Didattica dell`IRC nella riforma della scuola/1
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Didattica dell`IRC nella riforma della scuola/1
PER UN IRC RINNOVATO Didattica dell’IRC nella riforma della scuola/1 Una serie di interventi sulla didattica dell’IRC È indubbiamente vero che l’aspetto metodologico-didattico è stato spesso messo in secondo piano dalla nostra scuola centrata, nonostante i cambiamenti della Riforma, più sui contenuti e la loro fedele trasmissione che sul processo di insegnamento-apprendimento. È anche vero che, solo da alcuni decenni, la didattica ha definitivamente conquistato la sua piena autonomia dalla pedagogia e si è affermata anche come didattica disciplinare. ■ Dobbiamo riconoscere che nello sforzo compiuto negli ultimi vent’anni per portare l’IRC all’acquisizione di uno statuto disciplinare paritario con le altre discipline scolastiche per un suo pieno inserimento nella scuola, la questione metodologica non ha avuto quella centralità che avrebbe dovuto occupare. In questi anni la riflessione e il dibattito si sono concentrati soprattutto sulle tematiche della tenuta dell’IRC, dell’avvalersi o meno dell’insegnamento, della confessionalità e del riconoscimento del ruolo degli IdR. Oggi avvertiamo con più chiarezza la centralità della questione metodologico-didattica per dare dignità disciplinare ed efficacia all’IRC. ■ ■ Proprio sulla questione metodologico-di- Situazione della didattica dell’IRC e istanze per un rinnovamento Romio Roberto dattica vogliamo riflettere nella nostra Rivista, proponendo una serie di interventi. L’attenzione va in particolare al modello didattico ermeneutico, in quanto capace, a nostro avviso, di accogliere le nuove istanze della Riforma e di dare risposta, in ambito didattico, alle sollecitazioni dei docenti e degli allievi. I nostri interventi sono in intenso e costante rapporto con la serie di contributi, a cura di ZELINDO TRENTI, iniziata nel n. 1 del 2005. Intento di tale serie è tracciare le linee di una Pedagogia dell’apprendimento nell’orizzonte ermeneutico. Qui il discorso viene ripreso per sviluppare la dimensione didattica di quella prospettiva pedagogica. ■ Cominciamo il nostro cammino con un articolo introduttivo che motiva la proposta di servirsi nell’IRC di modelli didattici. Passeremo poi alla presentazione del modello didattico ermeneutico, che risulta oggi particolarmente corretto ed efficace. Dall’esame delle ricerche nazionali sull’IRC e dalle innovazioni volute dalla Riforma sembra emergere l’urgenza di elaborare nuovi modelli capaci di offrire percorsi di insegnamento-apprendimento efficaci. In concreto: – i risultati delle ricerche nazionali mettono in evidenza che già dal 1990 gli IdR chiedono l’elaborazione di metodologie didattiche er■ 13 Ins Rel 4/05 meneutiche che traducano nella prassi il procedimento ermeneutico; – le scelte metodologiche operate dalla Riforma chiedono alla scuola, e quindi anche all’IRC, l’elaborazione di metodologie e modelli in grado di raccogliere e tradurre nella prassi didattica i nuovi orientamenti rivolti alla acquisizione di capacità personali e di competenze. Con questa serie di interventi si vuole raccogliere la sfida che l’attuale momento di innovazione pone alla scuola e, in essa, anche all’IRC: passare da una didattica empirica ad una didattica che proponga soluzioni e percorsi pedagogicamente fondati e didatticamente appropriati. indaga su altri aspetti didattici come: la fedeltà ai programmi, la presenza degli argomenti di attualità, il rapporto con le altre discipline, i mezzi utilizzati, le modalità della lezione, gli strumenti di valutazione, le modalità di presenza dei genitori... I dati raccolti consentono tuttavia di cogliere alcune linee di tendenza e trarre alcune conclusioni. ■ 1 COSA CI DICONO LE RICERCHE NAZIONALI SULL’IRC Tre ricerche nazionali sull’IRC (1990, 1995, 2004) possono disegnare lo scenario metodologico della disciplina con una certa obiettività ed evidenziarne le linee di evoluzione. La preoccupazione fondamentale della tenuta della disciplina a livello di frequenza, dominante nel ’90, viene nel ’95 affiancata dalle problematiche sulla scolasticità della disciplina e sui docenti. Nel 2004 si cerca invece di capire, in una situazione più complessa, che impatto hanno avuto sull’IRC l’autonomia, la Riforma Moratti e il nuovo stato giuridico degli IdR. ■ ■ In sostanza le indagini si concentrano sulla scelta dell’IRC, sulla disciplina, sui contenuti, sui docenti, sugli alunni e sui genitori, ecc. mentre l’aspetto metodologico, pur sempre presente, risulta tuttavia marginale e limitato. Sono, ad esempio, assenti domande specifiche sulle metodologie educative adottate, sui modelli didattici seguiti, mentre si 1.1. La ricerca del ’90: Una disciplina in cammino ■ A cinque anni dalla revisione del Concordato, la ricerca del ’90 individuava e tentava di verificare tre riferimenti strutturali: – «l’IdR accetta di portare l’attenzione sull’esperienza concreta degli allievi: accoglie o sollecita il dialogo con loro; – è comunque impegnato a non perdere di vista il contenuto dottrinale: in particolare a mantenere un costante riferimento al dato cattolico; – dato per lo più raccolto sulle fonti: bibliche soprattutto, magisteriali in piccola parte». (...) Dalla ricerca risultava con chiarezza che si andava «delineando una metodologia induttiva che si sforza di incontrare gli allievi – dalle risposte degli studenti sembra anche riuscirci –; e però sulle sollecitazioni che affiorano è continua la preoccupazione di evidenziare ed enucleare la dottrina cattolica. Gli insegnanti sono a perno di questa mediazione: sembrano impegnati a non perdere di vista nessuna delle due diverse sponde: quella