Gemellaggio terremoto/30. A San Severino ancora 5000 sfollati
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Gemellaggio terremoto/30. A San Severino ancora 5000 sfollati
Al Muro del preghiera con maggiori» Pianto, in i «fratelli Mentre buona parte di Gerusalemme si è fermata a causa dello Shabbat, ovvero del sabato ebraico, i pellegrini cremonesi nella giornata dell’11 marzo hanno trascorso un’intesa mattinata nel deserto di Giuda, mentre nel pomeriggio sono saliti sul Sion Cristiano per la visita al Cenacolo e alla basilica della Dormizione di Maria e per celebrare l’Eucaristia nella chiesa di San Pietro in Gallicantus. Verso sera alcuni si sono diretti al Muro del Pianto per una preghiera tra gli ebrei, che Giovanni Paolo II definì «nostri fratelli maggiori» e poi si sono soffermati al Santo Sepolcro per venerare il luogo dove Cristo è stato deposto e da dove è risorto. Già verso le 8.30 i pellegrini sono giunti nella località di Qumran, poco lontano dalla sponda del Mar Morto. Qui, nella seconda metà del XX, un ragazzino beduino che portava le sue capre al pascolo scoprì casualmente in una delle grotte che caratterizzano la zona, delle giarie di terracotta, alcune delle quali rotte o rovinate altre invece ancora ben chiuse dal coperchio. All’interno furono trovati antichissimi manoscritti, tra cui i più antichi manoscritti biblici. La zona fu subito meta di studiosi e archeologici che scoprirono che a parire dal II secolo in questa zona si stabilì una comunità ebraica – gli esseni – desiderosa di ristabilire il giudaismo puro pervertito dalla classe sacerdotale di Gerusalemme. Gli esseni vivevano in comunità lavorando, studiando le Scritture e attendendo l’arrivo del Messia. Disciplina e stile di vita che assomigliava molto a quello dei monaci cristiani. La comunità sparì nel 70 dopo Cristo, anno in cui i Romani sedarono la rivolta giudaica mettendo a ferro e fuoco l’intero Paese. Certamente fu in quella occasione che gli esseni nascosero i loro testi sacri in anfore all’interno di grotte per non lasciarli cadere in mano pagana. In quegli anfratti del deserto di Giuda sono stati conservati per duemila anni. Oggi tutti i rotoli si trovano nel Museo Nazionale d’Israele, ma i pellegrini cremonesi hanno potuto ammirare alcune copie, oltre che il sito archeologico comprendente una sala per la scrittura, un refettorio, un forno, un mulino, un laboratorio e una cucina, nonchè i bagni per i rituali di purificazione. Un posto davvero affascinante incastonato tra le montagne del deserto e la pianura che poi termina con il Mar Morto. Photogallery della visita al sito di Qumran E proprio questa singolare immensa distesa d’acqua, posta nel depressione più profonda del nostro pianeta (-400 metri) è stata la meta successiva della mattinata. Pochi minuti che però hanno permesso ad alcuni di bagnarsi i piedi. L’acqua del Mar Morto, oltre ad avere proprietà terapeutiche – in questa zona si producono creme e saponi – ha una caratteristica unica: la sua salinità permette di galleggiare come se si fosse seduti in poltrone: tipiche sono le fotografie dei turisti mentre, sdraiati nell’acqua, leggono paciosamente il giornale. Un’altra caratteristica da non trascurare è la qualità dell’aria, incredibilmente secca, molto ricca di ossigeno, priva di poliini e inquinamento. L’ultima tappa prima del pranzo è stato il monastero di San Giorgio in Koziba nel cuore del deserto di Giuda, in un ambiente arido e affascinante, spazzato da una vento forte che ha mitigato il calore del sole che fin dalla prima mattina ha fatto sentire la sua presenza. Il complesso di San Giorgio è un vero e proprio gioiello di architettura monastica, un luogo magico della Terra Santa e uno dei più remoti monasteri nel mondo. Per arrivarci occorre percorrere una mulattiera parecchio ripida, tanto che alcuni beduini del deserto offrono un passaggio ai turisti sui loro somarelli per pochi euro. Attorno al monastero, abitato fin dal quarto secolo, vi sono alcune grotte che hanno ospitato nel corso dei secoli alcuni monaci anacoreti giunti proprio in questa landa perchè la tradizione vi situa il ritiro del profeta Elia quando il Signore gli ordinò di nascondersi nel deserto. Oggi nel monastero, aperto per le visite anche alle donne, vivono cinque monaci ortodossi che proseguono nell’ideale ascetico del fondatore San Giorgio. Photogallery della visita al deserto di Giuda e al Mar Morto Nel pomeriggio, subito dopo il pranzo consumato a Gerusalemme, i pellegrini sono saliti sul Sion cristiano, una zona posta alla Porta di Sion e a nord della valle della Geenna, appena fuori dalla città vecchia. Qui sorge il Cenacolo, un luogo assai caro ai cristiani poichè in questa “sala del piano superiore” Gesù istituì l’Eucaristia e il sacerdozio ministeriale durante l’Ultima Cena, compì la lavande dei piedi, apparve da Risorto e donò lo Spirito a Pentecoste. Oggi questa grande sale, che fu nel corso dei secoli anche una moschea, è sotto il controllo degli israeliani: vano fu l’appello che Giovanni Paolo II fece durante il Grande Giubileo perchè essa tornasse ai cristiani. Tra le volte di questo ambiente posto a pochi passi dalla tomba del Re Davide, i cremonesi hanno letto il brano evangelico dell’ultima cena con una certa emozione e trasporto spirituale. La basilica della Dormizione che con la sua maestosa cupola domina l’intero Monte Sion è stata l’altra meta del pomeriggio. La tradizione cristiana pone sul Sion il luogo in cui la Madonna passò dalla vita terrena a quella celeste. La chiesa che custodisce questo mistero è retta dai benedettini tedeschi ed è stata costruita nel XX secolo. Nella Cripta vi è una statua delle Vergine Dormiente che ricorda come la Madre di Dio non morì, ma si addormentò. A San Pietro in Gallicantu, luogo in cui la tradizione pone l’annuncio del tradimento di Pietro da parte di Gesù i cremonesi hanno celebrato l’Eucaristia. Non è escluso che in questo luogo ci fosse l’abitazione di Caifa, il sommo sacerdote che contribuì alla condanna di Cristo. Nella cripta della chiesa c’è un complesso di grotte e di stanze, una delle quali fu utilizzata come prigione: potrebbe essere stato il luogo di detenzione di Gesù la notte del giovedì santo, in attesa del mattino per portarlo da Pilato. I pellegrini hanno anche potuto ammirare una scala del primo secolo che corre parallela alla chiesa: con molta probabilità il Figlio di Dio la salì per andare da Caifa. «Al centro di questo pelleggrinaggio c’è quella tomba vuota – ha esordito il Vescovo nell’omelia -. Al centro di questo pellegrinaggio c’è l’esperienza di un cuore che, invece, si riempie, perché quella tomba è vuota e noi riceviamo vita. Ecco perché stasera vorrei fermarmi un istante con voi qui sul Sion, vicini al Cenacolo, a vivere davvero ciò che l’Eucaristia ci offre ogni volta che vogliamo, ogni volta che possiamo». Per mons. Napolioni ha ricordato che nel Cenacolo si possono fare memoria di tre momenti. Anzitutto la cena pasquale: «Gesù consegna il pane e il vino attribuendo a essi il valore di essere segno perenne, memoriale della sua imminente morte e risurrezione. È lui il vero agnello, è lui che dona la sua vita. E lo fa vedere anche lavando i piedi ai discepoli, ricordando dunque che c’è un Eucaristia celebrata, ma che ci deve essere anche un’Eucaristia vissuta e testimoniata nella carità fratena». Quello stesso luogo alcuni giorni dopo diventa teatro delle sue apparizioni da Risorto: «C’era sicuramente Maria durante la cena, ma era lì anche quando il Signore è venuto e ha detto: “Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo”. La Pentecoste – ed è il terzo momento – non è un episodio della vita di Gesù: è la nuova realtà, è l’essenza della Chiesa, la consegna, da parte del Padre e del Figlio, dello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, dà la vita e fa di noi il corpo di Cristo». Mons. Napolioni ha quindi ricordato che il vero protagonista del pellegrinaggio è lo Spirito Santo: «È Colui che era con noi prima ancora che partissimo da Cremona. È Colui che ci ricondurrà a casa» E così ha concluso guardando alla Vergine: «Nel libro dell’Apocalisse il segno della donna vestita di sole, Maria assunta in cielo non sono privilegi singolari, ma segnali stradali che ci indicano la via del pellegrinaggio che continua. Dalla terra al cielo, giorno per giorno, nei giudizi che diamo su di noi e sugli altri, nella qualità della vita nelle sue piccole cose. Lì si vede chi siamo!». Ascolta l’omelia di mons. Napolioni Il pomeriggio è proseguito al Muro del Pianto meta di numerosi osservanti ebrei intenti a celebrare lo Shabbat, il giorno di sabato, per loro così sacro da evitare ogni lavoro. Non è stato possibile documentare questo