pillole di auto form-azione

Transcript

pillole di auto form-azione
PILLOLE DI AUTO FORM-AZIONE
Gianni Clocchiatti
Creatività per l’innovazione - Franco Angeli Editore – 2008 ©
Una storia creativa
Johann Gutenberg (1390–1468) fece i suoi studi presso una scuola latina, come si
conveniva al figlio di un nobile mercante di Magonza. Non risulta che avesse speciali
competenze, né un livello d'istruzione eccellente. Fu anche vittima di un processo per
insolvenza che lo condusse al fallimento a al sequestro dei suoi beni. Sebbene l'idea
fosse stata sua la prima Bibbia venne infatti pubblicata col nome del banchiere
Johannes Fust che rilevò i suoi beni. Ciò nonostante Gutenberg fu l'artefice della più
importante invenzione del secondo millennio: la stampa a caratteri mobili.
Come fu possibile ciò?
Tutto nacque da un'intuizione. All'epoca i pellegrini che si recavano ad Aquisgrana
sentivano il bisogno di portare con sé i sacri testi, ma i libri venivano riprodotti ancora
manualmente e in quantità limitate. Come fare a riprodurre la Bibbia in così tanti
esemplari e soddisfare una domanda sempre crescente? La tecnica del tempo, il
manoscritto, non era certo in grado di soddisfare questo nuovo bisogno. Gutenberg,
oltre alla tecnica del manoscritto, conosceva la xilografia, una tecnica di riproduzione
inventata dai cinesi già nell'ottavo secolo che utilizzava una lastra di legno sulla quale
venivano incisi i caratteri e i disegni da riprodurre. Il metodo però era poco efficace
per stampare dei libri. La famiglia di Gutenberg trattava metalli per il conio e quindi lui
era a conoscenza delle tecniche di fusione dei metalli e di forgiatura delle monete;
ispirandosi a queste pratiche ebbe l'idea di realizzare i caratteri di stampa in metallo
impiegando i punzoni e gli stampi utilizzati per coniare le monete.
Restava ancora da risolvere il problema della carta.
La nuova tecnica di stampa infatti richiedeva un procedimento diverso da quello usato
all'epoca dove il foglio veniva sfregato sulla lastra di legno. L'idea gli venne dall'uso,
1
www.profexa.it
frequente all'epoca, di sigillare lettere e documenti. La lastra con i caratteri metallici
avrebbe dovuto "battere" sul foglio di carta in maniera analoga a come avviene per il
sigillo. Ma come fare concretamente?
Magonza era circondata da grandi distese di vigne. Per spremere i grappoli d'uva,
come sappiamo, si utilizza il torchio. Ecco l'idea: utilizzare il torchio per premere, per
battere, i caratteri sul foglio di carta.
L'ultimo problema da risolvere fu quello dell'inchiostro.
La nuova tecnica aveva bisogno di un inchiostro che asciugasse in fretta e non si
spandesse sul foglio. Gutenberg possedeva qualche nozione di chimica e ciò gli
consenti di realizzare l'inchiostro adatto. A Francoforte, il 23 febbraio 1455, vennero
messe in vendita le prime Bibbie a stampa tipografica. Grazie al suo "fiuto" per i
bisogni del mercato, alla sua conoscenza della lavorazione dei metalli, del conio, della
chimica, all'abilità di trasferire tecnologie e strumenti da un settore produttivo ad un
altro, Johann Gutenberg inventò una nuova tecnologia, un nuovo processo industriale,
un nuovo prodotto e cambiò la storia dell'umanità.
Come ha fatto Johann Gutenberg a connettere tecniche, materiali,
conoscenze così diverse e distanti tra loro? La risposta sta nella capacità
associativa del pensiero creativo.
Associare immagini, parole, oggetti è uno tra i comportamenti più naturali e spontanei
dell'essere umano, un processo per cui idee e immagini si uniscono e si coordinano tra
loro secondo rapporti di somiglianza, di continuità e di opposizione1.
Arthur Koestler2 ha coniato il concetto di bisociazione, per definire lo choc che
scaturisce dall'incontro di due universi normalmente non associati.
Per Koestler questa è l'operazione creativa fondamentale. Il pensiero bisociativo3
consiste infatti nel mettere insieme due elementi esistenti, fino ad ora lontani e
appartenenti a campi diversi, per crearne un terzo, del tutto originale.
Creatività vuol dire realizzare collegamenti e connessioni, nuove e utili, utilizzando
elementi preesistenti della realtà, ma combinati tra loro in maniera nuova e originale4.
1
Mednick Sarnoff A. (1962), The associative basis of creativity, Psycological Review, 69, pagg. 220-232. Egli distingue tre tipi di
associazione: per somiglianza, attraverso mediazione, per contiguità accidentale.
2
Koestler Arthur (1975), L'atto della creazione, Astolabio Ubaldini, Roma.
3
Rothenberg Albert (1979), The emerging goddess, University of Chicago Press, Chicago, USA; l'autore utilizza il concetto di
pensiero gianico o bifronte combinando e integrando termini tra loro antitetici.