esperienziale e quella dottrinale. (...) ■ Resta da appurare se e quanto il processo induttivo che affiora venga perseguito adeguatamente. Se cioè il ricorso alle fonti venga giustapposto all’esperienza e ai suoi interrogativi o metta in atto un corretto processo ermeneutico» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1990, 253ss). La ricerca del ’90 metteva dunque in evidenza un doppio rischio: da una parte quello di «evadere il confronto oggettivo e serio con 14 Ins Rel 4/05 le fonti e con la tradizione; dall’altra di mancare un approfondimento adeguato degli interrogativi che man mano con il crescere dell’età e della scolarità sembrano caratterizzare il momento didattico. (...) Sembra farsi strada una costante esigenza di procedimento induttivo per lo più distante da una consuetudine trasmissivo-deduttiva propria della tradizionale educazione religiosa scolastica. Restano da elaborare e verificare metodologie didattiche in grado di accoglierla e secondarla, anche valorizzando iniziative e tentativi in atto nella prassi attuale» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1990, 326-27). Si evidenziava, in sintesi, la crisi della tradizionale consuetudine trasmissivo-deduttiva e l’affermarsi di un procedimento didattico induttivo che però non trovava metodologie didattiche in grado di tradurlo nel processo di insegnamento-apprendimento. Bisognava indirizzare lo sforzo sull’elaborazione di nuove metodologie didattiche e sulla preparazione prossima e remota degli insegnanti a condurle correttamente. Tale rinnovamento poteva essere facilitato, si sosteneva allora, da «una struttura scolastica che manifestava una serietà e consistenza di tutto rispetto che davano sostanzialmente l’ultima parola all’insegnante» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 303). ■ 1.2. La ricerca del ’95: Una disciplina al bivio La ricerca del ’95 si proponeva di «offrire un bilancio rigorosamente documentato sulla situazione dell’IRC in Italia dopo dieci anni di esercizio effettivo. (...) Confrontare una situazione educativa fotografata nel ’90... e di nuovo rivisitata nell’anno scolastico 1995-96 per verificare la direzione di marcia della disciplina». E in conclusione, senza mezzi termini, dichiarava: «I dati e la loro interpretazione complessiva ribadiscono che l’IRC al bivio è arrivato... può qualificarsi nella sua valenza disciplinare, aprendo la scuola stessa ■ ad istanze di ordine esistenziale ormai ineludibili; può essere forzato ai margini della scuola» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, XVXVI). ■ Dai dati raccolti risultava che il programma ufficiale dell’IRC veniva tenuto presente dalla maggior parte degli insegnanti anche se poi veniva generalmente «concordato» con gli studenti e diveniva dominante l’area di senso rispetto a quelle più caratterizzanti la disciplina. Sia negli obiettivi che nei contenuti, nella scuola media e nella secondaria superiore, le tematiche esistenziali, di attualità e di morale, assumevano chiara preponderanza, erano concordate con gli alunni e trattate in forma dialogica. Veniva, così, confermato quanto già prefigurato nella precedente ricerca nazionale del 1990 (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1990) e cioè il delinearsi, sempre più chiaro, di una scelta preferenziale degli IdR per la metodologia induttiva. ■ L’insegnante sembrava, però, preoccupato di mediare e salvaguardare sia l’istanza esperienziale che quella dottrinale. Evidente era lo sforzo di incontrare l’esperienza degli allievi, ma insieme anche continua era la preoccupazione di salvaguardare la prospettiva dottrinale di tipo più deduttivo. In questo tentativo, l’insegnante sembrava non riuscire ad armonizzare bene l’istanza induttiva e quella deduttiva, il ricorso all’esperienza e ai suoi interrogativi e il ricorso alle fonti. Risultava dunque necessario un chiarimento sulle metodologie educative che venivano utilizzate spesso senza consapevolezza. ■ A questo proposito dobbiamo aggiungere che la preparazione pedagogico-didattica degli IdR risultava, in quegli anni, ancora carente. Essa era sostanzialmente assente nelle facoltà teologiche e, anche se presente negli ISR e ISSR, non assumeva quel rilievo che avrebbe dovuto avere per un professionista dell’educazione religiosa. La preparazione degli IdR era ancora incentrata in modo determinante sulle discipline teologiche. Lo stesso accadeva per la formazione in servizio in cui dominavano le tematiche biblico-teologico-morali. 15 Ins Rel 4/05 ■ Quando, nella programmazione, veniva usato un modello didattico, generalmente gli IdR sceglievano quello lineare per obiettivi, che risultava ormai inadeguato alle nuove condizioni educative. Nella scuola media e nel biennio della secondaria superiore il procedimento didattico più utilizzato, secondo la ricerca del 1995, era quello di partire dal libro di testo e di spiegarlo, mentre nel triennio della secondaria superiore si usavano altri sussidi didattici per trattare tematiche di attualità. ■ Nonostante il ricorso all’esperienza ed all’attualità, scarso seguito trovavano, tra gli IdR, le metodologie induttivo-ermeneutiche, forse perché, formati con metodologie deduttive, essi tendevano a riproporre i modelli seguiti nella loro formazione. Riguardo alla collaborazione interdisciplinare, gli IdR collaboravano in genere con gli altri docenti e erano disponibili ad entrare nei progetti pluridisciplinari. ■ Tali risultati portavano alla conclusione che la strada proposta dalla ricerca del ’90 non era stata seguita: non erano state elaborate nuove metodologie didattiche, né preparati gli insegnanti a condurle correttamente. E dunque si poteva affermare: «Non sembra che nel frattempo si sia minimamente