Hanno scritto di Lui - Studium Biblicum Franciscanum

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Hanno scritto di Lui - Studium Biblicum Franciscanum
Hanno scritto di Lui
Sarebbe arduo dare conto di notizie e articoli riguardanti la persona e l’attività di
Michele Piccirillo apparsi nel corso degli anni su diversi giornali e riviste italiane
ed estere. Davvero in molti si sono interessati a lui, alle sue fortunate scoperte di
mosaici e ai suoi libri.
Un caso speciale certamente è costituito da Franco Scaglia, noto scrittore e attualmente presidente di Rai Cinema, che ha scritto tre romanzi ispirati alla persona
e attività di padre Piccirillo: Il custode dell’acqua, Casale Monferrato, Piemme,
2002; Il gabbiano di sale, ivi, 2004; L’oro di Mosè, ivi, 2006. Al riguardo, Scaglia
ha detto: “Padre Michele è un pezzo indimenticabile della mia vita perché è il protagonista della mia trilogia… Capita raramente che una persona vivente diventi
protagonista di una serie di romanzi”. Alla trilogia La Civiltà Cattolica ha riservato un articolo recensione nel quale F. Castelli qualifica come “originale e avvincente” la serie di romanzi (“A Gerusalemme tra affaristi, poliziotti e
francescani”, 2006 III 493-505).
Scaglia ha dedicato a padre Michele anche un opuscoletto apparso nella collana
“pasSaggiBompiani” e intitolato: Abuna Michele francescano di Gerusalemme,
Milano 2005. “Franco Scaglia ha avuto con lui un’assidua e cordiale frequenza
sì da assimilarne l’amore per la Terra Santa, la passione per l’archeologia e per
la pacificazione tra le varie etnie” (F. Castelli, ivi, 494). In dieci agili capitoli Scaglia racconta i numerosi colloqui avuti con Abuna Michele su diversi temi o riferisce sue riflessioni o pensieri.
Eco della stampa
L’eco vastissima che ha avuto nei Mass media la notizia della scomparsa di
Piccirillo rivelano quanto egli fosse conosciuto a livello internazionale e negli
ambienti più diversi. Senza la pretesa di essere completi, riportiamo in questa
sezione una lista di servizi e note di cronaca apparsi sulla stampa. Spesso i titoli risultano molto significativi della prospettiva sotto la quale erano viste la sua
persona e le sue attività. Se firmati, diamo anche il nome dell’autore; diamo la
lista secondo l’ordine cronologico. Non segnaliamo articoli e notizie, anch’essi
numerosissimi, apparsi online a cura di agenzie di stampa e giornali.
“Morto padre Piccirillo noto per scavi Monte Nebo”, Corriere della Sera 26
ottobre 2008, 25.
L. Archibugi “Addio a Padre Piccirillo francescano archeologo della Terra
Santa”, Il Messaggero 27 ottobre 2008, 17.
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
F. Cardini, “Morto padre Piccirillo, archeologo – Era amico di ministri e governanti, israeliani e arabi”, Il Tempo 27 ottobre 2008, 10.
F. Cardini, “Addio a Padre Piccirillo il francescano archeologo”, La Nazione
27 ottobre 2008.
G. Picone, “Piccirillo, archeologo di Mosè”, Il Mattino 27 ottobre
2008, 15.
E. Pinna, “Per Michele Piccirillo archeologia fu vangelo”, La Gazzetta del
Mezzogiorno, 27 ottobre 2008, 20-21.
F. Scaglia, “Affamato di arte e tempo cercava la pace possibile”, Il Mattino
27 ottobre 2008, 15.
L. Viccaro Theo, “A Carinola la battaglia [di M. Piccirillo] per l’eremo”, Il
Mattino 27 ottobre 2008, 15.
“È morto Padre Piccirillo”, L’Unità 27 ottobre 2008.
“È morto padre Piccirillo l’archeologo della Terra Santa”, Corriere della Sera
27 Ottobre 2008, 25.
L. Ferraiuolo, “Morto improvvisamente l’Indiana Jones in tonaca: il padre
francescano Michele Piccirillo”, L’Eco di Caserta, 27 ottobre 2008
“Morto Piccirillo il frate archeologo”, La Repubblica 27 ottobre 2008, 10.
“Si è spento Padre Piccirillo. Grande archeologo in Terra Santa”, America
Oggi. Quotidiano italiano pubblicato negli Stati Uniti, 27 ottobre 2008.
R. Bader, “Padre Piccirillo, maestro di archeologia che ha amato con passione la Giordania”, Al-Rai, 27 ottobre 2008 (in arabo).
“È morto padre Michele Piccirillo per un quarantennio collaboratore del
nostro giornale”, L’Osservatore Romano 27-28 ottobre 2008, 6.
E. Pinna, “Padre Piccirillo, l’Indiana Jones di Terrasanta”, L’Eco di Bergamo,
27 ottobre 2008, 23.
A. Malnati, “Addio a Piccirillo archeologo di Mosè”, Avvenire, 28 ottobre
2008, 29.
M. Roncalli, “Editoriale: Padre Michele. Archeologo in cerca di pace”, Avvenire, 29 ottobre 2008.
F. Bisconti, “In Terra Santa per ricostruire il passato”, L’Osservatore Romano
29 ottobre 2008, 5.
