nuovomondo - Barz and Hippo

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nuovomondo - Barz and Hippo
NUOVOMONDO
anno: 2005
nazionalità: Francia/Italia
durata: 120'
scheda tecnica
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
costumi:
effetti:
Emanuele Crialese
Emanuele Crialese
Agnès Godard
Maryline Monthieux
Antonio Castrignanò
Carlos Conti
Mariano Tufano
Berengere Dominguez
L'Etude et la Supervision des Trucages (L'E.S.T.)
interpreti:
Charlotte Gainsbourg (Lucy)
Vincenzo Amato (II) (Salvatore)
Aurora Quattrocchi (Donna Fortunata)
Francesco Casisa (Angelo)
Filippo Pucillo (Pietro)
Federica de Cola (Rita)
Isabella Ragonese (Rosa)
Vincent Schiavelli (Don Luigi)
Massimo Laguardia (Mangiapane)
Filippo Luna (Don Ercole)
Ernesto Mahieux (Dottor Zampino)
distribuzione:
produzione
01 Distributions
Fabrizio Mosca, Emanuele Crialese, Alexandre Mallet-Guy per Memento
Films, Titti Film, Respiro, Rai Cinema
Emanuele Crialese
Nasce a Roma nel 1965. Va a vivere a New York dove si laurea nel 1995 presso il Dipartimento di
Cinema della Tish School of the Arts, la facoltà di cinematografia e teatro più prestigiosa degli Stati
Uniti. Esordisce alla regia due anni dopo, sempre negli Stati Uniti, con "Once We Were Strangers",
lungometraggio in lingua inglese da lui anche scritto e prodotto che partecipa in concorso al
'Sundance Film Festival' 1998. E' così il primo regista italiano che viene accettato nella sezione
competitiva del Festival diretto da Robert Redford. Tra il 1998 e il 2000 Crialese lavora anche in
teatro, sempre negli Stati Uniti. Nel 1999 con il produttore Bob Chartoff (lo stesso di "Toro
Scatenato" e "New York New York") collabora alla stesura di un trattamento cinematografico su
Ellis Island. Ma il successo arriva con "Respiro" (2002), lungometraggio girato nell'estate del 2001
all'isola di Lampedusa con Valeria Golino e alcuni giovani isolani. Nel ruolo di Grazia, la
protagonista, Valeria Golino vince il Nastro D'Argento 2003 ed ottiene la nomination al David 2003
insieme al film e al direttore della fotografia Fabio Zamarion e il produttore Domenico Procacci che
ottiene il Premio. Dopo aver vinto il Premio della critica a Cannes 2003, il film è stato distribuito
una seconda volta nelle sale. Nel 2006 il suo "Mondonuovo" (2005) è stato selezionato per
concorrere all'Oscar come miglior film straniero.
Filmografia
• Nuovomondo
[2005] - Regia,
Sceneggiatura
• Once we were strangers [1997] Regia, Sceneggiatura
• Respiro
[2002]
Sceneggiatura, Soggetto
-
Regia,
Charlotte Gainsbourg
Charlotte Lucy Gainsbourg
Nata a Londra il 21 luglio 1971. Uno dei fiori più anomali e preziosi del Cinema Europeo. Non
particolarmente bella, ma dotata di un fascino indefinibile e sfuggente che la rende continuamente
in uno stato di grazia luminoso. Figlia del compositore, musicista, cantante e poeta francese Serge
Gainsbourg (1928-1991) e dell'attrice e cantante inglese Jane Birkin (1946), Charlotte ha da sempre
respirato a pieni polmoni l'aria dell'arte e dello spettacolo. Nata e cresciuta nella capitale del Regno
Unito, all'interno di un universo poliglotta, ha debuttato, prima ancora che nel cinema, nella musica.
A soli 13 anni, infatti, canta con il padre "Lemon Incest" (tratto dall'album "Love on the beat") e,
solo successivamente, eccola sul grande schermo con il film Amore e musica (1984) di Elie
Chouraqui. Debutto accanto a due grandi stelle europee: Catherine Deneuve e Christopher Lambert.
Due anni più tardi torna alla musica nell'album paterno "Charlotte Forever", dove duetta ancora una
volta con il padre in "Charlotte for ever", "Elastique" e "Zéro pointé vers l'infini", tutte canzoni che
andranno a far parte della colonna sonora di un dramma erotico diretto da Serge Gainsbourg:
Charlotte for ever (1986). Un impegnativo ruolo da protagonista (assai estremo) che la Gainsbourg,
con quel volto adolescente disfatto e quel corpo così immaturo, non riesce a sostenere con bravura.
Per gli anni a venire non canterà più. È solo nel 1986 che darà prova di essere maturata come
attrice in Sarà perché ti amo di Claude Miller. Il fine e narcisistico ritratto di una ragazza acerba,
inquieta e sognatrice la impone nell'occhio della critica e le fa vincere il Cesar Award come Miglior
Promessa. L'anno seguente, reciterà accanto alla madre in Kung Fu Master (tratto da un racconto
della stessa Jane Birkin) della grandissima regista, Agnes Varda, importantissima amica di famiglia.
Nel 1988, è di nuovo Claude Miller che la rivuole come protagonista in La piccola ladra.
Un'interpretazione degna di lode e di plaudo: la critica la descrive come "impertinente, dolcissima,
aspra, frustrata" ed il consenso è unanime: "non è più un'attrice in erba, è una grande attrice".
Notevoli anche le sue escursioni in Italia. Con l'inizio degli anni Novanta, ha lavorato con i fratelli
Taviani in Il sole anche di notte (1990), accanto a Julian Sands, Nastassja Kinski e Massimo
Bonetti, ma si è fatta apprezzare ancora di più per aver dato carne al personaggio brontiano di Jane
Eyre (1995) di Franco Zeffirelli. Una scelta atipica, non essendo seducente e lontana dalla fresca
adolescenza del personaggio letterario, ma che le frutta comunque una pregevole dose di fama
anche nella nostra patria. Nel 1994, si presta al teatro portando sul palcoscenico "Oleanna",
adattamento di Pierre Laville di un dramma di David Mamet. Acclamata sulle scene, nella vita
sposa Yvan Attal, attore e regista dal quale ha due figli: Ben (1997) e Alice (2002). Ritorna alla
musica l'anno successivo, ma solo per beneficenza. Canta la canzone "Di Doo Dah" (scritta dal
padre ormai defunto) nell'album "Les Enfoirés" dove duetta con la madre. Nello stesso album
interpreta anche "Un autre monde" del gruppo Téléphone e "La chanson des restos" di Jean-Jacques
Goldman. Canterà ancora nel 2003, sempre per beneficenza, nell'album "L'odyssée des enfoirés".
Nel 1996 è dietro la macchina da presa del marito in Love, etc. di cui firma anche la colonna
sonora, poi è la volta del suo personaggio più ostico nello psicoanalitico Anna Oz (1996) di Eric
Rochant, ma ne esce ancora una volta trionfatrice. Madonna duetta con lei in "What it feels like for
a girl" (dall'album "Music"), mentre conquista cinematograficamente anche Patrice Leconte e
Bertrand Blier. Un altro Cesar Award le viene conferito come Miglior Attrice non protagonista in
Pranzo di Natale (2000) di Daniel Thompson, dove è la sorella di Sabine Azemà ed Emmanuelle
Beart. Impadronitasi anche del genere comico, viene sfruttata dal marito in Mia moglie è un'attrice
con Terence Stamp, è la prima volta che viene descritta come "uno schianto". Nel 2003 il regista
Alejandro Gonzales Inarritu, fan di suo padre, la inserisce nel film 21 grammi – Il peso dell'anima,
accanto a Sean Penn, Benicio Del Toro e Naomi Watts, mentre nel 2005 è stata apprezzata in Due
volte lei – Lemming (2005) di Domink Moll accanto a Charlotte Rampling. Assolutamente atipica è
la scelta ideale per il film di Michel Gondry L'arte del sogno (2006) nel ruolo di Stephanie, ragazza
che fa perdere la testa a Gael Garcia Bernal, ma anche per Emanuele Crialese (Nuovomondo, 2006),
per James Ivory (City of Your Final Destination, 2007) e Todd Haynes (I'm Not There, 2007).