ripensato il curricolo degli IdR: la piattaforma dottrinale e teologica resta identica; qualche ritocco e qualche attenzione ulteriore viene data all’aspetto pedagogico didattico. Non è stata ripensata la logica della loro preparazione professionale» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 100). ■ Appariva comunque evidente che l’IRC era sempre più «concordato», le tematiche esistenziali, di attualità o interesse etico-sociale, assumevano chiara preponderanza. Il dialogo con gli allievi era la forma preferita. La dimensione religiosa risultava disattesa e comunque non adeguatamente tematizzata. L’uso del libro di testo preponderante nel primo ciclo e nel biennio della secondaria superiore veniva sostanzialmente abbandonato nel triennio per essere sostituito con materiale audiovisivo, lettura delle fonti, materiale dell’IdR (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 99). La ricerca si concludeva con la netta percezione che «l’autorità dell’insegnante e l’autorevolezza della disciplina sono state fortemente intaccate» ed è quindi «velleitario che l’insegnante imposti una metodologia comunque rigorosa ed esigente... la valutazione scolastica è stata intaccata, la partecipazione resa improbabile, la serietà curricolare compromessa...» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 303). Si poteva affermare che nell’IRC vi era più «una didattica dell’insegnare che dell’apprendere, una didattica dell’accoglienza, dell’accompagnamento, dell’interpretazione delle esigenze giovanili, ma non una didattica dell’apprendimento» (G. MALIZIA - Z. TRENTI 1996, 210-224). 1.3. La ricerca del 2004: Una disciplina in riforma Gli autori della ricerca del ’95 non potevano immaginare che, solo due anni dopo la loro pessimistica conclusione, la Riforma avrebbe dato il via a quella spinta innovativa che avrebbe ridisegnato tutto il sistema educativo e lo stesso IRC all’interno di quel sistema. La ricerca del 2004, ormai nella fase conclusiva di studio e interpretazione dei dati, nasce dalla necessità di capire, nel ventennale del Concordato (18-2-1984), la nuova situazione e le linee di orientamento dell’IRC nell’attuale fase di attuazione della Riforma, con lo sguardo allargato a tutto il sistema educativo formale comprese le scuole paritarie e gli istituti di istruzione e formazione professionale. ■ ■ Essa interroga un campione rappresentativo di IdR, 1600, così composti: 294 delle materne paritarie, 192 dell’infanzia statali, 512 delle scuole del primo ciclo statali e paritarie, 600 delle secondarie di primo e secondo grado statali e cattoliche paritarie. Le domande vertono: sulla formazione degli IdR, sul confronto con il cambiamento, la didattica, i do- 16 Ins Rel 4/05 centi. Le loro risposte verranno sottoposte alla verifica di gruppi di esperti per la valutazione complessiva, l’individuazione di linee di tendenza e l’elaborazione di prospettive di intervento. Una rapida e sommaria lettura dei risultati può consentire di evidenziare alcune linee generali di tendenza. Su un piano generale è interessante rilevare la consapevolezza degli IdR dell’importanza della dimensione pedagogico didattica e della necessità di un suo continuo aggiornamento: oltre la metà degli IdR è, infatti, impegnata in progetti o iniziative didattiche, più del 60% ritiene che debba essere migliorata la preparazione pedagogico-didattica iniziale e oltre il 50% quella in servizio. Questo bisogno di preparazione mette, tuttavia, in risalto anche la carenza in questo settore di una ricerca e proposta seria e continuativa. ■ La ricerca rivolge una sola domanda esplicita sulle metodologie usate nell’insegnamento. Da essa risulta il prevalere preponderante della lezione dialogata (88,3% nel primo ciclo; 91,0% nelle secondarie di primo e secondo grado), o frontale (71,9 % nel primo ciclo; 78,3% nelle secondarie). Tale scelta indica che il processo di insegnamento-apprendimento è ancora quello tradizionale di tipo trasmissivo centrato sul rapporto docentegruppo classe. Il lavoro di gruppo presente nel (73,4% nel primo ciclo; 60,7% nelle secondarie) e l’attività di ricerca (51,6% nel primo ciclo; 48,0% nelle secondarie) di cui si servono una buona percentuale di insegnanti indicano la presenza di metodologie di tipo collaborativo ed induttivo, ma solo come supporto e sviluppo di quelle deduttivo-trasmissive. La grande maggioranza degli IdR (dal 50% al 71%) integra i programmi con altre tematiche. Degno di nota è il fatto che le tematiche di attualità non hanno quell’ampio spazio che si pensava avessero, stando alle precedenti ricerche (3,5% nel primo ciclo e 6,5% nelle secondarie). ■ ■ Il libro di testo conserva la sua centralità se è vero che viene utilizzato da circa il 90 % degli IdR (93,2% nel primo ciclo; 88,7% nelle secondarie) e valorizzato per i compiti a casa dal 44,3% nel primo ciclo e dal 40,5% nelle secondarie nelle quali il 43% utilizza il testo nella trattazione delle tematiche di attualità. Quanto ai mezzi utilizzati, interessante è anche la forte incidenza della multimedialità (circa l’80%). L’utilizzo della Bibbia che supera nel primo ciclo e nel secondo ciclo l’83% indica una chiara coscienza della identità della disciplina. Rilevante è nel primo e secondo ciclo la percentuale di coloro che assegnano compiti a casa (circa il 70%). ■ Gli strumenti di valutazione maggiormente utilizzati sono nell’ordine: i questionari (58,8% nel primo ciclo; 54,5% nelle secondarie), le prove oggettive (57% nel primo ciclo e 48,2% nelle secondarie), i colloqui individuali (54,7% nel primo ciclo e 50,3% nelle secondarie), i lavori di gruppo (51,2% nel primo ciclo e 45,7% nelle secondarie), osservazione sistematica (49,6% nel primo ciclo e 42,7% nelle secondarie). Il