S. Agata, Vergine e Martire. Tra storia, devozione e culto di Maria

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S. Agata, Vergine e Martire. Tra storia, devozione e culto di Maria
S. Agata, Vergine e Martire.
Tra storia, devozione e culto
di Maria Stelladoro
1) Su Agata, si rimanda al puntuale e recente studio: M. Stelladoro, Agata. La Martire, Milano,
Jaca Book 2005 (Donne d’Oriente e d’Occidente 16); Ead., ad vocem, in M. Fiume (a cura di), Siciliane,
Siracusa 2006, pp. 43-46.
2) Su Euplo/Euplio, martirizzato lo stesso anno di Lucia di Siracusa e cioè nel 304, esattamente 53
anni dopo Agata, si rimanda a M. Stelladoro, Euplo/Euplio martire. Dalla tradizione greca manoscritta,
Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2006.
3) Patrologiae cursus completes. Series graeca, a cura di J. P. Migne, 1857-1866, spec. 114, coll.
1331-1346.
4) Per un maggior approfondimento si rimanda a M. Stelladoro, I Martiri: Vergini e Mulier Virilis,
Testimoni e Atleti della salvezza, in Pagani e Cristiani alla ricerca della salvezza (secoli I-III). XXXIV
Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma 5-7 maggio 2005), Roma 2006, pp. 107-135 [Studia
Ephemeridis Augustinianum 96]. Utile anche Stelladoro, Agata, pp. 43 ss.
5) Al riguardo si rimanda agli studi di C. Crimi, S. Agata a Bisanzio nel IX secolo. Rileggendo
Metodio patriarca di Costantinopoli, in Euplo e Lucia 304-2004. Agiografia e tradizioni cultuali in
Sicilia, Convegno di Studi, Catania-Siracusa, 1-2 ottobre 2004 (in corso di stampa); Id., Ancora
sull’encomio” lacerato”. Due epistole inedite di Emerio Bigot a Leone Allacci, in Synaxis 5, 1987, pp.
261-275; Id., L’Encomio “ lacerato “. A proposito di un apocrifo secentesco su S. Agata, in Synaxis 3,
1985, pp. 387- 412; E. Mioni, L’encomio di S. Agata di Metodio Patriarca di Costantinopoli, in Mélanges
Paul Peeters, Analecta Bollandiana LXVIII, 1950, pp. 58-93.
6) Cfr. A. Longhitano, Il culto di s. Agata, in V. Peri (a cura di), Agata la santa di Catania, Gorle,
1996, pp. 67-125. Al riguardo anche Stelladoro, Agata, cit.
7) Sulla duplice traslazione delle reliquie di Agata da Catania a Costantinopoli e ritorno, si
rimanda all’apposito capitolo in Stelladoro, Agata, pp. 71 ss. (con bibliografia)
8) Di seguito riportiamo un elenco delle principali divinità pagane, il cui culto avrebbe influenzato
quello di Agata:
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Afrodite, dea della bellezza, dell’amore e dei vincoli coniugali, la cui nascita è circondata da
molte mitiche leggende. Secondo Omero nacque da Zeus e dalla ninfa Dione; secondo altri da Urano e
Gea; mentre, secondo Esiodo Afrodite nacque dalla spuma del mare, fecondata dai genitali di Urano,
gettati in mare da Crono, che aveva evirato il padre, in preda a un incontenibile moto di ribellione.
Emersa nuda dalle acque, sopra una conchiglia di madreperla, Zefiro spinse Afrodite fino all’isola di
Citera e poi a Cipro, dove fu ricevuta dalle Ore, che la rivestirono e la incoronarono. Condotta
sull’Olimpo fu accolta con ammirazione e giubilo da tutti gli dei, che rimasero estasiati dalla superba
bellezza di Afrodite tanto che persino Athena e Artemide ne subirono il fascino. Zeus, però, la concesse
in moglie al deforme Efesto, per ricompensarlo di avergli forniti i fulmini nella guerra contro i Giganti;
tuttavia stabilì pure che la bellissima Afrodite elargisse il suo amore a molti altri mortali e immortali.
Infatti Afrodite rappresentò sempre l’amore. Compagni di Afrodite erano le Cariti, il Riso, gli Amori, i
Giochi: la dea di tutti si serviva per conquistare il cuore degli dei e degli uomini. Fu pure involontaria
causa della sanguinosa guerra di Troia, favorendo l’unione tra Paride ed Elena, moglie di Menelao. In
seguito venne distinta in Afrodite Urania adorata come “amore spirituale” e Afrodite Pandemia, adorata
come “amore terreno”. Ebbe un culto assai diffuso e fu onorata anche come protettrice della navigazione;
le città che maggiormente la venerarono furono Cipro, Citera, Corinto e Argo. Tra le piante le erano
sacri il mirto, la rosa, il melo e il papavero; tra gli animali il passero, la colomba, la lepre, il capro, il
cigno, la tartaruga e il delfino. I Romani la identificarono con Venere.
