Il danno non patrimoniale da morte o lesioni del congiunto1

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Il danno non patrimoniale da morte o lesioni del congiunto1
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Incontro di studio sul tema:
L’illecito civile e la famiglia
Roma, 10-12 ottobre 2011
M. Rossetti
Il danno non patrimoniale da morte o lesioni
del congiunto1
Sommario: 1. Il danno non patrimoniale da morte del congiunto. - 2.
Forme di manifestazione del danno non patrimoniale da morte. - 3. I
soggetti legittimati a domandare il risarcimento. - 3.1. Gli stretti
congiunti (coniuge, genitori, fratelli, figli). - 3.2. Altri parenti. - 3.3.
Convivente more uxorio. - 3.4. Nascituro. - 4. I criteri di liquidazione .
- 5. La sofferenza morale per le lesioni subite dal congiunto.
***
1. Il danno non patrimoniale da morte del congiunto.
1
La presente relazione è tratta, con gli aggiustamenti del caso, da M. Rossetti, Il danno alla
salute, Padova 2010.
1
Il danno non patrimoniale che può discendere dalla morte di una
persona cara non è necessariamente un danno alla salute. O meglio,
dalla morte di un prossimo congiunto può anche derivare una
malattia
(una
sindrome
depressiva,
tachicardia,
una
malattia
psicosomatica); ma più frequentemente questo evento produce
“soltanto” (si fa per dire) un immenso dolore, con quanto ne
consegue sulle abitudini e gli stili di vita dei sopravvissuti.
Nondimeno, un testo sul danno alla salute sarebbe incompleto se non
si desse conto al lettore anche del fondamento, della natura e della
risarcibilità del danno in esame, per la evidente affinità di materia
rispetto al danno biologico.
La materia dell'accertamento e della risarcibilità dei danni non
patrimoniali da morte del congiunto aveva costituito sino ad epoca
recente una delle più controverse in tutto l'ambito della responsabilità
civile.
Dottrina e giurisprudenza si erano infatti divise intorno a tre principali
concezioni di fondo, tra loro inconciliabili, e dalla cui adozione
discendevano rilevanti differenze pratiche.
(A) Secondo un primo orientamento, la morte di una persona cara
può provocare nei congiunti diversi tipi di danni non patrimoniali. Vi
sarebbe, innanzitutto, il danno non patrimoniale "in senso stretto",
altrimenti detto "danno morale", il quale è costituito dalla mera
sofferenza soggettiva interiore, destinata a passare con l’andar del
tempo. Accanto a questo tipo di danno, sarebbero poi ravvisabili altri
pregiudizi non patrimoniali, la cui proliferazione non conosce altro
limite che quello della fantasia dei giuristi: si è, così, talora preteso di
distinguere
dal
danno
morale
il
danno
da
lesione
di
diritti
costituzionalmente protetti, il danno da rottura del vincolo familiare, il
danno da perdita della possibilità di svolgere attività piacevoli (od
“esistenziale”, il danno da perdita dello ius in corpus nei confronti del
coniuge. Secondo questo orientamento, dunque, il medesimo fatto
2
illecito può provocare più danni non patrimoniali, e si conseguenza far
sorgere il diritto a più risarcimenti2.
(B)
Per
un
diverso
orientamento,
la
nozione
di
danno
non
patrimoniale è definibile soltanto in negativo: sono, cioè, non
patrimoniali tutti i danni che non rientrano nella categoria dei
pregiudizi patrimoniali. Secondo questa impostazione, pertanto, delle
diverse "manifestazioni" che può assumere il danno non patrimoniale
(sofferenza morale, perdita della possibilità di svolgere attività
amene, lesione di diritti costituzionalmente garantiti) deve tenersi
conto non già per liquidare più "poste" risarcitorie, ma unicamente
per modulare in più in meno la liquidazione dell'unico danno non
patrimoniale3.
(C) Vi era, infine, un terzo orientamento (che ha trovato riscontro
però solo in dottrina) il quale nega addirittura la possibilità di definire
in termini di "risarcimento" la compensazione in denaro di un
pregiudizio
non
patrimoniale.
Secondo
questo
orientamento,
i
pregiudizi non patrimoniali sono in realtà irrisarcibili, e quel che viene
comunemente chiamato risarcimento in realtà altro non è che una
sanzione civile a carico dell’offensore ed a beneficio dell'offeso4.
Tali contrasti sono stati superati dall’intervento delle Sezioni Unite
della Corte di cassazione 5, le quali hanno infatti stabilito che:
(a) tutti i danni si dividono in patrimoniali e non patrimoniali, e non
esistono tertia genera;
(b) il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. ha natura
omnicomprensiva;
2
Per una rassegna tanto ampia quanto giuridicamente inutile, si veda Cendon (a cura di),
Trattato breve dei nuovi danni, Padova 2001, passim.
3
Per un esempio di questa concezione si veda Trib. Roma 16-1-2004, in Giurispr. romana,
2004, ***.
4
Procida Mirabelli di Lauro, Il danno ingiusto (dall’ermeneutica "bipolare" alla teoria generale e
"monocentrica" della responsabilità civile), in Riv. crit. dir. priv., 2003, 9 (parte I), e 219 (parte II).
5
Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972.
3
(c) anche quando l’illecito non integri gli estremi di un reato, il danno
non patrimoniale è sempre risarcibile nel caso di offesa a diritti della
persona di rilievo costituzionale.
Così interpretato l’art. 2059 c.c., è venuto meno sia il presupposto
teorico, sia lo scopo pratico, delle teorie che distinguevano tra il c.d.
danno morale e gli altri danni non patrimoniali.
Il presupposto, infatti, era rappresentato dall’assunto che l’art. 2059
c.c. non disciplinasse tutti i danni non patrimoniali, ma solo una
aliquota di essi. Per contro, la S.C. ha affermato l’esatto opposto, e
cioè che l’art. 2059 c.c. disciplina tutte le ipotesi di danno non
patrimoniale.
Lo scopo pratico della distinzione tra danno morale ed “altri” danni
patrimoniali era quello di sottrarre questi ultimi, quando non derivanti
da reato, al limite risarcitorio previsto dall’art. 2059 c.c.. Anche
questa esigenza tuttavia è venuta meno nel momento in cui si è
ammesso che, reato o non reato, il danno non patrimoniale è sempre
risarcibile quando viola un diritto della persona costituzionalmente
garantito.
Evidente, a questo punto, la conclusione: la “tradizionale figura del
c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata.
La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale,
aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c.
né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tanto meno lo dicono
rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della
adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal
reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto
penoso protrarsi anche per lungo tempo (…) .
Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria
generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non
individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i
vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio,
costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé
4
considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non
assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della
quantificazione del risarcimento”6.
Da questa affermazione di principio discende che rientra nel concetto
di “danno non patrimoniale” ogni sofferenza fisica, psichica o morale
provata dai congiunti della vittima.
2. Forme di manifestazione del danno non patrimoniale da
morte.
La morte di una persona cara può provocare nei superstiti un danno
patrimoniale che, pur essendo unitario quanto alla natura giuridica,
nei fatti può manifestarsi con forme diverse: allo stesso modo, ad
esempio, in cui anche il danno patrimoniale pur avendo natura
unitaria può manifestarsi sotto forma di lucro cessante o danno
emergente.
