Una nuova grammatica delle relazioni internazionali

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Siamo entrati in una nuova era, quella dell’universalismo
post-occidentale, che impone la riformulazione dell’occidente
e un nuovo rapporto con l’islam. Un enorme cantiere culturale
che non può essere fine a se stesso. E che necessita
di una nuova classe dirigente che sia educata all’ascolto,
alla comprensione e a saper dividere il bene dal male.
Una nuova grammatica
delle relazioni
internazionali
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l tema è complesso perché non si tratta di analizzare un
evento arrivato improvvisamente. Gli esperti sapevano
che prima o poi qualcosa sarebbe successo in quella
parte del mondo. Ogni fenomeno storico di tale portata va contestualizzato all’interno di un sistema globale,
per far sì che questo movimento storico accompagni
altre ristrutturazioni sul piano geopolitico, geostrategico e geoeconomico.
Il fenomeno delle rivoluzioni arabe non è assolutamente separabile da ciò che avviene a livello mondiale relativamente alla crisi
economica. Mi trovavo il 14 settembre del 2008 a New York il
giorno in cui cadde la Banca Lehman Brothers ed ebbi intuitivamente l’impressione che non si trattava solamente di una crisi
economica, ma di qualcosa di più grave e preoccupante, detta
banalmente una crisi di civiltà. Il sistema politiKhaled Fouad Allam
co europeo è in gravissima crisi e c’è da chiederè sociologo e politologo algerino,
si come faccia l’Europa a occuparsi del mondo
naturalizzato italiano. insegna Sociologia del arabo se è incapace, in se stessa, di definire delle
mondo musulmano all’Università di trieste e relazioni sinergiche. Il messaggio devastante è
islamistica all’Università di Urbino. È visiting arrivato in modo diretto e indiretto a
professor in numerose università straniere.
Lampedusa, via Malta, la Francia, l’Italia, ecc.
Editorialista de Il sole 24 ore. ha scritto:
Ogni rivolta è il prodotto di una crisi, maturaL’Islam globale, rizzoli, milano 2011;Lettera ta tanti anni prima, e di sconvolgimenti che
a un kamikaze, rizzoli, milano 2004; L’Islam hanno animato il destino dell’Europa dopo la
caduta del Muro di Berlino nel 1989. La caduspiegato ai leghisti, Piemme, milano 2011.
I
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ta del Muro ha significato non soltanto la fine del blocco sovietico e, in parte, la fine della guerra fredda, ma, parlando culturalmente e politicamente, la fine di un paradigma che vedeva
l’Europa prolungarsi nell’universo mondo. Nel 1989 il cambiamento di paradigma ha evidenziato il passaggio e il declino di ciò
che poteva significare l’universalismo. Al posto dell’universalismo è subentrato qualcosa di pericoloso che ha animato il
posizionamento politico in parte dell’Occidente e la visione dell’alterità descritta da Jacques Derrida nei suoi libri.
L’uso di un vocabolario può essere indicativo di un andamento
del mondo. All’inizio della guerra nella ex Jugoslavia, dopo la
caduta del Muro di Berlino, subentra una nuova parola, utilizzata nel vocabolario delle scienze sociali e legata all’analisi della
civiltà, che tenderà a definire una griglia di lettura, ma anche una
prospettiva del rapporto fra l’Occidente e gli altri. Questa parola, che entra nel discorso pubblico ma soprattutto nel discorso
politico, è «etnia». A partire dal 1989 subentra una visione etnica del mondo che definisco una etnicizzazione dei rapporti
sociali. Questo conduce, ovviamente, alla produzione di un discorso separatista che attacca la questione dell’islam e dell’immigrazione, creando una novità che attraversa culturalmente e
politicamente il consenso politico, diventando delle frontiere
non territoriali ma culturali.
