LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849 di

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LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849 di
LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL
1849
© 2013 di Angelo Grimaldi
(depositato il 06 giugno 2013)
La Costituzione della Repubblica Romana del 1849 si sottrae al carattere
generale di costituzione ottriata. Essa fu scritta da un’Assemblea Costituente
eletta di proposito. Il contenuto della Costituzione Romana per certi versi risente
delle esperienze costituzionali francesi e dell’impostazione politico-giuridica della
Costituzione votata il 4 novembre 1848 dall’Assemblea Costituente francese. Si
ricordi, però, che i principi della rivoluzione del 1789, della Costituzione del 3
settembre 1791 e della Costituzione del 24 giugno 1793 ispirano in modo
determinante gli autori della Costituzione del 1848. Detto questo, la Costituzione
della Repubblica Romana del 1849 esprime un carattere fortemente democratico e
dal punto di vista giuridico-costituzionale appare più moderna1.
Uno dei primi atti della provvisoria Giunta di Stato fu di annunciare, dopo
aver sciolto il parlamento, la convocazione delle elezioni dalle quali dovevano
essere designati i deputati dell’Assemblea Costituente. Tutto ciò è avvenuto
perché il potere costituente è espressione di sovranità ed incidendo sui diritti
fondamentali dell’uomo, non può che appartenere al popolo. Questa riserva è
scolpita nell’articolo 28 della Costituzione francese del 24 giugno 1793 dove si
legge: “Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e modificare la sua
Costituzione”.2 Ciò significa che il potere costituente si fonda sul principio della
sovranità popolare, sul carattere contrattuale della Costituzione e sul diritto alla
rivoluzione a tutela del diritto naturale preesistente allo Stato. Il potere costituente
è caratterizzato dalla “originarietà”, cioè si legittima in via di fatto e si manifesta
sopprimendo la precedente costituzione proponendone una nuova o modificando
la vecchia costituzione nei suoi principi fondamentali.
La Costituzione si apre con otto “Principi Fondamentali” il primo dei quali
recita: “La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato romano è
costituito in Repubblica democratica”. Leggiamo ora l’articolo 3 della
“Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789”: “Il principio di ogni
sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può
esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa”. Questo principio fu
inserito nell’articolo 1 (Titolo III) della Costituzione del 3 settembre 1791: “ La
sovranità è una, indivisibile, inalienabile e imprescrittibile. Essa appartiene alla
Nazione; nessuna sezione del popolo, né alcun individuo può attribuirsene
l’esercizio”.
La Costituzione Romana del 1849 introduce il principio della “sovranità
popolare”, cioè la teoria della “sovranità nazionale” cede il posto a quella della
“sovranità popolare: ogni cittadino è considerato detentore di una porzione di
“sovranità” ed in quanto tale può esprimere la sua volontà in modo libero; da ciò
discende il suffragio universale disciplinato all’articolo 20, secondo comma.
Il principio della “sovranità nazionale” è stato in realtà elaborato per
raggiungere scopi politici. Se la sovranità non appartiene al monarca, come si
sosteneva nell’antico regime, e non appartiene agli individui che compongono la
società, come teorizzato da J.J. Rousseau, cioè dai democratici-radicali, viene
1
Le Costituzioni del Sette-Ottocento presentano tutte una comune fonte dottrinale:
giusnaturalismo, contratto sociale, liberalismo, ecc.;
2
Armando Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia moderna, Torino, Einaudi, 1952, il testo
della Costituzione del 24 giugno 1793 si trova da pagina 96 a pagina 129;
allora trasferita alla “Nazione”, questa considerata come un soggetto distinto dai
cittadini che la compongono. Viene affermato un concetto di “Nazione” come
persona giuridica distinta dai singoli cittadini che ne fanno parte.