Filmografia
• 21 grammi - Il peso dell'anima
[2003] - attrice
• Amore e musica [1984] - attrice
• Anna Oz [1996] - attrice
• L'arte del sogno [2005] - attrice
• Charlotte for ever [1986] - attrice
• Contre l’oubli [1991] - attrice
• Due volte lei – Lemming [2005] attrice
• Felix et et Lola [2000] - attrice
• Il giardino di cemento
[1992] attrice
• I miserabili [2000] - attrice
• I'm Not There [2007] - attrice
• Il sole anche di notte[1990] - attrice
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Il sosia [1994] - attrice
Jane Eyre [1995] - attrice
Kung-Fu master[1987] - attrice
L'un reste, l’autre part [2004] - attrice
La piccola ladra [1988] - attrice
Love etc. [1996] - attrice
Merci la vie – Grazie alla vita [1991] attrice
Mia moglie è un'attrice
[2001] attrice
Nuovomondo [2005] - attrice
Pranzo di Natale [1999] - attrice
Sarà perché ti amo? [1985] - attrice
The intruder [1999] - attrice
Il film raccontato dai protagonisti
Intervista a Emanuele Crialese
Partiamo da una considerazione che riguarda la sua esperienza personale. Prima di parlare di
emigranti lo è stato lei a sua volta, dopo essere partito proprio negli Stati Uniti per studiare
cinema. Come ha vissuto il ritorno in patria e perché dopo aver esordito positivamente negli Usa
con “Once we were strangers” (primo film italiano ad essere selezionato al Sundance Festival) ha
sentito il bisogno di ritornare?
Ho sempre nutrito una grande passione per il cinema e dopo essermi fatto una cultura teorica
vedendo tanti film ho deciso di averne anche una tecnica. Ho provato ad entrare nella Scuola
Nazionale di Cinema di Roma ma sono stato scartato. A 26 anni sentivo il bisogno di
confrontarmi con il mezzo tecnico e la scuola che ho frequentato a New York me ne davano
la possibilità. È stata una esperienza eccezionale che mi ha dato l’occasione di confrontarmi
con altre culture. Fatto questo ho deciso di tornare in Italia perché sentivo di avere col mio
Paese un conto mai chiuso e poi di tornare negli Stati Uniti c’è sempre tempo.
Da Respiro a Nuovomondo il salto è triplo. Me ne racconti la genesi?
In realtà “Nuovomondo” è un’idea nata e scritta prima di respiro. Il film è nato da una visita
al museo di Ellis Island. Gli sguardi degli immigrati puntavano straniti l'obiettivo e mi hanno
influenzato. Dopo la mia esperienza americana, tornato in Italia ho scritto “Nuovomondo”.
Ma i produttori non erano d’accordo, consideravano l’idea troppo dispendiosa per un quasi
esordiente e mi dissero chiaramente di cambiare registro. Scrissi “Respiro” e accantonai
l’idea. Almeno momentaneamente.
In “Nuovomondo” così come in “Respiro” si coglie il contrasto tra una parte onirica ed audace e
l’elemento reale, forse anche realista con un ampio uso del dialetto. Come mai questa scelta
apparentemente contrastante che è parte della tua cifra?
La risposta è più semplice di quel che appare. In realtà quando scrivo un film questo è
l’ultimo dei miei pensieri, penso a raccontare una storia nella maniera che mi sembra più
adatta. Chiaramente è inutile negare che in parte è il mio stile, in parte dopo il successo di
Respiro, che pure aveva questa componente, ho recepito che il pubblico apprezzava quel
modo di raccontare che quindi risultava vincente.
Il film tutto sommato sembra essere diverso da altre pellicole che prima di questa hanno tentato di
raccontare un passato tanto commovente. Qual è stata la tua scelta stilistica e quanto è stato
difficile trovarne una che potesse essere “originale”?
Ho avuto dei riferimenti come “America America” di Elia Kazan ma poi me ne sono
staccato. Più che pensare a quello che mi piaceva sapevo bene quello che non mi piaceva.
Faccio un esempio. Dopo aver visto Titanic, con quelle inquadrature che da fuori
dipingevano il naufragio, io sapevo di non voler dare quella visione del mare, ma piuttosto
una visione che rendesse quello che provavano i protagonisti. Essi infatti vedono il mare
dall’interno, come un turbinio che li avvolge e che li tiene in balia. E’ bastato solo cambiare
occhio per cambiare completamente prospettiva. Il resto l’ha fatto la storia.
Qual è stata l'idea di partenza?
Il film è nato da una visita al museo di Ellis Island. Gli sguardi degli immigrati puntavano
storditi verso l'obiettivo come se fossero appena sbarcati sulla luna. Questo film non è stata
una scelta politica o sociologica. E' scaturito solo da quegli sguardi.
Lei comunque ha studiato a lungo la storia di Ellis Island, prima di girare il film. Su cosa si è
basato per scrivere la sceneggiatura?
La mia guida in questa avventura sono state le parole di carta, le lettere spedite ai parenti
rimasti a casa. Venivano dettate perché la maggior parte degli immigrati erano analfabeti. Io
ne ho lette centinaia, cercando di immedesimarmi e ritrovare l'identità di quegli uomini
d'altri tempi, che trovavano sempre il lato positivo delle cose, nonostante la miseria più nera.
La scena della partenza dal porto è particolarmente efficace.
E' stata una delle prime scene che ho disegnato sullo story board, ed è quella che è venuta
più facilmente quando abbiamo girato. Si tratta in realtà del porto di Buenos Aires. Ho
utilizzato delle comparse del luogo, erano tutti figli di immigrati che conoscevano
perfettamente la storia delle loro famiglie. Per questo ci sono stati momenti di grande
commozione che mi hanno letteralmente ipnotizzato e spinto a cercare qualcosa di vero in
quello che stavo girando.
Il tuo film sembra anche contenere, non so se volontariamente, un interrogativo politico e sociale.
Credi che gli italiani abbiano dimenticato cosa vuol dire essere emigranti?
C’è un dato di fatto, inconfutabile, cioè che gli italiani siano il popolo che maggiormente è
emigrato nella storia dell’umanità, nell’ordine dei venti milioni di persone. Attraverso il
lavoro abbiamo trasmesso un messaggio che è quello della ricerca di una vita migliore. A
questo punto non so dire davvero se lo abbiano dimenticato, ma sono certo che dobbiamo
riflettere su quello che ci è accaduto, per capire come accogliere chi arriva oggi sulle nostre
sponde. Non riesco a lanciare messaggio preciso, piuttosto interrogativi. Questa gente parte
lasciandosi alle spalle la propria cultura, nella speranza di una nuova vita e di un lavoro. Gli
italiani hanno costituito la parte più consistente dell'immigrazione nel mondo, 20 milioni di
persone. Ci siamo integrati, abbiamo mantenuto la nostra identità culturale e siamo
conosciuti come grandi lavoratori. L'unico messaggio possibile è: attenzione, è solo gente
disperata che vuole lavorare.
