
A Breslavia, probabilmente nel 1912, ebbe luogo un festival dedicato a Bach, Edith acquistò un biglietto per ogni rappresentazione e, proprio nel corso di un’esecuzione, il suo animo si
sollevò e ritrovò energia:
Non ricordo più che Oratorio venisse eseguito durante quella
serata. So soltanto che a un certo punto udii l’inno di battaglia di Lutero: “Ein feste Burg…”. Durante le funzioni scolastiche
l’avevo sempre cantato volentieri con gli altri. E quando risuonò quella strofa in cui è espressa la felicità della lotta “E anche
se il mondo fosse pieno di diavoli/ e volessero divorarci tutti,/
non avremmo mai più paura, dobbiamo pur riuscire…”, allora
tutto il dolore e il pessimismo che mi pervadevano, scomparvero
all’istante. Certo, il mondo può essere brutto, ma se adoperiamo tutte le nostre forze – la piccola schiera di amici sui quali
potevo contare ed io –, allora riusciremmo a spuntarla con tutti
i “diavoli” (LJF 248-249).
Edith scriverà nel suo opus maius una riflessione che, velatamente, è di grande sapore autobiografico:
L’insieme della nostra vita personale forse calza a pennello per
dimostrare quanto si intende. Nel linguaggio corrente si distingue fra “il progettato” – vale nel contempo come “sensato” e
“intelligibile” – e “casuale”, che in sé appare “non sensato” e
“inintelligibile”. Ho in mente uno studio specifico e mi cercò
perciò un’Università che corrisponda alla mia particolare richiesta nel mio specifico campo. Questo è insieme più sensato e più
intelligibile. Che io in quella città possa conoscere una persona
che “casualmente” vi studi e un giorno “casualmente” venga a
parlare con lei di problemi di concezione del mondo, non mi
appare di primo acchito affatto un insieme intelligibile. Ma,
quando dopo anni rifletto sulla mia vita, allora mi sarà chiaro
che quel colloquio influì su di me decisivamente, forse fu “più
essenziale” di tutto il mio studio e mi nasce il pensiero che forse
“proprio per quello” “dovevo andare” in quella città. Quanto
202
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Ecco come ne gestiva la sua laboriosità:
Cristiana Dobner
non era nel mio piano, era nel piano di Dio. E quanto più spesso
ciò mi accade, tanto più vivo sarà il convincimento di fede che –
considerato dal punto di vista di Dio – non c’è alcun caso, che la
mia intera vita fino nei più minuti particolari è pre-indicata nel
piano della Provvidenza divina ed è agli occhi onniveggenti di
Dio un insieme di senso più compiuto (EE 152-153).
Credo che chi non abbia lavorato, personalmente, a qualche
cosa di filosoficamente creativo, se ne possa difficilmente fare
un’idea. In quel caso, non ricordo di aver già provato un po’ di
quella felicità profonda che in seguito mi sarebbe sempre accaduto di sentire lavorando, una volta superate le prime e più dure
fatiche. Non ero ancora arrivata a quel grado di chiarezza sul
quale la mente può riposare nella fermezza di un’idea raggiunta, a partire da cui vede aprirsi nuove strade e progredisce con
sicurezza. Andavo avanti a tastoni, come nella nebbia. Le cose
che scrivevo, sembravano strane persino a me stessa e, se qualcuno avesse dichiarato che erano tutte assurdità, gli avrei creduto immediatamente. Da una difficoltà rimasi immune: non avevo
bisogno quasi di cercare le parole. Le idee si traducevano come
da se stesse in parole, in modo semplice e sicuro, restando, poi,
sulla carta in modo tanto determinato e preciso che il lettore
non trovava più alcuna traccia della sofferenza di quel parto
della mente. Ogni ora che riuscivo a risparmiare la passavo alla
mia piccola scrivania (LJF 332-333).
La sua attitudine creativa può finalmente esplicarsi e dimostrare tutta la sua capacità abstractiva nel moto dell’intelligenza
nella ricerca sull’Einfühlung, sull’empatia, termine che però crea
alcuni problemi di traduzione e chi si sia cimentato nelle traduzioni delle opere della Stein non può ignorarli.
203
articoli
195-228
Una grande amica
Rosa Bluhm, amica di Edith Stein fin dai banchi di scuola,
afferma che «l’amicizia con lei è stato il più grande avvenimento
della mia vita» (P IV, 253):
Aveva un grande amore del prossimo già prima della conversione. Non l’ho mai vista astiosa. Non desiderava di parlare degli
altri. Era incredibilmente benevola già da sempre. Ha visto
nel nazionalsocialismo una strada sbagliata, ma non si è mai
espressa con astio nei suoi riguardi. Esercitava verso gli altri una
critica obiettiva e costruttiva. Non tollerava la critica falsa ed
astiosa. Il suo giudizio era una ricerca della verità e della giustizia. Faceva sempre da mediatrice nelle discussioni. Era sempre
piena di bontà e cordialità verso tutti (P IV 250).
Lo scoppio della I guerra mondiale colse di sorpresa la
studentessa Edith Stein e i suoi compagni, immersi nelle loro
riflessioni fenomenologiche che devono giocoforza abbandonare
per essere reclutati e inviati al fronte.
La giovane ragazza ha una reazione che la pone vicina alle
scelte dolorose impostesi allora e che la colloca sullo stesso piano
dei suoi colleghi maschi:
Ora non ho più una vita personale, dissi a me stessa, tutte le mie
forze appartengono a questo grande evento. Quando la guerra
sarà finita, se sarò ancora viva, allora potrò pensare di nuovo
alle mie faccende private (LJF 350).
Edith prese perciò la decisione di prestare servizio volontario invece di continuare gli studi, dovette però affrontare la
madre e la di lei contrarietà:
“Col mio consenso non andrai”. Replicai a mia volta con la stessa determinazione: “Allora dovrò farlo senza il tuo consenso”.