Perché i costituenti francesi sfoderano tutta questa ingegnosità politicocostituzionale? Per comprenderla appieno non dobbiamo perdere di vista il
maggiore protagonista della rivoluzione francese: la borghesia mercantile e
finanziaria. La borghesia, in quel momento, temeva allo stesso modo i rigurgiti
assolutistici come eventuali fughe in avanti da parte dei giacobini che si
mostravano di idee democratiche-radicali. La Nazione, in quanto entità astratta,
non poteva agire direttamente, di conseguenza doveva esercitare i suoi poteri per
delegazione. In questo modo si spazzano via gli istituti di democrazia diretta (oltre
ad evitare il suffragio universale) e si organizzava un governo rappresentativo.
L’elettorato non è un diritto ma è solo una funzione pubblica perché nessun
cittadino può invocare una sua piccola porzione di sovranità, ma è un dovere di
cui la Nazione investe gli individui giudicati idonei ad esercitarla.
Dove risiede allora il salto di qualità costituzionale nella Costituzione
Romana? Affermando che la sovranità appartiene al popolo, si afferma che essa
appartiene a tutto il popolo e non ad una sola parte di esso e non risiede in singoli
organi o persone (per esempio, “Nazione” come persona giuridica). Coloro che
sono chiamati ad esercitare un pubblico potere non sono portatori di un’autorità
propria, né la esercitano a nome proprio, ma a nome del popolo o della
Repubblica (democratica) questa considerata come ente che personifica la
comunità sociale, cioè il complesso dei cittadini in essa politicamente organizzati.
La forma peculiare di manifestazione della volontà popolare è il voto. Con il voto
il popolo designa i suoi rappresentanti (articolo 16) all’Assemblea e determina la
configurazione politica: traccia in questo modo l’indirizzo politico dell’Assemblea
e, attraverso la nomina del potere esecutivo, l’azione amministrativa. In questo la
Costituzione Romana del 1849 si presenta molto avanzata: sono tutte espressioni
della partecipazione popolare al governo dello Stato ed è in quelle forme che si
esercita la sovranità del popolo.
Con il secondo principio “Il regime democratico ha per regola
l’uguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà né privilegi di
nascita o casta”. La Costituzione afferma il principio di eguaglianza formale, il
cittadino è considerato nella sua astrattezza, indipendentemente dalle condizioni
materiali e sociali in cui egli si trova concretamente. Le diseguaglianze di fatto
esistevano (ed esistono ancora oggi) ed erano determinate proprio dalla disparità
di condizioni economiche. I costituenti della Repubblica Romana dimostrano una
importante sensibilità politico-giuridica riconducibile alle idee del socialismo
umanitario. Essi, infatti, con la terza norma “La Repubblica colle leggi e colle
istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i
cittadini”, inseriscono nella Costituzione il principio, anche se in forma mediata,
di eguaglianza sostanziale3. Con questa importantissima norma, i costituenti si
pongono come precursori dello Stato sociale ed interventista, laddove si impegna
Il fatto che la Repubblica romana si attribuisca il compito – “con le leggi e le istituzioni” – di
promuovere il miglioramento delle condizioni materiali dei cittadini sta a significare che, anche se
non si può parlare pienamente di passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale, nei costituenti
era chiaro il promovimento di una più ampia giustizia sociale in favore dei cittadini meno abbienti
(la formula “di tutti i cittadini” non deve ingannare); in altre parole, con questa norma a carattere
programmatico i principi di libertà ed uguaglianza acquistano un valore sostanziale e non soltanto
formale. La norma in parola, con un contenuto più ampio, è passata nella Costituzione della
Repubblica Italiana, all’articolo 3, 2° comma. Sull’argomento si segnalano, N. Bobbio, F.
Pierandrei, Introduzione alla Costituzione, Bari, Laterza, 1970, pp. 61-64; P. Barile, Corso di
Diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1964, pp. 290-291; Costantino Mortati, Istituzioni di
Diritto Pubblico, Padova, Cedam, 1969, tomo secondo, pp. 945-948
3
a creare “il miglioramento delle condizioni morali e materiali” dei cittadini. Lo
Stato, nonostante le rivendicazioni politico-economiche dei movimenti socialisti,
veniva ancora concepito in Europa e negli altri Stati italiani, come ordinamento
liberale classico nel quale la società era organizzata sulla base della proprietà
privata e sull’assoluta libertà economica.