“Mount Nebo Monk Dies”, The Jordan Times 29 October 2008.
I. Alradaide, “La dipartita di padre Michele Piccirillo”, Al-Ghad, 30 ottobre
2008 (in arabo).
M. R. Patti, “Pace: capire le ragioni degli altri. Ricordando Michele Piccirillo”, Periodico romano di approfondimento culturale: arti, lettere, spettacolo 5 (n. 4 settembre – ottobre 2008) 13.
F. Scaglione, “L’archeologo che scavava anche la Pace”, Famiglia Cristiana
78 (n. 44 novembre 2008) 22.
“Father Piccirillo, 1944-2008”, Notizie italiane. Newsletter of Embassy of
Italy in Israel No. 52 November 2008, 2.
P. Madros, “In morte di P. Michele Piccirillo, francescano: l’archeologia a
servizio della Sacra Scrittura, della Chiesa e dei nostri paesi”, Al-Quds
November 2, 2008, 20 (in arabo).
F. Al-Qaissi, “Madaba saluta il suo figlio italiano padre Michele Piccirillo”,
Al-Arab Al-Yaum, 2 novembre 2008 (in arabo).
J. M. Vidal, “El arqueólogo que mostró la Tierra prometida al Papa Wojtyla
desde el monte Nebo”, El Mundo 2 de Noviembre de 2008, 8.
HANNO SCRITTO DI LUI
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M. Mora, “Michele Piccirillo, arqueólogo. Fue responsible de las excavaciones del Monte Nebo, en Jordania”, El Pais 5 Novembre 2008, 52.
S. Foucart, “Michele Piccirillo », Le Monde 8 novembre 2008, 22.
C. Dauphin, “Fr Michele Piccirillo – Franciscan Priest and Archaelogist
Who Excavated Christian Sites in the Holy Land”, The Guardian 12 November 2008, 28.
M. O’Kane – C. Dauphin, “Fr Michele Piccirillo”, The Daily Telegraph 15
November 2008, 21.
M. Merrony, “Father Michele Piccirillo. Franciscan and one of the most
eminent archaeologists in the Holy Land”, The Times 15 November
2008, 89.
E. Minardo, “Mestizia a novembre”, Il Corriere di Tunisi. Corriere Euromediterraneo n. 52, 30 novembre 2008, 7.
“In memoriam: Fra Michele Piccirillo”, Jérusalem. Bulletin diocésain du
Patriarcat latin 74 (2008) 258-259.
R. Sabelli, “Un saluto per Michele”, Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato. Rivista di Storia – Lettere – Scienze ed Arti
n. 75 (dicembre 2008) 21-24.
M. Roncalli, “L’uomo che leggeva le pietre come pagine di storia sacra”,
Jesus (n. 12 dicembre 2008) 9.
“R. P. Michele Piccirillo, O.F.M. (1944-2008)”, Vinea Electa. Bollettino informativo dell’Associazione ex-alunni/e del Pontificio Istituto Biblico n.
9 2008, 25.
G. Ruotolo, “Padre Michele Piccirillo. Testimonianza di un impegno di
pace tra popoli ostili”, Laudato sìe. Voce del Santuario Maria Santissima
della Vetrana 28 (n. 2, 2008) 7-8.
A. Giodice, “Padre Michele Piccirillo, un archeologo, biblista… ed anche
uno scrittore”, Laudato sìe. Voce del Santuario Maria Santissima della
Vetrana 28 (n. 2, 2008) 16-19.
P. D’Andola, “Una lettera aperta a Padre Michele”, Laudato sìe. Voce del
Santuario Maria Santissima della Vetrana 28 (n. 2, 2008) 20-21.
“Fra Piccirillo nell’abbraccio del Padre”, Eco di Terrasanta 18 (n. 9 novembre 2008) 14.
G. Caffulli, “Un ricordo di padre Michele, frate archeologo”, Terrasanta
nuova serie 3 (n. 6 novembre dicembre 2008) 3.
R. Wagner, “Sein Grab auf dem Nebo ist uns bekannt… Zum Tod von Pater
Michele Piccirillo”, Im Land des Herrn 62 (2008) 149-155.
M. Pazzini, “Michele Piccirillo ofm (1944-2008). In memoriam”, Rivista
Biblica Italiana 56 (2008) 531-533.
P. Mortensen, “Fr. Michele Piccirillo in memoriam”, Liber Annuus 58
(2008) 515-517.
G. C. Bottini, “Michele Piccirillo (1944-2008) francescano di Terra Santa
e archeologo”, Liber Annuus 58 (2008) 479-500.
G. C. Bottini, “Fr. Michele Piccirillo. Profilo biografico”, Acta Ordinis Fratrum Minorum 127 (2008) 531-532.
K. D. Politis, “Father Michele Piccirillo 1944-2008”, Palestine Exploration
Quarterly 141 (2009) 86.
G. C. Bottini, “En memòria del pare Michele Piccirillo”, Butlletí de l’Associació Bíblica de Catalunya n. 101 gener 2009, 77-80.
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
M. Roncalli, “L’addio di padre Michele Piccirillo. Dalla Bibbia alla pace”,
Vita Pastorale 97 n. 1 gennaio 2009, 66-67.
G. C. Bottini, “Moses and Mount Nebo: A Tribute to Michele Piccirillo”,
Inanatirtha. Journal of Sacred Scripures 3 (2009) 9-12.