Una curiosità locale. La colonna sonora è firmata dal salentino Antonio Castrignanò. Come sei
arrivato a questa scelta e come sei venuto in contatto con lui e con il Salento?
Chiaramente prima di decidere quali musiche utilizzare mi sono informato su quali fossero
quelle meno inflazionate e più adatte al mio lavoro. Mi fu detto da esperti che le musiche
della tradizione popolare siciliana e salentina facevano al caso mio. Arrivato nel Salento ho
avuto modo di incontrare un etnomusicologo, Gigi Chiriatti, che mi ha invitato a pranzo. E’
lì che ho conosciuto Antonio che mi ha subito contagiato con la sua passione. Dopo,
nonostante le sue riluttanze, sono riuscito anche a convincerlo ad essere nel film nel ruolo di
comparsa.
Come ha costruito il personaggio di Charlotte Gainsbourg?
E' una donna inglese che nel film si chiama Lucy, il mio sognatore sente il suo nome e lo
interpreta a modo suo, e per tutto il film la chiama Luce. Luce è una donna dell'altro mondo,
è una donna moderna, l'unica donna di tutta la nave che viaggia da sola, e che vive
profondamente questo suo senso di solitudine. Per il resto volevo che rimaesse una figura
misteriosa, come un fantasma, come un'idea, è un altro sogno di Salvatore. Era importante
che fosse straniera, perché volevo che anche il mio rapporto con lei implicasse la necessità
di trovare un linguaggio comune a culture diverse, universale. Con Vincenzo Amato ci
capiamo con uno sguardo, con lei è stato tutto più difficile ma anche intrigante e miserioso.
Per me Charlotte rimane ancora un mistero.
Si è posto qualche problema nel girare le parti oniriche?
Quando si fa quelcosa del genere, si teme sempre di essere giudicati presuntuosi, ma al di là
di questo io mi sono lasciato andare. Sono stato molto incoraggiato dall'allegria di tutti i
miei attori. Io mi confronto sempre con loro sulle idee che mi vengono in mente, loro sono il
primo test: dai loro sguardi capisco se la cosa è relizzabile. A volte vengo criticato e a volte
vengo incoraggiato. E così mi sono mosso anche stavolta.
I costumi sono molto importanti in un film come questo... E in NuovoMondo sembrano avere una
vita propria.
Ho avuto diverse discussioni con Mariano Tufano, un esordiente che è un grande costumista.
Io volevo toppe e rammendi, lui ha capito e abbiamo trovato delle soluzioni. Ho lavorato
con lui e gli ho fatto capire che volevo toppe, rammendi, ricami. Abbiamo discusso a lungo,
ma direi che Mariano potrà dirsi soddisfatto perché ha fatto un grandissimo lavoro. Quanto
alla documentazione ho percorso due strade diverse: prima cosa, la documentazione storica.
Ho studiato molto il contesto, e a un certo punto mi sono fermato e ho inizato a leggere le
lettere degli emigranti. Ne ho lette centinaia, ed è attraverso l'espressione diretta dei
sentimenti di quella gente che ho provato a immedesimarmi e di ritrovare lo spirito di un
uomo di altri tempi. Perché l'uomo di altri tempi scriveva in un altro modo, era molto
positivo, gli succedevano le peggiori tragedie ma riusciva sempre a trovare il lavo positivo
delle cose. I miei nonni sorridevano anche di fronte alla miseria più nera. Io li cerco questi
uomini che mi fanno sognare, e che mi hanno accompagnato in questo viaggio che è stato la
fatica più grande che io abbia intrapreso fino ad ora.
Le comparse guardano sempre l'obiettivo e sembrano veri attori..
Sulle comparse volevo dire che che abbiamo scelto di girare a Buenos Aires e ogni singola
comparsa è stata scelta da me su circa settecento persone, anche grazie all'aiuto dei miei
fantastici aiuto registi. Ognuna di quelle persone ha vissuto quella storia anche se
indirettamente: erano i figli dei nostri emigrati in Argentina. Quindi c'è stata una
partecipazione incredibile sul set grazie alle loro storie, ci sono stati grandi momenti di
commozione che mi hanno spinto a continuare a cercare qualcosa di vero.
Molto coraggiosa è stata la scelta di impiegare un dialetto siciliano stretto.
Il suono per me è importante quanto l'immagine. E trovo, ma è un'opinione personalissima,
che tutti i nostri dialetti abbiano una carica emotiva che l'italiano non ha. Il dialetto è pià
carnale, più sanguigno. Io il dialetto siciliano non lo parlo, sono nato e cresciuto a Roma, me
l'hanno insegnato loro, e sentendoli parlare in dialetto, capendo ogni volta qualcosa di più,
l'ho trovato così poetico che non ho potuto fare a meno di riproporlo. Credo che sia una
ricchezza la nostra di avere dialetto e lingua standard. D'altra parte la 01 mi ha concesso
inserire sottotitoli nei punti più ostici, un esperimento senza precedenti.
Si è ispirato a qualche arte figurativa?
Devo ammettere che mi sento poiuttosto ignorante in molti aspetti, tra cui proprio quello
delle arti figuartive. Non vedo televisione, vado pochissime volte a teatro, non vado troppo
al cinema, e non perchè sia uno snob, ma semplicemente perchè non sono capace ad
organizzarmi.
Intervista a Charlotte Gainsbourg
Cosa l’ha attratta dell’avventura di Nuovomondo ?
Ero stata tremendamente sedotta da Respiro. Ho incontrato Emanuele Crialese, che era
letteralmente posseduto dal suo progetto; aveva una "chiacchiera" incredibile, mischiava
francese e italiano con un entusiasmo comunicativo. La sceneggiatura era appassionante, e
accompagnata da documenti visivi: immagini magiche, luoghi, bocche, la nave… Una
pagina di storia che non conoscevo, la sensazione di toccare qualcosa di autentico della
cultura italiana, e non ho dubitato neanche per un istante. Avevo un punto di vista esterno
sul progetto, come una straniera- esattamente quello che sono nel film.
Come ha preparato il personaggio?
La prima tappa è stata la realizzazione dei costumi, che si è svolta a Roma. Emanuele era
molto aperto a quello che proponevo. Mi sollecitava: "Quale dovrebbe essere per te il colore
dei vestiti?". Trovavo interessante il fatto che avesse un collo alto, molto rigido, che la
distingueva dalle altre donne, e che, successivamente, nella nave, si sarebbe denudata un
po’.
Non si sa bene chi è Lucy, quello che si sa arriva da pettegolezzi. Lei ne sa qualcosa in più?
Sono partita sulle tracce di una prostituta, che aveva un passato molto sporco e pesante. Ma
non ne ero così sicura. Di fatto, sono rimasta sulla mia idea di partenza, perché volevo
appoggiarmi a qualcosa di concreto. Durante le riprese, è sempre rimasto un alone di mistero
su Lucy. Emanuele voleva che restasse il dubbio: un giorno, mi ha detto che si potevano
immaginare altre cose, che Lucy venisse dall’alta società, che fosse una donna in decadenza,
respinta dal marito. Sono state inventate molte biografie per tenere la rotta. D’altra parte,
questo personaggio ha una funzione simbolica: Lucy è il legame fra vecchio e nuovo mondo,
e incarna una forma di modernità.