Questa è la ragione per la quale dinanzi ad un illecito che abbia
causato la morte di una persona non è necessario andare alla ricerca
in iure di plurime e fantasiose categorie giuridiche di danno, ma è
sufficiente individuare in facto in quale modo l’illecito ha inciso sulla
sfera non patrimoniale dei superstiti.
Le conseguenze non patrimoniali che possono derivare dalla morte di
una persona cara possono consistere:
(a) in una malattia fisica: in questo caso ci troviamo dinanzi ad una
ordinaria ipotesi di danno alla salute, da accertare e liquidare in base
ai criteri già ampiamente esaminati;
(b) nel dolore e nella sofferenza provocati dalla mancanza della
persona cara;
(c) nella perdita dei benefici morali che il superstite ritraeva dalla
compagnia del defunto: gli insegnamenti e l’educazione (si pensi al
minore che perda un genitore); la amoenitas della vita comune (si
6
Cass. 26972/08, cit., § 2.10 dei “Motivi della decisione”.
5
pensi a chi perda un fratello, compagni di studi o di giochi); il
mutuum adiutorium (come nel caso della perdita del coniuge o del
partner).
Di
tutti
questi
pregiudizi
il
giudice
deve
tenere
conto
nella
liquidazione, per quanto allegato e provato nel corso del giudizio. Il
che vuol dire, da un lato, che la liquidazione (unitaria) del danno non
patrimoniale
non
deve
trascurare
alcuna
delle
conseguenze
effettivamente pregiudizievoli patite dalla vittima; e dall’altro che
costituisce una duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione sia
del danno morale, sia di pregiudizi definiti “esistenziali” o da “rottura
del vincolo parentale”7.
3. I soggetti legittimati a domandare il risarcimento.
3.1. Gli stretti congiunti (coniuge, genitori, fratelli, figli).
E’ pacifico che il danno non patrimoniale per la morte di una persona
cara possa essere domandato dai più stretti congiunti della vittima
(coniuge, genitori, figli, fratelli). Quando il risarcimento è domandato
da queste categorie di persone, la giurisprudenza non esige alcun tipo
di prova sull’esistenza del pregiudizio: dal fatto noto che tra defunto e
superstite esisteva un così stretto rapporto familiare, il giudice risale
infatti al fatto ignorato della sussistenza del danno, perché è una
legge di natura che la perdita di un persona così vicina provochi un
grave dolore ai congiunti.
Il danno in questione è stato altresì riconosciuto, sulla base della sola
prova presuntiva, anche al fratello (o sorella) unilaterale 8.
Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte è stato
accordato anche al coniuge separato: tuttavia in tal caso il giudice
dovrà decidere se sussista o meno il danno in esame valutando non
solo se al momento della morte sussistesse la possibilità di una
7
Cass. sez. un. 11.11.2008 n. 26972, in ***.
Trib. Roma 7.6.2007, Santo c. Cattolica, inedita; Trib. Roma 27.1.2007, Bravo c. Dialogo,
inedita; Trib. Roma 18.9.2006, Alvarez Campos c. Aurora, inedita.
8
6
eventuale riconciliazione, ma soprattutto le ragioni che avevano
determinato la separazione, “e ogni altra utile circostanza idonea a
manifestare se e in quale misura l’evento luttuoso, dovuto all’altrui
fatto illecito, abbia procurato al coniuge superstite quelle sofferenze
morali che di solito si accompagnano alla morte di una persona più o
meno cara”9. Così, per fare un esempio, il risarcimento in questione
potrà senz’altro essere riconosciuto al coniuge tradito ed abbandonato
dall’altro, che risulti avere cercato di fare il possibile per salvare
l’unione coniugale. Per contro, il danno in questione non potrà essere
liquidato nei casi in cui la separazione, per le modalità in cui si è
realizzata, risulti conflittuale e caratterizzata da acredine reciproca10.
La giurisprudenza di merito si è inoltre mostrata favorevole a
liquidare il danno morale da morte sulla base della sola prova
presuntiva anche al nipote ex filio per la morte del nonno. Secondo
questo orientamento, infatti, l’esistenza de danno in questione può
desumersi sia da una nozione di fatto rientrante nella comune
esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.), sia - ex art. 2727 c.c. - dalla
circostanza, nota e studiata dalla moderna psicopedagogia, che la
figura del nonno ha sempre rivestito un ruolo coessenziale nel
corretto sviluppo psichico del nipote11.
3.2. Altri parenti.
La
giurisprudenza
ammette
che
il
risarcimento
possa
essere
domandato anche da altri parenti, e pure se non conviventi, ma a
condizione che dimostrino da essere legati allo scomparso da un
intenso vincolo affettivo.
Infatti il rapporto di parentela, così come quello di convivenza, per la
giurisprudenza dominante rilevano non già sul piano sostanziale della
9
Cass., sez. III, 17-07-2002, n. 10393, in Guida al dir., 2002, fasc. 31, 70; nello stesso senso,
Trib. Roma, 17-01-1998, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1999, 372.
10
Trib. Venezia 22-1-1994, in Riv. giur. circ. trasp., 1994, 862.
7
legittimazione ad agire, ma unicamente su quello processuale
dell’onere della prova. Convivenza e grado di parentela tra la vittima
ed il superstite, cioè, costituiscono fatti noti sui quali si può
legittimamente fondare una ragionevole presunzione, ex art. 2727
c.c., di esistenza del danno: sì che dal fatto noto della convivenza è
possibile risalire al fatto ignorato della sofferenza morale, ma ciò non
vuol dire che in assenza di convivenza il danno debba escludersi in
radice. E così a contrario: dal fatto noto della non convivenza è
possibile risalire ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato dell’assenza di
sofferenza morale per la morte della vittima, ma ciò non toglie che
l’attore possa fornire la prova contraria. Si è, di conseguenza,
ammesso che il risarcimento possa essere domandato anche da
congiunti non stretti, e pure se non conviventi, ma a condizione che
dimostrino da essere legati allo scomparso da un intenso vincolo
affettivo 12.
Ovviamente anche in questo caso è ammesso il ricorso alla prova
presuntiva, che però dovrà avere contenuto e spessore maggiore di
quella richiesta per dimostrare la sussistenza del danno in capo ai
congiunti più stretti.
In base a questi criteri il risarcimento è stato accordato in favore del
nipote ex fratre
per la morte dello zio13, ed anche in favore del
genero per la morte del suocero (e dunque in base ad un mero
rapporto di affinità, e non di parentela). Anche in quest’ultimo caso il
tribunale ritenne che la prova presuntiva (art. 2727 c.c.) fosse
sufficiente per affermare l’esistenza del danno, sotto due profili:
11
Trib. Roma 22.10.2005, de Siero c. Direct Line, inedita; Trib. Roma 23.2.2005, Del Sordo c.
Aurora; il principio viene affermato in teoria, ma in concreto la liquidazione non avvenne per
difetto di idonea domanda.
12
Cass. pen., sez. IV, 04-10-2002, n. 33305, in Dir. e giust., 2002, fasc. ; Trib. Roma (ord.)
25.11.1997, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 90; Trib. Viterbo 24.1.1997, in Giurispr. romana,
1997, 421; Trib. Trento 19.5.1995, in Riv. giur. circolaz. trasp, 1995, 782.
13
Trib. Roma (ord.) 25-11-1997, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 90; Trib. Viterbo 24-1-1997, in
Giurispr. romana, 1997, 421; Trib. Trento 19-5-1995, in Riv. giur. circ. trasp., 1995, 782.
