AGGIORNAMENTO SUGLI ACCORDI APE / EPAs
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AGGIORNAMENTO SUGLI ACCORDI APE / EPAs
APE Accordi di Partenariato Economico EPAs Economic Partnership Agreements Quale partnership è possibile fra un gatto e un topo? Percy F.Makombe, vice direttore SEATINI (Zimbabwe) L’Africa non è in vendita! Aggiornamento sui negoziati EPAs Roberto Meregalli, (Beati i costruttori di pace – Rete di Lilliput - Tradewatch) Terminato il 10 aprile 2008. Per qualsiasi segnalazione scrivere a [email protected] Tutte le parti di cui non sono citati fonti ed autori sono da attribuire all’autore; le opinioni espresse non sono rappresentative delle singole associazioni che sostengono la campagna. Disponibile all’indirizzo web: https://www.beati.org/sites/beati.org/files/aggiornamentoepa.pdf Indice Capitolo 1: La situazione dopo il 1 gennaio 2008 3 Capitolo 2: Gli interim EPA 9 Capitolo 3: L’EPA dei Caraibi 12 Capitolo 4: L’Agenda Europea 2008 14 Capitolo 5: Conclusione 17 L’Africa non è in vendita! 1 La situazione dopo il 1 gennaio 2008 A partire dal primo gennaio 2008 le relazioni commerciali fra i 27 Stati dell’Unione Europea e i paesi ACP non sono più le stesse1. Dopo più di trent’anni, le preferenze di Lomé/Cotonou sono cessate, ed i 76 paesi interessati si sono dovuti adeguare alle decisioni della Commissione Europea2. Quando iniziarono i negoziati EPA, nel 2002, i paesi ACP vennero suddivisi in sei gruppi regionali, come illustrato nella tabella sottostante, l’obiettivo era la firma di altrettanti EPA. Configurazione originale dei gruppi regionali coinvolti nei negoziati EPA Africa Occidentale Africa Centrale Africa Orientale Africa Meridionale Caraibi Pacifico Benin Burkina Faso Repubblica del Capo Verde Gambia Ghana Guinea Guinea Bissau Costa D’Avorio Liberia Mali Mauritania Niger Nigeria Senegal Sierra leone Togo Camerun Gabon Repubblica Centrafricana Ciad Congo (Brazzaville) Repubblica Democratica del Congo Guinea Equatoriale São Tomé e Príncipe Burundi Comore Gibuti Eritrea Etiopia Kenya Malawi Mauritius Madagascar Ruanda Seichelles Sudan Uganda Zambia Zimbabwe Angola Botswana Lesotho Mozambico Namibia Swaziland Tanzania Sud Africa Antigua e Barbuda Bahamas Barbados Belize Dominica Repubblica Dominicana Grenada, Guyana, Haiti Giamaica Saint Christopher e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname, Trinidad e Tobago Isole Cook Micronesia (Stati federati di) Figi Kiribati Isole Marshall Nauru Niue Palau Papuasia Nuova Guinea Samoa Isole Salomone Tonga Tuvalu Vanuatu 16 8 15 8 15 14 Nota: i Paesi Meno Avanzati (Less Developed Countries LDCs) sono quelli sottolineati. Il Sud Africa è stato inserito a pieno titolo nei negoziati del gruppo dell’Africa meridionale il 12 febbraio 2007. Alla scadenza del 31 dicembre 2007, solo il blocco dei Caraibi è arrivato alla meta, gli altri blocchi hanno rifiutato; pertanto negli ultimi due mesi dell’anno la Commissione Europea ha negoziato una manciata di accordi con singoli stati e con due sottogruppi regionali. Dal primo gennaio 2008, per questi 35 paesi non è cambiato un gran ché perché le facilitazioni dell’Accordo di Cotonou sono state rimpiazzate dal Regolamento Europeo (No 1528/2007), approvato nel dicembre scorso, che li esenta da dazi e limiti tariffari sul 99% delle merci. Per gli altri paesi, quelli che non hanno concordato alcun tipo di EPA, i dazi sono invece aumentati e l’unica maniera di evitarli, disponibile ai paesi classificati come Paesi Meno Avanzati (PMA), è quella di esportare utilizzando l’iniziativa “tutto fuorché le armi” (TFA), una particolare forma di preferenze a vantaggio di tutti i PMA, che esenta da dazi tutti i loro prodotti di esportazione, senza limiti di quantità3. Va però chiarito che il trattamento TFA è meno favorevole di quello di Cotonou perché le regole di origine TFA che stabiliscono se una merce può usufruire delle esenzioni oppure no, sono peggiori di quelle di Cotonou. 1 Il Regolamento approvato dalla Commissione Europea è disponibile a questo indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/en/oj/2007/l_348/l_34820071231en00010154.pdf 2 Per una analisi approfondita del tema dei negoziati EPA rimandiamo al testo distribuito nella primavera 2007, disponibile a questo indirizzo: http://www.beati.org/files/epa/Approfondimento_A5_normale.pdf 3 Questa iniziativa è denominata “Everything But Arms” perché sono esentate armi e munizioni. L’Africa non è in vendita! 3 Nota inviata agli operatori economici dei 32 Paesi Meno Avanzati che formalizza il cessare delle preferenze di Cotonou. Fonte: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2008/february/tradoc_137763.pdf Sono 29 i paesi ACP che hanno potuto farlo, gli altri 10 da inizio anno subiscono tasse doganali che precedentemente non avevano, ed esportano utilizzando il sistema delle preferenze generalizzate (SPG) applicato dall’Ue dal 1971 verso tutti i paesi in via di sviluppo (PVS). Il sistema europeo delle preferenze generalizzate (SPG) • • • 178 paesi e territori in via di sviluppo beneficiano dell’SGP per esportare in Europa. Nel 2003, le preferenze SGP hanno riguardato importazioni verso l’UE per un totale di 50 miliardi €. Il principale beneficiario é stato il Bangladesh seguito da Cina, Pakistan, Brasile, Malesia