Le riprese sono state abbastanza uniche...
Emanuele ha un suo metodo, con molta improvvisazione, molti cambiamenti all’ultimo
minuto nelle scene o nei dialoghi… A Buenos-Aires, abbiamo iniziato con delle prove molto
fisiche. Come, ad esempio, la tempesta: la folla che impara a muoversi insieme, a cadere
l’uno sull’altro, come in una coreografia.
Le recensioni
il Farinotti 2007
Nella Sicilia degli inizi del Novecento, Salvatore fa un voto e chiede un segno al cielo: vuole
imbarcarsi per il nuovomondo e condurre in America i figli e l’anziana madre. Il segnale è una
cartolina di propaganda che ritrae minuscoli contadini accanto a galline giganti o a carote
sproporzionate. Venduta ogni cosa posseduta, Salvatore lascia la Sicilia alla volta dell’America.
Durante la traversata oceanica incontra la bella Lucy, una young lady che indossa il cappello ed è
più elegante della figlia del sindaco del paese. Luce parla la lingua dell’America e cerca un
compagno da impalmare per ritornarci da signora. Salvatore, da vero galantuomo, accoglie la sua
avance. Il lungo viaggio approderà ad Ellis Island, l’isola della quarantena dove si decideranno gli
ingressi e i rimpatri. Non poteva scegliere un tempo migliore di questo, Emanuele Crialese, per
ripercorrere la storia della migrazione italiana, indagando sulla genesi del pregiudizio che
accompagna da sempre i fenomeni migratori e le dinamiche dell'inserimento nella società di
accoglienza. Proprio oggi che l’Italia è il “nuovomondo”, una meta ambita di immigrazione. La
ricerca di una storia individuale dentro la Storia migratoria era già contenuta nei film precedenti,
nell’Once we were strangers del debutto, storia di un siciliano a New York che sogna il sogno
americano, e nel premiato e prezioso Respiro, storia di una isolana di Lampedusa che il paese vuole
internare in una clinica del nord Italia. L’esperienza migratoria italiana, interna (da Sud a Nord) o
transoceanica, si compie con Nuovomondo, la storia di un viaggio oltremare alla ricerca della terra
promessa. Quel viaggio, chiuso nel profondo di una nave mai ripresa in campo lungo, è compreso
fra due sequenze potenti fino a togliere il fiato: la partenza del bastimento dal porto siciliano e lo
sbarco bianco in America. La nave si stacca dalla terra arcaica strappando la composizione
dell’inquadratura come i cuori di chi abbandona il vecchiomondo e le origini. In mezzo, la
traversata fisica e interiore di personaggi spiegati unicamente dalle immagini, fino al bagno
candido, arrestato dall’affiche, da cui i protagonisti emergono al nuovomondo e di nuovoalmondo.
Prima degli alberi carichi di monete, dei fiumi di latte e di una scatola che sale e scende da case che
grattano il cielo, bisogna superare i test psicoattitudinali, un esame a carattere medico e
amministrativo dal cui esito dipendeva l’accesso alla golden door del titolo internazionale. Gli
edifici di Ellis Island raccoglievano e raccolgono nel film di Crialese una popolazione agraria e
prevalentemente analfabeta, che come Salvatore fuggiva la fame, il tramonto dei vecchi mestieri
artigiani o l’aggravarsi delle imposte sulle campagne del meridione. Alternando campi medi a primi
piani, disciplinando anche le scene più spettacolari, come quella della tempesta tutta implosa nel
ventre della nave, seguendo le linee del profilmico e le visioni surreali dei protagonisti, Crialese
crea una sua idea di cinema, bagnata perennemente dal mare di Sicilia o dagli oceani del
Nuovomondo. Una lezione di cinema che diventa lezione di vita perché rivela allo spettatore
l’indesiderabilità dei nuovi venuti. Ancora una volta, come è stato per la Golino in Respiro, a
illuminare fin dal nome la traversata della vita è una donna, Luce, una straordinaria Charlotte
Gainsbourg, che col suo cappello, i capelli rossi e l’accento inglese è anticipatrice del nuovo
femminismo americano del secondo dopo guerra. È lei a formulare la proposta di matrimonio a
Salvatore, senza credere neanche un momento che la felicità femminile si esaurisca nel ruolo di
moglie e di madre. Lei è la donna moderna, la cui razionalità si scontra con la superstizione e le
credenze assurde di Donna Fortunata, la madre di Salvatore rimpatriata perché considerata
scarsamente intelligente. Lei è la terra madre che qualcuno ha lasciato, come Crialese, per ritornare
e per fare più bella. Non solo al cinema.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
Di fronte a Nuovomondo, visto che siamo in Sicilia, mi è affiorato il ricordo della scritta sul portale
del cimitero di Montelepre: «Fummo come voi, sarete come noi». E ho pensato che i clandestini di
colore, angosciose presenze negli sbarchi quotidiani del tiggì, potrebbero ribaltare il motto in chiave
di speranza: «Foste come noi, saremo come voi». Fra altri cent' anni, Bossi permettendo, i figli e
nipoti di questi miserabili potrebbero infatti ritrovarsi alla pari con quelli che stentano ad
accoglierli, proprio come gli odierni italoamericani. E fra i paradossi della contemporaneità
mettiamoci pure la constatazione che mentre a suo tempo i siciliani fuggivano dalla loro isola per
cercare scampo in America, oggi c' è chi vede la Sicilia come una nuova America. E' questa la
chiave per intendere la valenza attuale del film di Emanuele Crialese, che non vuol essere una
rievocazione storica o una cronaca neorealista bensì il rispecchiamento del fatale andare dell' uomo
dal medioevo alla modernità. Si comincia con la scalata di un' erta petrosa sulle Madonie, a piedi
nudi e con un sasso in bocca, per porre a Dio dalla vetta la fatale domanda: partire o restare? Alla
luce di quello noto come «fattore pull», il richiamo del nuovo mondo dove scorrono fiumi di latte,
piovono denari e abbondano ortaggi giganti (Crialese, che ha la vena poetica, fa vedere tutto ), si
scambiano gli animali di casa con scarpe e vestiti e si va. A questo punto il film ci regala la più
stupenda immagine vista alla Mostra: la nave stracolma si stacca dal porto ed è come se qualcuno
tagliasse crudelmente in due un popolo che sembrava compatto; e subito dopo la sirena del battello
fa alzare al cielo gli occhi di tutti come la tromba del giudizio. Il pater familias Salvatore (Vincenzo
Amato) è un vedovo che posa l' occhio su Lucy (Charlotte Gainsbourg), una rossetta inglese con la
quale imbastisce un idillio intonato alla situazione, razionale e disincantato. La vecchia madre
(Aurora Quattrocchi, un monumento antropologico) si rifiuterà invece di modificare i suoi usi e
costumi. La traversata include una tempesta, girata con rara sapienza tutta sui primi piani e sui
rimbombi come un Titanic dei poveri. Segue l' arrivo nella nebbia («L' America dov' è?») e
cominciano gli esami tra polizieschi e surreali di Ellis Island e solo i promossi diventeranno
americani... Dopo molti anni è tornata sullo schermo del Lido la "lingua dei poveri" di La terra
trema, il dialetto incomprensibile che suscitò la rivolta dei benpensanti nel ' 48. Se stasera non
daranno a Crialese il Leone d' oro, che si meriterebbe per la novità e il respiro del suo film,
bisognerebbe inventare in onor suo, sui due piedi, un premio Luchino Visconti.