204
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
E iniziò davvero il suo servizio da crocerossina in un lazzaretto per feriti e tifoidei, malgrado il mancato consenso materno
cui oppose la sua inflessibile volontà.
Con la conoscente di Breslavia Suse Mugdan, ora anche
lei crocerossina, a cui si sente vicina ed affine, Edith si esprime ma conserva lo stile di educazione appreso, ritiene infatti di
dover conservare il «lei»: «La goffa familiarità con la quale le
altre infermiere si davano del “tu”, senza avere niente di profondo in comune, ci portò a mantenere il “Lei” come segno di stima
reciproca. Ciò accadde del tutto spontaneamente: non ci fu bisogno di scambiarci neppure una parola in proposito» (LJF 403).
Un ambiente, quello del lazzaretto cui fu destinata, che
non le confaceva, malgrado le sue scelte “laiche” ma rigorosamente etiche, come lo conferma una deposizione ai Processi:
Cristiana Dobner
Questa brusca risposta fece addirittura trasalire le mie sorelle.
Mia madre non era abituata ad una simile resistenza. Arno o
Rosa le avevano detto spesso parole anche peggiori. Ma accadeva sempre durante un’esplosione di collera, mentre erano fuori
di sé, e la cosa veniva presto dimenticata. Stavolta, invece, si
faceva davvero muro contro muro (LJF 377).
Mi raccontò che una volta si era trovata in gran pericolo. Durante la prima guerra mondiale ella era in Moravia come crocerossina. Un giorno i medici e le infermiere rientrarono brilli. Andarono nella stanza da letto di un medico, dove si fecero un grande
schiamazzo e cose non belle. Ella non sapeva dove volgere gli
occhi per non vedere ed aveva timore che qualcuno avvicinasse
anche lei. Un medico vide il suo imbarazzo. Sebbene io credo
che dovesse essere quello che le aveva chiesto la sua mano ed
aveva ricevuto un rifiuto, egli la protesse. Il suo comportamento
fece su tutti una grande impressione (P IX, 1, 417).
Margaretha Behrens ricorda altri tratti della personalità di
«sorella Edith»:
205
articoli
195-228
La sua gioia nelle passeggiate nella solitaria e bella regione dei
Carpazi con la sua flora rara; il cordiale saluto quando incontravamo qualche abitante del luogo; la sua tranquilla gentilezza
verso il resto del personale – anche in situazioni difficili – la
rendevano cara a tutti (P S, 1, 255).
La giovane si sentirà orgogliosa, forse anche ripagata, da
quanto le ebbe a scrivere l’amato docente e amico A. Reinach
dal fronte:
Cara sorella Edith! Ora noi siamo camerati di guerra… (LJF
432).
Conclusa la guerra, il rapporto con l’amato Maestro non
tardò a rivelarsi difficile, il lavoro previsto infatti conosceva
diverse tappe: Husserl le consegnava una pila di fogli stenografati, «Dai corsi del 1913 e del 1915»12, da trascrivere in caratteri normali, con un solo appunto di accompagnamento: «Mia
elaborazione di base per la signorina Stein…».
Alla “segretaria” E. Stein spettava tutto il resto, cioè portare alla stampa, completa e conclusa, la ricerca in tutta la sua
arcata architettonica… per ricevere un esemplare con dedica:
Alla signorina dott. Edith Stein, soccorrevole collaboratrice nel
1916-1917, con cordiali saluti. E. Husserl.
È ovvio pensare che una donna interessata alla ricerca non
potesse relegarsi nell’ambito di un editing o di una redazione,
Edith voleva un ruolo del tutto diverso ed essere considerata:
E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro terzo, La fenomenologia e i fondamenti delle scienze, Einaudi, Torino 1965,
Apparato critico al testo, p. 962.
12
206
Fondamentalmente non posso sopportare il pensiero di stare a
disposizione di qualcuno. Posso stare a servizio di una cosa e per
amore di una persona posso fare di tutto, ma stare a servizio di
una persona, in breve, obbedire, questo non posso (SB 31).
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Una reazione solo “sociologica”, di importanza strategica?
La giovane Stein racchiudeva in sé un principio ben più granitico:
Cristiana Dobner
Non solo come sua assistente per il lavoro… ma come collaboratrice nel lavoro (SB 13).
Affermazione preziosa per la comprensione del suo temperamento e del suo carattere ma anche per tutta la parabola di
evoluzione e di spostamento d’ottica, che dovette intraprendere
quando decise di sottomettere tutta la sua vita a una conversione
cui impresse il voto di obbedienza all’interno della vita carmelitana.
Molto vicina e affine a Edith Stein fu Amelia Maria Jägerschmid, sua allieva fin dal 1917, convertita nel 1921 al cattolicesimo e nel 1928 divenuta suor Adelgundis, benedettina a Santa
Lioba.
Questa ex allieva di Husserl fu colei che lo assistette nell’ultima malattia e tenne sempre al corrente Edith Stein del decorso.
Ecco come l’ex allieva coglie la donna Edith Stein:
Prima della sua conversione avevo visto la S.d.D. [Edith Stein]
alle lezioni del prof. Husserl. Mi fece l’impressione di una donna
poco moderna nell’abbigliamento, ma molto concentrata.
Siccome sapevo che era assistente del prof. Husserl, l’ho osservata quando parlava con altri. Questo non le era evidentemente
gradito. Conduceva sorridendo la conversazione con gli altri.
[…] Arava il terreno duro e arido del nostro spirito con grande
207
articoli
195-228
abilità pedagogica e infinita pazienza, con tranquilla gentilezza
e bontà inesauribile. Dava ascolto alle nostre domande e alle
nostre obiezioni confuse e male espresse, sorridendo sempre con
indulgenza, mai con ironia o con degnazione. Ci incoraggiava incessantemente a fare piccoli passi e progressi nella severa
scuola della disciplina intellettuale. Riscaldate dalla veramente
sobria ebbrezza del suo spirito, ci lasciavamo con entusiasmo
guidare da lei, cominciando a presentire una felicità del tutto
nuova (P I, 203).