intenso momento di preghiera e di omaggio ai «fratelli maggiori» con una serie di foto e filmati perchè proibite in quanto sabato – ne abbiamo scattate soltanto qualcuna eludendo il l’emozione è stata davvero palpabile. divieto -, ma Photogallery della visita al Monte Sion e al Muro del Pianto Ancora più emozionante la visita all’interno dell’edicola del Santo Sepolcro, impossibile il giorno precedente a causa di una folla enorme e di una solenne celebrazione degli armeni ortodossi. Dopo una mezz’ora di attesa i pellegrini sono potuti entrare prima nella Cappella dell’Angelo e poi nel piccolo antro dove si trova la lastra su cui fu poggiato il corpo di Gesù e dalla quale è risorto. Quattro per quattro i cremonesi sono entrati e hanno baciato la lastra che i monaci ortodossi continuano a spalmare con profumi e unguenti. In quei pochi istanti ciascuno ha rinnovato la sua fede nel Dio vivo. Domenica mattina, ultimo giorno di pellegrinaggio vero e proprio, è prevista la sosta alla Spianata del Tempio, quindi visita del nuovo museo francescano e della chiesa di S. Anna dove alle ore 12 sarà celebrata la S. Messa. Nel pomeriggio tappa allo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto e continuazione per Ein Karem con la visita ai santuari che ricordano la Nascita di S. Giovanni e la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Lunedì 13 marzo, di primissimo mattino, l’imbarco per l’Italia: l’arrivo a Cremona è previsto per l’ora di pranzo. ARCHIVIO: Intervista a don Roberto Rota sul pellegrinaggio diocesano in Terra Santa Primo giorno: partenza dall’Italia e arrivo a Nazareth Secondo giorno: Messa alla Basilica dell’Annunciazione, visita di Nazareth e del monte Tabor Terzo giorno: Lago di Tiberiade e Cana di Galilea con rinnovazione delle promesse matrimoniali Quarto giorno: sosta al Giordano e a Gerico e Messa e visita alla Basilica della Natività di Betlemme Quinto giorno: visita al Getsemani e al Monte degli Ulivi e incontro con mons. Pizzaballa Il 12 e 19 marzo “Pomeriggi in Musica” diocesana di "Dante Caifa" alla Scuola musica sacra Torna anche quest’anno la proposta musicale dei “Pomeriggi in Musica” presso la Scuola diocesana di musica sacra “Dante Caifa” – Associazione “Marc’Antonio Ingegneri”: due i concerti in programma che si svolgeranno nelle domeniche di marzo presso la sede di via Milano 5 B alle ore 15.30 con ingresso libero. Domenica 12 marzo le classi dei maestri Vatio Bissolati e Paolo Garilli propongono “Omaggio a Fryderyk Chopin” presentando una selezione di brani del famoso pianista romantico. Si potranno ascoltare le forme più ‘da salotto’, polacche e valzer, nelle quali si perde il carattere convenzionale e leggero di queste forme a seguito di una grande innovazione nella tecnica e nel suono del pianoforte, insieme alle forme di più ampia concezione formale quali i preludi e le ballate. Domenica 19 marzo la classe d’organo di Gianmaria Segalini proporrà un programma dedicato interamente alle musiche organistiche di Domenico Zipoli, organista e compositore nato a Prato nel 1688 ma che, entrato nell’ordine dei Gesuiti, svolse gran parte della sua attività musicale quale missionario in Sud America. Nel corso del concerto saranno anche eseguite alcune pagine tratte dall’oratorio “La sete di Christo” scritto del 1689 da Bernardo Pasquini, che fu maestro di Zipoli. Vuole essere un momento musicale dedicato al tempo di Quaresima e che vedrà la partecipazione del soprano Tea Irene Galli, del violoncellista Andrea Nocerino e della violinista Maddalena Adamoli. Locandina Pizzaballa: «Non soli i cristiani Santa» lasciate di Terra Dopo aver celebrato il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio prima a Nazareth e poi a Betlemme, i 220 cremonesi pellegrini in Terra Santa, nella giornata di venerdì 10 marzo, hanno pregato e meditato sulla morte e risurrezione di Gesù. La giornata, ancora caratterizzata dal sole, è iniziata nel Getsemani, a piedi del Monte degli Ulivi: in questo giardino, ben tenuto, ricco di ulivi secolari – tra essi anche quello piantato da Paolo VI nel suo viaggio nel 1964 – , ora circondato da una cancellata di ferro battuto, Gesù amava ritirarsi in preghiera. Vi si trovava anche una grotta contenente un frantoio certamente appartenente a un amico di Gesù, che lo ospitava con i suoi discepoli nella sua proprietà. A fianco si trova la chiesa delle Nazioni, chiamata così poiché diversi paesi ne hanno finanziato la costruzione negli anni Venti del secolo scorso. La penonbra all’interno della basilica ha subito trasmesso un senso di abbandono, di solitudine, di dolore e angoscia provati da Cristo quando i suoi amici non seppero vegliare con lui e quando Giuda venne con i soldati del tempio per arrestarlo. Sotto l’altare la roccia dell’agonia sulla quale Egli pianse e sudò sangue prima di abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio. Sotto le volte stellate di questo edificio sacro mons. Napolioni ha presieduto l’Eucaristia che ha dato inizio alla giornata. «Matteo – ha esordito nell’omelia – dice che Gesù incominciò a provare tristezza e angoscia. Che ne sa l’evangelista? Lui non c’era. Lui era già in confusione, più lontano. O forse è fin troppo facile immaginare, visto come sono andate le cose, che cosa deve aver provato Gesù quella notte. Perché se in ogni vicenda di dolore, in ogni prova, in ogni grave malattia, in ogni prova interiore viene da domandarci “perché?”, l’avrà gridato anche Gesù dentro di sé». «La domanda sui pensieri e i sentimenti di Gesù in quelle ore – ha proseguito il presule – è una domanda che ha accompagnato tutti i cristiani appena non superficiali. E che dovrà accompagnare tutti i cristiani, tutti gli uomini e tutte le donne che vorranno nel tempo misurarsi con Gesù». «I santi – ha proseguito – sono andati un po’ più avanti. Permettetemi di ricordare una mia concittadina: santa Camilla Battista da Varano, monaca francescana che a Camerino, nel 1500, scrisse un trattato sui dolori mentali, sulla sofferenza psicologica e spirituale di Gesù durante la Passione». Per mons Napolioni la sofferenza più grande di Gesù è stata quella di capire il senso della sua figliolanza divina: «Già le guide ci hanno introdotto al dramma di questa espressione della Lettera agli Ebrei: “Pur essendo figlio imparò l’obbedienza. E per il suo pieno abbandono, soffrendo, venne reso perfetto”». «Qual è Antonio silenzio la morte il figlio perfetto? – si è domandato il vescovo -. Quello che davanti all’apparente drammatico del Padre – la cui volontà è un calice di dolore, è del proprio figlio per adottare i peccatori di tutta la storia – passa dal dubbio di sentirsi abbandonato all’abbandonarsi al Padre: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Non è l’eroe vittorioso, né l’eroe sconfitto: è il bambino fiducioso, umile, fragilissimo, l’agnello immolato che salva il mondo. Il pastore si è fatto agnello: è il paradosso delle nostra fede. Una fede così non poteva venire in mente agli uomini. Non c’è nessun guadagno ad avere una fede così. A meno che non solo lui risorga, ma a meno che Lui non sia presente. È qui! Nel nostro impasto di farina e di acqua, di sofferenza e di speranza, di dolore e di amore. Eccolo il Figlio reso perfetto». E così ha concluso: «In questa Eucaristia pensiamo a più persone possibili, riportiamo tutti i momenti più difficili della nostra vita, della vita delle nostre famiglie. Contempliamo la fedeltà assoluta di Dio, che conduce la storia nonostante le violenze, le guerre, i drammi che avrebbero potuto già chiudere. E invece Lui si è lasciato schiacciare perché rifiorisse la vita». Durante la Messa, che si è conclusa con il bacio dei pellegrini alla pietra dell’agonia, si è pregato intensamente per tutti i sacerdoti e in modo particolare per il vescovo emerito Lafranconi che proprio il 10 marzo compie gli anni. Ascolta l’omelia di mons. Napolioni Photogallery della celebrazione eucaristica La mattinata è proseguita con la visita alla vicina tomba di Maria: una chiesa di epoca crociata caratterizzata da una lunga scalinata che porta fino al luogo in cui la Vergine passò da questa vita a quella eterna. Accanto a questo edificio sacro retto dagli ortodossi si trova la grotta del frantoio, una cappella che all’epoca delle persecuzione dei cristiani ricordava, in maniera molto nascosta, l’episodio del Getsemani. Oggi è una cappella francescana molto intima e angusta. A seguire è stata visitata l’edicola dell’ascensione, di epoca crociata, oggi trasformata in moschea. All’interno c’è una pietra con una vanga impronta di piede: si dice che sia stata l’ultima traccia lasciata da Cristo prima di salire in Cielo. Particolarmente suggestivo anche il complesso carmelitano del Pater