Paolo D'Agostini (La Repubblica)
Dopo l'exploit di Respiro, secondo film del regista siculo-romano di educazione newyorkese, c'era
da aspettarsi molto dal suo talento ma le voci sull'ambizione del nuovo progetto facevano temere il
passo più lungo della gamba. Crialese ha ripreso in mano un grande tema della nostra storia recente,
la massiccia emigrazione italiana di fine Ottocento verso l'America, che in realtà è stato raccontato
più da artisti americani di discendenza italiana che non da noi. Il pregio grande del suo film che ha
intitolato Nuovomondo conservandogli però come sottotitolo Golden Door, la porta d'oro, è quello
di scegliere, di concentrare l'attenzione, di evitare di allargarsi e disperdersi. È così che la piccola,
microscopica storia di Salvatore e della sua famiglia diventa il simbolo di milioni di storie e di vite,
di uomini e donne che hanno messo in gioco tutto, ma proprio tutto, per scommettere su un futuro
migliore. I preparativi siciliani con la vendita dei poveri beni e con i rituali mezzo cristiani e mezzo
pagani del distacco. L'imbarco e il viaggio per mare tra indicibili disagi materiali e sognanti
promesse amorose tra Salvatore e la misteriosa inglesina Lucy. L'arrivo a destinazione e, corpo del
film che qui si arresta senza dirci che cosa accadrà dopo e fuori di lì, il lungo e penoso
stazionamento nella famosa e famigerata Ellis Island, la porta dell'immigrazione: dove il film
ricama sapientemente l'intreccio - sempre sospeso tra aspettativa e delusione o speranza e
abbattimento - tra gli incontri combinati di uomini e donne necessari ad essere ammessi o a iniziare
una nuova vita, e la sottomissione a quelle inflessibili pratiche igienico-burocratiche sulle quali
viene gettata l'ombra di un sospetto di anticipazione delle selezioni genetiche naziste. Lo sguardo
incredulo, disperato ma dignitoso di Salvatore (Vincenzo Amato) di fronte al verdetto della
commissione che ammette lui e un figlio ma non l'anziana madre e l'altro figlio perché sordomuto è
qualcosa che si fa ricordare. Ecco, Crialese compone quest'insieme di quadri con molta sapienza, e
dichiara la sua cifra alternando piani realistici e piani onirici, questi culminanti nel potente quadro
di tutta la povera compagnia immersa con indosso i poveri abiti in un bianco mare lattiginoso e
felice. Senza sottoscrivere la maligna e pungente definizione di un collega secondo il quale alcuni
promettenti registi italiani - da Crialese a Sorrentino - già al terzo o addirittura al secondo film "non
lavorano ma capolavorano", verrebbe solo da obiettare che Nuovomondo è un opera riuscita e con
momenti preziosi ma non compatta e omogenea come si vorrebbe.
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
L'idea di partenza del film è semplice, da anni ripetuta come mònito alla ostilità verso gli immigrati
in Italia: «Anche noi italiani siamo stati emigranti, abbiamo patito le sofferenze dello
sradicamento». Il film ambientato all'inizio del Novecento racconta la partenza, il viaggio, l'arrivo
negli Stati Uniti di una piccola famiglia paesana di Sicilia, con una forza e un realismo magico
ammirevoli. Divisa in tre parti, la vicenda comincia con la vita arcaica dei protagonisti al paese: il
bellissimo pellegrinaggio di padre e figli con una pietra in bocca sino alla grande Croce sul monte
per chiedere un segno (partire, restare?), la vendita di tutto per comprare ciò che non hanno mai
avuto, scarpe, un vestito, un cappello. La seconda parte, è il viaggio per mare. L'ultima parte l'arrivo
a Ellis Island, l'incontro di due ignoranze: quella degli emigranti analfabeti e senza uso di mondo,
quella dei burocrati americani con pretese di psicologia e neurologia. Gli emigranti devono
sottoporsi a visite mediche (malati, muti o deboli di mente vengono rimpatriati, gli americani non
vogliono handicappati), a test di intelligenza e di prontezza. Le ragazze vengono esposte allo
sguardo di uomini in cerca di moglie, si lasciano scegliere per un matrimonio che viene celebrato
direttamente a Ellis Island: nessuna donna può sbarcare in America se non garantita da un uomo,
parente o marito. Offesi da tanta padronanza, alcuni chiedono di venir rimpatriati. Gli altri iniziano
una nuova vita nel Nuovo Mondo, usando l'immigrazione come un passaggio dall'esistenza arcaica
alla modernità. Il regista Crialese, già autore del premiato Respiro, preferisce non definire
Nuovomondo «un film sull'emigrazione», ma un film «sul sogno di un mondo migliore»:
definizione a parte, è un film un poco oleografico ma bello, molto interessante.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
Credevamo di sapere tutto sulla grande emigrazione che ai primi del '900 portò milioni di italiani in
America, invece non sapevamo quasi nulla. Credevamo di sapere cosa li muoveva, come erano fatti,
come vivevano, parlavano, pensavano. Grazie al cinema, ai libri e alle canzoni conoscevamo le
immense difficoltà materiali e morali che dovettero affrontare; a forza di racconti la distanza
incolmabile che separava il Vecchio continente dal Nuovo era diventata accessibile, intellegibile,
addirittura familiare. Ed ecco che un film insolito e coraggioso sconvolge tutte quelle false certezze
ricreando sotto i nostri occhi la sostanza profonda di quell'esperienza con una precisione e
un'inventiva che sono insieme opera di antropologia e di poesia. Non un gesto o una parola di
Nuovomondo sembrano infatti arbitrari o fuori posto. Tutto è storico, autentico, documentato, dal
dialetto dei protagonisti agli ingenui fotomontaggi primo '900 che a forza di ortaggi giganti
dipingevano l'America come la terra del Bengodi. Eppure la minuziosa ricostruzione d'epoca
scompare di fronte al respiro mitico di quello che, come dice giustamente il suo stesso autore, «non
è un film politico, non è un film storico, non è un film sociale». Anche se si è documentato per anni
e rievoca pagine poco note, vedi le spose comprate a Ellis Island come bestiame, o i test attitudinali
praticati in massa sugli immigrati «per proteggere gli americani dal contagio di intelligenze
inferiori», primi esperimenti di eugenetica su larga scala, Crialese non fa polemica storica perché
non perde mai di vista il vero centro del film. Che non è, malgrado il titolo, il nuovo mondo (del
quale non vedremo, intelligentemente, neanche un fotogramma), ma il vecchio. Il mondo che
Salvatore e i suoi parenti saliti sul piroscafo perderanno per sempre. Quel mondo contadino e
ancora magico che la nostra letteratura e la nostra etnografia hanno raccontato a fondo, ma che il
cinema forse non aveva ancora saputo avvicinare con tanta forza poetica e insieme con tanta solida,
commovente semplicità (Crialese: «L'uomo che parte è un uomo che porta con sé pochi oggetti e
tutti i suoi morti»). Ed ecco il rapporto viscerale con la terra e con gli animali, che sono asini e
capre, compagni di vita e di lavoro, ma anche serpi e lumache, creature dell'inconscio, del disagio,
del mistero. Ecco quei rapporti familiari oggi quasi incomprensibili, le gerarchie, il sistema degli
affetti e dei doveri, restituiti in uno sguardo o una battuta. Ecco i sogni ingenui e irresistibili, tuffo
in un mondo di archetipi che si intona magicamente alla voce di Nina Simone: un anacronismo
musicale che è quasi la cifra di questo film nitido e sapiente, potente e insinuante, destinato a
"lavorare" dentro lo spettatore per giorni e giorni.