È interessante vedere l’utilizzo del vocabolo «etnia» per definire
la produzione della violenza politica. La guerra nella ex
Jugoslavia è stata una guerra etnica, bosniaci contro serbi, serbi
contro croati, croati contro sloveni. Nell’Africa subsahariana e
nella zona dei Grandi Laghi, hutu contro tutsi; in India, nel
Gujarat, dove è presente una grande popolazione musulmana, c’è
uno scontro fra indù e musulmani. La valenza dell’etnicità tende
a formulare una visione geopolitica, conducendo alla pubblicazione, nel 1993, di un famoso articolo, divenuto successivamente un libro, di Huntington, dal titolo The Clash of
Civilizations. L’idea dello scontro di civiltà è stata molto devastante perché ha implicato, da una parte, un’architettura del consenso politico, movimenti, partiti di destra, gruppi xenofobi e,
dall’altra parte, ha maggiormente radicalizzato le masse musulmane di fronte alla situazione. Ha prodotto delle frontiere reali
perché il passaggio fra sponda sud e sponda nord del
Mediterraneo è divenuto estremamente difficile. La stessa visione
dell’immigrazione è stata analizzata secondo categorie legate alla
questione dell’etnicità. Tutto procedeva con l’idea di un mondo
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globale e globalizzato. La globalizzazione non ha a che fare solamente con l’economia finanziaria ma è il concetto che definirà
maggiormente la storia del ventunesimo secolo.
Ogni secolo ha una categoria semantica che può essere riassunta
attraverso un’unica parola. Infatti, più di dieci anni fa nel mio
libro L’Islam globale avevo definito la storia del ventunesimo secolo attraverso la parola «modernità». Si è assistito a tutte le
trasformazioni sociali e collettive. Da una parte abbiamo l’isolamento delle frontiere simboliche, che tendono ad amplificare l’incomunicabilità fra le due sponde del Mediterraneo e, dall’altra
parte, si assiste ad una nuova dinamica culturale incline a
trasgredire l’universo mondo, attraverso la fine delle frontiere culturali. Queste ultime passano attraverso il loro superamento, e il
loro superamento avviene tramite i social network: Internet,
Youtube, Facebook. La rivoluzione sposta la comunicazione dalla
semplice territorialità perimetrata a livello nazionale ad un
perimetro completamente allargato che è quello mondiale. Il
fenomeno di asimmetria fra una parte delle frontiere simboliche
e il fenomeno della globalizzazione provoca, sul piano politico, un
vuoto.
Con l’attentato dell’11 settembre del 2001 si è sentita maggiormente la densità del vuoto che tocca tutto il sistema mondiale. Si
vive un’assenza di una grammatica delle relazioni internazionali.
La grammatica è il fondamento logico che dà sostanza alla lingua. Senza la grammatica, una lingua va in tutti i sensi, impedendo di vedere dove va e come potrebbe andare il mondo. Gli
interrogativi che subentrano toccano le relazioni fra le due
sponde del Mediterraneo e che cos’è il Mediterraneo.
Un analista direbbe che tutto quello che facciamo nasconde una
falsa coscienza, un non detto o meramente una funzione ideologica. Si procede attraverso un bricolage istituzionale proprio per
nascondere realmente il problema. Ma dov’è il problema? I rapporti tra l’islam, il cristianesimo e l’Occidente sono storici e stretti. Attualmente chi conosce meglio, da parte del mondo occidentale, il mondo arabo islamico, oggi, è la Chiesa perché,
essendo sul terreno, conosce ed ha delle relazioni istituzionali e
di amicizia.
Il problema è doppio: culturale e politico. Dopo la conferenza di
Barcellona, è successo qualcosa che nessuno, a livello politico,
aveva previsto. Le rivoluzioni arabe sono il fallimento di
Barcellona e dunque dell’Europa. In venti anni il Mediterraneo è
divenuto una frontiera di sicurezza (Lampedusa) ed è la periferia
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del nord dell’Europa. A Barcellona si proponeva di creare nel
2010 un’eurozona mediterranea ma poi si è visto il risultato.
Dall’analisi di una griglia di lettura politica dell’operato
dell’Unione europea dinanzi al Mediterraneo risulta una mancanza di visione politica nel Mediterraneo. Il Mediterraneo non
è uno spazio politico ed è visto, nella narrativa politica e sociologica anglosassone, come uno spazio di conflitto. La politica nel
senso della costruzione di uno spazio politico di interazione fra
le due sponde del Mediterraneo.
In questi venti anni vissuti in Europa, mi sono interessato alla sua
storia, al suo funzionamento e alla sua costruzione. Mi sono
chiesto cosa avevano in mente i padri dell’Unione europea, dopo
la Seconda guerra mondiale. Questi uomini avevano vissuto la
violenza politica e quindi la sofferenza. L’idea di fondo, necessaria
anche alla prospettiva mediterranea, era di superare la violenza. La
finalità del superamento della violenza era di aiutare i paesi che
per anni avevano fatto la guerra insieme (Germania, Francia,
Inghilterra). La genialità era di lavorare a livello culturale e per
questo decisero di creare nel 1948 il Consiglio d’Europa a
Strasburgo. Il Consiglio era nato per mettere i popoli e la cultura
insieme.