Noster che racchiude la grotta nella quale il Signore Gesù insegnò ai discepoli il Padre Nostro. Lungo le pareti del bellissimo chiostro, immerso nel verde, sono appesi più di un centinario di pannelli in ceramica, riportanti la preghiera in diverse lunghe e dialetti di tutto il mondo, compreso il milanese. Ultima tappa è stato il Domunis Flevit: scendendo dal monte degli Ulivi – da cui si gode una bellissima vista di Gerusalemme e della valle di Giosafat costellata di tombe di pii ebrei – una chiesa francescana ricorda il pianto di Cristo sulla Città Santa. Questo luogo è particolarmente frequentato dai pellegrini, forse anche a motivo del panorama incantevole. La chiesa (1955), opera del già citato architetto Barluzzi, ha un particolare cupola a forma di lacrima e una grande vetrata proprio dietro l’altare che dà sulla città vecchia. Photogallery della visita al Monte degli Ulivi Nel primo pomeriggio, presso la concattedrale del Santissimo Nome di Gesù, interna al Patriarcato Latino, c’è stato un fraterno incontro con mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme. Il presule, fino a poco tempo fa Custode di Terra Santa, ha origini diocesane: i suoi genitori, infatti, sono di Brignano Gera d’Adda. Con molta disponibilità e umiltà l’arcivescovo ha raccontato le fatiche e le speranze della Chiesa di Gerusalemme (essa comprende non solo Israele e la Palestina, ma anche la Giordania e Cipro). Pizzaballa ha spiegato che in Terra Santa vivono solo 180.000 cristiani (di questi il 40% è cattolico) a fronte di oltre 6 milioni di ebrei e 4 milioni di musulmani. Pur essendo una piccola comunità quella cattolica ha numerose scuole e ospedali e continua ad adoperarsi per favorire il dialogo tra ebrei e palestinesi. Eppure le difficoltà economiche e l’ostilità di parte della popolazione costringe i cristiani ad emigrare: solo negli ultimi mesi oltre 120 famiglie se ne sono andate da Betlemme! Ascolta l’intervento dell’arcivescovo Pizzaballa L’arcivescovo non ha comunque nascosto la difficoltà di rapporti sia con gli israeliani sia con i palestinesi, sottolineando invece i buoni frutti in campo ecumenico: i restauri in atto della basilica della Natività a Betlemme e quelli del Santo Sepolcro a Gerusalemme – dopo decenni di stasi – sono un evidente prova che il confronto tra i cristiani delle diverse confessioni è stato avviato. Tra l’altro questa primavera ecumenica è dovuta soprattutto ai fedeli: non esiste famiglia, infatti, in cui i coniugi siano della stessa confessione. Mons. Pizzaballa ha poi ricordato il dramma dei cristiani di Aleppo in Siria, che dista solo poche centinaia di chilometri da Gerusalemme, e ha sottolineato che se non ci sono attentanti o fatti gravi in Israele, comunque serpeggia una mentalità fondamentalista in tanti palestinesi. Nel suo breve intervento il presule ha chiesto di non lasciare soli i cristiani di questa Terra, di pregare e di sostenerli, anche attraverso più frequenti pellegrinaggi. Quello di Cremona – sono parole di Pizzaballa – è il gruppo più numeroso dopo tanti mesi: la paura di attentanti è molto forte nella gente. A mons. Pizzaballa è stato consegnata una offerta della Chiesa cremonese a favore di quellla di Gerusalemme. Photogallery dell’incontro con mons. Pizzaballa La giornata si è quindi conclusa con la meditazione della passione del Signore attraverso la preghiera della Via Crucis: i pellegrini hanno iniziato insieme questa pratica devozionale poi divisi nei cinque gruppi hanno percorso la via Dolorosa che attraversa il quartiere musulmano e cristiano e che termina alla basilica del Santo Sepolcro. I cremonesi hanno potuto sperimentare quello che visse Gesù: essi, infatti, sono passati tra le piccole vie della città costellate di negozi di ogni genere, tra il vociare dei commercianti, lo strillare dei bambini, il dialogare concitato dei residenti ormai abituati a veder passare tanti gruppi di cristiani. Così è andato a morire il Figlio di Dio, tra l’indifferenza della gente. L’ultima tappa è stata al Santo Sepolcro, una basilica che è il risultato di diversi edifici costruiti e distrutti diverse volte dove convivono diverse confessioni cristiane (cattolica, ortodossa, copta, siriaca, armena) e dove i pellegrini sono sempre tantissimi. L’impressione di confusione e di disordine è sempre molto forte, ma che si dimentica dinanzi al Calvario, il luogo dove fu Crocifisso Cristo con i due malfattori, passando poi dalla pietra dell’unzione, che ricorda la preparazione del corpo di Gesù per la sepoltura, fino all’edicola del Santo Sepolcro, il luogo più santo di tutta la Cristianità, attualmente in restauro ma visitabile da parte dei fedeli. Non tutti i gruppi, dato l’alto afflusso di pellegrini, sono potuti entrate nel Sepolcro: sabato o domenica, certamente, anche chi non ha potuto provare questa intensa esperienza spirituale, potrà entrare nel luogo che da Duemila anni è testimone muto della Risurrezione. Photogallery della Via Dolorosa Nella mattinata di sabato 11 marzo escursione nel Deserto di Giuda: visita di Qumran, dove in alcune grotte vennero rinvenuti i più antichi manoscritti della Bibbia. Rientrando a Gerusalemme sosta al Wadi Qelt. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio celebrazione della Santa Messa alle ore 15 nella Chiesa di San Pietro in Gallicantu; a seguire visita del Sion Cristiano con il Cenacolo, la Chiesa della Dormitio Mariae e la Valle del Cedron. ARCHIVIO: Intervista a don Roberto Rota sul pellegrinaggio diocesano in Terra Santa Primo giorno: partenza dall’Italia e arrivo a Nazareth Secondo giorno: Messa alla Basilica dell’Annunciazione, visita di Nazareth e del monte Tabor Terzo giorno: Lago di Tiberiade e Cana di Galilea con rinnovazione delle promesse matrimoniali Quarto giorno: sosta al Giordano e a Gerico e Messa e visita alla Basilica della Natività di Betlemme PROGRAMMA DEI PROSSIMI GIORNI Domenica 12 marzo: BETLEMME/Escursione a Gerusalemme Partenza per Gerusalemme e visita della Spianata del Tempio e al Muro occidentale della preghiera. Visita del nuovo museo francescano e della chiesa di S. Anna dove alle ore 12 sarà celebrata la S. Messa. Nel pomeriggio visita dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto e continuazione per Ein Karem con la visita ai santuari che ricordano la Nascita di S. Giovanni e la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Lunedì 13 marzo: BETLEMME/TEL AVIV/ITALIA Nella notte trasferimento in aeroporto a Tel Aviv per il rientro a Cremona previsto per le ore 13. Spettacolo benefico il 18 marzo al Ponchielli per le zone terremotate: ancora biglietti disponibili Ancora disponibili, presso la biglietteria del Teatro Ponchielli di Cremona, i biglietti dello spettacolo benefico a favore delle popolazioni terremotate in programma la sera di sabato 18 marzo, alle 21, al Ponchielli. Il ricavato dell’evento, organizzato da Comune e Diocesi di Cremona, in collaborazione con il Teatro Ponchielli, servirà a sostenere la ricostruzione del Monastero di Santa Chiara di Camerino, distrutto dal violento sisma del 26 e 30 ottobre, luogo simbolo di accoglienza e di spiritualità. Proprio nel Monastero della Clarisse di Camerino sono conservate le spoglie di santa Camilla Battista Varano, protagonista dello spettacolo “Come una carezza – Il viaggio di Camilla Battista Varano” che sarà messo in scena dalla compagnia “Gruppo Teatro in Bilico” di Camerino. L’idea è nata durante il viaggio effettuato dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, insieme al sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, a metà dicembre nelle terre terremotate, con l’inaugurazione a Camerino e San Severino di due tensostrutture della Caritas (alla quale nei giorni scorsi se n’è aggiunta una terza), acquistate e istallate anche grazie al fondi raccolti dal “Sistema Cremona” sull’apposito conto istituito da Comune e Fondazione città di Cremona. “La cultura e la creatività uniscono le terre – è il commento di Galimberti -. Camerino e S. Severino in un momento davvero complesso ci insegnano una vitalità, anche culturale, e un entusiasmo che sono per la nostra città un regalo grande. Anche con questo spettacolo, grazie alla Diocesi e al Teatro Ponchielli, il Sistema Cremona riesce ad esprimere ancora una volta la propria vicinanza e la propria generosità alle popolazioni colpite dal sisma. L’invito ai cremonesi è quello di riempire il nostro teatro!” Anche mons. Napolioni ha espresso la propria gratitudine per la disponibilità e lo spirito di solidarietà fattiva dimostrati dall’Amministrazione comunale e dal Teatro Ponchielli, augurandosi positiva accoglienza e partecipazione della città a questa occasione di fraterna vicinanza alla Chiesa di Camerino – San Severino Marche. I biglietti – posto unico numerato a 10 euro – sono in vendita alla biglietteria del Teatro nei consueti orari di apertura (10.30-13.30 e 16.30-19.30). Ulteriori informazioni contattando lo 0372-022001/02. LO SPETTACOLO Lo spettacolo «Come una carezza. Il viaggio di Camilla Battista Varano» nacque nel 2015 per festeggiare il quinquennio della canonizzazione di Camilla le cui spoglie riposano in una povera ma bellissima urna del Monastero di Santa Chiara a Camerino. Camerino e il suo territorio sono particolarmente legati a Camilla, alla sua intensa storia e alle clarisse che abitano il Monastero, luogo bellissimo costruito per Camilla dal padre e nel quale lei visse tutta la vita fondando la comunità di clarisse. Dopo il violentissimo terremoto del 26 e 30 ottobre scorso il Monastero di Santa Chiara è andato quasi completamente distrutto e Camerino ha perduto un luogo simbolo di accoglienza e spiritualità. Le sorelle clarisse sono state costrette a lasciare il monastero e a trovare ricovero presso quello di San Severino Marche. Solo Camilla è rimasta ad abitarvi, nella sua urna silente e solitaria. «Come una carezza» ora, viene portato in scena perché il ricavato possa permettere la ricostruzione del Monastero di Santa Chiara, per ridarlo alla città di Camerino, alle suore clarisse, all’Italia. La sceneggiatura del musical è tratta dagli scritti di S. Camilla Battista Varano ed è basata sulla sua esperienza umana e spirituale. Focalizzando l’attenzione sul tema dell’incontro con Cristo e del capovolgimento che tale incontro opera in chi si lascia toccare dalla Parola, lo spettacolo – attraverso il linguaggio musicale e della danza – si sofferma sulla battaglia che Camilla è chiamata ad affrontare prima di tutto con Dio (“in nessun modo volevo farmi suora”), poi con se stessa (“il mio cuore era imprigionato”), quindi con la sua famiglia e i suoi condizionamenti (“il faraone, cioè mio padre, mi teneva legata a sé e non mi avrebbe mai lasciata libera di partire”), nonché con il mondo circostante (“la vita mondana mi attraeva forte”), fino a sperimentare quella pace e quella pienezza che nascono in lei quando “sciolse le briglie del suo cuore e si lanciò in un volo meraviglioso”. IL CAST testo e regia Giulia Giontella con Maria Vittoria Mancini, Emy Morelli, Giulia Giontella, Luigi Vannucci, Sara Moscatelli, Claudio Cingolani, Diego Romano Perinelli e con Stefano Ronconi, Rossella Campolungo, Roberta Grifantini, Stefano Severini, Stefano Burotti, Claudia Caprodossi, Luciano Birocco, Silvia Gubbini, Stefania Scuri coreografie Emy Morelli e Maria Vittoria Mancini movimenti di scena Emy Morelli, Giulia Giontella, Maria Vittoria Mancini direttore di scena Roberto Valentini tecnico audio Leonardo Francesconi Padri ed educatori, al Civico 81 riflessione a partire dalla figura san Giuseppe In preparazione alla festa del papà, nel pomeriggio di martedì 14 marzo, alle 18, presso la sala conferenze di Civico 81 (in via Bonomelli 81, a Cremona) si guarderà alla figura di san Giuseppe con la presentazione del libro “Giuseppe siamo noi”. Saranno presenti gli autori: padre Mario Aldegani, superiore per la Provincia italiana dei Giuseppini di Murialdo, educatore e insegnante, e Johnny Dotti, imprenditore sociale, pedagogista e insegnante universitario. L’incontro, moderato dal prof. Lanzi Samuele, sarà intervallato da brevi letture proposte dall’attore Marco Rossetti. L’iniziativa è promossa dalle Cooperative del Consorzio Solco che intendono offrire alla città spazi di formazione, riflessione e scambio, favorire l’incontro fra i cittadini e il confronto attorno a temi importanti. Non deluderanno certamente padre Aldegani e Dotti, persone dal grande spessore culturale ed umano che, attraverso la figura di Giuseppe di Nazareth, riprenderanno, 2000 anni dopo, alcune dimensioni dell’esistenza di Giuseppe che si ritrovano anche oggi nella loro attualità. “La nostra condizione odierna di generazioni adulte un po’ logorate, a cavallo di due millenni, di padri ed educatori che si trovano davanti a un compito che pare impossibile, di pellegrini nella vita in cerca di senso e di direzione, di sognatori traumatizzati, ha, sorprendentemente, molti tratti in comune con l’avventura umana e spirituale di Youssef di Nazareth. In questo senso possiamo allora affermare che Giuseppe siamo noi. Non si tratta di riconoscere una somiglianza semplicemente individuale, ma di condividere uno spirito di ricerca comune. Youssef esprime la capacità di non temere di porsi delle domande e il coraggio di abitarle, una condizione che per noi, oggi, in tempo di crisi, appare davvero necessaria o addirittura inevitabile. Le tracce della sua umanità, del suo confrontarsi con le questioni grandi della vita – la paternità, la famiglia e l’educazione, il lavoro, la libertà e responsabilità, il quotidiano, i dubbi e le difficoltà – ci riguardano da vicino, sono possibili domande e possibili risposte”. L’incontro, aperto a tutti, è rivolto in particolare a quanti desiderano continuare a interrogarsi su che cosa significa essere oggi adulti, padri, madri, educatori, custodi di qualcuno. A conclusione dell’incontro sarà offerto un aperitivo presso il BonBistrot. Locandina Napolioni a Volantino Betlemme: «Il vero amore è quello adottivo» Giornata particolarmente intensa quella di giovedì 9 marzo per i 220 cremonesi che da lunedì scorso stanno partecipando al pellegrinaggio diocesano in Terra Santa presieduto dal vescovo Napolioni e promosso dall’agenzia viaggia diocesana Profilotours. Di buon mattino i cinque pullman hanno lasciato la città di Nazareth e dopo aver attraverso la ridente pianura di Esdrelon hanno costeggiato il fiume Giordano che fa da confine naturale con il Regno di Giordania. Prima di giungere a Gerico c’è stato una sosta a Qars Al-Yahud, luogo in cui la tradizione cristiana colloca la predicazione di Giovanni il Battista e dove Gesù Cristo ricevette il battesimo. Qui, grazie a delle rampe di legno costruite dall’autorità israeliana i cremonesi hanno potuto avvicinarsi all’acqua e segnarsi a ricordo del proprio battesimo. Un posto davvero incantevole costellato da una natura lussureggiante e da graziosi monasteri, soprattutto di tradizione greco-ortodossa, che donano un tocco davvero suggestivo all’ambiente. Tutti e cinque i gruppi, dopo un rapida spiegazione storico-biblica, si sono raccolti brevemente in preghiera rinnovando le promesse battesimali. Tra i tanti di pellegrini presenti al Giordano, alcuni, soprattutto provenienti dall’est Europa, hanno rinnovato la memoria del proprio battesimo immergendosi totalmente nel fiume che in questa zona è poco più che un canale. Photogallery della sosta al Giordano Meta di metà giornata è stata poi Gerico, oasi della valle del Giordano, una delle più antiche città del mondo, se non addirittura la più antica. I primi insediamenti ritrovati negli scavi archeologici risalgono a circa novemila anni prima di Cristo! C’è, però, un altro primato che le appartiene: quello di essere la città più bassa della terra, poiché si trova a circa 260 metri sotto il livello del mare. Fin dall’antichità Gerico veniva chiamata la città delle palme: i pellegrini, giungendo da una zona prettamente desertica, hanno capito subito il perché: il paesaggio, infatti, è di colpo cambiato grazie a questi alberi imponenti che hanno dato un senso di refrigerio, data anche la mattinata molto calda. A Gerico i pellegrini si sono soffermati brevemente dinanzi ad un maestoso sicomoro che ha permesso di ricordare l’episodio di Zaccheo, il capo dei pubblicani della città chiamato da Gesù a cambiare vita. Suggestivo anche il monte delle tentazioni dove Gesù si ritirò per quaranta giorni insidiato dal demonio. Arroccato su uno sperone di roccia di trova un monastero greco-ortodosso del XIX secolo, anche se esperienze monastiche erano già presenti nel IV secolo. Dopo il pranzo e un congruo tempo per lo shopping (buonissimi in questa zona i datteri e la frutta) il viaggio è proseguito per Betlemme. Dallo Stato di Israele i cremonesi sono dunque entrati nei territori dell’Autorità Palestinese attraversando uno dei famosi check-point presidiato da militari israeliani armati. Prima di entrare in città c’è stato tempo per una veloce visita al Campo dei Pastori che si trova a Beit Sahur, un piccolo villaggio distante poco più di 3 chilometri da Betlemme. Questo luogo, custodito dai frati francescani e assai ben tenuto, è identificato come la zona in cui i pastori portavano le greggi al pascolo e quindi dove l’angelo apparve loro annunciando la nascita del Figlio di Dio. Fin dall’inizio dell’esperienza cristiana questo sito è sempre stato frequentato da credenti che hanno trasformato