Il diritto di proprietà rimane espressamente tutelato (“Le persone e le
proprietà sono inviolabili”, articolo 3 del Titolo I): la Repubblica democratica
romana del’49 rimane pur sempre una democrazia borghese. Tuttavia, a rafforzare
la mia convinzione, e cioè che nell’architettura costituzionale romana possiamo
trovare tracce di Stato sociale è la stessa Carta costituzionale. In essa si dichiara
l’inviolabilità della proprietà, ma volutamente si sceglie di accostarla alla
inviolabilità della persona, seguendo in questo modo l’antica tradizione
costituzionale inglese. Ricordo brevemente che il parlamento inglese nel 1679
approvò l’Habeas Corpus Act con cui si volle tutelare i cittadini dagli arresti
arbitrari e dalle lunghe detenzioni in attesa di giudizio. Il diritto di habeas corpus
ha rappresentato (e rappresenta) uno strumento giuridico per la salvaguardia della
libertà individuale contro gli atti arbitrari dello Stato. Tale diritto era in realtà stato
inserito nella Magna Charta Libertatum, ma nel tempo si era affievolito nelle
procedure delle Corti giudiziarie4. In questo modo i costituenti romani tolgono la
tutela della proprietà dai “Principi Fondamentali” (le Costituzioni francesi del
1789, 1791 e 1793 invece l’hanno inserita nelle Dichiarazioni dei diritti) e la
collocano nel Titolo dedicato ai “Diritti e dei doveri dei cittadini”; non solo, i
costituenti romani rinunciano in modo chiaro e netto al concetto di “sacralità”
della proprietà e nello stesso Titolo disciplinano l’eventuale perdita della stessa
per causa pubblica, previa giusta indennità, aprendo così alla possibilità di
svincolare l’indennizzo al valore del bene espropriato.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 17895 che ha
anche fatto da preambolo alla Costituzione del 3 settembre 1791, all’articolo 17
ha sancito la “sacralità” della “proprietà”: “La proprietà essendo un diritto
inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità
pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta
indennità”6, mentre nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che
precede l’Atto Costituzionale del 24 giugno 1793 si legge: “articolo 1. Lo scopo
della società è la felicità comune. Il Governo è istituito per garantire all’uomo il
godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili”; articolo 2. Questi diritti sono
l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà”7. La stessa Costituzione
repubblicana francese del 4 novembre 1848 inserisce nel “Preambolo”, tra gli altri
diritti, la “proprietà”, anche se questa non è più considerata “sacra” ed inserisce
“l’inviolabilità” della proprietà nel Capitolo II dedicato ai “Diritti dei cittadini
garantiti dalla Costituzione”8.
Per comprendere appieno la sensibilità politico-economica dei costituenti
romani rispetto ad altri costituenti basta leggere l’articolo VII della Costituzione
francese del 4 novembre 1848: “I cittadini devono amare la Patria, servire la
Repubblica, difenderla a costo della loro vita, partecipare ai pesi dello Stato in
proporzione della loro fortuna; devono assicurarsi col lavoro dei mezzi di
esistenza, e, con la previdenza, delle risorse per l’avvenire; devono concorrere al
4
Angelo Grimaldi, Storia costituzionale inglese, Forlì, Archivio di Diritto e Storia Costituzionale,
pp. 149-151;
5
Sulla genesi ed elaborazione della Dichiarazione si veda, Donatella Lombardi, La Dichiarazione
dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, Bologna, Edizioni Baiesi, 1997, pp. 17-120;
6
A. Saitta, Le costituenti francesi del periodo rivoluzionario (1789-1795), Roma, Istituto Storico
Italiano per l’età moderna e contemporanea, 1989, pag. 219;
7
Cfr. Saitta, Le costituenti francesi del periodo rivoluzionario (1789-1795), cit., pag. 223;
8
A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia moderna, cit., pp. 322-324;
benessere comune aiutandosi fraternamente gli uni con gli altri, e all’ordine
generale osservando le leggi morali e le leggi scritte che reggono la società, la
famiglia e l’individuo”. I nostri costituenti anticipavano principi costituzionali che
un secolo dopo entreranno pienamente nella Costituzione repubblicana del 1948.