Ben altra è la reazione di Maria Elisabetta Offenberg che
getta un’ombra che richiede di essere interpretata correttamente
o, quanto meno, conosciuta. Il primo incontro avvenne nel 1917
all’apertura del seminario per i neofiti che avrebbero dovuto
apprendere il metodo fenomenologico:
[…] questi [Husserl] mi indirizzò per discutere di filosofia dalla
sua allieva Edith Stein. Eravamo un gruppo di 7 studentesse che lavoravano e discutevano insieme con Edith Stein, ad
esempio sul movimento come espressione. Ella richiamò la
nostra attenzione sull’atteggiamento di preghiera dei monaci di
Beuron. Edith Stein non toccava mai un argomento religioso,
per non uscire dal tema. Che allora fosse ancora atea lo so da
altri scritti su di lei. Edith Stein era a quel tempo, molto fredda
e oggettiva… La consideravamo più che altro, come il portavoce di Husserl. Non irradiava nulla. Possedeva un sapere molto
profondo (P X, 423-424)…
Non era ingiusta. Era una donna severa. Per questo non l’abbiamo amata, né venerata. Sebbene fosse sempre vestita molto
femminilmente, mancava in lei l’atteggiamento materno e di
cameratismo verso di noi. C’era sempre, intorno a lei, un’atmosfera gelida (P X, 427).
Probabilmente Offenberg non entrava in sintonia con un
temperamento e una postura come quella della Frau Doktor che,
208
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Cristiana Dobner
da parte sua, con molto umorismo, descrive questo gruppetto - 3
studentesse e 2 studenti, un benedettino e un parroco protestante – a R. Ingarden e lo denomina il suo Kindergarten…
Il distacco dimostrato, posto che sia stato proprio dimostrato, era dovuto all’inesperienza della giovane docente alle
prime armi? Oppure davvero ci troviamo dinnanzi a un’incompatibilità naturale che impedisce la comprensione.
Raïssa e Jacques Maritain, vicini a tanti personaggi del
mondo culturale e cristiano del loro secolo e persone dall’occhio critico nel valutare, incontrarono la Frau Doktor E. Stein
nel corso delle giornate della Società Tomista a Juvisy promosse
dall’editore du Cerf a Parigi nel 1931.
Un incontro breve ma intenso:
Come descrivere la purezza, la luce che irraggiavano da Edith
Stein, la generosità totale che si indovinava in lei, e che doveva
portare i suoi frutti nel martirio?… Raïssa ed io non abbiamo
mai dimenticato quell’incontro e neppure l’ardore, l’intelligenza
e la purezza che illuminavano il volto di Edith13.
Nel periodo in cui visse a Spira, le giovani studentesse del
collegio delle domenicane ebbero modo di osservare quotidianamente la loro insegnante e di comprendere la sua personalità;
possediamo alcune testimonianze molto illuminanti a proposito:
[…] aveva molto temperamento e questo veniva fuori, benché
sempre controllato (P I 64),
[…] aveva una personalità molto vivace ed era facile scoprire il
suo atteggiamento interiore dal suo comportamento esteriore e
dal suo volto (P I, 65).
13
J. Maritain, Cahiers Jacques Maritain, n. 25, dicembre 1952, p. 32.
209
articoli
195-228
Edith Stein però non si rinchiudeva in un solo ambiente,
quello scolastico o intellettuale, si apriva a chiunque con molta
naturalezza e discrezione, senza preclusioni o difficoltà di sorta.
Ospite per il mese di luglio nella foresteria del Carmelo
di Colonia, prima del suo ingresso nella comunità, ebbe molti
quotidiani contatti con la giovane ragazza che serviva alla portineria e che ci lasciò una testimonianza chiara ai Processi:
Dal suo essere emanava qualche cosa di soprannaturale. Questo
era palese sul suo volto in una espressione di serena contentezza
nonostante i lineamenti dolorosi e si manifestava in un atteggiamento pieno di pace, tanto che ho potuto prima dire che era
come se un angelo si muovesse per la casa (P I, 126).
Gertrud von Le Fort che con il suo libro, La donna eterna,
segnò una pietra miliare nell’elaborazione femminile nella vita e
nella professione, l’ebbe come grande amica e confidente:
Nella mia vita ho visto solo due volte un volto umano che mi
travolgesse: suor Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, e
Papa Pio X14.
Tanto da conservarne sul suo scrittoio una fotografia del
giorno della sua vestizione carmelitana e da ispirarsene durante
la stesura del suo libro.
Grandezza che anche p. Přzywara colse:
G. von Le Fort, Sonderdruck zu Schule und Leben, Boppard, St. Carolus
1982, p. 47.
14
210
Nel luglio del 1916 Edith Stein sarà l’«unica donna a
passare il dottorato quell’anno in Germania»16, l’esito brillante,
summa cum laude, lasciava sperare nella pubblicazione della dissertazione nell’“Annuario” di Husserl. La realtà si dimostrò molto
più dura: non ricevette nessuna proposta e il Maestro non «le
offrì l’abilitazione»17.
Non fu il solo: nel corso degli anni ben quattro furono i
rifiuti.
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Il suo pensiero sulla donna
Cristiana Dobner
Si può senza esitazione unire l’itinerario spirituale di Edith Stein
a quello dei grandi pensatori ebrei, da Maimonide a Cohen e
Husserl15.
Edith Stein conferenziera
Edith Stein fu definita «la più grande donna del cielo dei
filosofi tedeschi» (P VII, 332) dal prof. Dyroff, quando Maria
Schweizer gli chiese a chi si sarebbe potuta riferire per la sua
ricerca.