8
(-) in via diretta, per la scomparsa di una persona alla quale non si
può non essere legati da particolari rapporti, vincoli e ricordi risalenti
sinanche al periodo prematrimoniale;
(-) in via mediata, in quanto la morte del suocero no può non avere
arrecato dolore alla figlia ed alle nipoti, e quindi alla moglie ed alle
figlie del genero: di talché anche il mero fatto di assistere e percepire
il dolore della propria moglie e delle proprie figlie costituisce ex se un
danno morale. “E certo sarebbe assurdo - conclude la sentenza ritenere che la sofferenza provata dal marito, costretto a vedere la
propria moglie psichicamente prostrata a causa della morte del
proprio padre, sia una conseguenza “anormale” della scomparsa di
quest’ultimo”, e come tale irrisarcibile ex art. 1223 c.c. 14.
La risarcibilità del danno morale da morte è stata invece esclusa a
fronte della lesione di un semplice rapporto di amicizia , sul
presupposto che in questo caso non ricorre la lesione di un legame
para-familiare costituzionalmente tutelato dagli art. 29 e 30 cost.15.
3.3. Convivente more uxorio.
Il tema della risarcibilità del danno da morte in favore del convivente
more
uxorio
della
vittima
ha
suscitato
diversi
contrasti
in
giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, divenuto in epoca
recente maggioritario, il risarcimento del danno in questione spetta
anche al convivente, purché dimostri la stabilità e la durevolezza del
rapporto16.
14
Trib. Roma 22.10.2005, De Siero c. Direct Line, inedita.
Trib. Genova, 07-03-2006, in Danno e resp., 2006, 760.
16
Cass., sez. III, 29-04-2005, n. 8976, in Dir. e giustizia, 2005, fasc. 27, 18; Cass. pen., sez. IV,
4.10.2002 n. 33305, in Dir. e giustizia, 2002, fasc. 37, 17; Cass., sez. III, 28-03-1994, n. 2988, in
Giust. civ., 1994, I, 1849.
Per la giurisprudenza di merito, nello stesso senso, Trib. Milano, 21-02-2007, in Famiglia e dir.,
2007, 938; Trib. Roma 18.9.2006, Alvarez Campos c. Aurora, inedita; Trib. Roma 17.4.2005,
Nieves c. Assitalia, inedita; Trib. Milano, 09-03-2004, in Danno e resp., 2005, 80; App. Milano
16-11-1993, in Foro it., 1994, I, 3212; Trib. Roma 9-7-1991, in Riv. giur. circ. trasp., 1992, 138;
Trib. Lanciano, 29-06-1991, in Giur. it., 1993, I, 2, 108.
15
9
Ha osservato, in particolare, la S.C. che nell’ipotesi della c.d.
«famiglia di fatto» (ossia di una relazione interpersonale, con
carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare,
che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca
assistenza morale e materiale), la morte del convivente provocata da
fatto ingiusto fa nascere il diritto dell’altro al risarcimento del danno
non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c. (per il patema analogo a
quello che si ingenera nell’ambito della famiglia) e del danno
patrimoniale ai sensi dell’art. 2043 c.c. (per la perdita del contributo
patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità,
dal convivente defunto, irrilevante essendo invece la sopravvenuta
mancanza di elargizioni meramente episodiche o di una mera ed
eventuale aspettativa)17.
Per un diverso orientamento, invece, il convivente more uxorio
sarebbe carente di legittimazione ad agire per il risarcimento dei
danni cagionati dall’uccisione della persona con cui conviveva, salvo
che non dimostri come il fatto illecito abbia leso un suo diritto,
scaturente da legge o da patto nei confronti della persona offesa dal
reato18.
Questo secondo orientamento si fondava sull’opinione che “danno
risarcibile” ex art. 2043 c.c. fosse solo quello derivante dalla lesione
di un diritto. E poiché nel caso di morte di una persona il soggetto
convivente che riceveva vantaggi e prestazioni non ha per legge
alcun diritto a tali prestazioni, se ne desumeva il difetto di legitimatio
ad causam per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della
morte del proprio compagno.
17
Così Cass., sez. III, 28-03-1994, n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849.
Cass., sez. I, 07-07-1992, in Giur. it., 1993, II, 659; Cass., 12-06-1987, in Arch. circolaz.,
1988, 630; Cass., 05-11-1982, in Giust. pen., 1984, III, 243; Cass., 21-09-1981, in Dir. e pratica
assic., 1982, 716; Corte d’Assise Milano, 20-05-1998, in Nuova giur. civ., 1999, I, 598; Trib.
Perugia, 30-10-1996, in Rass. giur. umbra, 1997, 747; Corte d’Assise Genova, 24-10-1984, in
Foro it., 1986, II, 621; Trib. Verona, 03-12-1980, in Resp. civ., 1981, 74.
18
10
Tra i due orientamenti riassunti al § che precede, il primo appare
senz’altro preferibile (a prescindere dal fatto che sia oggi quello
assolutamente dominante).
La tesi che nega la risarcibilità del danno da morte in capo al
convivente more uxorio della vittima, come accennato, si fonda
sull’assunto che “l’azione per il risarcimento del danno cagionato in
via extracontrattuale da un fatto illecito postula che il nocumento sia
contra jus, cioè derivato dalla lesione di una situazione giuridica
soggettiva, riconosciuta dall’ordinamento nella forma del diritto
soggettivo”. Da ciò si fa discendere la conseguenza che la morte di
una persona può essere fonte di risarcimento a favore di un terzo
“solo se abbia provocato la lesione non solo di un interesse, ma di un
diritto collegato alla sopravvivenza della vittima; ne consegue che
legittimati all’azione sono i prossimi congiunti, legati alla vittima da
un vincolo non meramente affettivo, ma affettivo-giuridico, per cui
non è legittimata la convivente more uxorio perché la sua pretesa
non ha fondamento giuridico nella legge”19.
Tali affermazioni, forse condivisibili all’epoca in cui furono formulate,
oggi non lo sono più, poiché il presupposto teorico sul quale si fonda
l’orientamento qui in contestazione (il “danno” in senso giuridico
sarebbe la lesione di un diritto soggettivo perfetto) è stato infatti
abbandonato da tempo dalla S.C., la quale a Sezioni Unite ha stabilito
che “danno ingiusto”, ai sensi dell’art. 2043 c.c., è non soltanto la
lesione di un diritto perfetto, ma anche la lesione di qualsiasi
situazione di interesse “presa in considerazione dalla legge”20.
Or bene, la convivenza di fatto è “presa in considerazione”, per usare
le parole del giudice di legittimità, da numerosi indici legislativi, i
quali possono essere ricomposti in un “blocco normativo” organico,
19
Così, ad litteram, Cass., 21-09-1981, in Dir. e pratica assic., 1982, 716, alla quale si attennero
poi le altre sentenze che ne condivisero le conclusioni.
20
Cass., sez. un., 22-07-1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, 2487.
11
chiaramente indicativo della volontà del legislatore di annettere rilievo
dal punto di vista giuridico alla famiglia di fatto.