P. Kaswalder, “Abuna Michel, Padre Piccirillo, OFM, archeologo (19442008)”, Il mondo della Bibbia 96 (n. 1 gennaio 2009) 54-56.
O. Paliotti, “Indiana Jones col saio”, Città Nuova 53 (n. 2 gennaio 2009)
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M.-A. Bealieu, “L’A Dieu à frère Michele Piccirillo”, La Terre Sainte Janvier Février 2009, 49.
E. Bárcena, “In memoriam: P. Michele Piccirillo”, Tierra Santa 796 (Enero
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Dossier su M. Piccirillo a cura del direttore N. Ibrahim, As Salam Wal Kheir
/ Pax et Bonum (Bi-mensile della Custodia di Terra Santa in arabo), febbraio 2009 (10 pp.)
C. Hamarneh, “Fr. Michele Piccirillo, 1944-2008”, Levant 41 (2009)
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P. Pruneti, “Palestina orfana di Michele Piccirillo”, Archeologia viva 28 (n.
133, 2009) 2.
L. Pellegrini, “Lo sguardo fisso sulla pietra dove tutto avviene”, L’Osservatore Romano 4 giugno 2009, 5.
Alcune voci
Arricchiamo questo elenco con la riproduzione di quattro contributi. Il
primo è un articolo che Franco Scaglia pubblicò per la prima volta nel 2002
(Il Foglio, 12 maggio) ma ora l’amico scrittore ce lo ha rinviato con qualche
lieve ritocco. Degli articoli apparsi dopo la morte di Michele ne riprendiamo tre: la calorosa e penetrante riflessione con la quale Franco Cardini,
che con Michele ha condiviso tante iniziative culturali, lo ha ricordato su
diverse testate con alcune varianti e che noi riprendiamo da “Toscana Oggi”
del 30 ottobre 2008; l’“addio” che Luca Archibugi ha scritto confidando la
sua grande stima per il frate studioso e archeologo e la sua ammirazione
schietta e cordiale per l’“avventura umana” di Michele (Il Messaggero 27
ottobre 2008); il racconto fatto dallo studioso Peder Mortensen della feconda collaborazione e sincera amicizia che vi è stata tra padre Michele e
un gruppo di studiosi della Danimarca da lui coordinati (Liber Annuus
2008, 515-517).
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HANNO SCRITTO DI LUI
Abuna Michele tra scienza e Provvidenza
Abuna Michele conosceva bene la storia che non era “un incubo dal quale
cercare di svegliarsi”, come scriveva James Joyce, ma un sogno ricco di antichi mosaici che prendevano vita grazie alla fiducia e all’ottimismo francescani.
Abuna Michele, per noi che stiamo sull’altra sponda del Mediterraneo, era
padre Michele Piccirillo. Abuna Michele amava il deserto che gli aveva concesso ogni ben di Dio, come la volta che andando a spasso, una sua abitudine, per quella terra arida e sabbiosa dalle parti di Umm al-Rasas, a qualche
chilometro da Madaba, inciampò su una pietra un po’ più grossa delle altre.
La raccolse, la esaminò e si rese conto di avere tra le mani un’ascia preistorica.
Perfetta, levigata al punto giusto, affilata, pronta per la caccia. Guardò meglio
intorno ai suoi piedi, ce n’erano altre, molte altre. Un cimitero di asce preistoriche. Cominciò a raccoglierle consapevole dell’importante scoperta, ma
anche convinto che era la Provvidenza ad aver guidato i suoi passi. Perché
nell’animo di padre Michele Piccirillo prima c’era la Provvidenza, poi la
Scienza, e quando Provvidenza e Scienza si incontravano, come nel suo caso,
si rischiava di passare alla storia.
Abuna Michele sarebbe certo piaciuto a Bruce Chatwin. La Patagonia che Chatwin descrive come una regione dello spirito piena di finti castelli e vaste fattorie,
e gonfia di fantasmi e ricordi, somiglia tanto al monte Nebo e a Umm er-Rasas di
Abuna Michele, i suoi luoghi della fantasia e del mito. Abuna Michele aveva molti
titoli. Era professore di geografia biblica presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, era direttore della missione archeologica del monte Nebo,
ma se lo invitavano da qualche parte e gli domandavano come voleva essere
presentato, lui, con una punta di snobismo, rispondeva “Padre Michele Piccirillo,
francescano di Gerusalemme”, e la stessa punta di snobismo si manifestava, in
questo caso forse era campanilismo, quando gli chiedevano, sentendo la sua
pronuncia, se era napoletano, e lui replicava che era casertano, anzi di Casanova di Carinola in provincia di Caserta. Viaggiava molto Abuna Michele, e viaggiare è sempre un’occasione per affrontare una prova spirituale. Come per
Chatwin anche per lui “l’atto stesso del viaggiare contribuisce a creare una sensazione di benessere fisico e mentale mentre la monotonia della stasi prolungata
o del lavoro fisso tesse nel cervello trame che generano prostrazione e un senso
di inadeguatezza personale”. Come per Chatwin anche per lui il viaggio era una
ricerca del Santo Graal. E il viaggio più felice di Abuna Michele, quello che gli
fece scoprire il suo Graal, cioè Umm al-Rasas, era avvenuto qualche anno fa.
