Alla scoperta della femminilità araba

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Alla scoperta della femminilità araba
Luna Boschiroli
Alla scoperta della femminilità araba
percorso di analisi sui viaggi in Medioriente di Vittoria Alliata
“Rihla fi nafsiha”1
“Ero partita per scrivere delle donne arabe, ora che sono una donna araba intravedo i
vantaggi del silenzio”2. Con questa frase lapidaria Vittoria Alliata chiude il discorso su
se stessa, discorso aperto quindici anni prima nel momento di intraprendere una lunga
serie di viaggi attraverso il Medioriente, che si riveleranno per l'autrice emblema di un
percorso interiore.
Vittoria Alliata nasce nel 1951, in Sicilia, da una famiglia di stirpe nobile; fin da
piccola non esita a mettere in evidenza il suo spirito ribelle e anticonformista. Con la
complicità di diplomi francesi e trascurate circolari ministeriali, riesce nel 1966 ad
iscriversi all'università di Roma per studiare giurisprudenza e la sua grande passione: la
lingua araba. Laureatasi con una tesi sui rapporti interconfessionali nella legislazione
libanese, accusata di svolgere
fantapolitica, Vittoria si lascia ben presto alle spalle la
possibilità di viaggiare “come compete ad una nobildonna” e prende la sua personale e
solitaria strada, che le permetterà di cogliere la vera essenza della femminilità araba,
nonché di riscoprire la propria. Di primo acchito i resoconti dei suoi viaggi possono
apparire invenzioni fantastiche, quasi trascrizioni di sogni, in realtà l’autrice si fa
portavoce di una verità che molto spesso rimane preclusa alla maggior parte degli
occidentali.
In Italia è più spesso ricordata come “Vicky la traduttrice di scritti arabi” (fu la
prima a tradurre Il signore degli anelli, lavoro che svolse tra l’altro per finanziarsi il
viaggio in Libano), mentre una comprensione più approfondita delle sue opere mette in
evidenza una pellegrina appassionata, che ha messo in gioco se stessa nella conoscenza
delle popolazioni del Medioriente. Con le sue genti ha condiviso pasti, preghiere,
nottate insonni, malattie; ha vissuto con le loro donne, le ha studiate, le ha tormentate.
Proprio a queste donne Vittoria dedica i suoi scritti, mostrando un’immagine della
1 VITTORIA ALLIATA, Harem, Aldo Garzanti Editore, Milano 1980, p. 11, in arabo: un itinerario interiore.
2 Harem, cit. p. 229.
donna araba ben diversa da quella a cui siamo abituati. Ne fuoriesce il resoconto di una
femminilità molto più spirituale, schiva ad apparire:
Continuate pure ad immaginarci stupide, oppresse ed ignoranti: tanto meglio, il nemico va ingannato. […]
Scopriteli da soli i nostri punti deboli, che sono ben diversi da ciò che pensate.3
Vittoria fornisce una chiave di lettura della realtà del mondo arabo: la donna è regina,
dominatrice e l’uomo colui che la mantiene, indipendentemente dal fatto che essa sia
schiava o padrona. Abile risparmiatrice, detentrice del potere economico, la donna araba
ama con riserva il suo uomo, nella consapevolezza di essere lei la chiave di tutto.
Le arabe non sono state allevate tra romantici miti e competitive passioni, non sognano l’amore eterno,
non si dilaniano l’un l’altra per affermarsi. L’'Uomo, di cui scandagliano le facoltà erotiche ed eroiche,
viene collocato – malgrado l’atavico suo sforzo – su di un piedistallo di dimensioni assai modeste:
rispetto certo, e stima, e devozione, ma pur sempre un margine d’ironia, una sospensione di giudizio, e la
consapevolezza di essere tutto sommato loro, le donne, il fattore di coesione delle tribù, quindi di stabilità
del paese.4
E ancora:
La donna di ogni ceto sociale, nei paesi islamici, dispone in assoluta autonomia dei propri beni
patrimoniali. […] Questo patrimonio, all’infuori di lei, nessuno ha il diritto ad amministrarlo. […] E
poiché in Arabia il denaro è potere […] lo esercitano direttamente, come mercantesse, speculatrici
fondiarie, finanziere, o tramite agenti che operano per loro sia in patria che all’estero.5
È bene ricordare che i viaggi dell’Alliata si svolgono tra il 1967 e gli anni ‘80. Con
meravigliosa naturalezza la scrittrice narra del suo incontro con Arafat, della sua
permanenza in Libano durante la guerra, della vittoria israeliana sui palestinesi. Il tutto
proposto in controtendenza rispetto alle convenzioni ideologiche occidentali, con una
marcata visione dei fatti dal punto di vista arabo. Sul web è spesso definita come
“l’anti-Fallaci”, per quel suo stile affabulatorio ma mai superficiale, che ricorda molto
da vicino la freschezza, la vivacità e l’abilità di focalizzazione degli scritti della Fallaci.