Si considerino, in particolare:
-) gli artt. 406 e 417 c.c., che consentono al convivente di domandare
l’interdizione o la nomina di un amministratore di sostegno per il
partner;
-) l’art. 199 c.p.p. il quale ha esteso anche al convivente more uxorio
la facoltà di astenersi dal testimoniare nei procedimenti in cui sia
imputato il proprio convivente;
-) l’art. 12 d. lgs. lgt. 27.10.1918 n. 1726, il quale riconosce il diritto
alla pensione di reversibilità, a determinate condizioni, alla convivente
del militare morto in guerra;
-) l’art. 1 l. 29.7.1975 n. 405, istitutiva dei consultori familiari, il
quale prevede che al consultorio familiare possano rivolgersi per
l’assistenza medica, psichiatrica e psicologica relativa al menage
familiare non solo le famiglie, ma anche le “coppie” tout court ;
-) l’art. 30 l. 26.7.1975 n. 354 (regolamento penitenziario), il quale
prevede che ai detenuti possano essere rilasciati permessi speciali
allorché versi in pericolo di vita o sia gravemente malato una persona
che coabitava con essi prima della reclusione;
-) l’art. 4 d.p.r. 30.5.1989 n. 223 (regolamento anagrafico), il quale
stabilisce che “agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme
di persone legate da (...) vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora
abituale nello stesso comune”;
-) l’art. 19 l. 29-12-1990, n. 408 (delega fiscale), il quale ha
demandato al governo di tenere conto della convivenza di fatto nella
determinazione del reddito familiare imponibile.
Dignità e rilevo giuridico alla famiglia di fatto sono stati riconosciuti
anche da numerose decisioni del giudice delle leggi e di quello di
legittimità, sia pure in materie diverse dal risarcimento del danno.
Vengono in rilevo, al riguardo:
12
-) Corte cost. 7.4.1988 n. 404, in Giust. civ. 1988, I, 165, la quale
ha, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 co. I l. 27.7.1978
n. 392, nella parte in cui non prevede che il convivente more uxorio
possa succedere nella titolarità del contratto di locazione, alla morte
del conduttore;
-) Cass. 10.12.1994 n. 10927, in Inf. prev. 1994, 1502, la quale ha
ritenuto che il lavoro subordinato svolto nell’ambito di una convivenza
di fatto - in carenza di prove contrarie - deve essere disciplinato
dall’art. 230 bis c.c.;
-) Cass. 22.4.1993 n. 4761, in Dir. fam. 1994, I, 846 ha ritenuto che
la convivenza di fatto, iniziata dalla donna dopo la separazione od il
divorzio,
possa
far
venire
il
diritto
della
donna
stessa
alla
corresponsione dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile,
tutte le volte in cui la nuova convivenza in fatto esclude o riduce lo
stato di bisogno.
Dal blocco normativo sopra riassunto, per come interpretato dalla
giurisprudenza, deve dunque ritenersi del tutto sganciata dalla realtà
l’affermazione secondo cui il convivente di fatto non sarebbe titolare
di alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della
stabilità del rapporto. La lesione di tale rapporto, pertanto, genera un
danno risarcibile, in quanto “ingiusta” ex art. 2043 c.c..
Stabilito che il convivente ha diritto al risarcimento del danno per la
morte del partner, resta però un altro problema da risolvere: quando
possa dirsi che vi sia “convivenza” rilevante dal punto di vista
giuridico. Ed è su questo punto che si riscontrano ancora oscillazioni
in giurisprudenza.
La sentenza qui in esame adotta un posizione particolarmente
rigorosa, stabilendo che non basta fornire la prova della coabitazione
tra vittima e superstite, ma occorre dimostrare che quella unione
fosse
loco
matrimonii,
e
cioè
presentasse
in
fatto
tutte
le
caratteristiche tipiche del rapporto di coniugio (affectio coniugalis,
stabilità, fedeltà, coabitazione, collaborazione agli oneri domestici).
13
Tra questi elementi, la Cassazione ne indica uno che potrebbe forse
suscitare qualche perplessità: e cioè “la durata della convivenza al
momento del fatto dannoso”. L’Elemento temporale costituisce infatti
piuttosto un indizio dal quale desumere ex art. 2727 c.c. l’esistenza di
una affectio coniugalis vera e propria tra lo scomparso e chi domanda
il risarcimento, ma può riuscire eccessivo elevarlo ad elemento
costitutivo della pretesa. Del resto, nessuno dubiterebbe che il
risarcimento del danno morali spetti al novello sposo che perda
tragicamente la moglie il gi orno dopo le nozze: e non si vede perché
analogo diritto non debba essere riconosciuto al convivente il quale
perda la compagna dopo poco tempo dall’inizio della convivenza. Si
dirà che occorre comunque che la convivenza appena iniziata
presentasse tutte i requisiti di un rapporto stabile, ma questo è un
problema processuale di prova, non un problema sostanziale di
ricostruzione della fattispecie. Detto altrimenti, se la convivenza era
iniziata da poco al momento del fatto illecito, ciò non è di per sé
idoneo ad escludere il diritto al risarcimento, ma semplicemente
addossa all’attore l’onere di dimostrare che quella convivenza si
fondava su basi affettive tali da lasciarne presumere solidità e
durevolezza nel tempo.
3.4. Nascituro.
E’ controversa la risarcibilità del danno morale subìto dal concepito, in
conseguenza della morte del padre avvenuta durante il periodo della
gestazione.
Un
primo orientamento, condiviso dalla S.C., ammette tale
possibilità. Nella prima decisione in cui si affermò il relativo principio
la Corte lo giustificò con un sillogismo così riassumibile:
(a)
il
danno
subìto
durante
la
vita
intrauterina
è
risarcibile
subordinatamente all’evento della nascita: esso, dunque, è un danno
che si pone al di fuori della previsione di cui all’art . 1, comma 2, c.c.;
14
(b) tale danno è risarcibile non perché sussista una “relazione
intersoggettiva” tra offeso ed offensore, ma perché il concepito è un
“centro di interessi giuridicamente tutelati”21.
In seguito la risarcibilità del danno (sia morale che patrimoniale)
subìto dal nascituro per la perdita del padre durante la gestazione
venne più esplicitamente ammessa dalla Cassazione anche in sede
penale, ma con una motivazione significativamente diversa rispetto a
quella adottata dalla Cassazione civile, nella sentenza testé ricordata.
La quarta sezione penale della Corte di legittimità, facendo leva sulla
sentenza n. 500/99 delle Sezioni Unite (con la quale, come si è visto,
è stata affermata la risarcibilità non solo del danno causato dalla
lesione di un diritto soggettivo, ma anche di quello causato dalla
lesione di un interesse giuridicamente rilevante), ha giustificato la
decisione di accordare il risarcimento al nascituro con la seguente
motivazione: :
(-) il danno è “lesione d’interesse”;
(-) ogni individuo è senz’altro titolare di un interesse giuridicamente
protetto a non essere privato della figura paterna, e delle elargizioni
patrimoniali da questa provenienti;
(-) ergo, la perdita del padre per il nascituro costituisce un danno
risarcibile, subordinatamente all’evento della nascita.
Il danno di cui si discorre è stato quindi ritenuto risarcibile non perché
il concepito abbia una (sia pur limitata) personalità giuridica; non
perché il concepito sia tutelato dagli artt. 2 e 32 cost. o dalla legge n.
194/78; non perché la condizione del nascituro sia assimilabile a
quella di un ente di fatto (vale a dire per le argomentazioni
solitamente addotte dalla tesi affermativa), ma per una ragione
logicamente sovraordinata a tutte queste: e cioè che il danno è
“lesione di interesse”, quale che sia la consistenza di tale interesse
21
Cass. 22-11-1993 n. 11503, in Resp. civ. prev., 1994, 403. In tale sentenza il principio
costituisce un obiter dictum, in quanto il motivo di ricorso venne accolto per un error in
procedendo del giudice di merito.