Agli inizi dell’Ottocento l’esploratore tedesco Ulrich Seetzen stava cercando la
mitica Petra. La sua guida beduina gli parlò invece di una città antichissima
che si chiamava Umm al-Rasas. La città aveva una sola porta come la romana
Gerasa, ma era più bella e meglio conservata tanto che se ne potevano vedere
le strade, le case e i templi. La cosa più interessante erano poi le mura costruite con grossi massi squadrati tenuti insieme da strati di piombo. Era questa la ragione per cui la città veniva chiamata Umm al-Rasas, cioè “ricca di
piombo”. Il racconto fece molta impressione a Seetzen, che chiese conferma
dell’esistenza di Umm al-Rasas alle autorità turche di Damasco. Il governatore
gli disse che la storia del beduino corrispondeva a verità. Seetzen tornò in Europa con il rimpianto di non aver potuto visitare Umm al-Rasas e di non aver
trovato Petra. Ma la realtà era meno affascinante di quanto avevano raccon-
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
tato i beduini e il governatore. Infatti, allorché nel 1816 la spedizione Buckingham arrivò a Um er-Rasas, la città apparve come una distesa grigia e monotona di rovine senza nemmeno un monumento.
Quando ai giorni nostri Abuna Michele cominciò a scavare tra le pietraie di
Umm al-Rasas scoprì subito una chiesa che risultò essere un complesso ecclesiastico composto da quattro edifici sacri circondato da numerosi cortili e
cappelle. I mosaici delle due chiese più grandi erano di tempi diversi. Le iscrizioni in greco che vi si leggevano spiegavano l’evoluzione degli edifici. Abuna
Michele scoprì anche che nell’VIII secolo, quando da più di cento anni la regione era governata dai califfi di Damasco, fu costruita un’altra chiesa, dedicata a Santo Stefano dalla “popolazione amante di Cristo di Kastron Mefaa e
dal diacono Giovanni arconte capo dei Mafaoniti”. Kastron Mefaa era il nome
romano di Umm al-Rasas. Abuna Michele sosteneva che non gli sarebbe bastato il tempo che Dio gli aveva assegnato per completare gli scavi nel deserto
giordano, a sud di Madaba. Ma era felice di aver già dimostrato come la parola pace, che tormentava quotidianamente i suoi pensieri, a quell’epoca fosse
ben conosciuta dai fedeli di religioni diverse.
Una volta al monte Nebo, nella stanza da pranzo, mise una tovaglia bianca e
ricamata sul grande tavolo rettangolare di legno stagionato. Stirò con le mani
le pieghe e si fece il segno della croce. Arrivarono i suoi allievi e alcuni ospiti.
Su quel tavolo celebrò la messa, perché “Dio lo onori ovunque, se hai fede”.
Anche perché, e Abuna Michele sorrideva francescanamente mentre lo diceva, in Terra Santa chi non crede nei miracoli non è realista.
Franco Scaglia
Padre Piccirillo, l’archeologo francescano del monte Nebo
Non c’è nulla che sia meno obiettivo e più disomogeneo del tempo. Fernand
Braudel ha detto una volta che se uno sostiene che il tempo è un’entità omogenea, obiettiva, perfettamente misurabile significa che non ha mai fatto all’amore e non è mai stato dal dentista. C’è gente che campa mille anni e più
ed è come se non fosse mai esistita, come se fosse nata morta. E gente che vive
pochissimo e che sa riempire la sua vita di tante di quelle cose da renderla
lunghissima. C’è una longevità spirituale che, quando la incontri in un familiare o in un amico, illumina anche la tua vita, per sempre.
Michele Piccirillo se n’è andato a sessantaquattr’anni, e le necrologie dei giornali hanno sostenuto concordi che la sua è stata una scomparsa “immatura”. La
vita si è senza dubbio allungata di parecchio, negli ultimi tempi: e tuttavia, si può
davvero sostenere che un ultrasessantenne sia poi così giovane per morire?
Stando alle statistiche, sì. Ma qui le statistiche non c’entrano. Il fatto è che Michele ha riempito la sua vita di tante cose, di tanti tesori, di tanta luce, che tutto
sembra esser passato in un attimo. E non ci si rassegna all’idea che sia morto.
E pensando a quel che ha realizzato, a quel che ha scritto, a quel che ha scoperto, a quel che ha vissuto, si ha la sensazione che sia ancora tra noi, che non
possa andarsene, che non sia morto. Che non morirà mai. Che sia immortale.
HANNO SCRITTO DI LUI
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È questa la sensazione che ho provato lunedì pomeriggio, il 27 ottobre, nella
chiesa livornese della Madonna – la chiesa dei francescani –, mentre assistevo
alle esequie di Michele. Quando è entrata la sua semplice bara di legno
chiaro, ho avuto una stretta al cuore. Mi è dispiaciuto di non poterlo vedere
un’ultima volta, di non poterlo sfiorare in un estremo saluto. Avevo rimandato
di giorno in giorno un incontro con lui: in fondo, la distanza tra Firenze e Livorno è breve. Così, rinviavo all’occasione di poterlo vedere più a lungo, di
poterci parlare con calma: si hanno sempre tante cose da fare. E, nell’attesa,
lui se n’è andato. Inaspettatamente, certo: sapevamo che la sua malattia era
grave, ma nessuno prevedeva una fine tanto rapida. In fondo, è stato meglio
così, hanno detto i medici: ma di non averlo abbracciato un’ultima volta, io
non potrò mai perdonarmi.