le grotte in luoghi di culto. Un santuario della metà del secolo scorso, la cui forma richiama una tenda, domina l’intero giardino. Photogallery della visita al Campo dei Pastori Ma il momento più emozionante della giornata è stata certamente la visita alla Basilica della Natività che in questi mesi è sottoposta a massici restauri che hanno permesso di ritrovare meravigliosi mosaici di epoca bizantina che i pellegrini hanno potuto gustare attraverso le impalcature. Una nota di orgoglio: la ditta che sta lavorando in questo luogo santo è italiana, si tratta della Piacenti Spa di Prato. Prima di scendere nella grotta dove nacque il Figlio di Dio i cremonesi hanno celebrato la Messa nella vicina chiesa di Santa Caterina passando per il pittoresco chiostro mediovale di San Girolamo, la cui statua si erge nel mezzo del giardino vicino ad una natività opera dei maestri artigiani di Tesero (Trentino). In questa chiesa parrocchiale, retta dai francescani, costruita nella seconda metà del XIX secolo, è stata celebrata l’Eucaristia ricordando in modo particolare dell’incarnazione del Figlio di Dio. il mistero Non per nulla tra canti tipici del Natale il Vescovo, durante la processione introitale, ha portato solennemente la statua di Gesù Bambino che poi è stata posta ai piedi della mensa. «Il segno che ci viene offerto qui a Betlemme, come in ogni Natale, è il Bambino, il Figlio – ha esordito nell’omelia mons. Napolioni -. “Un bambino è nato per noi”, “Ci è stato dato un figlio” dice Isaia. Lo possiamo dire tutti, lo dobbiamo dire tutti. Lo può dire anche un prete che figli non ne ha, lo può dire la sterile, lo può dire l’anziano, lo può dire il bambino». E così ha proseguito: «È un mistero grande: è stato dato a ciascuno di noi e a tutti noi, ad ogni uomo della terra, quel figlio lì, il Figlio di Dio venuto nel mondo…. Il Padre l’ha lasciato, Lui ha lasciato il Padre (anche se il Padre è sempre con Lui) e ci ha preso con sé. Questi due verbi – lasciare e prendere – a noi non piacciono. Invece dicono il lavoro che noi dobbiamo compiere». «Lasciare che qualcosa avvenga in noi, che anche noi veniamo presi – ha puntualizzato il vescovo Antonio -. Prima dobbiamo dire “sì” a questo Figlio. Lo prendiamo in casa con noi? Non basta fare il presepio o venire in Terra Santa: occorre scegliere, soffrire, gioire per il Vangelo, ogni giorno. E guardare con gli occhi di Gesù la vita nostra e degli altri. Guardarci negli occhi riconoscendoci tutti presi, coinvolti dallo stesso fatto». Per mons. Napolioni Gesù è un figlio che scotta: «Dare un bacetto a quel Bambinello è più facile che fare la Comunione. Fare la Comunione è più facile che baciare il lebbroso. Ma non c’è differenza tra questi gesti. C’è la chiamata ad accorgerci che siamo tutti figli adottati dal Padre. Eravamo dispersi, eravamo nelle tenebre: abbiamo visto la Luce. Non più da lontano: ci è entrata dentro. È dentro gli occhi, la vita e il cuore di chi ci circonda. È nascosta, magari, dietro ai muri che continuiamo a costruire; dietro alle sofferenze e le paure. Ma c’è! Perché Cristo è vivo!». Ma Gesù non è vivo solo in cielo o nei monumenti, ma nella sua Chiesa: «Una Chiesa senza confini, che qui si raduna e da qui riparte per andare incontro al mondo per dirgli quando questo Dio, folle d’amore, lo ama, lo perdona, lo custodisce, lo porta a compimento». «E allora il vero amore è l’amore adottivo – ha continuato il celebrante -. Dice un proverbio africano: “Per mettere al mondo un figlio basta una madre, ma per farlo crescere ci vuole un villaggio”. Le nostre comunità devono ridiventare madri di tutti i loro figli, sentendo che tutti i bambini sono loro figli. Questo senso di corresponsabilità io lo chiedo ai seminaristi e ai miei preti». E senza peli sulla lingua ha continuato: «Ho detto ai seminaristi che li ordinerò sacerdoti solo se sapranno prendersi cura dei figli degli altri. Altro che preti pedofili! Abbiamo bisogno di preti, di educatori, di nonni, di baristi, di genitori, di allenatori, di passanti che si accorgano che ci è stato dato un figlio». E ancora: «La grande malattia del nostro Paese, del nostro tempo è questa sterilità crescente, questa paure del futuro. Ma avete visto che nel mondo i bambini ci sono: saranno questi i nostri figli, se non ci sbrighiamo a farli a immagine e somiglianza dell’italianità. Saranno i figli di Dio che non mancheranno mai a sfidare il cuore dei credenti, perché testimonino che davvero quel Bambino fa la differenza». Concludendo la sua omelia mons. Napolioni ha indicato l’esempio di Eusebio di Cremona che visse a Betlemme, discepolo di San Girolamo: «Un santo che si perde quasi nella notte dei tempi ma che ha un punto di riferimento: Girolamo e le Scritture. Saranno le Scritture, la Bibbia, a educarci il cuore, a renderci di nuovo fecondi, capaci di vincere le paure e le resistenze, a plasmare il nostro modo di pensare, di sentire e di fare. Che questo pellegrinaggio in Terra Santa ci faccia tornare a casa non solo un po’ più istruiti e acculturati, ma innamorati del Vangelo e delle Scritture Sante, che possano accompagnarci non solo come consolazione personale nei momenti difficili, ma come criterio di giudizio e di discernimento delle nostre responsabilità: chiamata quotidiana a dire “sì” a Colui che è nato e che ci vuole con sé, come sacramento di salvezza per il mondo». Ascolta l’omelia di mons. Napolioni Al termine dell’Eucaristia, durante la quale si è pregato per tutti i bambini del mondo e per i cristiani di Terra Santa, ogni pellegrini ha potuto baciare la statua di Gesù bambino. Prima di lasciare la basilica i pellegrini hanno visitato le grotte di Santa Caterina dove è conservata la memoria di San Girolamo e del suo discepolo Eusebio da Cremona. Poi nonostante la lunga fila sono scesi anche nella grotta della Natività, sotto la grande e antica basilica a cinque navate voluta da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino: nonostante tante vicissitudini, del primitivo edificio sacro si conservano ancora alcune vestigia, come il prezioso pavimento a mosaico. Nell’angusta grotta, lunga e stretta, i pellegrini si sono inginocchiati per baciare la stella di argento posta su una lastra di marmo: proprio qui Cristo emise il suo primo vagito e iniziò la sua avventura di uomo. Il luogo santo è sormontato da una iconostasi greco-ortodossa. Accanto c’è l’altare dei magi che ricorda la venuta dei re d’Orienti per adorare Gesù. L’altare è di proprietà cattolica e di fronte c’è il luogo della mangiatoria. Dopo questo emozionante atto di devozione, i cremonesi sono partiti alla volta dell’albergo Jacir Palace Hotel posto a pochi metri dal muro fatto costruire dagli israeliani a partire dalla primavera del 2002 per separare nettamente lo stato d’Israele e dai luoghi sotto l’amministrazione dell’autorità Palestinese. Nel luogo in cui nacque il Principe della Pace, gli uomini continuano a costruire barriere tra di loro. La strada è ancora lunga. Photogallery della Messa e visita alla Basilica della Natività Venerdì 10 il pellegrinaggio farà tappa a Gerusalemme. Alle ore 9 è prevista la celebrazione della S. Messa nella Basilica dell’Agonia; a seguire salita al Monte degli Ulivi e visita dell’edicola dell’Ascensione, della Chiesa del Pater Noster, della Chiesa del Dominus Flevit, terminando con la Tomba delle Vergine. Nel pomeriggio alle ore 15 incontro con Mons. Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme; a seguire percorso della Via Dolorosa nella città vecchia partendo dal Convento della Flagellazione ed arrivando alla Basilica del Santo Sepolcro. Visita e tempo a disposizione. ARCHIVIO: Intervista a don Roberto Rota sul pellegrinaggio diocesano in Terra Santa Primo giorno: partenza dall’Italia e arrivo a Nazareth Secondo giorno: Messa alla Basilica dell’Annunciazione, visita di Nazareth e del monte Tabor Terzo giorno: Lago di Tiberiade e Cana di Galilea con rinnovazione delle promesse matrimoniali PROGRAMMA DEI PROSSIMI GIORNI Sabato 11 marzo: BETLEMME/Escursione nel Deserto di Giuda e a Gerusalemme Mezza pensione in hotel. In mattinata escursione nel Deserto di Giuda: visita di Qumran, dove in alcune grotte vennero rinvenuti i più antichi manoscritti della Bibbia. Rientrando a Gerusalemme sosta al Wadi Qelt. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio celebrazione della Santa Messa alle ore 15 nella Chiesa di San Pietro in Gallicantu; a seguire visita del Sion Cristiano con il Cenacolo, la Chiesa della Dormitio Mariae e la Valle del Cedron. Domenica 12 marzo: BETLEMME/Escursione a Gerusalemme Mezza pensione in hotel. Partenza per Gerusalemme e visita della Spianata del Tempio e al Muro occidentale della preghiera. Visita del nuovo museo francescano e della chiesa di S. Anna dove alle ore 12 sarà celebrata la S. Messa. Nel pomeriggio visita dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto e continuazione per Ein Karem con la visita ai santuari che ricordano la Nascita di S. Giovanni e la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Lunedì 13 marzo: BETLEMME/GERUSALEMME/TEL AVIV/ITALIA Dopo la prima colazione eventuale tempo a disposizione sino al trasferimento in aeroporto a Tel Aviv per il rientro in Italia. Don Milani: passione educativa e amore verso i suoi allievi Un prete capace di anticipare gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, un maestro animato da forte passione educativa e da un grande amore verso i suoi allievi. Sono alcuni aspetti importanti della figura di don Lorenzo Milani, emersi dal convegno “Faccio scuola – perché voglio bene a questi ragazzi” svoltosi sabato 11 marzo nel Salone Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona, gremito di docenti ed educatori. L’iniziativa, promossa dall’Ufficio diocesano di Pastorale scolastica e dal Servizio Insegnamento della religione cattolica, a 50 anni dalla morte del sacerdote fiorentino, si è aperta, dopo le parole introduttive di don Claudio Anselmi, con i saluti della vicesindaco di Cremona, Maura Ruggeri, del dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale, Franco Gallo, e del vicario episcopale per la Pastorale, don Gianpaolo Maccagni. Saluto del vicesindaco Ruggeri Saluto del provveditore Gallo Saluto del vicario episcopale don Maccagni A introdurre l’incontro la moderatrice, prof.ssa Daniela Negri, che si è soffermata in particolare sui rapporti fra don Milani e due importanti figure della Chiesa e della scuola cremonese: don Primo Mazzolari e il maestro Mario Lodi. Introduzione della prof.ssa Daniela Negri È quindi intervenuto lo scrittore e giornalista Mario Lancisi. Attento studioso e grande estimatore di don Milani, al quale ha dedicato varie pubblicazioni, il relatore ha sottolineato alcune date significative della breve ma intensa vita di questo prete: il 1943, anno della sua conversione cristiana e della decisione di entrare in Seminario; il 1947, allorché iniziò a San Donato di Calenzano (Firenze) la sua missione sacerdotale, caratterizzata da quelle “Esperienze pastorali” documentate in un libro posto fuori commercio su richiesta del Sant’Uffizio e solo di recente rivalutato appieno dalla Chiesa; il 1954, quando venne mandato “in esilio” nella piccola e sperduta parrocchia di montagna di Barbiana, nel Mugello, ove intraprese ben presto quella singolare e innovativa esperienza didattico-educativa testimoniata dalla “Lettera a una professoressa”, scritta assieme agli allievi poco prima della sua prematura scomparsa, nel 1967; due anni prima era apparso un altro suo celebre scritto, “L’obbedienza non è più una virtù”, con il testo di una lettera ai giudici per motivare la sua scelta favorevole all’obiezione di coscienza al servizio militare – allora vietata in Italia -, costatagli un processo penale, con assoluzione in primo grado e condanna in appello, estinta in seguito alla morte. Alla luce di queste date-eventi, Lancisi ha evidenziato alcuni aspetti salienti della complessa personalità di don Milani: il suo profondo anelito a una sincera e completa conversione; il suo spirito di comunità (nella piccola realtà di Barbiana si realizzò progressivamente un’autentica comunione di beni, di saperi e di vita); la sua grande attenzione alle persone e soprattutto agli ultimi, manifestata anzitutto insegnando l’uso accorto della parola, strumento essenziale per divenire buoni cittadini e cristiani consapevoli; la dura critica verso la scuola tradizionale, selettiva fin dagli anni dell’obbligo e poco attenta ai gravi fenomeni della dispersione e dell’abbandono studentesco; il senso critico dell’obbedienza che, in taluni casi, può anche tradursi in una sorta di disobbedienza civile, come processo critico di assunzione di responsabilità. Relazione di Mario Lancisi – prima parte Relazione di Mario Lancisi – risposte al dibattito La prof.ssa Negri ha quindi dato voce al messaggio di uno dei “ragazzi di Barbiana”, Agostino Burberi, che non ha potuto prendere parte al convegno Lettera di un “ragazzo di Barbiana” Ha inoltre preso la parola la maestra Disma Vezzosi, con il sentito ricordo di un “pellegrinaggio” a Barbiana, nel 2011, degli iscritti all’Associazione italiana maestri cattolici. Intervento della maestra Disma Vezzosi La prof.ssa Chiara Somenzi, docente al liceo scientifico “Aselli” di Cremona, ha invece approfondito il senso civico di don Milani, con la sua attenzione costantemente rivolta ai principi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini sanciti dalla nostra Costituzione. Intervento della prof.ssa Chiara Somenzi Le conclusioni di Lancisi, suscitate anche da alcuni interventi dei presenti, hanno quindi terminato l’incontro. Conclusioni di Mario Lancisi Photogallery del convegno Francesco Capodieci Quaresima, Napolioni: «Buon Samaritano icona della nostra umana condizione» In occasione della Quaresima, che avrà inizio il 1° marzo 2017, mercoledì delle ceneri, il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha indirizzato ai sacerdoti e fedeli della diocesi un messaggio dal titolo: «Olio e vino per le ferite». Lo scorso anno scrivevo questo messaggio prima ancora di giungere a Cremona, mentre nelle Marche preparavo il trasloco per la nuova esperienza di servizio pastorale e di vita a cui ero stato chiamato. Oggi, mi preparo insieme a tutti voi alla Quaresima 2017, con un senso crescente di appartenenza alla Chiesa Cremonese, fatta di volti e comunità, di opere e cuori, di problemi e di progetti. È la carne viva del popolo di Dio, corpo del Signore Gesù, più evidente quando si vedono le povertà, si percepiscono le miserie, si lotta col male, si invoca la salvezza e l’aiuto di Dio. Insieme, come in una medesima famiglia. In questi ultimi mesi, le immagini del terremoto in centro Italia ci hanno messo a confronto con la fragilità delle case e delle vite, ed hanno suscitato un moto di solidarietà – anche nelle nostre comunità – che commuove e consola. Grazie di cuore, anche a nome della diocesi di Camerino-San Severino Marche da cui provengo e con cui siamo gemellati, a tutti coloro che, anche col gesto più piccolo e nascosto, hanno reso meno difficile il riprendersi dalle scosse che così fanno tremare, ma non crollare. Intraprendiamo ora il cammino liturgico verso la Pasqua, come la strada che sale da Gerico a Gerusalemme, dal deserto alla città santa. La strada fatta da Gesù, che desiderava ardentemente giungere alla sua ora, quella in cui rivelare l’impensabile amore di Dio, solidale con l’uomo, al punto da andare a ridestarlo dalla morte. Lungo questa salita, parabola di tante fatiche della vita, si incontra chi cade, chi è assalito dai briganti (sarebbe pur giusto smascherare questi nemici dell’uomo e del povero), chi non ha tempo e cuore per fermarsi, ma anche chi riconosce l’urgenza della carità, si ferma e si china su chi non ce la fa più. Sì, la parabola del buon samaritano – che 80 anni fa don Primo Mazzolari commentava in un testo sempre attuale – si ripropone, come logica del servizio e della fraternità. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino (Lc 10, 34) Era l’equipaggiamento di un viaggiatore prudente, ed anche benestante: olio e vino erano anche i medicamenti più comuni, adatti al “pronto soccorso” di quel primo incontro. Il Vangelo ci dice che quell’uomo sulla strada era stato ridotto mezzo morto, e che dopo quelle prime cure lo straniero di passaggio potrà caricarlo e affidarlo alla locanda. Basta poco per ridare speranza, fiato, vita, a chi da solo non può rialzarsi. È un’icona della nostra condizione umana, realissima e fragile dietro le apparenti esuberanze di pochi. È lo scenario in cui si rivela il Dio di Gesù Cristo, vero e decisivo samaritano dell’umanità. Dio si è fatto vicino all’uomo sempre mezzo morto per mano degli egoismi e delle violenze dei cosiddetti “fratelli”, a volte anche per colpa della sua chiusura in se stesso. Perciò Dio stesso si è fatto nostro fratello, in Gesù, dato per noi, perché dalla sua passione, morte e risurrezione sgorgassero un olio che consacra e un vino che rinnova, segni anche liturgici della realtà del suo sangue, versato sulla croce per la vita del mondo. Il nostro cammino quaresimale, che vivremo quotidianamente impegnati nelle comunità e nelle famiglie, come tappa qualificante i cammini di iniziazione cristiana e la preparazione del Sinodo dei giovani, che suggerisce a ciascuno più docile ascolto della Parola di Dio e l’ingresso in un profondo silenzio orante… culminerà nella Settimana