Manuel Billi
Vincitore del Leone d’Argento “Film Rivelazione”, riconoscimento creato ex nihilo per non lasciare
senza premi il film più amato dalla critica internazionale, Nuovomondo ha il pregio di non
assomigliare a nessun’altra opera, di non inseguire o ricalcare modelli sebbene i referenti
cinematografici siano presenti in filigrana (Visconti in primis, ma anche il Buñuel de Los
Olvidados) e, cosa rarissima nella nostra cinematografia, sottende una precisa idea di cinema.
Crialese guida il racconto con maestria, evita di adeguarsi con un tocco “pauperistico-lacrimevole”
ad un soggetto così abusato. Al contrario, ha il coraggio di trattare la materia narrata con un’ironia
non sprezzante: la foto di rito scattata prima della partenza, il test psicoattitudinale a Ellis Island, in
cui la candida ingenuità di Salvatore “annulla” le insidie della prova ed annichilisce i presenti con
una straordinaria dimostrazione di intelligenza messa al servizio della pratica, del gioco manuale.
Con uno stile asciutto segnato da un rigore che quasi mai cede alla spettacolarizzazione degli eventi,
il regista di Respiro rischia tutto puntando sul piano medio, evitando di cadere in vacui
“tornatorismi”, ma anzi parcellizzando lo spazio, reiterando immagini ora asimmetriche, ora
composte seguendo le linee geometriche del profilmico, onde produrre quadri nel quadro mai
gratuitamente confezionati, essendo il film incentrato sulla convergenza/scontro tra opposti che
trovano in tale alternanza “compositiva” la loro configurazione filmica: la presunta razionalità del
“nuovo mondo” vs l’“a-razionalità” delle società arcaiche. Il fatto che la nave non sia mai ripresa in
campi lunghi e che la scena potenzialmente più “spettacolare”, quella della tempesta, consista
essenzialmente nella collazione di piani ravvicinati dei corpi feriti, accasciati al suolo, dei migranti
sono indice di una raggiunta maturità di “sguardo”. La negazione di una visione d’insieme e la
proliferazione di dettagli fa il paio con le soluzioni adottate nella descrizione e rappresentazione dei
personaggi, che si “dispiegano” nelle immagini senza “spiegarsi” o “essere spiegati” da altri,
attraverso i gesti più che le parole. L’evoluzione del rapporto tra la famiglia siciliana e la misteriosa
americana passa prevalentemente attraverso lo sguardo. Crialese sottolinea l’importanza del
riconoscimento, dell’universalità di quel muto dialogare, addirittura “rompendo” l’equilibrio e la
“compostezza” del racconto con segmenti isolati di struggente “verità” (Lucy e Donna Fortunata,
sedute sul letto, in silenzio, un fugace scambio di sguardi, la musica che sottolinea l’avvenuta,
mutua “comprensione”). Immagini e racconti dalla e sull’America che alimentano sogni di gloria ed
invitano al viaggio: galline e ortaggi giganteschi, fiumi di latte, alberi da cui cadono monete. Era
sicuramente rischioso ricorrere al simbolo, alla metafora. Proprio perché non posticce o calate
dall’alto, ma mediate da un personaggio (di fatto sono immagini mentali del protagonista,
letteralmente “sogni ad occhi aperti” condizionati dai racconti e dai fotomontaggi), le parentesi
simbolico-oniriche s’innestano perfettamente nel racconto “realistico”, contribuendo ad avvolgere il
tutto in una densa aurea mitica, arcana, a-temporale: il viaggio verso l’America diviene così un
tragitto simbolico verso un Paradiso ideale, utopico, una sorta di quasi biblica mitopoiesi al di fuori
del tempo e della Storia. Il momento fatidico del distacco dalla terra madre è reso con una delle
inquadrature più potenti del cinema italiano recente: la nave che si allontana lentamente dal porto,
come ad aprire una ferita, una lacerazione intima non rimarginabile. E’ più di un semplice racconto
di emigranti, è forse più legato al tema universale della perdita e dell’abbandono,
dell’allontanamento dal ventre materno (poi suggellato dallo straziante addio alla madre nel finale)
verso mete “(in)immaginabili” ed invisibili. Infatti, come la nebbia milanese secondo Totò,
l’America c’è, ma non si vede…
Alessandro Baratti
La sequenza iniziale di Nuovomondo, con Salvatore e suo figlio Angelo che si arrampicano su una
montagna stringendo un sasso tra i denti, racchiude sinteticamente pregi e limiti dell’ultimo film di
Emanuele Crialese: una messa in scena potente, suggestiva, letteralmente visionaria al servizio di
una scrittura artificiosa, schematica, sguaiatamente allegorica. Complicata da un montaggio
alternato col cerimoniale esorcistico praticato dall’anziana Fortunata sulla giovane Rita,
l’arrampicata possiede un indubbio fascino visivo e un’inequivocabile forza espressiva, ma al
tempo stesso è afflitta da un simbolismo e da una programmaticità altrettanto innegabili. Il desiderio
di elevazione proprio di Salvatore (un credibile Vincenzo Amato) è simboleggiato sia dall’ascesa
che dalla deposizione del sasso ai piedi della croce; la totale dedizione del figlio Angelo (l’ottimo
Francesco Casisa) è rappresentata dalla docilità con la quale segue il padre nel duro percorso verso
la cima della montagna; la selvatica imprevedibilità del figlio minore Pietro (Filippo Pupillo) è
esemplificata dalla bizzarra imboscata con cui importuna scherzosamente le spaurite Rita e Rosa
(Federica De Cola e Isabella Ragonese) e, infine, la scontrosa arcaicità di Donna Fortunata (una
persuasiva Aurora Quattrocchi) è proclamata dalla sua diffidenza per le parole scritte, dalla sua
tradizionale attività di “medica” e dalla sua folle paura di abbandonare la terra (Donna Fortunata è
tanto terrestre e chiusa quanto Salvatore è aereo e aperto: anche in questa opposizione è impossibile
non percepire un’eccessiva schematicità). Tutto fa simbolo, a ben vedere, non esclusi i nomi:
all’asse celeste Salvatore/Angelo risponde quello tellurico Fortunata/Pietro. Alla potenza delle
immagini, insomma, non fa riscontro una caratterizzazione dei personaggi e un controllo della
materia simbolica altrettanto convincenti, Nuovomondo precipitando spesso e volentieri nella
“retorica dell’umiliazione” e nella vieta riproposizione di un’epopea migratoria costellata di episodi
equamente distribuiti tra il degradante, il comico, il tragico, il dignitoso e il commovente. Un
diagramma emotivo di assoluta convenzionalità. Scandito in tre parti dalla durata piuttosto
disomogenea (la seconda sensibilmente più lunga delle altre), è tuttavia nella differente concezione
delle immagini che Nuovomondo presenta il maggior grado di interesse: Crialese riserva infatti un
trattamento visivo peculiare ad ogni sezione, elaborando un linguaggio filmico di notevole
complessità e denotando un’attenzione alla dimensione stilistica tutt’altro che irrilevante. La prima
parte, dedicata alla decisione di intraprendere il viaggio e ai preparativi prima della partenza, è
infatti costruita su inquadrature ampie e spaziose, nelle quali l’orizzontalità della composizione è
interrotta dalla massiccia verticalità delle figure, a suggerire una relazione arcaica e immutabile tra
gli uomini e lo spazio. Il secondo segmento - l’imbarco, il viaggio in nave e le sue traversie - è
invece contraddistinto da immagini più anguste e affollate (fatta eccezione per le parentesi
sentimentali sul ponte): aderendo ai volti e ai corpi dei viaggiatori della terza classe, la macchina a
mano ne condivide tumultuosamente l’angoscia, lo smarrimento e, soprattutto, la forzata
promiscuità. Qualche sbavatura nell’uso delle soggettive e dei ralenti – nel colloquio di sguardi tra
Salvatore e Lucy (una Charlotte Gainsbourg delicatamente spaesata) e nella sequenza della
tempesta – non compromette la sostanziale tenuta della seconda sezione, messa tuttavia a dura
prova dal dialogo “prematrimoniale” immerso nella nebbia. La terza e ultima parte, riservata
all’arrivo ad Ellis Island e alle procedure di selezione degli aspiranti cittadini del Nuovo Mondo,
vede infine la prevalenza di composizioni regolari e geometrizzanti che iscrivono nettamente i corpi
nello spazio, traducendo visivamente la violenta collisione tra l’ingenua speranza degli immigrati e
la rigida normatività delle istituzioni statunitensi. Anche in questo caso risulta evidente quanto le
soluzioni di messa in scena dipendano da una sceneggiatura eccessivamente schematica e
didascalica (talvolta addirittura caricaturale: i test di intelligenza sono un colpo sciaguratamente
basso), eppure l’abilità con la quale Crialese riesce a trasformare in cinema le situazioni narrative e
a modulare un discorso stilistico articolato lo mette definitivamente al riparo da critiche di eccessiva
severità. Fotografia determinante di Agnès Godard.