15
(diritto soggettivo, interesse legittimo, interesse diffuso). E poiché
quello a godere, una volta nato, delle figure genitoriali, è interesse
meritevole di tutela, la lesione di esso genera un danno risarcibile. A
nulla rileva, secondo la Corte, che al momento dell’atto illecito il
danneggiato ancora non esista: è sufficiente che egli esista al
momento in cui si domanda il risarcimento22.
Un secondo orientamento, invece, nega la risarcibilità del danno in
esame, osservando che non può esservi danno quando la condotta
illecita non incida su una “relazione intersoggettiva” tra l’offeso e
l’offensore 23.
Tra questi due orientamenti mi parrebbe preferibile il secondo.
Il primo, infatti, potrebbe porgere il destro ad interpretazioni
“disinvolte”: se infatti si ammette che il concepito debba essere
risarcito per qualsiasi decremento patrimoniale verificatosi anche
prima della sua nascita, e conseguente alla morte del padre, non si
vede perché il medesimo risarcimento debba negarsi quando il
decremento derivi da atti negoziali oltre che da responsabilità
aquiliana: così, seguendo tale logica, il concepito una volta venuto ad
esistenza ben potrebbe chiedere il risarcimento del danno derivante
da un investimento rovinoso compiuto dal genitore; ovvero dalle
nefaste conseguenze di una dolosa induzione a contrarre perpetrata
dal terzo in danno del genitore, o comunque del danno derivante da
qualsiasi condotta (del terzo, ma anche del genitore stesso) che abbia
impoverito il patrimonio familiare.
4. I criteri di liquidazione.
22
Cass., sez. IV, 13-11-2000 n. 11625, imp. Pinto, in Resp. civ., 2001, 327.
La risarcibilità del danno in esame è stata altresì ammessa, sia pure con motivazioni diverse, da
App. Torino 8.2.1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 690, e da Trib. Monza 8.5.1998, in Resp. civ. prev.,
1998, 1101.
Si vedano pure, per il riconoscimento del diritto del concepito all’attribuzione della pensione di
guerra per fatti avvenuti durante la gestazione, C. conti 19.2.1957 n. 7, in Giur. it., 1957, III, 203
e C. conti 7.11.1963 n. 3292, inedita.
16
Sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale per la morte del
congiunto la giurisprudenza - è doloro ammetterlo - resta ben lungi
dall’adottare criteri anche solo simili, non che identici.
In linea di principio, giudici di legittimità e di merito sono concordi
nell’affermare che il danno in questione va liquidato tenendo conto di
una serie di parametri, tutti giustificati con massime di esperienza:
(a) l’età del defunto, sul presupposto che quanto più sia avanzata,
tanto meno intenso sarà il dolore per la perdita, perché quest’ultimo
sarebbe stato comunque provato in un futuro prossimo;
(b) l’età ed il sesso del superstite che domanda il risarcimento, sul
presupposto che secondo l’id quod plerumque accidit persone mature
e di sesso maschile fanno fronte alle emozioni con maggior
compostezza e forza rispetto ai fanciulli ed alle donne;
(c) il rapporto di parentela tra la vittima ed il supersite, sul
presupposto che più è stretto tale vincolo, maggiore è il dolore
causato dalla morte;
(d) la convivenza col defunto, sul presupposto che dove vi fosse
convivenza, la perdita della persona cara produce una maggiore
sofferenza in considerazione dell’inevitabile mutamento dello stile di
vita del superstite;
(e) la composizione del nucleo familiare, sul presupposto che la
vicinanza di persone care nei momenti di dolore è un valido aiuto al
superamento del lutto, e che per contro la solitudine aggrava la
sofferenza;
(f) le modalità di commissione dell’illecito, sul presupposto che
quanto più queste siano state efferate, drammatiche o addirittura
tragiche, tanto più acuto sarà il dolore provato dai familiari della
vittima.
E’, divenuta, al riguardo, ormai tralatizia l’affermazione secondo cui il
giudice di merito nel quantificare il danno in esame “deve tener conto
23
Cass. 28.12.1973 n. 3467, in Giur. it., 1974, I, 1, 1930; nello stesso senso, Trib. Casale
Monferrato 11.11.1998, in Arch. circolaz., 1999, 132; Trib. Monza 28.10.1997, in Resp. civ.
17
delle effettive sofferenze patite dall’offeso, nella gravità dell’illecito di
rilevo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, tra i
quali assume rilevanza primaria il patema d’animo, ovvero l’entità
oggettiva della sofferenza morale, e deve rispettare l’esigenza di una
razionale correlazione tra l’entità oggettiva del danno e l’equivalente
pecuniario di esso, in modo da rendere il risarcimento adeguato al
caso concreto, evitando che la liquidazione del danno morale si riduca
ad una somma meramente simbolica”24.
In base a questi princìpi, la S.C. ha - a titolo d’esempio - ritenuto
corretta decisione con la quale il giudice di merito aveva liquidato
nella somma di 40 milioni di lire il danno morale per la morte di un
congiunto, osservando che la scomparsa di una persona avanti negli
anni e' meno traumatica della scomparsa di un congiunto giovane, e
che il trauma psichico è inferiore per la scomparsa di un congiunto
con il quale non si convive più25.
E’ stata, altresì, ritenuta legittima l’adozione da parte del giudice di
merito di "tabelle", contenenti i valori medi adottati dal medesimo
ufficio giudiziario in un determinato ambito territoriale per casi
consimili, con la conseguenza che è insindacabile in sede di
legittimità,
se
sufficientemente
e
coerentemente
motivato,
il
convincimento del giudice del merito in punto di adeguatezza della
liquidazione del danno non patrimoniale alle circostanze del caso
concreto, anche se inferiore al dovuto secondo i predetti valori
tabellari (nell’affermare tale principio, la S.C. ha confermato la
sentenza della corte di merito che aveva ridotto l'ammontare del
danno non patrimoniale liquidato dal giudice di primo grado in favore
della sorella della vittima di un sinistro stradale, sul presupposto che
prev., 1998, 1102; Trib. Lecce 2.2.1960, in Arch. resp. civ., 1960, 300.
24
Cass., sez. III, 14-07-2003, n. 11007, in Foro it. Rep. 2003, Danni civili, n. 383. Nello stesso
senso, ex plurimis, Cass. 11-6-1998 n. 5795, in Foro it., 1998, I, 2829; Cass. 26-2-1996 n. 1474,
in Dir. econ. ass., 1997, 377; Cass. 6-10-1994 n. 8177, in Foro it., 1995, I, 1852.
Trattasi di principio reiterato e costante, per cui appaiono superflue ulteriori citazioni.
25
Cass. 14.7.2003 n. 11007, in Foro it. Rep., 2003, Danni civili, n. 383; cfr. altresì, per
l’affermazione di un principio analogo, Cass. 13.1.2006 n. 517, in Riv. giur. lav., 2006, II, 449.
18
la vastità e la coesione del nucleo familiare della vittima, composto
anche dai nonni, era tale da lenire la sofferenza, nei limiti di quanto
possibile in un evento tragico del tipo in esame, con la presenza di
altri affetti familiari26).