Con il VI Principio (La più equa distribuzione possibile degli interessi
locali, in armonia coll’interesse politico dello Stato, è la norma del riparto
territoriale della Repubblica) i costituenti, pur affermando inevitabilmente il
principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, riconoscono le Istituzioni
locali e li indicano allo scopo di consentire al cittadino di partecipare più da vicino
alla vita amministrativa delle comunità locali. In questo modo si voleva assicurare
una ripartizione territoriale che avrebbe dovuto tener conto della “più equa
distribuzione possibile degli interessi locali”. Il principio di unità ribadito in
questo articolo rappresenta non solo un limite alle rivendicazioni delle istituzioni
locali, ma anche un limite al potere di revisione dell’”Assemblea di revisione”.
I costituenti romani concepirono l’unità del potere legislativo: se la
sovranità è una, la volontà popolare è una. L’articolo 16 (Titolo III) recita:
“L’assemblea è costituita dai rappresentanti del Popolo”, mentre l’articolo 29:
“L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra e dei
trattati”. Si volle che la legge, emanazione della volontà popolare, fosse
espressione di un solo pensiero. Si deve sottolineare una caratteristica
fondamentale: la concentrazione dei poteri nelle mani di un’Assemblea dei
rappresentanti del popolo, ma a differenza della Costituzione del 3 settembre 1791
disegna (attraverso la sola lettura degli articoli in quanto la Costituzione del 1849
come è noto non fu mai applicata), un sistema “monista” nonostante il contenuto
dell’articolo 44 (“I Consoli e i ministri possono essere messi in stato d’accusa
dall’Assemblea su proposta di dieci rappresentanti. La domanda deve essere
discussa come una legge”) che fa propendere per una formale responsabilità dei
ministri d’ordine penale (anche dagli atti della Costituente). Se ci fosse stata una
prassi costituzionale anche la Costituzione romana avrebbe subito la consueta
evoluzione verso l’affermazione della responsabilità politica in sostituzione della
responsabilità penale dei ministri. Innanzitutto la separazione dei poteri tra
l’Assemblea e il Consolato non è netta, i costituenti non volevano costruire un
sistema “dualista” ma sicuramente “monista”, dove l’Assemblea è investita del
potere legislativo e il Consolato di quello esecutivo ma quest’ultimo poteva
partecipare all’elaborazione delle leggi e poteva esercitare l’iniziativa legislativa
(articolo 30).
L’Assemblea nomina i Consoli a maggioranza dei due terzi dei suffragi
(articolo 33), non partecipa all’esercizio del potere esecutivo, ma le leggi adottate
da essa vengono “senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del
popolo. Se il Consolato indugia il Presidente dell’Assemblea fa la promulgazione”
(articolo 32). In questo modo al potere legislativo viene affidato in via del tutto
eccezionale, in caso di ritardo, un potere tipicamente presidenziale. L’atto di
promulgazione viene adottato dal Consolato, cioè dal Presidente collegiale della
Repubblica, il quale, come capo dello Stato, attesta che la legge è stata approvata
dall’Assemblea e ordina a chiunque di osservarla e farla osservare. La
promulgazione attribuisce alla legge il carattere dell’esecutorietà.
Nel testo costituzionale si comprende bene che il gioco del sistema
parlamentare si svolge tra due organi, Assemblea e Presidente (collegiale)Governo. Ma quest’ultimo è anche capo del potere esecutivo, cioè di quel potere
che ha il compito di dare esecuzione o applicazione alle leggi, e, sulla base di
queste, emanare decreti a contenuto generale o atti amministrativi a contenuto
particolare, allo scopo di rispondere alle esigenze ed ai bisogni della collettività. Il
Governo è organo politico ed organo esecutivo. Nella Costituzione romana
l’attività politica è esercitata dai due organi, Assemblea e Governo, ciascuno dei
quali pone in atto due diverse funzioni, la funzione legislativa e quella esecutiva,
ciò dimostra che i costituenti nella Costituzione hanno voluto applicare il
principio della separazione e dell’equilibrio dei poteri. Per completare questo
periodo credo di poter dire che come in Inghilterra, anche nella Repubblica
Romana del 1849 la responsabilità penale avrebbe aperto la strada alla
responsabilità politica e, di conseguenza, al sistema parlamentare.