Una prima descrizione di questa differente femminilità è fornita da lei stessa, nel
momento in cui parte e si reca in Egitto per seguire quello che crede essere l’uomo
della sua vita, ma che in realtà si rivelerà semplicemente come l’incarnazione di un
enorme bisogno d’affetto. L'amore per Ahmed, ufficiale egiziano, si spegne a poco a
poco nei mesi che Vittoria trascorre in Egitto, vivendo sola od ospite della madre del
ragazzo. In questo suo lungo solitario soggiorno (Amhed si rivelerà una presenza
3 Harem, cit. p. 229
4 Ivi, p 67
5 Ivi, pp. 64-65
effimera) non vi è nessun momento in cui Vittoria senta di essere in pericolo di vita.6
Anzi, Vittoria cerca in continuazione di legare a sè il suo uomo. Si tratta di un’ulteriore
conferma del suo mal dArabia: sposare Amhed significava poter ricevere la cittadinanza
araba ed avere la possibilità di vivere lì per sempre senza più bisogno di finanziare i
suoi viaggi con reportage giornalistici.7
L'esperienza dell’Alliata matura soprattutto nei mesi trascorsi come ospite presso
alcuni sceicchi tra le zone di Dubai e dell’Oman, periodo in cui può familiarizzare con
le loro donne, riuscendo così ad avere accesso all’Harem. “Harem in arabo significa
luogo proibito, sacro, e per estensione santuario. La donna è sacra, inviolabile, quindi la
zona riservata a lei si chiama appunto Harem; e, visto che il santuario ospita di solito
più di una donna, lo stesso termine si usa come equivalente di signore.”8 Nulla a che
vedere quindi con l’immagine del bordello, associazione spesso richiamata in
Occidente. Vittoria non è l’unica che sottolinea questo fatto. Già nel XVII secolo
un’altra nobildonna, Lady Montagu, viaggiando attraverso il Medio Oriente in
compagnia del marito, si esprimeva sull'Harem in maniera molto simile:
Spazio esclusivamente femminile, proprietà delle donne, universo da cui gli uomini, (compreso il padrone di casa)
sono esclusi perché non vi entrano come e quando vogliono. […] L'Harem diventa il luogo inviolabile
dell’intimità.”9
La sessualità, spesso considerata tabù per le donne arabe, è descritta da entrambe le
viaggiatrici come pura e semplice forma di appagamento fisico per le concubine,
nonché preludio ad una sana e futura maternità. Narrando dei matrimoni delle figlie
degli sceicchi con i loro primi cugini, la Alliata dichiara:
Qualora non ve ne siano di disponibili, esse rimangono zitelle, in assoluta contraddizione con la norma
cranica, che non solo riprova fortemente nubiltà, scapolaggio, ascetismo e ogni altra forma di astinenza
sessuale, ma raccomanda matrimoni precoci, plurimi e ripetitivi, pur di garantire a ciascuno il proprio
appagamento.10
Quest’ultima citazione viene purtroppo fraintesa da quei movimenti arabi integralisti
che la ripropongono al popolo come libera forma di stupro. Dove vige invece una
corretta applicazione della legge, la sessualità viene vissuta liberamente, in alcuni casi
con molte meno problematiche rispetto a quelle presenti nel mondo occidentale.
Esemplificazione di ciò potrebbero rivelarsi le abitudini dei Wahiba, popolo di beduini
presso cui Vittoria sosta per qualche tempo. Questo popolo è rappresentativo di una
tipica società patriarcale, in cui il marito e la moglie continuano a vivere sotto il tetto
6 VITTORIA ALLIATA, Baraka dalle Piramidi al Tamigi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984.
7 Ivi, pp 57-65
8 Harem, cit., p. 60
9 LUISA ROSSI, L’altra mappa. Esploratrici, Viaggiatrici, Geografe, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, pp.172173
10 Harem, cit., p. 63
della propria madre, incontrandosi solo poche volte l’anno. Ciò non impedisce alle
donne di avere vari amanti. Ogni nomade di passaggio rappresenta un’ottima occasione.
Ciò che suscita più clamore (da ciò deriva l'etichetta di ‘figli del peccato’ affibbiatagli
dalle popolazioni stanziali), è la totale sottomissione del marito alla moglie. Egli non
può opporsi alle altre relazioni della propria donna, nemmeno se la coglie sul fatto; anzi,
in quest'ultimo caso, si deve accomodare fuori dalla porta, in attesa che lei venga a
porgergli il saluto. 11
La sociologa marocchina Fatema Mernissi, nata e cresciuta in un harem, ci propone
un’ulteriore punto di vista: attraverso la sua personale esperienza rende nota la
maturazione intellettuale delle concubine. Ciò rappresenta inoltre una spinta maggiore
per entrare nelle grazie dell’uomo, divenuto sempre più esigente in merito all’istruzione
delle sue donne.12
Per molti il concubinato si identifica con una forma di libertà soffocata, mentre
Vittoria Alliata scopre in queste donne una maniera differente di sentirsi indipendenti e
libere. Le loro abitazioni rappresentano piccoli paradisi, in cui rifugiarsi per evadere dal
progresso, dalla ricchezza, considerata dall’autrice come la nuova tipologia di schiavitù.
In questi spazi privati Vittoria viene accolta dalle donne come una principessa e sono
organizzate feste in suo onore, durante le quali ammira l’infinita bellezza dei vestiti
tipici mediorientali ed assapora l’inebriante fragranza dei loro profumi; viene altresì
ammessa alle orge di preghiera femminile, nelle quali si ritrova trasportata in un’estasi
inimmaginabile. Reduce da quest’esperienza, Vittoria afferma:
L'Harem è più efficace del femminismo, il supermercato non è la libertà, l’amore è un’invenzione
occidentale, tenetevi la vostra sana sessualità.13
Sono questi gli anni (siamo nel periodo della contestazione sessantottina) in cui le
femministe si battono per ottenere maggiori diritti, in cui la parità di condizioni a livello
lavorativo è assunta come preludio per ottenere la parità dei sessi. Da tutto questo
polverone si leva una voce contraddittoria, quella dell’Alliata. Ella guarda inorridita le
donne yemenite lavorare duramente per mantenere mariti consumati dall’oppio: loro
rappresentano le vere schiave. Troppe volte esse sono bambine sposatesi troppo presto,
a cui rimane come misera consolazione la partecipazione a feste private, la promiscuità
dell’orgia, il rifugiarsi in uno spazio onirico: in esso non c’è nulla dell'odio e della
11Ivi, pp. 238-241
12 L'altra mappa. Esploratrici, Viaggiatrici, Geografe, cit., p. 174
13 Harem, cit., p. 117
nausea che le accompagna durante le loro giornate quotidiane.14 Vittoria allora si chiede
se la possibilità di poter lavorare fuori casa rappresenti davvero una forma
d’indipendenza. O se la vera libertà non sia quella che caratterizza figure come
Salamah, figlia dello sceicco Sheikh Zayed, che ascolta la radio tutto il giorno mentre
conversa di politica, e come Sebha, vedova dall'età di 18 anni, libera di viaggiare in
tutto il mondo, ma la cui massima aspirazione è di tornare a vivere presso la sua tribù di
beduini, spostandosi su cammelli tra le dune del deserto.
Nel momento in cui giunge a queste conclusioni, Vittoria Alliata porta a termine
consapevolmente il suo percorso di crescita interiore. In perenne contraddizione con sé
stessa, riesce in Medioriente a trovare la sua vera identità. Partita sola, donna straniera
in un luogo dove ciò rappresenta un miscuglio di potenza/impotenza, non si è lasciata
confondere dai tipici pregiudizi occidentali, lasciando che fosse la sua esperienza diretta
il vero metro di giudizio. Nonostante una grave forma di malattia della pelle che l’ha
colpita in uno dei suoi viaggi, non è tornata indietro. Ha accettato la cure di una
fattucchiera, fidandosi di quei rituali magici che caratterizzano la storia del Mondo
Orientale e che in Occidente sono ormai irrimediabilmente scomparsi, cancellati da
forme di progresso in cui tutto si riduce al lavoro di una macchina. Vittoria decide di
fidarsi, di aspettare senza aver paura di morire e la guarigione arriva in una mattina
come tante altre. Ella fa notare come negli arabi non sia presente un timore reverenziale
della morte:
Sentivo che lì c’era da imparare e da insegnare, da vivere sanguinosamente, da lottare contro il passato e
contro il futuro. […] E che la morte è come il nonno pirata, qualcosa di dignitoso e familiare che ti
difende dai mali più atroci, come la vita.15
Non è un’Arabia inventata quella raccontata da Vittoria, nè si tratta della
rappresentazione di piccoli Eden paradisiaci. È semplicemente l’altra faccia della
medaglia di un Medioriente che siamo stati abituati a conoscere in maniera differente. Il
regime dei Talebani che insanguina l’Afghanistan è tuttora presente, così come vi sono
Paesi in cui l’applicazione della Shari'a, la legge islamica, viene fatta in maniera non
corretta, soprattutto nei confronti delle donne. Un caso analogo è rappresentato dalla
protagonista del volume Tradita, una donna irachena incarcerata a Baghdad e percossa
con scosse elettriche;16 o dalle due giovani inglesi vendute dal padre ad uno zio
14 Ivi, pp. 138-145
15 Ivi, p. 114
16 JEAN SASSON, Tradita, Sperling & Kupfer, Milano 2004
iraniano, costrette a sposarsi con i suoi figli e a vivere segregate.17 È importante però
sapere che esiste un’altra Arabia dietro alle guerre, dietro alle donne vittime dell’acido
solforico. Di quest’ultima se ne parla poco, viene quasi totalmente esclusa
dall’informazione televisiva e giornalistica. Un po’ come succede per le centinaia di
guerre africane, sconosciute ai più, esistenti solo nell’infaticabile aiuto-testimonianza di
una piccola nicchia di volontari.