Se però si passa ad esaminare in che modo tali princìpi trovano
applicazione nei casi concreti, si registra un rilevante disparità di
trattamento tra i vari uffici giudiziari, come risulta dalla seguente
tabella (i dati sono stati rilevati nel 200827):
Tribunale
Agrigento
Ancona
Risarcimento del
Risarcimento del
danno non
danno non
patrimoniale per la
patrimoniale per la
morte del coniuge
morte di un figlio
non separato
convivente
fino a 330.435
fino a 330.435
da 106.376 a 212.752 da 106.376 a 212.752
Bologna
da 80.000 a 150.000
da 50.000 a 200.000
Firenze
da 100.000 a 250.000
da 60.000 a 250.000
Torino
99.649
99.649
Venezia
da 51.667 a 168.999
da 33.369 a 125.939
Vicenza
da 50.396 a 170.089
da 31.498 a 125.992
Come si vede, l’anarchia non potrebbe essere maggiore: non solo vi
sono tribunali che attribuiscono maggior peso alla morte del figlio
rispetto a quella della moglie, ed altri che si orientano in senso
opposto; ma la “forbice” tra le varie tabelle è estremamente ampia:
così, per la morte di un figlio, si può andare dai 30.000 euro di
Vicenza ai 300.000 di Agrigento.
26
27
Cass. 15.2.2006 n. 3289, in Foro it. Rep., 2006, Danni civili, n. 342.
Da Rossetti, DIR - Danni-Interessi-Rivalutazione, Manuale e software di calcolo; Milano 2008.
19
Un cenno a parte, per la sua novità, merita il criterio di liquidazione
del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto adottato a
partire dal 1.1.2007 dal tribunale di Roma28.
Questo criterio ha abbandonato l’impostazione tradizionale “per
fattispecie” (fondata, cioè, sulla previsione di una somma standard a
seconda del grado di parentela tra la vittima ed il superstite), e di
adottarne una del tutto nuova, e cioè “a punti”.
L’idea che sta alla base della nuova tabella è che anche la sofferenza
causata dal lutto può graduarsi secondo una scala di intensità,
variabile in funzione di molteplici fattori desunti da massime di
esperienza e dall’id quod plerumque accidit: l’età della vittima (in
quanto la sofferenza è tanto più alta quanto minore è l’età della
vittima); l’età del superstite (in quanto la sofferenza dovrà essere
sopportata per un periodo di tempo tanto maggiore quanto più
giovane è il superstite); la convivenza col defunto.
Ciascuno di questi fattori, a sua volta, può essere graduato secondo
una scala di intensità: il grado di parentela può essere più o meno
intenso, l’età della vittima o del superstite possono essere più o meno
avanzate, sia in assoluto che in rapporto tra loro, e così via.
Sulla base di questa considerazione si è ritenuto di:
(a) attribuire un punteggio variabile secondo una scala di intensità
predeterminata a ciascuna delle circostanze di fatto teoricamente
rilevanti per la liquidazione del danno;
(b) stabilire un valore monetario di base per ogni singolo punto di
“sofferenza”, ricavato dalla media armonica delle precedenti pronunce
di questo Tribunale;
(c) ricavare il risarcimento moltiplicando il valore di base del punto di
“sofferenza”
per
il
numero
di
punti
totalizzati,
secondo
le
caratteristiche del caso concreto.
I vantaggi di questo sistema sono:
28
Il criterio in questione è stato annunciato e reso pubblico con circolare del presidente del
Tribunale di Roma n. 1874 del 14.2.2007.
20
(a) in primo luogo, la sua maggiore aderenza alle circostanze del caso
concreto, attraverso la previsione di un articolato numero di
circostanze (prima fra tutte, l’età della vittima e del sopravvissuto, in
passato non prese in considerazione dalle tabelle, il che poteva
comportare il rischio che ad un bimbo di 6 anni che perdeva la madre
di 30 si poteva in astratto liquidare lo stesso importo rispetto ad un
pensionato di 70 anni che perdeva la madre novantenne);
(b) in secondo luogo, la sua modularità: il sistema a punti consente di
ampliare o restringere in qualsiasi momento le circostanze di cui
tenere conto nella liquidazione del danno, aggiungendo alla tabella
ulteriori voci - a seconda, ad es., del mutare della coscienza sociale o
della comune sensibilità -, fermo restando il valore monetario di base
del punto.
Il valore base del punto di “sofferenza” è stato stabilito in via
equitativa in 8.000 euro, ed è stato determinato sulla base della
media di un campione di 100 sentenze depositate dalla XIII sezione
civile del tribunale capitolino negli anni 2004-2005.
La tabella di cui si è detto è riassumibile nel seguente quadro
sinottico:
Tribunale di Roma
Liquidazione del danno non patrimoniale da morte
Tabella dei punti
(la liquidazione avviene moltiplicando il n. di punti per 8.206)
Fattore
Punti
Rapporto tra vittima
perdita del figlio
20
e sopravvissuto
perdita del genitore
18
perdita del coniuge o del convivente
18
perdita del fratello germano
7
perdita del fratello unilaterale
6
perdita dell’avo
6
21
perdita del nipote ex filio
5
perdita del nipote ex fratre
2
perdita del cugino
2
0-20
4
21-40
3
41-60
2
61-80
1
oltre 80
0,5
0-20
4
Età del congiunto
21-40
3
avente diritto al
41-60
2
risarcimento
61-80
1
oltre 80
0,5
Convivenza tra
vittima e congiunto convivevano
2
vittima e congiunto
vittima e congiunto non convivevano
0
assenza di altri congiunti conviventi
2
Età della vittima
Composizione del
nucleo familiare
In base a questo criterio, ad esempio, se un uomo di 40 anni perde il
coniuge di 30 anni col quale conviveva, e non ha altri congiunti
conviventi, alla sofferenza causata da tale lutto sarà attribuito un
punteggio di 28 punti (e cioè, secondo la tabella, 18 punti per il grado
di parentela, 3 punti per l’età della vittima, 3 punti per l’età del
supersite, 2 punti per la convivenza, 2 punti per l’assenza di altri
congiunti conviventi col supersite).
A questo punto il risarcimento si ottiene moltiplicando 28 (il
punteggio del singolo caso) per il valore base del punto di
“sofferenza”, che per l’anno 2008 è stato determinato in € 8.206, e
quindi sarà pari a € 229.768.
5. La sofferenza morale per le lesioni subite dal congiunto.
22
(A) Risarcibilità del danno.
La sofferenza morale costituisce un danno risarcibile non solo quando
è causata da lesioni patite direttamente dalla vittima, ma anche
quando è causata da lesioni personali patite da un proprio congiunto.
Vedere un proprio caro sofferente, menomato, invalido, costituisce
per qualsiasi persona di normale sensibilità fonte di grande afflizione,
e quest’ultima costituisce un danno in senso giuridico.
In passato la risarcibilità di tale pregiudizio venne a lungo negata
dalla giurisprudenza, sul presupposto che solo il leso poteva
considerarsi “vittima” del reato, e quindi solo questi aveva diritto al
risarcimento del danno morale, ex art. 185 c.p.29.
Negli ultimi anni, tuttavia, dopo l’insorgere di vari contrasti su tale
questione30, essa è stata risolta dall’intervento delle Sezioni Unite, le
quali
hanno stabilito che anche i prossimi congiunti della vittima primaria di
lesioni
personali hanno diritto al risarcimento del danno non
patrimoniale consistito nel dolore e nell’afflizione provati per la
sofferenza del proprio caro31.