Eppure, mentre l’ufficio funebre procedeva, sentivo la tristezza gradualmente
attenuarsi: non dico certo fino a scomparire, tuttavia una progressiva calma
m’invadeva. Ho ripensato alla bellezza della liturgia latina, a quell’altissimo,
trionfale “In Paradisum deducant te angeli”, e me lo sono quasi figurato, padre
Michele, il mio fratello Michele, nella gloria di Dio. Il Cristo ha sconfitto la
morte; e nel Cristo anche Michele l’ha sconfitta. In quella bara non c’è altro
che una povera spoglia che un giorno risorgerà trasformata in un Corpo di
Gloria. Non dobbiamo più cercare tra i morti chi vive e vivrà per sempre. Non
dobbiamo più avere paura.
Michele Piccirillo era nato a Carinola di Caserta, nel 1944. Era legatissimo al
suo bel paese natale, alla sua numerosa e rumorosa, cordialissima famiglia: e,
quando tornava da Carinola a Gerusalemme, al suo convento della Flagellazione dove aveva sede lo Studium Biblicum Franciscanum, non mancava mai
di portarsi dietro una bella valigiata di mozzarelle fresche del suo paese. Ma
non dimenticava mai di essere uno studioso: e, per meglio onorare Carinola,
le dedicò la preziosa edizione del diario di viaggio che alla fine del Trecento
era stato scritto da un suo concittadino, il notaio Nicola Martoni, che aveva peregrinato fino a Gerusalemme.
L’interesse per la storia del pellegrinaggio alla Città Santa e per gli edifici sacri
di essa, a cominciare dalla basilica gerosolimitana della Resurrezione e per
l’edicola del Santo Sepolcro ch’essa custodisce, era una parte cospicua del
suo lavoro di storico, di filologo e di archeologo; aveva mutuato tale interesse
dal suo Maestro, padre Bellarmino Bagatti, attento editore di testi trecenteschi
di pellegrinaggio come quello del suo confratello francescano, Nicolò da Poggibonsi. E allo studio della storia della basilica affiancava anche quello della
devozione dei Luoghi Santi in Occidente, dove la grande chiesa detta “del
Santo Sepolcro” era stata più volte riprodotta, specie in età medievale, in più
modi e fatta oggetto di un culto sostitutivo del pellegrinaggio. Questo specifico aspetto della spiritualità cristiana occidentale lo aveva molto attratto specie negli ultimi tempi: e in tale studio lo aveva affiancato una sua brillante
allieva italiana, Renata Salvarani. L’ultimo libro di Michele Piccirillo parla proprio di questo, ed è un libro curioso oltre che prezioso: il suo principale argomento, difatti, è costituito dai modellini in legno d’olivo e madreperla della
chiesa e dell’edicola del Sepolcro, da sempre gloria dell’umile e raffinatissimo artigianato dei palestinesi soprattutto di Betlemme. Ora che le circostanze politiche hanno reso tutto più duro, e che il turismo langue,
quell’artigianato rischia di perdersi e con esso rischia di svanire la prosperità
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
di tante famiglie, la maggior parte cristiane, ma anche musulmane. Il libro di
Michele era destinato a far conoscere questo problema, a sostener quegli artigiani, a far sopravvivere quella tradizione.
È solo un esempio, tra i molti che si potrebbero fare, di una passione scientifica e intellettuale che non era mai andata disgiunta dall’impegno sacerdotale, dall’apostolato francescanamente inteso anzitutto come testimonianza,
da un coraggio civico che talvolta gli aveva procurato anche qualche problema nella difficile situazione della Gerusalemme dei tempi d’oggi. Piccirillo
era uomo di carità, ma odiava il compromesso e amava la verità: non era dunque raro che entrasse in polemica con chiunque cercasse di adulterarla.
Eppure, non aveva nemici: al contrario. Lavorava in un ambito geografico amplissimo, tra Israele, Libano, Siria, Giordania e anche Egitto. Circolava sempre
liberamente, anche nei tempi di tensione: conosceva tutti ai passi di confine e
ai posti di blocco; era amico di uomini politici arabi e di uomini di governo israeliani e li trattava da pari a pari, era di casa alla corte del re di Giordania, era
stato amicissimo dell’indimenticabile re Hussein e molti membri della casa reale
avevano imparato da lui gli elementi di base della storia e dell’archeologia.
Ma insomma, chi era Michele Piccirillo?
Per rispondere adeguatamente, sarebbe necessario fare la storia della prestigiosa Custodia Francescana di Terrasanta, che dalla metà del Trecento opera
nel Vicino Oriente facendo opera di testimonianza cristiana e di carità, studiando, assistendo i cristiani locali, i pellegrini, gli ammalati, e mantenendo al
tempo stesso relazioni strette e cordiali con le comunità cristiane locali, con gli
ebrei, con i musulmani.