e India. Il GPS è attuato in cicli decennali in modo da garantire stabilità agli operatori economici. Il nuovo SPG 2006-2015 semplifica il meccanismo e riduce il sistema a 3 regimi (link del nuovo GSP: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2005/june/tradoc_123910.pdf) • • • Regime generale: i prodotti interessati passano da 6.900 a 7.200 (essenzialmente nei settori agricoli e della pesca di interesse per i paesi in via di sviluppo) Regime speciale per i paesi meno sviluppati: “Tutto Fuorché le Armi” Nuovo SPG plus per i paesi più vulnerabili = esenzioni da dazi su 7.200 prodotti se il paese risponde ai seguenti criteri: 1. Ratifica ed applicazione delle 27 principali convenzioni internazionali 2. evidenza degli scarsi benefici con l’SPG standard 3. presenza di una economia poco diversificata. L’Africa non è in vendita! 4 Lo schema riportato di seguito mostra il numero di accordi sinora conclusi: Botswana Lesotho Swaziland Mozambico Un EPA “completo” Con i Caraibi 2 interim EPA Sub-regionali in Est Africa Kenya, Uganda, Tanzania, Ruanda Burundi Diversi interim EPA con singoli paesi (due del Pacifico) Seychelles, Zimbabwe, Papua Nuova Guinea, Isole Fiji, Mauritius, Costa d'Avorio, Isole Comore, Madagascar, Namibia, Ghana, Camerun. A parte l’EPA con le isole dei Caraibi, tutti gli altri accordi conclusi sono definiti come “interim EPA”, essendo accordi parziali che mirano a liberalizzare il commercio relativo alle merci. Li vedremo nelle prossime pagine in dettaglio. Tabella riepilogativa della situazione attuale dei paesi ACP Fonte: EPA NEGOTIATIONS: STATE OF PLAY AND STRATEGIC CONSIDERATIONS FOR THE WAYFORWARD, SouthCentre, febbraio 2008. L’Africa non è in vendita! 5 Africa Dei trenta paesi africani che hanno rifiutato di iniziare un EPA, le regole doganali sono mutate significativamente solo per tre poiché tutti gli altri paesi essendo classificati come PMA, hanno sostituito le facilitazioni di Cotonou con quelle “tutto fuorché le armi” (TFA), ). Pertanto dal 1 gennaio 2008 le cose sono cambiate in peggio (relativamente all’accesso al mercato) solo per la Repubblica del Congo, per il Gabon e la Nigeria. Singoli interim EPA con Paesi Africani (Centro Africa e West Africa Sono rimasti quasi totalmente fuori) 2 interim EPA Sub-regionali in Est Africa Nel corso dei negoziati il continente era stato suddiviso in 4 aree. 4 • Nel blocco occidentale hanno accettato l’impegno di un interim EPA (IEPA) solo 2 paesi su 16: Costa d’Avorio e Ghana. Si tratta di due dei quattro paesi non classificati come PMA della regione, la Nigeria si è opposta fieramente ad ogni accordo; grazie al suo peso economico ed alle sue esportazioni di petrolio poteva permettersi di ignorare i ricatti del commissario Mandelson. L’altro paese non appartenente alla categoria PMA, Capo Verde, per tre anni potrà ancora sfruttare il trattamento riservato ai PMA4. Riguardo agli impegni assunti da Costa d’Avorio e Ghana, il primo si è impegnato a cancellare i dazi sull’80,8% delle importazioni dall’Europa (in valore) nel giro di 15 anni, il 69,8% nei primi 10. Per il Ghana i valori sono rispettivamente dell’80,48% e del 62,24%. • In Africa Centrale solo il Camerun ha aderito alle offerte Ue impegnandosi a cancellare i dazi sul 50% delle esportazioni Ue nel giro di 10 anni per salire all’80% in altri cinque anni. Gli altri due paesi non PMA di questo gruppo, Gabon e Repubblica del Congo, non hanno assunto alcun impegno anche se il primo sembra intenzionato a farlo nel corso del 2008. • Nel blocco orientale è sortito un interim EPA con un gruppo composto da quattro paesi (Kenya, Uganda, Burundi e Ruanda) più la Tanzania, che in realtà faceva parte di un altro blocco negoziale, quello dell’Africa Meridionale. Tutti e cinque fanno parte di un'altra istituzione regionale africana: l’East African Community (EAC). Questo IEPA pone il problema tecnico di come combinare i propri dazi doganali con quelli dell’intero gruppo regionale COMESA (di cui è un sottoinsieme), una unione doganale che avrebbe dovuto stabilire dei Dal 1 gennaio 2008 Capo Verde non è più classificato come Paese meno Avanzato ma per un periodo di transizione di tre anni potrà ancora avere lo stesso trattamento riservato ai PMA. L’Africa non è in vendita! 6 dazi esterni comuni entro la fine del 2008. Al momento, anche in conseguenza della crisi del Kenya, sembra improbabile che la stessa EAC stabilisca un mercato unico prima della fine del 2009. • Nel blocco meridionale, tolta la già citata Tanzania, è stato concordato un IEPA con un sottoinsieme composto da Botswana, Lesoto, Swaziland, Mozambico e Namibia. Questi paesi attualmente fanno parte insieme al Sudafrica dell'Unione doganale dell'Africa australe (SACU), peccato che il suo accordo fondativo stabilisca, con l’articolo 31, il divieto da parte dei paesi membri di questa unione doganale, di negoziare accordi con paesi terzi, senza il consenso di tutti gli altri membri. Si da il caso che questo non sia stato fatto e che il Sud Africa abbia già manifestato i suoi malumori. Senza contare che senza il Sud Africa si annunciano seri problemi di compatibilità fra questo EPA e la SACU perché i prodotti che i cinque paesi hanno specificato come “sensibili” e che manterranno dazi doganali se