4
www.eticrea.it
2
www.profexa.it
Fig.3 – Lo schema della creatività ©
Come funziona il pensiero creativo
Nel magma fecondo delle ricerche scientifiche della seconda metà del secolo scorso si
distinsero gli studi di Roger Sperry5 sul funzionamento del cervello umano che gli
valsero il Premio Nobel per la medicina nel 1981. Una particolare attenzione fu posta
alle funzioni dei due emisferi che compongono il cervello. Si scoprì allora che
quello sinistro, più incline ad adattarsi alla realtà esterna, impiegava meccanismi
logico–deduttivi; quello destro, più propenso ad allontanarsi dalla realtà, si affidava
alle emozioni e all'astrazione. Al primo vennero associate le funzioni razionali,
analitiche, matematiche, al secondo quelle astratte, intuitive, artistiche.
Il contesto sociale in cui viviamo gioca un ruolo importante nella delicata relazione tra
i due emisferi, anzi possiamo dire che favorisce e privilegia sfacciatamente uno dei
due. Tutto ciò che è razionale, logico, evidente, viene considerato più importante e
autentico rispetto a tutto quello che è associato all'irrazionale e all'immaginazione. I
due emisferi comunque non smettono un attimo di comunicare, di scambiarsi
informazioni, di confrontarsi, di mettersi alla prova. Un luogo comune vede collocate
nell'emisfero destro le attività emotivo–creative e in quello sinistro quelle logico–
razionali. In parte è vero, ma è fuori luogo parlare di un cervello creativo contro un
cervello razionale, dell'emozione contro la ragione. I due emisferi fanno parte di un
unico organo che agisce dialetticamente. Da questa incessante e fertile interazione tra
l'emisfero destro e quello sinistro nasce il pensiero creativo.
Come vengono scambiate le informazioni?
Nel nostro cervello le informazioni circolano all'interno di un sistema nervoso che è
regolato da precise leggi. I segnali, vere e proprie micro-scariche elettriche, vengono
trasmessi attraverso reti di neuroni collegati tra loro. Ogni cellula comunica con l'altra.
5
Sperry Roger (1968), Hemisphere deconnection and unity of consciousness, American Psycologist, 23, pagg.723-733.
3
www.profexa.it
Non esistono risposte graduali e intermedie. Siamo di fronte ad una tipica situazione
on/off. Come in un interruttore elettrico il segnale, la corrente, può passare o meno.
Allorché il medesimo percorso si ripete con una certa frequenza, le cellule sono
portate a ricordare la risposta. Si vengono così a costruire dei percorsi agevolati che le
cellule memorizzano.
Accade proprio come nei parchi o nei giardini dove il passaggio ripetuto delle persone
nel tempo traccia un sentiero nell'erba. L'apprendimento e lo sviluppo della
memoria tracciano veri e propri sentieri nel nostro sistema di reti neuronali
facilitando quindi la nostra attività quotidiana; le abitudini sono proprio questo.
Se poi pensiamo che tre quarti degli oltre 100 miliardi di neuroni6 che compongono il
cervello rivestono una funzione di interconnesione, prefabbricando percorsi e risposte,
possiamo renderci conto dell'importanza che le abitudini e le idee precostituite hanno
nel nostro comportamento quotidiano.
Esiste anche un aspetto meno positivo.
I
percorsi
precostituiti
ostacolano
la
sperimentazione
di
nuovi
comportamenti. Si generano dei veri e propri blocchi, degli ostacoli che impediscono
ogni cambiamento alle abitudini apprese.
Anche la creatività ha i suoi ostacoli
Gli ostacoli al pensiero creativo sono di tipo interno, psicologico, o di tipo esterno,
culturale.
I primi, quelli psicologici, nascono da convinzioni personali, del tipo "io non sarò
mai capace di…", frutto delle esperienze vissute e della rappresentazione interna del
mondo che ogni individuo si è costruito durante la vita. Il più insidioso tra questi
blocchi psicologici è quello di non ritenersi creativi. L'unico modo per superare queste
convinzioni limitanti consiste nello sperimentare nuovi comportamenti positivi. Le
tecniche utilizzate dalla programmazione neurolinguistica (Pnl) possono essere molto
utili a questo scopo7.
Il secondo tipo di blocchi, quelli culturali, deriva dall'insieme di norme e di valori
sociali condivisi, generati dalla storia e dalla cultura di un gruppo sociale: "se si è
sempre fatto così perché mai dovremmo cambiare?", oppure "se è così una
ragione deve pur esserci". Ogni nuova idea ci disturba poiché sovente è sinonimo di
cambiamento, e questo fa paura. Meglio continuare a seguire le nostre rassicuranti e
collaudate abitudini. Per superare questi blocchi e modificare queste convinzioni
occorre modificare il pensiero che le ha generate.
Esistono poi altri tipi di blocchi, questa volta di origine fisica.
Vengono definiti percettivi in quanto originati da una carente percezione della realtà
da parte dei nostri organi percettivi oltre che dall'incapacità di interrogarsi oltre
l'evidenza dei fatti.