Ben presto Edith Stein fu chiamata a esporre il suo pensiero sulla donna. Nell’aprile del 1928, a Ludwigshafen, nel corso
del grande Congresso dell’Unione delle Insegnanti Cattoliche di
Baviera, ella tenne la sua prima conferenza pubblica: “Il valore
tipico della donna, la sua importanza per la vita della nazione”.
15
E. Pryzwara, Edith Stein et Simone Weil, «Les Études philosophiques», 3
(1956), p. 458.
16
J. Bouflet, Edith Stein, Filosofa crocifissa, Paoline, Milano 1998, p. 108.
17
T. Wobbe, “Sollte die akademische Laufbahn für Damen geöffnet werde…”,
«Edith- Stein Jahrbuch 1996», Das weibliche, Echter 1996, p. 365. B. Schwarz
in W. Herbstrith, Edith Stein, eine grosse Glaubenszeugin, Leben-Philosophie NeueDokumente, Plöger Verlag, Annweiler, Essen 1986, pp. 165-166.
211
articoli
195-228
Wilhelmine Böhm fu teste oculare dell’aspettativa che vi
regnava, mentre Balduin Schwarz, filosofo e marito di una giovane convertita dall’ebraismo, amica della conferenziera, sottolinea
l’incedere della giovane donna: «Camminava come una persona
raccolta ed insieme animata» e «nello sguardo allegro ed anche
eccitato non dimenticava mai il suo spazio interiore»18.
Edith Stein, dal volto pallido e i capelli con la discriminatura raccolti sulla nuca, era piccola e modesta, abbigliata con
semplicità e senza gioielli. Distinta e contenuta nella gestualità
mentre con chiarezza esponeva il suo pensiero, emanava riservatezza e nascondimento ma anche forza e vigore.
Con espressioni, decisioni, proposte sempre innervate da
un per e mai da un contro, con capacità di resistenza e di combattività, senza conoscere cedimenti ma pur sempre senza violenza
e aggressività, toni e alterazioni che non le appartenevano e non
le erano propri.
Fin dalle prime battute sottolineò il grande contrasto fra
la folla del Congresso e il silenzio e la solitudine della Settimana
santa trascorsa all’Abbazia di Beuron19.
Le conferenze si susseguirono, Josef Vierneisel in una di
queste colse un aspetto diverso: «Mi parve una immagine di
Maria» (P XXIII, 504), «accoglieva il successo delle sue magnifiche conferenze senza compiacimento di sé» (P XXIII, 505).
La leva, del suo pensare e del suo agire, veniva poggiata su
quanto consideriamo i «punti di silenzio, nelle antigrandezze del
mondo»20, non disgregandosi in un atomismo impercettibile ma
lasciando il segno luminoso e interiore di un campo gravitazio-
18
B. Schwarz in W. Herbstrith, Edith Stein, eine grosse Glaubenszeugin,
Leben-Philosophie Neue-Dokumente, cit., pp. 165-166.
19
W. Böhm, Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, cit., pp.
11-12.
20
E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994, vol. III, p.
1457.
212
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Se penso ai suoi grandi occhi calmi e vorrei dire fiduciosi e pieni
di attesa e al suo leggero e modesto sorriso in tanti incontri, e
poi all’espressione seria delle sue ultime fotografie, sono certo
che si sia operata in lei una continua ascesa verso una sempre
maggiore perfezione, che ha condotto la sua vita su un percorso
rettilineo e l’ha informata in maniera univoca (P 524).
Cristiana Dobner
nale di domanda e risposta, di un’articolazione viva e vissuta fra
natura e cultura, declinate al femminile.
Il prof. don Gunther Schulemann, che camminò con lei
sulle vie dello Spirito, ai Processi depose:
La sua azione concreta per la donna
L’amica Rose Bluhm Guttmann, nella sua deposizione ai
Processi, ne ricorda l’impegno politico-sociale:
Lavoravamo per il Partito democratico (non godevamo ancora
del diritto di voto) e eravamo molto interessate a tutti gli interrogativi che riguardavano la donna che lavorava21.
La conferma si deve a Edith stessa quando scrive a Ingarden il 30.11.1918:
Sono diventata membro del nuovo partito democratico tedesco
[…] il crollo del sistema mi ha convinto che era superato; chi
ama il proprio popolo vuole contribuire a creargli una nuova
forma di vita.
W. Herbstrith, Das wahre Gesicht Edith Steins, Kaffke, Aschaffenburg
1987, p. 38.
21
213
articoli
195-228
Come riassumere questa donna poliedrica e diversa ma
pur sempre se stessa?
P. Erich Přzywara, gesuita, maestro di H.U. von Balthasar,
ci fa conoscere un altro aspetto dell’inizio della loro collaborazione dal sapore “simbolico”:
Per la doppia modalità del suo essere spirituale: la più ampia
ricettività femminile e la profonda compartecipazione e, parimenti, una rude concretezza maschile (che poteva arrivare fino
alla dura schermaglia e quasi fino, almeno all’apparenza, attraverso essa a schermare la sua tenera femminilità)22.
Oggi il “pianeta donna”
Edith Stein e il “pianeta donna” oggi come si coordinano
e si illuminano?
Il XXI secolo ha vissuto una grande svolta, una sorta di
rivoluzione che, per i contenuti e la sua modalità, viene detta
«epistemologica»23.
Le donne sono pensanti da se stesse e esigono una salvezza
pasquale non defemminilizzata perché dipendente da un’ipoteca
ideologica.
Edith Stein si palesa come un crocevia già tracciato perché
aveva vissuto facendo propria un’attenzione sociale e politica di
primo piano e quindi si può qualificare una donna che prese viva
parte al Movimento femminista di fine secolo XIX e dei primi
anni del secolo XX, con un accento tipicamente cattolico.
E. Přzywara, In und Gegen, Stellungnahmen zur Zeit, Glock und Luzt,
Nürnberg 1955, p. 61.