importati dall’Europa, potrebbero entrare duty free passando per il Sud Africa, legato all’Ue da uno specifico accordo di libero commercio5, vanificando l’efficacia delle misure protettive concordate. I produttori nigeriani di cacao lamentano la perdita economica post EPA La Nigeria è uno dei tre paesi africani (non PMA) che si è rifiutato di concludere un accordo con la Commissione Europea. Come conseguenza l’Ue dal 1 gennaio ha alzato i dazi sui prodotti ugandesi riducendone così il livello di concorrenza rispetto ad altri produttori. Ad esempio il cacao è divenuto meno conveniente di quello proveniente da Ghana, Camerun e Costa D’Avorio, i primi due hanno detto sì all’EPA, mentre il Costa D’Avorio essendo un PMA può ancora esportare esentasse. Sinora il 90% del cacao ugandese veniva esportato in Europa, Feliz Oladunjoye, segretario nazionale di COPAN, (l’associazione dei produttori di cacao della Nigeria), ha da tempo lanciato l’allarme per le perdite che la nuova politica commerciale europea sta generando. Secondo Oladunjoye sono valutabili in 5 milioni di dollari le perdite subite nei primi tre mesi dell’anno. A seconda della classificazione merceologica (cacao grezzo, burro di cacao, prodotti processati eccetera) le nuove tasse doganali imposte dall’Europa variano dal 4,2 al 6,1% del valore. Fonte Trade Negotiations Insights, numero 2, marzo 2008. Carabi Quella dei Caraibi è l’unica regione ad aver firmato un EPA completo di tutti i capitoli: • Merci • Servizi • Barriere tecniche al commercio • Regole di facilitazione • Agricoltura e Pesca • Movimento di capitali • Regole di concorrenza • Diritti di proprietà intellettuale e Innovazione • Appalti pubblici 5 (TDCA – Trade and Development Cooperation Agreement), operativo dal 1 gennaio 2000, prevede la creazione di un’area di libero scambio attraverso la graduale liberalizzazione dei dazi su oltre il 90% dei prodotti caratterizzanti l’interscambio, entro un arco temporale di dieci anni. L’Africa non è in vendita! 7 • Ambiente Relativamente alle merci, l’impegno sottoscritto è di cancellare i dazi sul 60% dell’import dall’Europa nel giro di 10 anni per giungere all’82,7% in 15 e all’86,9% in 25. L’accordo avrebbe dovuto essere sottoscritto nel corso di un incontro ministeriale programmato per il 15 aprile p.v. ma attualmente rimandato al mese di giugno. Pacifico 2 interim EPA Con due Stati A concordare un EPA limitato al capitolo merci sono stati i due maggiori paesi del gruppo: Papua Nuova Guinea e Fiji, tutte le altre isole, dal 1 gennaio 2008, esportano a dazi zero se appartenenti alla categoria PMA (5 paesi), altrimenti pagano i dazi previsti dal sistema di preferenze europeo in vigore per tutti i PVS. L’Africa non è in vendita! 8 2 Gli interim EPA Riassumendo sono 35, su 76, i paesi che hanno concordato un EPA con l’Unione Europea. A parte il caso dei Caraibi, tutti gli EPA sono limitati al capitolo merci. Vediamo le caratteristiche essenziali di questi accordi. Liberalizzazione delle merci L’Ue ha ottenuto quanto si proponeva, ovvero di cancellare i dazi su almeno l’80% delle merci esportate verso gli ACP, sostenendo che questo fosse il “must” stabilito dall’accordo GATT. Il prezzo degli IEPA è proprio questo: liberalizzare le importazioni in cambio del mantenimento delle condizioni di Cotonou sulle esportazioni in Europa. La tabella sottostante mostra gli impegni concordati, espressi in valore totale di esportazioni Ue verso gli ACP; la liberalizzazione supera ampiamente l’80% delle esportazioni con punte superiori al 90%. La tabella sottostante evidenzia la liberalizzazione in termini di percentuale di linee tariffarie: Fonte: Commissione Europea Gli interim EPA sono stati abbozzati in fretta e furia nell’ultimo trimestre 2007 e gli effetti appaiono evidenti, è stato rilevato che in uno degli accordi (East African Community-EAC), esistono omissioni che riguardano 952 prodotti che, nella fretta, non sono stati inseriti nelle liste allegate. L’Africa non è in vendita! 9 La logica del più forte I diversi IEPA conclusi sono strutturalmente simili ma tutti diversi per impegni e per clausole particolari. Solo i cinque paesi dell’EAC (fortunatamente) hanno gli stessi impegni. Le differenze fra questi IEPA non risultano sottostare ad alcuna logica se non a quella che le liberalizzazioni più rapide sono state imposte dall’UE ai paesi più deboli, ovvero meno preparati tecnicamente a reggere il pressing negoziale. In altre parole l’’Ue non ha avuto alcuna sensibilità verso i paesi più poveri. Regole di origine Nel capitolo beni è compresa una revisione delle regole di origine, aspetto importante perché definisce le regole che stabiliscono se una merce può fruire delle facilitazioni Ue o no, in base a quanto del lavoro fatto per produrla sia svolto nel paese che poi lo esporta in Europa. A parte i prodotti di base, gli altri sono il frutto di lavorazioni sparse in diversi paesi. Le regole degli IEPA sono perverse perché limitano la cumulabilità ai paesi ACP che … abbiano firmato un EPA con l’UE! Stabilendo una forma pesante di ricatto affinché tutti gli ACP firmino gli EPA. In alcuni testi sono presenti anche capitoli relativi alle regole sanitarie e fitosanitarie, e alle barriere tecniche al commercio (etichettature, imballaggi