29
Cass. 17.11.1997 n. 11396, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 108; Cass. 21.5.1996 n. 4671,
in Riv. giur. circolaz. trasp., 1996, 935; Cass. 17.10.1992 n. 11414, in Arch. circolaz., 1993, 158;
Cass. 16.12.1988 n. 6854, in Giur. it., 1989, I, 1, 962; Cass. 21.5.1976 n. 1845, in Giust. civ.,
1976, I, 1652.
All’orientamento dominante della S.C. si opponeva tuttavia una considerevole parte della
giurisprudenza di merito, osservando che il tenore letterale dell’art. 185 c.p. non limitava affatto
il diritto al risarcimento alla vittima del reato [Trib. Udine 29.1.1998, in Riv. giur. circolaz. trasp.,
1999, 562; Trib. Napoli 31.12.1996, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1997, 837; App. Venezia
11.2.1993, in Giur. merito, 1994, 37; Trib. Verona 4.3.91, in Giur. merito, 1992, 823 (in
quest’ultimo caso, però, il leso versava in irreversibile stato comatoso); Trib. Verona
15.10.1990, in Foro it., 1991, I, 261; Trib. Milano 18.6.1990, in Giur. merito, 1992, 358; Trib.
Treviso 13.3.1986 in Resp. civ. prev., 1987, 496; Trib. Milano 13.5.1982, in Riv. it. med. leg.,
1982, 1011].
30
La prima decisione di legittimità a porsi in contrasto con l’orientamento tradizionale fu Cass.
23.4.1998 n. 4186, in Danno e resp., 1998, 686 (la cui ampia motivazione fu largamente ripresa
dalle SS.UU. con la sentenza che compose i contrasti), seguita da Cass., sez. III, 01-12-1999,
n. 13358, in Dir. ed economia assicuraz., 2000, 656, e Cass., sez. III, 19-05-1999, n. 4852, in
Foro it., 1999, I, 2874.
Dal nuovo orientamento dissentì invece apertamente Cass., sez. lav., 23-02-2000, n. 2037, in
Giust. civ., 2000, I, 1655.
31
Cass., sez. un., 01-07-2002, n. 9556, in Dir. e giustizia, 2002, fasc. 34, 21.
23
A questa conclusione le Sezioni Unite sono pervenute sulla base di
due argomentazioni:
(a) da un lato, rivisitando la nozione di “nesso causale”, ed
ammettendo che la sofferenza morale patita dai prossimi congiunti
del leso non è un danno “di rimbalzo”, ma è un danno immediato e
diretto, come tale risarcibile sia in base all’art. 40 c.p., sia in base
all’art. 1223 c.c.;
(b) dall’altro, negando che gli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. fossero
d’ostacolo alla risarcibilità del danno in esame, perché la persona
danneggiata dal reato non deve necessariamente coincidere col
titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice 32.
Dopo l’intervento delle Sezioni Unite l’affermazione della risarcibilità
della sofferenza morale patita dai congiunti del leso è divenuta ius
receptum33.
32
L’affermazione della risarcibilità del danno morale in capo ai congiunti del leso va salutata
come una conquista di civiltà. La vecchia interpretazione restrittiva si sarà pur fondata infatti su
argomenti ineccepibili in diritto, ma cozzava frontalmente contro un dato di comune esperienza,
da secoli messo in luce da illustri pensatori. Si consideri, al riguardo, quanto sul tema scriveva
già due secoli fa Melchiorre Gioia: “le pene che affliggono le persone che ci sono care,
affliggono noi stessi. La madre, il padre, i figli, i fratelli dell’offeso, alla vista delle sue convulsioni
dolorose si sentono lacerare l'animo in tutti i punti. Non è raro il caso d'udire una giovine sposa
protestare colle lagrime sul ciglio e sinceramente, che tutto s’addosserebbe il dolore per
liberarne il marito.
L'opinione pubblica dà segno di vivissima sorpresa, se per avventura un figlio si permette di
sorridere mentre suo padre è addolorato (…).
Dunque le alterazioni prodotte nella felicità de' membri d'una famiglia dalle ferite ricevute da uno
di essi, essendo conseguenze necessarie della sensibilità comune, approvate dalle leggi divine
ed umane, vogliono proporzionato compenso.
Tutti i codici moderni hanno ommesso questo articolo. Siffatta ommissione reca tanto maggiore
meraviglia, quanto che alcuni di essi non hanno dimenticato il compenso che a titolo di dolori
fisici è dovuto al ferito. Infatti se debbesi porre a calcolo il dolore fisico del ferito, molto più
debbesi calcolare il dolor morale de' parenti, il quale
1° Ne è una conseguenza immediata e necessaria;
2° Spesso lo supera nell'intensità;
3° E’ pegno delle più nobili affezioni” (Gioia, Dell’ingiuria, dei danni e del soddisfacimento e
relative basi di stima avanti i tribunali civili, Milano 1829, 214-215).
33
Cass., sez. III, 03-04-2008, n. 8546, in Arch. circolaz., 2008, 631; Cass., sez. III, 22-06-2007,
n. 14581, in Assicurazioni, 2007, II, 2, 301; Cass., sez. III, 08-11-2006, n. 23865, in Arch.
circolaz., 2007, 812; Cass., sez. III, 03-10-2005, n. 19316, in Foro it. Rep. 2005, Danni civili, n.
232; Cass., sez. III, 08-06-2004, n. 10816, in Foro it. Rep. 2004, Danni civili, n. 240; Cass., sez.
III, 11-03-2004, n. 4993, in Foro it., 2004, I, 2108; Cass., sez. III, 14-07-2003, n. 10996, in Foro
it. Rep. 2003, Danni civili, n. 238; Cass., sez. III, 16-05-2003, n. 7629, in Arch. circolaz., 2003,
1074; Cass., sez. III, 14-05-2003, n. 7379, in Arch. circolaz., 2003, 931; Cass., sez. III, 26-022003, n. 2888, in Arch. circolaz., 2003, 564.
24
(B) Prova del danno.
La S.C., consapevole del rischio che la proclamata risarcibilità del
danno
morale
ai
congiunti
del
leso
potesse
incentivare
liti
pretestuose, ha sentito il bisogno di precisare che il danno in
questione non può mai essere ritenuto in re ipsa, o ritenuto esistente
sulla base del notorio (art. 115 c.p.c.), ma va dedotto e dimostrato in
concreto, anche attraverso presunzioni. Ed infatti la prova del danno
in questione è essenzialmente presuntiva34. La giurisprudenza risale
al fatto ignorato della sussistenza del danno, partendo dal fatto noto
della gravità delle lesioni, della loro natura e del grado di parentela
tra vittima primaria e vittima secondaria.
Il primo parametro cui avere riguardo per l'accertamento della
sussistenza del danno in esame è quello dell'entità delle lesioni patite
dalla vittima primaria. E' infatti evidente che qualsiasi lesione della
salute (anche, in tesi, una modesta sbucciatura od una banale
influenza) può provocare ansia e preoccupazione nei prossimi
congiunti del malato, ma ciò non è ancora sufficiente per ritenere
sussistente un danno non patrimoniale risarcibile35.
Occorre, da un lato, che la lesione sia stata tale da compromettere lo
svolgimento del rapporto parentale (come ritenuto da Cass. 9556/02,
cit.); e dall'altro che tale compromissione sia di tale gravità, da poter
attingere quella soglia di meritevolezza, al di sotto della quale
l'ordinamento non può apprestare tutela.