Molti studiosi hanno affermato che la Costituzione romana era per certi
versi simile a quella francese del 4 novembre 1848. Ci sono sicuramente alcuni
aspetti in comune, ma la Costituzione francese afferma ancora una volta la
“sovranità nazionale” e non “popolare”, proclama la libertà, l’eguaglianza, la
fraternità e riconosce i diritti e i doveri anteriori e superiori alle leggi positive,
tutti aspetti che condivide con la Costituzione romana. Tuttavia quella francese
ritorna all’Assemblea unica e alla assoluta separazione dei poteri, seguendo
ancora una volta la tradizione della rivoluzione dell’89. L’Assemblea Legislativa,
eletta a suffragio universale diretto, esercitava il potere legislativo ed aveva di
fronte a sé un Presidente della Repubblica (monocratico e non collegiale come in
quella romana), che esercitava il potere esecutivo, anch’egli eletto in modo diretto
dal popolo e responsabile di fronte ad esso. Come si può facilmente comprendere
ritorna il sistema dualistico, dove nessuno dei due grandi poteri uguali poteva
disporre di alcun mezzo per risolvere i conflitti che potessero sorgere tra loro:
l’Assemblea Legislativa non poteva revocare il Presidente della Repubblica e
questi non poteva sciogliere l’Assemblea. Anche nella Costituzione francese del
1848 rimaneva aperta la porta al parlamentarismo (i ministri potevano essere
scelti anche fra i parlamentari), tuttavia l’architettura costituzionale “dualista”
spostava, attraverso l’elezione diretta, l’equilibrio a favore del Presidente della
Repubblica annullando di fatto l’inferiorità giuridica in quanto egli,
singolarmente, incarnava la “sovranità nazionale, che invece era polverizzata tra i
750 parlamentari dell’Assemblea Legislativa (come è noto questo sistema portò al
colpo di Stato quando fu eletto Presidente della Repubblica Luigi Napoleone
Bonaparte).
Nella Costituzione romana a capo del potere esecutivo, invece, non si
vuole un Presidente della Repubblica, ma un capo dello Stato collegiale, chiamato
Consolato9, eletto dall’Assemblea. Tutto questo per rafforzare la sovranità
dell’Assemblea che rappresenta il popolo. L’elezione diretta di un Presidente o
anche di un organo collegiale avrebbe tolto sovranità all’Assemblea. La
Costituzione della Repubblica Romana, risentendo anch’essa della tripartizione
dei poteri, propende, come principio guida dell’ordinamento costituzionale, per
l’unità della sovranità questa incarnata dall’Assemblea che rappresenta il Popolo.
Si intravede una sorte di preminenza dell’Assemblea rispetto agli altri organi
costituzionali (Consoli, ministri e potere giudiziario). Il sistema costituzionale
ruota intorno all’Assemblea alla quale è richiesta, per l’elezione dei Consoli, una
funzione di garanzia, in quanto il consenso parlamentare dovrà essere così esteso
da raggiungere una maggioranza speciale dei due terzi dei suffragi. Si tratta, a
mio avviso, di una preminenza armoniosa, equilibrata, che non avrebbe portato al
disordine che ha invece contraddistinto la Costituzione dell’anno III (né la
dittatura di un uomo, né la dittatura di un’Assemblea: lotte tra i Consigli e il
Direttorio, tra gli “Anziani” e i “Cinquecento”, i dissensi tra i componenti del
Direttorio e in seno alle Assemblee).