eccetera), regole che rendono più oneroso esportare in Europa. Integrazione regionale Un altro dei rischi più volte sottolineati era che gli EPA avrebbero ostacolato il già lento e tormentato processo di creazione di un mercato regionale africano. Gli IEPA conclusi confermano queste paure perché solo nel caso EAC si otterrà un rafforzamento di questo gruppo mentre in tutti gli altri casi essi costituiranno un ostacolo a qualsiasi tentativo ci creare nuove unioni doganali perché definiscono tariffe diverse e liste di prodotti protetti eterogenee. In particolare l'integrazione di Africa orientale e meridionale (ESA) e il sottogruppo Southern Africa Development Community (sottoinsieme della SADC), appaiono gravemente colpiti, poiché esistono notevoli differenze nei calendari delle liberalizzazioni e nella lista dei prodotti protetti che i cinque paesi dell’area hanno siglato. Dei prodotti esclusi dai quattro stati ESA, non ve ne è uno che sia stato “protetto” da tutti e cinque i paesi e oltre il 75% dei prodotti è stato protetto da uno solo. Confrontando quanto concordato dal Mozambico con quanto concordato congiuntamente da Botswana, Lesotho, Namibia e Swaziland, solo il 20% delle merci sono stati considerate da entrambi come sensibili e perciò protette.6 Aiuti Riguardo a questi impegni Gli IEPA contengono anche un capitolo introduttivo focalizzato sul tema dello sviluppo, ma balza all’occhio quanto sia generico e privo di impegni quantificati e vincolanti, soprattutto se confrontato con la parte del commercio delle merci. Inoltre questo capitolo è assente nei due IEPA firmati con due paesi del Pacifico e con i cinque stati Africani dell’EAC. Va ricordato che il capitolo aiuti è importante per finanziare progetti infrastrutturali di supporto alle attività economiche e per compensare le perdite di entrate fiscali determinate dal taglio dei dazi doganali stabiliti. Clausola MFN (Nazione più favorita) Difficile giudicare il potenziale impatto della 'clausola di MFN', che richiede ai paesi ACP che hanno concluso un accordo con Bruxelles di estendere all’UE “qualsiasi trattamento maggiormente favorevole” che sia offerto a qualsiasi altro importante partner commerciale in futuri accordi di libero scambio. Il Brasile ha già sollevato il problema di questa clausola in sede WTO7, dove ad onor del vero, l’UE non ha ancora notificato gli EPA, e diversi paesi hanno già accusato l’Unione Europea di porre in atto una strategia tesa a difendere ed aumentare la sua quota di commercio nel continente africano. Concretamente il Brasile ha fatto rilevare che la clausola contraddice le regole WTO tese a favorire il commercio sud-sud (in particolare la Enabling Clause del 1979). La MFN in parole molto povere obbliga i 6 The African Economic Partnership Agreements – what the details reveal, By Chris Stevens, Mareike Meyn and Jane Kennan, Tuesday, April 08, 2008. Overseas Development Institute ODI. 7 Statement by brazil on ACP-UE Partnership Agreements, WTO General Council Meeting del 5 febbraio 2008, disponibile su www.acp-eu-trade.org L’Africa non è in vendita! 10 paesi ACP a garantire che i dazi sui prodotti UE non saranno mai superiori a quelli imposti sulle merci prodotte dai paesi in via di sviluppo, il che significa una notevole limitazione di sovranità. Va detto che la MFN è una clausola cardine del WTO ma in quella sede ha valore multilaterale e sono stabilite esenzioni proprio in favore delle unioni doganali e dei PVS. Sinora non era mai stata inserita in accordi bilaterali o regionali come ha fatto l’Ue negli EPA. Anche altre clausole come la standstill8 o il livello di dettaglio delle norme sulle iniziative di salvaguardia o sulla gestione delle dispute, non sono presenti (o non sono così restrittivi), nei precedenti accordi di free trade firmati dall’Unione europea, ad esempio col Sud Africa e col Messico. Appaiono confermarti i timori che gli EPA costituiscano il primo esempio di applicazione della nuova strategia commerciale europea, "Global Europe: Competing in the World"9, ovvero accordi di libero scambio più aggressivi della precedente generazione, comprensivi di quei temi non più negoziabili in sede multilaterale (WTO). Gli IEPA infatti incorporano l’impegno ad allargare la “copertura” degli EPA in modo da considerare anche servizi, diritti di propriètà intellettuale e diversi altri argomenti. La tabella che segue li riassume tutti indicando come i diversi IEPA incorporano l’impegno a negoziati ulteriori. 8 Si tratta di una clausola che obbliga i paesi ACP a “congelare” tutti i dazi doganali. Per maggiori informazioni vedi: http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/r11022.htm L’Africa non è in vendita! 