prevalere degli strumenti oggettivi di valutazione sembra confermare la prevalenza, a sua volta, del processo deduttivo di trasmissione dei contenuti che conseguentemente richiede una verifica oggettiva sul possesso dei contenuti trasmessi. ■ Dai dati raccolti possiamo trarre, a livello metodologico didattico, queste prime conclusioni. Se è vero che sperimentazioni anche importanti, come quelle sulla didattica per concetti e la sperimentazione nazionale sull’IRC, e pubblicazioni significative hanno visto la luce in questi anni, dobbiamo riconoscere che le istanze messe in luce dalle ricerche degli anni ’90 e ’95 non hanno avuto risposta. Non esiste ancora alcun modello didattico per l’IRC che abbia raccolto l’interrogativo emerso già nella prima ricerca del ’90 e che da anni pesa sulla disciplina: come non «evadere il confronto oggettivo e serio con le fonti e con la tradizione» ed insieme come condurre «un approfondimento adeguato degli interrogativi che man mano con il crescere 17 Ins Rel 4/05 dell’età e della scolarità sembrano caratterizzare il momento didattico»? L’esigenza, costantemente rilevata, «di procedimento induttivo per lo più distante da una consuetudine trasmissivo-deduttiva», meritava, senza dubbio, l’elaborazione e la verifica di «metodologie didattiche in grado di accoglierla e secondarla» (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1990, 326-27). Se a tutt’oggi, gli IdR esprimono come prima e pressante richiesta quella di più formazione pedagogico-didattica è perché metodologie trasmissive dominanti e consolidate dalla tradizione, come quella lineare per obiettivi, non riescono più a rispondere alle emergenti domande educative. ■ ■ La sperimentazione nazionale, segnata da notevole rigidità e da eccessiva prescrittività, – non ha affrontato i veri nodi della educazione religiosa scolastica che sono principalmente sul piano non dei contenuti, ma della collocazione dell’IRC nella nuova scuola nata dalla Riforma. Una scuola non più centrata sul conoscere, ma sull’essere, non più sui contenuti da trasmettere ma sulla persona da educare; e dunque non su una prospettiva pedagogico-didattica trasmissiva, ma su metodologie costruttive della persona, di tipo ermeneutico. Iniziata e terminata troppo presto, la sperimentazione è rimasta tagliata fuori da quel profondo e sofferto ripensamento che ha attraversato la scuola italiana. Le Raccomandazioni per il contributo specifico dell’IRC alla elaborazione dei piani di studio personalizzati nella scuola primaria, del 1º luglio 2004, pur riconoscendo alla Sperimentazione il merito di aver mobilitato energie per rispondere alle nuove emergenze e aver maturato alcune prospettive, dichiarano, senza mezzi termini, che la Sperimentazione è ormai un capitolo chiuso, anche se può offrire materiali di studio e approfondimento che, opportunamente ripensato, può aiutare a promuovere il nuovo IRC. Riportiamo alcuni brevi tratti dal testo delle Raccomandazioni: «La Sperimentazione aveva messo in movimento persone ed energie, per un risultato che richiede senz’altro di venire ripensato, ma che ha maturato alcune prospettive significative (p. 13) ...Facendo quindi tesoro delle scelte didattiche emerse, in particolare del principio della correlazione, dei criteri dell’essenzialità e della progressione ciclica (anche se quest’ultimo per un’applicazione meno rigida), si tratta ora di continuare ad operare per promuovere un IRC sempre più dentro la scuola (p. 13)... si possono valorizzare i risultati della Sperimentazione pubblicati nel Documento conclusivo della sperimentazione nazionale sull’IRC, n. 5 (2002). Le matrici progettuali stesse possono aiutare a traghettare il rinnovamento dell’IRC... Sono uno strumento che, opportunamente adattato, può risultare utile agli IdR» (p. 14). ■ 1.4. La sperimentazione nazionale per i nuovi programmi di IRC ■ La CEI , in accordo con il MPI, negli anni scolastici 1998-99 e 1999-2000 ha attivato la Sperimentazione nazionale per i nuovi programmi di IRC (cf Quaderni della Segreteria Generale della CEI, 1[1997]23; 2[1998]23; 3[1999]24; 4[2000]20; 5[2001]16; 6[2002]16). La preoccupazione era soprattutto dare ordine e sistematicità ai contenuti da trattare nei diversi cicli, e così non ha esplicitamente voluto affrontare la questione sui metodi e modelli didattici più idonei ad un IRC inserito nella Riforma. Dalla sperimentazione emergono tuttavia chiaramente alcune scelte di metodo: – la correlazione tra esperienza di vita e contenuti; – la ciclicità progressiva del processo di acquisizione dei contenuti; – la essenzializzazione delle tematiche intorno al nucleo centrale Gesù e la sua espansione in cinque nuclei tematici fondamentali (Area di senso, Dio, Gesù Cristo, Chiesa, Morale); – l’accentuazione della dimensione interculturale ed interdisciplinare; la proposta dello strumento di programmazione delle matrici progettuali; ed infine l’indicazione dello strumento «laboratorio». 18 Ins Rel 4/05 debiti e dei crediti custoditi nel portfolio delle competenze. 