23
Cfr. K.E. Børresen, introduzione di A immagine di Dio, Carocci,
Roma 2001, p. 9.
22
214
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Cristiana Dobner
Era ben limpido per lei quanto oggi F.G. Brambilla espone
in termini chiari: «La fenomenologia del corpo pone anzitutto l’enfasi sul significato simbolico della corporeità in vista della
costituzione dell’identità e della scoperta della verità»24.
La donna Edith Stein lo visse in pienezza, sia personalmente, sia intellettualmente, consentendo di delineare alcune
componenti euristiche peculiari:
– la capacità di afferrare i fenomeni;
– la sensibilità alla loro varietà, ricchezza e specificità;
– la tensione alla salvezza.
Se questa è la base su cui fondarsi, si comprenderà quale
ne sia l’apertura, ricca di sensibilità che attraversa la realtà ma
punta alla trascendenza.
Apertura attenta e silente che, grazie allo spostamento
della sua autoreferenzialità, non riduce gli altri/le altre a oggetti
ma li qualifica altamente come soggetti.
Categorie mentali quindi che devono essere nuove, per
poter rispondere ai nodi teoretici che, altrimenti, invischierebbero l’essere donna pensante da se stessa. Cadono alcuni schemi e
barriere che fanno posto ad articolazioni diverse:
- la natura viene intrisa di libertà;
- l’humanum nella sua interezza, nel dualismo maschile e
femminile, non viene coatto in una chiusura di genere di disparità;
- l’egotropismo25 postula una felicità autentica perché si
radica nella verità;
F.G. Brambilla, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005, p. 374.
Egotropismo nella sua prospettiva positiva, in senso positivo, dono di
Dio nella tendenza naturale alla conservazione del proprio essere, all’inte24
25
215
articoli
195-228
- il reale magnetizza l’essenzialità ma l’esistenza diventa
esistenza metafisica, nella scoperta del senso che la fonda.
Solo così l’avventura femminile si spalanca alla divenienza , in un atto ecclesiale reso possibile, quale atto di fede che
genera e insieme garantisce la presenza della donna nella società
e nella Chiesa in piena visibilità.
Una modernità che si appella alla storia e al quotidiano, in
nome di Edith Stein?
Ipotizzo un confronto serrato, indicando alcune donne,
che oggi fanno scuola, con una breve sintesi:
26
– V. Wolf: la donna trova il suo luogo nell’intimità;
– L. Irigaray: il femminile che non ha un luogo “proprio”
ma possiede la capacità di collocarsi, senza tuttavia smarrirsi, nei
luoghi propri degli altri;
– J. Kristeva: si protende a una dimensione bifronte, al
“discorso dell’eterogeneità”, con la donna dei due volti: partecipe ed estraneo;
– I. Murdoch: la donna trasuda amore e giunge alla scoperta della realtà attraverso l’arte e la morale;
– L. Cigarini: il contesto, detto dove esperienziale, costituisce
il grembo del partire da sé.
Edith Stein regge? Può dare risposta? Anche se donna di
decenni superati? Come contestualizzarla nell’oggi?
La sua proposta, fondata rigorosamente da un punto di
vista filosofico razionale, ben si accorda con la postura, il conatus
grazione e realizzazione di se stessi. Questa è la strada delle ricerca felicità
(Tommaso d’Aquino, Contra gentes II, 53).
26
K.E. Børresen, From Patristics to Matristics. Selected Articles on Gender
Models, Øyvind Norderval, Katrine Lund Ore, Herder, Roma 2002.
216
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Cristiana Dobner
cognoscendi, che Papa Benedetto nel suo discorso a Regensburg27
ha definito «il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione».
Il fenomenico viene così squarciato, intelligentemente
squarciato, dilatandosi non disintegrandosi, su di un piano che
tutto comprende e abbraccia, la donna così da Edith Stein viene
qualificata dalla sua particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima.
L’essere ricevuto in dono e come dono si riversa su ogni
ambito di vita e ne diviene radice costitutiva ed esistenza aperta
simultaneamente a Dio e alla storia.
Attualmente ricorrono alcuni termini che si possono
confrontare con l’esperienza di vita di Edith Stein, cui nessuno
potrà negare o mettere in dubbio la qualifica sia di ragionante
sia di senziente. Ne scelgo due:
– Il maternage: inteso come accento principale ed enfatico
della custodia della casa come privilegio femminile. La risposta steiniana si colloca sul piano dell’inclusione e non su quello
dell’esclusione.
– L’etica civile: quale dimensione moderna in cui compiti e
ruoli vengono «intesi come destino naturale»28, in cui professionalità, relazionalità, visibilità sociale sono intramate dall’annuncio evangelico.
La citazione seguente lo dimostrerà ampiamente:
Così viene spezzata la norma anticotestamentaria, per la quale
la donna può operare la sua salvezza solo generando figli. Ci
si era allontanati, in alcuni casi, da questa norma, già nell’An-
Dalla lectio all’Università di Regensburg 12 settembre 2006.
P. Gaiotti de Biase, Da una cittadinanza all’altra. Il duplice protagonismo
delle donne cattoliche, in G. Bonacchi – A. Groppi (a cura di), Il dilemma della
cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Laterza, Bari 1993, p. 158.
27
28
217
articoli
195-228
tico Patto, con la chiamata divina di alcune donne a compiere
imprese straordinarie per il popolo di Dio (Deborah, Giuditta)
(F 94).