11 9 3 L’EPA completo col CARIFORUM La regione dei Caraibi è composta da 15 stati, 12 piccole isole più 3 stati costieri, che già fanno parte di diversi processi di integrazione economica regionale. I principali sono la Comunità e Mercato Comune Caraibici (Caribbean Community and Common Market CARICOM) e l’Organizzazione degli Stati dei Caraibi Orientali (Organization of Eastern Caribbean States OECS). Sei paesi che fanno parte di CARICOM partecipano a OECS, che potrebbe essere definita come una forma di integrazione più profonda rispetto a CARICOM. Per negoziare l’EPA l’Ue ha scelto come controparte una diversa struttura, CARIFORUM, creata nel 1992 per coordinare e monitorare la distribuzione dei fondi europei destinati a questa regione, a cui aderiscono tutti gli stati di CARICOM, più la Repubblica Dominicana10. Situazione schematica dei raggruppamenti regionali dell’area dei Carabi: Fonte: www.globalsouth.org. La popolazione totale di questo blocco tocca circa 30 milioni di abitanti; l’economia è altamente dipendente dal commercio anche perché l’industria non è molto sviluppata e l’agricoltura ha dei limiti strutturali. Rispetto agli altri gruppi ACP, i Caraibi sono la regione con un maggiore livello di benessere economico, solo Haiti è classificata come PMA; anche per questo motivo l’Ue ha trovato negoziatori più preparati, ma ha anche potuto esercitare maggiori pressioni visto che in caso di mancata adesione, eccetto Haiti, tutti gli altri paesi avrebbero dovuto subire un peggioramento di trattamento. Le esportazioni sono concentrate in 4 categorie di prodotti che assommano al 42,8% del totale valore esportato: prodotti minerari, prodotti elettronici, barche (Antigua & Barbuda e Bahamas) e bevande. C’è un’altra caratteristica che diversifica i Caraibi dagli altri blocchi ACP: il maggiore partner non è l’Europa ma gli Stati Uniti verso cui va il 54,6% dell’export contro l’11,2% Ue. 10 CARIFORUM ha avviato il processo di integrazione economica iniziando con lo stabilire un mercato unico nel 2006 a cui però non partecipano le Bahamas e Haiti. L’Africa non è in vendita! 12 Maggiori partner commerciali dei Carabi: Problemi ed opportunità L’EPA concluso inizia con una parte dedicata allo sviluppo e alla lotta alla povertà. Peccato che questa parte non contenga alcun impegno di spesa e nessuna data di scadenza. Il capitolo dedicato ai beni impegna i Caraibi a cancellare i dazi sull’82,7% delle importazioni dall’Ue in 15 anni, 92% entro 25. Nei servizi, Cariforum ha accettato di aprire il 75% dei settori (secondo la classificazione WTO) ai providers europei. I problemi e i dubbi che emergono da una prima superficiale analisi dei documenti sono gli stessi emersi in fase di negoziato. Cariforum contraccambia il mantenimento delle preferenze di Lomé/Cotonou, perdendo il potere regolamentatorio che i dazi offrono come strumento di politica economica per favorire i produttori domestici, e le entrate fiscali derivate, che per alcuni paesi sono rilevanti, ad esempio per Antigua & Barbuda (53,5% delle entrate fiscali) Santa Lucia (53,5%) San Vincenzo e Grenada (41,3%). Dazi doganali come percentuale delle entrate fiscali totali dei Paesi dei carabi: Forti i timori in agricoltura, settore che produce il 11,4% del PIL e impiega il 21,1% della popolazione. E’ una agricoltura di piccola scala, solo alcuni prodotti sono destinati all’esportazione, il resto serve al consumo locale. L’export è relativo a zucchero, banane, riso, limoni, cacao e caffè. L’Africa non è in vendita! 13 La FAO segnala un costante aumento delle importazioni alimentari e una perdita di autosufficienza. Già ora Santa Lucia importa il 100% dei cereali consumati, e a parte il Belize, tutti gli altri vanno dal 70 al 90%. Nel 2007 il prezzo dei cerali è salito a valori record (anche a causa del boom degli agro-combustibili e delle immancabili speculazioni finanziarie). L’EPA aiuterà le economie di questi paesi? La liberalizzazione e la conseguente apertura ai mercati mondiali in agricoltura non avrà certo effetti positivi visto che non esiste in queste isole la possibilità di produrre a prezzi concorrenziali con Europa, Usa e America Latina. Ci sono limiti geografici e rischi legati ai cambiamenti climatici. Va infatti ricordato che queste isole, insieme a quelle del pacifico, stanno già facendo i conti con l’innalzamento del livello degli oceani e di fronte all’aumento del costo dell’energia non hanno soluzioni, come ricordava Julian R. Hunte, ambasciatore di Santa Lucia all’ONU, parlando a nome dell’alleanza degli stati piccole isole (Alliance of Small Island States - AOSIS) il 1 maggio 2006 nell’ambito della quattordicesima sessione della Commissione sullo sviluppo sostenibile11. Il settore industriale è poco sviluppato ed è costituito da zuccherifici, distillerie di rum abbigliamento, tabaccherie. L’abbigliamento è già in crisi, schiacciato dalla concorrenza cinese e l’EPA non regala nulla di nuovo pertanto non offre nuove opportunità di sviluppo. I servizi sono il maggior comparto produttivo dei Caraibi, soprattutto il turismo e tutto quanto vi è correlato, costruzione di hotel e viaggi aerei, per lo più di proprietà estera però. I paesi CARIFORUM si sono impegnati a liberalizzare il 75% dei settori, (65% Haiti). L’Ue in cambio ha allentato le norme sul movimento di persone fisiche legate alla fornitura di servizi ma l’impegno appare un po misero e di dubbia efficacia. L’Europa ha “aperto” 29 settori ma con condizioni tali che chiunque può valutarne l’efficacia reale: innanzitutto il provider caraibico di turno deve ottenere un contratto della durata di almeno un anno e i suoi dipendenti devono essere assunti sempre da almeno un anno, la loro qualifica professionale deve essere riconosciuta in Europa e comunque sia, il fornitore deve superare una sorta di esame, di valutazione economica da parte Ue. In cambio di tutto questo, il personale del fornitore ACP per fornire il servizio venduto in Europa ottiene la magnanima concessione di potervi risiedere per 90 giorni all’anno, non di più! Infine l’EPA comprende i temi cosiddetti WTO plus perché non richiesti dal WTO, ma ostinatamente imposti dall’Europa. Sono priorità Ue non dei Caraibi, non sono prioritari rispetto agli obiettivi di sviluppo e alle richieste negoziali dei paesi ACP. 11 http://www.un.org/esa/sustdev/csd/csd14/statements/stlucia_01may.pdf L’Africa non è in vendita! 