2 LE INNOVAZIONI METODOLOGICHE DELLA SCUOLA DELLA RIFORMA Si sta chiudendo, con la prossima approvazione degli ultimi decreti attuativi della legge n. 53/03, lo sforzo di dettare le regole del rinnovamento della scuola italiana. Questo grande sforzo è stato determinato dalla volontà di superare alcune gravi carenze della didattica tradizionale. Essa, secondo un affermato pedagogista, utilizza modelli cognitivi «inattuali, sfasati e senescenti», dà vita a un’istruzione riproduttiva, mnemonica, enciclopedica, nozionistica e dunque improduttiva, e infine fa riferimento a un profilo individualistico e privatistico. La scuola, che ancora oggi viviamo, trasmette spesso un sapere immutabile, lontano dai fermenti esistenziali, frantumato «in materie scollate e gerarchizzate, spesso in conflitto epistemologico» e prive di relazioni reciproche (F. FRABBONI, 2001, 126-128). ■ 2.1. L’orientamento di fondo: la centralità dell’alunno La Riforma prende atto, innanzitutto, della crisi del modello tradizionale scolastico centralista e della perdita del primato educativo della scuola, inserita oggi in un sistema educativo complesso che va dall’educazione formale (Stato, Regioni, Enti locali), a quella non formale (volontariato, istituzioni varie, ecc.), a quella informale (mezzi di informazione e comunicazione, manifestazioni sociali, ecc.). L’ipotesi didattica della Riforma è l’integrazione tra i vari sistemi all’interno di quello formale e l’integrazione, nel sistema formale, dell’istruzione e formazione professionale. Integrazione che si realizza attraverso il riconoscimento nell’intero sistema dei ■ ■ A livello didattico la Riforma pone fine alla stagione dei programmi rigidi e centralisti e supera la recente stagione della programmazione curricolare, che declina il nazionale nel locale. Essa dispone la gestione diretta e in prima persona dell’istituzione scolastica locale da parte del «capitale sociale» (famiglie, studenti, territorio) anche se all’interno di una direzione nazionale del sistema educativo. ■ Ma il cambiamento fondamentale voluto dalla Riforma è la traduzione, in scelte metodologiche concrete, della centralità dell’alunno nel processo di insegnamento-apprendimento. Un sistema educativo centrato sulla domanda educativa dell’alunno e non più sui programmi. Tale centralità si traduce nella costruzione dei «Piani di studio individualizzati» e del «Portfolio delle competenze individuali» per ciascun alunno. – Con il «Profilo educativo, culturale e professionale» dello studente, le «Indicazioni nazionali», le «Raccomandazioni», lo Stato italiano prescrive, orienta e guida l’attuazione delle «Indicazioni nazionali» che esplicitano i livelli essenziali di prestazione per tutto il sistema educativo nazionale. – Con l’indicazione degli «obiettivi generali» del processo formativo (Ogpf) e degli «obiettivi specifici di apprendimento» (Osa), espressi in termini di conoscenze, abilità e competenze, viene guidata la progettazione delle «Unità di Apprendimento», l’insieme delle quali va a costituire i «Piani di Studio Personalizzati». – Le «Unità di Apprendimento» predisposte dai docenti per ciascun allievo – dopo aver individuato insieme a lui e alla sua famiglia i punti di forza, di debolezza e le prospettive di approfondimento e di recupero – devono trasformare gli obiettivi in competenze individuali. – La conoscenza del livello delle competenze raggiunto e la pertinenza degli interventi didattici adottati vengono assicurate dal «Portfolio delle competenze individuali»: collezione strutturata, selezionata e commentata-valutata dei materiali prodotti dall’allievo. 19 Ins Rel 4/05 – Il «docente coordinatore-tutor», sarà la figura di riferimento in tutto il processo educativo, con una funzione di guida e stimolo (coaching), di sostegno affettivo (holding) e di consiglio (counselling). Il percorso formativo dell’allievo si realizzerà attraverso la sua partecipazione ad un «gruppo classe» e ai «laboratori»: gruppi di livello, di compito ed elettivi, trasversali ai gruppi classe, in cui vengono svolti, nella relazione interpersonale e in collaborazione, compiti unitari e significativi per l’alunno (cf SANDRONE BOSCARINO, 2003, 7-14). 2.2. Il modello di organizzazione scolastica della Riforma ■ ■ Queste indicazioni metodologiche traducono orientamenti che, da anni, tutto il sistema scolastico nazionale ed internazionale aveva individuato e codificato (J. DELORS, 2001). In esse emergono i seguenti orientamenti metodologici fondamentali, generalmente riconosciuti: – la centralità – nel processo di insegnamento-apprendimento – del soggetto che apprende, – la localizzazione delle istituzioni educative con l’apertura al contesto che le circonda, – l’accoglienza delle problematiche emergenti dal vissuto esistenziale e dall’attualità, – l’essenzializzazione dei contenuti con la ridefinizione di una nuova enciclopedia dei saperi, – il superamento degli steccati disciplinari verso un sapere unitario più vicino alla realtà, – l’apertura ai nuovi linguaggi, non solo multimediali, che si vanno affermando, – la costruzione di un sistema educativo integrato per un’educazione permanente, che duri tutta la vita, ecc. ■ Ma a ben vedere nulla di nuovo e di specifico viene detto sulle metodologie da utilizzare nel processo di insegnamento-apprendimento. Il cambiamento è soprattutto strutturale e riorganizza la scuola per favorire i grandi orientamenti educativi della personalizzazione, della localizzazione, della attualizzazione, della essenzializzazione, della multimedialità nella comunicazione, ecc. La Riforma ha raccolto la spinta che da vari anni muoveva la didattica verso un nuovo modello organizzativo della scuola, aperto «verso il fuori» e «verso il suo interno». • Verso il fuori la scuola e l’IRC dovranno costruire un rapporto di reciprocità formativa con le offerte culturali presenti nel territorio: artistiche, civili, sociali, paesaggistiche, ecc. • Verso il suo interno la scuola e l’IRC apriranno le classi all’alternanza tra attività di classe, e interclasse nei laboratori. ■ Il rompersi della rigidità del gruppo classe permetterà l’aggregazione, la disaggregazione e la riaggregazione degli alunni in gruppi mobili ed eterogenei di conoscenza, ricerca, attività. È il contesto ideale per promuovere esperienze personalizzate di socializzazione e di apprendimento. • Nel gruppo di allievi omogeneo per motivazione e rendimento cognitivo, venutosi