Si delineano perciò alcuni ethoi che, simultaneamente,
fondano e sollecitano la donna nel suo esistere:
- nell’apertura alla Parola di Dio che si incarna nella storia
del proprio popolo e si riversa in servizio di fede e di sapienza
vitale;
- nella razionalità coerente e vigile;
- nella vita di ogni giorno che si articola in simboli religiosi;
- nella via dell’esperienza o “teologia dei santi” che dimora
nell’universo mentale della donna e può diventare pensiero filosofico e sapienziale se coniugato con la ricerca della verità;
- nel contesto del vissuto e declinato avvertendo il sensibile
come spirituale e il desiderio come molla dell’esistere;
- nel creare gesti inediti o antichi, espressi in un linguaggio
nuovo, che non escluda le cure materne e quelle della generazione, ma in queste trovi l’apertura al mondo;
- nel flusso ininterrotto di amore, pensiero, arte, linguaggio, nel contesto culturale.
Edith Stein, che ha molto riflettuto e ponderato il soggetto donna nelle sue manifestazioni e definizioni, risulta affine
al sentire moderno del viaggio dell’anima sempre in perpetua
creazione e (s)creazione sul cammino della vita, «sulle orme di
quell’itinerario del pensiero che le filosofe esperiscono, nella
ricerca inquieta della propria anima viandante»29.
M.I. Silvestre – A. Valerio (a cura di), Donne in viaggio, Laterza,
Bari 1999, p. X.
29
218
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Il nostro è un tempo che non si contenta più con considerazioni
metodiche. Le persone non hanno un sostegno e lo cercano.
Vogliono una verità che sia afferrabile e che concerna il contenuto, che dia buoni risultati nella vita, vogliono una “Lebensphilosophie”. La trovano in me. La mia filosofia è lontano come il cielo
da quanto oggi corre sotto questo nome. Lo slancio ditirambico
si cercherà invano in me (WPH 31).
Cristiana Dobner
La sua ottica fu completamente polisemica: psicologica,
filosofica, sociologica, religiosa. Prettamente teorica ma non
avulsa dalla Lebensphilosohie di cui ebbe a dire:
Nulla però della sua riflessione rimaneva lettera morta,
parola vuota, tutto trovava la modalità di postura e prassi quotidiana.
In sintonia con V. Frankl nella ricerca della verità:
Non si può imporre la verità perché è impossibile. Infatti la verità si impone per se stessa non appena sarà colta effettivamente
come verità propria. La sua verità non è mai “una” verità, ma
la verità, ossia la verità considerata dal suo punto di vista. È
tale sua prospettiva a svelargli e schiudergli la verità. D’altra
parte la mia prospettiva, influenzandolo, traviserebbe la verità.
In questo modo l’unico assoluto che la verità consente all’uomo
è l’unicità assoluta della prospettiva attraverso la quale la verità
si manifesta ad ogni uomo. In questo modo il prospettivismo
non sfocia nel relativismo30.
Quindi non imposizione ma annuncio reale e fattivo,
perché promanante semplicemente da se stessa e dal proprio
stile di vita, Edith Stein perciò donna testimoniale.
30
p. 24.
V. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia 1998,
219
articoli
195-228
La fenomenologa si era posta l’interrogativo, latente ma
scorrente in tutto il suo lavoro sulla donna, sull’esistenza di una
donna modello e della possibilità di tracciare una biografia di
una donna ideale.
Una sorta di fessura in cui collocarsi per poter osservare la
realtà e ritrovare Mirjam, la Theotokos, la portatrice di Dio, donna
che appartiene al genio femminile in misura colma e perfetta di
quanto oggi diciamo “mettere al mondo il mondo”31 e che consideriamo «legata alla storia d’Israele, alla linea delle matriarche,
delle quattro Madri di Israele, delle sue eroine di Mirjam, Debora, Giaele, Giuditta, Ester e della madre dei sette fratelli, ma
anche restituita alla storia dell’Alleanza, Maria appare come
la figura ultima della Sposa, fioritura e perfezione della santità
pazientemente educata nel cuore d’Israele. In lei si compiono
gli oracoli profetici che disegnano in anticipo i tratti della santa
Sion»32.
In sintonia con il tempo dato da vivere a Edith Stein, H.M.
Köster infatti scrive:
La mariologia, dalla metà del secolo scorso e ancor più dall’inizio di questo secolo, rappresenta l’aspetto intellettuale d’una
nuova influenza spirituale, sulla Chiesa intera, da parte della
persona della Madre di Gesù e del significato che essa riveste.
Questo rinnovamento porta ad un approfondimento di pensie-
31
AA.VV., Diotima 1990, Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano;
L. Boella, Pensare liberamente, pensare il mondo, in Diotima 1990, Mettere al mondo il
mondo, La Tartaruga, Milano, pp. 173-188; inoltre tutta la riflessione legata a
Diotima e alle sue pubblicazioni: Il pensiero della differenza sessuale (1987); Mettere
al mondo il mondo (1990); Il cielo stellato dentro di noi (1992); Oltre l’uguaglianza. Le
radici femminili dell’autorità (1995); La sapienza di partire da sé (1996); Il profumo della
maestra (1999); Approfittare dell’assenza (2002); La magica forza del negativo (2005);
L’ombra della madre (2007).
32
A.M. Pellettier, Il Cristianesimo e le donne, Jaca Book, Milano 2001,
p. 32.
220
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Mirjam intesa come icona, immagine densa di presenza,
«tutta santa eppure totalmente umana, donna nella ricchezza
della sua femminilità»34.
Colei che offre una sorta di sintassi di vita per tutte le persone e che Edith Stein considerava come Urzelle, cellula primordiale (F 260).
L’elaborazione steiniana, pur sempre rigorosa e fondata,
non si apparenta però a una quaestio mariologica, quanto piuttosto è vicina al grande convertito Newman di cui tradusse alcune
opere e che visse guardando e pensando a Mirjam come «espressione di un cuore innamorato».
Mirjam è pensata e sentita come odegeta, colei che apre una
via, un cammino, una persona concreta e reale e non una figurante nel contesto della storia.
Da questa comunione orante e pensante si può delineare
la natura femminile secondo Edith Stein e il suo assoluto. Procedo per annotazioni tratte dalle opere che connotano la donna e
la rendono chiave di volta nella società e nella Chiesa.