14 4 L’agenda Europea 2008 Superata la scadenza di fine 2007, il discorso EPA appare tutt’altro che chiuso e il negoziato proseguirà nel 2008 ed oltre. Quali sono i problemi ancora aperti? Cosa prevede l’agenda europea? Innanzitutto vi sono delle prescrizioni legali da compiere, nessuno dei testi è stato ancora approvato per cui dal punto di vista legale nessuna delle parti sarebbe ancora obbligata ad applicarli. Per la firma dell’EPA con i Caraibi era stata fissata la L’Ue e il rispetto delle regole WTO data del 15 aprile ma attualmente risulta rinviata al L’Ue ha insistito sino alla noia della necessità di mese di giugno. Questo accordo, diversamente da concordare entro la fine del 2007 degli EPA compatibili tutti gli altri, andrà approvato anche dai singoli paesi con la normativa WTO. membri dell’Ue poiché incorpora servizi e diritti di Ma poi non si è comportata coerentemente ed ha proprietà intellettuale. applicato gli interim EPA unilateralmente senza Per gli altri IEPA esiste un ulteriore problema, alcuni notificarli a Ginevra. paesi chiedono infatti una revisione del testo prima Secondo il GATT (art. XXIV, quello che l’Ue ha insistito della ratifica. andasse rispettato e su cui ha fondato la propria ostinazione a rispettare la data del 31 dicembre 2007) la Per i Commissario Mandelson (nella foto), invece, Commissione Europea avrebbe dovuto notificare gli l’obiettivo prioritario è quello di trasformare tutti gli accordi conclusi, entro il 1 gennaio 2008, ovvero prima altri IEPA in EPA regionali, ovvero convincere i paesi della loro applicazione. sinora rimasti alla finestra ad aderire e riscrivere dei testi non più limitati a singoli paesi ma a gruppi regionali. “Tutti gli accordi ad interim sono stati esplicitamente redatti per costituire una base per successivi accordi regionali completi”, così recita la DG Trade in un suo documento12, aggiungendo che “questo significherà lavorare, regione per regione, per mettere in atto gli elementi necessari per ottenere un accordo complessivo che sostenga la crescita regionale, comprendendo i servizi, regole di promozione degli investimenti e assistenza allo sviluppo”. Entro la fine del 2008 pertanto Mandelson dovrà “Trasformare gli accordi ad interim in autentici EPA regionali raccogliendo le adesioni di tutti i paesi, PMA e non PMA, e costruire degli EPA in modo che costituiscano accordi con la maggior copertura possibile su temi come i servizi e le regole.” L’Ue era stata inflessibile nell’imporre la scadenza del 31 dicembre 2007, appellandosi al fatto che dal 1 gennaio 2008 qualsiasi paese aderente all’Organizzazione Mondiale del Commercio avrebbe potuto citare in giudizio l’Ue per l’illegalità delle norme commerciali contenute nell’Accordo di Cotonou. Ma per ottemperare alle imposizioni del WTO bastava un accordo limitato al capitolo merci, tentare ora di imporre accordi su temi che lo stesso WTO ha cancellato dalla propria agenda negoziale non risulterà facile. Inoltre, anche restando nel campo degli IEPA, i paesi ACP si sono parecchio lamentati delle pressioni esercitate dal Commissario Mandelson negli ultimi mesi del 2007 e vorrebbero avere la possibilità di rivedere i testi concordati in fretta e furia, ed eventualmente modificarli prima della ratifica. Fu lo stesso Barroso, nel corso del vertice UE-Africa del dicembre scorso a dire che gli IEPA sarebbero stati rivisti nei 12 Commission Staff Working Paper, EU-ACP Economic Partnership Agreements: State of Play and Key Issues for 2008. Gennaio 2008, la traduzione è dell’autore di questo testo. L’Africa non è in vendita! 15 negoziati 2008, la Namibia diffuse una dichiarazione al riguardo quando concordò il “suo” EPA il 12 dicembre 2007. Il 29 gennaio scorso Mandelson, in una intervista13, negò tutto affermando di non credere che il presidente Barroso intendesse riaprire i negoziati, ma i paesi dell’Unione Africana, riuniti ad Addis Abeba il 2 febbraio, hanno concordato una dichiarazione ufficiale che chiede la revisione degli EPA ed accoglie la proposta del presidente della Commissione Europea di svolgere delle consultazioni fra Africa ed Ue ad alto livello. Anche nei Carabi emergono voci autorevoli14 che chiedono una revisione delle oltre trecento pagine di accordo. Gli EPA sono accordi senza scadenza, legalmente vincolanti, che una volta ratificati non sarà facile modificare. Pertanto si chiede che essendo stati “venduti” da sempre come “strumenti di sviluppo”, il capitolo dedicato a questo tema non sia lasciato così vago e generico rispetto alla parte relativa al commercio e alla liberalizzazione degli investimenti. Senza investimenti certi nelle infrastrutture, nello sviluppo del cosiddetto capitale umano (leggi istruzione e formazione), nelle nuove tecnologie, la semplice liberalizzazione e apertura dei mercati ACP agli esportatori europei non farà che peggiorare le diseguaglianze. Ma il trasferimento di risorse dal Fondo Europeo per lo Sviluppo non è nelle clausole vincolanti del testo EPA. I Caraibi hanno accesso duty e quota free al mercato europeo dal 1975, ma i risultati in termini di crescita economica sono stati insignificanti, ora l’obbligo ad adeguarsi ai nuovi capitoli sulle barriere tecniche al commercio e sui regolamenti sanitari e fitosanitari si tradurranno in costi aggiuntivi e non in nuove opportunità. Assemblea interparlamentare Ue-ACP, Lubiana 15-20 marzo 2008 (http://www.europarl.europa.eu/intcoop/acp/60_15/default_en.htm) 13 IPS: Africans Stuck with EU deals, David Cronin, 29 gennaio 2008. http://www.normangirvan.info/renegotiate-the-epa-havelock-brewster-norman-girvan-and-vaughan-lewis-30308/ L’Africa non è in vendita! 16 14 5 Conclusione Molti sono i dubbi legati alla rivoluzione nei rapporti commerciali fra Unione Europea e paesi ACP, una cosa però è certa: la conclusione degli interim EPA ha considerevolmente destabilizzato il gruppo dei paesi ACP che ora non possono più definirsi come un unico gruppo avendo regole diverse. La Commissione europea ha fatto del suo meglio (o del suo peggio) per chiudere il discorso entro la scadenza che si era prefissata, dimostrandosi intransigente e facendosi scudo dell’impegno di dover rispettare la deroga stabilita a suo tempo dalla World Trade Organization. Ma la compatibilità con le clausole WTO era un pretesto e lo dimostra il nuovo accanimento che i commissari europei stanno mostrando per completare la loro opera, negoziando tutti quegli argomenti che non sono necessari per garantire la conformità con le regole OMC. Il commissario allo sviluppo Louis Michel durante l’ultimo incontro parlamentare Ue-ACP, svoltosi in Slovenia a metà marzo, si è mostrato insofferente alle critiche sollevate dai parlamentari, “se volete restare poveri, allora continuate a rimanere contro gli EPA”15, ha lamentato, confermando per l’ennesima volta che la Commissione non ha alcun dubbio sulla bontà del proprio credo. Eppure proprio questa ostinazione e questa cecità di fronte a critiche piovute anche da autorevoli istituzioni internazionali, evidenzia la sua debolezza e incapacità a pensare che esistano strade alternative per migliorare la situazione economica delle sue ex-colonie. Il suo atteggiamento sembra voler tarpare le ali al desiderio Africano di de-colonizzazione, di diversificazione dei partners commerciali in modo da non dover più dipendere dall’Europa e di maggiore autonoma nelle proprie relazioni commerciali. Solo così si spiega la clausola MFN che garantirà all’Ue di avere sempre il miglior trattamento, probabilmente dettata dal disperato tentativo di evitare che la Cina e gli altri paesi emergenti prendano il suo posto nei rapporti commerciali col continente africano. Grafico relativo ai paesi dove l’Africa esporta e dettaglio delle esportazioni Africane in Cina nel 2006 15 Citazione tratta da Trade Negotiations Insights, Aprile 2008. L’Africa non è in vendita! 17 Una prima analisi dei diversi testi concordati indica che il prezzo pagato per mantenere in vita le facilitazioni di Cotonou è alto, ed è fuoriluogo insistere nel definire gli IEPA, come fa il commissario Michel (vedi a lato la copertina di un suo volumetto scritto ad hoc), come strumenti di sviluppo poiché si limitano a stabilire la liberalizzazione del mercato delle merci senza concretizzare alcuna misura di aiuto allo sviluppo Di fronte ai problemi derivanti dai cambiamenti climatici, di fronte al dramma dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e del petrolio, gli IEPA appaiono ancor più deludenti ed avulsi dalla realtà. Molti paesi ACP non sono autosufficienti dal punto di vista alimentare e l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli fa salire la loro spesa in un momento in cui diminuiscono le entrate per effetto della riduzione dei dazi sui prodotti europei. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) che sfama 73 milioni di persone in un’ottantina di paesi ha lanciato l’allarme denunciando un “buco” di 500 milioni di dollari, causato dal caro prezzi. Certo le ragioni di questa crisi sono molteplici, si pensi all’aumento dei consumi in Asia, all’aumento della domanda di mais generato dagli agro-carburanti, alle speculazioni finanziarie, eccetera. Di certo però siamo di fronte a una situazione estremamente critica che richiede interventi ragionati e innovativi, richiede interventi coordinati e il commercio non può esimersi dal fare la sua parte. Gli agricoltori dei paesi ACP in questo momento hanno necessità di investimenti in agricoltura, di fondi destinati alla ricerca agraria specifici, di avere facile accesso al credito, di sovranità alimentare per essere meno dipendenti dalle variazioni dei prezzi del mercato internazionale. Per questo continuare i negoziati EPA nella stessa direzione e con la stessa arroganza dimostrata dai due commissari europei lo scorso anno non porterà nulla di buono né per gli EPA, né per noi Europei, perché in questo mondo globalizzato i problemi si risolvono insieme o non si risolvono. Gli IEPA non sono incisi sulla pietra, non sono stati ratificati da nessuno e men che meno notificati in sede WTO, sono dunque ancora modificabili per far sì che servano prioritariamente a costruire una coesione regionale, che stimoli il meglio di questi popoli, ed eviti che semplici politiche predatorie siano barattate come strumenti per lo sviluppo. Cosa si può fare? • Rivedere gli accordi già avviati, così come promesso dal Presidente Barroso a dicembre, in modo da modificarne alcune parti (ad esempio calendari e liste degli impegni di liberalizzazione e regole di origine) • Eliminare tutte quelle parti che non servono a garantire la conformità alle regole WTO, clausola standstill, clausola MFN, divieto di tasse sull’esportazione, regole sugli investimenti, regole sulla concorrenza, spesa pubblica, eccetera. • Legare il calendario delle riduzioni tariffarie non a date prestabilite ma a meccanismi di verifica e controllo dello stato economico del paese. • Definire un piano di aiuti, in particolare nel settore agrario, per favorire l’agricoltura locale e contrastare la fame e la crisi relativa ai prezzi dei prodotti alimentari. L’Africa non è in vendita! 18 L’ascesa dei prezzi dei prodotti agricoli (e gli agro-combustibili) Il sistema agro-alimentare mondiale è in fibrillazione. I costi energetici sono saliti, (tutti sanno che il prezzo del dollaro ha raggiunto livelli record), ma sono saliti i livelli di concentrazione delle multinazionali agroalimentari, mentre negli ultimi anni sono calati gli investimenti nella ricerca agricola: Lo scorso anno si è avviato il boom dei biocarburanti, ma la produzione agricola è calata in alcuni paesi a causa di eventi climatici avversi (vedi Australia e India), col risultato che le scorte sono scese a livelli minimi. Come conseguenza di tutto questo i prezzi di frumento, riso, mais e, per conseguenza, dei prodotti derivati è salito esponenzialmente nel corso del 2007 causando misure di emergenza in molti paesi del mondo. Preoccupante è il ruolo in questa escalation dei biocarburanti, sinora il prezzo del grano aveva subito aumenti record solo tre volte dopo la II guerra Mondiale, sempre per problemi meteorologici, mai per scelte di mercato. Dal ’90 al 2005 i consumi di cereali crescevano di 21 milioni di t l’anno, nel 2006 c’è stato un salto a 54 milioni a causa degli Agro-carburanti, nel 2007 81 milioni. Ma non bastano i cambiamenti della domanda e nell’offerta a spiegare gli aumenti nei prezzi. La finanza da il suo contributo: nel 2006 il volume dei prodotti derivati (futures e option) è salito del 30%. Le speculazioni aumentano la volatilità e l’instabilità dei prezzi. A farne le spese il mondo intero ma, come sempre, soprattutto i paesi che importano cibo perché non autosufficienti. La Banca mondiale afferma che per ogni aumento medio degli alimenti dell’1% consegue una riduzione dello 0,5% delle calorie ingerite dai poveri. Chi prospettava una riduzione del numero dei malnutriti da 800 milioni a 625 nel 2025 ha aggiornato le proiezioni tenendo conto degli effetti degli agro-combustibili, mostrando che il numero non diminuirà anzi arriverà a 1,2 miliardi nel 2015. (C.Ford Runge e Benjamin Senauer Univesità Minnesota). Per questo i sussidi agli agro-combustibili vanno urgentemente sospesi. La Banca Mondiale scrive che con poco più di 2 quintali di mais si fa il pieno di un SUV (25 galloni circa 94 litri) oppure si ottengono le calorie per sfamare una persona per un anno. Dati tratti da Earth Policy Institute, gennaio 2008 e IFPRI marzo 2008. Le slides provengono da una presentazione sugli agro-combustibili preparata dall’autore. L’Africa non è in vendita! 19 15. Il Relatore Speciale esprime la propria preoccupazione per i termini dei nuovi accordi che l'Unione europea (UE) sta negoziando, nell’ambito degli Accordi di Partenariato Economico (APE), con l'Africa, i Caraibi e il Pacifico (ACP). Egli richiede l'urgente attenzione di tutti gli Stati, in particolare gli Stati membri dell'UE, sulle implicazioni che [questi accordi] potrebbero avere sul diritto al cibo dei poveri agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Egli è particolarmente preoccupato per il potenziale impatto negativo di una maggiore liberalizzazione del commercio sui contadini dei paesi ACP, soprattutto per la concorrenza sleale con la produzione UE altamente sovvenzionata. In questi paesi, dove fino all’ 80 per cento della popolazione ha a che fare con l’agricoltura contadina, la concorrenza dei prodotti europei sussidiati può spingere milioni di africani, dei Caraibi e del Pacifico fuori del settore agricolo, lasciando loro poche altre possibilità di occupazione. Inoltre, i nuovi APE sono suscettibili di condurre ad una sostanziale perdita di entrate per i governi dei paesi ACP, la maggior parte dei quali dipende in larga misura dalle tasse di importazione. L'eliminazione delle tariffe sulle importazioni UE potrebbe abbassare notevolmente i ricavi tariffari, costringendo questi paesi a ridurre le spese di bilancio, e quindi a compromettere programmi sociali colpendo la capacità dei governi di adempiere i loro obblighi in termini economici, sociali e culturali, incluso il diritto al cibo. Jean Ziegler - Report of the Special Rapporteur on the right to food, [A/HRC/7/5] , 10 gennaio 2008. L’Africa non è in vendita! 20