Capitale della cultura si nasce o si diventa?

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Capitale della cultura si nasce o si diventa?
Seminario 7.
Capitale della cultura si nasce o si diventa?
Sintesi del seminario
di Roberto Albano
Introduzione di:
Franco Bianchini, Docente di Cultural Policy and Planning, Leeds Metropolitan
University
Moderazione di:
Maddalena Tulanti, Vice-Direttore, Corriere del Mezzogiorno, Bari
Interventi di:
Airan Berg, Direttore artistico Performing art, Linz09 Capitale Europea della
Cultura
Zoran Djordjevic, Project Consultant, Beograd 2020 - City applying for the title of
European Capital of Culture
Franco Melis, Palazzo Ducale di Genova, già Responsabile della Programmazione
Culturale delle Mostre per GeNova 2004
Paolo Verri, Curatore programma culturale di Matera, candida Capitale della
Cultura 2019
Note a margine di:
Francesco Palumbo, Direttore, Area politiche per la promozione del territorio, dei
saperi e dei talenti,Regione Puglia
Abstract dei contenuti: tutti gli interventi sono concordi sulla possibilità di
diventare capitali della cultura, non è necessario essere riconosciuti come mete
turistiche culturali d’eccellenza per essere in grado di sviluppare un programma
che deve essere interessante per i locali oltre che attrattivo per chi proviene da
fuori. Tuttavia, è necessità condivisa possedere già un patrimonio culturale,
magari offuscato, ma necessario perché si ha necessità di qualcosa da scoprire o
ri-scoprire (Glasgow 1990 è, in questo senso, l’evento più spesso citato. Gli
eventi culturali vanno organizzati per tutti e devono essere il meno possibile
elitari, e le differenze sono spesso considerate il vero collante della
manifestazione. In fase di programmazione delle attività è fondamentale
guardare oltre l’anno della manifestazione dotando la città di infrastrutture per la
cultura e, ove possibile mantenendo il know how acquisito e la struttura
organizzativa. La candidatura è un’opportunità resa possibile dalla volontà
politica e dalla pubblica amministrazione, che emerge anche come primo
finanziatore, ma il coinvolgimento di tutti e la vision condivisa sono fondamentali
per la buona riuscita del programma. I relatori, inoltre, individuano numerosi
esempi di città come buone pratiche (Glasgow, Lille o Linz o pratiche da evitare
(le città capitali di Dublino o Madrid).
Si riportano di seguito i punti salienti degli interventi dei relatori che hanno preso
parte al dibattito.
Domanda di base: “Capitale della Cultura si nasce o si diventa?”
Franco Bianchini
Si diventa Capitale della Cultura anche se non si hanno le caratteristiche
specifiche, anche partendo da una città che non è centro culturale affermato a
livello nazionale o internazionale. Si possono citare esempi di varie città che pur
partendo da presupposti di città postindustriali sono diventate capitali della
cultura. L'esempio più evidente, oltre che il vero precursore di questa tendenza,
è quello della città scozzese di Glasgow nel 1990: una città con un grosso
potenziale, ma che aveva un'immagine negativa di inquinamento, di
disoccupazione, di necessità di riusi di spazi postindustriali, che è riuscita a
migliorare la sua presentazione, diventando un centro culturale “rispettabile”.
Tutto questo è stato reso possibile perché ha adottato un programma innovativo
e ha investito molto nella comunicazione.
I presupposti che emergono come fondamentali sono quindi:
 Una buona programmazione
 Evitare la frammentazione dei programmi e delle risorse, anche finanziarie
 Evitare una massiccia ingerenza politica
 Rispettare le direttive del direttore culturale e di tutte le persone che
hanno conoscenze e competenze in merito.
 Fare investimenti coraggiosi e innovativi che non finiscano con l'anno della
cultura, ma continuino anche dopo, per continuare a promuovere la
crescita della città.
Oltre Glasgow, altre città che hanno dato risultati positivi sono Graz (2003), che
è la città che ha fatto gli investimenti più coraggiosi e più innovativi; Lille (2004)
che ha fatto un grosso investimento di comunicazione e risorse economiche, e
che ha fatto in modo che il calendario di eventi continuasse oltre il 31 dicembre
attraverso vari progetti che hanno mantenuto alto l'interesse sulla citta ed
hanno attirato anche investimenti di economie emergenti. Nel 2009 si trova il
buon esempio di Linz, considerata all'epoca del nazismo città della cultura, che
ha dovuto superare questo tabù storico impostole dal passato, e visto, per anni,
come parziale impedimento per la crescita della città.
Gli esempi più deludenti sono state alcune delle candidature della città capitali di
stato (Madrid, Dublino), città con grosso potenziale, non realizzato e sfruttato in
pieno.
Airan Berg
La Capitale della Cultura non è la capitale degli artisti ma della cultura, elemento
organico che possiede ciascuna città e che è di tutti, sia di chi la vive e di chi la
attraversa.
La Capitale della Cultura è una costruzione e parte da un volere politico.
Linz è una città di 170 mila abitanti ma sono parlati oltre 80 linguaggi. Emerge
dunque come una città piccola caratterizzata da notevoli diversità: è necessario
coinvolgere tutte le comunità locali diverse per celebrare la cultura.
E’ necessario, inoltre, convincere i politici locali a dare fiducia al gruppo di
creativi che gestisce i processi.
E’ fondamentale organizzare al meglio la programmazione delle attività: se Lecce
vuole essere la capital nel 2019 è più importante capire cosa accadrà nel 2025 o
nel 2040 piuttosto che da qui al 2019.
Se si osservano gli investimenti economici, Linz ha investito circa 70 milioni
(esclusi quelli investiti in infrastrutture) su progetti che senza questo evento non
sarebbero mai avvenuti, ma è fondamentale che la pianificazione, anche degli
eventi, sia long term. Se si investono 70 milioni senza una strategia a lungo
termine quei milioni sono persi. La Capitale della Cultura deve essere un
trampolino di lancio e non un punto di arrivo e deve essere in grado di appagare
le aspettative dei diversi soggetti coinvolti: Linz, ha dovuto fare un gran lavoro di
mediazione con il tourist board per spiegare che le iniziative culturali erano
destinati alla popolazione locale e non ai turisti. Se il lavoro è organizzato e
condotto bene i turisti arrivano lo stesso, ma la Capitale della Cultura nasce per i
residenti e non per i visitatori, non nasce come progetto turistico. La
Sostenibilità, in tutti i sensi, è la parola chiave del progetto, ma per garantirla
sono necessari finanziamenti e volere politico.
Sempre in termini di sostenibilità, è ancora fondamentale che le iniziative non
collassino gli anni successivi, altrimenti è facile osservare un periodo
caratterizzato da una depressione culturale.
E’ necessario, inoltre, promuovere partnership alle diverse scale territoriali per
evitare inutili competizioni e implementare la collaborazione istituzionale.
Uno dei progetti più ambiziosi di Linz, che si aggiunge alle performances e alle
installazioni nello spazio pubblico, prevedeva la creazione di un invisibile capitale
culturale stimolando l’educazione e il coinvolgimento nell’arte e nella cultura:
tutte le persone sono creative, ma è necessario educare alla creatività.
Infine un consiglio per le prossime capitali: i compiti di ciascuno devono essere
chiari dall’inizio ma è necessario lavorare in autonomia sinergica, l’indipendenza
è necessaria per essere protetti.
Zoran Djordjevic
Capitali della Cultura si diventa. A Belgrado, candidata per il 2020, la strategia
punta a cambiare la strategia culturale della città, e la candidatura al 2020 è un
passaggio necessario. L’obiettivo va costruito in 10 anni in un’ottica di un più
ampio sviluppo della città e in particolare della cultura. Storicamente, in Serbia, e
in generale nella Ex Jugoslavia, non vi era spazio per le iniziative private o
autonome, il progetto Belgrado 2020 parte su nuove basi per dare l’opportunità
ai giovani di produrre strutture nuove non più pubbliche ma anche private.
A Belgrado c’è l’eredità del passato ma è necessario costruire il futuro, ricreare
una immagine positiva su Serbia e Belgrado, e l’unico modo è farlo passo a
passo. L’obiettivo è il 2020, perché ci va tempo non solo per costruire musei e
infrastrutture, ma soprattutto per cambiare le menti, per cui non basta avere i
soldi.
E’ necessario coinvolgere tutti i cittadini. La strategia nazionale è importante per
cambiare l’immagine culturale della città, tutti avranno benefici da questo: nuove
istituzioni, nuove professioni, nuovi pubblici e nuovi audience. A questi si
aggiungono i benefici economici: turismo, infrastrutture, lavori ecc.
Il primo passo è la corretta informazione di ciò che deve essere veicolato.