Priscilla Caporro
Un mare di latte e “un oceano senza alberi”: Crialese, occhio attento alla veridicità delle immagini
ma pronto anche a spaziare in trasognate visioni che vanno al di là della razionalità, con il suo
Nuovomondo riesce a creare una riuscita miscela di realtà e immaginazione, sfruttando gli elementi
più concreti per costruire ampi e delicati castelli con le carte dell’immaginazione. Nuovomondo
racconta di due traversate: una fisica, che porterà i personaggi da una parte all’altra dell’Atlantico,
l’altra interiore, che segna il passaggio da un tipo di mentalità tradizionale a quella del “nuovo
mondo” e che in un certo senso determina il passaggio dall’ingenuità alla maturità. E’ proprio per
questo che risulta difficile ai personaggi più radicati alle proprie tradizioni natali (la vecchia madre,
ad esempio) abituarsi alle nuove consuetudini. Allo stesso tempo l’arrivo in America determina uno
sconcerto comune: l’avventura in terra straniera inizia con entusiasmo (sottolineata dalla profetica
“Feeling good”), eccitazione destinata a spegnersi nelle affollate stanze dei controlli, fra traduttori,
medici, psicologi. Nonostante ciò però la grande aspettativa per il futuro resta: fra nomi storpiati
(“fiumi di latte in Califormia”) e fotomontaggi decisamente irreali (alberi carichi di monete), gli
emigranti lasciano le briglie della fantasia e si ritrovano ad immaginare incredibili grandinate di
soldi o ortaggi giganti. Inutile nascondere che indubbiamente la trovata più suggestiva sia quella
della sterminata distesa di latte, questo oceano bianco e surreale in cui spiccano le sottili figure nere
vagamente spaurite degli emigranti. Crialese è abile a destreggiarsi fra immagini, suono e colore,
riuscendo sempre a trovare il giusto equilibrio fra gli elementi: a questo proposito la sequenza della
tempesta, momento di pathos fra i più alti del film, è la massima sintesi di questa cura per i diversi
elementi compositivi. Allo spettatore non viene concesso di vedere il mare, né di constatare con la
vista la furia del vento: chiusi nello scompartimento dormitorio insieme agli emigranti, la macchina
da presa, così come il pubblico si ritrova sbattuta da una parte all’altra. E’ forse il momento di
massima comunione fra i passeggeri, improvvisamente lanciati in una danza con le onde, ma anche
vittime di un combattimento fra forze naturali (l’aria, l’acqua): sarà al placarsi della tempesta che lo
sguardo indugerà sui corpi stremati dei passeggeri, soffermandosi sulle chiome scomposte, sugli
abiti sgualciti, sulle espressioni finalmente rilassate. Impossibile non dare risalto alla splendida
fotografia curata da Agnes Godard che con nitidezza e allo stesso tempo con morbida dolcezza
riesce a definire i costanti contrasti nell’ambientazioni: quel che incuriosisce la vista è che non
vengano usate le sfumature “caratteristiche” di ogni elemento naturale, ma che anzi si cerchi di
sottolineare l’aspetto realistico meno frequente. Il cielo diventa così una distesa immobile e grigia,
mentre il mare invece di tingersi di blu si rivela un’enorme superficie incolore. A questa visione si
contrappone la Sicilia rurale che viene colorata di toni decisi con le nuvole scure, le rocce ben
definite da una luce diretta che disegna ombre e chiaroscuri. Un cammino fra i colori, fra i suoni di
una traversata faticosa che continua fino ad Ellis Island, un viaggio fatto di grandi aspettative e di
cocenti delusioni. A piedi nudi sulle rocce i futuri emigranti imploravano di ricevere “un segno”. Il
“segno” però, è dall’altra parte dell’oceano.
Raffaella Saso
Nuovomondo ha il fascino che hanno i film ispirati. Racconta soprattutto per immagini e suoni
avvalendosi di una bellissima fotografia che immortala una Sicilia spigolosa, un viaggio
claustrofobico e nuvoloso, un arrivo inscatolato.
Crialese trova la propria personale strada narrativa alternando sorprendentemente realismo e scene
oniriche: il mondo popolare fatto di dialetti, superstizioni e riti, terra e pietra; l'impresa del viaggio
verso l'America nella sua durezza materiale, nei suoi passaggi brutali; e la speranza visionaria
riposta nel nuovo mondo. In questo contesto i sentimenti hanno uno sviluppo sotterraneo e
inarrestabile e le risate arrivano naturalissime, mai ruffiane. Il regista rifiuta tanto l’epica quanto la
retorica compassionevole e lacrimosa e riesce a trovare una voce propria distinta da tutte le altre che
si sono finora accostate al visitatissimo tema dell’emigrazione. Personale e bella anche la colonna
sonora, con la scelta inattesa di alcuni brani americani di Nina Simone. Nel film di Crialese tutto
tende verso un’America mai mostrata, neppure sbirciata, che esiste solo nelle foto fantasiose che
prefigurano cuccagna e beni fuori misura e in quel bagno nel latte a cui gli emigranti sembrano
sapersi abituare con entusiasmo. Perché l’America deve restare solo sognata, immaginata, sperata e
temuta, non ancora conosciuta. Allo stesso modo la pellicola sceglie di lasciare molto non detto e
non spiegato, porte aperte allo spettatore come ai protagonisti, a stimolare i pensieri di tutti e due.
Tanto più che i personaggi di Nuovomondo, vivissimi ritratti tracciati con poco (una carezza
d’addio, uno sguardo furtivo, una frase spontanea), vivono di intensissima vita propria già proiettata
oltre la pellicola. Nuovomondo è un cinema in grande fatto di piccole cose, senza barricate tra i
diversi registri e toni. Un film che usa la specificità culturale non come limite ma come mondo ricco
da esplorare e di grande capacità comunicativa.