A partire dai primi del secolo scorso, il lavoro scientifico in seno alla Custodia
è andato precisandosi e facendosi più rigoroso. Merito precipuo di ciò è stato
di una splendida pattuglia di frati studiosi e avventurieri, veri e propri pionieri
dell’archeologia cristiana di Terrasanta. Loro guida un francescano nato presso
Pisa, Bellarmino Bagatti, vissuto tra 1905 e 1990. Studioso straordinario dell’archeologia del Nuovo Testamento, delle comunità giudeo-cristiane, del cristianesimo vicino-orientale dell’età patristica. Accanto a lui, si dovrebbe fare
una lunga serie di nomi: i padri Virgilio Corbo, Sabino De Sandoli, Stanislao
Loffreda, Eugenio Alliata e tanti altri, che hanno gestito nei molti e non sempre facili decenni del secolo scorso, e continuano a farlo, una quantità incredibile di scoperte in campo archeologico e storico.
Michele Piccirillo, arrivato giovanissimo in Terrasanta, fu l’allievo prediletto di
padre Bagatti. A Piccirillo si deve la scoperta di una quantità di chiese protocristiane soprattutto dei secoli V-VIII in tutto il Vicino Oriente e addirittura di
un’intera, favolosa città carovaniera “perduta”, Castrum Mefaa, quella che
per gli arabi era Umm ar-Rasas. L’aspetto più affascinante e per così dire scenografico delle scoperte di Piccirillo è costituito da centinaia di metri quadrati di preziosi tappeti musivi, la pubblicazione dei quali lo ha reso famoso
in tutto il mondo.
Ma il suo capolavoro è stato il cantiere del Monte Nebo, l’imponente sperone
roccioso che domina il deserto giordano, le “steppe di Moab”, e dal quale si
domina la meravigliosa oasi creato dal Giordano che si getta nel Mar Morto.
Da lì, nelle sere limpide, si scorgono da lontano le luci di Gerusalemme.
Fu dal Nebo (il “Monte del Profeta”, in arabo al-Jabal an-Nabi) che secondo
la tradizione il profeta Mosè contemplò prima di chiudere gli occhi la Terra
HANNO SCRITTO DI LUI
115
Promessa. Lì, in età costantiniana, sorse una grande basilica a lui dedicata.
Padre Piccirillo stava lavorando da molti decenni a far rinascere quella basilica: ne aveva fatto uno splendido santuario-museo, attorno a cui aveva
raccolto decine e decine di mosaici restaurati e accanto al quale aveva organizzato un convento-ospizio-laboratorio-biblioteca sotto la vigna adiacente al quale, nelle sere d’estate, ricordo di aver consumato con Michele
molte lunghe, semplici, bellissime cene spesso allietate dalle mozzarelle di
Carinola, dal pecorino e dal vino che ci eravamo portati dalla Toscana
(coincidenza: un grande amico di Michele e mio, padre Rodolfo Cetoloni,
è diventato vescovo di Pienza e di Montepulciano, capitali appunto del
cacio e del vino rosso...). Ricordo estati bellissime di molti anni fa al Monte
Nebo, insieme con tanti amici come Guido e Anna Vannini, Francesco Bandini, Luigi Marino, Massimo Papi e altri che sarebbero tutti degni d’essere
ricordati ma che sarebbe qui lungo richiamare uno per uno; una volta,
venne con noi anche mia figlia Chiara, allora diciannovenne. Con Chiara
tornai più tardi una volta a Gerusalemme, insieme con suo figlio (e mio nipote) Dario, che di Michele diventò grande amico. E con Michele incontravo i miei due fraterni amici ebrei di Gerusalemme, Simonetta Della Seta
(oggi direttrice dell’Istituto di Cultura di Tel Aviv) e suo marito Massimo Torrefranca, ai quali debbo una cena di ch’è e resterà per sempre fra i più bei
ricordi della mia vita.
Fu proprio al Nebo che una sera d’inizio settembre, tardi, davanti all’ultimo
goccio di vino prima di andar a dormire (al mattino, verso le sei, ci svegliava
il rombo di due caccia israeliani ai quali avevamo ormai fatto l’abitudine),
dissi a Michele che se avessi potuto scegliere un posto dove trascorrere gli
ultimi anni della mia vecchiaia, quello sarebbe stato proprio lì, sulla montagna di Mosè, vicino alla sua uva e ai suoi mosaici. Gli chiesi: “Mi aiuterai a
venir qui? Guarda che dico sul serio”. Mi guardò, sorrise e rispose: “Bisogna
andare dove Dio ci manda”. Dio ha disposto che lasciasse questa vita qui,
nella mia Toscana, a pochi chilometri dal paese di Perignano dove, più di un
secolo fa, era nato il suo Maestro Bellarmino Bagatti. Che gran tessitore di
trame esistenziali, che gran romanziere, è il Signore! Ma le spoglie di Michele
torneranno là, al Monte Nebo.
Credo che a Michele dedicheranno delle piazze e delle strade. Mi adopererò
per far sì che accada. Ma il suo monumento sarà per sempre là, sulla montagna del Nebo. Ricordate la scritta che a piazzale Michelangiolo ricorda Giuseppe Poggi? “Volgetevi intorno. Questo è il suo monumento”. Quando
salirete il Nebo, quando sarete sulla cima del monte di Mosè, volgetevi intorno. Quello è il monumento a Michele Piccirillo, studioso, archeologo,
prete, francescano.