Il discorso sul velo, questione che in Italia si è fatta calda per il problema
dell’identificazione, è sintomatico di quanto poca sia la conoscenza delle abitudini arabe
in Occidente. È la stessa Alliata ad esprimere questo giudizio, in un’intervista che le è
stata fatta dal «Corriere delle Sera», dichiarando che è bene distinguere tra lo hedjab, il
foulard che le donne indossano per pregare, e il burqa, il copricapo completo che
permette la visione solo tramite una finestrella sugli occhi e che viene imposto alle
donne che vivono sotto regimi arabi integralisti. Si noti come l’arte cristiana abbia
sempre raffigurato donne con il velo, la prima delle quali è proprio la Vergine Maria.
Indossare lo hedjab rappresenta una scelta, che fu ed è di molte donne nel momento
della preghiera e del raccoglimento. “Il Corano non obbliga né al velo né al foulard, ma
certo impone di rispettare la comunità che ti ospita.”18 Ciò che la scrittrice vede è un
mondo dove la femminilità araba comporta una fierezza nel mostrare i mille veli
colorati, i gioielli, con cui le donne passano ore ed ore ad abbigliarsi.
Il regime dei Talebani, così come la guerra in Iraq o la dittatura di Khomeini,
rappresentano solo la punta di un iceberg, che cela in realtà una fitta rete di rapporti
incresciosi tra il mondo arabo e l’Occidente. La storia della presa di potere di Saddam
Hussein è esemplificativa di tutto ciò.
La Alliata non nasconde i soprusi quando li incontra nei suoi viaggi: si commuove di
fronte alla vista delle piccole bambine yemenite vendute dal padre a nove anni per
andare spose ad uno sconosciuto; piange, sentendo la storia delle beduine comprate
come merci da alcuni contadini e trattate come schiave.19 È consapevole di non trovarsi
di fronte ad un esempio di civiltà perfetta, non rinnega perciò i tratti che caratterizzano
in maniera negativa l’Arabia, notando però come questi siano presenti più spesso
nell'Arabia di oggi che in quella del passato. Regge e carceri, principesse e schiave:
tutto ciò è Arabia. Del resto ogni popolo presenta le sue contraddizioni, Italia compresa.
L’importante, prima di esprimere un giudizio, è analizzare ogni cosa fino in fondo,
17 ZANA MUHSEN, ANDREW CROFTS, Vendute! , Cde, Milano 1993
18 Vedi articolo sul «Corriere della Sera» del 31 ottobre 1999
19 Harem, cit., p. 118
liberandosi dai pregiudizi, immergendosi completamente nelle nuove realtà, senza
riserve. Come ha fatto Vittoria:
Ero partita per scrivere delle donne arabe. Ora che sono una donna araba....20
BIBLIOGRAFIA:
JEAN SASSON, Tradita, Sperling & Kupfer, Milano 2004
LUISA ROSSI, L'altra mappa. Esploratrici, Viaggiatrici, Geografe, Diabasis, Reggio
Emilia 2005,
M. CAMPANINI, Storia del Medio Oriente. 1798-2006, Il Mulino, Bologna, 2007
VITTORIA ALLIATA, Baraka dalle Piramidi al Tamigi, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 1984
VITTORIA ALLIATA, Harem, Aldo Garzanti Editore, Milano 1980
ZANA MUHSEN, ANDREW CROFTS, Vendute! , Cde, Milano 1993
SITOLOGIA:
http://forum.corriere.it/leggere_e_scrivere/02-02-2007/vittoria_alliata-751607.html
20 Ivi, p. 229