a formare, troverà piena realizzazione il cammino di individualizzazione dei processi di relazione e di conoscenza. • L’interclasse faciliterà l’allestimento di nuovi «angoli didattici» in cui l’IRC potrà lavorare insieme alle altre discipline e formare «assi disciplinari» di tipo linguistico, letterario, storico, scientifico, religioso, artistico, musicale, ecc. per il conseguimento di nuove abilità e competenze. È una vera rivoluzione in una scuola ancora ingessata dalla burocrazia e dagli steccati disciplinari, finalizzata alla conservazione e trasmissione di saperi inossidabili fissati nei programmi ministeriali. ■ ■ Si apre la strada al sapere «ologrammatico», unitario e totale che si costruisce trasversalmente alle discipline attraverso l’analisi-sistematizzazione-ricostruzione-reinvenzione delle conoscenze canoniche. E pure trasversali alle discipline saranno i progetti didattici e le abilità e capacità acqui- 20 Ins Rel 4/05 site alla fine dei percorsi didattici nei laboratori (F. FRABBONI, 2001, 89-122). ■ L’ultima stagione della Riforma ha posto fine alla logica del programma nazionale da realizzare attraverso la programmazione ed è passata alla «programmazione curricolare»: con la fine dei programmi da applicare esecutivamente in tutte le classi della penisola e il passaggio ai «valori/vincoli nazionali che ogni scuola è chiamata autonomamente a interpretare e ad adattare alle esigenze della propria realtà formativa» (G. SANDRONE BOSCARINO, 2003, 7). Spetterà alle singole scuole e al docente la concretizzazione di tempo, luogo, azione e qualità dei valori/vincoli astratti, attraverso una creativa progettazione di scelte educative e didattiche che nascano dal coinvolgimento attivo di genitori, studenti e territorio. Si tratta di una svolta di mentalità richiesta a tutte le componenti scolastiche, alle famiglie, agli studenti, al personale amministrativo, ma in particolare ai dirigenti scolastici e ai docenti abituati ad essere spesso meri funzionari ed esecutori di ordinamenti, indirizzi e programmi calati dall’alto. ■ – Entrare nei nuovi «angoli didattici» e nella formazione di nuovi «assi disciplinari» significherà affrontare il rischio del confronto con i colleghi e gli altri saperi. – Cimentarsi nella ricostruzione e reinvenzione delle conoscenze canoniche vorrà dire, per l’IdR, mettere a confronto i margini della tradizione cattolica con la logica critico-razionalistica e problematicistica degli altri saperi. Si delinea dunque la figura di un IdR che scende in campo aperto senza tutele e protezioni, forte solo dello statuto epistemologico della disciplina e della sua competenza professionale nel sapere religioso. A questi due aspetti la recente approvazione dello statuto giuridico degli IdR ha dato una maggiore solidità; ma proprio su di essi, in particolare sulla consapevolezza negli IdR dell’identità disciplinare dell’IRC, le ricerche nazionali sull’IRC gettavano delle lunghe ombre (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 107-114; 225229; 297-304). Non così per il grado di flessibilità degli IdR, che le ricerche stimano, invece, più che positivo (G. MALIZIA - Z. TRENTI, 1996, 212). Ma con quale modello didattico attuare tutto ciò? Si tratta di aperture notevoli e interessanti, che lasciano però molti margini di incertezza e generano insicurezza e anche, a volte, il rifiuto nei docenti. Incertezza e perplessità emergono anche dall’ultima ricerca nazionale sull’IRC: la valutazione degli IdR sui vari aspetti contenuti nel progetto di Riforma oscilla attestandosi su un gradimento medio. Certamente siamo di fronte a una sfida che richiede, non solo agli IdR, ma a tutti i livelli, anche a quelli istituzionali e accademici che si occupano dell’IRC, un forte impegno di chiarificazione e di adeguamento. ■ In questo nuovo contesto l’IRC e l’IdR dovranno interagire dinamicamente con le altre componenti formative, uscendo con coraggio dalla parziale emarginazione della loro condizione professionale e disciplinare. • Verso il «fuori scuola»: l’IdR dovrà allacciare rapporti di reciprocità formativa con le opportunità presenti nel territorio: le tradizioni popolari, i segni della memoria storico-religiosa, la produzione artistica, i valori religiosi di carattere civile e sociale, il messaggio culturale-religioso trasmesso nelle caratteristiche paesaggistiche, ecc. • Nell’apertura verso l’«interno scuola», l’IdR dovrà accettare e vivere la flessibilità personale e disciplinare. – In particolare, la disponibilità dell’IdR alla frammentazione del gruppo degli avvalentisi e alla disaggregazione e riaggregazione degli alunni in gruppi mobili ed eterogenei, comporta per lui rinunciare a una didattica più sicura e protetta dal regime concordatario. ■ 21 Ins Rel 4/05 2.3. Il carattere ologrammatico dell’apprendimento Il processo di insegnamento-apprendimento è concepito dalla Riforma secondo il principio dell’ologramma. Non si tratta cioè di raggiungere obiettivi o di trasmettere contenuti, elencati nelle Indicazioni nazionali, ma di realizzare un evento educativo in cui prende forma un insieme di elementi che andranno a costituire il processo di maturazione dell’allievo. Un processo educativo autonomo che la scuola deve sollecitare, sostenere, promuovere, ma che l’allievo deve liberamente e autonomamente scegliere. ■ Il processo di autonoma maturazione dell’allievo, sollecitato e atteso dall’insegnante, deve essere condotto in modo unitario, non frammentato nei compartimenti stagni delle molteplici discipline scolastiche. L’esperienza di apprendimento deve essere unitaria, sia sul piano psicologico che didattico. All’interno di questa unità l’alunno scoprirà la diversità di lettura che le prospettive disciplinari possono