L’asserzione, prima e privilegiata, è capitale:
Cristiana Dobner
ro, restituendo il carattere di teologia autentica alla dottrina
mariologica, or qua or là affidata in modo esagerato alle forze
del sentimento33.
Chi guarda a Lui [Cristo] e a Lui si dirige, ha davanti Dio, l’archetipo di ogni personalità e il compendio di tutti i valori (F
284).
H.M. Köster, Mariologia nel XX secolo, in AA.VV., Bilancio della teologia
del XX secolo, Città nuova, Roma 1973, vol 3, p. 137.
34
B. Forte, Maria, la donna icona del Mistero. Saggio di mariologia simboliconarrativa, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1989, p. 5.
33
221
articoli
195-228
Punto capitale nella sua vita e nel suo pensiero da quando
Lo incontrò:
Vivere la fenomenologia come via per questo incontro fu la
genuina e originale vocazione di Edith Stein, la cifra del suo
cammino, che essa seppe salvaguardare e difendere, con soave
fermezza, anche di fronte all’autorità e grandezza, di cui essa
ebbe peraltro piena coscienza, di Maestri come Husserl e
Heidegger35.
Se ne deducono alcune posture che la donna vive completamente nella sua vita interiore e nella sua prassi quotidiana:
Particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima e la consegna a
Cristo:
Cerchiamo solo l’immagine di Dio in ogni persona e vogliamo
soprattutto aiutarla a ottenere la libertà. Possiamo perciò solo
dire: la peculiarità della donna consiste essenzialmente nella particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima, e giunge a sviluppo puro,
quando ci abbandoniamo a questo agire con totale fiducia e
senza resistenza (F 283-284).
Presuppone un ascolto libero rivolto dentro di sé e la capacità di distinguere gli stati d’animo per potere di conseguenza
discernere l’irruzione dello Spirito e la sua azione.
C. Sini, introduzione a L. Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di
Edith Stein, Città Nuova 19912, 1973, p. 10.
35
222
Il rimando è a quel momento che la Scrittura ci trasmette
nel libro della Genesi: Adam viene colto dal tardemah, dal sonno,
mentre JHWH crea la donna in una teofania che rimane nota a
lei sola. Si fonda e si apre quindi un dialogo silente e misterioso e
non è l’uomo che delinea e definisce la donna, ma JHWH stesso
mentre la donna accoglie e accetta.
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
[…] è chiamata di ogni cristiano ridestare e sollecitare la vita
di fede nelle anime, sempre quando ce ne sia la possibilità. La
donna però vi è chiamata in modo specifico, grazie alla sua posizione particolare verso il Signore, che le sta di fronte (F 260).
Cristiana Dobner
Lo stare di fronte:
La donna riceve gli stessi doni dell’uomo:
Ella, secondo l’ordine originario, è data all’uomo come compagnia e aiuto. Le spetta quindi che gli stessi doni di lui siano
anche suoi, per stare al suo fianco nella signoria sulla terra: riconoscerne i doni, gustarli e plasmarli (F 83) … e la possibilità di
svolgere lo stesso lavoro come lui – con lui, insieme, o al suo
posto (F 117).
Il riconoscimento delle doti e dei doni e il loro esercizio
nella costruzione della persona prima e della società intera poi.
In piena simmetria e indipendenza, pur in correlazione viva.
La cura empatica:
La donna può penetrare con empatia e comprensione nel territorio di realtà che, in sé, le sono distanti e di cui mai si occuperebbe, se un interesse personale non la mettesse in rapporto.
Questo dono è strettamente connesso con la disposizione a essere madre (F 52–53);
223
articoli
195-228
Due doni che si intrecciano nella donna, che può renderli
fecondi con una postura creatrice di nuove dinamiche e di aiuto
sempre pronto.
Il desiderio naturale di dare interamente se stessa ad un altro:
[…] quando l’anima è vuota di se stessa e in se stessa raccolta. Certo,
quando il proprio, rumoroso Sé viene messo da parte, allora
chiaramente c’è spazio e tranquillità, e gli altri vi trovano posto
e possono rendersi percepibili. Non proviene però dalla natura,
sia dell’uomo sia della donna, «O Signore Dio, togli anche me
a me stesso e dà tutto me intero a te solo», si dice in un’antica
preghiera tedesca. Non possiamo farlo da noi, ma deve farlo
Dio. Il pregarlo così però, per natura è più facile alla donna che
all’uomo, perché in lei vive il desiderio naturale di dare se stessa
interamente ad un altro (F 139).
Il desiderio naturale può slanciarsi, può liberarsi e suscitare altri desideri di donazione. Il presupposto però non concede
dubbi: svuotare se stessa è impresa lunga e dolorosa, processo di
crescita e di maturazione che corre parallelo con il raccogliersi in
se stessa. Non imbattendosi nel vuoto e quindi correndo il rischio
della depressione ma incontrando il Dio sempre presente che
attende appunto di essere incontrato.
La capacità corporea sessuata:
Nella donna prevalgono le capacità di proteggere, custodire e
sollecitare nello sviluppo l’essere in divenire e in crescita: perciò
possiede il dono di vivere strettamente legata con il corpo e
di raccogliere in silenzio le forze; d’altra parte la capacità di
sopportare le sofferenze, la privazione e di adattarsi; spiritualmente ha la postura al concreto, all’individuale, al personale, la
capacità di cogliere, nella propria individualità e di adattarvisi,
il desiderio di aiutare nel proprio sviluppo (F 116-117).
224
Per la totalità e la determinazione, che è propria della natura femminile più matura, sgorga da un convincimento di fede
saldo e interiormente fondato, quasi naturalmente, il desiderio
di vivere solo di fede, che significa, porsi del tutto al servizio del
Signore (F 162-163).