Matteo Catoni
La nave si allontana dalla banchina, la gente immobile osserva la scena; che siano i viaggiatori
stessi o semplici spettatori della partenza ha poca importanza, la distanza che si sta aprendo tra
l’imbarcazione e la terra che prima li ospitava si fa sempre più grande, immensa, non cicatrizzabile.
Cosa ci sia al di là del mare sconfinato, che tutto sembra accogliere con un sinistro sorriso, è
qualcosa di bello da immaginare ma forse non da vivere, una nuova terra che segnerà per sempre il
distacco dal vecchio mondo, che indirizzerà le esistenze verso traiettorie imprevedibili. Qualcuno
sogna soldi che cadono dagli alberi, campi che donano frutti giganti a chi saprà coltivarli, ed è tutta
un’illusione o forse la realtà ma a nessuno è dato saperlo. L’America non si vede mai, non si svela,
non si dona, è soltanto immaginata, sommersa dalla nebbia, intravista da una finestra, raccontata
dalle parole. Il distacco come significante per spiegare l’esistenza, dalla terra natia a quello della
nave nel porto, dai sogni che allontanano dalla grigia realtà alla madre troppo vecchia per accettare
il cambiamento. In questo distacco dalle molteplici facce l’autore immerge la sua storia in un bagno
di purificazione, raccontando un viaggio, in cui volutamente tralascia le sottotrame che avrebbe
potuto sviluppare (vedi il fratello di Salvatore emigrato prima di lui) per concentrarsi sull’intimità
dei personaggi, per seguirli passo dopo passo sui loro visi, nei loro modi di camminare, di
mangiare, di parlare, rendendo esplicito, tramite la loro gestualità, l’essenza che anima la loro
volontà di cambiamento. Si abbandonano le vecchie esistenze, ci si scontra con una nuova realtà, si
nuota in un fiume di latte tutti insieme, come spermatozoi pronti a far nascere nuovi figli in un
nuovo mondo.
Mauro F. Giorgio
Potremmo di buon grado considerare Nuovomondo come una sorta di prosecuzione (o
prolungamento) del discorso inaugurato da Respiro su una contrapposizione forte tra tradizione e
post-modernità, tra dimensione arcaico-aurorale preservante e scenari di nuove apocalissi della
contemporaneità, soprattutto nell’analisi dello scarto che li distanzia, nel territorio pericolosamente
attraversabile, come un abisso oceanico, che tende a separarne la continuità semantica. Ci sembra
preferibile accogliere una lettura sub specie aeternitatis in grado di far sprigionare l’energheia
simbolica contenuta nelle frequenti metafore del film piuttosto che indagare storicamente e
contestualmente l’episodio, comunque estremamente significativo, degli emigranti, un fenomeno
che dall’altra sponda dell’Oceano fu sprezzantemente collegato alla questione degli
“indesiderabili”. Nuovomondo è un po’ l’annuncio della nascita di una tragedia o quantomeno di
un evento socio-antropologicamente traumatico configurandosi come narrazione tutto sommato
lineare del passaggio dal mito alla storia. La sequenza del distacco fisico tra la nave che salpa e la
fissità inesorabile della banchina prefigura la cesura netta tra due mondi, il popolo dei migranti che
dice addio alla terraferma si sta allontanando in maniera irreversibile da un’idea arcaica di mondo
contemplando più o meno consapevolmente una forbice concettuale che implica il lascito e la
responsabilità; anche se in realtà è proprio su quella soglia portuale che si stanno verificando i
sintomi inequivocabili di una frattura epocale quando meschine pratiche di speculazione si
sovrappongono ai sogni di esistenze miserande. L’incipit, disegnato da sincere suggestioni
pasoliniano-viscontiane e che riecheggia tanto cinema dei Taviani (il realismo della lingua, la
matericità dei luoghi), richiama una prossimità geografica con il senso di ancestralità evidenziato da
Respiro e il suo “paesaggio con centauri”, delimitando un territorio intriso di mitologia, una zona la Sicilia che è ancora, e sempre, quella dei siculi e dei sicani - abitata dal sacro nella quale lo
spazio e il tempo sono misurati in funzione di un’organizzazione rituale della vita (il rito ordalico
dell’ascesa al monte e quello apotropaico dello “scantu”) in un rapporto simbiotico con la natura.
L’irruzione di un tempo altro, di un tempo “a venire”, nuovo, evocato da un’alterità, appunto,
testimoniata dai fotomontaggi dagherrotipici provenienti da un altrove, scatena l’incontrollabile
elaborazione dell’immaginario preannunciando nel divenire livido dei cieli la fine di un mondo.
Crialese sottolinea la rilevanza di questa capacità d’elaborazione offrendo un corredum visionario
legando il tessuto diegetico a riuscite formule di matrice surrealista, espediente che condiziona
felicemente e fecondamente la cifra espressiva del testo filmico nel suo progressivo gioco d’innesti
narrativi scanditi tra mythos e logos, nel quale l’elemento decisivo è determinato dall’appartenenza
di quello specifico modo di elaborare a una cultura mitica, originaria, a una dimensione sacrale. Il
Nuovomondo diviene quindi l’ignoto dipinto nelle fantasticherie immaginifiche indotte di individui
che abitano, condividendolo, lo stesso perimetro linguistico-simbolico e che non possono pensare al
“nuovo” se non nelle forme di un immaginario condiviso (una terra lontana chissà quanto nella
quale tutto si ipertrofizza). In fin dei conti non è ancora scomparsa nel nostro longevo immaginario,
appartenuto alle civiltà del vecchio mondo durante le rotte colombiane e prima ancora nei sogni di
esotismo dei popoli nell’epoca delle grandi navigazioni, l’immagine di un’America come una
specie di paese di cuccagna (la terra dell’abbondanza). Il transito da mythos a logos la cui
problematicità è descritta dalle scorribande visive sui volti solcati da espressioni di sgomento e
speranza e dai canti con valenza, per così dire, psicoterapeutica, nella traversata oceanica, si risolve
in un rifiuto o, meglio, in un non riconoscimento di un’idea di ragione supposta superiore,
positivista, legata a un presunto principio di progresso, la quale regola l’ingresso dei “senza nome”
(senza nomos) subordinandone il disarmo intellettivo (le prove psico-attitudinali) a un catalogo di
norme parametrate su aberranti assunti scientisti. Di qui la recisa scelta espressamente politica di
Crialese di permanere in un amnios mitico, a-storico, (tra)sognato, anche se questo può voler
significare la naufraga natanza nell’indefinito del suo mare lattiginoso senza possibilità di approdi
sicuri. Come politica del resto è la scelta di soffermarsi ad analizzare la condizione della donna
nella contrapposizione delle due figure femminili principali, Fortunata Mancuso, la “medica”, molto
vicina al mito di Medea, che richiama il valore della memoria e della tradizione (tràdita e tradìta),
che sta accompagnando una nuova identità dell’umano e Lucy, la lady vittoriana che sta
affannosamente adeguando, nel suo simbolico sembiante di eterea intangibilità, il vecchio corso
delle dinamiche storiche alle magnifiche sorti e progressive. Il rifiuto dunque di un ingresso nella
Storia (in qualsiasi Storia), di varcare la Golden Door a quelle condizioni di becero razionalismo,
radice e fondamento di violenza ideologica. Un’inattualità straordinariamente attuale pur nelle
concessioni pamphletistiche di una intentio didascalica che tende a soffocare le forme irretendone
talvolta l’incanto visivo.