offrire. I docenti devono abbandonare lo specialismo autoreferenziale e aprirsi ad un sapere unitario, ad una cultura legata da connessioni «ologrammatiche, ontonomiche, olistiche». Già i saggi, chiamati a consulto dal Ministro Berlinguer all’inizio della Riforma, nel definire il volto della scuola del nuovo millennio avevano parlato della necessità di ridisegnare la nuova enciclopedia dei saperi per la nuova scuola e avevano preannunciato l’inevitabile superamento degli steccati disciplinari verso un nuovo sapere unitario e globale, più vicino alla realtà della vita e ai giovani. Il loro auspicio trova conferma in questa indicazione programmatica del sapere ologrammatico che però dovrà trovare spazi e concreta volontà di realizzazione. Non sarà facile e non sarà certamente un traguardo a breve termine, ma certamente una prospettiva verso cui orientare tutti gli sforzi delle componenti della scuola e del fuori scuola. ■ ■ L’IRC, gli IdR, il sapere e la cultura religiosa non hanno nulla da temere in questo orientamento unitario poiché la religione è una dimensione fondamentale, ineludibile della persona e la religiosità pervade, più o meno palesemente, tutte le manifestazioni della cultura di ieri e di oggi. Compito dell’IRC e dell’IdR sarà quello di far prendere consapevolezza della dimensione religiosa e far emergere il religioso nascosto e confuso nelle manifestazioni anche banali della vita. La domanda di senso che ogni studente porta con sé troverà certamente nell’IRC e nell’IdR quello spazio per la identificazione e la costruzione di una risposta unitaria. Nell’evento educativo unitario che prende forma nel processo di apprendimento l’IdR dovrà essere capace di far confluire l’elemento religioso e di sollecitare, sostenere, promuovere in modo che anche la dimensione religiosa concorra al processo di autonoma maturazione dell’allievo. Ma ancora una volta, perché tutto ciò non rimanga solo sulla carta, si richiede un modello didattico che guidi e traduca concretamente nel processo di insegnamento-apprendimento questa apertura ad un sapere unitario. 3 METODOLOGIA DIDATTICA 3.1. Dalla didattica empirica alla metodologia didattica Il processo di insegnamento-apprendimento è generalmente condotto dagli insegnanti e dagli IdR ponendo in essere una «didattica empirica», cioè un insieme di concetti e teorie, ma soprattutto di abitudini, che costituiscono il retroterra di ogni intervento didattico. Questo insieme di teorie, concetti e abitudini è generalmente privo di quei caratteri di sistematicità e formalizzazione propri della me- ■ 22 Ins Rel 4/05 todologia didattica scientifica. È questo «buon senso pedagogico», formato da credenze, convinzioni, schemi d’azione condivisi, che normalmente orienta e dà significato agli interventi formativi resistendo ai mutamenti ed alle innovazioni. ■ I metodi didattici fanno, invece, riferimento ad una disciplina didattica che si configura come un sapere strutturato e garantito, anche se sempre modificabile. I metodi sono il frutto di un rigoroso lavoro di ricerca che è costituito dall’elaborazione teorica e dalla osservazione analitica dei dati empirici. Nessun metodo, tuttavia, è immodificabile e assolutamente certo, ma tutto si può sempre rivedere. La solidità e scientificità del metodo è data appunto da questo incessante lavoro di ricerca (R. MARAGLIANO, 2000, 63-66). ■ È anche però altrettanto vero che la metodologia didattica si fonda su postulati che possono condizionarla e renderla inadeguata ai nuovi compiti educativi che le mutate condizioni storiche impongono. Il rigore del metodo deve essere, allora, mediato dalla saggia e creativa esperienza dell’educatore che guida il processo educativo. Nella concreta situazione educativa gli elementi fondamentali della didattica: la persona che apprende (il soggetto), chi guida il processo di apprendimento (il docente), gli oggetti del conoscere (i contenuti), le strategie dell’apprendimento (i metodi), debbono trovare una opportuna integrazione nelle scelte dell’educatore (F. FABBRONI - F. PINTO, Minerva 2001, 671-73). ■ Intorno al modo di combinare la domanda del soggetto che apprende, l’intervento dell’educatore, i contenuti e i metodi dell’apprendimento, si sono moltiplicati nella storia recente gli sforzi dei didatti e sono nati i diversi modelli e metodologie didattiche. 3.2. Metodi e modelli didattici Per quanto concerne, l’aspetto metodologico la didattica è la scienza che indaga il concre- to far scuola, con la razionalità antidogmatica e la criticità plurale proprie di ogni scienza. La «metodologia didattica» deve, dunque, regolare il rapporto tra le finalità, gli obiettivi e le attività educative in modo da raggiungere la realizzazione del progetto pedagogico stabilito (F. BERTOLDI, 1990, 52-54). La pratica e la ricerca educativa, di questi anni, hanno evidenziato insieme al moltiplicarsi delle metodologie anche i limiti di ciascuna teoria dell’apprendimento. E tuttavia se vogliamo uscire, come è in realtà avvenuto, dai limiti della teoria astratta e dai rischi dell’esperienza personale diretta, è indispensabile l’elaborazione di metodi e modelli flessibili di istruzione. Il «metodo didattico» si può definire come «l’organizzazione di un sistema di relazioni che mette in reciproca connessione tre strutture: la struttura conoscitiva dell’alunno; la struttura della conoscenza da acquisire; l’insieme delle operazioni da mettere in atto da parte dell’alunno per incorporare gli elementi della conoscenza proposta nella sua matrice cognitiva» (M. PELLEREY, 1982, 172-175). Il metodo ha quindi la finalità di favorire l’apprendimento creando le condizioni migliori affinché i diversi stili cognitivi degli alunni si incontrino, nel modo più