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
La totalità e la determinazione:
Cristiana Dobner
Dire donna è dire corpo, che può esprimere forze nascoste o imprevedibili, sempre pronte a intervenire quando ne sia
colta l’urgenza. Una plasticità che, adattandosi, non si nega ma
si rende sempre più trasparente.
Un desiderio che vuole trovare la sua concretizzazione
vitale, non rimanere un vago aspirare. Il servizio del Signore
richiede quella totalità e quella determinazione che la donna
ritrova dentro di sé come sue peculiarità.
La purità assoluta:
Porre soprattutto l’amore di Cristo non solo nel convincimento
teorico ma nel sentire del cuore e nella prassi dell’amore, significa essere liberi da ogni creatura, da un falso legame con se stesso
e con gli altri: questo è il senso spirituale più intimo di purità (F
222-223).
Essere libera richiede un discernimento che promana
sia dalla riflessione, dal pensiero, sia dal sentire profondo che
si riversano nell’agire quotidiano. Nelle sue molteplici sfaccettature si presenta come purità, trasparenza senza macchie alla
relazione con Colui che è Amore.
225
articoli
195-228
L’obbedienza e il servizio:
Un’inclinazione naturale della donna, all’obbedienza e al servizio: nell’obbedienza sento la mia anima sempre libera al massimo (F 52-53).
Quell’obbedienza che la giovane ricercatrice ha rifiutato
con energia e che interpretava come assoggettamento, come
perdita, nella sua parabola di maturazione ci si palesa guadagno,
come traguardo raggiunto.
La partecipazione alla vita professionale:
Maria alle nozze di Cana: il suo calmo sguardo scrutatore
osserva tutto e scopre dove manca qualcosa. E, prima che
qualcuno lo noti, prima ancora che subentri l’imbarazzo, ha
già escogitato il suo aiuto. Trova mezzo e modi; offre le necessarie indicazioni, tutto assolutamente in silenzio, inosservata.
Ecco il modello della donna nella vita professionale. Sempre
dove sia assunta, essa adempie in silenzio ed obbedienza il
suo servizio, senza richiedere attenzione e riconoscimento. Ed
insieme, osserva con occhio vigile le situazioni, avverte dove
c’è un vuoto, dove qualcuno abbia bisogno di aiuto, e interviene a regolare, per quanto può, impercettibilmente. Così ella
diffonde ovunque, come uno spirito buono, la benedizione (F
58).
Un atteggiamento sapienziale e ricco di dedizione assoluta
che non pone se stessa al centro dell’attenzione ma sa stare al
margine, pur essendo, in realtà, il perno di tutto.
Senza dimostrazioni o esternazioni, semplicemente nell’agire più corretto e vigilante.
La donna e l’uomo o l’uomo e la donna? Per Edith Stein
l’interrogativo è illusorio, quando non meschino o mal posto.
226
EDITH STEIN DONNA E LA DONNA
Cristiana Dobner
Vi è un’interezza nell’humanum che parla dell’origine e
chiede, attraversando la storia, di esservi riportata con tutti gli
eventi che l’hanno caratterizzata, con un solo balzo: «Nel ritorno
ad un rapporto di figli verso Dio» (F 88).
Nel grande mosaico della storia della salvezza, ecco l’uomo e la donna, insieme, che ne sono i grandi ma non unici protagonisti:
Nel Nuovo Patto l’uomo ha parte nell’opera della redenzione
attraverso il più stretto legame a Cristo: attraverso la fede, che lo
fa aderire a Lui come via alla salvezza, e perciò alla verità da Lui
rivelata e ai mezzi di salvezza da Lui offerti; attraverso la speranza, che con ferma fiducia attende la vita da Lui promessa; attraverso l’amore, che cerca in ogni possibile modo di avvicinarsi a
Lui; cerca di conoscerLo sempre più da vicino con la meditazione della Sua vita e la riflessione delle Sue parole, l’unione più
intima con Lui l’anela nella santa Eucaristia, la continuazione
mistica la vive attraverso la compartecipazione dell’anno liturgico e la Liturgia della chiesa. Su questa via di salvezza non c’è
nessuna differenza di sesso. Da qui viene la salvezza per entrambi i sessi e per il loro reciproco rapporto (F 88).
L’intelligenza umana si ritrova agapica, fondata e fondante, ricevuta dal Creatore e sostenuta dal dono continuo e inesausto dello Spirito, per diventare sempre più simili al Figlio:
Appartenere a Dio nella più libera consegna dell’amore, e servire, non è solo la chiamata di alcuni eletti, ma di ogni cristiano:
consacrato o non consacrato, uomo o donna, ciascuno è chiamato alla sequela di Cristo. E, nella misura in cui avanza su questa
via, diventerà più simile a Cristo e, poiché Cristo incarna l’ideale
della perfezione umana, in cui sono eliminate tutte le unilateralità
e tutti i difetti, unisce i tratti della natura maschile e femminile, le
debolezze vengono eliminate, i suoi fedeli seguaci allora vengono
innalzati sempre più al di là dei confini della natura (F 98).
227
articoli
195-228
Edith Stein quindi, con la sua fenomenologia sapienziale della verità, anticipò ampiamente i tempi, oggi il suo atteggiamento verrebbe detto «uscire in strada»36, nella declinazione
di diversi movimenti: da laica prima, da credente poi, uscendo
però dalla scena percepita entrando in monastero, prorompendo
infine sulla brutale, ma universale, scena della Shoah e venendo
proclamata Patrona d’Europa. Un’integrazione femminile nella
polis del tutto completa, da monaca carmelitana dall’intelligenza
agapica e da donna pulsante ragionante senziente.
L. Bruit Zaidman, Le figlie di Pandora. Donne e rituali nella città, in G.
Duby – M. Perrot, Storia delle donne in Occidente, I, L’Antichità, a cura di P.
Schmitt Pantel, Roma-Bari 1990, p. 375.
36
228