È interessante anche l’analisi dell’economia turistica. Non è un
caso che il collegamento fra i popoli e le culture europee che si
ignoravano totalmente negli anni Quaranta e Cinquanta è cominciato con le politiche turistiche del camping. Il camping permetteva a un olandese, a un francese, a un tedesco o a uno spagnolo di vivere un’esperienza comunitaria nello
stesso momento e sullo stesso suolo. La Dopo la conferenza di
matrice culturale è stata fondamentale e, dieci Barcellona, è successo
anni dopo, nel 1958, il Consiglio d’Europa ha qualcosa che nessuno, a livello
aiutato il Trattato di Roma alla creazione politico, aveva previsto.
dell’Unione europea.
Le rivoluzioni arabe sono
L’assenza di uno spazio politico del il fallimento di Barcellona
Mediterraneo necessita di uno sforzo. Si lavora e dunque dell’Europa.
attraverso due paradigmi completamente In venti anni il Mediterraneo
superati: la cooperazione e l’integrazione. La è divenuto una frontiera
cooperazione è superata perché è legata alla di sicurezza ed è la periferia
visione terzomondista degli anni Sessanta e del nord dell’Europa.
Settanta. L’integrazione è impossibile perché, se
non si vuole integrare la Turchia, come si può pensare ad un’integrazione degli altri paesi del Mediterraneo? Tra la cooperazione e
l’integrazione c’è qualcosa a metà strada. Questo va fatto attraverdialoghi n. 4 dicembre 2012
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so l’invenzione di una nuova grammatica delle relazioni internazionali che passi attraverso la creazione di nuovi organismi,
capaci di tradurre le sinergie possibili e le comunicazioni possibili
fra le due sponde. Ad esempio la creazione di un Consiglio dei
paesi del Mediterraneo che non sia unicamente riservato alla
sponda sud. Il Mediterraneo funziona attraverso un triangolo di
matrice latina, Spagna, Francia, Italia ed anche il Portogallo. Il
Mediterraneo balcanico, Grecia, paesi dell’ex Jugoslavia. Il
Mediterraneo afro-arabo, dalla Mauritania fino all’Egitto. C’è
ancora un Mediterraneo che si prolunga fino allo Yemen.
Abbiamo bisogno di un organismo in grado di costruire degli
elementi che accompagnino il cambiamento all’interno del
mondo arabo. La questione della democrazia è la grande questione dell’uguaglianza. Come trattare la questione dell’uguaglianza di fronte alla grande questione delle donne o alle
minoranze religiose nel mondo arabo e ad altre questioni discriminatorie che vengono praticate giuridicamente dal mondo
islamico. Sono entrati loro perché più strutturati. I social network
non sono assolutamente strutturati. È un fenomeno, legato alla
cultura mondiale, che troviamo anche in Occidente. I social network sono un veicolo di comunicazione che non produce pensiero. Bisognerebbe rivedere la relazione tra i
La religiosità dei giovani social network e la produzione del pensiero, da
è di tipo pietista ed essi non dove può emergere qualcuno con autorità di un
vedono nessuna altro. Internet non ha mai fatto nascere delle
incompatibilità tra l’identità leadership, della gente che ha la parola. Internet
religiosa e il processo non è la parola, è il veicolo.
di democratizzazione, Il fenomeno che può interrogare l’Occidente di
ma sanno benissimo che il fronte all’islam politico, è presente. Il sociologo
Corano non dà lavoro. vi dirà che c’è un notevole cambiamento dell’identità religiosa che non è strutturata. In realtà
quello che sta avvenendo nel mondo islamico è una rivoluzione
inesplosa come massa critica, però è presente come seme. È una
maggiore individualizzazione della religiosità. La religiosità dei
giovani è di tipo pietista ed essi non vedono nessuna incompatibilità tra l’identità religiosa e il processo di democratizzazione,
ma sanno benissimo che il Corano non dà lavoro. Per la generazione dei loro genitori contrariamente l’islam politico era
un’ideologia politica.