9
La Costituzione della Repubblica Romana del 20 marzo 1798 affidava il potere esecutivo a
cinque consoli nominati dai consigli legislativi. Il testo completo della Costituzione in Le
Costituzioni italiane, a cura di A. Aquarone, M. D’Addio, G. Negri, Milano, Edizioni di Comunità,
1958, pp. 227-257;
I Consoli nominano e revocano i ministri (in tutto sette). Consoli e
ministri possono essere messi in stato d’accusa dall’Assemblea su proposta di
dieci rappresentanti. I costituenti si concentrarono (si vedano gli atti
dell’Assemblea Costituente)10 sulla responsabilità penale anche se l’argomento
appare affrontato con argomentazioni vaghe ed imprecise. Scrive Mario
Battaglini: “Soprattutto molto confusa ed incerta è la distinzione tra responsabilità
politica e responsabilità penale o amministrativa”.11
L’articolo 38 prevede l’istituto della controfirma (gli atti dei Consoli
finché non sono contrassegnati dal Ministro incaricato dell’esecuzione restano
senza effetto), che rappresenta un residuo del passato regime monarchico, con cui
si esonerava il re dalla responsabilità politica degli atti di Governo. L’articolo in
questione sancisce il principio della “non responsabilità dei Consoli”. Dell’attività
dei Consoli rispondono i ministri i quali assumono la relativa responsabilità
apponendo la loro firma sugli atti consolari (presidenziali). La norma non parla di
“validità” degli atti se non sono controfirmati dai Ministri, ma si limita a dire che
“gli atti dei Consoli finché non siano contrassegnati dal Ministro incaricato
dell’esecuzione, restano senza effetto” (giuridico). Sembra che in questo caso si
possa parlare di responsabilità politica anche perché la controfirma ministeriale
rappresenta la “chiave di volta del sistema parlamentare”. L’istituto proviene
dall’esperienza costituzionale inglese e servì ad esonerare il re (Capo dello Stato)
dalla responsabilità politica dei suoi atti. Con il passar del tempo la controfirma da
espediente per trasferire la responsabilità si trasformò in un mezzo per trasferire il
potere effettivo ai ministri. Questi, essendo politicamente e giuridicamente
responsabili degli atti controfirmati, pretesero di firmare gli atti regi solo quando
fossero di loro gradimento (per non rispondere di atti da loro disapprovati). Alla
fine il re finì per conservare la solo apparenza del potere senza averne l’effettivo
esercizio.12
La Carta, prima delle disposizioni transitorie, si chiudeva con tre articoli
dedicati alla revisione della Costituzione. Per certi versi il contenuto somiglia alla
più articolata e complessa revisione costituzionale prevista dalla Repubblica
Partenopea del 1799 (che affidava la custodia della Costituzione al corpo degli
Efori). La Costituzione Romana, più corta e più semplice rispetto a quella
partenopea, prevede che l’Assemblea può deliberare attraverso una procedura
complessa in materia di riforma costituzionale. La domanda di riforma poteva
essere domandata nell’ultimo anno di legislatura almeno da un terzo dei
rappresentanti. Poi, all’articolo 64 prevedeva: “L’Assemblea delibera per due
volte sulla domanda, all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la
riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizi generali onde
eleggere i rappresentanti per la Costituente, in ragione di uno ogni quindicimila
abitanti”.13 I costituenti decisero che gli interventi di rango costituzionale fossero
ampiamente meditati e raccogliessero il consenso del più ampio schieramento
politico.
10
Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei
Deputati, Roma, 1911, VIII;
11
Mario Battaglini, Due aspetti poco noti della storia costituzionale della Repubblica Romana del
1849: il Tribunato e la normativa sulla responsabilità ministeriale, Roma, Rassegna Storica del
Risorgimento, Fascicolo IV, Ottobre-Dicembre 1991, pag. 451 e ss.;
12
Angelo Grimaldi, Storia Costituzionale Inglese, cit., pp. 152-176;
13
La Costituzione della Repubblica Romana del 1849, in 11 Costituzioni, a cura del Ministero per
la Costituente, Roma, 1946, pagg. 9-19; si veda anche: Bruno Gatta, La Costituzione della
Repubblica Romana del 1849, Roma, 1946, collana Testi e documenti costituzionali del Ministero
per la Costituente.