idoneo, con i materiali di apprendimento. Ogni metodo indica in modo descrittivo le condizioni che consentono di conseguire dei risultati ed in modo prescrittivo come si possono in date condizioni ottimizzare i risultati desiderati. Con il termine «modello» si intende «la descrizione operativa, concreta e semplificata di un certo fenomeno», e con la dicitura «modello didattico» un insieme integrato di elementi che «prescrivono la sequenza di eventi e funzioni per il compito che conduce ad una istruzione efficace» (M. COMOGLIO, 1998, 79). Il modello semplifica, miniaturizza e riduce alla sua forma essenziale il processo didattico. La sua funzione è quella di aiutare l’educatore a interpretare, valutare, mettere ordine, programmare interventi educativi coerenti e sistematici. Il modello indica i passi necessari per raggiungere i risultati desiderati. I modelli didattici sono in continuo mi- 23 Ins Rel 4/05 glioramento e continuamente si aggiornano in base alle nuove conoscenze. In questi ultimi dieci anni sono stati proposti molti metodi e modelli didattici. La molteplicità esistente evidenzia che la ricerca didattica continuamente arriva a risultati che aprono spazi per nuove integrazioni e sintesi. Ma la molteplicità è indice, non tanto di fragilità ed inutilità dei modelli proposti, quanto della complessità dell’interazione delle variabili in gioco. La diversità dei metodi non deve mettere in difficoltà l’insegnante, al contrario egli deve sentirsi più sicuro nelle sue scelte poiché può scegliere in funzione del risultato desiderato la metodologia più idonea a lui ed agli studenti. Alcuni studenti imparano meglio in un contesto altamente strutturato, altri in un ambiente più aperto e centrato sullo studente. Alcuni vogliono scoprire da soli la verità, altri sono a loro agio se le soluzioni vengono offerte. Alcuni studenti pensano in modo deduttivo, altri in modo induttivo. L’insegnante che usa una varietà di approcci raggiunge più studenti e li incoraggia ad apprendere in una varietà di modi. Egli deve saper padroneggiare un repertorio di strategie per affrontare specifici problemi di apprendimento e dopo averle applicate potrà personalizzarle, adattarle alle diverse situazioni passando dall’una all’altra con libertà. Nessun singolo modello è completamente adeguato. Occorre sviluppare la flessibilità ed accrescere creatività e immaginazione per generare soluzioni efficaci al vasto repertorio di problematiche che l’insegnamento presenta (B. JOYCE - M. WEIL, 1986, 20-21). Conclusione: verso un modello didattico adeguato ■ I metodi non sono fine a se stessi, ma vengono elaborati per dare risposte alle problematiche che emergono dai diversi contesti educativi. A perno di tutto c’è sempre la per- sona dell’allievo che deve essere accompagnato nel suo sforzo di piena realizzazione. Si deve sempre evitare sia la rigidità applicativa sia la superficialità acritica che segue le mode del momento. I metodi devono essere conosciuti e sperimentati dagli educatori, ma la loro funzione è solo quella di contribuire alla ricerca e all’individuazione di soluzioni coerenti, ragionevoli e praticabili nella particolarità dei contesti educativi. Mentre dalla società sale sempre più pressante la richiesta di innovazione e le nuove tecnologie continuamente propongono nuove strumentazioni, la scuola della Riforma si scontra ancora con una diffusa inadeguatezza delle strutture, con una cronica penuria di mezzi e con una generale disillusione del corpo docente. Così è legittimo chiedersi: «Sarà in grado la scuola italiana di raccogliere la sfida e di dare una risposta convincente, per rimanere nel sistema integrato di istruzione e formazione come l’agenzia educativa di riferimento?». ■ Negli IdR si può oggi riscontrare una preparazione didattica generalmente sufficiente e, dopo la spinta della Riforma, della Sperimentazione nazionale e in particolare del Concorso, una ulteriore accentuazione dell’interesse per la dimensione metodologica. Ma si deve anche dire che l’IRC vive, come del resto le altre discipline, la condizione della didattica empirica. Ogni IdR si orienta e decide con il suo «buon senso pedagogico», quando non si sente perso e incapace di dare risposte efficaci alle situazioni educative problematiche. È forse giunto il tempo di passare dalla fase della riproposizione stanca di modelli superati e inadeguati a quella dello studio, sperimentazione e verifica critica di una didattica disciplinare adeguata alla nuova condizione dell’IRC. ■ La proposta di un modello didattico adeguato giunge fino all’analisi di un preciso modello che risulta particolarmente rispondente alle istanze del nostro tempo: si tratta del modello didattico ermeneutico, che svilupperemo nei prossimi interventi. L’intento è quello di contribuire a dare una so- 24 Ins Rel 4/05 luzione vincente alla sfida di ammodernamento e qualificazione che l’IRC dovrà inevitabilmente affrontare. Bibliografia • BERTOLDI F. (1990), Metodologia e didattica nel discorso educativo, in C. SCURATI, Realtà e forme dell’insegnamento, Brescia, La Scuola Editrice. • CLAVO-PLATERO M. - CALAMANDREI M. (1996), Il modello americano: egemonia e consenso nell’era della globalizzazione, Milano, Garzanti. • COMOGLIO M. 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Al volume è allegato il cd-rom con i contenuti del volume stesso e collegamenti fra le tematiche fondamentali. Pagine 368 + cd-rom, € 25,50 Questo lavoro organizza, in modo essenziale e sistematico, il ricco materiale raccolto dall’autrice in merito alle istanze e ai bisogni emergenti nell’ambito dell’insegnamento della Religione Cattolica nella scuola. Il testo è corredato di un cd-rom con i materiali organizzati in power point. 25 Ins Rel 4/05