In Tunisia le nuove generazioni di ragazzi che entrano nel
Parlamento sono completamente impreparate perché l’esperienza politica è diversa. L’incapacità di fare distinzione fra una legge,
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un regolamento o una circolare, li obbliga in un certo senso a
negoziare e ad incontrarsi con coloro che la pensano diversamente. Qualcosa ovviamente cambierà; le parentesi aperte fanno
sì che le masse critiche possano creare dei freni.
Nella Costituzione egiziana si porrà il problema del posto all’islam: sarà una variabile o il mezzo con il quale si misurerà o si
definirà totalmente la questione dell’islam? La faccenda antropologica e sociologica della nascita dell’individuo dinanzi alla pressione di tipo comunitarista è qualcosa di nuovo, marginale certo,
ma è presente e bisogna assolutamente tenerne conto, anche perché aiuterebbe l’Occidente e l’Europa a vedere l’islam come un
cambiamento che va aiutato. Sarebbe utile far conoscere al
mondo arabo il libro di Jacques Maritain sullo Stato, che ritengo
uno strumento di regolazione. Il mondo arabo conosce quello
che passa attraverso il prisma degli ultimi venti anni di guerra,
con un effetto devastante.
La classe dirigente del mondo arabo è molto giovane e per
l’Occidente, dal punto di vista culturale, sarà molto più difficile
negoziare con loro. Chi appartiene alla mia generazione e a quella dei miei genitori, in realtà, ha conosciuto l’Occidente attraverso l’esilio o il prisma della guerra: non ha conosciuto
l’Occidente attraverso il processo di colonizzazione e di decolonizzazione. I miei genitori avevano un rapporto molto subdolo
di fronte all’Occidente, legato ad un complesso di inferiorità
storica. I ragazzi non lo hanno più. In Egitto, e molto di più in
Tunisia, la classe dirigente è di alto livello, conosce diverse
lingue, ha un’ottima preparazione scolastica e considera la propria cultura non inferiore. Il paradigma nei prossimi dieci anni
cambierà totalmente. La transizione democratica va fatta attraverso importanti operazioni culturali.
Pochi anni fa nel discorso all’Università del Cairo, Obama ha
utilizzato la parola «riconoscimento». È una civiltà che ha bisogno di essere riconosciuta, ma non può essere riconosciuto tutto.
Bisogna riconoscere il positivo e disconoscere il negativo. Sul
piano giuridico c’è un enorme lavoro di governance da fare.
Che fine ha fatto l’umanesimo europeo? Avete qualcosa da insegnare? E loro di fronte alle questioni identitarie hanno qualcosa
da dirvi? Ma come può essere superato tutto questo?
Si parla di enormi problemi politici e della costruzione di segmenti di organizzazioni internazionali in grado di tradurre
politicamente una visione del mondo nel sistema globale futuro.
Esiste una sinergia profonda da costruire e da riformulare che si
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basa sulla questione del riconoscimento. I procedimenti politici
hanno a monte dei procedimenti culturali. Una visione politica
è chiusa perché ha in partenza una visione culturale molto
chiusa. Vi è un blocco europeo politico perché c’è un blocco culturale europeo. Viene a mancare la definizione di ciò che è e cosa
potrebbe essere una cultura europea in grado di definire architettonicamente una sovranità europea.
I blocchi dei nostri governanti arabi sono prima dei blocchi
nazionalisti, francesi e tedeschi in particolare. Si vive un divorzio
nei rapporti tra l’islam e l’Occidente: il divorzio tra storia e
memoria. Si continua a vedere il mondo islamico lontano,
l’Oriente esotico di tutto l’orientalismo ottocentesco. In parte è
vero, ma in parte non è vero. Il cristianesimo e i rapporti tra l’islam e l’Occidente sono rapporti storici. È un’urgenza politica
che non tocca solo il mondo arabo perché si sta andando verso
una società di tipo multietnico e multiculturale.
Siamo entrati in una nuova era, chiamata dell’universalismo
post-occidentale, che significa la riformulazione dell’Occidente.
È necessario lavorare in un settore particolare capace di aiutare i
processi di traduzione in arabo delle opere di Mounier o di
Maritain. Un enorme cantiere culturale che non può essere fine
a se stesso. La mancanza della volontà politica dipende dalla formazione, a livello europeo, di una nuova classe dirigente che sia
educata all’ascolto, alla comprensione e a saper dividere il bene
dal male. È necessario creare la speranza perché senza di essa la
società è condannata alla violenza e al conflitto.
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