Franco Cardini
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
Addio a padre Piccirillo francescano archeologo della Terra Santa
Nella notte fra sabato e domenica si è spento padre Michele Piccirillo. Era un
francescano di Gerusalemme. Con lui non se ne va soltanto un grande archeologo di fama mondiale, uno dei testimoni più vivi del conflitto che dilania da secoli la regione in cui apparve il messaggio cristiano, ma sopra ogni
altra cosa ci lascia un uomo semplice, dedito con passione inestinguibile al
proprio lavoro. Immerso per più di trent’anni nei suoi scavi, restauri e scoperte, Padre Michele ci consegna un ritratto di sé che manifesta in modo
schietto e unico il profondo significato della missione francescana. Egli ha
svolto tale mandato cercando in ogni momento un equilibrio difficile fra l’intento di pace e la scissione costante che ha attraversato da sempre la sua Palestina. La sua stessa attività di archeologo, dal monte Nebo in Giordania (il
luogo dove apparve a Mosè la Terra Promessa) alla Siria, all’Egitto, alla Palestina e a Gerusalemme, ha inseguito la storia della cristianità in modo da parlare a tutti, credenti e non credenti. La mole delle sue pubblicazioni, sovente
decisive in termini storico-archeologici, non è altro che un viatico di pacificazione e tolleranza.
Al ricordo del valore scientifico dell’opera di Padre Michele, itinerario spezzato
a 64 anni nel pieno della sua attività, si mescola indissolubilmente l’aspetto
umano, condiviso con coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui.
Per la Rai abbiamo realizzato numerosi documentari, l’ultimo dei quali “Tessere di pace in Medio Oriente”, che ricostruiva la storia dei mosaici della Terra
Santa. Un altro è in corso d’opera sulla storia del Santo Sepolcro. L’ultimo suo
libro, uscito da pochissimo, si intitola “La Nuova Gerusalemme”, sull’artigianato palestinese in Terra Santa e sui modellini dei Luoghi Sacri. Ma anche qui,
va detto, il vaglio di Padre Michele sulla grandezza delle opere d’arte si accompagnava sempre al dettato di salvezza. Ogni passo compiuto di questo
pellegrinaggio non poteva fare a meno di una storia possibile che gettasse luce
sulla storia reale.
Lavorando al suo fianco, in ogni momento, persino quando a Gerusalemme
ci preparava un caffè, si coglieva, senza che avesse mai bisogno di dichiararlo,
l’altezza di un cammino di redenzione. Così come, da ultimo, nell’incredibile
serenità con cui affrontava le sofferenze della malattia, ci consegnava venti
pagine di testo scritte a mano, lascito prezioso e, date le circostanze, indimenticabile della sua avventura umana. Minimizzava ogni volta che la vanità
avrebbe potuto vezzeggiarlo. Divenne protagonista di una trilogia di romanzi
di Franco Scaglia, suo amico da sempre, e faceva un sorrisetto. Ispirandosi a
Michele, Scaglia ha creato il personaggio di Padre Matteo, detective francescano. Si schernì quando vincemmo il premio del pubblico del “Capitello
d’Oro” con il film sui mosaici. Non era, ovviamente, falsa modestia: era semplicità e necessità di aderire ai suoi principi, ad una purezza d’intenti cristallina
come i suoi occhi azzurri.
Luca Archibugi
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HANNO SCRITTO DI LUI
Amici e collaboratori anche in Danimarca
Il primo contatto di padre Michele Piccirillo con un gruppo di Danesi risale al
1991, quando fu realizzata nel museo di Moesgaard, nei pressi di Aarhus, una
mostra della collezione di Widad Kawar sui costumi femminili della Palestina
e della Giordania, unitamente ad un’importante selezione di mosaici bizantini
provenienti da cappelle e chiese della Giordania. Molti di questi mosaici erano
stati riportati alla luce dallo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme,
denominato in Giordania anche come Franciscan Archaeological Institute diretto da Michele Piccirillo, anche lui scopritore di mosaici giordani.
Tutto era stato approntato al Museo di Moesgaard per l’apertura della mostra
fissata per il 23 giugno 1991: testi e fotografie erano posizionati sui muri e larghe predelle, preparate appositamente per i pavimenti mosaicati, erano
pronte nelle sale espositive. Sfortunatamente, però, due settimane prima dell’inaugurazione a Moesgaard, i mosaici erano ancora esposti in Italia, al Castello di Malpaga nelle vicinanze di Bergamo. Al Castello, il curatore
dell’esposizione mi disse che sarebbe stato impossibile rimuovere i mosaici in
quel momento, e che inoltre ci sarebbero voluti mesi per far passare i mosaici
attraverso le dogane dall’Italia alla Danimarca. Sconvolto, contattai Michele
Piccirillo, che mi disse di tranquillizzarmi: aveva delle conoscenze che sarebbero risultate molto utili per l’occasione. Dieci giorni più tardi un enorme camion italiano arrivò di notte al nostro museo, e la mattina seguente incontrai
per la prima volta padre Michele, che era appena giunto per supervisionare
l’apertura e l’installazione dei mosaici, il cui posizionamento nelle sale era stato
già curato nei minimi particolari. Dopo 24 ore di duro lavoro, Michele tenne
alla cerimonia di apertura dell’esposizione una brillante introduzione sui mosaici della Giordania. Questa mostra ottenne in Danimarca un grande successo, e si rivelò una finestra aperta su un aspetto del cristianesimo primitivo
pressoché sconosciuto ai danesi in quel tempo.
Personalmente, fui molto impressionato dal modo in cui Michele riuscì a giostrare le sue amicizie e conoscenze, come un brillante suonatore di organo
di fronte al suo strumento. Era serio e teso durante le operazioni, ma si presentò a me al termine del lavoro con un sorriso smagliante, come un mago,
che ancora una volta aveva con facilità portato a termine il suo numero di
magia. Queste circostanze accadute a Moesgaard furono l’inizio di una confidente amicizia.
Durante il suo soggiorno danese, Michele descrisse gli importanti cambiamenti
nel panorama archeologico avvenuti negli ultimi anni nella regione del monte
Nebo: molti siti archeologici erano stati cancellati in seguito ad estesi progetti
urbanistici, costruzioni di strade e nuovi insediamenti agricoli, inclusa l’introduzione del terrazzamento a scopo agricolo, sostenuto da solide mura e fondamenta di pietra. Il materiale per queste attività era facilmente reperito nelle
antiche rovine, nei tumuli sepolcrali e nei monumenti megalitici. Nel tentativo di preservare e proteggere le più importanti di queste città, Piccirillo chiese
di creare un parco archeologico con il suo centro attorno al monte Nebo.
Nella preparazione di questo progetto suggerì che gli archeologi danesi in cooperazione con il Franciscan Archaeological Institute intraprendessero un’attività di registrazione di tutti i siti archeologici della regione. Questa iniziativa
condusse ad un’indagine estesa del territorio realizzata negli anni 90, e furono
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Michele Piccirillo, frate archeologo tra scienza e Provvidenza
catalogati e segnati sulla mappa 748 siti, che ricoprono un arco storico che
parte dalla primitiva età della pietra e arriva alla fine del periodo ottomano.
La pubblicazione finale è in lavorazione ed è programmata l’uscita di tre volumi nelle edizioni dello Studium Biblicum Franciscanum.
Michele non solo concepì l’idea di questa estesa indagine, ma durante la nostra collaborazione generosamente ci ha fatto sentire a casa al Monte Nebo.
Il suo interesse per il nostro lavoro fu sempre costruttivo e stimolante, mai aggressivo o fastidioso. Inoltre si è rivelato utile e importante che nel corso degli
anni Francesco Benedettucci e in particolare Carmelo Pappalardo abbiano
potuto lavorare con noi nel campo e nel nostro laboratorio al monte Nebo.
In alcune occasioni Michele volle che visitassimo con lui alcuni monumenti o
siti che aveva scoperto o che pensava potessero essere significativi per il nostro lavoro. Durante tali escursioni tempo e distanze non sembravano avere
importanza. Con entusiasmo indicava la strada attraverso regioni desolate,
colline e wadi, dimostrando il suo talento finemente sviluppato per rintracciare siti antichi nel paesaggio. Questa qualità, combinata con il suo occhio
acuto per riconoscere i fossili e gli strumenti primitivi di pietra, non lo fece mai
tornare dai suoi tour senza aver trovato qualche pezzo di selce caratteristico.
Il suo particolare interesse per alcuni degli attrezzi umani primitivi come le accette di selce affiorava spesso. Un esempio: durante un congresso al Cairo ritornò da un viaggio al Mar Rosso con una bella accetta del basso paleolitico
che aveva afferrato sotto l’acqua ad alcuni metri dalla riva. Tali ritrovamenti
c’erano sempre presentati con un umile sorriso, come se volesse chiederci il
nostro consiglio, pur conoscendo bene che il ritrovamento era raro e in alcuni casi unico.
Dopo alcuni anni di indagini venne la nostra collaborazione assunse una
nuova dimensione. Nel 1999 l’Istituto Danese di Damasco fu coinvolto nella
preparazione delle esposizioni nel nuovo museo archeologico di Hama in
Siria. Tra i pezzi esposti figuravano molti mosaici unici dell’epoca tardo-romana e bizantina.
Michele, vedendo l’importanza e il pessimo stato di conservazione di questi
mosaici, decise nel corso di una sua visita ad Hama di aggregare per parecchi
mesi al nostro gruppo due dei suoi amici, gli esperti mosaicisti Antonio Vaccaluzzo e Franco Sciorilli. Questo permise, ancora grazie all’intuito di Michele,
che tre dei più importanti mosaici siriani siano ora magnificamente restaurati
e visibili nel museo di Hama. Dopo questa esperienza, supportati dalla Fondazione Danese per la Palestina, siamo stati impegnati in diversi modi con Michele nel restauro di mosaici bizantini da Tayyibat- al-Imam in Siria a
el-Mukhayyet al monte Nebo.
Nel corso di tutti questi anni, la sera al termine del lavoro, abbiamo spesso
trascorso del tempo assieme a Michele sulla terrazza del convento al monte
Nebo contemplando silenziosamente assieme le stelle. Oppure ce ne stavamo
seduti chiacchierando e bevendo del caffè all’ombra degli alberi nel giardino
antistante la tomba di Fra Girolamo Mihaic, accanto al quale ora riposa anche
Michele. La sua scomparsa costituisce una perdita enorme, non solo come illustre studioso e stretto collaboratore, ma soprattutto come amico, il cui amore
sarà sempre vivo nei nostri cuori.
Peder Mortensen