Santa, e nei sacramenti che innestano la Pasqua in ogni frammento di vita: il Battesimo, la Riconciliazione, l’Eucaristia. Va’ e anche tu fa’ così (Lc 10,37) L’esempio del buon samaritano non è episodico ed opzionale. È normativo, come i gesti dell’ultima cena, in cui Gesù lava i piedi ai discepoli: come ho fatto io, fate anche voi (Gv 13,15); e in cui spezza il pane che diventerà il suo corpo: fate questo in memoria di me (Lc 22,19). La carità di Dio nei nostri confronti è sollecita, per non lasciarci dubbi su quale sia la via della vita, quali atteggiamenti coltivare, con quali gesti seguire il Maestro ed entrare nel Regno. Perché nessuno possa dire: “io non sapevo, io non potevo”. La carità ricevuta diventa la carità che possiamo e dobbiamo donare. Guariti nelle nostre ferite interiori dall’incontro col Salvatore, dalla gioia di vivere il Suo Vangelo, possiamo toccare senza paura le ferite dei fratelli. Con umiltà e delicatezza, e senza perderci in chiacchiere e tatticismi. Con lo stesso slancio suscitato da immagini emotivamente toccanti che giungono da terre e comunità provate, possiamo farci ancor più prossimi a tanti, qui e ovunque. Aumentando la massa d’amore e di speranza da spartire coi più deboli e sfortunati. Per ricevere il centuplo da Dio. Quest’anno, la Caritas diocesana ci propone una mobilitazione collettiva intorno all’urgenza della “povertà sanitaria”. I dati del Centro d’ascolto e dell’ambulatorio della Caritas Cremonese dicono che uno dei problemi più emergenti riguarda le persone che al disagio economico uniscono anche problematiche di salute. Sia italiani che stranieri chiedono sussidi economici per il pagamento di bollette/tasse, canoni di affitto, ma sempre più spesso anche per le spese sanitarie. Certo, a tutti dovrebbe essere garantito l’accesso ai servizi di assistenza e cura. Le Istituzioni sono impegnate in tal senso e le stimoleremo ancora. Ma resta vero che in Italia la spesa sanitaria annua pro capite è di 444 euro, mentre quella dei poveri è scesa a soli 69 euro. Il 3,9% degli italiani ha rinunciato ad acquistare farmaci necessari, a causa di motivazioni economiche. Per non dire del dramma della salute, e della mortalità infantile, nei paesi più poveri del mondo, che grida al cospetto di Dio, mentre i potenti continuano a spendere per gli armamenti e per il superfluo. Siamo noi oggi la locanda del Vangelo, la comunità aperta e accogliente che non teme di sporcare le poltrone con il sangue dei feriti che bussano alla porta. Non è forse lo stesso sangue del Signore, che adoriamo e beviamo secondo la nostra fede? Aiutiamoci, nelle comunità parrocchiali e nei gruppi, a trarre dal Vangelo pregato e condiviso ragioni di impegno concreto per questo ulteriore passo verso la “civiltà dell’amore”. Sant’Omobono e la grande schiera di santi operatori del bene comune, che la nostra storia ricorda e vanta, ci sollecitano e ci sorreggono presso Dio. Buona Quaresima a tutti noi. + Antonio, vescovo Scarica il messaggio del vescovo Napolioni per la Quaresima 2017 (formato pdf) Scarica la locandina della Quaresima di carità 2017 Napolioni alle Beatitudini: «No alle macchiette del Cristianesimo» «Ne abbiamo fatto una poesia, un testo per i santini delle edizioni Paoline, ne abbiamo fatto qualche lapide sulle aiuole: ecco cosa ne abbiamo fatto delle Beatitudini. Un titolo, una pagina sempre pronta, buona per i battesimi e i matrimoni come per i funerali. Vogliamo buttarla via questa idea delle Beatitudini? Siamo venuti qui per questo: per buttar via le idee fasulle, le riduzioni, le macchiette del Cristianesimo e ritrovare Cristo Gesù». Con questo forte invito del vescovo Antonio a ritrovare l’essenzialità del messaggio evangelico è iniziata la terza giornata di pellegrinaggio in Terra Santa per gli oltre 220 cremonesi partiti dall’Italia lunedì 6 marzo. Mercoledì 8 marzo la meta è stata il lago di Tiberiade o mare di Galilea, la riserva idrica dell’intero Israele, alimentato da sorgive sotterranee e dal fiume Giordano che proveniente dal monte Hermon vi entra e poi vi esce per poi segnare il confine con il Regno di Giordania. Sulle rive di questa immensa distesa d’acqua duemila anni fa Gesù inizio la sua avventura chiamando i primi discepoli, predicando il Regno di Dio, guarendo i malati e liberando gli indemoniati. Se su tanti altri luoghi cari alla devozione non si può essere sicuri del passaggio di Gesù, in questo territorio ricco di vegetazione si può essere più che certi della sua presenza e della sua azione. La giornata è iniziata sul Monte delle Beatitudini, un incantevole luogo di pace, che domina l’intero lago. Da qui i cremonesi hanno potuto ammirare lo stesso panorama che duemila anni fa vedevano gli uomini e le donne giunti per ascoltare Gesù nel suo Discorso della Montagna. Il paesaggio non deve essere cambiato molto: il silenzio, il verde dei prati, il rosso e il giallo dei fiori, l’azzurro del cielo incantano il cuore e predispongono al raccoglimento e alla preghiera. In un piccolo anfiteatro poco distante dalla moderna chiesa a forma ottagonale (otto sono le Beatitudini secondo Matteo) sempre opera dell’architetto Barluzzi (1937) il gruppo ha celebrato l’Eucaristia durante la quale mons. Napolioni ha chiesto un salto di qualità nel vivere la fede. «Ieri – ha rimarcato il presule – abbiamo incominciato a intuire la concretezza dell’avventura di Dio con l’uomo. Ci ha creato dalla polvere, ci ha fatto, ci ha plasmato, ci ha soffiato dentro di sé. Come può lasciarci allo sbando? Come può pensare che avremmo capito tutto, una cosa così immensa e così delicata? Tanto è vero che ben presto ne abbiamo fatto un pasticcio e ancora oggi siamo capaci di trasformare il giardino in un inferno. Perché l’inferno è un prodotto degli uomini e del nemico di Dio: non la punizione del Padre» «Il Padre – ha continuato – ci vuole davvero beati. Per questo ci ha dato il suo Figlio, l’unico che incarna pienamente questa visione della vita, l’unica parola di beatitudine che diventa palpabile e incontrabile. Tanto che lungo il Mar di Galilea dei pescatori l’hanno seguito, senza sapere perchè. Gli andavano dietro come affascinati e imbambolati, un po’ per il loro desiderio di guadagno e un po’ perché non lo sapevano neppure loro… Lo capirà l’apostolo Paolo, che decine di volte nelle sue lettere dirà: “noi viviamo in Cristo Gesù”». Da qui l’invito a farsi evangelizzare da Cristo così che l’esistenza possa diventare realmente una vita evangelica: «Non più folla, curiosi, turisti, gente che applaude e che crocifigge, ma discepoli, amici, collaboratori, familiari, partecipi della stessa identica missione». Perché la vita evangelizzata divenga evangelica occorre «scegliere di condividere i pensieri e i sentimenti di Gesù, di stargli attaccato. Come Giovanni, che poggerà il suo capo sul petto di Gesù nel momento più difficile e riuscirà a stare accanto a Maria sotto la croce». E dopo aver ricordato la testimonianza scomoda di Papa Francesco «che ci dà altrettanto fastidio di quanto ce ne dava Gesù, perchè è veramente evangelizzato, evangelico ed evangelizzatore nel suo modo di parlarci di Dio e di guidare la Chiesa», mons. Napolioni ha esortato: «Non guardiamo da lontano: tuffiamoci! A costo di sentirci dire: hai dubitato? Non ce la fai a camminare dietro di me? Come accadde a Pietro. Perché siamo uomini e donne di poca fede. Ma la sua mano ci riprenderà e ci condurrà al traguardo». Ascolta l’omelia di mons. Napolioni Durante l’Eucaristia mons. Napolioni ha pregato in modo particolare per tutte le donne, nella festa a loro dedicata, perché siano sempre più immagine del «grembo materno di Dio», ma anche per l’arcivescovo cremonese Vacchelli che è stato ricoverato in ospedale per problemi di salute. Photogallery della Messa al Monte delle Beatitudini I cremonesi hanno quindi visitato la località di Tabgha, sempre sulle rive del lago dove si trova il santuario che ricorda l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci: un grazioso edificio sacro preceduto da un portico assai armonico custodito dai monaci benedettini tedeschi. Proseguendo sulla strada principale il gruppo ha raggiunto un giardino ricco di piante e di vegetazione dove vivono anche strani animali citati più volte nella Bibbia: gli iraci. Fin dai tempi più antichi questo luogo posto proprio sulle sponde del mare di Galilea è identificato come lo scenario della terza apparizione di Gesù ai discepoli dopo la risurrezione: da qui probabilmente Pietro e i suoi soci pescatori prendevano il largo per gettare le reti, qui Gesù chiese a Pietro per tre volte se l’amasse davvero. Qui sorge la chiesa del Primato di Pietro opera recente del 1933 che però contiene una roccia conosciuta come «mensa