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Demetra, dea delle piante e delle biade, personificava la forza generatrice della terra. Figlia di
Crono e di Rea, sorella di Zeus e di Ades, fu madre di Persefone. Il mito e il culto di Demetra sono
strettamente legati proprio al rapimento della figlia Persefone. Demetra insegnò l’agricoltura agli
uomini, che vagavano per i boschi e si nutrivano di ghiande. Fu pure chiamata Thesmophoros, cioè
legislatrice, in quanto istituì le leggi che governavano la convivenza civile. Da Iasone, un nume della
terra fertile, generò Pluto, dio della ricchezza (perché dall’agricoltura, secondo gli antichi, si traeva la
ricchezza), ma Zeus, geloso, accecò Iasone, quindi si unì a Demetra, che ebbe da lui una figlia, Persefone
o Kore. Ades la rapì mentre un giorno, assieme ad altre giovani donne, raccoglieva fiori in Sicilia. Zeus
aveva dato ad Ades il consenso per la sua violenta azione. Demetra, in preda all’angoscia, abbandonò
l’Olimpo e, sopra un carro trainato da due draghi alati, vagò a lungo per la terra, alla ricerca della figlia,
trascurando l’agricoltura che non diede frutti. In questo suo lungo errare fu rappresentata dagli antichi
con due pini, usati come torce e che erano stati accesi nell’Etna. Alla fine, intervenne Zeus, che, per
mitigare il dolore della dea, concesse a Persefone di ritornare dalla madre, sulla terra, per due terzi
dell’anno. Così, quando Persefone tornava sulla terra, tutta la natura si ridestava e germogliava, ma
quando Persefone ritornava agli Inferi, dal suo sposo, la terra piombava nella cupa stagione invernale.
Durante il suo lungo errare, Demetra capitò, nelle sembianze di una vecchia, nella città di Eleusi, in
Attica, dove fu accolta benevolmente da Celeo, re di quei luoghi. In segno di gratitudine Demetra
insegnò a Trittolemo, come lavorare la terra. Demetra ebbe un notevole culto nella città di Eleusi, ma fu
pure venerata in Beozia, in Tessaglia, nel Peloponneso, a Megara, a Corinto e in Sicilia. In suo onore si
celebravano le Eleusinie e le Tesmoforie. I Romani identificarono Demetra con Cerere e la figlia
Persefone con Proserpina.
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Iside, insieme con Osiride, fu la più grande divinità degli Egiziani. Questa dea egiziana
corrispondeva per i Greci a Io (secondo alcuni mitografi sarebbe da identificare con Io, giunta in Egitto
in seguito alle persecuzioni di Era e ivi deificata dagli abitanti), Cibele, Demetra, Ecate, Persefone e
molte altre ancora. Secondo Plutarco nacque da Saturno e Rea, era sorella gemella e sposa di Osiride
(con il quale si sarebbe unita in matrimonio già nel seno materno) e madre di Horus, con i quali formava
una sacra triade. Era apportatrice di vita e di prosperità, ed anche guida e protettrice dei defunti.
Attributi della dea erano il serpente e la cornucopia, il loto, le corna e il sistro. Quando il marito fu
ucciso da suo fratello Tifone (o Seth, che catturò il fratello Osiride con un tranello, lo chiuse in una cassa
e lo gettò nel Nilo), che ne sparpagliò le membra per tutto l’Egitto, Iside le raccolse (trovò, infatti, la
cassa in un canneto del delta del Nilo e vegliò il corpo dell’amato sposo morto, ma Tifone, mentre
cacciava al chiaro di luna, scorse il cadavere e lo fece in tanti pezzi, che sparse nelle paludi), le
ricompose (con l’aiuto di Anubi e lo seppellì a File o ad Abido) e ridiede la vita a Osiride (il quale
risuscitò, comparve al figlio Horus e lo addestrò a lottare contro Tifone, che infatti fu vinto dal giovane
dio). Secondo gli Egiziani, le inondazioni del Nilo erano provocate proprio dalle copiose lacrime sparse
dalla dea per la perdita dello sposo, così malvagiamente assassinato dal suo stesso sangue: il fratello
Tifone. I Greci la identificarono con Demetra, Afrodite e Selene. I Romani adottarono il culto di Iside
con una certa riluttanza, ma poi questa divinità straniera ebbe largo seguito, specialmente fra le donne
che la venerarono come protettrice dei loro amori.
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Venere-Astarte, antica divinità dei popoli italici, presiedeva alla vegetazione. Era dea dei Sidoni
e dei Fenici (moglie e sorella di Baal), era considerata dea della luna ma anche madre originaria degli
esseri viventi e quindi dea della fecondità e dell’amore. Assimilata dai Romani, fu prima identificata con
Libertina, poi con l’Afrodite dei Greci e, come dea protettrice dell’amore coniugale, ebbe numerosissimi
templi: a Biblo, Cartagine, Sidone e Tiro. Fu identificata con Afrodite e con Cibele dai Greci, con Iside
dagli Egiziani. Ericina è, invece, il sorpannome di Venere, così chiamata perché venerata nel santuario
eretto in suo onore dal figlio Erice in Sicilia, sul monte omonimo.
9) «Stans beata Agata in medio carceris, expansis manibus tota mente orabat ad Dominum: Domine
Jesu Christe, magister bone, gratias ago tibi, qui me fecisti vincere tormentata carnificum, jube me,
Domine, ad tuam immarcescibilem gloriam feliciter pervenire».
Secondo una consolidata tradizione popolare, questo delicato inno sarebbe stato composto per le
monache del convento di S. Benedetto di Catania dal Maestro Filippo Tarallo, un devoto musicista
siciliano, nato ad Aidone, in provincia di Enna nel 1859 e morto a Catania nel 1918. Fu organista nella
Cattedrale di Catania e compositore di musica sacra. Tra le altre sono a lui attribuite: l’ Ester (composta
nel 1883) e l’Aglaia (nel 1913: teatro Bellini, Catania). Su di lui si rimanda alla voce curata da G.
Idonea, in Enciclopedia di Catania, 1-3, Catania 1987, spec. 2, p. 702; A. Sessa, Il melodramma italiano
(1861-1900). Dizionario bibliografico dei Compositori, Firenze 2003 (Historiae Musicae Cultores, 97),
sub voce.