In base a questi princìpi, il risarcimento del danno in questione è
stato negato - ad esempio - nei seguenti casi:
Per la giurisprudenza di merito, nello stesso senso, Trib. S. Angelo dei Lombardi, 30-10-2003,
in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 23, 74.
34
Cass., sez. III, 08-11-2006, n. 23865, in Arch. circolaz., 2007, 812; Cass., sez. III, 14-072003, n. 10996, in Foro it. Rep. 2003, Danni civili, n. 238.
35
La S.C. esige che si tratti di “lesioni seriamente invalidanti, giacché lesioni minime o prive di
postumi non rendono configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di
danno morale” (Cass., sez. III, 08-06-2004, n. 10816, in Foro it. Rep. 2004, Danni civili, n. 240).
25
(-) danno domandato dal genitore di adolescente che aveva patito
una invalidità del 10%36;
(-) danno domandato dal marito di donna che aveva patito una
invalidità del 5%37;
(-) danno domandato dai figli di persona cui era stata diagnosticato in
ritardo, per colpa dei medici, una malattia tumorale; la pronuncia di
rigetto venne motivata col rilievo che anche se il tumore fosse stato
tempestivamente diagnosticato, i familiari della paziente sarebbero
stati comunque costretti a "gestire" psicologicamente la notizia della
grave malattia38;
(-) danno domandato dalla moglie di persona cui era stato ingessato
il braccio destro 39;
(-) danno domandato da una bambina di 4 mesi - ovviamente,
rappresentata dal genitore - per la frattura all’arto superiore patita
dal padre 40;
(-) danno domandato dai genitori di persona che aveva patito una
invalidità del 13%41.
(C) Liquidazione del danno.
La liquidazione del danno non patrimoniale patito dai prossimi
congiunti della vittima di lesioni personali è sinora sfuggita a qualsiasi
criterio generale, vuoi di fonte legale, vuoi giurisprudenziale.
E’ incontroverso che nella aestimatio del danno in esame occorra
tenere conto di alcuni elementi indefettibili:
(-) il grado di invalidità patito dalla vittima primaria;
36
Cass., sez. III, 22-05-2006, n. 11947, in Foro it. Rep. 2006, Danni civili, n. 346; nello stesso
senso Trib. Roma 7.7.2007, F.A. c. Meieaurora, in www.dejure.it.
37
Trib. Roma 13.1.2007, B.C. c. Università Cattolica del Sacro Cuore, in www.dejure.it.
38
Trib. Roma 9.4.2005, M.A. c. Associazione Italiana per l'Educazione Demografica - AIED, in
www.dejure.it.
39
Trib. Roma 9.4.2005, E.G. c. HDI, in www.dejure.it.
40
Trib. Roma 9.4.2005, E.G. c. HDI, in www.dejure.it.
41
Trib. Napoli 10.2.2004, N.C. c. Generali, inedita, in www.dejure.it.
26
(-) il grado di parentela tra vittima primaria e secondaria;
(-) il mutamento delle. condizioni e della qualità della vita della
vittima secondaria42.
Tuttavia quando si tratta di convertire tali
parametri in denaro, si
registra una grande diversità di opinioni in giurisprudenza.
Una larga parte dei giudici di merito è stata sinora incline a liquidare
tale danno in misura pari ad una frazione del danno morale liquidato
alla vittima primaria. Si tratta tuttavia di criterio che innanzitutto è
divenuto di difficile applicazione dopo che le SS.UU. hanno affermato
la necessità di sussumere i pregiudizi morali nell’ambito della
liquidazione del danno biologico. Ed infatti per determinare il danno
patito dalla vittima secondaria bisognerebbe “scorporare” dal danno
biologico liquidato alla vittima primaria quella parte di esso destinata
a ristorare le sofferenze morali: quanto sia arbitraria tale operazione
ognun può immaginare.
In ogni caso, non credo che si possa stabilire un sicuro rapporto di
proporzionalità tra la sofferenza provata dal leso e quella provata dai
suoi familiari. Per alcuni tipi di invalidità la prima sarà senz’altro
maggiore, per altri sarà più intensa la seconda. Si pensi ad esempio
al caso di ipossia cerebrale intra partum causativa di tetraparesi al
neonato: in questa ipotesi la sofferenza morale patita dal genitore
sarà verosimilmente assai più devastante di quella che sarà in grado
di avvertire la vittima primaria.
La mancanza di criteri certi per liquidare il danno in esame ha
prodotto una grande disparità tra i giudici di merito nella aestimatio
del danno. Si consideri, a tal riguardo, la tabella che segue:
Ufficio giudiziario
Età e danno della
vittima primaria
Trib. Nola
2 anni
Grado di
parentela della
vittima secondaria
Genitori
42
Cass., sez. III, 22-06-2007, n. 14581, in Assicurazioni, 2007, II, 2, 301.
43
Pari alla metà del danno morale liquidato alla vittima primaria.
27
Danno non patr.
liquidato alla
vittima secondaria
48.326 pro capite43
30.10.2008
Trib. Reggio Emilia
14.11.2007
Trib. Roma
6.4.2007
Trib. Roma
30.1.2007
30%
neonato
25%
45 anni
tre mesi di coma
76 anni
3 anni di coma
Trib. Verona
6.3.2006
età non indicata
90%
Trib. Roma
19.7.2005
1 anno
70%
Trib. Bolzano
31.3.2005
4 anni
27%
Trib. Monza
3.11.2004
Trib. Milano
22.5.2004
25 anni
75%
23 anni
90%
neonato
100% per 13 anni46
neonato
15%
neonato
99%
App. Catanzaro
Trib. Roma
20.4.2004
Trib. Roma
Genitori
20.000 pro capite
Figli
13.654,4 pro
capite44
Moglie e figlia
37.556 pro capite45
Padre
Fratello convivente
Sorella non
convivente
Genitori
Sorella
Madre (presente al
fatto)
Padre (non presente
al fatto)
130.000
65.000
15.000 pro capite
5.000
Genitori
150.000 pro capite
Genitori
86.500 pro capite
Genitori
25.822,84 pro
capite
Genitori
10.000 pro capite
Genitori
35.000 pro capite
30.000
15.240,12
7.620,06
Come si vede, per gravi invalidità patite da un neonato ai genitori
sono state liquidate somme variabili tra 15.000 e 48.000 euro,
mentre per gravi invalidità patite da un giovane poco più che
ventenne risultano liquidate somme variabili da 86.000 a 150.000
euro.
Finora la giurisprudenza non si è fatta carico di raccogliere ed
organizzare i dati concernenti liquidazioni di questo tipo, ma ove si
procedesse a tale opera meritoria nulla osterebbe a livello concettuale
a ricavare dei valori medi da usare come parametri per la liquidazione
44
Nel caso di specie, essendola vittima primaria deceduta dopo tre mesi di coma, ai figli è stato
liquidato anche il danno morale iure proprio per la morte del congiunto.
45
La somma indicata [ quella risultante dalla riduzione del 40%, in virtù del ritenuto concorso di
colpa della vittima.
46
La vittima primaria morì infatti all’età di 13 anni in conseguenza del danno patito intra partum.
28
del danno in questione, e da variare poi in funzione del grado di
invalidità della vittima primaria e del grado di parentela della vittima
secondaria.
29