Belgrado coopera con altre città della Serbia per coinvolgere non solo Belgrado e
la sua gente, ma altre centralità più piccole. Sono già stati presi accordi per
coinvolgere città dei Balcani e dell’Europa. Fino ad oggi con il comune si è creato
consenso, cercando di limitare l’opposizione, perché è necessario raggiungere il
consenso di tutti gli attori politici. A Bruxelles è stato consegnato il progetto un
anno fa e continua il processo di lobbiyng per la Commissione Europea. E’
necessario essere positivi e ottimisti, e, se non sarà 2020 sarà più avanti. Il
progetto però deve essere per la gente e per nessun altro, Si deve dare qualcosa
di più alla città, non è solamente il titolo di essere Capitale della Cultura che
cambia la città ma è la rottura di un lungo processo di governo della cultura e
degli eventi.
Paolo Verri
Capitali della Cultura si diventa tenendo presente alcuni punti fondamentali:
 Si deve cambiare la mentalità come città e come cittadini ed è necessario
lavorare quindi per l'orgoglio locale, nazionale, ma coscienti di essere
cittadini di un unico stato che è l'Europa. Ogni stato deve sentirsi regione
dell'Europa.
 Occorre maggior coinvolgimento del committment europeo, non solo
culturale, ma anche economico, ed è necessaria una definizione più
specifica degli obiettivi.
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E’ necessaria una buona conoscenza dei contenuti storici e culturali del
paese e degli avvenimenti che devono accadere, perché solo così si può
fare una buona programmazione;
La comunicazione è molto importante ma non può prescindere dai
contenuti, ma deve derivare da essi.
Bisogna costituire gruppi di lavoro con i giovani e far in modo che essi
siano i motori di queste trasformazioni culturali e strutturali, operando
ricerche e facendo proposte in tutti i settori.
Sarebbe auspicabile proporre alla candidatura una sola città, al di fuori di
ogni campanilismo e interesse locale e far coinvolgere su di essa tutti i
saperi delle altre città: si dovrebbero indirizzare le risorse verso un'unica
direzione (ad es. la proposta di fare nel 2019 L'Aquila),in modo da poter
operare una vera rinascita della città in tutti i sensi e in tutti i settori.
Franco Melis
Capitali non si nasce ma si diventa. Anche se un pochettino si nasce, è
necessario avere una storia o un passato, che, per quanto impolverati, sono da
tirare fuori. La città di Genova è simile a Glasgow, gli obiettivi sono vicini,
comunque anche Glasgow aveva una storia, seppur impolverata.
Si diventa, però per diventare è necessario avere qualcosa alle spalle. Lille ha
raccolto moltissimi soldi dagli sponsor, ma hanno investito molto sugli eventi,
mentre Genova ha investito molto sul mattone, ma Lille ha avuto la capacità di
tenere tutto lo staff nel progetto Lille 3000. Tutte le città italiane del 2019 hanno
storia e passato, che serve per essere capitali Europee della Cultura, il Nord Est
ha una candidatura molto avanti, ma forse troppo estesa.
Torino è l’unica città italiana che ha un visitor e convention bureau, dove si trova,
quindi, un interlocutore unico fondamentale se si vuole organizzare un convegno,
mentre nelle altre città d’Italia questo non esiste, la realtà del settore culturale e
dei progetti è troppo frammentata. La Capitale della Cultura deve formare una
struttura che resta e in grado di svolgere il ruolo e la programmazione di un
interlocutore unico.
Infine, è molto difficile il mantenimento della stagione della Capitale della Cultura
negli anni successivi, per questo che è necessario puntare su interventi
infrastrutturali che siano in futurp gestibili e che non restino cattedrali nel
deserto.
Raffaele Parlangeli
Sostiene la necessità di restare in rete. Si lamenta che non esiste un bando
nazionale a cui fare riferimento. E' comunque soddisfatto del laboratorart che è
come una fucina per far emergere i pensieri e collocarli.
Provare a candidarsi non deve essere l'obiettivo, ma l'obiettivo deve essere
quello di credere nel processo che si attiva, che deve essere un processo di
positività per un percorso sostenibile.
Bisogna trovare un sistema organizzativo amichevole, che riesca a stare insieme
e a costruire, passo passo, le cose da fare, le identità territoriali a prescindere dal
successo.
La sua esperienza l'ha portato a lavorare nel centro storico della città con tre cicli
di vita politica diversi e tutti si sono riconosciuti in quello che è stato fatto.
Occorre maturare un senso civico territoriale. Bisogna restare in rete ed essere
propulsori di idee, mettendo insieme tanti linguaggi, anche diversi.