6
Le cellule neuronali diminuiscono parecchio di numero con il passare del tempo, ma i collegamenti sinaptici tra le cellule
mantengono ed anzi migliorano nel tempo la loro efficienza grazie alla molecola proteica NGF, scoperta dal premio Nobel Rita Levi
Montalcini.
7
Dilts Robert, Hallborm Tim, Smith Suzi, (1998), Convinzioni, Astrolabio, Roma; e Granata Giulio, (1999), PNL, De Vecchi
editore, Milano.
4
www.profexa.it
Alcuni esempi celebri di blocchi percettivi sono le illusioni ottiche che ci fanno "vedere"
una realtà che di fatto non esiste, almeno non come la osserviamo.
Nel 1955 lo psicologo italiano Gaetano Kanizsa costruì un'illusione ottica nota come
triangolo di Kanizsa.
Fig. 4 – Il triangolo di Kanizsa
Nella figura "vediamo chiaramente" un triangolo equilatero bianco sovrapposto ad un
altro triangolo col contorno nero, anche se i due triangoli in realtà non esistono poiché
nessuna delle due figure è effettivamente disegnata.
Questo fenomeno si verifica poiché il nostro apparato percettivo ha una tendenza
organizzativa innata e cerca continuamente di dare un senso compiuto a ciò che
percepisce.
Un'altra celebre figura è quella di Muller Lyer: qual è tra i due il segmento più lungo?
Fig. 5 – I segmenti di Muller Lyer
I due segmenti, che sappiamo essere di uguale lunghezza, vengono percepiti dal
nostro occhio come fossero di lunghezza diversa e questo accade anche se
conosciamo la soluzione.
Questi errori di percezione visiva coinvolgono anche gli altri sensi, cosicché la vista
influenza anche il tatto in quanto gli oggetti piccoli di solito ci sembrano più pesanti di
quelli grandi8.
L'uso delle parole e la struttura delle frasi non sono neutrali, a volte occultano la
possibile soluzione, altre volte fuorviano la ricerca, spesso costruiscono una cortina
fumogena attorno alla comprensione stessa del problema.
La sonda sovietica Luna 16 fu lanciata il 12 settembre 1970. Il suo obiettivo era quello
di allunare nella parte oscura della luna, fotografarla e prelevare dei campioni della
superficie.
8
Odifreddi Piergiorgio (2006), C'era una volta un paradosso, Einaudi, Torino.
5
www.profexa.it
Ma come fare a scendere sulla parte oscura della luna? Serviva una luce. Venne quindi
montata sulla sonda una lampadina per illuminare la superficie. Altre tecnologie non
erano ancora disponibili in quel periodo. Ma con le vibrazioni il bulbo di vetro della
lampadina si sarebbe certo frantumato. Come fare allora? Per mesi gli scienziati russi
cercarono una soluzione adeguata senza trovarla. Poi a qualcuno venne in mente che
di esaminare il problema in un altro modo.
A cosa serve il bulbo di vetro della lampadina? Ad impedire il contatto del filo
incandescente con l'ossigeno dell'atmosfera. Ma nell'atmosfera della luna non c'è
ossigeno e quindi il bulbo non serve.
Il problema era stato risolto.
In tutti questi casi, come abbiamo visto, il pensiero logico è bloccato, ingannato,
confuso. Occorre pertanto cercare altrove la soluzione. Il pensiero creativo ci
viene in aiuto.
La creatività infatti è la capacità di cambiare le percezioni e le rappresentazioni che
sovente ostacolano la formulazione di una nuova visione o la generazione di una
nuova idea.
Ma anche il pensiero creativo, quando vuole costruirsi nuovi itinerari e
produrre nuove idee, deve misurarsi con alcuni ostacoli: da un lato, come
abbiamo detto prima, con il fenomeno della memoria che segue le tracce predefinite e
con l'inganno delle illusioni percettive che inducono il pensiero a seguirle; dall'altro
con le informazioni che si autorganizzano e spingono a imitare modelli sperimentati e
conosciuti.
Produrre nuove idee, quindi, significa abbandonare la memoria delle tracce e
rinunciare al comodo richiamo delle strutture preregistrate e delle idee
precostituite. Per questo motivo produrre qualcosa di nuovo spesso è così
faticoso.
Le tre fasi del processo creativo
Il processo creativo si svolge in tre fasi: l'impregnazione nel problema, la
divergenza dalla realtà, la convergenza sulle idee.
William Gordon le definì: impregnazione, incubazione e illuminazione. Alex Osborn le
definisce come la scoperta del fatto, la scoperta dell'idea e la scoperta della soluzione.
La definizione di queste fasi ha da sempre affascinato i cultori della materia che di
volta in volta hanno elaborato i più svariati modelli. Questa struttura è comune a tutti
i tipi di pensiero creativo anche se si manifesta in maniera diversa in ognuno di essi. Il
più delle volte non siamo coscienti di questo processo che agisce inconsapevolmente,
ma dietro ogni nostro comportamento creativo sono racchiuse queste tre fasi. A noi
qui interessa esaminare come agisce questo processo specificatamente all'interno
della creatività d'idee.
Fase 1: l'impregnazione
Impregnarsi significa calarsi dentro, immergersi nell'argomento, viverlo da
dentro. In questa fase, l'argomento viene esaminato in ogni suo aspetto; viene
frantumato, capovolto.
6
www.profexa.it
Lo scopo è in primo luogo quello di prendervi confidenza, di conoscerlo, in secondo
luogo di definirlo il più esattamente possibile. Accade spesso, infatti, che l'obiettivo
iniziale debba essere in seguito ridefinito. Il portatore del problema a volte non è del
tutto consapevole di ciò che gli accade e scambia il sintomo per la causa. Per evitare
di intervenire su un falso problema, o meglio su un obiettivo mal definito, è opportuno
soffermarsi a lungo in questa fase. L'impregnazione va ben oltre la comprensione
razionale. E' prendersi carico della situazione, sentirla, farla propria.
L'impregnazione così definita è una peculiarità della creatività d'idee.
Nella dimensione immaginaria, quando si fantastica, è sufficiente lasciarsi andare ai
propri pensieri, nella creazione artistica l'impregnazione si compie da sola, viene da
dentro, fa parte dell'esperienza di vita dell'artista. Stessa cosa si verifica per
l'esperienza filosofica e scientifica.
Nella creatività d'idee invece è indispensabile che venga strutturata.
La si può realizzare in due maniere diverse.
Con un atteggiamento più razionale e oggettivo, ascoltando a fondo la formulazione
del cliente, informandosi, raccogliendo il più possibile dati e informazioni, discutendo;
oppure in una maniera più emotiva, più empatica, vivendo la situazione "in
soggettiva", appropriandosi del problema del cliente in prima persona per mezzo di
attività ingaggianti e intense, osservandolo con uno sguardo particolare.
Fase 2: la divergenza
Divergere significa allontanarsi il più possibile dal punto di partenza, in questo caso
dal problema concreto e dalle sue necessità. La questione in realtà non scompare
del tutto, ma rimane sullo sfondo, come uno spettatore distratto e lontano.
Questo allontanamento è indispensabile per liberare energie creative, per non farsi
condizionare dai vincoli pratici, per volare in alto, insomma. Solo così sarà possibile
generare nuove idee9.
Anche questa fase si può realizzare in due modi diversi. In maniera più lieve o più
profonda.
Nel primo caso ha la funzione di destrutturare, di eliminare le connessioni
automatiche, di eludere i percorsi neuronali abituali. La funzione immaginativa non
viene quindi mobilitata in modo particolare. La tecnica più comune è quella delle
libere associazioni e del brainstorming, svolti in un clima collaborativo e di
sospensione del giudizio. Altre tecniche, che verranno illustrate in seguito, frantumano
il problema, lo disarticolano, lo attaccano da diversi angoli e punti di vista, oppure lo
combinano, mettendo in relazione universi completamente differenti, utilizzando
l'analogia e gli incontri casuali. Utilizzando un approccio più profondo, invece, si
adopera l'immaginario, si mette in gioco l'inconscio; tale metodo necessita quindi di
un grande sforzo e di un coinvolgimento personale. È la contrapposizione tra
l'inconscio che fa nascere le idee e la cosciente presenza della sfida da risolvere.
Per facilitare questa produzione di idee si utilizzano modalità più complesse, tecniche
proiettive, grafiche, l'identificazione personale, il sogno guidato di gruppo, che
tratteremo più avanti e che necessitano di un gruppo ben formato e affiatato.
9
La divergenza non è solo una fase in mezzo alle altre due, di fatto interviene in ognuna delle fasi. Per definire il problema si diverge
e si converge, per valutare le soluzioni si diverge e si converge, come bene espone il metodo CPS del Creative Education Foundation.
7
www.profexa.it
Fase 3: la convergenza
La convergenza è l'atto finale nella creazione delle idee.
Le tappe precedenti sono solo fasi preparatorie nelle quali abbiamo ingaggiato
l'inconscio per farlo poi incrociare con la nostra parte conscia. In altre parole, abbiamo
frantumato la forma e ora dobbiamo ricomporla. Per definire i contorni della
nuova forma il nostro cervello si comporta come una fitta rete da pesca che
raccoglie e porta in superficie tutto ciò che trova nel fondo del mare.
Tale ricerca analizza contemporaneamente ciò che è stato prodotto durante la fase
divergente (i frammenti d'idee, gli stimoli, le intuizioni che attraversano la mente) e le
domande iniziali (i vincoli concreti, i bisogni reali, gli obiettivi) e cerca di stabilire un
incontro tra queste due categorie fino a che emergono idee nuove. Questa è anche la
fase dove il pensiero critico è finalmente libero di esprimersi senza freni e senza limiti,
purché in positivo, dove vengono utilizzati il pensiero razionale e la capacità di
giudizio.
Al termine della fase di divergenza il gruppo si trova davanti un'enorme
quantità di germogli di idee. Come trasformarli in piante rigogliose e fiorite? Alcuni
germogli hanno ben poche speranze di crescere, altri promettono bene ma dovranno
attendere tempi migliori, altri ancora sono già pronti e ansiosi di sbocciare. Di fronte a
decine, centinaia, di idee, alle quali a volte ci si affeziona, spesso simili tra loro, a
volte innovative, a volte sorprendenti, è difficile decidere di eliminarne una a favore
dell'altra, ma è necessario farlo. Solo una sarà l'idea vincente.
Le tecniche di convergenza sono numerose, ma essenzialmente rispondono
ad un'unica domanda: far emergere e valutare le idee concrete, realizzabili,
utili per selezionare l'idea migliore.
Le tecniche creative: perché?
Forse vi state domandando: ma perché utilizzare delle tecniche? Non è forse una
maniera un po' troppo meccanicistica per stimolare un comportamento così istintivo e
sincero come la creatività?
Già il termine tecnica sembra cozzare con l'altro, creatività, sinonimo di naturale
spontaneità.
Se foste dei bambini in età prescolare avreste perfettamente ragione. In quella età,
infatti, i bambini sono istintivamente creativi, basta loro un pezzo di legno, una
nuvola, un sasso, per costruire personaggi, raccontare storie, inventare giochi10.
Per noi adulti invece è tutta un'altra storia.
La scuola e la famiglia prima, le istituzioni, il contesto sociale, l'azienda poi, riducono
considerevolmente l'attitudine creativa degli individui che, salvo poche eccezioni,
perdono quasi completamente quell'innata, naturale, abilità. Sapete qual è l'età nella
vita di una persona dove mediamente si rileva il livello più basso di creatività? Ebbene,
la passione degli studiosi americani per le cifre e le statistiche ha studiato anche
questo. Ha dell'incredibile, ma il più basso livello di creatività si misura al termine
10
Lo psicologo francese Theodule Armand Ribot già a fine ottocento individuò un picco di creatività intorno ai 14 anni; più
recentemente la Sloan School of Management del MIT ha posizionato il picco creativo intorno ai 12 anni.
8
www.profexa.it
degli studi universitari, livello che diminuisce ancora per quanti proseguono verso il
dottorato11.
Non vogliamo affermare, ovviamente, che studiare non serve, ma solo che per
ridiventare creativi come già eravamo da piccoli è necessario fare un po' di
decompressione come i subacquei quando emergono dal fondo del mare. Le tecniche
di creatività servono proprio per questo.
Pensate ad un aliante fermo ai bordi della pista.
Le sue ali slanciate sono appoggiate sull'erba. Pur così leggero ed esile, da solo non
può muoversi. Ha bisogno di un altro aereo che lo traini e lo faccia decollare. Poi, una
volta in cielo, alla giusta quota, il cavo si sgancia. E il volo finalmente inizia. Ora
l'aliante è libero di volare, di cabrare, di virare silenzioso. Un'immagine più avvincente
del volo umano forse non esiste.
Anche quando decide di atterrare l'aliante ha bisogno di qualcuno che lo aiuti, in
questo caso ha bisogno dell'esperienza e della competenza del pilota che lo
accompagni dolcemente ad appoggiarsi sulla pista d'atterraggio. Come un aliante
anche il processo creativo ha bisogno di qualcuno che lo faccia decollare e di qualcuno
che lo aiuti ad atterrare.
I facilitatori12 servono a questo così come le tecniche di creatività.
Fanno decollare l'individuo verso l'immaginario, lo staccano da terra, dai
condizionamenti mentali e culturali, dalle quotidiane abitudini, lo aiutano a volare e
poi lo riportano a terra, sano e salvo, nella realtà, col suo bottino di idee e di soluzioni.
Un'altra importante funzione delle tecniche creative è quella di orientamento
e direzione durante il percorso di produzione delle idee. Come una bussola, ci
indicano la direzione da seguire, ci riportano al punto di partenza quando ci perdiamo,
ci rassicurano quando l'immaginazione o le dinamiche inconsce dominano la nostra
attività.
Le tecniche poi sono veloci. La rapidità è una loro qualità fondamentale. In pochi
minuti, un gruppo affiatato di una dozzina di persone può produrre, con un vero
brainstorming, anche un centinaio di nuove idee, che verranno poi approfondite,
valutate, selezionate.
Inoltre le tecniche svolgono una preziosa funzione di allenamento.
Come l'atleta che riscalda i muscoli prima di scendere in pista, anche il
gruppo ha bisogno di riscaldarsi prima di iniziare il suo percorso creativo.
Infine le tecniche ci fanno divertire. La componente ludica è infatti sempre presente.
Le tecniche di creatività sono quindi uno strumento indispensabile per il buon
funzionamento del gruppo. Per questo è fondamentale che il facilitatore o il conduttore
del gruppo, le conosca a fondo e sappia come utilizzarle al momento giusto.
Di tecniche creative ne esistono in gran quantità. Ogni artista, ogni inventore, ogni
scrittore ha ideato le sue. Alcune di esse, pensiamo solo a Leonardo da Vinci, sono
diventate leggendarie per il solo fatto che tutt'oggi rimangono in parte segrete. Altre
11
Ricerca presentata da Mark Raison durante il Colloque Créa Université 2007, Université Paris-Descartes .
Chi è il facilitatore? Che cos'ha di diverso da un conduttore, un animatore o un docente? Rimandiamo al capitolo sull'argomento
nella terza parte del libro che approfondirà il tema.
12
9
www.profexa.it
si possono più agevolmente apprendere nelle scuole, nei libri, dai colleghi. O scaricare
da internet. Qui vogliamo concentrare la nostra attenzione sulle tecniche
maggiormente utilizzate nella produzione di idee e sulle metodologie di Creative
problem solving più diffuse.
Tra tutte le tecniche a disposizione quali utilizzare? E quando? Come
distinguere le une dalle altre?
Queste sono le domande che più frequentemente vengono rivolte durante le
sessioni di creatività.
Una prima risposta è: dipende da quanto "lontano" si vuole andare.
Altri fattori sono in ugual modo importanti: l'affiatamento del gruppo, il tempo a
disposizione, il tipo di problema su cui si lavora. Ma il "quanto lontano si vuole andare"
rimane la variabile essenziale.
Alcune tecniche privilegiano una esecuzione più razionale, altre richiedono una
esecuzione più emotiva, altre ancora si spingono in una dimensione inconscia. E'
chiaro che più ci si allontana dalla realtà, maggiore dev'essere l'abilità dl facilitatore,
più intenso è il lavoro che il gruppo deve compiere, più "folli" e nuove saranno le idee
prodotte e viceversa.
Una seconda risposta alle precedenti domande è: dipende dall'obiettivo che si vuole
raggiungere.
Se si tratta di trovare nuove soluzioni per migliorare un prodotto esistente,
può essere sufficiente utilizzare una tecnica razionale, una matrice ad esempio, se
invece occorre trovare delle idee veramente innovative su "qualcosa" che magari
ancora non esiste può essere utile impiegare una tecnica proiettiva o una metafora,
oppure una tecnica associativa altrettanto potente, ma più semplice e veloce da
utilizzare.
Come vedremo, le tecniche, contrariamente a quanto si crede, non sono strumenti
rigidi e assoluti. Il saperle adoperare in maniera flessibile ed elegante fa parte del
bagaglio di un buon facilitatore il quale sa quale impiegare, in che modo e in quale
momento.
I quattro quadranti
Ormai sappiamo che divergere significa allontanarsi il più possibile dal punto di
partenza, dalla realtà, dal problema concreto e dai suoi vincoli, liberarsi dalle catene
della razionalità, dal principio di causa– effetto, dal buon senso quotidiano. E le
tecniche ci aiutano a farlo. Ma quali usare? In che modo? In quale momento?
Può essere utile anche qui una suddivisione, una classificazione che ci aiuti a
conoscerle, a gestirle, ad utilizzarle meglio. Dalla matrice delle idee, dall'incontro
tra gli assi, "immaginario/reale" e "conscio/inconscio", emergono quattro
differenti aree, ognuna delle quali risulta caratterizzata dai valori degli assi
che la circoscrivono.
Se disponiamo le diverse tecniche all'interno di ognuno dei quattro quadranti in
funzione delle loro caratteristiche possiamo osservarle da un nuovo punto di vista che
ci torna molto utile quando dobbiamo decidere quale tecnica utilizzare. Riportiamo
dunque alcune tra le numerose tecniche all'interno dei quadranti che andremo poi ad
esaminare singolarmente.
10
www.profexa.it
Fig. 13 – I quattro quadranti ©
Il brainstorming tra mito e realtà.
"Dai, facciamo un brainstorming”.
Chi non si è mai sentito fare una proposta del genere? In effetti è una delle tecniche
più note.
Il fortunato neologismo è diventato sinonimo stesso di creatività e per questo merita
un apposito approfondimento. Le riunioni di lavoro, sempre più spesso, da
meeting si trasformano in brainstorming, numerosi manager lo considerano
ormai un usuale strumento di lavoro e anche nel linguaggio corrente non è
raro ritrovarlo nelle conversazioni d'ogni giorno. Ma la sua notorietà è anche
motivo della sua disgrazia.
Il brainstorming è spesso banalizzato e abusato.
Lo si utilizza senza alcuna formazione, alcun metodo; è una pittoresca occasione dove
le persone possono dire quel che vogliono, nella maniera più strana e bizzarra,
preferibilmente facendo ridere gli altri, purché lo facciano velocemente.
In realtà pochi conoscono veramente come funziona e sono in grado di condurlo con
efficacia.
Ne era consapevole già allora Alex Osborn, la "O" dell'agenzia pubblicitaria BBDO e
inventore del metodo: "Nei primi anni del decennio 1950–1960, il brainstorming
divenne molto popolare troppo velocemente, col risultato che venne spesso male
applicato. Troppe persone vi videro un rimedio universale, per poi rivoltarsi contro
quando non si verificò alcun miracolo. Analogamente, troppi hanno a torto considerato
il brainstorming di gruppo un processo completo per la soluzione di problemi, mentre
11
www.profexa.it
è solo una di diverse fasi della ricerca di idee; e la ricerca di idee è solo una delle
diverse fasi della soluzione di problemi creativi"13.
La chiarezza del testo di Osborn non ha bisogno di ulteriori commenti. Osborn non a
caso stabilì le famose regole per il buon funzionamento del gruppo, e la prima
concerne appunto il rinvio di ogni forma di critica:
– sospendere, differire, ogni tipo di giudizio,
– produrre idee in gran numero, la quantità è anche qualità, e annotarle
– accogliere ogni suggerimento e idea, anche la più folle e bizzarra,
– associarle a quelle degli altri, condividerle, fertilizzare il gruppo.
Perché è così importante sospendere il giudizio?
Perché favorisce la spontaneità, la rapidità e la produzione di idee, la
collaborazione e il dialogo nel gruppo.
Tutti abbiamo il dono di divergere con il pensiero, di immaginare l'impossibile. La
questione è per quanto tempo riusciamo a farlo prima che intervenga un giudizio a
fermare il pensiero creativo. Se non si lascia il tempo al pensiero divergente di
crescere, svilupparsi, trasformarsi in un'idea, la creatività non avrà mai la possibilità di
rivelarsi. "Costruire una ferrovia è cosa lunga, complicata e richiede grandi capacità
tecniche. Per far deragliare un treno basta una putrella messa di traverso e non
richiede alcuna particolare abilità. E' sempre più facile distruggere che costruire"14.
E questo lo sa bene chi, durante un brainstorming, ma anche durante le normali
riunioni di lavoro, è sempre pronto a tirare stoccate per ogni suggerimento, idea,
soluzione che viene proposta.
Dimostrare che qualcuno ha torto è semplice e procura una soddisfazione
immediata. Una buona idea invece produce risultati solo con il tempo e ha
comunque bisogno di qualcuno che la sostenga.
"Quantità, quantità e ancora quantità". E' l'esortazione, quasi un inno, che Osborn fa
nel suo famoso testo invitando a produrre idee in gran numero. Il che è di per sé
intuitivo. Gli scienziati lo sanno bene, prima di trovare la conferma di una loro ipotesi
devono provare, e provare ancora. Centinaia di tentativi, di esperimenti, di test per
arrivare a dimostrare un dato, scoprire un concetto, un'idea. Esiste il pregiudizio
diffuso che quantità e qualità non vadano d'accordo. E' meglio una sola cosa fatta
bene che cento fatte male. L'avrete certo sentito dire. Niente di più falso. "Come
nella navigazione, più ci guardiamo intorno e più probabilità avremo di
entrare in porto". Nel gruppo di lavoro funziona allo stesso modo.
Inoltre la quantità di idee e di pensieri prodotti ha un effetto moltiplicatore, come la
pallina di un flipper che corre, sbatte, rimbalza qua e là, cerca la strada migliore e
intanto realizza punti; e per una che si perde un'altra è già pronta per essere lanciata.
Allo stesso modo nel gruppo creativo le idee fluiscono, si espandono, producono
soluzioni. Vengono prese dagli altri, rielaborate, rilanciate, riproposte. E tanto più
strane, inconsuete, assurde sono, tanto più portano novità e trasformazione.
Produrre idee e libere associazioni in grande quantità inoltre esonera dal seguire
logiche preconfezionate e strutture mentali preesistenti, in tal senso la rapidità di
13
14
Osborn Alex (2003), L'arte della creativity, Franco Angeli, Milano, pag. 128.
De Bono Edward (1991), Sei cappelli per pensare, Rizzoli, Milano.
12
www.profexa.it
produzione è altrettanto importante poiché impedisce di pensarci troppo e favorisce
l'emergere di associazioni insolite. L'associazione si fonda sul comporsi casuale di
segni e significati, di parole e di concetti, di forme e di funzioni.
Ciò conduce alla terza regola che invita ad accogliere ogni idea, ogni
suggerimento anche il più folle e bizzarro. Sono proprio queste "bizzarrie"
che permettono di accendere la scintilla che produrrà l'idea vincente. Il
brainstorming essenzialmente è un linguaggio, un linguaggio associativo.
Una persona da sola difficilmente è in grado di scorgere le scintille che scoccano; il
gruppo serve proprio a questo, a raccogliere i frammenti, combinarli, dare loro un
senso, fino a che raggiungono un nuovo significato. Un gruppo ben formato, affiatato,
motivato è come la cassa armonica di un violino, riceve le impercettibili vibrazioni di
una singola corda, le amplifica, le combina e le trasforma in un suono armonioso.
Ecco perché è fondamentale lavorare in gruppo, associare le proprie idee con quelle
degli altri, mescolarle, fonderle, ricombinarle.
Come nasce il brainstorming?
Ce lo racconta ancora il suo ideatore con estrema precisione: "Fu nel 1938 che adottai
per la prima volta l'ideazione organizzata, nella società di cui ero allora a capo. I primi
partecipanti chiamarono i nostri sforzi "Incontri di brainstorm", e a ragion veduta,
perché, in questo caso, brainstorm significa usare il cervello (brain) per prendere
d'assalto (storm) un problema. Il brainstorming è entrato tanto a far parte della scena
americana che il verbo brainstorm, nel senso di sforzo creativo, è oggi incluso nel
Dizionario Internazionale Webster. Questo genere di incontro non è completamente
nuovo. Una procedura similare è notoriamente usata in India da più di 400 anni da
insegnanti indù che lavorano con gruppi religiosi. Il nome indiano di questo metodo è
Prai–Barshana. Prai significa "fuori di te stesso" e Barshana significa "questione". In
questo genere di incontro non vi è né discussione né critica. La valutazione delle idee
ha luogo nel corso di incontri successivi dello stesso gruppo. L'incontro di brainstorm
moderno non è altro che una conferenza creativa avente l'unico scopo di produrre una
lista di controllo di idee, idee che servano da spunto alla soluzione di problemi e che
possono essere successivamente valutate e ulteriormente elaborate. Nessuna
conferenza si può fregiare del nome di sessione di brainstorm se non viene
rigorosamente adottato il principio del giudizio differito"15.
L’opera è tutelata dalle leggi sui diritti d’autore, sono vietate e sanzionate le riproduzioni in
ogni modo e forma se non espressamente autorizzate.
15
Osborn Alex (2003), L'arte della creativity, Franco Angeli, Milano, pag. 128.
13
www.profexa.it
Case History
“ALLENARE AL BELLO DELL’AGIRE”
La scelta strategica di una delle maggiori aziende del settore GDO per
migliorare l’efficacia e l’efficienza nella vita di tutti i giorni
Come si possono valorizzare e trasferire competenze tecniche e comportamentali
indirizzate al rafforzamento del bagaglio professionale di ciascun lavoratore? È questa
la sfida che L’Azienda, con il supporto tecnico di Profexa Consulting, ha intrapreso
da diversi mesi e sta portando avanti con entusiasmo, nella convinzione che il
cambiamento e l’innovazione non sono aspetti che coinvolgono soltanto alcune
figure apicali dell’azienda bensì partono proprio dalle
persone, da tutte le persone senza distinzione di ruoli o responsabilità.
Il progetto “Allenare al Bello dell’Agire” si pone la finalità di intervenire sulle “aree
di potenziamento” di ogni singolo individuo, affinché non si adagino nella loro zona
di comfort e di competenze consolidate, bensì si allenino ad essere più proattivi.
La preziosità di questo progetto è che stimola ad avere una diversa prospettiva nei
confronti del “cambiamento”.
Questo infatti non è più responsabilità di altri bensì un affare di tutti! Proprio per
questa ragione, chi occupa ruoli di responsabilità dovrà allenarsi a sollecitare le
proprie persone a sprigionare idee e soluzioni generatrici di cambiamento.
Ecco quindi che la finalità del progetto è quella di sperimentare un modello di FormAzione continua (costruito ed adattato alle esigenze aziendali) che porti tutto il
personale aziendale ad essere dei “soluzionatori”, in quanto la crescita di un’azienda
può avvenire solo se tutte le risorse si sentono generatrici del loro “futuro”, senza
aspettare che le idee e le soluzioni arrivino solo e sempre dai vertici aziendali.
Per questa ragione si è deciso di lavorare da un lato sulla proattività, con l’obiettivo
di creare grandi squadre aziendali capaci e desiderose di raccogliere nuove sfide e
di vivere e contribuire in prima persona nei processi di cambiamento. Dall’altra parte
si è voluto realizzare un training specifico rivolto ai responsabili al fine di
potenziare la loro capacità di accompagnare le persone dalla palestra professionale
alla vita di tutti i giorni, ed essere quindi dei “facilitatori” capaci di far sentire in tutte
le persone l’importanza di essere e lavorare come flotta nella ricerca continua del
cambiamento e dell’innovazione.
Il valore e la bellezza che scaturisce da un percorso così strutturato è che mentre si
fortificano i vissuti positivi delle persone in azienda (vivendo il confronto come
momento di crescita), si riesce a lavorare su più piani:
• Un piano quantitativo poiché si allarga il gruppo creativo e lo si stimola
continuamente nella ricerca del nuovo;
• Un piano qualitativo frutto di una visione di flotta che permette di produrre idee
sempre più centrate rispetto agli obiettivi e alle necessità aziendali;
14
www.profexa.it
• Un piano realizzativo poiché l’impegno delle persone non termina con lo sviluppo di
un’idea bensì continua nella realizzazione pratica dell’idea stessa.
Allenare le proprie persone affinché possano essere protagoniste del continuo
processo di innovazione aziendale, lo si può considerare già di per sé un forte
fattore di innovazione. Questo perché in un contesto caratterizzato da forte crisi e
rapidi cambiamenti di mercato, chi ha la lungimiranza e il coraggio di investire
nelle proprie persone non può non essere considerato innovativo, in quanto capace
di creare sviluppo organizzativo partendo dalla ricchezza delle risorse interne
all’azienda stessa; ricchezza che nella quotidianità e nella molteplicità delle persone si
amplifica e si autoalimenta mandando a successo l’azienda e la sua flotta anche in
contesti di forte complessità come quelli attuali.
15
www.profexa.it