Christi»: è la «tavola» sulla quale il Risorto e i discepoli mangiarono insieme per l’ultima volta il pesce del lago. I pellegrini, dopo aver sostato sulla vicina spiaggia, hanno recitato nella chiesetta il Credo ricordando anche il passaggio di Paolo VI che su quella pietra si inginocchio e pianse sentendo tutto il peso del Pontificato. Il sito archeologico di Cafarnao con la casa di Pietro e la sinagoga del IV-V secolo costruita su quella frequentata da Cristo è stata l’ultima meta della mattinata. Cafarnao era una cittadina con una guarnigione militare romana e un posto di dogana. Si trovava infatti sulla via Maris o via del mare, una strada che attraversava tutta la Palestina, congiungendo l’Egitto con la Mesopotamia, ma già nel VIII secolo essa risulta disabitata forse a causa di un terremoto che ne provocò il rapido declino. Ma certamente il momento più emozionante è stata la traversata con due battelli del lago di Tiberiade. Sulla barca come Pietro e i suoi amici discepoli, sulla barca come tanti fragili eppure convinti “pescatori di uomini”. Proprio nel mezzo i motori si sono spenti e per qualche minuto i pellegrini hanno sostato in silenzio facendo risuonare nel cuore la domanda che Gesù stesso rivolse a Pietro e agli altri: «E voi chi dite che io sia?». Rimirando le coste il pensiero è andato alla Siria così poco distante eppure così lontana per quell’atmosfera continua di violenza e di morte che continua ad incombere come una cappa asfissiante. La traversata si è conclusa in un kibbutz (una sorta di associazione di famiglie che lavorano la terra) dove è stato servito il tipico piatto di questa zona: il pesce di San Pietro. Photogallery della mattinata sul Lago di Tiberiade La giornata si è conclusa a Cana di Galilea, teatro della miracolosa trasformazione dell’acqua in vino ad opera di Gesù durante una sposalizio: dinanzi alla chiesa che ricorda questo fatto prodigioso le coppie presenti hanno rinnovato le promesse matrimoniali ricevendo la benedizione del Vescovo. I pellegrini hanno visitato l’edificio sacro oltre ad un piccolo museo contenente una anfora simile a quella del miracolo e gli scavi di un’antica sinagoga del III-IV secolo. Poco distante sorge anche una cappella in onore di uno dei dodici apostoli di Gesù, San Bartolomeo-Natanaèle- originario proprio di Cana di Galilea Photogallery della visita a Cana di Galilea Giovedì 9 marzo la comitiva lascerà definitivamente Nazareth per percorrere la Valle del Giordano. Vi sarà una sosta a Qasr el Yahud, memoriale del Battesimo di Gesù quindi l’arrivo a Gerico per la visita e il pranzo. Continuazione per Betlemme e visita alla Basilica della Natività e al Campo dei pastori. Celebrazione della S. Messa alle ore 16 nella Basilica di Santa Caterina. In serata trasferimento in hotel per la cena ed il pernottamento. ARCHIVIO: Intervista a don Roberto Rota sul pellegrinaggio diocesano in Terra Santa Primo giorno: partenza dall’Italia e arrivo a Nazareth Secondo giorno: Messa alla Basilica dell’Annunciazione, visita di Nazareth e del monte Tabor PROGRAMMA DEI PROSSIMI GIORNI Venerdì 10 marzo: BETLEMME/Escursione a Gerusalemme Mezza pensione in hotel. Partenza per Gerusalemme. Alle ore 9 celebrazione della S. Messa nella Basilica dell’Agonia; a seguire salita al Monte degli Ulivi e visita dell’edicola dell’Ascensione, della Chiesa del Pater Noster, della Chiesa del Dominus Flevit, terminando con la Tomba delle Vergine. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio alle ore 15 incontro con Mons. Pizzaballa; a seguire percorso della Via Dolorosa nella città vecchia partendo dal Convento della Flagellazione ed arrivando alla Basilica del Santo Sepolcro. Visita e tempo a disposizione. Sabato 11 marzo: e a Gerusalemme BETLEMME/Escursione nel Deserto di Giuda Mezza pensione in hotel. In mattinata escursione nel Deserto di Giuda: visita di Qumran, dove in alcune grotte vennero rinvenuti i più antichi manoscritti della Bibbia. Rientrando a Gerusalemme sosta al Wadi Qelt. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio celebrazione della Santa Messa alle ore 15 nella Chiesa di San Pietro in Gallicantu; a seguire visita del Sion Cristiano con il Cenacolo, la Chiesa della Dormitio Mariae e la Valle del Cedron. Domenica 12 marzo: BETLEMME/Escursione a Gerusalemme Mezza pensione in hotel. Partenza per Gerusalemme e visita della Spianata del Tempio e al Muro occidentale della preghiera. Visita del nuovo museo francescano e della chiesa di S. Anna dove alle ore 12 sarà celebrata la S. Messa. Nel pomeriggio visita dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto e continuazione per Ein Karem con la visita ai santuari che ricordano la Nascita di S. Giovanni e la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Lunedì 13 marzo: BETLEMME/GERUSALEMME/TEL AVIV/ITALIA Dopo la prima colazione eventuale tempo a disposizione sino al trasferimento in aeroporto a Tel Aviv per il rientro in Italia. Una scuola da rileggere con don Milani Si svolgerà sabato 11 marzo, a partire dalle 16, presso il Centro pastorale diocesano di Cremona, il Convegno ”Faccio scuola – Perché voglio bene a questi ragazzi”. Le parole di don Lorenzo Milani inquadrano già il senso dell’incontro, rivolto in particolare al mondo della scuola, ma aperto a tutti coloro che hanno a cuore la formazione delle nuove generazioni. L’incontro può costituire un’occasione di ripensamento della professione del docente e della relazione educativa con bambini e ragazzi alla luce degli scritti di un “cittadino, prete, maestro” che ha posto al centro della sua azione pastorale proprio l’educazione. Le esperienze della scuola popolare a S. Donato di Calenzano e a S. Andrea in Barbiana sono state sperimentazioni singolari, al centro di accesi dibattiti negli anni “caldi” delle riforme relative alla scuola dell’obbligo e della contestazione studentesca alla fine degli Anni ’60: la stessa introduzione dei Decreti Delegati nel ’74 sembrò ad alcuni recuperare la sua idea di una scuola restituita alla responsabilità della società civile. Oggi, a 50 anni dall’uscita di “Lettera a una professoressa”(1967) , possiamo tornare a confrontarci con le idee di don Milani, che definì quello scritto “un canto di fede nella scuola”. Lontani ormai dal “fuoco” delle polemiche ideologiche e liberi da inutili scontri “confessionali”, ci poniamo l’obiettivo di accogliere le provocazioni di un “grande educatore italiano”, come lo ha definito anche Papa Francesco nell’incontro con gli studenti (Roma 10 maggio 2014), perché come lui convinti che “Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni… E se uno ha imparato a imparare… questo gli rimane per sempre”. Al centro del convegno dell’11 marzo l’intervento del giornalista e scrittore Mario Lancisi, studioso del mondo cattolico toscano e non solo, autore di numerose pubblicazioni sul sacerdote fiorentino e sulle sue opere. Ultimo, in ordine di tempo, il saggio “Processo all’obbedienza”(2016) che interpreta anche le altre due Lettere, “Ai Cappellani militari” e “Ai giudici”, proprio alla luce dell’esperienza pedagogica e didattica di don Milani. In una scuola in cui i “due libri sacri” erano il Vangelo e la Costituzione e dove la cultura veniva intesa “come interesse per il prossimo” di fronte all’attacco rivolto agli obiettori di coscienza al servizio militare –“quei 31 ragazzi italiani …in carcere per un ideale” – il sacerdote-aestro scrive: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa… Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto”. Il possesso della parola (“perché è solo la lingua che fa eguali”) e la formazione di una coscienza civile: così Lancisi recupera caratteristiche e finalità della scuola di Barbiana, una scuola “in cui il maestro deve educare i ragazzi a impegnarsi per leggi migliori… una scuola come zona franca in cui formare i ragazzi al senso della legalità, ma anche al superamento di leggi sbagliate” e “il miglioramento passa anche attraverso la nozione del conflitto, della disobbedienza, dell’obiezione di coscienza”. Dalla ricostruzione del processo subìto, emergono nel libro i tratti fondamentali della personalità di don Milani, il contesto culturale, politico, sociale ed ecclesiale in cui si trovò a operare e a compiere, da “obbedientissimo disobbediente”, scelte di fedeltà alla sua vocazione di sacerdote e maestro. Nel confronto in sala con il relatore e con esperienze in atto in realtà scolastiche del nostro territorio sarà possibile recuperare il senso del lavoro intellettuale, di quel “fare scuola” come condivisione di un sapere che “serve solo per darlo”. Daniela Negri Locandina del convegno Pubblicazioni per approfondire: Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani