DIRITTO ALL`ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA

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DIRITTO ALL`ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO E TEORIA DEL GOVERNO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
Storia,politica ed istituzioni dell’area euro-mediterranea nell’età contemporanea
CICLO XXIII
TITOLO DELLA TESI
DIRITTO ALL’ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA IDRICA
con particolare riguardo a proprietà e tariffa
TUTOR
Chiar.ma Prof.ssa Elisa Scotti
DOTTORANDA
Dott.ssa Francesca Testella
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Angelo Ventrone
ANNO 2011
Indice
Introduzione
Parte I Il diritto all’acqua nella pluralità degli ordinamenti giuridici
Capitolo primo (1-48)
Il diritto all’acqua nel contesto sovranazionale
1. Premessa: sull’importanza della qualificazione giuridica del bene acqua
2. Il contesto internazionale
2.1 evoluzione storica del dibattito mondiale sul tema dell’acqua
2.2 Quadro generale della normativa comunitaria in materia di acque
2.3 basi formali del diritto all’acqua
Parte II Il diritto italiano delle acque
Capitolo secondo (49-88)
Il diritto all’acqua e la proprietà della risorsa
1. Emersione e sviluppo di una nozione di “diritto all’acqua” nell’ordinamento
giuridico italiano
2. La proprietà pubblica dell’acqua come elemento-base del riconoscimento di un
diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti “democratici”
3. Evoluzione storica del concetto di proprietà delle risorse idriche dal 1865 al
2009
4. La “proprietà” dell’acqua strumento di tutela della risorsa
Capitolo terzo (89 -118)
Segue. Il diritto all’acqua e la “gestione” della risorsa: il servizio idrico
come filtro di “valore” della risorsa acqua
1. Premessa
2. Evoluzione storica delle forme di gestione dell’acqua in Italia
3. Il “valore” della risorsa acqua nel servizio idrico
4. Naturale idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni primari
Parte II Il profilo teorico
Capitolo quarto (119-136)
Le criticità del sistema di “beni comuni”
1. Premessa
2. Le criticità del “sistema pubblico” della disciplina delle acque
3. Conclusioni
4. La tragedia dei beni comuni
Capitolo quinto (137 -175)
Limiti necessari alla proprietà pubblica dell’acqua
1. Premessa
2. La tariffa come limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa
2.1. Premessa
2.2. Disposizioni comunitarie in materia di tariffa idrica
2.3. Modalità di determinazione della tariffa idrica nell’ordinamento italiano
2.4 Rilievi critici
2.5 Tariffa idrica: aspettative fallite e potenzialità attuali derivanti
dell’esperienza regionale
3. Regolazione ( - Autorità ) e soggetti
Parte III la prospettiva comparata
Capitolo sesto (176-202)
Possibili soluzioni da una prospettiva comparata
La tradizione pubblicistica dei Paesi Bassi nella gestione dell’acqua
1. Introduzione sull’utilità di uno spunto comparativo
2. Quadro generale:sistema amministrativo e contesto generale dell’acqua
2.1. La gestione dell’acqua: innovazione e cooperazione
2.2 Unificazione normativa nel Nuovo General Water Act (2008)
3.Sistema di gestione
3.1 Nozione di gestione idrica
3.2 Evoluzione delle water companies olandesi
3.3 Sistema di copertura dei costi
3.4 Divieto di fornitura privata di acqua (Waterleidingwet 2004)
4. Ruolo dei “water boards”
4.1 Premessa
4.2 Origine
4.3 Competenze
4.4 Forma istituzionale
4.5 Composizione
4.6 Autonomia finanziaria
5. Conclusioni sull’esperienza olandese
Parte IV Considerazioni conclusive e proposte ricostruttive
Capitolo settimo (203-229)
Proprietà ambientale e finalità di conservazione
1. Considerazioni conclusive
2. Considerazioni sulle soluzioni prospettate in precedenza e potenzialità ulteriore
offerta dal “riconoscimento” del diritto
3. Inadeguatezza della “terza” e “quarta” via
a. Una terza via per gestire le risorse comuni: la gestione civica del bene
attraverso istituzioni di autogoverno
b. Diritti di proprietà individuali sull’acqua - critica
4. La “quinta via” della proprietà ambientale
5. L’esempio della Conservatoria delle Coste della Sardegna
Bibliografia
Introduzione
La risoluzione delle Nazioni Unite del luglio 29 luglio 2010 afferma l’esistenza
del “diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici come un diritto umano
essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.
A fronte di tale esplicita presa di posizione di un organismo internazionale su
una tematica importante quale quella dell’accesso alle risorse idriche, appare
quanto meno utile indagare se e come questa affermazione produca dei riflessi
negli
ordinamenti
interni
degli
Stati.
L’indagine
dell’indifferenza
o
dell’assorbenza da parte del diritto di uno Stato di una dichiarazione di un
principio universale, pur nella sua assoluta non vincolatività, rappresenta uno
strumento attraverso il quale cercare di definire i contorni giuridici del bene
acqua. E ciò in quanto l’acqua è oggetto di un servizio pubblico in cui è centrale il
problema della garanzia dell’accessibilità della stessa a fronte di vari elementi: il
profilo proprietario della risorsa, le diverse forme gestionali scelte nel tempo dal
legislatore, il sistema di tariffazione e la presenza di autorità di regolazione.
In linea teorica implicazioni differenti seguirebbero al riconoscimento di un
diritto piuttosto che ad esempio di un bisogno, sotto vari profili. Innanzitutto
quello giuridico, in termini di pretese in capo ai titolari e corrispondenti doveri
delle pubbliche amministrazioni; economico, in termini di valutazione del valore
del bene acqua; politico, dal punto di vista delle scelte che ne derivano;
organizzativo, nel senso di una configurazione del corrispondente servizio che ne
rispecchi i contenuti. Sempre in linea teorica differente dovrebbe essere l’effetto
di una affermazione ufficiale che esiste un diritto di accedere all’acqua, a seconda
dell’ambito normativo in cui una siffatta affermazione è inserita. Il peso di una
previsione costituzionale non è infatti lo stesso di una legge ordinaria.
Il livello pratico però non corrisponde necessariamente a quello formale.
Emblematico è il caso del Sudafrica. La sezione 27 della Costituzione del
Sudafrica stabilisce che ognuno ha diritto a sufficiente acqua. Quindi
formalmente siamo al massimo livello di riconoscimento giuridico per l’acqua:
essa è infatti oggetto di un diritto e tale diritto è previsto dalla Costituzione.
Nella sentenza della Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009,
Mazibuko v. City of Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma però che non
esiste un obbligo costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua
I
gratuita.1 La Corte Costituzionale afferma come la previsione del diritto non
implica la fornitura di un minimo quantitativo di acqua cui lo Stato è obbligato ed
il dettato costituzionale deve essere interpretato nel senso di un dovere alla
progressiva realizzazione del diritto attraverso ragionevoli strumenti legislativi e
per mezzo di successive revisioni. Quanto sancito dalla Corte Costituzionale
Sudafricana dell’ottobre 2009 esprime un concetto analogo a quello contenuto
nella successiva caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella
risoluzione Onu del 30 settembre 2010. La risoluzione infatti non fa riferimento
ad un minimo quantitativo gratuito di acqua per persona, bensì richiama gli Stati
a realizzare il diritto affermato attraverso strumenti e meccanismi che
consentano l’accesso di tutti all’acqua e ai servizi igienici.
L’esempio citato dimostra come all’affermazione formale dell’esistenza di un
diritto, anche a livello costituzionale, non consegua a livello pratico
automaticamente la garanzia della concretizzazione del diritto stesso o meglio,
un rispondente substrato oggettivo.
Allora non possiamo non chiederci perché e come rendere una “cosa” oggetto di
una data situazione giuridica - e nel caso di specie di un diritto - può avere un
rilievo autonomo a prescindere dalla sua effettività.
2
In questa sede si compie
dunque il tentativo di comprendere se il riconoscimento di un diritto all’acqua a
livello
internazionale
possa
risultare
concretamente
utile,
necessario,
realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento interno di uno Stato.
Per rispondere a questa domanda si esploreranno i seguenti punti:
DIRITTO - Prima di tutto esamineremo la situazione attuale: dopo una iniziale
analisi delle vicende giuridiche dell’acqua nello scenario internazionale e a livello
di Unione Europea, si circoscriverà lo studio allo specifico contesto italiano. Si
cercherà cioè di individuare gli elementi di cui si compone attualmente in Italia il
1
Oggetto dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici prepagati per i
consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia (corrispondenti a 25 litri di
acqua al giorno per persona), finalizzata alla riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di
primo grado e della Corte d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza1, consideravano
l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre indicavano
rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo base di acqua rispondente al
diritto.
2
Romano S., L’ordinamento giuridico, 1946
II
c.d. statuto della risorsa idrica per capire come l’ordinamento consideri il bene
acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica
connessa al bene. E questo per esigenze diverse e di varia natura. “Nella materia
acqua convivono infatti diverse funzioni: la funzione "risorsa”, che va gestita,
organizzata, amministrata; poi c'è la funzione "recipiente", poiché i fiumi, i laghi,
il mare sono utilizzati anche come recipiente del metabolismo umano e
industriale. Un'altra funzione è quella di "mobilità": acqua come mezzo di
trasporto. E poi acqua come protezione del suolo (funzione indiretta). Ma le
funzioni vanno coordinate e armonizzate: se l'acqua è usata solo come recipiente
la funzione come risorsa viene danneggiata”.
3
Quanto appena espresso si
traduce dunque in differenti esigenze: di sostenibilità, economica e di sistema.
Capire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se (e come) il servizio idrico
risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è cioè importante
prima di tutto per verificare se le esigenze sociali ed economiche che sono alla
base della sua utilizzazione si conciliano con l’aspetto di salvaguardia ambientale
della risorsa. Si pone la necessità di verificare se ci sia una utilizzazione della
risorsa in linea con il principio di sostenibilità e/o come la si possa raggiungere.
Esigenza direttamente connessa alla precedente è quella di pervenire a una
corretta collocazione della risorsa idrica in uno scenario di tipo economico. Sotto
un profilo economico conoscere che tipo di inquadramento giuridico dà un
ordinamento all’acqua è necessario per individuare quali sono le possibilità di
gestione della risorsa. Un’ulteriore esigenza alla base dell’intento di chiarire
come l’ordinamento consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico
risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è quella di porre le
basi
per
una
regolamentazione
unitaria
della
materia
delle
acque.
Regolamentazione unitaria attualmente inesistente anche a livello internazionale
e di primaria importanza per un’utilizzazione razionale ed uniforme della risorsa
idrica.
3
Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi
dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003
III
Come risultato dell’analisi sul piano formale emerge il dato che non c’è stato mai a
nessun livello il riconoscimento espresso di un diritto all’acqua - mentre esistono
molti documenti che implicitamente prevedono il diritto - ma soltanto affermazioni
di principi e la definizione che emerge è quella di diritto di tutti di avere acqua in
quantità e qualità tali da assicurare la vita. Tutti: essere viventi umani e non umani.
Esso si declina poi in un altro diritto: diritto alla conservazione della risorsa (in
termini di quantità e qualità). E poi in un diritto di terzo livello: diritto alla
utilizzazione.
PROPRIETA’ PUBBLICA - Un secondo aspetto oggetto della nostra analisi è costituito
dalla proprietà pubblica della risorsa (come primo elemento dello statuto
dell’acqua). Posto che finora la conservazione si è ottenuta attraverso la proprietà
pubblica dell'acqua e tale proprietà rappresenta un punto fermo sinora non messo in
discussione pur nei tentativi di cd. privatizzazione dell’acqua (che hanno riguardato
la gestione) ci si domanderà: qual è la funzione di tale proprietà? Cosa è in grado di
assicurare rispetto al diritto all’acqua?
GESTIONE - Un ulteriore oggetto di indagine è costituito dalla gestione (come
secondo elemento dello statuto dell’acqua). Si esaminerà in particolare,
innanzitutto, l’idea tradizionale che solo una gestione prevalentemente pubblica sia
in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua. E poi le più recenti tesi tese ad
affermare la neutralità della gestione rispetto al diritto.
SISTEMI TARIFFARI E SOGGETTI DI REGOLAZIONE – L’indagine riguarderà poi i sistemi
tariffari (terzo elemento dello statuto dell’acqua), come banco di prova
dell’effettività del diritto all’acqua (ed il fallimento in Italia del sistema basato sulle
tariffe). In tale ambito si toccherà anche il profilo relativo all’esistenza ed al peso di
autorità di regolazione (quarto elemento dello statuto dell’acqua).
CRITICITA’ – Si affronteranno poi i problemi concreti del settore, che sembrano
influenzare la scelta circa il pubblico o privato nella gestione e circa il regime
tariffario. C’è infatti un problema da cui non è esente il nostro sistema
prevalentemente fondato su gestioni pubbliche e su tariffe basse: la risorsa diventa
sempre più scarsa. Quali sono i motivi? Le responsabilità della carenza idrica in Italia
sono riconducibili sia alla collettività che alla p.a.
IV
La prima responsabilità (collettività) riguarda gli sprechi dell’acqua; la seconda (p.a.)
il malfunzionamento della rete idrica.
a) Gli sprechi della risorsa
Si affronterà dapprima la questione della responsabilità della collettività per gli
sprechi della risorsa. Sotto questo profilo - che definiremo di matrice sociale - viene
in questione il ruolo del profilo proprietario ed il connesso tema della responsabilità
“sociale”. La proprietà pubblica intesa nei termini di accesso generalizzato alla
risorsa ha permesso a tutti sia di avere l'acqua - attraverso un servizio "sociale" - ma
allo stesso tempo ha permesso a tutti di abusarne e di ledere così il diritto globale di
accesso alla risorsa.
Si esamineranno dunque le criticità della proprietà pubblica nei termini di accesso
diffuso alla risorsa - sia pur “regolato” attraverso lo strumento della concessione, ma
con i limiti che lo stesso strumento concessorio presenta - ed il connesso fallimento
del sistema tariffario italiano come tentativo di limitare gli sprechi.
b) Il malfunzionamento della rete idrica
Per risolvere il problema si è tentata la via della gestione del servizio idrico aperta ai
privati e/o prevalentemente privata (art. 15 l. 166/09), poi bloccato a seguito di un
referendum popolare abrogativo. Tale opposizione è stata motivata dal timore
dell’aumento delle tariffe idriche (in quanto il privato persegue per fine istituzionale
il lucro) e dalla paura delle conseguente privatizzazione della proprietà dell'acqua e
del diritto di accedere alla risorsa. Si è temuto che potesse accedere all'acqua solo
chi potesse permetterselo economicamente. Ma lo Stato non ha soldi e le reti
necessitano di investimenti. Come coprire dunque gli investimenti?
Rispetto a questo problema si studieranno le possibili soluzioni: il coinvolgimento dei
privati e/o la tassazione. Riguardo tali soluzioni verranno esaminate ipotesi
intermedie: così quanto ai soggetti privati si verificherà se possono essere coinvolti
senza affidare loro la gestione.
PROSPETTIVA DI COMPARAZIONE CON L’OLANDA - L’indagine sulle possibili soluzioni
alle criticità della rete idrica verrà svolta, in una prospettiva di comparazione,
attraverso l’esame del sistema olandese. Rispetto alla tassazione si verificherà
l’ipotesi di una “green tax”: una tassa per gli investimenti ambientali. Anche a tale
proposito si esaminerà il caso
dell’ Olanda. La prospettiva comparata con
V
l’esperienza olandese ci consente di verificare la fattibilità in termini di
“esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale
attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. Verrà al
tal fine esaminato il quadro normativo olandese in materia di acqua e servizio
idrico e le sue peculiarità. I profili che emergono come significativi e che
maggiormente interessano ai fini del presente lavoro riguardano, da un lato il
coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il
particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese;
dall’altro il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle
nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti ed infine il sistema di
copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa idrica
strutturata su componenti c.d. ambientali. (Questo è il contesto da cui trarre
degli spunti di esportazione)
SOLUZIONE PROSPETTATA - TESI – Si verificherà infine la praticabilità di un’altra via,
ulteriore rispetto a quella delle limitazioni del diritto di accesso all’acqua attraverso
lo strumento tariffario e la regolazione e il possibile coinvolgimento nel servizio
idrico non in termini di gestione. Una via alternativa alla proprietà pubblica,
affiancata da una gestione altrettanto pubblica, che consenta di realizzare un
equilibrio tra il profilo economico - investimenti sulle reti - ed il profilo sociale evitare gli sprechi - dell’accesso all’acqua diversa dalla privatizzazione della gestione
servizio idrico.
Si esaminerà dapprima la soluzione della proprietà collettiva ed i suoi limiti - (tale
soluzione sembra infatti fallire laddove fallisce la proprietà pubblica - abuso dei
consociati nell’uso e nell’appropriazione). E si studierà l’opzione dell’alienazione di
diritti di proprietà individuali sull’acqua, che tuttavia presenta anch’essa limiti
analoghi alla proprietà collettiva. Si valuterà dunque un’ulteriore via data da una
quinta forma proprietaria: la proprietà ambientale. Si verificherà se tale soluzione
consenta di dare una risposta non solo alle criticità del sistema ma anche
all’interrogativo da cui muove tutto il nostro discorso: cosa cambia a seguito della
risoluzione Onu sul piano internazionale e a livello di diritto interno dei singoli Stati?
Che cambiamento cioè determina un riconoscimento formale del diritto all’acqua a
livello globale e nei singoli Stati?
VI
L’ipotesi oggetto di studio è che il riconoscimento del diritto avente ad oggetto una
risorsa naturale assicura l’equilibrio tra il profilo economico e il profilo sociale del
bene, dando spazio al valore “ideale” della risorsa stessa. E cioè che tale
riconoscimento innanzitutto funga da ago della bilancia tra il mercato e la gestione
non economica del bene. In secondo luogo il riconoscimento di un diritto all’acqua
aprirebbe la strada allo sviluppo di strumenti effettivi di conservazione delle risorse
naturali che superino le tradizionali forme di inquadramento della titolarità e
gestione del bene. Un esempio in tal senso potrebbe appunto essere costituito dalla
proprietà ambientale: una forma proprietaria in cui risulta centrale il valore “ideale”
del bene ambientale e che potrebbe realizzare appieno la propria funzione laddove
si rafforzassero i vincoli da essa derivanti.
VII
Parte I Il diritto all’acqua nella pluralità degli ordinamenti
giuridici
Capitolo primo
Il diritto all’acqua nel contesto internazionale
1. Premessa: sull’importanza della qualificazione giuridica del bene acqua
La risoluzione delle Nazioni Unite del luglio 29 luglio 2010 afferma l’esistenza
del “diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici come un diritto umano
essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.
A fronte di tale esplicita presa di posizione di un organismo internazionale su
una tematica importante quale quella dell’accesso alle risorse idriche, appare
quanto meno utile indagare se e come questa affermazione produca dei riflessi
negli
ordinamenti
interni
degli
Stati.
L’indagine
dell’indifferenza
o
dell’assorbenza da parte del diritto di uno Stato di una dichiarazione di un
principio universale, pur nella sua assoluta non vincolatività, rappresenta uno
strumento attraverso il quale cercare di definire i contorni giuridici del bene
acqua.
E ciò in quanto l’acqua è oggetto di un servizio pubblico in cui è centrale il
problema della garanzia dell’accessibilità della stessa a fronte di vari elementi: il
profilo proprietario della risorsa, le diverse forme gestionali scelte nel tempo dal
legislatore, il sistema di tariffazione e la presenza di autorità di regolazione.
In linea teorica implicazioni differenti seguirebbero al riconoscimento di un
diritto piuttosto che ad esempio di un bisogno, sotto vari profili. Innanzitutto
quello giuridico, in termini di pretese in capo ai titolari e corrispondenti doveri
delle pubbliche amministrazioni; economico, in termini di valutazione del valore
del bene acqua; politico, dal punto di vista delle scelte che ne derivano;
organizzativo, nel senso di una configurazione del corrispondente servizio che ne
rispecchi i contenuti. In questa sede si compie il tentativo di comprendere se il
riconoscimento di un diritto all’acqua a livello internazionale possa risultare
utile, necessario, realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento interno
1
di uno Stato, e in specie, in Italia. E, per arrivare a questo, si cercherà prima di
capire di quali elementi si compone attualmente in Italia il c.d. statuto della
risorsa idrica. Diverse e di molteplice natura sono le esigenze alla base
dell’intento di chiarire come un ordinamento consideri il bene acqua e se e come
il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene.
“Nella materia acqua convivono infatti diverse funzioni: la funzione "risorsa”, che
va gestita, organizzata, amministrata; poi c'è la funzione "recipiente", poiché i
fiumi, i laghi, il mare sono utilizzati anche come recipiente del metabolismo
umano e industriale. Un'altra funzione è quella di "mobilità": acqua come mezzo
di trasporto. E poi acqua come protezione del suolo (funzione indiretta). Ma le
funzioni vanno coordinate e armonizzate: “se l'acqua è usata solo come recipiente
la funzione come risorsa viene danneggiata”. 1 Quanto appena espresso si traduce
in differenti esigenze che sono alla base dell’indagine di come un ordinamento
inquadri giuridicamente una risorsa naturale e se e come il corrispondente
servizio alla collettività realizzi effettivamente la sua funzione pubblica.
2. Esigenza di sostenibilità
Capire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se (e come) il servizio idrico
risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è importante prima di
tutto per verificare se le esigenze sociali ed economiche che sono alla base della
sua utilizzazione si conciliano con l’aspetto di salvaguardia ambientale della
risorsa. Si pone cioè la necessità di verificare se ci sia una utilizzazione della
risorsa in linea con il principio di sostenibilità e/o come la si possa raggiungere.
La disamina giuridica del tema della distribuzione delle risorse idriche in termini
di diritto di accesso, non può prescindere dal nesso con la tematica del progresso
economico compatibile con la preservazione dei beni ambientali. Una corretta
gestione della risorsa idrica, così come delle risorse naturali in genere, non può
esimersi dal considerare il collegamento esistente tra l’uso sostenibile delle
stesse e lo sviluppo: appare indispensabile “conciliare le esigenze imposte
dell’efficienza
1
allocativa,
dall’equità
distributiva
e
dalla
salvaguardia
Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi
dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003
2
dell’ambiente”2. Perché “Una impostazione contemporanea di ciò che è stato
fin’ora <<il diritto delle acque>> non può non partire da una constatazione di
fatto, che costituirà presumibilmente una delle caratterizzazioni che la storia
riconoscerà alla nostra età: le risorse idriche diventano, ovunque e con maggiore
evidenza nelle aree fortemente urbanizzate, sempre più scarse, ed inoltre tali
risorse presentano una qualità che tende a deteriorarsi e che anzi spesso è già al
degrado irreversibile”3.
Il modo in cui un ordinamento inquadra giuridicamente una risorsa naturale e la
utilizza canalizzandola in un servizio, ci permette cioè di capire se la risorsa
stessa viene rispettata o al contrario, danneggiata o deteriorata. E questo è
fondamentale perché il rispetto della risorsa, attraverso la garanzia di
conservazione e tutela, indirettamente assicura le future possibilità di
sfruttamento della stessa in termini qualitativi e quantitativi. Infatti soltanto se la
risorsa viene utilizzata razionalmente, il servizio alla collettività è effettivo e
certo, nel presente e nel futuro.
L’acqua viene indicata dal Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, in occasione
del vertice di Johannesburg (2002), come una delle cinque priorità ed il rapporto
dell’Unep (Geo 2000) definisce la scarsità delle risorse idriche come una
emergenza globale.4 Le strette connessioni tra le risorse ambientali e lo sviluppo
economico e sociale costituiscono quello che oggi è noto come “sviluppo
sostenibile”, termine presente per la prima volta nel c.d. Rapporto Brundtland del
1987.
“Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni presenti senza compromettere le
possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”5.
2
Murolo A., Aspetti economici dello sviluppo sostenibile, pag.4, Giappichelli, 2007
3
Greco N., Le acque, pag.22, Il Mulino, 1983
4
Le modalità istituzionali necessarie per regolare un uso equo delle risorse idriche, alla luce dei dati
contenuti nel World Water Development Report (Rapporto Mondiale sull’Acqua), presentato
durante la Giornata Mondiale dell’Acqua, il 22 marzo 2003, sono apparse all’epoca del tutto
inadeguate e la definizione di un quadro giuridico amministrativo omogeneo viene indicata quale
base su cui realizzare obiettivi di cooperazione ed evitare il moltiplicarsi di conflitti per l’acqua.
5
Brundtland G.H. e altri , "Il futuro di noi tutti. Rapporto della commissione mondiale per
l'ambiente e lo sviluppo", Milano, Bompiani, 1988
3
Si definisce sostenibile la gestione di una risorsa se, nota la sua capacità di
riproduzione, non si eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia. Per
quanto attiene in particolare alle risorse idriche, incluse nella categoria delle c.d.
risorse “esauribili”, di primaria importanza sono i tempi e le modalità dello
sfruttamento delle stesse. La materia ambientale in genere costituisce un ambito
ritenuto fondamentale per il raggiungimento dell’ obiettivo di creazione di aree di
libero scambio, di pace durevole e di prosperità condivisa6: questa è infatti
un'esigenza fortemente avvertita nello scenario internazionale, sia per
l’interdipendenza tra i vari Paesi, sia per la necessità di un coordinamento tra i
programmi multilaterali al fine di conciliare lo sviluppo economico con la
protezione dell’ambiente, circoscrivendo i problemi primari del settore tra cui, in
primis, una equa allocazione delle risorse idriche tra Paesi industrializzati e Paesi
in via di Sviluppo. Nella Relazione della Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo
Sviluppo 42/187, appunto il c.d. Rapporto Brundtland, l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite concorda con la Commissione sul fatto che, mentre si cerca di porre
rimedio ai problemi ambientali esistenti, sia “indispensabile influenzare le fonti di
tali problemi nell’attività umana, in particolare in quella economica, e quindi
provvedere ad uno sviluppo sostenibile”, e ritiene inoltre che “una ripartizione equa
dei costi ambientali e dei benefici dello sviluppo economico tra i diversi paesi e tra
generazioni presenti e future sia la chiave per raggiungere la sostenibilità”7.
Il rapporto Brundtland (Our Common Future) è un documento rilasciato nel 1987 dalla
Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCED) dove per la prima volta, viene
introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Il nome viene dato dalla coordinatrice Gro Harlem
Brundtland che in quell'anno era presidente del WCED e ha commissionato il rapporto.
6
Marchisio S., Aspetti giuridici del partenariato Mediterraneo, pag.3, Giuffrè, 2001
Il sistema descritto dalla Convenzione di Barcellona per la protezione del Mar Mediterraneo
dall’inquinamento e dei suoi Protocolli è uno dei fattori che concorrono maggiormente sul piano
normativo alla promozione dello sviluppo sostenibile, nel contesto della messa in atto del c.d.
partenariato euro-mediterraneo. Il programma correlato alla Dichiarazione del 1995 indica
l’ambiente come uno dei diversi settori di cooperazione per la creazione di una zona di
“benessere condiviso”.
7
Rapporto Brundtland, 42/187.
Report of the World Commission on Environment and
Development,http://www.un.org/documents/ga/res/42/ares42 -187.htm
4
Lo strumento che il Rapporto indica come fondamentale al fine di realizzare un
equilibrio tra crescita economica, preservazione del bene ambientale e diritti
delle generazioni attuali e future ad avere condizioni di vita sane, è costituito
dall’equa ripartizione dei costi che ricadono sull’ambiente e, allo stesso tempo,
dei vantaggi economici derivanti dallo sviluppo, tra tutti i Paesi del Mondo e tra
le generazioni esistenti e le successive, oltre alla fusione di ambiente ed
economia nei processi decisionali. Ne deriva che, applicando questo strumento
operativo all’ambito delle risorse idriche, per “sostenibilità idrica” si intende un
uso razionale dell’acqua che consenta di conservare e tutelare la risorsa nel
lungo periodo, sia esso domestico, agricolo o industriale; che si realizza
attraverso la condivisione delle ripercussioni positive e negative in termini,
rispettivamente, di costi per l’ambiente ed utilità economica, equa ripartizione
tra Paesi Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo da un lato, e tra generazioni di oggi
e quelle di domani dall’altro. Quanto proclamato nel Rapporto si scontra però
con la realtà degli anni passati e con quella attuale, in cui il divario tra Paesi
Ricchi e Paesi Poveri è stato ed è tuttora enorme, con una allocazione dei
vantaggi economici esclusivamente presso i primi ed una diseguale ripartizione
dell’acqua con seri problemi per i secondi, pur nella sua complessiva scarsità.
L’aspetto economico prevale sia sulla salvaguardia della risorsa sia sulla garanzia
dei diritti degli individui. La conclusione che se ne può logicamente trarre è che
lo strumento della condivisione non sia stato quindi attuato. Il Rapporto
ribadisce la necessità, per i Paesi sviluppati e per gli specifici organi ed
organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, di rafforzare la cooperazione
tecnica con i Paesi in via di Sviluppo per renderli in grado di elaborare e
rafforzare la loro capacità di identificare, analizzare, monitorare, prevenire e
gestire i problemi ambientali, secondo i propri piano di sviluppo nazionali, le
priorità e gli obiettivi. Si afferma cioè la necessità di ripartire equamente anche le
conoscenze tecniche a disposizione al fine di consentire a tutti i Paesi di porsi
sullo stesso piano nell’affrontare le criticità gestionali delle risorse e, nel caso
specifico di studio, dell’acqua.
5
3. Esigenza “economica”
Esigenza direttamente connessa alla precedente è quella di pervenire a una
corretta collocazione della risorsa idrica in uno scenario di tipo economico. Sotto
un profilo economico conoscere che tipo di inquadramento giuridico dà un
ordinamento all’acqua serve per individuare quali sono le possibilità di gestione
della risorsa. Il Mar del Plata Action Plan (documento conclusivo della
Conferenza del 1977 da cui deriva il nome) nella prima parte, recante
raccomandazioni riguardanti tutte le componenti principali della gestione
dell’acqua, contiene una relazione avente ad oggetto la nascita di una nuova
branca dell’economia che si occupa specificamente dei problemi relativi
all’acqua, appunto la c.d. idroeconomia8. Essa deriva dall’esigenza di
comprendere come l’economia sia usata in materia al fine di individuare tutte le
possibilità di gestione della risorsa e come esse vengono valutate. Nella
Relazione l’acqua viene definita come uno dei più semplici composti chimici che
gioca però un ruolo critico nel sostenere la vita biologica del pianeta Terra. Al
fine di aumentare l’efficienza negli usi si afferma che non deve essere costruita
una politica in sé, ma piuttosto un principio in tutte le politiche: porre
un’appropriata attenzione sull’efficienza dell’utilizzazione della risorsa acqua. La
riduzione della domanda invece degli aumenti di fornitura, dovrebbe diventare
la strategia di scelta nel bilanciamento tra fornitura e domanda. Poiché viene
introdotto un prezzo per l’acqua, si ritiene importante considerare le
infrastrutture promuovendo la riduzione delle perdite e degli sprechi in modo
che l’acqua risparmiata possa essere riallocata a usi alterni come appunto gli
aumenti di domanda. Viene anche considerato importante focalizzare
l’attenzione sulla prevenzione dell’inquinamento come via per massimizzare
l’utilizzazione della risorsa. Gli usi dell’acqua, che rappresentano le ricadute in
termini pratici della proprietà e della gestione, siano esse pubbliche o private,
secondo la Relazione sono soltanto due: il primo e più importante, quello
finalizzato al sostentamento dell’ecosistema, il secondo quello di risorsa naturale
8
Rogers, P. (1997). Preparing for the future. Hydroeconomics: Getting water into national
economic planning. Proceedings of Mar del Plata 20 years anniversary seminar. Stockholm,
Stockholm International Water Institute.
6
per il genere umano. Tutti gli altri usi possono essere subordinati a questi due.
La discussione circa la scarsità dell’acqua è ritenuta inoltre intimamente legata al
concetto di risorsa rinnovabile o non rinnovabile. Se è rinnovabile, ci si chiede
come essa potrà mai esaurirsi. In un ecosistema non c’è un “surplus” di materiali.
L’acqua viene già riallocata tra le specie e senza queste “esternalizzazioni” non
avremmo un ecosistema funzionante. Non c’è - continua la Relazione - un sistema
che non sia una parte funzionale di qualche altro sistema. Tutte le
“esternalizzazioni” sono, pertanto, vantaggiose. Senza riallocazioni il sistema
stesso cesserebbe la sua funzione. Il problema sorge quando l’uomo sovraccarica
la capacità dell’ecosistema di assorbire o neutralizzare i suoi “effluenti” e le
azioni ambientali e ciò porta conseguentemente, quanto all’acqua, ad una non
corretta riallocazione ed alla scarsità della stessa. Gli economisti moderni
definiscono la scarsità dell’acqua evidenziando come il bisogno della risorsa
debba essere espresso attraverso la quantità ed il prezzo9. Questa è la c.d.
“domanda economica” per l’acqua in relazione alla quale devono essere
specificati sia la quantità che il prezzo. Chiaramente, se una risorsa è fissa e la
popolazione che la consuma cresce, qualcosa deve cambiare, sia per la quantità
sia per il prezzo. Non esiste infatti un surrogato dell’acqua dolce nel sostentare la
vita umana ed animale ed è pertanto necessario muoversi sui due fattori di
riferimento menzionati al fine di garantire la soddisfazione del bisogno. Si
sostiene infatti che “La definizione della scarsità in termini non economici è una
distrazione che può indurre ad una allocazione sbagliata della risorsa”.10 Il prezzo
viene quindi considerato oltre ad un elemento costitutivo della risorsa, anche e
soprattutto uno strumento di difesa della stessa. L’acqua è in pericolo a causa di
una gestione errata di questa risorsa di comune proprietà per il fatto che non ha
un prezzo di protezione. Il fatto che relativamente ad essa esistano molti
potenziali usi conflittuali, implica sicuramente maggiori compiti dei governi nel
regolare l’accesso alla stessa. E’ difficile infatti assegnare un “ambiguo” valore
economico a molti usi, e pertanto questi potranno essere implicitamente
sottostimati, sovrastimati, oppure completamente ignorati, nel corso del
processo decisorio, ma la fissazione di un prezzo di mercato resta comunque
7
necessaria per tutelare la risorsa. Il modello di gestione dell’acqua auspicato dal
Mar del Plata Action Plan è quindi basato sulla riduzione della domanda a cui si
perviene, sia attraverso il contenimento delle perdite e degli sprechi in modo che
l’acqua risparmiata possa essere riallocata a usi alterni, sia per mezzo della lotta
all’inquinamento. La c.d. “sostenibilità idrica” viene definita facendo riferimento
al prezzo della risorsa come un elemento costitutivo e uno strumento di difesa
della stessa. Una corretta allocazione e gestione dell’acqua, che consenta di
soddisfare tutti i suoi potenziali usi, pur preservando contemporaneamente la
risorsa sia per le generazioni attuali che per quelle future, poggia infatti sulla
fissazione da parte dei governi di un prezzo di mercato, restando sempre l’acqua
un bene comune alla collettività protetto attraverso i compiti del pubblico
potere.
Nello scenario internazionale, dopo la Conferenza del Mar del Plata, il “valore
economico dell'acqua” è uno dei temi centrali della Conferenza Internazionale su
Acqua e Ambiente di Dublino (ICWE) del 1992 e viene nuovamente rappresentato
il concetto che “gestire l'acqua come un bene economico è un modo importante di
conseguire un uso efficiente ed equo, e di favorire la conservazione e la tutela delle
risorse idriche”, muovendo dal principio secondo il quale l'acqua ha un valore
economico in tutti i suoi usi concorrenti e deve essere riconosciuta come un bene
economico.
Durante il Primo Forum Mondiale sull’Acqua di Marrakech11, attraverso il
documento denominato “La Visione”, al fine di introdurre concretamente un uso
11
Primo Forum Mondiale sull' acqua (Marrakech,1997)
Il Primo Forum Mondiale sull' acqua si svolge a Marrakech, in Marocco, il 22 marzo 1997, appunto
Giornata Mondiale dell'Acqua, e nel corso dello stesso vengono affrontate tematiche quali acqua e
fognature, gestione delle risorse idriche condivise, conservazione dell'ecosistema ed uso efficiente
dell'acqua. A conclusione della Conferenza viene adottata la “Dichiarazione di Marrakech”, una
“Carta” dei principi in materia di acqua, e viene approvato anche il documento designato a porre
in essere i principi sanciti dalla Dichiarazione: “The World Water Vision” (la Visione Mondiale
dell’Acqua). (Marrakech Declaration http://www.ielrc.org/content/e9712.pdf)
Il quadro generale della situazione mondiale delle acque viene delineato nella Dichiarazione di
Marrakech:
“Noi, i partecipanti al primo Forum mondiale dell'acqua, svoltosi in occasione della Giornata
Mondiale dell'Acqua a Marrakech il 21-22 marzo 1997, riconosciamo il generoso sostegno di Sua
8
sostenibile delle risorse idriche, viene prospettata una nuova strategia collettiva
basata sulla partecipazione dei cittadini ed al tempo stesso caratterizzata da un
ruolo più complesso dell’autorità pubblica, contemporaneamente ente garante
ed ente controllato, con il compito precipuo di aiutare le popolazioni. I pubblici
poteri quindi, oltre ad avere il dovere di agire a protezione della risorsa e dei
cittadini, come precedentemente espresso nei Summit già citati, vedono il loro
operato assoggettato al controllo della collettività. Nulla però si specifica circa
l’inquadramento giuridico dell’acqua, se sia cioè configurabile come un bisogno,
un diritto o altro.
Nel corso del Terzo Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto si comincia a parlare di
privatizzazione dell’acqua e dei servizi ad essa legati o, come viene meglio detto,
della partnership pubblico-privato. La dichiarazione ministeriale approvata a
Kyoto, al sesto punto, afferma infatti che “tutte le fonti di finanziamento, sia
pubbliche, sia private, nazionali e internazionali, devono essere mobilitate ed
utilizzate nel modo più efficiente ed efficace”12.
Maestà il Re Hassan II per il suo patrocinio a questo storico incontro((...)) Estendiamo i nostri più
sentiti ringraziamenti al governo del Regno del Marocco per l'organizzazione di questo Forum, e
ringraziamo il suo popolo e questa grande città di Marrakech per la loro straordinaria ospitalità.
Noi riconosciamo l'urgente necessità di una migliore comprensione di tutte le complesse questioni
sul piano quantitativo e qualitativo , politico ed economico e giuridico e istituzionale, sociale e
finanziario, educativo e ambientale, che deve esserci nella definizione di una politica delle acque per
il prossimo millennio. Il Forum invita i governi, organizzazioni internazionali, ONG e i popoli del
mondo a lavorare insieme in una rinnovata collaborazione a mettere in pratica quanto affermato a
Mar del Plata, i Principi di Dublino e il capitolo 18 del Vertice di Rio e ad avviare una «Blue
Revolution» per garantire la sostenibilità delle acque della Terra . In particolare, il Forum
raccomanda azioni per riconoscere i bisogni umani fondamentali ad avere accesso all'acqua
potabile e servizi igienico-sanitari, di istituire un efficace meccanismo per la gestione delle acque
comuni, sostenere e preservare gli ecosistemi, incoraggiare l'uso efficiente delle risorse idriche e
promuovere il partenariato tra i membri della società civile e Governi. In risposta alle esigenze
illustrate ed alle azioni raccomandate, si conferisce mandato del Consiglio Mondiale dell'Acqua a
lanciare una iniziativa di tre anni di studio, consultazione e di analisi che porterà ad una visione
globale delle acque, della vita e dell' ambiente nel prossimo secolo. A conclusione di questo processo,
si vuole offrire una politica ri1evante da intraprendere da parte dei leader del mondo al fine di
soddisfare le esigenze delle generazioni future”.
12
http://www.mofa.go.jp/policy/environment/wwf/declaration.html
9
Contemporaneamente nel corso del Primo Forum Alternativo sull’Acqua di
Firenze si esprime chiaramente il concetto inverso per cui non ci può essere
produzione di ricchezza senza accesso all’acqua: l’acqua non è infatti
paragonabile a nessun’altra risorsa e non può essere quindi oggetto di scambio
commerciale di tipo lucrativo13. Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile
individuale e collettivo. L’acqua appartiene più all’economia dei beni comuni e
della distribuzione della ricchezza che all’economia privata dell’accumulazione
individuale ed altre forme di espropriazione della ricchezza. L’acqua è « res
publica » ed i meccanismi di fissazione dei prezzi individuali devono seguire un
sistema di progressività partendo da un livello di utilizzazione dell’acqua oltre il
minimo vitale indispensabile. Aldilà di questo minimo vitale, è infatti corretto
che i prezzi siano in funzione della quantità usata e che ogni eccesso debba
essere considerato illegale. Si sostiene inoltre una vera partnership
pubblica/privata a livello locale/nazionale/mondiale, basata sul rispetto
reciproco e non su conflitti e rivalità, per realizzare una gestione dell’acqua
sostenibile, nell’interesse generale. Si accetta pertanto che ci sia un prezzo per
l’acqua quando l’uso che se ne fa superi il minimo indispensabile alla vita e si
ribadisce implicitamente il valore economico della stessa come strumento di
protezione da eccessi e sprechi. Sulla privatizzazione dell’acqua in genere si
torna a discutere nel corso del Quarto Forum Ufficiale svoltosi a Città del
Messico: anche se i risultati raggiunti dal settore privato non sono stati spesso
all’altezza né delle aspettative delle autorità dei Paesi in via di Sviluppo né dei
Paesi donatori, il Secondo Rapporto Mondiale sull’Acqua14, presentato appunto a
Città del Messico, insiste sul fatto che “ sarebbe un errore” mettere una croce sul
settore privato in quanto si reputa che dei governi in grande difficoltà
finanziaria, nei cui paesi le regolamentazioni sono insufficienti, siano lontani dal
risolvere i problemi di cattiva gestione delle risorse di acqua e problemi di
insufficienza dei servizi di approvvigionamento di acqua. Le cause principali
della crisi idrica attuale e al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre
un argine alla situazione vengono individuati in cattive pratiche di gestione,
13www.ecoprogetti.com/downloads/acqua/documentofinale_F_Acqua.pdf
associazioni.comune.firenze.it/legambiente/programma.pdf
14
http://www.unesco.org/water/wwap/wwdr/wwdr2/
10
corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza
degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e
sprechi dovuti a collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei
canali. Al termine di questo Summit, così come avviene nel corso del Quinto
Forum di Istanbul15, non c’è il riconoscimento dell’acqua come diritto mentre,
durante il Forum Alternativo16 che si svolge contemporaneamente ad Istanbul, si
ribadisce la lotta contro la privatizzazione dell'acqua a favore di una gestione
pubblica, partecipata e democratica della risorsa idrica, intesa come un diritto
umano inalienabile. Si rifiuta il modello economico e finanziario che prevede la
privatizzazione, commercializzazione e riduzione dell’acqua pubblica e dei
servizi sanitari in mano a interessi corporativi che rappresenta una riforma del
settore pubblico distruttiva e non partecipativa, fallimentare e causa di un
enorme indebitamento del settore pubblico e della trasformazione dell’acqua in
una merce e della Natura in una riserva di materie prime, opposta al necessario
partenariato pubblico-pubblico che sottrae il controllo dell’acqua per il profitto,
alle corporazioni e ne assicura la pubblica utilità.
4. Esigenza di una regolamentazione unitaria
Un’ulteriore esigenza alla base dell’intento di chiarire come l’ordinamento
consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla
finalità pubblica connessa al bene è quella di porre le basi per una
regolamentazione unitaria della materia delle acque. Regolamentazione unitaria
attualmente inesistente anche a livello internazionale e di primaria importanza
per un’utilizzazione razionale ed uniforme della risorsa idrica. Tentativi di
creazione dapprima, e di unificazione poi, di leggi organiche sulle acque sono
infatti ravvisabili sin dalle più antiche civiltà idrauliche quali quella del Mekong, del
Fiume Giallo e dell' Indus fino alla Cina dei regni combattenti, dove è riscontrabile
l'esistenza di un codice delle acque già intorno al 400 a.C.17, dall'antica Roma al
15http://www.iisd.ca/ymb/water/worldwater5/html/ymbvol82num23e.html
http://www.iwlearn.net/abt_iwlearn/events/iwc5/5th-world-water-forum-ministerialstatement
16
http://www.asud.net/images/doc/000dich_istanbul_acqua.pdf
17
Perrucci U., Le acque pubbliche nella legislazione italiana, Zanichelli, 1981, pag. 151
11
Medioevo, in cui si afferma anche per le acque il concetto di beni appartenenti al
18
dominio (demanium) del re o dell'Imperatore . L'utilizzazione delle acque,
soprattutto interne, ha sempre avuto un'importanza decisiva ai fini dello sviluppo
delle attività connesse all'agricoltura, al commercio ed alla stessa convivenza civile.
Tuttavia all’inizio, l'intervento dei pubblici poteri si è articolato in modo
disorganico, legato a specifiche contingenze del momento piuttosto che secondo
linee direttrici unitarie del fenomeno idrico ed è solo con l'emergere di nuove
esigenze legate a minacce reali di depauperamento ed esaurimento della risorsa e
per arginare il fenomeno di deterioramento dell'ambiente naturale compromesso
dalla crescita delle civiltà industriali, che si riscontrano i primi tentativi, sia a livello
interno dei diversi Stati sia a livello internazionale, di individuare le linee direttrici
di una disciplina unitaria del fenomeno idrico e di avviare forme di collaborazione
finalizzate ad un razionale uso delle acque ed alla preservazione delle risorse
idriche esistenti. I risultati di questa nuova tendenza sono ravvisabili in diversi
codici delle acque in cui viene condensata la politica riguardante le risorse idriche
di differenti paesi: la legge israeliana sulle acque del 1959; la legge turca di
nazionalizzazione del 1960; la legge iraniana di nazionalizzazione del 1968; i c.d.
«water acts» di diversi Stati Americani; il codice delle acque dell'Alaska del 1966 e
quello della Florida del 1975. Anche in ambito europeo molti Stati si dotano di leggi
sistematiche sulle acque, come ad esempio la Francia nel 1964 e l'Inghilterra nel
1963 e nel 1973. Conseguenza diretta della creazione di codici o testi unici sulle
acque è stata l'organizzazione di incontri e convegni internazionali in cui sono
stati confrontati gli studi giuridici in materia e prospettate soluzioni ai problemi
idrici emergenti nel contesto internazionale ed anche alle conseguenti
implicazioni sul piano dei rapporti tra gli Stati.
Sviluppo sostenibile, inquadramento economico e regolamentazione
unitaria dell’acqua sono esigenze che inducono a non sottovalutare le potenzialità
che dall’affermazione del diritto in sede internazionale possono derivare alla
“questione idrica”. Relativamente recente è infatti il dibattito sull’acqua e le
aspettative che su questa risorsa si concentrano. E ancora lontano sembra la strada
volta al raggiungimento di una concezione globale che metta d’accordo i diversi
18 Astuti, Acque, in Enciclopedia del diritto I, pag. 346
12
attori che si contrappongono nello scenario mondiale nella annosa querelle sulla
qualificazione giuridica da riconoscere al bene acqua. Se esso sia cioè oggetto di
un bisogno o di un diritto ancora non è stato chiarito. Ma non lascia di certo
indifferenti la netta presa di posizione sulla questione da parte delle Nazioni Unite.
Torniamo dunque a chiederci se e cosa cambi con la Risoluzione del luglio 2010. E
al fine di comprendere il significato dell’affermazione del diritto da essa operato,
ripercorriamo innanzitutto le tappe dell’evoluzione del dibattito mondiale che si è
sviluppato sul tema dell’acqua a partire dagli anni ’70 ad oggi. Dopodiché si
passerà a definire la cornice comunitaria di riferimento sulla risorsa, cornice che è
venuta delineandosi quasi parallelamente a quella internazionale. Infine lo
scenario interno: si descriverà l’emergere nell’ordinamento giuridico italiano di
una normativa specifica sull’acqua e il delinearsi degli elementi costitutivi della
situazione soggettiva che è stata costruita intorno ad essa.
Il quadro di sintesi risultante dall’analisi dei documenti prodotti a seguito dei
Forum Mondiali, dall’attività dell’Unione Europea e dalla normativa italiana sul
tema, sarà d’ausilio nel percorso volto all’indagine dei potenziali elementi
costituitivi di un diritto all’acqua. Sulla base di quanto emerso, cercare di capire se
il riconoscimento di tale diritto - ad opera di una determinazione non vincolante assuma in qualche modo un significato che vada aldilà di una mera enunciazione
di principio, potrà acquistare maggiore concretezza di contenuti e permetterci di
fissare un primo tassello nel quadro complessivo che si intende ricostruire.
2. Il contesto internazionale
2.1 evoluzione storica del dibattito mondiale sul tema dell’acqua
Il dibattito mondiale sul problema dell’approvvigionamento idrico ha interessato
gli Stati a partire dagli anni ’70, periodo dal quale è iniziata ad emergere la
consapevolezza che è necessario tutelare le risorse naturali attraverso strategie di
pianificazione e porre l’attenzione sul binomio economia-ambiente. Il
raggiungimento dell’equilibrio tra economia ed ambiente viene considerato asse
prioritario al fine della definizione di un nuovo modello di sviluppo che muova
dalla presa di coscienza della gravità dei rischi per la qualità della vita, derivanti da
uno squilibrio tra i due fattori, e che si ponga quale obiettivo primario le creazione
13
tra gli stessi di un rapporto integrato e positivo, che consenta di preservare le
risorse pur nella loro utilizzazione.
Fin dal 1952 le Nazioni Unite, che annoverano tra gli scopi principali la
promozione della cooperazione internazionale e lo sviluppo economico e sociale
dei suoi membri, incaricano il Segretario Generale, attraverso diverse risoluzioni,
di facilitare lo sviluppo delle risorse idriche e, il bilancio generale che si può
tracciare a più di dieci anni di distanza dalla prima conferenza mondiale ufficiale
sul tema, vede il succedersi di numerosi appuntamenti internazionali, i cui
risultati si traducono in documenti (c.d. dichiarazioni), organizzati allo scopo di
affrontare e tentare di risolvere a livello globale il problema della crisi idrica e
garantire a tutti gli essere umani l’accesso alla risorsa.
La prima conferenza in materia di acqua è la Conferenza Mondiale delle Nazioni
Unite del 1977 svoltasi in Argentina, c.d. Conferenza di Mar del Plata19 nel corso
della quale si afferma il principio fondamentale secondo cui “Tutti hanno diritto di
accedere all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni
fondamentali” e viene inoltre pubblicato il c.d. Mar del Plata Action Plan, un
19
Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sull’acqua ( Mar del Plata, 1977)
Al termine della Conferenza di Mar del Plata viene pubblicato il c.d. Mar del Plata Action Plan, un
documento contenente un consistente piano di azioni diviso in due parti: la prima recante
raccomandazioni riguardanti tutte le componenti principali della gestione dell’acqua ed la
seconda dodici risoluzioni su una vasta gamma di aree specifiche.
La Conferenza di Mar del Plata viene considerata una pietra miliare nella storia dello sviluppo
dell’acqua durante la seconda metà del ventesimo secolo.
Contemporaneamente alla Conferenza di Mar del Plata, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per
l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), unitamente alle Commissioni Economiche Regionali per le
acque create dalle Nazioni Unite, organizza numerose conferenze tra le quali degne di nota sono: la
Conferenza di Bangkok del 1965 sui codici delle acque; il seminario interregionale di Nuova Dehli
del 1973 avente ad oggetto la gestione delle acque; il seminario di Budapest del 1975 sullo sviluppo
dei bacini; i congressi di Manila e Damasco sulle tecniche di irrigazione; gli incontri
dell’associazione internazionale delle acque di Mendoza e Caracas tenutisi rispettivamente nel
1968 e nel 1976.
Nel periodo che va dal 1980 al 1992 si susseguono eventi internazionali finalizzati a dare rilevanza
mondiale al problema dell'accesso alle risorse idriche: nel 1980 l'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite proclama Decennio Internazionale dell'Acqua il periodo 1981-1990 e definisce il c.d
“accesso” alla risorsa come “la disponibilità di almeno venti litri di acqua pulita al giorno pro
capite; nel 1990 segue la Consultazione Globale di Nuova Dehli su Acqua Pulita e Servizi Sanitari.
14
documento contenente un consistente piano di azioni in materia di gestione
dell’acqua20 .
Da conferenze e trattati internazionali emerge la tendenza generale a ritenere
determinante, al fine di razionalizzare l’uso dell’acqua e rispondere al sempre più
crescente bisogno della stessa, la considerazione della risorsa idrica come bene
economico ed il riconoscimento del suo valore monetario. Nello specifico, la
Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente svoltasi a Dublino nel 1992,
introduce il concetto di acqua come bene economico, concetto che viene ribadito
nuovamente nel corso del Secondo Forum Mondiale sull’Acqua dell’Aja nel marzo
2000: per la prima volta l’economia entra come parametro di valutazione legato
all’acqua con la giustificazione che “nel passato, il mancato riconoscimento del
valore economico dell’acqua ha comportato sprechi e utilizzi che hanno
danneggiato l’ambiente”21. Si afferma infatti che l’acqua deve essere considerata
20
Biswas Asit K., From Mar del Plata to Kyoto: an analysis of global water policy dialogues,2003,in
http://www.doccentre.org/docsweb/water1/water biswas.htm
21Dichiarazione
di Dublino,http://www.gdrc.org/uem/water/dublin statement.html
Quattro sono i principi affermati nel corpo della Dichiarazione che devono essere rispettati
nell’ambito di una azione concertata a livello locale, nazionale e internazionale ed è basandosi sui
quattro principi guida che i partecipanti alla conferenza hanno elaborato delle raccomandazioni
finalizzate ad aiutare i paesi nell’affrontare i problemi delle loro risorse di acqua. Nello specifico
si punta l’attenzione sull'acqua di conservazione e di riutilizzo in quanto i modelli di utilizzo delle
acque reflue esistenti comportano sprechi eccessivi. Possibilità di risparmio idrico in agricoltura
si hanno utilizzando pratiche di irrigazione più efficienti ed il riciclo consente di ridurre il
consumo di molte industrie e, unitamente, di ridurre l'inquinamento. L'applicazione del "chi
inquina paga" inoltre rappresenta, in questa ottica, il principio base della tariffazione dei servizi
idrici per la conservazione e il riutilizzo. In media, il 36% dell'acqua prodotta dalle società di
servizi delle acque urbane nei paesi in via di sviluppo è "dispersa". Una migliore gestione
potrebbe ridurre queste costose perdite. Maggiori risparmi possono venire da un uso multiplo
delle acque nel rispetto delle norme di scarico basate su nuovi standard di tutela delle acque e ciò
può consentire ai consumatori di riutilizzare l'acqua che attualmente è troppo contaminata dopo
il primo uso. In tema di sviluppo urbano sostenibile poi si afferma come la sostenibilità della
crescita urbana sia minacciata dalla riduzione delle forniture di acqua a buon mercato, a causa
del depauperamento e del degrado causato dalla passata dissolutezza negli usi. Dopo una
generazione o più di usi eccessivi dell'acqua e di scarichi sconsiderati di rifiuti urbani e
industriali, la situazione nella maggior parte delle principali città del mondo è preoccupante e sta
peggiorando. Le future forniture garantite devono essere basate su tariffe idriche adeguate e su
15
un bene economico con un suo valore di mercato che si calcola usando quali
parametri di riferimento la necessità di remunerare il capitale investito e il costo
di produzione. Nel corso della Conferenza di Bonn22 del dicembre 2001 e,
nell’ambito della relativa Dichiarazione, per la prima volta gli Stati respingono
controlli sugli scarichi. La contaminazione di terra ed acque non può più essere vista come un
compromesso ragionevole per garantire l'occupazione e il benessere portato dalla crescita
industriale. Si afferma inoltre, in merito al settore dell'agricoltura, che esso non deve solo fornire
cibo per le popolazioni in crescita, ma anche il risparmio di acqua per altri usi. La sfida è quella di
sviluppare e applicare tecnologie per il risparmio di acqua e di metodi di gestione e, attraverso il
potenziamento delle loro capacità, consentire alle comunità di introdurre incentivi per le
istituzioni e la popolazione rurale ad adottare nuovi approcci, sia per l'agricoltura pluviale che di
irrigazione. Quale soggetto geografico più appropriato per la pianificazione e la gestione delle
risorse idriche viene indicato il bacino idrografico, che comprende sia le acque superficiali che
quelle sotterranee. La funzione essenziale del bacino quella di è conciliare e armonizzare gli
interessi dei paesi rivieraschi, realizzare il monitoraggio quantitativo e qualitativo delle acque,
garantire lo sviluppo dei programmi di azione concertata e lo scambio di informazioni e di far
rispettare gli accordi. Nei decenni a venire la gestione dei bacini idrografici internazionali
aumenterà notevolmente la sua importanza. Una priorità dovrebbe essere data alla preparazione
e l'attuazione di piani di gestione integrata, approvati da tutti i governi interessati e supportate
da accordi internazionali. Ai fini della misurazione delle componenti del ciclo dell'acqua, in
quantità e qualità, e di altre caratteristiche che interessano l'ambiente acqua, base essenziale per
un’efficace gestione delle acque, è lo scambio di dati sul ciclo idrologico su scala globale. Tutti i
paesi devono partecipare e, se necessario, essere assistiti nel prendere parte al monitoraggio
globale, nello studio degli effetti e nello sviluppo di strategie di intervento appropriate. I governi
devono poi anche valutare la loro capacità, tramite specialisti della materia, di attuare l'intera
gamma delle attività integrate per la gestione delle risorse idriche. Questo richiede un ambiente
favorevole in termini di assetti istituzionali e giuridici, ivi compresi quelli necessari per una
efficace gestione della domanda. L’attività di sensibilizzazione è una parte vitale di un approccio
partecipativo alla gestione delle risorse idriche. La comunicazione deve infatti essere parte
integrante del processo di sviluppo.
22
Nel 2001 si tiene la Conferenza Internazionale sull’Acqua di Bonn, nel contesto della quale si
affrontano le tematiche dello sviluppo sostenibile, condivisione di buone pratiche e conoscenze,
governance e risorse finanziarie. Segue nell’anno 2002 il Summit Mondiale sullo Sviluppo
Sostenibile di Johannesburg, Sudafrica, in cui si richiamano i programmi di Agenda 21 e i principi
del vertice di Rio de Janeiro quali obiettivi prioritari da raggiungere, unitamente alla riduzione,
entro il 2015, della metà del numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile
pulita e a strutture e servizi igienici ed alla messa a disposizione di tutti di acqua e servizi sanitari
ed igienici entro il 2025.
16
esplicitamente la richiesta dei c.d. movimenti per l’acqua di inserire il “diritto
all’acqua” nella dichiarazione finale. Successivamente, durante il vertice di
Johannesburg del 2002 prevale il convincimento in base al quale l’investimento
dei privati è il motore dello sviluppo sostenibile: il partenariato pubblico-privato
nella gestione delle risorse idriche si afferma quindi come strumento più adeguato
a promuovere la sostenibilità e soddisfare i bisogni come conseguenza
dell’inettitudine dei Paesi industrializzati ad assicurare le risorse ai Paesi più
poveri. A conferma di ciò, nel testo del documento finale23 dei lavori della
conferenza intergovernativa si afferma testualmente che:
“26. Riconosciamo che lo sviluppo sostenibile richiede una prospettiva a lungo
termine ed una larga partecipazione nell'elaborazione politica, nei ruoli decisionali
e nell'implementazione, a tutti i livelli. Come partner sociali, continueremo a
lavorare per la costruzione di partnership stabili con tutti i grandi gruppi,
rispettandone l'indipendenza e l'importanza del ruolo.
27. Riteniamo che le multinazionali, grandi e piccole, mentre perseguono le loro
legittime attività, abbiano il dovere di contribuire all'evoluzione di comunità e
società sostenibili ed eque”.
A questa prima fase della c.d. cultura della “privatizzazione della gestione”
dell’acqua segue un secondo stadio caratterizzato dall’agevolazione, attraverso i
Forum
Mondiali
sull’Acqua,
dell’ingresso
nel
mercato
dell’acqua
delle
multinazionali. I Forum vengono organizzati ogni tre anni, al fine di elaborare le
politiche mondiali sul tema, dietro sollecitazione della Banca Mondiale,
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e del Consiglio Mondiale
dell’Acqua24.
23
24
La dichiarazione sullo sviluppo sostenibile viene adottata il 4 settembre 2002.
Il Consiglio Mondiale dell'Acqua (nome ufficiale World Water Council, WWC) è
un'organizzazione internazionale con sede a Marsiglia e la cui missione è "promuovere
consapevolezza, costruire impegno politico e dare impulso ad azioni relativamente ai problemi
critici di tutti livelli inerenti l'acqua". In particolare, l'organizzazione si propone di sostenere le
pratiche di conservazione, protezione, sviluppo e gestione dell'acqua su basi sostenibili dal punto
17
Parallelamente si provvede alla creazione di strumenti per favorire la creazione di
partenariati
pubblico-privati come la Global Water Partnership25 e la
Commissione Mondiale sull’Acqua26.
Infine i risultati del processo sopra illustrato vengono cristallizzati nelle
Dichiarazioni prodotte dai Forum stessi ed il quadro di sintesi che ne risulta è
appunto il seguente: dopo il Secondo Forum de l’Aja27, nel 2000, l’accesso
di vista ambientale. Il Consiglio dà vita ogni tre anni al più grande congresso internazionale
sull'acqua, chiamato Forum Mondiale sull'Acqua (World Water Forum).
Il Consiglio è finanziato principalmente attraverso i costi di iscrizione, fondi pubblici devoluti
dalla città di Marsiglia, e donazioni da parte di governi, ONG e altre organizzazioni.
25
Il Global Water Partnership (GWP), è un network internazionale che fornisce informazioni in
materia di gestione idrica sostenibile. Promuove e supporta attività che operano a livello
nazionale e regionale di sviluppo. Oltre ad agenzie, il GWP comprende organizzazioni non
governative e organizzazioni di ricerca scientifica. Enti e istituzioni di governo, compresa la
Banca mondiale , la United Nations Development Program (UNDP) e la svedese per lo sviluppo
internazionale (SIDA), hanno collaborato per creare il Global Water Partnership (GWP). Il GWP
svolge essenzialmente il mandato operativo del Consiglio Mondiale dell'Acqua (WWC) e attua un
"lavoro di partenariato tra tutti i soggetti coinvolti nella gestione dell'acqua: le agenzie
governative, istituzioni pubbliche, imprese private, organizzazioni professionali, agenzie di
sviluppo multilaterali ".
26
La Commissione mondiale per l'Acqua per il 21 ° secolo (WCW) è stato istituita in
collaborazione con le Nazioni Unite e il Consiglio mondiale dell'acqua a seguito del 1 ° Forum
mondiale dell'acqua a Marrakech (1997). Alla Commissione è stata affidata la responsabilità di
sviluppare un documento di politica globale in materia di acque, di governance e di gestione, con
lo scopo di costruire "un consenso tra i professionisti e le parti interessate". La Commissione ha
presentato la sua relazione al 2 ° Forum mondiale dell'acqua marzo 2000 a L'Aia.
27
Nell’anno 2000 si tiene a l’Aja il Secondo Forum Mondiale sull’Acqua nell’ambito del quale
l’attenzione viene incentrata sul rapporto tra acqua da un lato e, rispettivamente, natura, popoli e
sovranità dall’altro e viene inoltre ribadito quanto già sancito nel quinto principio contenuto
nella Dichiarazione Finale conseguente alla Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di
Dublino del 1992 : “L'acqua ha un valore economico in tutti i suoi utilizzi e dovrà essere
riconosciuta come bene economico”. L’acqua viene definita un bisogno e non un diritto. La
differenza è enorme: il concetto di diritto implica che la collettività debba farsi carico di
assicurare l’estensione a tutti di tale diritto, ovunque si trovino e indipendentemente dal fatto se
possano o no pagarlo. Quando si parla di bisogno, invece, ci si riferisce implicitamente alla
capacità del singolo di soddisfare tale bisogno.
18
all’acqua viene considerato un bisogno e nel corso del Forum del 2003 di Kyoto28
28
Il 2003 è l’Anno Internazionale dell’Acqua e a Kyoto viene presentato il Primo Rapporto
Mondiale sullo Sviluppo Idrico. Questo documento è un dettagliato rapporto che fa da base al
forum mondiale di Kyoto dove, da parte degli organizzatori viene dichiarata la volontà di tenere
conto di tutti gli aspetti sociali, ambientali ed economici legati alla risorsa acqua. Per raggiungere
dei risultati dovranno essere negoziati accordi con i delegati di tutto il mondo, comprese
istituzioni internazionali legate alla Banca Mondiale e alle grandi multinazionali private
dell'acqua. Il Rapporto si inserisce in un progetto di verifica del raggiungimento degli obiettivi
enunciati a Rio de Janeiro nel 1992 e nella Dichiarazione del Millennio del 2000. Si afferma
inoltre che i principi basilari di una efficace governance dell’acqua includono: la partecipazione di
tutti i portatori di interessi (stakeholders), la trasparenza, l’equità, la coerenza e
responsabilizzazione . Nei vari livelli di governo dell’acqua è necessario adottare l’approccio
tipico delle imprese private, senza consultazioni con gli utenti della risorsa e senza meccanismi di
partecipazione nelle decisioni. Diverse forme di partenariato pubblico-privato esistono ed il
coinvolgimento del settore privato è destinato a crescere: per fare ciò è necessario aumentare le
potenzialità nel settore dell’acqua delle compagnie private nazionali e locali nei Paesi in via di
Sviluppo. Le riforme della governance dell’acqua spesso si avvantaggiano della sinergia della
liberalizzazione politica ed economica. Il regime regolatorio deve permettere chiare e trasparenti
transazioni tra i portatori di interessi unitamente alla loro responsabilità di salvaguardare la
risorsa.
Nel 2003 a conclusione del Terzo Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto viene approvata una
Dichiarazione in cui si afferma che l’acqua è la chiave dello sviluppo delle Nazioni e che la
gestione delle risorse idriche deve essere incoraggiata attraverso un approccio regionale al
problema. Al fine di realizzare l’obiettivo di ridurre della metà il numero di persone prive di
acqua potabile sicura e di adeguati servizi igienici viene ritenuto determinante l’apporto di
notevoli investimenti necessari ad assicurare l’utilizzazione di tecnologie avanzate sia da parte
dei privati che dalle pubbliche amministrazioni. Anche a Kyoto non viene raggiunto l’accordo per
definire l’acqua un «diritto umano», nonostante questo fosse stato fatto il 26 novembre 2002
dall’Onu, in un documento che lo riconosce come «indispensabile per condurre una vita dignitosa
dal punto di vista umano». (General Comment no. 15)
L’altro punto controverso del Forum di Kyoto riguarda la privatizzazione dell’acqua e dei servizi
ad essa legati o, come viene meglio detto, del partenariato pubblico-privato. La dichiarazione
ministeriale approvata a Kyoto afferma che «tutte le fonti di finanziamento, sia pubbliche, sia
private, nazionali e internazionali, devono essere mobilitate ed utilizzate nel modo più efficiente
ed efficace. Dovremmo esplorare l’intero spettro dei piani finanziari, inclusa la partecipazione del
settore privato, coerenti con le nostre politiche e priorità nazionali. Identificheremo e
svilupperemo nuovi meccanismi di partnership tra pubblico e privato, a seconda dei vari attori
coinvolti, assicurando contemporaneamente il necessario controllo pubblico e le strutture legali
19
il bene acqua diventa una risorsa alla base dello sviluppo sostenibile, per accedere
alla quale è necessario pagare il giusto prezzo per quella che è appunto una merce
in un mercato. La situazione resta immutata a seguito dei forum di Città del
Messico (2006), in occasione del quale viene presentato il Secondo Rapporto delle
Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua, responsabilità condivisa”, e di Istanbul
(2009). A partire dal 2003 si sviluppa una tendenza opposta a quella della
privatizzazione, rappresentata dal Comitato Internazionale dell’Acqua29 ed
per tutelare gli interessi pubblici, con una particolare attenzione a proteggere gli interessi dei
poveri».
Nella Dichiarazione Ministeriale si legge che ogni fonte di finanziamento, sia pubblico che
privato, nazionale ed internazionale, deve essere mobilizzata e usata nella maniera più efficiente
ed efficace, prendendo nota del Rapporto del World Panel sul finanziamento delle infrastrutture
idrauliche. Si manifesta pertanto l’intento di esplorare l’intera gamma dei modi di finanziamenti
inclusa la partecipazione del settore privato in linea con le priorità e politiche nazionali e la
volontà di individuare e sviluppare nuovi meccanismi di partenariati pubblici-privati per i
differenti attori coinvolti, esercitando il controllo necessario a proteggere l’interesse pubblico,
con particolare enfasi sulla protezione degli interessi dei poveri.
29
http://www.contrattoacqua.it/public/journal/index.php?v=139&argm=139&c=2
Il Comitato internazionale è composto da 20 personalità ed è presieduto da Mario Soares.
Il Comitato Internazionale costituisce :
> l' organo garante principi del Manifesto
> la struttura gestionale dei mandati politici a livello internazionale
> l'organo di interlocuzione nei forum mondiali
> l'organo di promozione e coordinamento obiettivi e proposte Manifesto Acqua
> la struttura di coordinamento delle azioni dei comitati nazionali a sostegno Manifesto
La storia del Comitato Internazionale
*Giugno 1998 A Lisbona, su iniziativa del Gruppo di Lisbona e della Fondazione Mario Soares,
viene redatto e lanciato il "Manifesto dell'Acqua" Mario Soares viene nominato Presidente del
Comitato internazionale e Riccardo Petrella coordinatore del Comitato.
L’obiettivo che ci si propone è quello di lanciare una serie di campagne informative e di aumento
della consapevolezza circa la lotta contro nuove fonti di inquinamento dell'acqua, la riforma
strutturale dei sistemi di irrigazione nell'agricoltura intensiva ed industriale, la moratoria di
10/15 anni nella costruzione di nuove grandi dighe, la costituzione di un Osservatorio mondiale
sui diritti umani dell'acqua.
* 1999 Il Coordinatore del Comitato internazionale Riccardo Petrella avvia un ciclo di conferenze
e di contatti per favorire la conoscenza dei contenuti del Contratto Mondiale dell'Acqua e
20
espressa nei Forum Alternativi sull’Acqua di Firenze30 (2003), Ginevra (2005),
vengono identificati alcuni gruppi di appoggio che porteranno alla costituzione dei seguenti
Comitati nazionali di appoggio: Quebec (Canada) - Francia - Belgio
* Marzo 2000 Al Comitato internazionale viene offerta la possibilità di realizzare un worskhop di
presentazione del Contratto mondiale dell'acqua nell'ambito della 2° Conferenza internazionale
sull'acqua, promossa ed organizzata all'Aia dalla Commissione mondiale degli esperti presieduta
dalla Banca Mondiale.
Al workshop partecipano Mario Soares, Daniel Mitterand e Riccardo Petrella ed in quella
occasione viene rilancio il Manifesto del Contratto mondiale dell'Acqua, contrastando la visione
strategica proposta dalla Banca mondiale che propone di spendere 150-180 miliardi di dollari
all'anno per stimolare i capitali privati ad investire del water management.
* 25 marzo 2000 A Bruxelles, sotto il coordinamento di Riccardo Petrella si svolge, il 1° incontro
di coordinamento dei vari Comitati nazionali di appoggio al Contratto Mondiale sull'Acqua. Alla
riunione di Bruxelles erano presenti i rappresentanti dei seguenti comitati nazionali già costituiti
o in fase di costituzione:
Quebec (Paqrot) -Francia (D.Mitterand) -Usa ( Brubaker) -Belgio (Michiels) - Italia ( Lembo) Si
decide che dopo la costituzione di Comitati a livello di Paesi o Regioni del Sud, si procederà alla
costituzione di una struttura di coordinamento della Campagna internazionale e ad avviare la
revisione della stessa composizione dell'attuale Comitato internazionale .
Vengono inoltre definite le seguenti funzioni :
a) conferimento a Riccardo Petrella della funzione di coordinatore e animatore dei Comitati
nazionali;
b) adozione del principio che ogni Comitato deve ricercare l'autofinanziamento delle proprie
attività;
c) adozione di un logo unico della Campagna (simbolo goccia, su mondo attraversato da righe)
con slogan nelle tre lingue e creazione di un sito con il testo del Manifesto (accettazione della
proposta italiana);
d) verifica da parte di Riccardo Petrella presso il Comitato economico e sociale UE, Helvetas
Commissione UE, Governo Belga, di fonti di cofinanziamento per l'avvio dell'Osservatorio;
e) verifica presso i membri del Comitato internazionale della disponibilità a svolgere il ruolo di
sponsor presso fondazioni per il reperimento di fondi a sostegno del Contratto mondiale
dell'acqua.
* 7-9 Giugno 2000 Il Comitato mondiale dell'acqua prende parte al Seminario dei 7 Paesi più
poveri promosso a Bruxelles dal Gruppo dei Verdi ed in quella sede avanza la proposta di
dedicare una sessione dei lavori alla presentazione del tema dell'acqua e di coinvolgere
rappresentanti della società civile del Sud a livello di costituzione dei Comitati dell’acqua e di
realizzare un momento di aggiornamento sulle attività a livello di comitati europei.
30
Nel 2003 a Firenze si tiene il Primo Forum Alternativo sull’Acqua organizzato dal Comitato
Internazionale per il Contratto Mondiale dell’Acqua con lo scopo di escludere l’acqua dalle
21
politiche del WTO e creare un network di parlamentari europei che realizzino gli obiettivi
contenuti nel Manifesto dell’Acqua, quali la tutela del bene comune acqua e la realizzazione di un
sistema fiscale europeo redistributivo gestito da un Servizio Pubblico Europeo che garantisca a
tutti l’accesso alle risorse idriche.
Nel Manifesto si legge chiaramente che “L’acqua « fonte di vita » è un bene comune che appartiene
a tutti gli abitanti della Terra. In quanto fonte di vita insostituibile per l’ecosistema, l’acqua è un
bene vitale comune a tutti gli abitanti della Terra. A nessuno, individualmente o come gruppo, è
concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata”.
La proprietà privata dell’acqua è quindi esclusa dalla sua natura intrinseca legata alla
sopravvivenza degli essere umani: tutti hanno il diritto di vivere e di conseguenza di accedervi al
fine di sopravvivere. La salute dell’umanità ne dipende ed è pertanto patrimonio comune
dell’umanità tutta. L’acqua si differenzia dalle altre risorse in quanto nessun’altra o nessun altro
“bene” può assolvere alla funzione che essa svolge: non è sostituibile e soprattutto ciascun
membro della collettività ha il diritto naturale di accedere ad acqua potabile pulita e disponibile
nelle quantità indispensabili a vivere ed anche alle necessarie attività di tipo economico con cui
l’essere umano si sostenta.
“Non ci può essere produzione di ricchezza senza accesso all’acqua. L’acqua non è paragonabile a
nessun’altra risorsa: non può essere oggetto di scambio commerciale di tipo lucrativo”.
“Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile individuale e collettivo. L’acqua appartiene più
all’economia dei beni comuni e della distribuzione della ricchezza che all’economia privata
dell’accumulazione individuale ed altre forme di espropriazione della ricchezza”. Corresponsabilità
e sussidiarietà sono i principi richiamati al fine di garantire l’accesso all’acqua per tutti come un
diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo. L’acqua è « res publica ».
Si sostiene inoltre una vera partnership pubblica/privata a livello locale/nazionale/mondiale,
basata sul rispetto reciproco e non su conflitti e rivalità, per realizzare una gestione dell’acqua
sostenibile nell’interesse generale. “Una partnership prevalentemente sottomessa, come accade
attualmente, alla logica e agli interessi degli attori privati in continua competizione reciproca per
conquistare il mercato non può che danneggiare l’obiettivo di assicurare l’accesso all’acqua
conformemente alle regole di una “sostenibilità” globale integrata”.
I costi relativi alla raccolta, produzione, deposito, distribuzione, uso, conservazione e riciclo
dell’acqua, in vista della fornitura e della garanzia di accesso all’acqua nella quantità e nella
qualità minime indispensabili, sono considerati costi sociali comuni che devono essere sostenuti
dall’intera collettività.
“I meccanismi di fissazione dei prezzi individuali, secondo un sistema di progressività, intervengono
a partire da un livello di utilizzazione dell’acqua oltre il minimo vitale indispensabile. Oltre questo
minimo vitale, è infatti corretto che i prezzi siano in funzione della quantità usata. Vi è però un
limite all'uso: ogni eccesso deve essere considerato illegale”.
La gestione dell’acqua integrata e sostenibile necessita della partecipazione dei cittadini: gli
utenti devono avere un ruolo centrale nella gestione dell’acqua mediante scelte e modi di vita più
22
Caracas (2006) ed Istanbul (2009) ed illustrata nel Manifesto Mondiale
dell’Acqua31, o Manifesto di Lisbona, il documento finale di una serie di incontri a
ragionevoli, equi e responsabili necessari per assicurare la sostenibilità ambientale, economica e
sociale e devono essere al centro del processo decisionale in un sistema di democrazia
partecipativa per poter realizzare una gestione realmente decentralizzata e trasparente.
Al Quarto Forum Mondiale dell’Acqua di Città del Messico del 2006 viene presentato il Secondo
Rapporto delle Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua, responsabilità condivisa”
30
Il Secondo Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sulla valorizzazione delle risorse idriche
prende atto di una crisi di governance: nel documento si legge che, nonostante siano ripartite in
maniera diseguale, le risorse di acqua dolce sono lontane dall'essere deficitarie su scala del
nostro pianeta. Malgrado ciò, a causa della cattiva gestione, di mezzi limitati e dei cambiamenti
ambientali, quasi un abitante del pianeta su cinque non ha accesso all’acqua potabile ed il 40%
della popolazione mondiale non dispone di un servizio di depurazione di base. Cattive pratiche
di gestione, corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli
investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi a causa di
collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei canali rappresentano le cause
principali della crisi idrica attuale e al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un
argine alla situazione.In ogni caso la valutazione e risoluzione delle criticità evidenziate
dipenderà in gran parte da una buona governance e da una buona gestione delle risorse
disponibili. Una buona governance è essenziale alla gestione delle risorse d’acqua dolce che sono
sempre più limitate ed anche se non è configurabile un modello standard in un contesto così
complesso e variabile, una buona governance deve poggiare su delle istituzioni adeguate, a livello
nazionale, regionale e locale, su dei quadri giuridici stabili ed efficaci e su delle risorse umane e
finanziarie sufficienti.
Ad Istanbul, in Turchia il 16 marzo 2009, si svolge il Quinto Forum Mondiale sull’Acqua. Anche
durante questo Forum non avviene il riconoscimento dell’acqua come diritto. Sempre ad Istanbul
si svolge contemporaneamente il 'Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua promosso da numerosi
movimenti mondiali, che denuncia come il Forum ufficiale “sia "think-tank” privato strettamente
legato alla Banca Mondiale, alle multinazionali dell’acqua e alle politiche dei governi più potenti
del mondo”. Si riaffermano tutti i principi espressi nella Dichiarazione di Città del Messico del
2006: il riconoscimento dell’acqua come elemento basilare per la vita nel pianeta, come diritto
umano fondamentale ed inalienabile; la garanzia della solidarietà tra le presenti e le future
generazioni; il rigetto di qualsiasi forma di privatizzazione e l’affermazione di una gestione e un
controllo dell’acqua pubblici, sociali, cooperativi, partecipativi, equitativi e non finalizzati al
profitto: una gestione democratica e sostenibile è indispensabile al fine di preservare la risorsa e
l’integrità del ciclo dell’acqua.
31
Redatto a Lisbona nel Settembre 1998 dal Comitato Internazionale dell’Acqua presieduto da
Mario Soares e creato per iniziativa di Riccardo Petrella, il Manifesto Mondiale dell’Acqua risulta
23
livello mondiale tenutisi per studiare, risolvere e sensibilizzare sul tema
dell’acqua. Il Manifesto prevede la nascita di nuove regole e nuovi mezzi di
gestione dell’acqua, per un futuro solidale e sostenibile a livello di comunità
locali, tra le generazioni, sulla base della cooperazione, della democrazia e della
solidarietà in chiave di ripubblicizzazione della risorsa e soprattutto del
riconoscimento ufficiale del “diritto” all’acqua come bene di tutta la collettività.
2.2 Quadro generale della normativa comunitaria in materia di acque
a. La cornice internazionale del dibattito inerente la risorsa idrica, che muove i
primi passi dagli anni ’70, si sviluppa parallelamente all’evolversi dell’attività della
Comunità europea finalizzata a dare un inquadramento giuridico - concettuale
all’acqua. Attualmente la normativa comunitaria rappresenta per gli Stati membri
il punto di riferimento in materia di ambiente e non si può prescindere pertanto
da una analisi dei risultati di tale attività, per i riflessi diretti che essa produce sugli
ordinamenti interni e, per il nostro scopo, in particolare su quello italiano.
In ambito comunitario l’iniziativa assunta dal Consiglio dell’allora Comunità
Europea32 - ora Unione Europea - per una valida politica ecologica, viene collegata
originariamente al preambolo del Trattato istitutivo della stessa33 e l’interesse
essere il documento finale di una serie di incontri a livello mondiale tenutisi per studiare,
risolvere e sensibilizzare sul tema dell’acqua. Il documento di Lisbona si propone come una delle
risposte possibili affinché il problema della crisi idrica venga affrontato e trovi soluzione nelle
sedi opportune e dai soggetti coinvolti. Il Manifesto prevede la nascita di nuove regole e nuovi
mezzi di gestione dell’acqua, per un futuro solidale e sostenibile a livello di comunità locali, tra le
generazioni, sulla base della cooperazione, della democrazia e della solidarietà.
32
http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ:C:2010:083:SOM:IT:HTML
Versione consolidata del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento
dell'Unione europea.
33
Alcune politiche erano previste formalmente dal trattato istitutivo della comunità Europea –
ora modificato dal Trattato sull’Unione Europea - come la politica agricola comune, la politica
commerciale comune e la politica comune dei trasporti . Altre potevano invece essere intraprese
a seconda delle necessità, come previsto all'articolo 235, secondo cui "quando un'azione della
Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli
scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il
Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato
l'Assemblea, prende le disposizioni del caso". Sin dal vertice di Parigi dell'ottobre 1972, il ricorso
24
specifico della Comunità nei confronti della questione idrica si manifesta per la
prima volta in modo significativo nel 1968 con la promulgazione della Carta
Europea dell’Acqua34. L’acqua viene considerata in questo documento come una
a tale articolo ha permesso alla Comunità di sviluppare azioni nei settori della politica
ambientale, regionale, sociale e industriale.
http://europa.eu/legislation_summaries/institutional_affairs/treaties/treaties_eec_it.htm
Attualmente invece il titolo XX del Trattato sull’unione Europea è espressamente dedicato
all’ambiente e alla politica ambientale:
Articolo 191
(ex articolo 174 del TCE)
1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente,
— protezione della salute umana,
— utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,
— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente
a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto
della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della
precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte,
dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga». In tale contesto, le misure
di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi
opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi
ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo
dell'Unione.
IT C 83/132 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.3.2010
34
Carta Europea dell’Acqua - adottata dal Consiglio d’Europa (Strasburgo, 6 maggio 1968)
1. Non c'è vita senza acqua. L'acqua è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane.
L'acqua cade dall'atmosfera sulla terra dove arriva principalmente sotto forma di pioggia o di neve.
Ruscelli, fiumi, laghi, ghiacciai sono le grandi vie attraverso le quali l'acqua raggiunge gli oceani.
Durante il suo viaggio essa è trattenuta dal suolo, dalla vegetazione, dagli animali.
L'acqua fa ritorno all'atmosfera principalmente per evaporazione e per traspirazione vegetale. Essa è
per l'uomo, per gli animali e per le piante un elemento di prima necessità. Infatti l'acqua costituisce i
due terzi del peso dell'uomo e fino ai nove decimi del peso dei vegetali.
Essa è indispensabile all'uomo come bevanda e come alimento, per la sua igiene e come sorgente di
energia, materia prima di produzione, via per i trasporti e base delle attività ricreative che la vita
moderna richiede sempre di più.
25
2. Le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili. È indispensabile preservarle, controllarle e, se
possibile, accrescerle. In conseguenza dell'esplosione demografica e del rapido aumento delle
necessità dell'agricoltura e dell'industria moderne, le risorse idriche formano oggetto di una
richiesta crescente. Non potremo soddisfare questa richiesta, né elevare il livello di vita, se ciascuno
di noi non imparerà a considerare l'acqua come un bene prezioso, che occorre preservare e
razionalmente utilizzare.
3. Alterare la qualità dell'acqua significa nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi che da
essa dipendono. L'acqua nella natura è un mezzo vitale che ospita organismi benefici i quali
contribuiscono a mantenerne la qualità. Contaminandola, rischiamo di distruggere questi organismi,
alterando così il processo di autodepurazione modificando in maniera sfavorevole e irreversibile il
mezzo vitale. Le acque di superficie e le acque sotterranee devono essere preservate dalla
contaminazione. Ogni scadimento importante della qualità o della quantità di un'acqua corrente o
stagnante rischia di essere nocivo per l'uomo e per gli altri esseri viventi animali e vegetali.
4. La qualità dell'acqua deve essere mantenuta in modo da poter soddisfare le esigenze delle
utilizzazioni previste, specialmente per i bisogni della salute pubblica. Queste norme di qualità
possono variare a seconda delle diverse destinazioni dell'acqua, e cioè per l'alimentazione, per i bisogni
domestici, agricoli e industriali, per la pesca e per le attività ricreative. Tuttavia, poiché la vita nei suoi
infiniti diversi aspetti è condizionata dalle molteplici qualità delle acque, si dovrebbero prendere
delle misure volte ad assicurare la conservazione delle proprietà naturali dell'acqua.
5. Quando l'acqua, dopo essere stata utilizzata, viene restituita all'ambiente naturale, deve essere
in condizioni da non compromettere i possibili usi dell'ambiente, sia pubblici che privati.
La contaminazione è una modifica, provocata generalmente dall'uomo, della qualità dell'acqua, tale
da renderla inadatta o dannosa al consumo da parte dell'uomo, all'industria, all'agricoltura, alla
pesca, alle attività ricreative, agli animali domestici e ai selvatici.
Lo scarico dei residui di lavorazione o di acque usate, che provoca contaminazioni d'ordine fisico,
chimico, organico, termico o radioattivo, non deve mettere in pericolo la salute pubblica e deve
tener conto della capacità delle acque ad assimilare, per diluizione o per autodepurazione, i residui
scaricati. Gli aspetti sociali ed economici dei metodi di trattamento delle acque rivestono a questo
riguardo una grande importanza.
6. La conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale per
la conservazione delle risorse idriche.
È necessario mantenere la copertura vegetale, di preferenza forestale, oppure ricostituirla il più
rapidamente possibile ogniqualvolta essa è stata distrutta. Salvaguardare la foresta costituisce un
fattore di grande importanza per la stabilizzazione dei bacini di raccolta e per il loro regime idrologico.
Le foreste sono d'altra parte utili sia per il loro valore economico che come luogo di ricreazione.
7. Le risorse idriche devono essere accuratamente inventariate.
L'acqua dolce utilizzabile rappresenta meno dell'1 per cento della quantità d'acqua del nostro
pianeta ed è molto inegualmente distribuita. È indispensabile conoscere le disponibilità di acqua di
26
risorsa, preziosa soprattutto in quanto esauribile e pertanto bisognosa di
attenzione estrema ai fini della sua conservazione attraverso l’evoluzione
scientifica e tecnologica, oltre che mediante l’emanazione di normative di tutela.
La politica delle acque della Unione europea viene in primo luogo codificata in tre
direttive: la direttiva sulle acque reflue urbane35 (91/271/CEE) del 21 maggio
superficie e sotterranea, tenuto conto del ciclo dell'acqua, della sua qualità e della sua utilizzazione.
Per inventario si intenderà il rilevamento e la valutazione quantitativa delle risorse idriche.
8. La buona gestione dell'acqua deve essere materia di pianificazione da parte delle autorità
competenti.
L'acqua è una risorsa preziosa che ha necessità di una razionale gestione secondo un piano che concili
nello stesso tempo i bisogni a breve e a lungo termine. Una vera e propria politica si impone nel settore delle risorse idriche, che richiedono numerosi interventi in vista della loro conservazione, della
loro regolamentazione e della loro distribuzione. La conservazione della qualità e della quantità
dell'acqua richiede inoltre lo sviluppo e il perfezionamento delle tecniche di utilizzazione, di
recupero e di depurazione.
9. La salvaguardia dell'acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione
di specialisti e di informazione pubblica.
La ricerca scientifica sull'acqua, dopo il suo uso, deve essere incoraggiata al massimo. I mezzi di
informazione dovranno essere ampliati e gli scambi di notizie estesi a livello internazionale e
facilitati dal momento che si impone una formazione tecnica e biologica di personale qualificato nelle
diverse discipline interessate.
10. L'acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ciascuno ha il
dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura.
Ciascun individuo è un consumatore e un utilizzatore di acqua. In quanto tale egli ha una
responsabilità verso gli altri consumatori. Usare l'acqua in maniera sconsiderata significa abusare del
patrimonio naturale.
11. La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bilancio naturale piuttosto che
entro frontiere amministrative e politiche.
12. L'acqua non ha frontiere. Essa è una risorsa comune la cui tutela richiede la cooperazione
internazionale. I problemi internazionali che possono nascere dall'utilizzazione delle acque
dovrebbero essere risolti di comune accordo fra gli Stati, al fine di salvaguardare l'acqua tanto nella
sua qualità che nella sua quantità.
35
La presente direttiva del Consiglio sulle acque reflue urbane riguarda la raccolta, il trattamento
e lo scarico delle acque reflue urbane nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue
originate da taluni settori industriali. Il suo scopo è quello di proteggere l'ambiente dagli
eventuali effetti negativi a causa dello scarico di tali acque.
La direttiva consente inoltre la creazione di zone costiere meno sensibili, il cui trattamento
primario sarebbe sufficiente, se si può dimostrare che non vi è alcun impatto negativo
27
1991, concernente gli scarichi urbani e di alcuni industriali delle acque reflue; la
direttiva sulle acque potabili36 (98/83/CE) del 3 novembre 1998 in materia di
sull'ambiente (art. 6).Gli Stati membri erano tenuti a stabilire un elenco delle aree sensibili. E'
stato stimato che nel 2004 circa il 34 per cento del carico inquinante da acque reflue che rientri
nel campo di applicazione della direttiva recapita in aree sensibili.
La presente direttiva è stata modificata dalla direttiva 98/15/CE della Commissione.
La Commissione europea ha pubblicato tre relazioni sull'attuazione della direttiva, l'ultima nel
2004. La relazione ha osservato che la situazione del trattamento delle acque reflue in Europa è
ancora molto insoddisfacente e che nessuno dei termini è stato rispettato da tutti i paesi membri.
Solo l'Austria, la Danimarca e la Germania pienamente conformata alla direttiva. Il rapporto
osserva che BOD livelli nei fiumi europei sono stati ridotti del 20-30 per cento dopo l'entrata in
vigore della direttiva, ma che gli altri parametri di inquinamento, quali i livelli di azoto è rimasta
alta. La ragione è che gran parte dell'inquinamento azoto proviene da fonti diffuse in agricoltura,
e la rimozione dei nutrienti ancora insufficienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue.
L' eutrofizzazione del Mar Baltico , il Mare del Nord e di parti significative del Mediterraneo
rimane quindi un "problema grave". Il rapporto rileva inoltre che si stima che oltre il 50 per cento
degli scarichi in aree sensibili, non è stato trattato a sufficienza. Anche per le aree non sensibili,
anche se la foto è stata meno triste, solo il 69% degli scarichi ricevuto il trattamento e la scadenza
del 2000 non è stata rispettata dalla maggior parte dei paesi membri. 25 su 556 città dell'UE
ancora non possiede un sistema di trattamento delle acque reflue a tutti.La direttiva ha innescato
notevoli investimenti in attività di trattamento delle acque in tutta l'UE. Un aspetto controverso
della direttiva è l'obbligo per tutti gli agglomerati con più di 2000 abitanti di avere un sistema di
raccolta delle acque reflue, che è stato ampiamente interpretato nel senso che il collegamento ad
un fogna sistema anche se esistente sito igiene sistemi su svolgere in modo adeguato. Il costo
della connessione case nelle reti di fognatura in piccoli centri rurali con modelli di dispersione
abitativa è spesso molto elevato e impone un onere finanziario per gli utenti. Secondo la
Commissione europea, la direttiva rappresenta la più costosa la legislazione europea nel settore
ambientale. Le stime dell'UE che 152 miliardi di euro sono stati investiti nel trattamento delle
acque reflue 1990-2010 (sic!). L'UE fornisce il supporto per l'attuazione della direttiva in ordine
di 5 miliardi di euro all'anno.
36
La direttiva mira a proteggere la salute umana, fissando requisiti di salubrità e di purezza che
devono essere soddisfatte da acqua potabile all'interno della Comunità. Si applica a tutte le acque
destinate al consumo umano, a parte le acque minerali naturali e le acque medicinali.
Gli Stati membri assicurano che tale acqua potabile :
non contenga alcuna concentrazione di micro-organismi , parassiti o altre sostanze che
costituiscono un rischio per la salute umana potenziale; soddisfi i requisiti minimi
(microbiologici e chimici i parametri e quelli relativi alla radioattività ) stabiliti dalla direttiva.
28
qualità dell'acqua potabile; la direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) del 23
ottobre 2000, concernente la gestione delle risorse d'acqua. Gli Stati membri
dell'UE hanno adottato norme nazionali in conformità con queste direttive.
L'organizzazione istituzionale di approvvigionamento idrico e igienico-sanitarie
pubbliche non rientra nelle competenze della UE, ma rimane una prerogativa di
ogni stato membro. La disciplina delle risorse idriche nella Comunità Europea
trova definitivamente una completa collocazione soltanto con la Direttiva
2000/60/CE (c.d. Direttiva Acque)37, tuttora in stato di attuazione.
La direttiva impone agli Stati membri di controllare regolarmente la qualità delle acque destinate
al consumo umano, utilizzando i metodi di analisi stabiliti nella direttiva, o metodi equivalenti. Gli
Stati membri dovranno pubblicare la qualità dell'acqua potabile di relazioni ogni tre anni e la
Commissione europea pubblicherà una relazione di sintesi. Fino al 2006 la Commissione europea
non ha pubblicato una relazione di sintesi sulla qualità dell'acqua potabile. Nessun paese
dell'Unione europea raggiunto la piena conformità con la direttiva, soprattutto a causa della
natura geologica del terreno e l'attività agricola, nel 2003 la Commissione europea ha avviato un
ampio processo di consultazione per preparare una revisione della direttiva.
37
A. Capria, Direttive Ambientali CEE, stato di attuazione in Italia, in Quaderni della Rivista
Giuridica dell’Ambiente, Giuffrè, 1988.
Nel corso dei decenni precedenti alla c.d. Direttiva Acque l’Unione Europea emana altre direttive,
non però di carattere generale, allo scopo di arginare la crisi delle risorse idriche. La direttiva
75/400/CE, sulla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile,
persegue il fine di far sì che le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile
raggiungano standards predefiniti antecedentemente alla loro distribuzione al consumo e al
tempo stesso di elevare la qualità delle acque di superficie destinate al consumo umano.
Prima dell’attuazione della direttiva 400/75/CE, in Italia la materia delle acque superficiali
destinate all’uso potabile non trova una disciplina, ad eccezione di una circolare del Ministero
della Sanità del 1977 inerente il controllo sul rispetto di standards minimi da parte delle acque
grezze da trattare allo scopo di renderle potabili. La direttiva viene recepita in Italia con un
ritardo di cinque anni, a seguito della condanna della Corte di Giustizia Europea con la sentenza
30-34/1981, nella Legge delega 42/82 e conseguentemente nel Decreto del Presidente della
Repubblica n. 515/1982 con i quali per la prima volta in Italia si garantisce un controllo idoneo
della qualità delle acque. Nel nostro Paese infatti la potabilizzazione delle acque superficiali
rappresenta, fino agli anni ’70, un fenomeno raro ed affermatosi a causa del depauperamento
graduale delle fonti naturali delle acque potabili e dal progresso tecnico- scientifico in materia di
trattamento delle risorse idriche.
Le due successive direttive, 74/464/CE e 79/869/CE, concernono, rispettivamente l’una,
l’inquinamento provocato da alcune sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico e l’altra, la
29
Il carattere complessivo della normativa deriva dalla finalità della stessa di
protezione delle acque superficiali interne, di transizione, costiere e sotterranee38.
Nello specifico, molteplici sono gli obiettivi elencati nel corpo della direttiva e tra
questi, in primis, quello di agevolare l’utilizzo idrico sostenibile e proteggere
l’ambiente. In tale dimensione si collocano i doveri cui devono adempiere gli Stati
membri nell’attuazione delle disposizioni come, ad esempio, provvedere affinché,
attraverso le politiche dei prezzi dell’acqua, gli utenti siano indirizzati verso un uso
più efficiente della stessa entro il 2010 e, nell’ambito dei piani di gestione di ogni
distretto idrico, garantire l’equilibrio tra l’estrazione ed il rinnovo della risorsa. Nel
primo enunciato del preambolo della direttiva si legge che “l’acqua non è un
prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso
e trattato come tale” e, al punto 11, richiamando il vecchio articolo 174 del Trattato
istitutivo della CEE39, si precisa come la politica ambientale comunitaria debba
misura, le componenti e le analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua
potabile. Lo scopo di quest’ultima direttiva è quello di integrare la direttiva 75/440/CE in merito
ai metodi di misura, campionamento ed analisi dei distinti parametri descrittivi dei caratteri
fisici, chimici e microbiologici delle acque di superficie destinate al consumo umano. Gli effetti
prodotti dalla direttiva restano però piuttosto limitati a causa del ritardo delle Regioni nella fase
di classificazione dei corpi idrici e di preparazione dei programmi.
Nel 1980 con la direttiva 778 la CE persegue la finalità di stabilire norme di qualità relativamente
alle acque destinate all’consumo umano, ovvero “tutte le acque utilizzate a tal fine allo stato in cui
si trovano o dopo trattamento, qualunque ne sia l’origine, sia che si tratti di acque fornite al
consumo, sia che si tratti di acque utilizzate dall’industria alimentare”. La direttiva viene
successivamente modificata dalla direttiva 98/83/CE attuata in Italia dal Decreto Legislativo
31/2001 e poi modificato ed integrato dal D. Lgs. 27/2002.
Seguono poi diverse direttive aventi ad oggetto differenti aspetti delle risorse idriche: la
91/271/CE (modificata dalla 98/19/CE) sul trattamento delle acque reflue urbane ed industriali;
la 91/676 sulla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati dell’agricoltura; la
dir. 95/308/CE di approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione e
utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri ed internazionali.
38La
direttiva
2000/60
CE
abroga,
con
decorrenza
dal
22
dicembre
2007,
le
direttive770/40,77/795 e 79/869 e, con decorrenza dal 22 dicembre 2013, le direttive 78/659,
79/923 e 89/69. La Commissione Europea provvede a monitorare lo stato di attuazione della
direttiva 2000/60 e pubblica una relazione entro dodici anni dalla sua entrata in vigore e,
successivamente, ogni sei anni.
39
Articolo 174, Trattato Istitutivo della CEE
30
essere finalizzata ad assicurare “la salvaguardia, la tutela ed il miglioramento della
qualità dell’ambiente, dell’utilizzazione accorta delle risorse naturali” e si connette
la stessa ai principi di precauzione, dell’azione preventiva, di correzione dei danni
alla fonte ed al “chi inquina paga”. Il punto 12 prosegue, nel richiamare anch’esso
l’articolo 174 sopra menzionato, affermando che la Comunità, in materia di
politica ambientale, deve trovare i suoi punti di riferimento nei dati scientifici e
tecnici disponibili, nello sviluppo socio-economico della stessa interamente
considerata e nella valutazione dei potenziali costi e vantaggi di una azione o di
una mancata azione. Molteplici sono le considerazioni che si possono trarre da
quanto sopra enunciato: l’acqua implicitamente viene indicata come prodotto
commerciale sui generis. Si dice infatti che essa non è un prodotto commerciale al
pari degli altri ma non la si esclude espressamente dal novero degli stessi.
D’altronde la CEE nasce con finalità economiche e non può pertanto che prendere
in considerazione “beni” in relazione ad un pubblico di consumatori - anche se già
prima del 2000 c’è stata un’apertura della Comunità verso fini ulteriori e
concorrenti rispetto al mercato, quali, tra gli altri, l’ambiente e i servizi d’interesse
generale - . La connotazione successiva però, evidenzia grande attenzione alla
peculiarità dell’oggetto che in questo caso si va a regolamentare: un patrimonio da
tutelare come tale ed in quanto inserito nel contesto complessivo della politica
ambientale comunitaria finalizzata ad un uso razionale delle risorse idriche. I
principi di precauzione40, prevenzione, correzione dei danni alla fonte e “chi
inquina paga” costituiscono i parametri di riferimento che consentono
concretamente di valutare i rischi e prevenire gli eventuali danni conseguenti ad
una azione o ad una non azione, e ciò in relazione ai dati scientifici ed alle migliori
tecniche esistenti al momento della verifica da effettuare. La politica idrica
comunitaria viene così saldata ad elementi oggettivi per una gestione accorta e
razionale della risorsa nei singoli Paesi dell’Unione Europea. L’articolo 941 della
Direttiva pone inoltre a carico degli Stati membri l’obbligo di adottare misure
adeguate a fare in modo che i prezzi dell’acqua rispecchino il costo totale di tutti i
40
per uno studio approfondito del principio di precauzione: De Leonardis F., Il principio di
precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffrè, 2005
41
Articolo 9, Direttiva 2000/60 CE (poi modificata dalla direttiva 2001/2455/CE concernente la
creazione di un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque)
31
servizi collegati all’uso della stessa, quali ad esempio la gestione, la manutenzione
degli impianti, oltre ai costi per l’ambiente ed il depauperamento delle risorse. A
questo scopo gli Stati dovranno imporre, nei diversi settori in cui l’acqua viene
utilizzata, i costi dei servizi, tenendo conto del fondamentale principio “chi inquina
paga” ed il risparmio idrico dovrà essere ottenuto attraverso l’elaborazione di
piani tariffari che inducano i consumatori ad allinearsi alla politica comunitaria in
materia42.
b. Il recepimento della Direttiva Acque in Italia è avvenuto soltanto il 3 aprile
2006 con il Decreto Legislativo n. 152, adottato a seguito della Legge 15
dicembre 2004, n. 308 e ciò anche come conseguenza della condanna da parte
della Corte di Giustizia europea del 12 gennaio 2006 per la mancata
trasposizione nella legislazione nazionale del nostro paese della Direttiva
2000/60/CE entro i termini prescritti. Il recepimento però non è avvenuto in
linea con quanto richiesto a livello comunitario, tanto che la Commissione
Europea ha fatto pervenire al nostro Paese già nel dicembre 2006 una lettera di
costituzione in mora in cui puntualizzava come fossero state recepite solo in
parte le disposizioni che stabilivano le condizioni che gli Stati membri avrebbero
dovuto soddisfare qualora intendessero derogare agli obiettivi ambientali e al
calendario previsti dalla Direttiva. Poiché da allora la situazione non si è evoluta
la Commissione, nel giugno 2007, ha provveduto ad inviare un parere motivato
alle Autorità italiane ed ha, del resto, espresso a più riprese un giudizio negativo
sulla modalità di procedere dell’Italia43: “Solo per l’Italia le responsabilità per la
42
La Direttiva 2000/60 è stata poi modificata dalla Direttiva 2008/105/CE che stabilisce gli
standards di qualità ambientale (SQA) in materia di acque. Tali standards di qualità armonizzati
mirano a contrastare l'inquinamento delle acque di superficie provocato da 33 sostanze chimiche
prioritarie. La direttiva riguarda essenzialmente la revisione dell'elenco delle sostanze prioritarie
e dei relativi SQA, i criteri di trasparenza per designare le zone dette «di mescolamento»
all'interno delle quali gli standard possono essere superati nel rispetto di talune condizioni e
l’elaborazione di un inventario delle emissioni, degli scarichi e delle perdite. Tale inventario
servirà a preparare la relazione della Commissione destinata a verificare i progressi realizzati per
ridurre o eliminare le emissioni delle sostanze inquinanti entro il 2018.
43
Gruppo 183 – WWF ITALIA, 2009 - Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE. I Piani di gestione di
bacino idrografico
32
preparazione dei Piani di gestione di bacino idrografico non sono chiare. Ciò è
confermato dal fatto che i resoconti previsti nell’ambito dell’applicazione
dell’articolo 5 sono documenti scoordinati tra le diverse autorità all’interno del
distretto idrografico”. E ancora: “Solo per l’Italia il raggruppamento di bacini
idrografici per distretti appare essere illogico e non necessariamente in linea con
gli orientamenti della Direttiva quadro acque. I bacini idrografici che si
affacciano sui mari Tirreno ed Adriatico sono stati raggruppati insieme. Questo è
il caso dei distretti dell’Appennino settentrionale, centrale e meridionale”44.
Giudizio ribadito anche più recentemente in occasione del secondo rapporto
della Commissione Europea al Parlamento Europeo e al Consiglio, ai sensi
dell’art. 183 della Direttiva 2000/60/CE45. L’attuazione della norma comunitaria
sul nostro territorio è infatti tutt’ora molto deficitaria.
Il primo passo richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE per gettare le basi della
gestione sostenibile dell’acqua è una iniziale caratterizzazione e analisi delle
acque superficiali, sotterranee, di transizione e costiere a scala di distretti/bacini
idrografici. L’obiettivo consiste nel mettere a fuoco la situazione corrente,
prevedere la sua evoluzione al 2015 e permettere, di conseguenza, una prima
valutazione della possibilità di raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica a
quella data (art. 5)
46.
Questa prima fase di analisi e di approfondimento delle
conoscenze è, dunque, concepita come un elemento fondamentale verso la
gestione integrata di bacino, indispensabile per indirizzare la messa a punto di
44
Commissione Europea, 2007, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al
Consiglio “Verso una gestione sostenibile delle acque nell’Unione europea” – Prima fase
nell’attuazione della Direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) - [SEC(2007) 362] [SEC(2007)
363] Bruxelles, 22.3.2007, COM 2007 128 Definitivo.
45
Sul punto: Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio a norma
dell’articolo 18, paragrafo 3, della direttiva 2000/60/CE concernente i programmi di
monitoraggio dello stato delle acque {SEC(2009)415} - COM/2009/0156 def.
46
A seguito dell’esperienza maturata sui bacini pilota, la Commissione Europea ha indicato tra i
sei principi guida che debbono informare questa fase, quello secondo cui l’analisi preliminare del
rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità non va confusa con la determinazione
dello stato di qualità dei corpi idrici. L’attribuzione allo stato di qualità presuppone, infatti, la
definizione di sistemi di classificazione nazionale, suffragati dagli esiti della intercalibrazione e
del monitoraggio. E’ quindi necessario disporre di dati completi per tutti gli elementi di qualità
richiesti dall’Allegato V e applicare a seconda del rischio diversi programmi di monitoraggio.
33
un piano di monitoraggio efficiente finalizzato al raggiungimento degli obiettivi
di qualità ambientale, oltre a costituire una componente basilare sia della
redazione dei piani di gestione di bacino/distretto, sia dell’analisi costi-efficacia
per la selezione delle misure che dovranno essere attuate entro il 2012. Tuttavia,
le componenti sopra descritte difficilmente sono riscontrabili nei Piani di
gestione di bacino idrografico la cui redazione il Governo italiano ha messo in
capo alle Autorità di Bacino nazionali. Il legislatore comunitario ha previsto la
pianificazione di bacino come strumento che ha una considerazione unitaria ed
intersettoriale di ogni possibile destinazione d'uso delle risorse idriche. Ma in
Italia esso è stato surrogato dal piano stralcio, un piano quindi settoriale e perciò
stesso limitato.47 Solo di recente è stata avviata la redazione dei Piani di gestione
dei distretti idrografici, previsti dalla Direttiva (art. 13), dopo un non facile
recepimento avvenuto con il D.Lgs. 152/06. La Legge 27 febbraio 2009, n. 13 ha
affidato infatti l’adozione e il coordinamento dei contenuti e degli obiettivi dei
Piani di gestione di distretto idrografico alle Autorità di bacino di rilevo
nazionale e alle Regioni, con il compito di pervenire all’adozione dei Piani di
gestione entro il 22 dicembre 2009, onde evitare d’incorrere nelle sanzioni
comunitarie. La preparazione dei Piani sarebbe dovuta iniziare fin dal 2004 con
la caratterizzazione dei distretti, l’analisi dell’impatto delle attività antropiche
sullo stato delle acque superficiali e sotterranee e l’analisi economica
dell’utilizzazione delle risorse idriche e già nel 2006 avrebbe dovuto prendere
avvio il processo di partecipazione pubblica (art.14).
L’applicazione della
Direttiva 2000/60/CE non si esaurisce comunque con i Piani di gestione di
bacino idrografico, prevedendo un ampio ventaglio di azioni, con conseguenze
fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi posti. Azioni che necessitano
di un processo di attuazione coordinato e continuo nel tempo che allo stato
attuale risulta assolutamente carente in Italia48. Nello specifico, la Direttiva
47
Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei
giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003
48
La Direttiva, infatti, richiede che:
- entro il 2009 venga definito un programma di misure che, tenendo conto dei risultati delle
analisi, permetta il raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati;
- entro il 2009 siano predisposti i piani di gestione dei bacini idrografici;
34
stabilisce che entro il 2010 si sarebbe dovuta definire una politica dei prezzi che
tenga conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi
ambientali e relativi alle risorse e che entro il 2012 vi sia l’adozione di un
programma di misure – base e supplementari – applicabile ai Distretti Idrografici
identificati. Per quanto riguarda in particolare le tariffe idriche, La Commissione
Europea ha stabilito49 che, in termini di costi, l’utenza debba sopportare - oltre ai
costi di gestione del sevizio di distribuzione - anche i costi relativi ai servizi
naturali. Di conseguenza la Commissione ha stabilito che le tariffe devono
coprire anche i “costi ambientali” (legati all’alterazione dell’ecosistema) ed i
“costi di risorsa” (cioè i costi di approvvigionamento derivanti dall’utilizzo
dell’acqua da parte di altri utenti”. 50
c. I temi principali della direttiva 2000/60 CE sono due: il primo è rappresentato
dalla tutela delle acque, inteso come riferito prevalentemente alla tutela qualitativa,
con scarsa attenzione al problema delle acque sotterranee e a quello della tutela
quantitativa. Il secondo concerne invece gli aspetti della gestione delle risorse
idriche, affrontati senza norme dirette, ma con importanti legami con il tema più
ampio del governo delle acque.
Le carenze della direttiva sono state successivamente colmate da due direttive
“figlie” e, in seguito, da ulteriori atti51: la 2006/118/CE, in materia di protezione
- entro il 2010 venga definita di una politica dei prezzi che tenga conto del principio del recupero
dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse;
- entro il 2012 vi sia l’adozione di un programma di misure – base e supplementari – applicabile
ai Distretti Idrografici identificati;
- entro il 2015 siano raggiunti gli obiettivi ambientali (art. 4) che contemplano la protezione, il
miglioramento e il ripristino di tutti i corpi idrici superficiali al fine di raggiungere il buono stato
delle acque.
49
Commissione Europea, 26 luglio 2000, COM (2000) 477
50
Bartolini A., Il servizio idrico integrato tra diritto europeo e Codice dell’ambiente, in Studi sul
codice dell’ambiente, Atti del convegno a Palermo 23-24 maggio 2008, Chiti M.P. e Ursi R. (a cura
di), Giappichelli . In tema di costi ambientali vedi Colarullo, Mocella e Putrucci, I costi ambientali e
di risorsa nella direttiva 2000/60/CE, in Ambiente & Sicurezza, n.1/2008, 37 ss.
51
I successivi atti modificativi ed integrativi della direttiva Acque sono la Decisione n.
2455/2001/CE relativa all'istituzione di un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque; la
Direttiva 2008/32/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, per
35
delle acque sotterranee, che appunto integra la 2000/60 sul tema degli obiettivi di
qualità (caratterizzazione del buono stato chimico) con elementi tecnici e la
direttiva 2007/60/CE sulla valutazione e gestione dei rischi delle alluvioni che si
allaccia alla 2000/60 per gli elementi di pianificazione e gestione dei bacini
idrografici, per gli aspetti relativi alle alluvioni.
Gli scopi che la direttiva Acque persegue concernono la protezione degli
ecosistemi acquatici, impedendo un ulteriore peggioramento e raggiungendo un
obiettivo di qualità; la garanzia di un utilizzo idrico sostenibile, l’eliminazione delle
sostanze pericolose, arrivando a concentrazioni, negli ecosistemi, vicine a quelle
naturali, la mitigazione degli effetti delle inondazioni e delle siccità, la garanzia di
una fornitura d’acqua sufficiente e di buona qualità ed infine il raggiungimento di
un “buono stato di qualità” per tutti i corpi idrici entro il 2015. Nel contesto delle
finalità così delineato un ruolo strategico viene assunto dall’analisi economica di
sostenibilità degli usi della risorsa idrica: a tal riguardo la Direttiva 2000/60,
all'art. 91, ha stabilito che gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere entro il
2010 ad un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei
vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e
agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato III e
tenendo conto del principio "chi inquina paga". La disposizione è stata recepita
nell'ordinamento nazionale con l'art. 119 del D.Lgs. 152/2006 che disciplina il
principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici. L'analisi economica ha
quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai diversi usi della risorsa
idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e l'uso idroelettrico. Per
quanto riguarda l'uso idropotabile, va rilevato che il valore dell'acqua per l'uso
civile viene stimato a partire dalla considerazione che, nel caso del servizio idrico,
servizio essenziale, la domanda non possa essere lasciata insoddisfatta ed in tale
ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare gli usi meno efficienti
quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione ed infine la Direttiva
2009/31/CE relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifica della
direttiva 85/337/CEE del Consiglio, delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio
2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n.
1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio.
36
e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi, valorizzare gli usi più
efficienti e più necessari. La direttiva induce dunque a considerare la gestione delle
acque in una logica più ampia di quella attuale52: cioè non nella logica della
gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il
complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi civili, usi irrigui, zootecnici,
piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti drenanti, invasi e condotte
funzionali alla produzione energetica, impianti di dissalazione, ecc. …). Ed in una
simile ottica lo strumento economico deve essere utilizzato come strumento per
preservare la risorsa, piuttosto che come mero strumento per ripianare i costi del
servizio idrico o per fare profitti, attraverso la revisione dei meccanismi economici
- tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere i conti effettivi della gestione del
servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e rendendoli trasparenti ai cittadini,
sia cercando di internalizzarli. La gestione va inoltre considerata come unitaria: le
acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere viste come un
unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato ed equo, basato
sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. In tale prospettiva le
azioni prioritarie da mettere in campo spaziano dalla pianificazione degli usi in
base al bilancio idrico di bacino al miglioramento delle tecnologie produttive e
delle tecniche irrigue, fino all’applicazione di buone pratiche soprattutto agricole.
Sul tema del risparmio idrico la Commissione europea, che da anni esercita
pressioni affinché gli Stati membri adottino politiche in questo campo, è tornata
di recente rendendo pubblico un rapporto dei due volti più drammatici della
risorsa idrica53. Si tratta del dossier ‘2012 Water Scarcity and Droughts – Policy
Review’ dove si passano al setaccio le azioni adottate dagli Stati membri nella
lotta alla carenza idrica e alla siccità e che conferma come, attualmente, in molte
zone dell’Europa l’equilibrio tra domanda di acqua e risorse idriche disponibili
ha raggiunto un punto critico. Secondo la Commissione serve un impegno più
incisivo a cominciare da una efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure
concordate di promozione dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste le
condizioni che potranno permettere all’ Europa di disporre di acqua a sufficienza
e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le
52
Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008
53
http://www.informambiente.it
37
sfide poste dai cambiamenti climatici.
2.3 basi formali del diritto all’acqua
Diversi documenti conseguenti agli incontri che si sono susseguiti a livello
internazionale, nonché vari atti compresi nel novero della produzione normativa
comunitaria, rappresentano un punto di partenza da cui tentare di ricavare una
base formale (a livello internazionale e comunitario) del diritto all’acqua, pur nelle
varie declinazioni che esso può assumere in relazione a variabili geografiche,
culturali e socio-economiche.
Innanzitutto il Mar del Plata Action Plan: nel corso della Conferenza delle Nazioni
Unite di Mar del Plata (1977) si afferma il principio fondamentale secondo cui
“Tutti hanno diritto di accedere all’acqua potabile in quantità e qualità
corrispondenti ai propri bisogni fondamentali” .
Successivamente, nel 1992 la Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di
Dublino, introduce il concetto di acqua come bene economico, concetto che viene
ribadito nuovamente nel corso del Secondo Forum Mondiale sull’Acqua dell’Aja nel
marzo 2000: per la prima volta l’economia entra come parametro di valutazione
legato all’acqua con la giustificazione che “nel passato, il mancato riconoscimento
del valore economico dell’acqua ha comportato sprechi e utilizzi che hanno
danneggiato l’ambiente”. Si afferma infatti che l’acqua deve essere considerata un
bene economico con un suo valore di mercato che si calcola usando quali
parametri di riferimento la necessità di remunerare il capitale investito e il costo
di produzione. Infine l’acqua, per la prima volta, viene definita non più come un
diritto, bensì come un bisogno. Il cambiamento culturale è notevole: a differenza di
un diritto, che per definizione deve essere garantito dai pubblici poteri, un bisogno
può, e non deve, essere soddisfatto dal mercato, limitandosi magari a chi può
pagare il prezzo fissato, senza preoccuparsi di prendere in considerazione l’intera
collettività. La maggior parte delle dichiarazioni frutto dei diversi eventi
internazionali sull’acqua muovono sì dal principio in base al quale “tutti i popoli
hanno diritto ad avere accesso all’acqua potabile nelle quantità e qualità necessarie
per soddisfare i loro bisogni essenziali” ma, nei medesimi documenti, si ritrovano
forti affermazioni che vanno nella direzione della c.d. “mercificazione” dell’acqua,
rispetto alla quale ci si riferisce come risorsa dell’ecosistema, dunque un bene
38
economico, non più la res communis del diritto romano. Inoltre le affermazioni di
principi quali lo sviluppo sostenibile, il “chi inquina paga”, prevenzione e
precauzione non sembrano essere in grado di salvaguardare l’accesso all’acqua
come diritto a livello mondiale. Infatti i principi sanciti in ambito internazionale
valgono soltanto per gli Stati che sottoscrivono i documenti di impegno a
rispettarli e le maggiori scuole di diritto internazionale considerano il “diritto
all’acqua” come un principio di soft law, una prassi, non un diritto che, se tale,
dovrebbe essere contemplato da una norma cogente e tutelato da un soggetto che
abbia l’autorità per garantirne l’osservanza. Nel corso dell’ultimo decennio, nella
cultura prevalente, l’acqua viene reputata alla stregua di un bisogno, una merce
soggetta alle regole del mercato e dei suoi operatori (le imprese) ed in tale contesto
i cittadini assumono la veste di consumatori o utenti. Il passaggio da una cultura
dell’acqua come bene comune al concetto della stessa quale merce avente un
mercato, avviene proprio in conseguenza del mancato riconoscimento di un
“diritto all’acqua” da parte della comunità internazionale, unitamente alla crescita
del numero di persone che non hanno la possibilità di accedere all’acqua potabile
ed alla sua sempre più scarsa disponibilità. Laddove c’è un bisogno si creano
automaticamente una domanda ed una offerta: un mercato di una merce.
L’inquadramento giuridico ufficiale che, a livello di diritto internazionale, sembra
dunque essere stato dato fin qui sul piano concettuale all’acqua, muove dunque
dalla nozione di bene come bisogno, specificandosi poi in quella più circoscritta di
merce ed infine in quella di servizio.
Al Quarto Forum Mondiale dell’Acqua di Città del Messico del 2006 viene
presentato il Secondo Rapporto delle Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua,
responsabilità condivisa” in cui si prende atto di una crisi di governance: nel
documento si infatti legge che, nonostante siano ripartite in maniera diseguale, le
risorse di acqua dolce sono lontane dall'essere deficitarie su scala del nostro
pianeta. Malgrado ciò, a causa della cattiva gestione, di mezzi limitati e dei
cambiamenti ambientali, quasi un abitante del pianeta su cinque non ha accesso
all’acqua potabile ed il 40% della popolazione mondiale non dispone di un
servizio di depurazione di base. Cattive pratiche di gestione, corruzione, assenza
di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli investimenti nella
sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi a causa di
39
collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei canali
rappresentano le cause principali della crisi idrica attuale e al tempo stesso i
fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione. In ogni caso la
valutazione e risoluzione delle criticità evidenziate dipenderà in gran parte da
una buona governance e da una buona gestione delle risorse disponibili. Una
buona governance è essenziale alla gestione delle risorse d’acqua dolce che sono
sempre più limitate ed anche se non è configurabile un modello standard in un
contesto così complesso e variabile, una buona governance deve poggiare su delle
istituzioni adeguate, a livello nazionale, regionale e locale, su dei quadri giuridici
stabili ed efficaci e su delle risorse umane e finanziarie sufficienti.
Dunque nel 1977 c’è l’affermazione di un diritto di accedere all’acqua per
soddisfare i bisogni primari degli esseri viventi ma negli anni a seguire tale
impostazione ufficiale sembra essere dimenticata e non viene seguita se non in
enunciazione di principi, ma non in testi normativi interni ai singoli Stati.
L’attenzione viene anzi focalizzata sul valore economico della risorsa quale
strumento di difesa dagli sprechi e sul fallimento dei modelli esistenti di governo
del bene.
Oltre all’affermazione contenuta nel Mar del Plata Action Plan del diritto di tutti
di accedere ad acqua potabile in misura corrispondente ai propri bisogni
fondamentali, gli altri elementi finora emergenti dall’analisi dei documenti di
livello internazionale sull’acqua sono dunque: il mancato riconoscimento del
valore economico dell’acqua come fonte di sprechi della risorsa emergente nel
corso della Conferenza di Dublino e del secondo forum mondiale dell’Aja; una
crisi nella governance della risorsa che ha generato, nonostante la presenza di
acqua nel pianeta, sia pur distribuita in maniera non uniforme, l’impossibilità di
garantire un accesso generalizzato. Le cause di tale crisi sono identificate in
cattive pratiche di gestione, corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia
burocratica, debolezza degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle
infrastrutture fisiche e sprechi a causa. Questi elementi sono però considerati al
tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione.
A livello comunitario la Carta Europea dell’Acqua - adottata dal Consiglio
d’Europa prima della Conferenza di Mar del Plata (Strasburgo, 6 maggio 1968)
esprime una chiara presa di posizione affermando che non c'è vita senza acqua e
40
che essa è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. L'acqua è
quell’elemento naturale di prima necessità per l'uomo, per gli animali e per le
piante. Essa è indispensabile all'uomo come bevanda e come alimento, per la sua
igiene e come sorgente di energia, materia prima di produzione, via per i trasporti
e base delle attività ricreative che la vita moderna richiede sempre di più. La
premessa sul perché l’acqua costituisca un bene di primaria importanza è seguita
dalla considerazione che le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili e che
è dunque indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle. In
conseguenza dell'esplosione demografica e del rapido aumento delle necessità
dell'agricoltura e dell'industria moderne, le risorse idriche formano oggetto di
una richiesta crescente. E al fine di soddisfare questa richiesta ed elevare il livello
di vita ciascuno deve considerare l'acqua come un bene prezioso, che occorre
preservare e razionalmente utilizzare. Innanzitutto deve essere assicurata la
qualità dell'acqua per non nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi
che da essa dipendono. L'acqua nella natura è infatti un mezzo vitale che ospita
organismi
benefici
i
quali
contribuiscono
a
mantenerne
la
qualità.
Contaminandola, rischiamo di distruggere questi organismi, alterando così il
processo di auto-depurazione modificando in maniera sfavorevole e irreversibile
il mezzo vitale. La qualità dell'acqua deve essere mantenuta principalmente in
funzione delle esigenze delle utilizzazioni previste, specialmente per i bisogni
della salute pubblica, adottando delle misure volte ad assicurare la conservazione
delle proprietà naturali dell'acqua.
Il documento sposta poi l’attenzione sulla pianificazione da parte delle autorità
competenti di cui dovrebbe essere oggetto la buona gestione. L'acqua è una
risorsa preziosa che ha necessità di una razionale gestione secondo un piano che
concili nello stesso tempo i bisogni a breve e a lungo termine. Una vera e propria
politica si impone nel settore delle risorse idriche, che richiedono numerosi
interventi in vista della loro conservazione, della loro regolamentazione e della
loro distribuzione. La conservazione della qualità e della quantità dell'acqua
richiede inoltre lo sviluppo e il perfezionamento delle tecniche di utilizzazione, di
recupero e di depurazione. La Carta aggiunge anche che l'acqua è un patrimonio
comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ciascuno ha il dovere di
economizzarla e di utilizzarla con cura. Ciascun individuo viene definito come un
41
consumatore e un utilizzatore di acqua ed in quanto tale egli ha una
responsabilità verso gli altri consumatori. Usare l'acqua in maniera sconsiderata
significa abusare del patrimonio naturale. Infine la cooperazione per la tutela
della stessa deve assumere veste internazionale in quanto l’acqua non ha
frontiere ed è una risorsa comune.
Dunque l’acqua viene definita come bene prezioso indispensabile a tutte le
attività umane, elemento naturale di prima necessità, risorsa preziosa un
patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ma non un
diritto.
Sempre a livello comunitario nel primo enunciato del preambolo della direttiva
Acque si legge che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì
un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. E’ però nel documento
General Comment no. 15)54 del 2002 approvato dalla Commissione delle Nazioni
Unite sui diritti economici, sociali e culturali il 26 novembre, che - dopo il Mar del
Plata Action Plan - viene nuovamente affermata l’esistenza giuridica di un diritto
all’acqua, come «indispensabile per condurre una vita dignitosa dal punto di vista
umano». Esso è considerato un prerequisito per la realizzazione di altri diritti
umani, sulla base del quale gli Stati devono adottare misure di effettiva
attuazione. Il documento ricostruisce le basi legali del diritto all’acqua
(riconosciuto implicitamente) e ne chiarisce il contenuto normativo: “availability”
ovvero quantità sufficiente, “quality” ovvero qualità adeguata, “accessibilità”
ovvero accessibilità anche economica; individua gli obblighi per l’attuazione da
parte dei singoli Stati, generali e specifici, in patria e a livello internazionale “to
respect, to protect, to fulfil” rispettare e proteggere tale diritto; elencare possibili
violazioni e i possibili strumenti attuativi, legislativi, politici, tecnici, scientifici.
Questo documento non è un riconoscimento formale, solenne e universale; non ha
né può avere sanzioni; attribuisce doveri solo ai singoli Stati; non contiene
obiettivi quantificati, scadenzati e sanzionabili. Il diritto all’acqua resta implicito,
quante siano le norme che implicitamente lo prevedano.
54
Commento Generale n. 15 (2002), Il diritto all'acqua (artt. 11 e 12 del Patto internazionale
economici, sociali e culturali). Sul punto vedi: Calzolaio V., L’acqua: diritto umano e bene comune,
2008
42
Il dato comune che emerge dai documenti esaminati è la considerazione del
diritto all’acqua come indubbiamente rientrante entro la categoria delle garanzie
essenziali per un adeguato livello di vita, in modo decisivo in quanto esso
rappresenta una delle fondamentali condizioni per sopravvivere. La stessa
considerazioni rileva da una vasta gamma di documenti internazionali, inclusi
trattati e dichiarazioni precedenti alla risoluzione Onu: la Dichiarazione
Universale dei diritti dell’uomo, 1948: art. 3, diritto alla vita; art. 22, diritto alla
sicurezza sociale; art. 25, diritto alla salute; il Patto sui diritti civili e politici, 1966;
il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, 1966: art 1, diritto dei popoli alle
risorse; art. 9, diritto alla sicurezza sociale; soprattutto artt. 11 e 12, diritti
all’alimentazione e alla salute; l’articolo 14, paragrafo . 2 (h), della Convenzione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne; nell’articolo
24, paragrafo 2 (c), della Convenzione dei diritti dei bambini ; articoli 20, 26, 29
and 46 della Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di
guerra del 1949; articoli 85, 89 e 127 della Convenzione di Ginevra relativa al
trattamento dei civili in tempo di guerra, del 1949; gli articoli 54 and 55 del
Primo Protocollo del 1977; articoli 5 e 14 del Secondo Protocollo del 1977; il
preambolo del Mar Del Plata Action Plan; il paragrafo 18.47 di Agenda 21; il
Rapporto sulla Conferenza di Rio de Janeiro (A/CONF.151/26/Rev.1 (Vol. I and
Vol. I/Corr.1, Vol. II, Vol. III and Vol. III/Corr.1)) 1, La Dichiarazione seguente alla
Conferenza Internazionale di Dublino su Acqua e Sviluppo Sostenibile
(A/CONF.151/PC/112); Rapporto della Conferenza Internazionale delle Nazioni
Unite su Popolazione e Sviluppo, Cairo, 5-14 settembre 1994; i paragrafi 5 e 19
della Raccomandazione (2001) 14 del Consiglio dei Ministri agli Stati Membri
sulla Carta Europea sulle Risorse Idriche; la Risoluzione 2002/6 della
Sottocommissione delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione dei diritti
umani e sulla promozione della realizzazione del diritto a bere acqua” .
Il quadro di sintesi che risulta in base ai documenti esaminati è dunque
caratterizzato dal fatto che non c’è mai stato un riconoscimento espresso e
vincolante dell’acqua come diritto, nonostante esso sia considerato un
fondamentale diritto umano - basilare e vitale più di diritti umani espressamente
affermati - implicitamente supportato da leggi internazionali, dichiarazioni e
pratiche interne agli Stati. L’esigenza di compiere un passo in avanti verso
43
l’ufficializzazione dell’esistenza di un diritto di accesso alla risorsa è evidenziata
dalla Risoluzione Onu del 29 luglio 2010 in cui viene nuovamente affermato il
diritto e dalla successiva Risoluzione Onu del 30 settembre 2010 che cerca di
definirne parzialmente il contenuto in relazione a strumenti e meccanismi che gli
Stati debbono attuare per consentire l’accesso di tutti all’acqua e ai servizi
igienici. Interessante è anche il dibattito precedente la votazione sul testo della
risoluzione tra i vari esponenti degli Stati partecipanti, portatori di vari punti di
vista su come affrontare la questione del riconoscimento di un diritto all’acqua.
L’assemblea ha adottato infatti la risoluzione non ad unanimità, bensì con 122
voti a favore e 41 astensioni. Ad esempio i rappresentanti della Bolivia, hanno
evidenziato come il diritto fino a quel momento non sia stato pienamente
riconosciuto nonostante esso fosse richiamato in vari strumenti internazionali,
come la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione
razziale e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione
contro le donne ed altri documenti. Essi hanno poi richiamato il dovere dei singoli
Stati di proteggere e dichiarare il diritto. Il rappresentante degli Stati Uniti ha
sottolineato invece come il testo della risoluzione descriva il diritto in un modo
che non è riflesso nel diritto internazionale vigente poiché non esiste un “diritto
all’acqua e ai servizi igienici” in senso giuridico internazionale come illustrato nel
documento. Infatti né l’Assemblea né il processo di Ginevra hanno seriamente
considerato pienamente, secondo tale punto di vista, le implicazioni che avrebbe
il riconoscimento formale del diritto all’acqua. Nel senso del riconoscimento del
diritto si è espresso invece il rappresentante del Brasile che afferma inoltre come
il diritto sia intrinsecamente legato al diritto alla vita, al cibo e ad avere una
adeguata abitazione. Il rappresentante dell’Olanda, d’altro canto, ha giustificato la
propria astensione dal voto con la considerazione che, sebbene il suo paese
riconosca l’esistenza del
diritto, il testo della risoluzione pone insufficienti
responsabilità a carico degli Stati e che l’adozione di una risoluzione non produce
necessariamente implicazioni politiche a livello di singoli Stati. La rappresentante
del Regno Unito ha motivato invece la propria astensione considerando
l’inesistenza di sufficienti basi legali per dichiarare e riconoscere il diritto ed
anche di evidenti elementi di una sua presenza nel diritto consuetudinario. Infine
il rappresentante del Canada manifesta il proprio dissenso sull’adozione di una
44
simile risoluzione in assenza di un preventivo accordo internazionale sul tema.
Molteplici punti di vista che hanno trovato un punto di congiunzione nel testo
della risoluzione di luglio e in quella successiva del settembre 2010. Da una
lettura unitaria delle stesse, innanzitutto si evince un richiamo alle precedenti
risoluzioni del Consiglio, in materia di diritti umani e accesso all’acqua potabile
ed ai servizi sanitari, in cui il diritto all’acqua è stato già affermato, in particolare
la risoluzione 7/22 del 28 Marzo 2008 e la risoluzione 12/8 del primo ottobre
2009, oltre ai documenti internazionali (precedentemente elencati nel presente
lavoro). La risoluzione di luglio in particolare richiama fortemente la
responsabilità degli Stati, definita come primaria, di assicurare la piena
realizzazione di tutti i diritti umani, garantendo l’accesso all’acqua e ai servizi
igienici
essenziali
in
maniera
trasparente,
non
discriminatoria
e
responsabilmente. A tale fine gli Stati sono invitati a sviluppare strumenti e
meccanismi adeguati, che possano includere legislazione, piani e strategie per il
settore, per raggiungere l’obiettivo di soddisfare gli obblighi di garanzia del
diritto, con attenzione ai gruppi di soggetti particolarmente vulnerabili
assicurando l’equità e la non discriminazione; a integrare i diritti umani negli
scenari esistenti attraverso la previsione di servizi appropriati e con trasparenza;
ad adottare ed implementare effettivi quadri regolatori per tutti i gestori del
servizio in linea con il diritto e permettere alle istituzioni di regolazione
nazionale di avere una sufficiente capacità di monitorare e di rendere realmente
effettive tali regolazioni; assicurare rimedi reali alle violazioni dei diritti umani
realizzando meccanismi di responsabilità al livello appropriato. Il diritto all’acqua
viene declinato inoltre facendo riferimento alla garanzia di una regolare fornitura
di acqua potabile, accettabile, accessibile e ad alla portata di tutti, di buona
qualità ed in quantità sufficiente.
In conclusione, come elementi costitutivi di un potenziale “diritto all’acqua”
risultanti dall’analisi del contesto internazionale e comunitario, emergono,
innanzitutto, la caratterizzazione del Mar del Plata Action Plan in termini di
accessibilità di tutti all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai
propri bisogni fondamentali, principio ripreso da numerosi testi successivi. In
particolare il General Comment no. 15) del 2002 delle Nazioni Unite sui diritti
economici, sociali e culturali ribadisce l’affermazione di un diritto all’acqua, come
45
«indispensabile per condurre una vita dignitosa dal punto di vista umano»,
prerequisito per la realizzazione di altri diritti umani, sulla base del quale gli Stati
devono adottare misure di effettiva attuazione. Il documento fornisce anche una
caratterizzazione del contenuto normativo del diritto in termini di quantità
sufficiente, qualità adeguata e di accessibilità anche economica.
Il dato comune ai documenti esaminati è la considerazione del diritto all’acqua
come rientrante entro la categoria delle garanzie essenziali per un adeguato
livello di vita, in modo decisivo, in quanto rappresenta una delle fondamentali
condizioni per sopravvivere. La Carta Europea dell’Acqua a tale riguardo esprime
una chiara presa di posizione affermando che non c'è vita senza acqua e che essa
è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. Bene prezioso
indispensabile a tutte le attività umane, elemento naturale di prima necessità,
risorsa preziosa un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da
tutti. Ma non un diritto. Il quadro di sintesi che si può tracciare poggia sulla
constatazione che non c’è mai stato un riconoscimento espresso e vincolante
dell’acqua come diritto, nonostante esso sia considerato un fondamentale diritto
umano - basilare e vitale più di diritti umani espressamente affermati implicitamente supportato da leggi internazionali, dichiarazioni e pratiche
interne agli Stati.
Alla luce di tale presa d’atto occorre di nuovo chiedersi quale valore assuma il la
recente affermazione dell’acqua come diritto universale da parte dell’Assemblea
generale dell’Onu. Pur non producendo effetti vincolanti a livello di diritto interno
dei singoli Stati, ci si chiede cioè che funzione abbiano le affermazioni di principi
universali a livello mondiale in termini di concretizzazione di tali principi e dei
diritti cui essi si riferiscono. La dichiarazione del 2010, così come le precedenti
risoluzioni Onu sul tema dell’acqua e la Carta Europea dell’Acqua, pur avendo
valore simbolico, innanzitutto accrescono indubbiamente la tutela degli individui e
la mobilitazione della società civile, rafforzano la realizzazione di altri diritti umani
e in un certo qual modo richiamano gli Stati a precise responsabilità. Anche la
Direttiva Europea in materia di acque afferma espressamente che l’acqua non è
un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto,
difeso e trattato come tale”. Il ruolo di simili enunciazioni è quello di richiamare gli
Stati a specifiche responsabilità nei confronti della propria collettività, delle
46
comunità più svantaggiate e delle future generazioni. A livello mondiale ciò si
riflette nella constatazioni di come oltre sessanta Costituzioni citino l’ambiente,
anche se solo 16 citano il termine “acqua” e si parla esplicitamente di diritto
umano solo in Uruguay, Uganda e Sudafrica. Il Sudafrica in particolare inserisce il
diritto all’acqua tra i diritti universali: la sezione 27 del Bill of Rights (1996) è però
l’unica dichiarazione costituzionale analoga a citare il diritto universale all’accesso
a sufficienti cibo e acqua. Ma proprio il caso del Sudafrica dimostra come il livello
di effettività dell’ordinamento55 non corrisponda necessariamente a quello
formale. Nella sentenza della Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009,
Mazibuko v. City of Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma infatti che, pur
essendo riconosciuto nella Costituzione il diritto all’acqua, non esiste però un
obbligo costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua gratuita.56 La
Corte Costituzionale afferma cioè come la previsione del diritto non implica la
fornitura di un minimo quantitativo di acqua cui lo Stato è obbligato ed il dettato
costituzionale deve essere interpretato nel senso di un dovere alla progressiva
realizzazione del diritto attraverso ragionevoli strumenti legislativi e per mezzo di
successive revisioni. E quanto sancito dalla Corte Costituzionale Sudafricana
dell’ottobre 2009 esprime un concetto analogo a quello contenuto nella successiva
caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella risoluzione Onu del 30
settembre 2010.
Quindi a fronte di una naturale diseguaglianza delle collettività derivante da una
disomogenea distribuzione delle risorse idriche nel pianeta, parlare di “diritto” di
accesso implica innanzitutto contestualizzare tale diritto nella realtà specifica in
cui dovrebbe andare ad insistere. Al tempo stesso significa anche riconoscere che
il diritto di accesso all’acqua, inteso come diritto umano all’acqua, può esercitarsi
55
sul punto vedi Romano S., L'ordinamento giuridico (1946), II ed., Firenze, Sansoni, 1977; ID.,
Frammenti di un dizionario giuridico (1947), Milano, Giuffrè, 1983.
56
Oggetto dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici prepagati per
i consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia (corrispondenti a 25 litri di
acqua al giorno per persona), finalizzata alla riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di
primo grado e della Corte d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza56, consideravano
l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre indicavano
rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo base di acqua rispondente al
diritto.
47
solo se l’acqua è sufficiente e, di conseguenza, esso è carente laddove non si
caratterizza con qualità, quantità e gratuità minime. Differenti sono poi i mezzi
che i legislatori nazionali scelgono per realizzare gli obiettivi di qualità, quantità e
gratuità minime della risorsa.
Parte II Il diritto italiano delle acque
Capitolo secondo
Il diritto all’acqua e la proprietà della risorsa
1.
Emersione
e
sviluppo
di
una
nozione
di
“diritto
all’acqua”
nell’ordinamento giuridico italiano
L’esigenza di indagare l’esistenza o meno di un diritto inerente l’acqua e di capire
come si connoti concretamente la situazione giuridica che si riferisce alla risorsa
48
idrica, ci conduce ora, come passo successivo all’analisi svolta sui documenti di
diritto internazionale e comunitario, a volgere l’attenzione all’ordinamento
giuridico italiano e all’evoluzione della normativa sulle acque. La conoscenza
dell’inquadramento che a livello di diritto interno è stato dato alla res acqua è
necessario per cercare di capire se l’affermazione di un diritto all’acqua a livello
internazionale - quale quella che c’è stata con la risoluzione Onu del 29 luglio
2010 - e, un successivo riconoscimento formale, possa essere utile, necessario,
realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento di uno Stato ai fini di una
riforma del servizio connesso alla risorsa in termini di accessibilità.
Venendo dunque allo specifico della nostra trattazione e risalendo indietro nel
tempo all’ordinamento giuridico italiano moderno, troviamo che il bene acqua è
stato preso in considerazione per la prima volta a partire dal codice civile del
1865, che dedicava alle acque alcune norme di principio, e dalla Legge 20 marzo
1865 n. 2248 che faceva riferimento alle acque nell’allegato F (c.d. legge sui
lavori pubblici). Alcuni autorevoli studiosi della materia (Varcasia, Scialoia,
Petrocchi, Astuti)57 ritenevano che fosse
l’articolo 544 c.c.58 a contenere il
principio ispiratore della materia:
“L’acqua è un bene di natura tale che il diritto non può lasciare all’arbitrio
individuale l’utilizzazione di essa, ma deve per norma giuridica utilizzarsi l’acqua
nel massimo modo possibile…”.59 Si riservava al giudice il potere di conciliare tutti
gli interessi che potessero concorrere nell’utilizzazione delle acque. Ma in realtà
il potere del giudice non fu mai utilizzato in modo così ampio e prevalse “una
interpretazione giurisprudenziale orientata più verso la tutela dell’interesse
individuale che non verso quella dell’interesse generale”.60
Era dunque il diritto di proprietà la formula giuridica a cui veniva riferita la
risorsa idrica, nonostante il codice civile avesse introdotto un primo riferimento
57
Greco N., Le acque, Il mulino, 1983
58
L’articolo 544 c.c. prevedeva che “Sorgendo controversia tra i proprietari a cui l’acqua può
essere utile, l’autorità giudiziaria deve conciliare l’interesse dell’agricoltura e dell’industria coi
riguardi dovuti alla proprietà; ed in tutti i casi devono essere osservati i regolamenti particolari e
locali sul corso e sull’uso delle acque”.
59
Scialoia V., La legislazione sulle Acque, in Il problema idraulico e la legislazione delle acque”,
1916.
60
Astuti G., voce Acque private, in “Enciclopedia del diritto”, I, Milano, Giuffrè, 1958
49
a principi di matrice “sociale” che però si affermarono soltanto in epoca
successiva.
Le acque all’epoca si dividevano genericamente in pubbliche e private. Ai sensi
dell’articolo 427 del codice civile appartenevano al demanio idrico i fiumi e i
torrenti mentre riguardo ai corsi d’acqua minori, quali rivi, fossati e colatoi
pubblici, non inclusi nella previsione del codice civile, si dibatté per decenni circa
la natura rispettivamente privatistica, demaniale o mista. La soluzione del
problema aveva una dimensione sia giuridica che economico sociale. ”Così, ad
esempio, la eventuale prevalenza della tesi demanialista negli indirizzi
giurisprudenziali, comportando la dichiarazione di pubblicità per tutti i corsi
minori, avrebbe coinvolto immediatamente gli interessi di un grandissimo numero
di privati, che ormai consideravano l’uso dell’acqua come sostenuto da una sorta di
diritto di proprietà e ciò sia nel settore agricolo sia in alcune nascenti attività
manifatturiere”.
61
Tale querelle derivava a sua volta dalla disputa sulla
equivalenza o meno tra acque pubbliche e acque demaniali, equivalenza poi
riconosciuta dalla Corte di Cassazione con due sentenze del 1910 e del 19
dicembre 1916. Fu nel periodo di riforme tra il 1916 ed il 1919 che si affermò la
nuova definizione di acque pubbliche trasfusa successivamente nel testo unico
del 1933: si passò dalla nozione di proprietario alla nozione di utente e centrale
divenne la nozione di “utilizzazione” invece di quella di “difesa”. “La
considerazione dell’utilità dell’acqua doveva indirizzarsi a fare in modo che l’acqua
andasse al mare nel più lungo tempo e nella minore quantità possibile”.62 In base al
nuovo T.U. erano pubbliche tutte le acque sorgenti, fluviali e lacunari, anche se
artificialmente estratte dal sottosuolo, che avessero o acquistassero “attitudine
ad uso di pubblico generale interesse”.
La proprietà privata veniva delimitata da una nozione negativa: in linea di
massima erano private tutte le acque che non potevano considerarsi pubbliche.
Restavano private le sorgenti a scarsa vena d’acqua che si esaurivano entro i
confini del fondo privato o che comunque non si immettessero in modo
significativo in un corso demaniale; i corsi artificiali alimentati da fontanili o da
61
Greco N., op. cit.
62
Omodeo A., Il problema idraulico e la legislazione sulle acque, 1916
50
derivazioni, gli stagni e i laghi di limitata estensione e non suscettibili di un uso
apprezzabile di pubblico generale interesse63.
Dunque fino al 1933 l’acqua era oggetto di un diritto di proprietà
prevalentemente privatistico teso a realizzare il massimo sfruttamento del bene
e la difesa dal bene stesso. Dal 1933 si affermò l’orientamento opposto
finalizzato a consentire l’utilizzazione della risorsa alla collettività attraverso un
inquadramento giuridico di natura pubblicista.
La consacrazione del carattere pubblico di tutte le acque si è avuta
successivamente con la legge 36 del 1994, c.d. Legge Galli che all’articolo 1 ha
stabilito che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal
sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed
utilizzata secondo criteri di solidarietà”: la pubblicità veniva quindi attribuita
senza alcuna distinzione a tutte le acque. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il
modo più opportuno per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque
consistesse nel sottrarlo al potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne
la sua cura soltanto alla pubblica amministrazione.
La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è
intervenuta in modo innovativo anche su un altro profilo centrale che caratterizza
il c.d. statuto dell’acqua: quello della gestione. Essa infatti, in tema di gestione del
servizio idrico, è stata espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla
tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso
da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di
efficienza, efficacia ed economicità. Essa ha inoltre definito per la prima volta il
c.d. “servizio idrico integrato” ed ha rappresentato il primo tentativo di conciliare
la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di
tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad
assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità.
Accanto al profilo proprietario della risorsa, che si è affermato come
caratterizzato in senso esclusivamente pubblico, e a quello gestorio, che è stato
sostanzialmente caratterizzato da una prevalenza di forme gestionali del servizio
idrico di tipo pubblico, sulla base dell’idea tradizionale che solo una gestione
63
Guicciardi E., Il demanio, Milano, 1934
51
prevalentemente pubblica sia in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua,
altri aspetti hanno connotato progressivamente nel tempo la qualificazione
giuridica della stessa.
La legge 319/76, c.d. legge Merli, ha introdotto infatti per la prima volta il profilo
della tutela qualitativa dell’acqua. In una società come quella italiana
caratterizzata fino al primo dopoguerra da un uso limitato delle risorse idriche e
da consumi contenuti, le sostanze di scarico potevano essere assorbite senza
eccessivi danni all’ambiente, negli anni a seguire la scorta di acqua è stata
compressa da vari fattori64. Infatti i nuovi modelli di produzione e consumo, causa
del depauperamento delle risorse, hanno costituito la spinta verso l’emanazione
del primo provvedimento italiano in cui ha assunto rilievo centrale l’attività di
protezione del bene-ambiente. I tradizionali servizi di acquedotto, fognatura e
depurazione sono stati riconsiderati alla luce di tale nuova esigenza finalizzata ad
organizzare e programmare una tutela globale del territorio in tutti i suoi aspetti,
sulla base di ambiti territoriali ottimali, espressione del naturale regime delle
acque, in quanto essi coincidevano con i bacini idrografici.
La legge Merli si basava principalmente sulla regolamentazione delle
concentrazioni di sostanze chimiche presenti negli scarichi industriali e civili. I
valori di concentrazione per determinati parametri, contenuti nelle tabelle
allegate alla legge, costituivano i limiti di accettabilità a cui attenersi. Si stabiliva
che tutti gli scarichi dovevano essere autorizzati e veniva imposto il censimento di
tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei ai fini della redazione di un piano
nazionale di risanamento. La rilevazione concerneva nello specifico le
caratteristiche idrologiche, fisiche, chimiche e biologiche ed il loro andamento nel
tempo e tutti gli usi diretti o indiretti in atto: utilizzazioni o derivazioni o scarichi.
Nella normativa non erano però analizzati alcuni aspetti fondamentali per
garantire la tutela della qualità delle acque, quali il carico complessivo dello
scarico e la qualità del corpo idrico ricevente. Inoltre il provvedimento
regolamentava le sorgenti puntuali d'inquinamento, ma non prendeva in
considerazione l'inquinamento diffuso determinato, ad esempio, dall'agricoltura.
Successivo alla legge 319/76 - in termini di tutela qualitativa dell’acqua - è stato il
64
Lovisetti M., I servizi idrici, Torino 1998
52
decreto legislativo 152/99 recante "Disposizioni sulla tutela delle acque
dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il
trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti
agricole"65.
65
Il Decreto 152/99 recepisce una lunga serie di direttive comunitarie in materia di acque ed ha
assunto immediatamente un ruolo di primaria importanza in quanto con la sua emanazione sono
state abrogate le seguenti norme:
• Legge 10 maggio 1976, n. 319;
• Legge 8 ottobre 1976, n.690, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L.10 agosto 1976,
n.544;
• Legge 24 dicembre 1979, n.650;
• Legge 5/03/82, n.62, di conversione in legge, con modif. del D.L 30/12/81, n.801;
• Decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n.515;
• Legge 25 luglio 1984, n.381 di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 maggio 1984,
n.176;
• gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71 di conversione in legge, con modif. del D.L.
5/0290, n.16;
• Decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n.130;
• Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.131;
• Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.132;
• Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.133;
• articolo 2, comma 1, della legge 6/12/93, n. 502, di conversione in legge, con modif. del D.L.
9/10/93, n. 408;
• articolo 9-bis della legge 20/12/96, n. 642, di conversione in legge, con modificazione del D.L.
23/10/96, 552;
• Legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 17/03/95,
n.79.
La nuova disciplina degli scarichi idrici si basa su due presupposti fondamentali:
- tutti gli scarichi debbono essere autorizzati (art. 45 comma 1) (concetto presente anche nella
vecchia normativa)
- tutti gli scarichi devono rispettare valori limite di emissione stabiliti in funzione degli obiettivi
di qualità dei corpi idrici (art. 28 comma 1)
(concetto del tutto nuovo e sul quale sono incentrate una serie di iniziative volte a capire prima la
qualità dei corpi idrici ed il loro uso e poi ad autorizzare eventuali scarichi in detti ricettori).
Tale concetto, era stato in realtà già introdotto dalla Legge n° 183/89 e dal D Lgs n° 130/92, di
fatto, non era stato mai applicato.
53
Una prospettiva più ampia, nella direzione di una generale “tutela delle acque”,
era stata realmente delineata con la legge 183/89 sulla protezione del suolo che
ha organizzato e programmato la tutela globale del territorio, in tutti i suoi
aspetti, sulla base di ambiti territoriali ottimali, coincidenti di regola con i bacini
idrografici, e quindi, in relazione al regime naturale delle acque66. Le finalità della
legge 183/89 erano infatti quelle di assicurare la difesa del suolo, il risanamento
delle acque, l’utilizzazione razionale del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti
ambientali connessi. Tali scopi venivano perseguiti attraverso attività di
programmazione, pianificazione e attuazione degli interventi finalizzati a
realizzare: la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini
idrografici; la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua; la
moderazione delle piene; la disciplina delle attività estrattive al fine di prevenire
il dissesto del territorio; la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree
instabili; il risanamento delle acque superficiali e sotterranee allo scopo di
fermarne il degrado; la razionale utilizzazione delle risorse idriche con una
efficiente rete idraulica; lo svolgimento dei servizi di polizia idraulica; la
manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti; il riordino
del vincolo idrogeologico; l’attività di prevenzione e di allerta.
La legge attribuiva al piano di bacino valore di piano territoriale di settore e di
strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale venivano
pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla
conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione
delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio
interessato67.
66
Lovisetti M., I servizi idrici, Torino 1998
67
Quali soggetti competenti in materia venivano indicati, tra i c.d. soggetti centrali, il Presidente
del Consiglio dei ministri ed il Comitato dei ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi
nel settore della difesa del suolo, il Ministero dei lavori pubblici e del Ministero dell’ambiente ed il
Comitato nazionale per la difesa del suolo.
Le Regioni invece esercitavano le funzioni ad esse trasferite e delegate ed in particolare quelle di
gestione delle risorse d’acqua e di terra e, tra l’altro:
a) delimitavano i bacini idrografici di propria competenza;
54
Il piano di bacino contiene infatti, nello specifico, il quadro conoscitivo
organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio
previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonché dei
vincoli, relativi al bacino, la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in
atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause; le
direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione
idrogeologica ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli; l’indicazione
delle opere necessarie distinte in funzione: dei pericoli di inondazione e della
gravità ed estensione del dissesto e del perseguimento degli obiettivi di sviluppo
sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonché del tempo necessario
per assicurare l’efficacia degli interventi; le opere di protezione, consolidamento e
sistemazione dei litorali marini che sottendono il bacino idrografico; le priorità
degli interventi ed il loro organico nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto.
I principi sanciti dalla L.183/89, dalla Legge Galli e dal d.lgs. 152/99 vengono
successivamente trasfusi nel c.d. Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo
b) collaboravano nel rilevamento e nell’elaborazione del progetto di piano dei bacini di rilievo
nazionale secondo le direttive dei relativi comitati istituzionali, ed adottano gli atti di competenza;
c) formulavano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti
relativi ai bacini di rilievo nazionale;
d) provvedevano alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani dei bacini
idrografici di rilievo regionale nonché all’approvazione di quelli di rilievo interregionale;
e) disponevano la redazione e provvedevano all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli
interventi e delle opere da realizzare nei bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale;
f) provvedevano, nei bacini di rilievo regionale ed in quelli di rilievo interregionale, per la parte di
propria competenza, alla organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica, di
piena e di pronto intervento idraulico ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e
degli impianti e la conservazione dei beni;
g) provvedevano alla organizzazione e al funzionamento della navigazione interna;
h) attivavano la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale;
i) predisponevano annualmente la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto
idrogeologico del territorio di competenza;
l) assumevano ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del
territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela ed uso delle acque nei bacini idrografici di
competenza.
55
152/06, nonché potenziati nel senso dell’affermazione della demanialità di tutte
le acque, della subordinazione dell’utilizzazione delle stesse al principio dello
sviluppo sostenibile e della “funzionalizzazione” della disciplina degli usi della
risorsa alla razionalizzazione ed alla tutela sia sotto il profilo qualitativo che
quantitativo. All’enunciazione della specifica disciplina di settore, l’articolo 52
premette le definizioni, tra le più rilevanti, di distretto idrografico e di difesa del
suolo, quest’ultima intesa come “il complesso delle azioni ed attività riferibili alla
tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi
lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del
territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico,
stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l’uso e la gestione del
patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche
collegate”.
Quanto alle finalità delle norme indicate nel codice, esse mirano ad “assicurare la
tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico
del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in
sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione”68.
In ciascun distretto idrografico di cui all’articolo 64 è istituita l’Autorità di bacino
distrettuale, c.d. Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in
conformità ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia,
economicità e pubblicità. Le Autorità di bacino provvedono all’elaborazione del
Piano di bacino distrettuale69, ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi
68
articolo 53 d.lgs. 152/06
69
il Piano di bacino distrettuale (c.d. Piano di bacino) ha valore di piano territoriale di settore ed è
lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e
programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche
fisiche ed ambientali del territorio interessato .
Il Piano di bacino è redatto dall’Autorità di bacino in base agli indirizzi, metodi e criteri
precedentemente fissati. Il Piano di bacino, contiene:
•
il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del
territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonché dei vincoli,
relativi al distretto, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
56
•
la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del
sistema fisico, nonché delle relative cause;
•
le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica
ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli;
•
l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione dei pericoli di inondazione e della
gravità ed estensione del dissesto; dei pericoli di siccità; dei pericoli di frane, smottamenti e simili;
del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale
nonché del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi;
•
la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive;
•
la individuazione delle prescrizioni, dei vincoli e delle opere idrauliche, idraulico-agrarie,
idraulico-forestali, di forestazione, di bonifica idraulica, di stabilizzazione e consolidamento dei
terreni e di ogni altra azione o norma d’uso o vincolo finalizzati alla conservazione del suolo ed
alla tutela dell’ambiente;
•
il proseguimento ed il completamento delle opere indicate alla lettera f), qualora siano già
state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali, da leggi ordinarie, oppure a seguito
dell’approvazione dei relativi atti di programmazione;
•
le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il
distretto idrografico;
•
i meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e boschive che attuano
interventi idonei a prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico;
•
la valutazione preventiva, anche al fine di scegliere tra ipotesi di governo e gestione tra
loro diverse, del rapporto costi-benefici, dell’impatto ambientale e delle risorse finanziarie per i
principali interventi previsti;
•
la normativa e gli interventi rivolti a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio
fluviale, lacuale e marittimo e le relative fasce di rispetto, specificatamente individuate in funzione
del buon regime delle acque e della tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni e
dei litorali;
•
l’indicazione delle zone da assoggettare a speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle
specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela
dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici;
•
le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza e di desertificazione, anche mediante
programmi ed interventi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica ed il riuso
della stessa;
•
il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici,
idropotabili, irrigui od altri e delle portate;
•
il rilievo delle utilizzazioni diverse per la pesca, la navigazione od altre;
•
il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte
per tipologie d’impiego e secondo le quantità;
57
del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali
relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e
alla gestione delle risorse idriche ed infine all’elaborazione di un’analisi delle
caratteristiche del distretto, di un esame sull’impatto delle attività umane sullo
stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonché di un’analisi
economica dell’utilizzo idrico.
Il codice dell’ambiente, riprendendo il percorso inaugurato dalla legge 183/89 e
poi introdotto a livello comunitario dalla Direttiva Acque, cerca dunque di
realizzare un approccio normativo integrato in materia di risorse idriche tra i vari
settori che le stesse coinvolgono (protezione del suolo, pianificazione del
territorio e lotta alla desertificazione), in cui l’acqua viene considerata non in
quanto un elemento a se stante, ma come risorsa inserita in un contesto naturale
in cui si combina e si relaziona con fattori che incidono sulla disponibilità e la
preservazione della stessa. Recentemente la società è diventata più vulnerabile ai
•
le priorità degli interventi ed il loro organico sviluppo nel tempo, in relazione alla gravità
del dissesto;
•
l’indicazione delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.
Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le
amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni
dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di
sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque
non in contrasto, con il Piano di bacino approvato.
In attesa dell’approvazione del Piano di bacino, le Autorità di bacino adottano misure di
salvaguardia con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi
d’acqua di fondo valle. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in
vigore sino all’approvazione del Piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre
anni. In caso di mancata attuazione o di inosservanza, da parte delle regioni, delle province e dei
comuni, delle misure di salvaguardia, e qualora da ciò possa derivare un grave danno al territorio,
il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro congruo
termine da indicarsi nella diffida medesima, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure
provvisorie di salvaguardia, anche con efficacia inibitoria di opere, di lavori o di attività
antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti.
58
rischi naturali a causa delle attività umane, come le alterazioni nei modelli di
drenaggio dovute all’urbanizzazione, alle pratiche agricole e alla deforestazione
che hanno notevolmente modificato la situazione nell’intero bacino fluviale. In
generale, per una consapevole e razionale attività di preservazione delle risorse
naturali come il suolo e l’acqua, contro l’impatto delle attività umane, è necessario
cambiare gli utilizzi umani delle stesse in modo sostenibile, consentendo lo
sviluppo dell’economia senza compromettere la natura. Ciò significa che le attività
umane devono essere adattate alla natura, e non il contrario. È necessario un
impatto umano sostenibile sulle risorse naturali ed un lavoro di prevenzione dei
rischi che avrebbe dovuto essere fatto in un contesto globale: le politiche delle
acque degli Stati debbono essere elaborate prendendo in considerazione
eventuali rischi di siccità o di esondazioni che potrebbero derivarne, sia a livello
interno sia in termini di impatto sugli altri Stati. Un’attività efficace di profonda
conoscenza prima e conseguente gestione poi, muove inoltre dalla constatazione
della impossibilità e soprattutto dell’inutilità di un unitario inquadramento della
risorsa idrica in una sola categoria a cui applicare una disciplina giuridica
esclusiva. Il tema dell'acqua è inscindibilmente connesso a quello della
ripartizione del territorio nazionale in distretti idrografici e della protezione del
suolo. Muovere da un approccio normativo integrato rappresenta la corretta
procedura da seguire al fine di pervenire ad un comprensione reale e realistica
della tematiche delle acque per poi elaborare strategie di prevenzione degli
sprechi, riduzione delle perdite e difesa rispondenti alle reali esigenze. In ambito
comunitario la direttiva Acque induce a considerare la gestione delle acque in una
logica più ampia di quella attuale: cioè non nella logica della gestione di un
servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il complesso
delle attività che dall’acqua dipendono. La gestione va inoltre considerata come
unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere
viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato
ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. La
direttiva successiva 2007/60 sulle Alluvioni introduce un modello di analisi
prima, ed intervento poi, fondato su una nozione estesa di integrazione
ambientale
sia
sotto
il
profilo
politico
che
sul
piano
puramente
“fisico/territoriale” della configurazione degli eventi alluvionali: essa infatti
59
richiede una pianificazione dello studio e dei successivi interventi su base
integrata rispetto alla direttiva 2000/60, c.d. direttiva quadro in materia di acqua,
incentrata sui concetti di bacino e distretto idrografici. La c.d. direttiva acque, pur
introducendo l’obbligo per gli Stati di elaborare piani di gestione dei bacini
idrografici per tutti i distretti idrografici, non contempla però il rischio di
alluvioni, né considera gli impatti che i cambiamenti climatici possono produrre
in termini di alluvioni. Alla luce della direttiva 2007/60 i rischi di tali eventi
devono essere previsti e pianificati a livello di singoli bacini idrografici e nel
contesto del complessivo distretto idrografico in cui essi rientrano. La
pianificazione delle azioni deve essere predisposta sulla base delle “migliori
pratiche disponibili” e delle “migliori tecnologie disponibili”.
Un passo in avanti nel senso di una ulteriore caratterizzazione giuridica
dell’acqua nell’ordinamento italiano è compiuto sempre dalla Legge Galli (poi
ripresa dal d.lgs. 152/06) in termini di “valore” del bene, che si traduce nella
tariffa del servizio idrico integrato. In linea con quanto emerso nel contesto
internazionale, in Italia il corrispettivo per il servizio idrico integrato - ovvero il
complesso delle attività che rendono materialmente possibile l’accesso della
collettività - , servizio che si concretizza nella captazione, adduzione, depurazione
e fognatura delle acque, viene individuato nella tariffa70 . La tariffa, al di fuori di
una squisita connotazione economica, rappresenta il filtro oggettivo della
valutazione che un ordinamento fa della considerazione che intende attribuire
all’acqua in una accezione globale che ricomprende unitariamente il profilo etico,
socio-culturale ed appunto economico. La tariffa è cioè lo strumento economico
attraverso il quale l’ordinamento, in base ad una scelta politica,
decide di
“valorizzare” l’acqua, nel significato specifico di attribuire una data connotazione
in termini di valore alla risorsa nei confronti della collettività. Dare valore
all’acqua non significa dunque necessariamente considerarla una merce ma
evitare gli sprechi gratuiti, contrastare gli usi esclusivi a prescindere dalle altre
utilizzazioni e dal degrado, superare la cattiva frammentata gestione coerente con
la mancata “difesa del suolo”. Il valore dell’acqua assume cioè connotazioni
diverse a seconda della valutazione che uno Stato fa a monte della costruzione di
un assetto normativo avente ad oggetto l’organizzazione del servizio pubblico che
70
sentenza Corte Costituzionale n. 335/2008
60
fa riferimento alla risorsa, nel nostro caso appunto il servizio idrico integrato. In
tale prospettiva, strettamente connesso al profilo tariffario, è poi l’elemento
regolatorio e la presenza di autorità di regolazione. La previsione di un soggetto
terzo come garante costituisce cioè la base da cui muovere perché si realizzino in
concreto le funzioni di garanzia della tutela e dell’uso delle risorse idriche,
sostenibilità degli usi e diritti delle generazioni future, oltre alla finalità di
ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare
all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio. Nell’ordinamento giuridico
italiano soltanto con il c.d. Decreto legge sviluppo 70/2011 si è cercato di ovviare
alla carenza di un soggetto terzo garante delle acque attraverso l’istituzione di
un’agenzia apposita per l’acqua: l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse
idriche, come organo indipendente dal Governo che opera in piena autonomia.
Da quanto sopra emerge come nello specifico all’ordinamento giuridico italiano
gli elementi, costitutivi del diritto stesso sono costituti innanzitutto da una nozione
pubblica (rectius - demaniale) della proprietà risorsa, come elemento-base del
riconoscimento di un diritto di accesso proprio degli ordinamenti “democratici”;
in secondo luogo una prevalenza di forme gestionali del servizio idrico di tipo
pubblico, sulla base dell’idea tradizionale che solo una gestione prevalentemente
pubblica sia in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua in termini di
quantità e qualità adeguate. In terzo luogo una tariffazione filtro del valore che la
società e i suoi rappresentanti politici intendono riconoscere all’acqua e che si
concretizza nel corrispondente servizio pubblico organizzato per “connettere” la
collettività alla risorsa; in quarto luogo una autorità di regolazione come soggetto
terzo garante delle acque; infine come cornice di fondo in cui si inseriscono gli
elementi sopra indicati, una normativa sull’acqua integrata con aspetti relativi al
suolo, al territorio ed ai cambiamenti climatici in una prospettiva di governance
ambientale estesa.
Nel presente lavoro si compie la scelta di concentrare l’indagine sugli elementi
della proprietà pubblica e del sistema tariffario, mentre i profili gestionale e di
regolazione verranno analizzati sullo sfondo degli altri due.
a. proprietà pubblica
In Italia - come d’altronde nella maggior parte degli ordinamenti democratici - la
proprietà pubblica dell’acqua costituisce lo strumento eletto al fine di assicurare
61
la fruibilità della stessa a tutta la collettività e di escluderne forme di
appropriazione individuali. La legge n.36 del 1994, specifica qualcosa in più
rispetto alla disciplina precedente e semplifica le cose, sostenendo la pubblicità
delle acque anche nel caso in cui le stesse vengano ancora a trovarsi nel
sottosuolo. Una espressa dichiarazione di questo tipo diviene frutto di esigenze
variate rispetto alle risultanze normative precedenti, dettate dalla notevole
importanza acquisita delle falde acquifere, assieme alla constatazione della non
inesauribilità delle riserve di acqua, nonostante il continuato rinnovo meteorico
della risorsa acqua. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il modo più opportuno
per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque consistesse nel sottrarlo al
potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne la sua cura soltanto alla
pubblica amministrazione.
b. tariffa
(come filtro di “valore” del diritto)
Acqua e risorse idriche disponibili hanno raggiunto un punto critico. Secondo la
Commissione Europea serve un impegno più incisivo a cominciare da una
efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure concordate di promozione
dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste le condizioni che potranno
permettere all’ Europa di disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a
soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le sfide poste dai
cambiamenti climatici. Nello scenario internazionale, uno dei temi centrali è
costituito, sin dopo la Conferenza del Mar del Plata, dal “valore economico
dell'acqua”. Nel corso della Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di
Dublino, come si è già detto, viene rappresentato il concetto che “gestire l'acqua
come un bene economico è un modo importante di conseguire un uso efficiente
ed equo, e di favorire la conservazione e la tutela delle risorse idriche”,
muovendo dal principio secondo il quale l'acqua ha un valore economico in tutti i
suoi usi concorrenti e deve essere riconosciuta come un bene economico. Gli
stessi fautori dei forum alternativi dell’acqua, a distanza di anni, riconoscono che
ci possa essere un prezzo per l’acqua quando l’uso che se ne fa superi il minimo
indispensabile alla vita e si ribadisce implicitamente il valore economico della
stessa ma esclusivamente come strumento di protezione da eccessi e sprechi. La
62
direttiva Acque tra i molteplici obiettivi che annovera, ricomprende, in primis,
quello di agevolare l’utilizzo idrico sostenibile e proteggere l’ambiente. Gli Stati
membri sono chiamati a provvedere affinché, attraverso le politiche dei prezzi
dell’acqua, gli utenti siano indirizzati verso un uso più efficiente della stessa e,
nell’ambito dei piani di gestione di ogni distretto idrico, a garantire l’equilibrio
tra l’estrazione ed il rinnovo della risorsa. Significativo in tal senso è il primo
enunciato del preambolo della direttiva, in cui si legge che “l’acqua non è un
prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto,
difeso e trattato come tale” e, al punto 11, richiamando il vecchio articolo 174 del
Trattato istitutivo della CEE , si precisa come la politica ambientale comunitaria
debba essere finalizzata ad assicurare “la salvaguardia, la tutela ed il
miglioramento della qualità dell’ambiente, dell’utilizzazione accorta delle risorse
naturali”. L’articolo 9 della Direttiva pone inoltre a carico degli Stati membri
l’obbligo di adottare misure adeguate a fare in modo che i prezzi dell’acqua
rispecchino il costo totale di tutti i servizi collegati all’uso della stessa, quali ad
esempio la gestione, la manutenzione degli impianti, oltre ai costi per l’ambiente
ed il depauperamento delle risorse. A questo scopo gli Stati dovranno imporre,
nei diversi settori in cui l’acqua viene utilizzata, i costi dei servizi, tenendo conto
del fondamentale principio “chi inquina paga” ed il risparmio idrico dovrà essere
ottenuto attraverso l’elaborazione di piani tariffari che inducano i consumatori
ad allinearsi alla politica comunitaria in materia. Nel contesto delle finalità così
delineato un ruolo strategico viene assunto dall’analisi economica di sostenibilità
degli usi della risorsa idrica: a tal riguardo la Direttiva 2000/60, all'art. 91,
stabilisce che gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere entro il 2010 ad un
adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari
settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e
agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato III e
tenendo conto del principio "chi inquina paga". La disposizione è stata recepita
nell'ordinamento nazionale con l'art. 119 del D.Lgs. 152/2006 che disciplina il
principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici. L'analisi economica ha
quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai diversi usi della risorsa
idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e l'uso idroelettrico. In
tale ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare gli usi meno
63
efficienti e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi, valorizzare
gli usi più efficienti e più necessari. La direttiva induce a considerare la gestione
delle acque in una logica più ampia di quella attuale: cioè non nella logica della
gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il
complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi civili, usi irrigui,
zootecnici, piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti drenanti, invasi e
condotte funzionali alla produzione energetica, impianti di dissalazione, ecc.
…).Lo strumento economico deve essere utilizzato come strumento per
preservare la risorsa, piuttosto che come mero strumento per ripianare i costi
del servizio idrico o per fare profitti, attraverso la revisione dei meccanismi
economici - tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere i conti effettivi della
gestione del servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e rendendoli
trasparenti ai cittadini, sia cercando di internalizzarli. La gestione va inoltre
considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle
marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso
sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia
idro-dipendente.
Dalla premessa sopra richiamata emerge il ruolo decisivo che lo strumento
economico può assumere in una politica di tutela della risorsa sotto tutti i suoi
aspetti cardine (qualità, quantità e accessibilità). La tariffa è il filtro nella realtà
concreta del valore che il legislatore - auspicabilmente rispondendo alla volontà
della collettività - intende attribuire all’acqua. Si torna a ribadire come dare
valore all’acqua non significa dunque necessariamente considerarla una merce
ma evitare gli sprechi gratuiti, contrastare gli usi esclusivi a prescindere dalle
altre utilizzazioni e dal degrado, superare la cattiva frammentata gestione
coerente con la mancata “difesa del suolo”, in linea con quanto affermato dalla
direttiva Acque. La tariffa trova nel servizio idrico il luogo naturale in cui
assolvere alla funzione di incarnare il valore che la collettività - di un dato
ordinamento, in un contesto geografico e socio-culturale determinato ed in un
preciso periodo storico - ed i suoi rappresentanti, hanno inteso conferire
all’acqua. Il servizio è cioè lo strumento principale per mezzo del quale
l’ordinamento dovrebbe garantire che la collettività possa ricevere acqua in
64
qualità e quantità tali da assicurare generalmente livelli quanto meno essenziali
di vita.
2. La proprietà pubblica dell’acqua come elemento-base del riconoscimento di
un diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti “democratici”
Dall’excursus storico-normativo svolto è dunque emerso come, pur non essendo
riconosciuto formalmente in Italia un diritto all’acqua, l’ordinamento, attraverso
le leggi di cui si è dotato, si indirizza - affinché il diritto sia attuale ed effettivo verso i pilastri della proprietà pubblica della risorsa - che in Italia è stata
affiancata da una gestione prevalentemente pubblicistica del servizio idrico - ,
una tariffazione filtro del valore che la società e i suoi rappresentanti politici
intendono riconoscere all’acqua (attraverso lo strumento del servizio idrico) alla quale si collega l’esigenza di previsione di autorità di regolazione - ed una
normativa sull’acqua integrata con aspetti relativi al suolo, al territorio ed ai
cambiamenti climatici. Il legislatore italiano - mutuando anche spunti forti di
livello internazionale e comunitario - ha inteso cioè proteggere il diritto della
collettività di accedere all’acqua indicando le basi - al tempo stesso - concettuali
e concrete su cui esso dovrebbe poggiare.
Muovendo dalla considerazione che un approccio normativo integrato costituisca
la necessaria cornice generale entro la quale inserire i concetti più specifici e
definiti di proprietà pubblica dell’acqua e tariffa idrica, il lavoro che si andrà ad
illustrare si focalizzerà sul profilo proprietario, nel capitolo secondo e, sull’aspetto
della tariffa così come inserita nel contesto del servizio idrico, nel terzo.
In particolare il tema della proprietà pubblica dell’acqua, come elemento-base del
riconoscimento di un diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti
“democratici”, rappresenta oggetto di attenzione sia per la sua piuttosto recente
definitiva affermazione, sia per le implicazioni e le ragioni socio - economiche e
culturali, oltre che ovviamente squisitamente giuridiche - che hanno
caratterizzato il processo di emersione del concetto di demanialità delle acque da
un contesto in cui l’acqua veniva originariamente considerata bene di
appropriazione individuale. Ciò rappresenta un passaggio necessario per poi
testare il livello di garanzia che l’attuale sistema - concretizzato da quello che, per
motivi di comodità, chiameremo “diritto delle acque” italiano - offre e i limiti che
65
esso incontra in termini di “accessibilità” diffusa della risorsa.
3. Evoluzione storica del concetto di proprietà delle risorse idriche dal 1865 al
2009
3.1.Acque pubbliche/demaniali e private dal codice civile del 1865 al T.U.
n.1775 del 1933
La legislazione del nuovo Regno d’Italia di regolazione della materia delle acque
pubbliche interne, si presentava decisamente frammentaria, inizialmente
inserita nella legge sui lavori pubblici71 e, in una prima fase, come
essenzialmente di “tutela del buon regime delle acque stesse e delle loro
pertinenze”72.
La Legge 20 marzo 1885, n. 2248, allegato F, nel terzo titolo definiva un sistema
di interventi pubblici limitato alla costruzione ed al mantenimento di essenziali
opere idrauliche necessarie a fronteggiare i pericoli connessi ai corsi d’acqua e
finalizzato a garantire l’uso generale dell’acqua come patrimonio comune ed
illimitato laddove la proprietà privata delle risorse idriche effettivamente
utilizzata risultava prevalente73. I pubblici poteri dovevano pertanto garantire
gli usi comunitari, e specialmente quelli di navigazione e fluitazione. Non
assumevano comunque ancora alcuna rilevanza sociale le problematiche
inerenti alle conflittualità tra gli usi e la destinazione del bene.
E’ interessante rilevare, quanto al profilo proprietario delle risorse idriche, che il
codice civile del 1865, all’art. 427, annoverava tra i beni appartenenti al demanio
pubblico solamente i fiumi ed i torrenti, mentre il fatto che la normativa speciale
delle acque pubbliche facesse riferimento anche a corsi naturali minori, come
71
legge 20 marzo 1865 n. 2248, legge sui lavori pubblici; leggi di razionalizzazione e
risistemazione della materia delle acque: l. 10 agosto 1884, n. 2644 e il suo regolamento, il r.d. 26
novembre 1893, n. 710; d.lgt. 20 novembre 1916, n. 1664; d.l. 9 ottobre 1919, n. 2161, convertito
in l. 18 dicembre 1927, n. 259
72
Cfr. infra
73
Greco N., Le acque, Il Mulino, 1983
66
fossati, rivi e colatori pubblici, fu fonte di non poche discussioni in dottrina circa
la ravvisabilità di risorse idriche suscettibili di appropriazione privata74.
Sul piano della gestione invece, con la legge 29 marzo 1903, n. 103 (c.d. Legge
Giolitti), poi trasfusa nel R.D. 15 ottobre 1925, n. 257875 i servizi di acquedotto e
fognatura, già storicamente rientranti nel novero delle più antiche prestazione
rese dal settore pubblico ai privati (mentre la depurazione delle acque reflue è
concetto ed attività molto più recente) e attività tipicamente e tradizionalmente
assunte dagli enti locali - in dipendenza della stretta connessione tra gli stessi, il
territorio e la comunità76 - venivano municipalizzati e si prevedeva che la
costruzione di acquedotti e fontane fosse ricompresa tra i servizi principali dei
quali i Comuni potessero assumere l’esercizio diretto77. Successivamente il R.D.
27 luglio 1934, n. 1265 - Testo Unico sulle leggi sanitarie - all’articolo 248
stabiliva che “i Comuni dovessero essere adeguatamente forniti, per uso potabile,
di acqua pura e di buona qualità”, attribuendo pertanto all’assunzione del
relativo servizio un carattere di doverosità. Tali attività indubbiamente
evidenziano un diretto collegamento con bisogni primari, essenziali ed
insopprimibili della collettività e dei singoli: l’approvvigionamento di acqua
potabile e la raccolta degli scarichi, oltre che rispondere ad esigenze basilari per
la sopravvivenza degli esseri viventi, costituiscono la base costitutiva di
qualsiasi aggregato sociale78. Fondamentale, in tale direzione, è stato l’apporto
dato dai servizi c.d. “municipalizzati” alla nascita dei grandi complessi
industriale, all’inurbamento che ne è seguito - con accesso alle risorse a prezzi
74
Per un approfondimento della questione nel vigore del vecchio codice, vedi S. Masini, La
“decadenza“ della proprietà privata delle acque con particolare riguardo agli usi irrigui,
comunicazione presentata al Convegno di studi su “Tutela delle acque: direttive comunitarie e
normativa nazionale”, Roma, 25 febbraio 1995, in Dir. e giur. agraria, 1995, pag. 667 ss.; e sui
contrasti tra la legge dei lavori pubblici del 1865 e il contestuale codice civile: Lugaresi, cit., pag.
26 ss.Vedi anche Cerulli Irelli V., Acque pubbliche, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 10 ss.
75
Il R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 è anche noto come il Testo Unico sull’assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province
76
Caia G., Approvvigionamento idrico e gestione degli acquedotti, in Sanità Pubblica, 1992, pag.
445
77
Lovisetti M., I servizi idrici, Giappichelli, 1997
78
Lovisetti M., op. citata
67
accessibili anche alle classi sociali più povere - ed allo sviluppo di un assetto
urbano salubre altrimenti difficilmente realizzabile79.
Un timido passo in avanti nel senso del configurarsi di una normativa specifica
sulle risorse idriche era tra l’altro già stato fatto con l’emanazione del T.U. n.
523/1904, modificato poi nel 1911, concernente la disciplina delle opere
idrauliche, attraverso il quale si conferiva alla Pubblica Amministrazione la
suprema tutela delle acque pubbliche e l’ispezione dei relativi lavori e si
specificavano i doveri di difesa e conservazione delle stesse. In una seconda fase
la normativa in materia di acque pubbliche ha subito una evoluzione nella
direzione di meglio delineare la natura giuridica dei diritti di utenza idrica,
identificandoli e classificandoli in vari modi ed infine abolendone in via generale
il carattere di gratuità. E’ stato esteso alle acque l’istituto della concessione
amministrativa come istituto di diritto pubblico che consentiva l’utilizzazione
delle fonti idriche in via temporanea e solo eccezionalmente perpetua, dietro
corresponsione di un canone di natura tributaria. Restava comunque in
discussione la natura pubblica dei corsi d’acqua che da alcuni, secondo le
disposizioni previste dal codice civile dell’epoca, era limitata ai fiumi ed ai
torrenti. Soltanto nel 1919 la materia ha ricevuto un’organica sistemazione con
il D.L. n. 2161 e poi nel 1920 con il R.D. n.1285, che hanno disciplinato in modo
più sistematico l’istituto della concessione in uso temporaneo ed escluso la
concessione in proprietà. Successivamente, con il R.D.L. n. 425 del 1924 è stato
disposto un aumento generalizzato delle entrate derivanti dall’utilizzo di beni
del pubblico demanio, fra cui i corsi d’acqua pubblica, ed è stato affermato il
carattere oneroso di tutte le derivazioni a partire dal primo luglio 1924.
Significativo appare, a tale riguardo, il dibattito sviluppatosi tra i giuristi
dell’epoca circa il problema dell’acqua che, a partire dal 1916, stava assumendo
carattere nazionale: in dottrina iniziavano ad essere recepite in maniera
definitiva le sollecitazioni dei tecnici ed in particolare della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze e si prendeva coscienza generale delle implicazioni
giuridiche del dato tecnico80. Si poneva come centrale l’esigenza di passare da
79
Cavallo Perin R., Comuni e province nella gestione dei servizi pubblici, Napoli, 1993
80
Greco N., opera citata, pag. 109 ss.
68
una politica essenzialmente di sistemazione degli alvei e degli argini al fine
precipuo di inviare al mare nel minor tempo possibile l’acqua dannosa, ad una
politica opposta di rilascio in mare di acqua dannosa nella minore quantità
possibile e nel più lungo tempo: da una politica definita di “difesa” a una di
“utilizzazione”. Si tentava cioè di superare il confronto continuo con gli
orientamenti
giurisprudenziali,
sviluppatisi
sin
dalle
leggi
del
1865,
radicalmente conservatori e finalizzati a proteggere il principio della proprietà
privata per il maggior numero possibile di acque; di affermare elaborazioni
innovative fondate sul profilo della tutela idrogeologica e l’esigenza
conseguente di una nuova gerarchizzazione degli usi dell’acqua che esplicitasse
in modo più organico l’assetto degli interessi pubblici connesso alla proprietà
demaniale delle acque. E’ da questo periodo in poi che inizia ad emergere la
necessità della ridefinizione di una ottimale area funzionale per la gestione delle
acque, attraverso una capacità statuale di direzione ed indirizzo che superasse
particolarismi, un ripensamento della demanialità delle acque che tenesse conto
della diversità degli usi, in un’ottica attiva di uso razionale della risorsa. Per i
giuristi da un lato era centrale il problema di una riconfigurazione della
demanialità idrica e della pubblicità delle acque che garantisse allo Stato un
ruolo centrale di controllo di tutto il patrimonio idrico; dall’altro si poneva come
assolutamente rilevante la questione della gestione del bene attraverso un
assetto organizzativo adeguato al fine di realizzare obiettivi concreti. Il
complesso normativo che vide la luce tra il ’16 ed il ’19 è stato poi riprodotto in
maniera invariata nel T.U. n.1775 del 1933. D’altronde già nel 1910 la Corte di
Cassazione81 con una importante sentenza si era pronunciata nel senso
dell’equivalenza delle espressioni acque demaniali ed acque pubbliche,
ribadendo tale assunto in una successiva sentenza82 del 1916, fatto che rafforzò
e rassicurò su una tematica che implicava ingenti interessi fondiari ed
Cfr. i discorsi di A. Omodeo, G. Valenti e V. Scialoia, in Il problema idraulico e la legislazione sulle
acque “Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze”, VIII riunione, Roma, Tip.
Nazionale di G. Bertero, 1916
81
Corte di Cassazione S.U. 21 dicembre 1910
82
Corte di Cassazione 19 dicembre 1916
69
economici, tanto che varie dottrine83 definirono la nuova concezione della
demanialità idrica, che acquisì riconoscimento a livello di norma primaria, “una
rivoluzione del concetto dei beni e nella configurazione dei diritti che. offende
diritti antichi utili ai singoli individui, ai nuclei sociali ed all’intera nazione”,
evidenziando la connessione sussistente tra proprietà del bene idrico, diritto di
proprietà in generale e destinazione sociale dei beni84. “Il nuovo decreto ha
abolito il nome di proprietà e proprietario in relazione alla nostra materia …, tutti
i titolari sono utenti, il diritto sulle acque è un diritto d’uso, che non occorre per
ora maggiormente qualificare…diritti antichi e secolari di cui si contesta
semplicemente en passant la legittimità perché è sempre usato di deprimere ciò
che si vuol violentemente sopprimere, sono abbattuti senza alcun indennizzo”85.
Secondo le disposizioni del decreto del 1919 infatti non ci sarebbero più stati
proprietari di acque ma utenti e le risorse idriche sarebbero state di fatto e di
diritto sottratte alla disponibilità e a libere speculazioni di tanti soggetti privati
e si sarebbe affermato un fortissimo potere gestorio dello Stato in materia.
Questo fu l’avvio di una reale rivoluzione normativa che, però, quanto al profilo
organizzativo ed attuativo, per un lungo periodo ha visto il ricorso ai consorzi,
enti che sono stati fortemente influenzati dall’iniziativa dei soggetti privati e si
sono configurati come bacino di confluenza di interessi imprenditoriali relativi
all’affidamento in concessione della realizzazione delle opere pubbliche
connesse, in quanto opere a carico dello Stato o dallo stesso finanziate.
3.2. Relatività della pubblicità delle acque nel T.U. n. 1775/1933
Alle predette fasi di definizione della disciplina riguardante l’utilizzazione delle
fonti idriche interne, è seguito uno stadio riassuntivo di premessa alla tutela
diretta, non solo degli interessi degli utenti ma, soprattutto, di quelli preminenti
della collettività tutta e i precedenti provvedimenti sono stati quindi sostituiti
dal T.U., R.D. n.1775 del 1933 che presentava carattere riepilogativo rispetto
83
Manes C., Le acque pubbliche nel diritto italiano vigente, Athenaeum, Roma
84
Greco N., opera citata, pag. 117
85
Bonfante P., Sulla nuova legge delle acque, in “Rivista di diritto commerciale” 1919, 1, pag. 461
ss.
70
alle scelte normative precedenti. Si riconfermava infatti il principio della natura
pubblica delle acque e il ruolo centrale dello Stato a tutela dell’interesse
pubblico. In base al nuovo T.U. erano pubbliche tutte le acque sorgenti, fluviali e
lacunari, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, che avessero o
acquistassero “attitudine ad uso di pubblico generale interesse”86. Le acque
pubbliche venivano poi inscritte in specifici elenchi. La risorsa idrica veniva
inoltre considerata come inesauribile e pertanto non vi era alcuna
preoccupazione della tutela della stessa e dell’esigenza di una politica di
risparmio idrico: prevaleva una scelta basata su un’ideologia “mercantilistica e
produttivistica”, in linea con un sistema di amministrazione delle acque basato
sul massimo sfruttamento delle stesse e su linee direttrici fissate
prevalentemente dai privati. La concessione di acqua si caratterizzava infatti per
un profilo decisamente convenzionale in cui gli interessi del concessionario
venivano rapportati quasi esclusivamente con quelli propri della concorrenza e
non con quelli generali. La querelle sulla proprietà statuale delle acque fu
dunque lasciata cadere a fronte di ragioni pratiche di mercato e soprattutto di
consolidamento di interessi settoriali: da questo momento storico in poi non è
stato più messo in discussione il regime proprietario del bene, in quanto la
definizione introdotta da T.U. del 1933 esprimeva comunque un concetto
indeterminato e piuttosto variabile di pubblicità delle acque in relazione
all’evolversi delle condizioni tecniche, economiche e sociali, che lasciava
pertanto ancora notevole spazio di azione ai soggetti privati. Quali fossero
infatti gli usi di pubblico generale interesse, cui la legge subordinava la
dichiarazione di demanialità dell’acqua, non era né stabilito dalla stessa né
86
Il Testo Unico individuava il concetto giuridico di acqua pubblica, enunciandolo al primo
comma dell’articolo 1: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se
artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia
isolatamente che per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in
relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiamo acquisito, od acquistino,
attitudine ad usi di pubblico generale interesse”. Questa definizione veniva poi
recepita
pienamente dal codice civile del 1942 che, nell’articolo 822, comprende, nella categoria del
demanio idrico, i fiumi, i torrenti, i laghi e, genericamente, le “altre acque definite pubbliche dalle
leggi in materia”, proprio quelle individuate dalla norma contenuta nel Testo Unico del 1933.
71
veniva fornito alcun criterio al riguardo. Accertato pertanto, di volta in volta, che
un singolo corso d’acqua servisse o avesse attitudine a servire ad usi di pubblico
generale interesse, seguiva una dichiarazione della p.a. e la successiva iscrizione
negli elenchi che, assolvendo alla funzione di indicare le acque che secondo
l’amministrazione presentassero i requisiti per essere considerate pubbliche,
avevano carattere meramente dichiarativo87. Il R.D. del 1933 realizzava inoltre
una operazione di scissione tra gestione amministrativa dello sfruttamento del
bene ed impegno parziale alla sua conservazione che andava a coincidere con il
proliferare di uffici e competenze a vari livelli ministeriali: primo fra tutti il
Ministero dell’Agricoltura era chiamato a gestire gli impieghi irrigui dell’acqua
in un quadro integrato di bonifiche ma in posizione di latente dipendenza dal
Ministero dei Lavori Pubblici per quanto concerneva la realizzazione delle
opere88.
3.3. La Legge 36/94 c.d. Legge Galli e la proclamazione della pubblicità di
tutte le acque
La consacrazione del carattere pubblico di tutte le acque si è avuta invece con la
legge 36 del 1994, c.d. Legge Galli che all’articolo 1 prevedeva che “Tutte le acque
superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e
costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di
solidarietà”: la pubblicità veniva quindi attribuita senza alcuna distinzione a tutte
le acque. Non si è in presenza di una mera enunciazione programmatica, né di una
semplice regolamentazione degli usi, ma di un vero e proprio atto di
asservimento che esplica la volontà del legislatore di dar luogo ad una
pubblicizzazione generalizzata delle risorse idriche89. Anche le acque non estratte
dal sottosuolo sono pubbliche in quanto funzionalmente preordinate alla
realizzazione di un servizio pubblico universale. Le acque pubbliche sono le
acque oggetto di proprietà pubblica e perciò stesso elementi costitutivi del
87
In questo senso Pacelli, Ruini, Vitta e Zanobin, Acque
pubbliche, in Enciclopedia del diritto, paragrafo 11, note 51 e 52
88
Greco N., opera citata, pag. 176
89
Cazzagon F., Le acque pubbliche nel codice dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’Ambiente,
2007
72
demanio pubblico90. Anche il codice civile del 1942 esprimeva lo stesso concetto
giuridico, prevedendo infatti all’articolo 822, tuttora vigente, la collocazione delle
acque pubbliche fra i beni demaniali: le acque rientrano nella categoria dei beni
immobili e possono appartenere sia alla pubblica amministrazione sia ai privati.
La acque pubbliche, essendo appunto oggetto di proprietà pubblica, costituiscono
il c.d. demanio idrico, definito necessario, in quanto le risorse idriche in esso
ricomprese non possono appartenere a soggetti diversi dalla pubblica
amministrazione. Prima dell’entrata in vigore della legge Galli la p.a. avrebbe
potuto essere titolare anche di acque private acquisite per atto inter vivos o
mortis causa, senza che ciò implicasse il conferimento di natura pubblica a
quell’acqua e la sua preordinazione ad un fine pubblico.
Questo provvedimento è stato il punto di arrivo di un processo che ha trovato il
proprio svolgimento in un lunghissimo arco di anni: la tendenza a pervenire ad
una maggiore riduzione dell’ambito entro il quale i privati potessero esercitare
diritti di appropriazione o comunque di utilizzazione delle acque, senza per
questo dover necessariamente avere come intermediaria la p.a. in funzione di
responsabile della tutela delle risorse idriche91.
Tale evoluzione, che ha avuto un suo preciso riscontro sul piano normativo, ha
portato dapprima ad un allargamento della categoria delle acque appartenenti al
pubblico demanio, in seguito ha posto limiti sempre più estesi alla normale
disponibilità e conservazione dei beni in oggetto. Ciò per motivi essenzialmente
di controllo e di tutela degli interessi pubblici, ricollegati ad un bene che viene
considerato prioritario per il soddisfacimento dei bisogni elementari e
comunque ineludibili dell’uomo e del contesto sociale nel quale egli si trovi ad
90
Acque pubbliche in Digesto Italiano, pag. 51
91
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16
dicembre 1997
Sul punto vedi: Postiglione A., Tutela delle acque: il quadro giurisprudenziale, in Dir. e giur.
agraria, 1995, pag. 133 ss.; Lugaresi N., Le acque pubbliche, profili dominicali, di tutela e di
gestione, Milano, 1995, pag. 22.
73
agire92. Questa connotazione, come si è accennato, è stata il frutto del mutamento
di prospettiva del legislatore, cambiamento che si è sempre accompagnato al
differente risalto dato alle singole configurazioni con le quali veniva identificato
l’interesse pubblico. La realizzazione di quest’ultimo viene pertanto ad un certo
momento inscindibilmente correlata alla sottrazione ai privati della totale
disposizione del demanio idrico, affinché di esso venisse fatto un utilizzo più
conforme a fini di utilità sociale: obiettivo primario dell’ordinamento in materia
era quello del maggiore e più completo sfruttamento del patrimonio nazionale
delle acque nel perseguimento degli interessi economici e produttivi. In tale
contesto veniva ad assumere un posto di rilievo la concessione di derivazione di
acque pubbliche, in quanto costituiva lo strumento principale attraverso il quale
realizzare gli obiettivi legati alla produzione agricola ed industriale. Del resto
anche oggigiorno essa rimane “la forma giuridica principale per l’utilizzazione
delle acque pubbliche”93. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il modo più
opportuno per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque consistesse nel
sottrarlo al potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne la sua cura
alla pubblica amministrazione. In tal modo si verrebbe a giustificare l’integrale
trasferimento di tutte le acque - e dei relativi terreni di contenimento, n.d.r. nell’ambito del pubblico demanio idrico94.
92
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16
dicembre
93
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, op. cit.
94
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, op. cit. Sulla nozione di “acque private” cfr. Albano R., Le limitazioni legali in tema d’acque
(non pubbliche), in Tratt. di dir. priv., VII, diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, pag. 613; Tabet A.,
Ottolenghi E., Scaliti G., La proprietà, voce: Il regime delle acque non pubbliche, in Giur. sistematica
civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1981, pag. 719
“La nozione di acque non pubbliche (o private) è essenzialmente negativa, in quanto comprende
le acque che non sono pubbliche”. La disciplina concernente l’utilizzazione delle acque private,
per meglio dire, delle acque non pubbliche, si riscontra essenzialmente nel codice civile, al libro
terzo, titolo II, sezione IX, Delle acque, agli art. 909-921.
Per quel che concerne più in generale gli art. che vanno dal 909 al 921, essi possono essere
suddivisi grosso modo in tre gruppi. Il primo, art. 909-912 e 918-921, riguarda l’uso delle acque;
74
La demanialità non rappresenta l’unico modo di disciplinare l’uso dei beni in
vista del soddisfacimento di esigenze collettive95, ma è la sola via che possa
assicurare l’ininfluenza sulla stabilità dell’appartenenza e sulla gestione dei beni
delle esigenze utilitaristiche connesse alla proprietà privata. Inoltre la
demanialità delle acque risponde alla necessità di risolvere un problema di
distribuzione dei beni, disponendo che gli stessi appartengono alla p.a., ma
soprattutto destina le medesime acque ad una serie di utilizzazioni individuate
specificatamente e controllate dalla stessa, operando una destinazione vincolata
dei beni.
Appartenenza e utilizzazione rappresentano i confini della tematica delle acque
nell’evoluzione normativa italiana. Prima della legge Galli la distinzione tra acque
pubbliche e private non era assoluta, in quanto promanava da un giudizio sul
pubblico uso al quale esse erano singolarmente destinate.
La Galli, all’articolo 1, comma primo, così recita:
il secondo, art. 913 e 914, lo scolo e il prosciugamento dei terreni; il terzo, art. 915-917, la difesa
contro le acque fluenti. Esaminando con maggior attenzione il primo, che è quello che più
interessa al discorso che si sta svolgendo, osserviamo che l’art. 909 c.c. - Diritto sulle acque
esistenti nel fondo - prevede al primo comma che “il proprietario del suolo ha diritto di utilizzare
le acque in esso esistenti, salvo le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e
sotterranee”.
L’art. 910 c.c. dispone che “il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un’acqua non
pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre,
farne uso per l’irrigazione dei suoi terreni e per l’esercizio delle sue industrie [...]”.
Il codice civile continua con il prevedere poi, all’art. 911, l’apertura di nuove sorgenti ed altre
opere, nonché, all’art. 912, la conciliazione degli opposti interessi dei proprietari a cui un’acqua
non pubblica possa essere utile. Gli art. 918-921 contengono inoltre disposizioni in ordine alla
costituzione di consorzi per il migliore e più razionale sfruttamento delle acque. Per il loro
funzionamento si applicano, in quanto compatibili, le norme della comunione, ove siano di natura
volontaria (art. 920), e quelle dei consorzi di miglioramento fondiario, se coattivi (art. 921 e 863).
Ulteriori disposizioni sono poi contenute agli art. 941-947 c.c., in tema di acquisti a titolo
originario. E inoltre agli art. 1080-1099 c.c., con riferimento alle servitù di presa o di derivazioni
di acqua e degli scoli e degli avanzi di acqua. E ancora, agli art. 1049-1050 c.c., in ordine alla
somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo.
95
Acque pubbliche in Digesto Italiano, pag. 51
75
Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono
pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo
criteri di solidarietà.
La distinzione tra pubblico e privato, viene mantenuta, in modo esiguo, facendo
riferimento, all’art. 28, al criterio dell’uso effettivo96.
La legge Galli esclude, come detto, la presenza, sia pur già residuale sotto l’egida
del Testo Unico del 1933, di una qualsiasi categoria di acque private. Di
abrogazione (implicita) dell’articolo 1 comma 1 del Testo Unico possiamo
parlare, considerata la chiara incompatibilità con l’articolo 1 comma 1 della legge
n. 36 del 1994. Invece difficile risulta accennare all’abrogazione delle norme
contenute nel codice civile a causa della mancanza, proprio nella legge Galli, di
una espressione previsione abrogativa. Non si fa infatti menzione alla parte del
codice civile (libro III, titolo II, capo II, sezione IX, titolata “delle acque”) che si
occupa specificamente di acque private, tramite gli articoli 909 e seguenti.
Analizzando però i testi relativi ai lavori preparatori della legge Galli,
sembrerebbe che tali disposizioni resterebbero valide sia pure in modo limitato.
Infatti la legge esclude a priori la categoria delle acque private come disciplinate
dal codice civile, ma non esclude le istanze del privato a proposito di acque
superficiali e sotterranee. Si lascia cioè intatta la possibilità di “utilizzazione” di
certi tipi di acque da parte dei privati anche al di fuori degli schemi concessori,
con il dovuto rispetto dei principi e dei parametri indicati dalla legge.
È il caso, già accennato, previsto dall’articolo 28 comma 3 che indica come
“libera” la “raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi
agricoli o di singoli edifici”; il quarto comma dello stesso articolo specifica poi
che la raccolta del comma precedente
non richiede licenza o concessione di derivazione di acque;la realizzazione dei
relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle
zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali.
96
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, op. cit.
76
Il privato avrà, dunque, modo di utilizzare in piena libertà le acque sicuramente
pubbliche, anche senza il tramite di un atto amministrativo di concessione, “nel
rispetto del bilancio tra disponibilità delle risorse reperibili od attivabili nell’area
di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, compatibilmente alle priorità
individuate”.
97
Il legislatore compie un intervento diretto alla garanzia dello sfruttamento pieno
delle risorse idriche: in assenza di più importanti esigenze di sfruttamento
pubblicistico
si
consente
l’uso
dell’acqua
senza
provvedimenti
di
intermediazione da parte della Pubblica Amministrazione.
Prima della vigente legge Galli si consentiva al privato la titolarità di diritti
dominicali sulle acque, in specie su quella categoria di acque che non risultassero
idonee ad utilizzi di pubblico e generale interesse e che fossero state inserite
negli elenchi; il nuovo ordinamento, intervenuto in conseguenza della nuova
legge,
permette
l’utilizzo,
libero,
di
determinate
categorie di
acque,
compatibilmente con le accresciute, ed espressamente menzionate esigenze di
conservazione delle risorse idriche. Utilizzo libero nei casi espressamente
determinati dalla legge.
La creazione di una dimensione totalmente pubblica di sfruttamento delle
risorse idriche, diretta per necessità, a fini generali e collettivi, non importa un
cambiamento radicale per i soggetti fruitori del bene acqua, ma realizza una
novità di carattere dogmatico: si privano i soggetti privati della titolarità di diritti
reali sulle acque che, per la legislazione precedente, e nel residuo rispetto alla
maggioranza, non rivestivano un immediato rilievo pubblico (ex lege, articolo 1
Testo Unico n. 1775 del 1933).
Il privato resterà, eventualmente, titolare di un mero diritto di utilizzo di fatto a
fronte di un bene ormai completamente pubblico (l’acqua), sempre sottoposto ad
atto di autorizzazione, tranne che nei casi riferiti dall’articolo 28 commi 3 e 5, a
proposito della raccolta delle “acque piovane” e dell’estrazione di “acque
sotterranee” per usi domestici, sempre che questa utilizzazione non vada a
contrastare con le esigenze della collettività e dei pubblici poteri e pur sempre
nei limiti fissati dalla legge medesima (articolo 28 della legge n. 36, a proposito
della raccolta delle acque piovane e degli usi domestici). Tali ipotesi pur
97
legge Galli articolo 28
77
marginali, sono espressamente consentite dall’ordinamento attuale.
Tornando ora alla disamina del concetto di acque pubbliche, parte della dottrina,
oltre alla tradizionale partizione dei beni pubblici in demaniali e patrimoniali
(disponibili e non), con riferimento
alla loro utilizzazione, distingue i beni
pubblici in tre sottocategorie: beni riservati, beni a destinazione pubblica e beni
collettivi98. Di tali categorie interessa la prima, in quanto è pacificamente
ammessa l’inclusione delle acque pubbliche tra i beni riservati99. La riserva
comporta che soggetti diversi da quello indicato dalla legge, sulla base di specifici
requisiti legati di regola alla natura del bene, quale titolare e garante del bene,
non possano acquistarne la proprietà100. Peraltro mentre ai sensi del testo unico
sulle acque la riserva derivava dal controllo dei requisiti di idoneità al
soddisfacimento del pubblico interesse, e da una valutazione della p.a. su di essi,
invece l’introduzione della nuova normativa ad opera della legge n. 36 comporta
che la riserva discenda direttamente dalla legge, senza che sia necessario
procedere alla verifica della sussistenza di ulteriori requisiti101.
La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è
intervenuta in modo del tutto innovativo sul profilo della gestione del servizio
idrico, ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla
tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso
da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di
efficienza, efficacia ed economicità. Viene infatti definito per la prima volta il c.d.
“servizio idrico integrato”, costituito “dall’insieme dei servizi pubblici di captazione,
adduzione e distribuzione di acque ad usi civili, di fognatura e depurazione di acque
98
Cfr. Cerulli Irelli V., voce Beni pubblici, in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, pag. 278 ss.
99
Cfr. Cerulli Irelli V., Beni pubblici, cit., pag. 283; e Caputi Jambrenghi V., voce Beni pubblici (uso
dei), in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, pag. 304 ss.
100
La riserva peraltro non ha il fine, nei confronti dei beni che ne sono oggetto, di porre i pubblici
poteri in una situazione di vantaggio rispetto ai singoli cittadini, quanto piuttosto di assicurare
alla collettività godimento di tali beni attraverso il negare l’ammissibilità di singoli episodi di
appropriazione. Vedi Lugaresi, cit., pag. 69; nonchè Cassese S., I beni pubblici. Circolazione e
tutela, Milano, 1969, pag. 257 ss.
101
Sul punto, e sui delicati problemi in ordine al momento di inizio della demanialità, Lugaresi,
cit., pag. 70 e ss.
78
reflue”102, realizzando una reductio ad unum dell’intero ciclo delle acque secondo
criteri solidaristici e sostenibili dell’uso delle risorse idriche. Nell’articolo 1,
comma 2, delle legge, si richiamano i diritti delle future generazioni
all’utilizzazione di un patrimonio ambientale integro, salvaguardati da usi idrici
finalizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse.
Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti
delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. (art. 1 c.2)
L'uso dell'acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del
medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono ammessi
quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano le qualità dell'acqua
per il consumo umano. (art. 2 c.1)
Eliminazione degli sprechi e salvaguardia del bene rappresentano il collante
nell’unificazione della gestione e organizzazione del servizio, informato inoltre al
principio
di
sussidiarietà,
conferendo
all’amministrazione
centrale
l’individuazione di linee programmatiche e delegando a regioni ed enti locali la
definizione della normativa di dettaglio.
Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non
pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna
e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. (art.1 c.3)
La legge Galli rappresenta il primo tentativo di conciliare la necessità di arginare
la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di tipo imprenditoriale del
servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad assicurare la fruizione di un
servizio pubblico di primaria necessità. La reductio ad unum dell’intero ciclo delle
acque mira ad introdurre un sistema organizzativo accentrato e coordinato e per
ciò stesso, almeno potenzialmente, più efficiente ed efficace103. Nella stessa
visuale prospettica rientra anche la previsione degli ATO, ambiti territoriali
102
Legge 36/1994 articolo 4, comma 1, lettera f
103
De Nictolis R., Cameriero L., Le società pubbliche in house e miste, Giuffrè 2008
79
ottimali, quali elementi di accorpamento dei bacini idrografici relativi al territorio
nazionale e, generalmente, coincidenti con una pluralità di comuni, associati in
consorzio operanti a mezzo di convenzione e previo coordinamento dalla
Provincia di riferimento, con funzioni di regolazione locale del servizio idrico, con
il compito di definire il Piano d’Ambito, concernente l’individuazione degli
obiettivi del servizio idrico integrato nonché la ricognizione ed il rafforzamento
delle
infrastrutture
esistenti,
la
preparazione
del
piano
finanziario
conformemente alle finalità poste dalla legge e la determinazione delle tariffe. Gli
ATO sono poi deputati ad individuare il soggetto gestore, nel rispetto del Piano
d’Ambito, del servizio idrico integrato. La l. 36/94 prevede, preferibilmente, un
solo gestore per ciascun ATO ma, al fine di salvaguardare le gestioni preesistenti,
è inserita la deroga al principio di unitarietà della gestione, per cui c’è la
possibilità che i comuni e le province gestiscano il servizio attraverso una
pluralità di soggetti e di forme, dopo aver individuato un soggetto responsabile
del coordinamento. La legge Galli inoltre prevede l’autoremunerazione della
gestione, cioè la copertura dei costi con le tariffe: la riforma introdotta è
finalizzata a favorire lo sviluppo dell’industria dei servizi idrici attraverso una
gestione di tipo imprenditoriale che consenta di superare modelli ormai obsoleti
e
soprattutto
di
provvedere
ai
notevoli
investimenti
necessari
per
l’ammodernamento delle reti e del settore in genere e la presenza del privato, in
questa prospettiva, deve rappresentare un “valore aggiunto a vantaggio della
funzionalità della società di gestione e quindi, auspicabilmente, degli utenti
destinatari finali del servizio104”.
Si inseriscono, in via immediata, nel quadro sopra delineato anche la legge
quadro 18 maggio 1989, n. 183, “Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale del sottosuolo”; nonché, da ultimo, il d.p.c.m. 4 marzo 1996,
“Disposizioni in materia di risorse idriche”, emanato in base a quanto disposto
dall’art. 4 della l. 36/94.
La l. 5 gennaio 1994, n. 36 si pone quindi nel solco di un’attività normativa volta
a pianificare e, pertanto, a gestire nella maniera più ottimale le risorse idriche
nazionali, intraprendendo in tal modo un tentativo di riorganizzazione unitaria
104
circolare del 6 dicembre 2004 del Ministero dell’Ambiente in materia di servizio idrico
integrato citata in De Nictolis R., Cameriero L., Le società pubbliche in house e miste, Giuffrè 2008.
80
dei servizi idrici,105 che non si esaurisce solo nel territorio nazionale, ma che si
coordina con altre iniziative del medesimo tenore, avviate in ambito comunitario
ed internazionale.
3.4. L’affermazione della demanialità di tutte le acque nel d.lgs. 152/06 c.d.
Testo Unico Ambientale
I principi sanciti dalla Legge Galli vengono successivamente trasfusi nel c.d.
Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo 152/06, nonché potenziati nel senso
dell’affermazione della demanialità di tutte le acque, della subordinazione
dell’utilizzazione delle stesse al principio dello sviluppo sostenibile e della
“funzionalizzazione” della disciplina degli usi della risorsa alla razionalizzazione
ed alla tutela106. I beni demaniali si caratterizzano, oltre che per la necessaria
appartenenza allo Stato e ad enti pubblici territoriali, anche per la peculiarità
del loro regime giuridico. I beni demaniali hanno la natura di res extra
commercium, ossia di cose poste al di fuori della sfera dei rapporti patrimoniali
privati. Di conseguenza, come stabilisce l’art. 823 c.c., “sono inalienabili e non
possono formare oggetto di diritti a favore di terzi”. Tale inalienabilità comporta
che i beni demaniali non possono essere oggetto di negozi di diritto privato,
diretti a trasferire la proprietà a persone diverse dallo Stato, o a costituire a
favore delle medesime servitù o altri diritti reali. Il carattere di indisponibilità
105
De Nictolis R., Cameriero L., op. cit.
106
Decreto Legislativo 152/06, articolo 144
1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorche' non estratte dal sottosuolo, appartengono
al demanio dello Stato106.
2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà;
qualsiasi loro uso e' effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a
fruire di un integro patrimonio ambientale.
3. La disciplina degli usi delle acque e' finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare
gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la
vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi
geomorfologici e gli equilibri idrologici.
4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano
sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità.
81
dei beni demaniali si presenta così intenso da comportarne una loro
incommerciabilità assoluta, che determina una nullità radicale degli eventuali
atti di disposizione che li concernono, per impossibilità giuridica dell’oggetto,
come si ricava dall’esame coordinato dell’art. 823 e 1418 del codice civile107.
E’ d’uopo soffermarsi sul dato significativo che, mentre la caratteristica costante
che identifica il regime demaniale108 da una prospettiva privatistica è costituito
dall’extracommercialità (art. 823 c.c.), il regime amministrativo, di contro, non è
costante e la varietà dello stesso regime serve ad identificare un particolare
significato della demanialità109 e conseguentemente la proprietà demaniale
assume aspetti diversi, tant’è che si distingue quella in cui “si puntualizza e
condensa un preciso interesse pubblico, esclusivo di ogni altro, e correlativo ad
una funzione pubblica, anch’essa esclusiva, da quella nella quale la stessa
funzione pubblica si realizza mediante la garanzia del miglior godimento della
cosa da parte dei cittadini”110. Un generale regime amministrativo dei beni
demaniali non è infatti configurabile, né tanto meno auspicabile, ma occorre far
riferimento ai differenti regimi dettati per i diversi beni dalle leggi speciali. Due
però sono gli elementi che permettono di considerare i beni demaniali ad uso
collettivo, qui intesi come beni demaniali in senso stretto, come una categoria:
da un lato il regime della riserva, e quindi della negazione del potere di
escludere; dall’altro il particolare rapporto tra regime privatistico e regime
amministrativo connotato dal dato che entrambi concorrono a garantire
107
In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994,
n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16
dicembre 1997
108
Sul concetto di demanio cfr. Cassese, I beni pubblici, Circolazione e tutela, Milano, 1969; Cerulli
Irelli V., Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, in Annuario A.I.P.D.A.,
2003, Milano; Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963; Guicciardi E., Il demanio, Padova, 1934;
Morbidelli G., Osservazioni sulla natura giuridica del canone di concessione di acque pubbliche,
Nota a cass. sez. un. 20 gennaio 1970, n. 112; Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio
pubblico, 1897; Renna M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici,
Relazione al Convegno "I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto
interno ed internazionale" Pisa, 20 dicembre 2007
109
Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005
110
Pugliatti, La proprietà e le proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954
82
l’inappropriabilità del bene e l’accesso collettivo allo stesso. Questi due dati
caratterizzanti i beni in questione, si scontrano però con un problema di
distribuzione delle funzioni, fenomeno che consegue al moltiplicarsi dei soggetti
che aspirano ad utilizzazioni economicamente vantaggiose del bene e che sono
destinati ad aumentare con la privatizzazione del settore o di fasi dello stesso.
La scelta dell’ordinamento di riconoscere a tutti il diritto al godimento del bene,
implica prerogative quali il potere decisionale, i compiti di monitoraggio sugli
usi, i compiti di manutenzione e tutto ciò che riguarda le funzioni dirette a
garantire l’uso collettivo del bene111. Così come si definisce l’appartenenza
pubblica del bene “appartenenza di protezione112”, allo stesso modo deve
elaborarsi una nozione di organizzazione in capo ad un soggetto che escluda il
rischio della non protezione dell’uso collettivo del bene: se un soggetto è
maggiormente attrezzato per lo sfruttamento economico di un bene, ciò non
garantisce affatto la tutela dell’utilità pubblica dello stesso. Se il mercato infatti è
una istituzione alternativa113 e se un determinato soggetto è creato
appositamente per perseguire fini di natura individuale, è probabilmente più
opportuno che questi si occupi di raggiungere tali obiettivi entro i limiti posti
dallo stesso mercato, senza che ciò comporti la considerazione della pubblica
amministrazione come un soggetto incapace di scelte in linea con gli interessi
comunitari. Il dato che caratterizza i beni demaniali è la carenza di
legittimazione ad appropriarsi dei benefici della risorsa a titolo individuale, e
ciò sia per i soggetti privati, sia per il soggetto pubblico e su questo dato
fondante deve svilupparsi un’organizzazione di funzioni basata su una
regolamentazione che conservi tale inappropriabilità. “Con la categoria giuridica
della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità dei beni pubblici è diventata il più
naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è
nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche
non economiche. Ne scaturiscono poteri di regolazione e di polizia degli usi
111
Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005
112
Gambaro, La proprietà, Milano, 1990
113
Olivi M., op.cit.
83
collettivi in capo all’ente pubblico114”. Ne consegue che il sistema così delineato
sia quello che maggiormente consente la “compresenza di interessi dei singoli e
generali ad un tempo nel regime concretamente applicabile a beni che si
riconoscano significativi ed utili per l’intera comunità in dipendenza delle loro
intrinseche caratteristiche strutturali stimate come idonee alla fruizione collettiva
da parte del legislatore115”.
4. La “proprietà” dell’acqua strumento di tutela della risorsa
Nel diritto antico si riscontrava la distinzione tra res in commercio e res extra
commercium, con la quale si indicavano rispettivamente le cose che potevano o
meno essere oggetto di scambio e di rapporti giuridici privati e patrimoniali.116
Tra le res extra commercium rientravano le res publicae, come cose che
“servivano singolarmente a coloro che formavano parte del populus (mare
litoraneo, lido, fonti, acque correnti)”.117
L’acqua “profluens”, cioè l’acqua corrente, si differenziava, in tale cornice, dal
fiume in cui essa scorreva, in quanto “elemento essenzialmente labile” che per
“sua stessa natura” era inappropriabile e costituiva appunto una res
communis118.
Con l’evoluzione della società industriale ed il conseguente crescente livello di
utilizzazione delle res communis omnium è venuto in evidenza il dato della
scarsità delle stesse e ciò ha comportato che alcune delle stesse venissero
classificate dal diritto positivo con l’espressione “beni pubblici”119. In tale
contesto demaniale rientrava l’acqua fluente bene-immobile, da considerarsi
nella sua “massa perenne”, mentre poteva essere suscettibile di appropriazione
114
Caputi Jambrenghi V.,in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Police A. (a cura di),
Giuffrè, 2008
115
Caputi Jambrenghi V., op.cit.
116
Gambino A.M., Beni extra mercato, Milano 2004
117
Besta E., I diritti sulle cose, Padova 1933
118
Scialoja V., Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma 1933
119
Gambino A.M., Beni extra mercato, Milano, 2004
84
privata, circoscritta e definita (in canali o serbatoi), il bene mobile-acqua
derivata, da intendersi quest’ultima come entità “circoscritta in un determinato
spazio”120. La possibilità teorica di una natura privata discendeva cioè dalla
nozione giuridica dell’acqua fluente, bene destinato all’uso pubblico, che
consentiva al privato l’uso personale e individuale rispetto a quelle modeste
quantità appropriabili direttamente per occupazione121. L´attribuzione ex lege
alla mano pubblica si è misurata con il postulato che l'acqua fosse un bene che,
ove lasciato al libero incedere dei modelli circolatori dello ius privatum (i.e. del
mercato), non fosse fruibile dal maggior numero dei consociati. Si è ritenuto che
la riserva dell´attività produttiva e gestionale in "mano pubblica" ovvero il
"monopolio naturale", avrebbe garantito equamente i bisogni vitali della
collettività122 e che la scarsità e la preziosità dell’acqua fossero induttivamente
gli elementi qualificanti della categoria dei c.d. beni “extra mercato”. La scarsità
segna il limite alla disponibilità del bene; la preziosità ne indica la misura
fruibile.
123
Secondo tale teoria le res extra mercatum sono fuori dal diritto
pubblico ma neanche merce speciale; piuttosto, cosa scarsa e, quindi, preziosa,
da preservare, non per l'accumulo, ma affinché ciascuno ne goda.
Nella normativa italiana è con la legge Galli che emerge la volontà di coniugare la
connotazione “sociale” del servizio idrico con la necessità di assicurarne una
gestione di tipo imprenditoriale. Essa specifica qualcosa in più rispetto alla
120
Gambino A.M., op. cit.
121
Biondi B., I beni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1953
122
Gambino A.M., op. cit.
123
Gambino A.M., op. cit. .
Secondo Gambino tali caratteri giustificano l’idoneità di tali beni ad avere una disciplina
uniforme e derogatoria dal regime di circolazione ordinario. Ciò significa che la circolazione dei
beni suscettibili di corrispondere ad interessi - vitali - dei consociati (qui sta la loro preziosità)
segue sì modelli erogativi propri del diritto privato, ma la derivazione di questi beni da risorse
limitate (qui sta la loro scarsità), implica una loro importanza strategica tale da consigliare al
legislatore di disegnare forme circolatorie che disattendono gli schemi tipici del libero mercato;
quest'ultimo, nella sua accezione di luogo dell'ordinario e regolare mercanteggiare, vi rimane
estraneo. Pur essendo ovviamente possibile che il legislatore disattenda la percezione di una
maggiore importanza (strategica) dei beni "vitali" per i bisogni dei consociati. E l'acqua, come
bene universale, nella sua coloritura di "bene extra mercato", contempla una vicenda giuridica
speciale ed autonoma.
85
disciplina precedente e semplifica le cose, sostenendo la pubblicità delle acque
anche nel caso in cui le stesse vengano ancora a trovarsi nel sottosuolo. Una
espressa dichiarazione di questo tipo diviene frutto di esigenze variate rispetto
alle risultanze normative precedenti, dettate dalla notevole importanza acquisita
delle falde acquifere, assieme alla constatazione della non inesauribilità delle
riserve di acqua, nonostante il continuato rinnovo meteorico della risorsa acqua.
124
La “risorsa idrica” necessita di una tutela particolare. La pubblicità delle acque del
sottosuolo non tocca l’ambito degli usi domestici delle stesse e non impedisce che
i privati ne facciano un libero uso, una volta estratte, sempre che non sia
compromesso il bilancio idrico complessivo. Attraverso la categoria giuridica
della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità dei beni pubblici è diventata il più
naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è
nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche
non economiche. 125
La proprietà pubblica rafforza il legame tra una comunità ed un bene
strategico.126 La demanializzazione dell’acqua e delle relative infrastrutture è
posta a presidio di un valore fondamentale dell’uomo. Ciò è confermato dalla
Corte Costituzionale che ha precisato che “L’acqua è un bene primario della vita
dell’uomo” e, quindi “un diritto fondamentale dell’uomo e delle generazioni
future”. 127 In tale contesto è chiara l’esigenza, a fronte della progressiva scarsità
della risorsa, di una tutela integrata del diritto, che consideri l’intero ciclo delle
acque. Il diritto positivo considera come oggetto della proprietà pubblica, oltre
all’acqua, anche i mezzi e le infrastrutture, che permettono una utilizzazione
razionale della stessa. Si è in presenza di una sorta di “proprietà integrata” o
“demanio idrico integrato”. L’approdo ad una complessiva dimensione demaniale
implica una precisa scelta di campo, in cui la logica del profitto e dell’interesse
125
Police A., I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano 2008
126
Police A., op.cit.
127
Corte Costituzionale, 19 luglio 1996 ,n. 259
86
individuale è subordinata alle esigenze di solidarietà.128 La legge 36/94 segue
questa linea evidenziando l’essenziale rapporto sussistente tra l’uso razionale
delle risorse idriche - tutela ambientale e la gestione dei pubblici servizi di
acquedotto, fognatura e depurazione.129
In tale prospettiva si spiega come, il riconoscimento dell’acqua come un diritto
fondamentale ed inviolabile dell’uomo, così come avvenuto con la risoluzione
Onu del luglio 2010, ha importanza ed è utile in quanto il medesimo diritto si
connota, in virtù di tale investitura ufficiale, dei caratteri propri di tutti i diritti
inviolabili:
assolutezza,
inalienabilità,
irrinunciabilità,
indisponibilità,
imprescrittibilità. 130
A rafforzare siffatta impostazione in dottrina si afferma inoltre che “l’onnipotenza
del legislatore dovrebbe fermarsi davanti al dato naturale: se è la natura delle cose
che determina la qualità pubblica del bene, di questo non può disporre il
legislatore”131. La proprietà pubblica dunque rappresenta l’esito naturale di un
processo di formalizzazione nell’ordinamento giuridico della situazione connessa
all’acqua: è cioè la particolare natura del bene che necessariamente condiziona
l’assetto organizzativo dei servizi inerenti lo stesso - e ciò diventa doveroso se il
fine che si intende perseguire è quello di realizzare un sistema sostenibile in
termini socio-economici ed ambientali. Dalle caratteristiche della risorsa è
imprescindibile muovere nell’elaborazione di regole di utilizzazione, accesso e
gestione dell’acqua. Il riconoscimento di un diritto di accesso all’acqua, o in
generale, di un diritto all’acqua, pur nella sua rilevanza, parrebbe dunque, alla
luce di quanto sopra, rappresentare un rafforzativo - di rilievo, certo - ma soltanto
un rafforzativo, di una tutela giuridica che si attua innanzitutto attraverso lo
strumento della pubblicità delle acque. Il vero ed effettivo riconoscimento del
diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia sembra essere già avvenuto
128
Bartolini A., Le acque tra beni pubblici e pubblici servizi, in I beni pubblici: tutela,
valorizzazione e gestione, Milano 2008
129
130
Lovisetti M., op.cit.
sul punto v. ad es. Cocozza F., Corso G., Le situazioni soggettive, in Amato G., Barbera A.,
Manuale di diritto pubblico, Bologna 1991 pag. 210.
131
Francario F., Privatizzazioni, dismissioni e destinazione “naturale” dei beni pubblici, in Annuario
Aipda - 2003, Milano
87
con l’affermazione della pubblicità (rectius, demanialità) di tutte le acque, in una
prospettiva di “proprietà integrata” come sopra specificato. Un riconoscimento
ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche
proprie del bene oggetto del diritto, rappresenta in tale prospettiva una mera
enunciazione di principio priva di reale incisività. E la risoluzione dell’ Onu, al
pari d’altronde di qualsiasi affermazione di principi universali, rappresenta il
punto di arrivo di un processo culturale che nella sua cristallizzazione trova una
conferma definitiva a livello formale. Ciò emerge dall’analisi del percorso
attraverso il quale la tariffa idrica, per mezzo del servizio pubblico ad essa
relativo, assurge a strumento filtro del “valore” effettivo del bene. La proprietà
pubblica del bene unitamente ad un sistema tariffario specchio della scelta di
“socialità” dell’ordinamento, realizza la sostanza di quello che potremmo
chiamare “diritto di accesso” all’acqua. L’ufficializzazione di questa situazione di
fatto, per il tramite di un riconoscimento espresso, aggiungerebbe un quid
formale che, nel contempo si connota di un rilievo di natura sostanziale. Ed il
substrato oggettivo a sua volta si cristallizza in un quadro formalmente definito.
L’elemento di attualizzazione del legame sussistente tra l’acqua e la collettività dato oggettivo costituito da proprietà pubblica e tariffa equa - si stabilizza cioè
nella cornice ufficiale del riconoscimento espresso del diritto.
Ma vedremo più avanti anche come il riconoscimento di un diritto, addirittura
ove si prescinda da una sua effettività, abbia un suo specifico ruolo che si
aggiunge al corollario di tutele realizzato dagli elementi oggettivi di
concretizzazione della relativa situazione giuridica. Un ruolo che consente
all’interprete di compiere un passo ulteriore nell’indagine in corso: quello di
verificare i limiti che il sistema attuale di “diritto delle acque” italiano incontra in
termini di accessibilità alla risorsa e di cercare soluzioni al di fuori delle
tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia
pubblico-privato.
88
Capitolo terzo
Segue. Il diritto all’acqua e la “gestione” della risorsa: il servizio idrico
come filtro di “valore” della risorsa acqua
1. Premessa
Di un implicito riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche
in Italia sembra dunque finora potersi parlare nei termini dell’affermazione della
pubblicità di tutte le acque, in una prospettiva di “proprietà integrata” come
precedentemente specificato. Si è detto inoltre che un riconoscimento ufficiale, in
assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche proprie del bene
oggetto del diritto, rappresenta una mera enunciazione di principio priva di reale
incisività.
Ciò non esclude però che ci si debba interrogare sull’utilità e/o
necessità di una enunciazione formale, nella linea tracciata dalla Risoluzione del
29 luglio, a maggior ragione laddove un substrato oggettivo forte esiste.
Torniamo dunque a chiederci cosa cambia in un ordinamento, nazionale o
sovraordinato, attraverso l’affermazione ufficiale che esiste un diritto di
accedere all’acqua. Innanzitutto va considerato l’ambito normativo in cui una
siffatta affermazione è inserita. Differente è infatti il peso di una previsione
costituzionale rispetto ad una legge ordinaria. Ma anche laddove esiste un
riconoscimento
costituzionale
del
diritto,
come
in
Sudafrica
non
è
necessariamente consequenziale la garanzia concreta dello stesso. La sezione 27
della Costituzione del Sudafrica stabilisce che “everyone has the right to sufficient
water”. Ognuno ha dunque il diritto a sufficiente acqua. Nella sentenza della
Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009, Mazibuko v. City of
Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma però che non esiste un obbligo
costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua gratuita. Oggetto
dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici
prepagati per i consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia
(corrispondenti
a 25 litri di acqua al giorno per persona), finalizzata alla
riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di primo grado e della Corte
89
d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza132,
consideravano
l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre
indicavano rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo
base di acqua rispondente al diritto. La Corte Costituzionale invece affermava
come la previsione del diritto non implica la fornitura di un minimo quantitativo
di acqua cui lo Stato è obbligato; il dettato costituzionale deve essere
interpretato nel senso di un dovere alla progressiva realizzazione del diritto
attraverso ragionevoli strumenti legislativi e per mezzo di successive revisioni. E
la scelta della città di Johannesburg di fornire acqua gratuita pari a 25 litri al
giorno per persona appare ragionevole ed in linea con la Costituzione.
133
Il
problema che si pone per il futuro è come la Corte risponderà di fronte a
richieste di dimostrazione da parte dello Stato che esso ha adottato le misure
legislative e gli strumenti necessari, entro la propria disponibilità di risorse, per
raggiungere la progressiva realizzazione del diritto. 134
Quanto affermato dalla Corte Costituzionale Sudafricana dell’ottobre 2009
esprime
un
concetto
analogo
a
quello
contenuto
nella
successiva
caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella risoluzione Onu del 30
settembre 2010. La risoluzione infatti non fa riferimento ad un minimo
quantitativo gratuito di acqua per persona, bensì richiama gli Stati a realizzare il
diritto affermato attraverso strumenti e meccanismi che consentano l’accesso di
tutti all’acqua e ai servizi igienici.
Quanto sopra porta inevitabilmente a riflettere su come all’affermazione
dell’esistenza di un diritto, anche a livello costituzionale, non consegua
automaticamente la garanzia della concretizzazione del diritto stesso o meglio,
un rispondente substrato oggettivo.
132
Soobramoney (1998),Grootboom (2001), Treatment
Action Campaign (TAC) (2002),
Modderklip (2005) e Olivia Road (2008).
133
Sul punto: Danchin P., A human right to water? The South African Constitutional Court’s
Decision in the Mazibuko Case, in Journal of Law and Religion, the Jale Journal of International Law,
Harvard International Law Journal.
134
vd. nota 127
90
Torniamo dunque al nostro interrogativo iniziale: perché e come allora rendere
una “cosa” oggetto di una data situazione giuridica può avere un rilievo
autonomo a prescindere dalla sua effettività?
Nel tentare di trovare una risposta, un passo obbligato, successivo all’analisi del
profilo proprietario dell’acqua, consiste ora, come anticipato, nel volgere
l’attenzione al mezzo di cui l’ordinamento si è servito per veicolare il diritto - o
presunto tale - direttamente alla collettività: il servizio idrico.
2. Evoluzione storica delle forme di gestione dell’acqua in Italia
La caratteristica primaria dell’acqua, che è tra l’altro tipica di tutti i beni ad uso
collettivo, è dunque “la carenza di legittimazione ad appropriarsi dei benefici della
risorsa a titolo individuale, cioè in modo da escludere chiunque altro (si dice anche
a titolo esclusivo), e vale tanto nei confronti di soggetti privati, quanto nei
confronti del soggetto pubblico”135. Le forme organizzative della gestione del
servizio di distribuzione della risorsa debbono pertanto muovere dal
presupposto della carenza di esclusività nella fruizione dei benefici della stessa.
Di nuovo ci accompagna la scelta di compiere un preliminare excursus di matrice
storico - giuridica delle forme di gestione del servizio idrico in Italia. Essa nasce
dall’esigenza di individuare i confini ed i conseguenti limiti dell’attuale sistema. E
ciò soprattutto alla luce delle esigenze di rinnovamento che hanno dato origine
alla riforma dei servizi pubblici locali ed alla conseguente reazione popolare che
è sfociata nel
referendum abrogativo che ha cancellato le disposizioni
precedentemente introdotte dalla legge di riforma.
a. Dalla Legge Giolitti 103/1903 al decreto legislativo 267/00: stabilità delle gestioni
pubbliche
La prima normativa in materia di servizi pubblici136 risale alla legge l.103/1903,
successivamente modificata dal R.D.3074/1923 e dal R.D.2578/1925.
135
Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005
136
in materia di servizio pubblico vedi: R. Alessi, Le prestazioni amministrative rese ai privati,
Milano, 1956, 37 ss.; F. Benvenuti, Evoluzione dello Stato moderno, in Jus, 1959; G. Berti, La
pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968,; G. Caia, Funzione pubblica e
91
“La legge poneva un freno alla tendenza in atto, da parte dei Comuni, a concedere
gli impianti e l'esercizio di questi servizi a imprenditori privati, per sottrarsi agli
investimenti notevoli, e difficilmente sopportabili dalle finanze comunali, che
servizio pubblico, in AA.VV., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 1998; M. Cammelli, I
servizi pubblici nell’amministrazione locale, in Le regioni, 1992, 3;F. Cammeo, Commentario delle
leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.; ID., Corso di diritto amministrativo, 1911-14,
Padova; S. Cattaneo, Servizi pubblici, in Enc. dir., Milano, 1990, ad vocem; R. Cavallo Perin, I
principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno e ordinamento
europea, in Dir. amm., 2000; S.Cassese, Stato e mercato dopo privatizzazioni e deregulation, in Riv.
trim, dir. pub., 1991; S.Cassese, La retorica del servizio universale, in Telecomunicazioni e servizio
universale, a cura di S. Frova, Milano, 1999; ID., La crisi del servizio pubblico, in Radiodiffus. e
inform., 1999; V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997; G. Corso, La gestione
dei servizi locali tra pubblico e privato, in AA.VV. Servizi pubblici locali e nuove forme di
amministrazione, Milano, 1997, 24 ss.; A. De Valles, in I servizi pubblici, in Primo trattato completo
di diritto amministrativo diretto da V.E. Orlando, Milano, 1930, vol. VI; E. Guicciardi, Concetti
tradizionali e priincipi ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, II; ID.,
La giustizia amministrativa, Padova, 1957, III ed; G. Miele, Pubblica funzione e servizio pubblico, in
Arch. giur., 1933; ID., Servizio pubblico, in Enc. it. Treccani, Roma, 1936; F. Merusi, voce Servizio
pubblico, in Nov.ssimo Digesto Italiano, XVII, Torino, 1976, 217 ; F.Merusi, La nuova disciplina dei
servizi pubblici, in Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo,
Milano, 2002; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti d’utenza, Padova, 2001; ID., Regole e
mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005; M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della
pubblica amministrazione, Milano, 1966; V. E. Orlando, Introduzione al Primo trattato di diritto
amministrativo, Milano, I, 1901; A. Pioggia, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico
servizio, in Quaderni del pluralismo, 1998, 175 ss.; U. Pototschnig, I pubblici servizi, Milano, 1964;
O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; N.Rangone, I pubblici servizi,
Bologna, 1999; A.Romano, Amministrazione, legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. ammin., 1999;
ID., Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Il diritto amministrativo degli anni ’80, Milano,
1987; G. Rossi, Pubblico e privato nell’economia di fine secolo, in AA. VV. Le trasformazioni del
diritto amministrativo, Milano, 1995, 223; F. Salvia, Il servizio pubblico, una particolare
conformazione dell’impresa, in Dir. pubbl., 2000; A. M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano,
1959; ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1988; Santi Romano, Principi di diritto
amministrativo, Milano, 1919; ID, Il diritto pubblico italiano, Milano, 1914; D. Sorace, Servizi
pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. Pubbl., 1999; E. Scotti, Il pubblico servizio,
tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003; R. Villata, Pubblici servizi, Milano,
2003; G. Zanobini, L’esercizio privato di funzioni e servizi pubblici, in Trattato Orlando, 1935, II; G.
Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958
92
l’erogazione dei servizi pubblici richiedeva soprattutto nelle grandi città”.
137La
legge 103/1903 è poi confluita poi nel T.U. n. 2578 del 1925 che è rimasto in
vigore fino al 1990. Ha introdotto cioè le c.d. aziende municipalizzate: la gestione
diretta di servizi di primaria necessità come alternativa alla concessione
all'industria privata. Essa ha elencato una lunga serie di servizi che i consigli
comunali potevano deliberare di “municipalizzare”, ossia di assumere tra i
compiti facoltativi del proprio ente, stabilendo poi se amministrarli in via diretta
o darli in concessione a privati o ancora gestirli attraverso aziende speciali, prive
di
personalità
giuridica
autonoma,
ma
dotate
di
ampia
autonomia
amministrativa.138
In quanto servizio pubblico locale, il servizio idrico è stato ovviamente coinvolto
dalle riforme che hanno riguardato i servizi pubblici locali nel loro complesso. La
Legge Galli però, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le
acque, è intervenuta in modo innovativo anche in tema di gestione del servizio,
ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla tutela
dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso da
salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di
efficienza, efficacia ed economicità. Essa ha definito per la prima volta il c.d.
“servizio idrico integrato”, costituito “dall’insieme dei servizi pubblici di
captazione, adduzione e distribuzione di acque ad usi civili, di fognatura e
depurazione di acque reflue” , realizzando una reductio ad unum dell’intero ciclo
delle acque secondo criteri solidaristici e sostenibili dell’uso delle risorse idriche.
Nell’articolo 1, comma 2, delle legge, si richiamavano i diritti delle future
generazioni all’utilizzazione di un patrimonio ambientale integro, salvaguardati
da usi idrici finalizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse. Eliminazione degli
sprechi e salvaguardia del bene rappresentavano il collante nell’unificazione
della gestione e organizzazione del servizio, informato inoltre al principio di
sussidiarietà, conferendo all’amministrazione centrale l’individuazione di linee
programmatiche e delegando a regioni ed enti locali la definizione della
137
Sandulli M.A., Affidamento e gestione dei servizi pubblici locali alla luce del regolamento
attuativo - Il Servizio Idrico Integrato, Milano, 9 Febbraio 2011
138
vedi nota precedente
93
normativa di dettaglio. La legge Galli ha costituito il primo tentativo di conciliare
la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di
tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad
assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità. La reductio
ad unum dell’intero ciclo delle acque mirava ad introdurre un sistema
organizzativo accentrato e coordinato e per ciò stesso, almeno potenzialmente,
più efficiente ed efficace. Nella stessa visuale prospettica rientrava anche la
previsione degli ATO, ambiti territoriali ottimali, quali elementi di accorpamento
dei bacini idrografici relativi al territorio nazionale e, generalmente, coincidenti
con una pluralità di comuni, associati in consorzio operanti a mezzo di
convenzione e previo coordinamento dalla Provincia di riferimento, con funzioni
di regolazione locale del servizio idrico, con il compito di definire il Piano
d’Ambito, concernente l’individuazione degli obiettivi del servizio idrico
integrato nonché la ricognizione ed il rafforzamento delle infrastrutture
esistenti, la preparazione del piano finanziario conformemente alle finalità poste
dalla legge e la determinazione delle tariffe. Gli ATO vengono poi deputati ad
individuare il soggetto gestore, nel rispetto del Piano d’Ambito, del servizio
idrico integrato. La L. 36/94 prevedeva, preferibilmente, un solo gestore per
ciascun ATO ma, al fine di salvaguardare le gestioni preesistenti, è inserita la
deroga al principio di unitarietà della gestione, per cui c’è la possibilità che i
comuni e le province gestiscano il servizio attraverso una pluralità di soggetti e
di forme, dopo aver individuato un soggetto responsabile del coordinamento. La
Legge Galli inoltre prevedeva l’autoremunerazione della gestione, cioè la
copertura dei costi con le tariffe: la riforma introdotta era finalizzata a favorire lo
sviluppo dell’industria dei servizi idrici attraverso una gestione di tipo
imprenditoriale che consenta di superare modelli ormai obsoleti e soprattutto di
provvedere ai notevoli investimenti necessari per l’ammodernamento delle reti e
del settore in genere e la presenza del privato, in questa prospettiva, doveva
rappresentare un valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di
gestione e quindi, auspicabilmente, degli utenti destinatari finali del servizio .
In tema di modalità di affidamento del servizio idrico, la legge Galli rinviava
comunque all’art. 22 L.142/90 come integrato dall’art. 12 L. 498/92 e succ.
94
modifiche ed integrazioni, che ha costituito la normativa di riferimento per la
gestione dei servizi pubblici locali dopo la legge Giolitti 103/1903.
In base all’art. 22 L.142/90 i servizi pubblici locali potevano essere gestiti a) in
economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio
non fosse opportuno costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a
terzi, quando sussistessero ragioni tecniche, economiche e di opportunità
sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di
rilevanza economica ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio
di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni
o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o
partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora fosse opportuna in
relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più
soggetti pubblici o privati. L’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, recante
"Interventi urgenti in materia di finanza pubblica”, prevedeva che le province e i
comuni potessero, per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle
opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonché per la realizzazione
di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, costituire apposite società
per azioni, senza il vincolo della proprietà maggioritaria di cui al comma 3,
lettera e), dell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Gli enti interessati
provvedevano alla scelta dei soci privati e all'eventuale collocazione dei titoli
azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica.
Sostanzialmente dalla legge Giolitti 103/1903 fino all’emanazione del decreto
legislativo 267/00 la gestione del servizio idrico si caratterizzava per una
tendenziale stabilità delle gestioni pubbliche.
b. cambiamento di tendenza e apertura al mercato: dal 2000 al 2008
In seguito, ai sensi dell’articolo 113 del decreto legislativo 267/00 (che nella sua
versione originaria compatta la 142/90 e la 498/92), cd. Testo Unico sugli enti
locali, i servizi pubblici locali venivano gestiti nelle seguenti forme: in economia,
quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non fosse
opportuno costituire una istituzione o una azienda; in concessione a terzi,
quando sussistessero ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale ; a
95
mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza
economica ed imprenditoriale; a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi
sociali senza rilevanza imprenditoriale; a mezzo di società per azioni o a
responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o
partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora fosse opportuna, in
relazione alla natura o all' ambito territoriale del servizio, la partecipazione di
più soggetti pubblici o privati; a mezzo di società per azioni senza il vincolo della
proprietà pubblica maggioritaria a norma dell'articolo 116. I modelli gestionali
concretamente utilizzabili risultavano quindi essere principalmente l’azienda
speciale, la concessione a terzi e la società mista. Successivamente l’art. 35 della
Legge Finanziaria 448/2002 ha ridisegnato le forme di gestione dei servizi
pubblici locali modificando l’art.113 del t.u. 267/00, poi abrogato, al comma 5,
dal d.l. 269/03 (convertito in L. 326/03), che ha uniformato le modalità di
gestione dei servizi pubblici locali. Il nuovo art. 113 t.u.e.l. prevedeva
espressamente la forma dell’affidamento diretto a società a totale partecipazione
pubblica, a condizione che “gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitassero un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la
società realizzasse la parte più importante della propria attività con l’ente o gli
enti pubblici che la controllavano”. La Legge Finanziaria 448/2002 ha poi
introdotto la distinzione tra servizi pubblici locali <<di rilevanza industriale>> e
<<privi di rilevanza industriale>> e ha sancito, in materia di reti e servizi, il
principio di separazione della proprietà e dei regimi. Quanto invece alla gestione
dei servizi veniva scelto, quale modello organizzativo esclusivo, quello
dell’affidamento in gara a società di capitali, corredato dal principio della gara
per l’affidamento del servizio, dal contratto di servizio come strumento di
regolazione ed infine dall’inibizione dell’attività extraterritoriale dei gestori
affidatari diretti. Nel 2003, per mezzo del d.l. 269 e della legge 350, gli articoli
112 e seguenti del TUEL hanno subito di nuovo notevoli modifiche. Quanto
infatti alla gestione del servizio pubblico locale è stata introdotta una pluralità di
modelli organizzativi, quali: l’affidamento in gara a società di capitali, ribadendo
il principio della gara per l’affidamento del servizio; la gestione diretta attraverso
il c.d. in house providing ed infine la società mista. Il d.l. 269/03 ha eliminato il
riferimento ai servizi pubblici di rilevanza industriale ed ha utilizzato il solo
96
termine servizi pubblici a rilevanza economica, confermando la distinzione tra
rete e servizio e specificando infine altre due modalità di affidamento dello
stesso: la gestione diretta con l’affidamento c.d. in house e quella attraverso
società mista con preventivo espletamento della gara per l’individuazione del
socio privato. Risulta evidente l’inversione di tendenza rispetto alla previsione
dell’art. 35, comma 5 della Legge Finanziaria 448/2002, relativa, nello specifico,
all’imposizione alle società a capitale pubblico dirette affidatarie del servizio di
aprirsi al mercato e ai privati entro due anni dalla stessa, a pena della perdita
dell’affidamento. In direzione opposta muovevano invece le due circolari del 6
dicembre 2004 in materia di servizio idrico integrato con cui il Ministero
dell’Ambiente139 rispettivamente, nella prima, dal titolo “Affidamento del
servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato, ha affermato
il carattere residuale dell’affidamento diretto del servizio a società a totale
capitale pubblico, da ritenersi residuale e sussidiario rispetto ai modelli
tradizionali di gestione, e nella seconda, titolata “Affidamento in house del
servizio idrico integrato”, ha specificato i requisiti tecnici, gestionali e finanziari
che devono essere in possesso del socio privato nel caso di affidamento del
servizio a società miste pubblico-private. La partecipazione del privato non
doveva essere minimale, in linea con la considerazione dello stesso come “valore
aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, degli
utenti destinatari finali del servizio”.
Ciò che emerge da una analisi della disciplina del pubblico servizio, come
proiezione diretta dell’applicazione dei principi comunitari, “è la più netta
scissione dei ruoli pubblico e privato (il primo di controllo e il secondo di gestione)
e l’esaltazione della funzione regolatoria dell’amministrazione intesa a garantire
la più efficiente soddisfazione del bisogno pubblico attraverso la tutela, la
promozione o la simulazione di un ambiente concorrenziale o attraverso
139
Nella GU- Serie Generale, n. 291 del 13 dicembre 2004, sono state pubblicate due Circolari a
firma del Ministro Matteoli: la prima, dal titolo “Affidamento del servizio idrico integrato a
società a capitale misto pubblico-privato”; la seconda, titolata “Affidamento in house del servizio
idrico integrato”.
97
<<sussidiarie>> misure di regolazione sociale, consistenti in limiti posti in vista di
beni d’interesse generale (quali la tutela dei consumatori o dell’ambiente)”.140
Tuttavia, pur nel riconoscimento dell’importanza di una simile evoluzione, si
ritiene che il ruolo dell’amministrazione nei servizi pubblici non possa essere
mutato fino al punto di coincidere con la funzione di controllo e di regolazione.141
La prospettiva della regolazione142 potrebbe essere intesa in una accezione più
ampia, comprensiva della regolazione sociale, tradotta in misure finalistiche e
non soltanto condizionali, accanto alla regolazione economica.143
Successivamente nel 2008, con l’articolo 23 bis d.l. 112, si stabiliva che il
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avvenisse, in via ordinaria,
a favore di imprenditori o di società, in qualunque forma costituite, individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi
del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità. Si facevano salve però, in
deroga alle modalità di affidamento ordinario, le situazioni che, a causa di
peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace e utile ricorso
al mercato: in questo caso l’affidamento poteva avvenire nel rispetto dei principi
della disciplina comunitaria. Le finalità con cui il primo comma dell’articolo 23
140
Scotti E., Il servizio pubblico, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003
141
Scotti E., op. cit.
142
sul tema della regolazione vedi: Cassese S., La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità in
Italia, L’industria, 1992; ID, Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici, in Rass. giur. en.
el., 1998 pag. 233; ID., La nuova costituzione economica, Bari, 1999; De Lucia L., La regolazione
amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Giappichelli, 2002; Frego Luppi S.A.,
L’amministrazione regolatrice, Torino, 1999; Greco N., Costituzione e regolazione: interessi, norme
e regole sullo sfruttamento delle risorse naturali , Bologna, Il mulino ; Roma , Arel, 2007; Marone
E., La Spina A, Lo Stato regolatore, Riv. Trim. scienze amm., 1991, n.3; Renna M.,La regolazione
amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, Giuffrè, 2004; Rubini, Regolamentazione
dei servizi pubblici: modelli teorici, in iter legis., 1993.
143
così Cassese S., La retorica del servizio universale, in Telecomunicazioni e servizio universale, a
cura di Frova S., 1999
98
bis giustificava i cambiamenti introdotti in materia di affidamento e gestione dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, erano riconducibile alla necessità,
in applicazione della disciplina comunitaria, “di favorire la più ampia diffusione
dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di
interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti
alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale
delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della
Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i
principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni [...]
si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di
settore con esse incompatibili”144. Successivamente l’articolo 15145 della legge 20
144
Decreto Legislativo 112/2008, articolo 23 bis, comma 1
145
ai sensi dell’articolo 15 della legge 20 novembre 166/2009 a) le gestioni in essere alla data
del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta ‘‘in
house’’ cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell’ente
affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di
servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per
cento del capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2 ; b) le gestioni
affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del
socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a)
del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo
stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio,
cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla
data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista
pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera
a)
del comma 2, le quali
abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi
connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio d) gli
affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già
quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice
civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione
pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero
forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota
non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31
dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano
99
novembre 166/2009 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di
obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle
Comunità europee (09G0180)", ha introdotto una vera e propria privatizzazione
dei servizi pubblici locali prevedendo che tutte le gestione in house e
gli
affidamenti a società miste con partecipazione minoritaria del socio privato
cessassero progressivamente e definitivamente, privilegiando quale forma
esclusiva di gestione quella che vede il ruolo prevalente o esclusivo del privato
nell’erogazione del servizio. Al comma 1 si stabiliva infatti che il conferimento
della gestione dei servizi pubblici locali avvenisse, in via ordinaria: a favore di
imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica (nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità) e/o a società a
partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio
avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (nel rispetto dei
principi predetti) le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio
e l’attribuzione di specifi ci compiti operativi connessi alla gestione del servizio e
che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Il comma 1 ter sempre dell’articolo 15 prevedeva infine che:
“Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui
all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi
di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà
pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni
improrogabilmente
e
senza
necessità
di
apposita
deliberazione
dell’ente
affidante,
rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015 e) le gestioni affi date che
non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data
del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante.
100
pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a
quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto
alla universalità ed accessibilità del servizio”.
c. Tendenziale privatizzazione del servizio idrico (L.166/09)
Fino al 10 settembre 2009 la gestione del servizio idrico integrato in Italia viene
dunque disciplinata dall’ articolo 23bis della Legge 133/2008 che prevede, in via
ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori
o società mediante il ricorso a gara. L’articolo enunciato resta invariato nella
formulazione dei principi elencati ma subisce delle modifiche ad opera
dell’articolo 15 della Legge di conversione 166/2009 in merito appunto al
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica: in
sintesi alla luce del nuovo testo è possibile individuare tre modelli di gestione dei
servizi pubblici locali, due ordinari e uno straordinario:
a. concorrenziale aperto a soggetti pubblici e privati ;
b. concorrenziale aperto a soggetti misti pubblico-privato, che è preceduta da
una gara tra privati;
c. non-concorrenziale fondato sull’affidamento diretto senza gara ad una società
di capitali pubblica.
Al comma 3 dell’articolo 15 è prevista la c.d. deroga “in house” per situazioni
eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato. In questo caso infatti
l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico,
partecipata dall'ente locale, che abbia requisiti richiesti dall'ordinamento
comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei
principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società
e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano.
L'ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta di affidare “in house” il
servizio, motivandola in base ad un'analisi del mercato, e contestualmente
trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all‘AGCM
per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla
101
ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si
intende espresso in senso favorevole (silenzio assenso); l'AGCM, in forza
dell'autonomia organizzativa e funzionale attribuita dalla L. 287/90, individua,
con propria delibera, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici
locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere.
Al di fuori di questa specifica previsione, gli affidamenti a società “in house”, in
assenza di adeguata pubblicità, analisi di mercato e relativa relazione, nonché
parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cessano
improrogabilmente al 31.12.2011 ovvero alla scadenza del contratto di servizio a
condizione che entro il 31.12.2011 le amministrazioni cedano almeno il 40% del
capitale attraverso le modalità di cui all’art. 15, comma 2, lett. b; gli affidamenti a
società miste pubblico-private, con socio privato non selezionato secondo il
comma 2, lett. b, art. 15, cessano improrogabilmente al 31.12.2011; gli
affidamenti a società miste il cui socio non sia scelto con gara e gli affidamenti in
house non conformi ai principi comunitari, cessano improrogabilmente al
31.12.2010.
Il dato saliente che si evince dalla lettura della previsione normativa in materia di
gestione in house, analogo a quanto risulta da una considerazione complessiva
dello stravolgimento attuato della configurazione della società mista, risulta
caratterizzato dalla volontà del legislatore di ridurre notevolmente il ruolo e la
presenza delle gestioni pubbliche dell’acqua, attraverso l’introduzione di forti
limiti, sia di carattere sostanziale, sia sul piano della forma che la stessa società
deve assumere. 146
Gli affidamenti a società miste pubblico-private di cui all’art. 15, comma 2, lett. b,
e quelli a società “in house” coerenti con la nuova disciplina, cessano alla
scadenza prevista nel contratto di servizio; gli affidamenti diretti a società
146
sul tema vedi Lucarelli A., I modelli di gestione dei servizi pubblici locali dopo il decreto Ronchi.
Verso un governo pubblico partecipato dei beni comuni, in Analisi giuridica dell'economia, 2010,
fasc. 1, pagg. 127-141; vedi anche Scognamiglio A., Concorrenza e coordinazione delle tutele nel
diritto antitrust, La Regione, 2009
102
quotate in borsa al 01.10.2003 ed a quelle da esse controllate (ex art. 2359 c.c.)
cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio, a condizione che la
partecipazione pubblica si riduca progressivamente, attraverso procedure ad
evidenza pubblica, ovvero forme di collocamento privato presso investitori
qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40% entro il
30.06.2013, e ad una quota non superiore al 30% entro il 31.12.2015; ove dette
condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente,
rispettivamente, alla data del 30.06.2013 e del 31.12.2015.
Le società (le loro controllanti e controllate da una medesima controllante),
anche non appartenenti a Stati della U.E., che, in Italia o all’estero, che gestiscono
- di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o per contratto
servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad
evidenza pubblica ovvero di un partenariato pubblico-privato, nonché i soggetti
cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei
servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti
territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati,
né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi
controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto in questione non si
applica però alle società quotate in mercati regolamentati e al socio privato di
una società mista, selezionato all’esito di una gara di cui al comma 2, lett. b), art.
15.
L’articolo 15 delle Legge 166/09 lascia invariato l’articolo 23 bis comma 5, in cui
si afferma che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione
può essere affidata a soggetti privati e, con il comma 1-ter, prevede che “tutte le
forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo
23 -bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia
gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle
risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in
particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto
previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla
universalità ed accessibilità del servizio”.
103
d. nodi problematici dell’art. 15 della legge 20 novembre n.166 del 2009 e
referendum abrogativo
La legge 166/2009 ha fortemente incentivato il ricorso ad imprese private e
ridotto di molto la possibilità di utilizzare aziende pubbliche in house, prevedendo
la scadenza anticipata al 2011 dell’attività delle stesse in materia e subordinando
nuovi affidamenti in house a norme molto rigide. Va tuttavia ricordato come,
sempre secondo il c.d. decreto Ronchi, la gestione pubblica dell’acqua avrebbe
potuto essere garantita sia da parte di una azienda interamente pubblica che
partecipasse ad una gara e vincesse, sia attraverso la costituzione di una spa mista
a maggioranza pubblica. In materia è intervenuta anche la Corte Costituzionale
con l’importante ed articolata sentenza 325/10 in cui essa ha affermato il
carattere “tendenzialmente” economico del servizio idrico.147 Si legge infatti che
147
Sette sono i nuclei tematici affrontati nella pronuncia della Corte. Il primo concerne la
ricostruzione del rapporto tra la disciplina dei SPL ricavabile dall’ordinamento dell’Unione europea
e dalla Carta europea del dell’autonomia locale e quella dettata con le disposizioni censurate. Il
secondo nucleo tematico attiene all’individuazione della sfera di competenza in cui rientra, secondo
il dettato costituzionale, la normativa denunciata. Il terzo nucleo tematico entra in questione
qualora si riconosca la sussistenza della competenza esclusiva statale per la tutela della concorrenza
e riguarda l'eventuale violazione del principio di ragionevolezza. Il quarto nucleo tematico attiene
alla individuazione della competenza regionale o statale nella determinazione della rilevanza
economica dei SPL. Il quinto nucleo concerne la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo
dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi; il sesto riguarda l'affermazione della diversità
di disciplina fra il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali ed infine il settimo
nucleo tematico attiene infine alla presunta violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
Con riferimento, allo specifico settore del servizio idrico integrato, la Corte ha stabilito che “la
normativa riguardante l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito e alla determinazione della
tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap (art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006) attiene
all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.),
materie che hanno prevalenza su eventuali competenze regionali, che ne risultano così
corrispondentemente limitate. Ciò in quanto tale disciplina, finalizzata al superamento della
frammentazione della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed è
quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato stesso (sentenze n. 142 e n.
104
“I commi 3, 4 e 4-bis, dell’art. 23-bis, possono essere interpretati soltanto nel senso
che i servizi pubblici locali non cessano di avere «rilevanza economica» per il solo
fatto che sia formulabile una prognosi di inefficacia o inutilità del semplice ricorso
al mercato, con riferimento agli obiettivi pubblici perseguiti dall’ente locale.
Evidentemente, anche per il legislatore nazionale, come per quello comunitario, la
rilevanza economica sussiste pure quando, per superare le particolari difficoltà del
contesto territoriale di riferimento e garantire prestazioni di qualità anche ad una
platea di utenti in qualche modo svantaggiati, non sia sufficiente l’automaticità del
mercato, ma sia necessario un pubblico intervento o finanziamento compensativo
degli obblighi di servizio pubblico posti a carico del gestore, sempre che sia
concretamente possibile creare un «mercato a monte», e cioè un mercato «in cui le
imprese contrattano con le autorità pubbliche la fornitura di questi servizi» agli
utenti (cosí – si è visto al punto 6.1. – si esprime la Commissione europea nel citato
Libro verde al punto 44)”.
e che
“Dall’evidenziata portata oggettiva delle nozioni in esame e dalla indicata
sufficienza di un mercato solo potenziale consegue l’erroneità delle interpretazioni
volte a dare alle medesime nozioni un carattere meramente soggettivo e, in
particolare, di quell’interpretazione – fatta propria da alcune ricorrenti – secondo
cui si avrebbe rilevanza economica solo alla duplice condizione che un mercato del
servizio sussista effettivamente e che l’ente locale decida a sua discrezione di
finanziare il servizio con gli utili ricavati dall’esercizio di impresa in quel mercato”.
29 del 2010; n. 246 del 2009). Nella citata sentenza n. 246 del 2009 è stato ulteriormente precisato
che la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso,
disciplinate dall’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, sono da ricondurre alla materia della tutela della
concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, trattandosi di regole «dirette ad assicurare
la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo
conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza,
l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima». In conclusione, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica − ivi compreso il servizio idrico – ineriscono essenzialmente
alla materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.”.
105
La reazione della collettività alla riforma è stata decisa ed ha condotto alla
abrogazione in sede di referendum, dell’articolo 23 bis e del sistema da esso
delineato. Più precisamente, i quesiti oggetto della raccolta firme erano tre148:
1. abrogazione dell’art. 23 bis (12 commi) della l. n. 133 del 2008 relativo alla
privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, così come modificato
dall’art. 15 della legge di conversione n. 166 del 2009;
2. abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice
dell’ambiente), relativo alla scelta della forma di gestione e procedure di
affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato;
3. abrogazione dell’art. 154 del d. lgs. n. 152 del 2006, limitatamente a quella
parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio
idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del
capitale investito.
Dal punto di vista normativo, all’abrogazione totale dell’art.23-bis contenuto nel
c.d. decreto Ronchi, come esplicitato nella sentenza della Corte Costituzionale
sull’ammissibilità dei quesiti (sent. n.24/2011), non è conseguita la «reviviscenza
delle norme abrogate da tale articolo». Questo significa che non si possono più
riproporre almeno per l’immediato futuro norme identiche a quelle contenute nel
148
Primo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza
economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria” convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come
modificato dall’art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante “Disposizioni per lo
sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art. 15 del
decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi
comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europee”
convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166?»
Secondo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e
procedure di affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia
ambientale”, come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio
2008
Terzo quesito: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico
integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”,
limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?»
106
testo abrogato dal referendum. Alla cancellazione della norma in questione,
inoltre, sempre secondo quanto dichiarato il 12 gennaio scorso dalla Consulta,
segue «l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa
comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad
evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza
economica».149 La normativa comunitaria, quindi, è da ritenersi applicata finché il
Parlamento non legifererà nuovamente in materia con una legge che tenga conto
sia del risultato referendario sia delle disposizioni europee. E’ bene però
precisare come l’applicazione dei principi comunitari implichi in Italia la vigenza
di un regime sostanzialmente analogo a quello delineato dalle norme abrogate
dall’articolo 23 bis nonostante tali norme non rivivano formalmente. E quindi
l’alternativa tra affidamento in gara, a società mista con socio scelto in gara, in
house providing. L’excursus svolto sull’evoluzione delle forme gestorie del
servizio idrico italiano, dalle origini al referendum del giugno 2011, evidenzia
come il tema della gestione risulta essere da sempre punto di convergenza di
molteplici interessi, in quanto strumento per mezzo del quale, da un lato, la
pubblicità delle acque e la funzione ad essa connessa possono assumere una
valenza concreta in termini di sostenibilità idrica, intesa globalmente nelle sue tre
accezioni - sociale, economico ed ambientale - oppure, al contrario, le stesse
possono essere vanificate da un tipo di organizzazione del servizio che
funzionalmente non risponde allo scopo di garantire un uso dell’acqua
compatibile con criteri di equità sociale e salvaguardia della risorsa. Muovendo
perciò da tale premessa occorre ora interrogarci se e come, il servizio idrico,
come servizio pubblico, soddisfi o, in prospettiva, possa soddisfare, i bisogni e
l’utile della collettività e condurre al miglioramento dei rapporti sociali, intesi
nell’accezione di ambiti di azione dello Stato preordinati al vantaggio dei cittadini
tutti. E questo sempre seguendo l’intento originario del presente lavoro, che si
ricorda di nuovo essere quello di verificare i limiti che il sistema attuale di “diritto
delle acque” italiano incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di cercare
soluzioni
al
di
fuori
delle
tradizionali
categorie
giuridiche
della
proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato.
149
Per un approfondimento sul tema del servizio pubblico europeo vedi Scotti E., Il pubblico
servizio, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003
107
3. Il “valore” della risorsa acqua nel servizio idrico
Ai fini della nostra analisi sul ruolo e i limiti del servizio idrico come filtro di
“valore” della risorsa acqua verso la collettività dei consociati, riteniamo
fondamentale dapprima fare una premessa sul procedimento e la logica attraverso
cui una res assume rilievo giuridico e come il significato che ad essa
l’ordinamento attribuisce si concretizzi. Muoviamo dunque dall’oggetto del
riconoscimento che a noi interessa: un diritto che dà rilevanza giuridica alla
situazione relativa ad una cosa assurta a livello di “bene”. La scienza economica
insegna che la metamorfosi delle cose in beni discende dalla loro idoneità a
produrre utilità che corrispondono ad interessi umani.150 I beni perciò “si
distribuiscono secondo i bisogni”.151 Il diritto ha dato rilevanza all’attitudine delle
cose a soddisfare taluni specifici bisogni umani.
152La
utilizzo e di tale determinazione il diritto si interessa.
cosa determina il suo
153
E da ciò deriva il
significato di funzione della cosa come attitudine riconosciuta dall’ordinamento ed
idonea ad orientare i modi di godimento.154 Per il diritto le cose assumono
rilevanza se si conformano ad un tipo normativo che ne fissa il significato
giuridico. Di qui il concetto di beni quali ”cose che possono formare oggetto di
diritto” (art. 810 cod. civ.). Le cose che possono formare oggetto di diritto sono
state considerate quelle che per una loro limitazione in natura e per la possibilità
150
Gambino A.M., Beni extra mercato, Giuffrè, 2004
151
Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933
152
Si distinguono tradizionalmente più significati giuridici del termine “cosa”. Res - bona e causae
- Res: cose presenti in natura, oggetto della signoria dell’individuo; bona: entità idonee a
rappresentare un dato valore aziendale; causae: le utilità connesse al corpus (res).
Besta E., I diritti sulle cose, Padova, 1933
Manca invece nelle definizioni dei classici (età romana classica) un richiamo al profilo
teleologico; traccia del profilo funzionale della cosa si ha invece nella definizione di singole classi
e categorie di cose.
Astuti G., Cosa in senso giuridico. Diritto romano e intermedio, in Enc. dir., XI, Milano, 1962.
153
Gambino A.M., Teoria dei beni extra mercato, op.cit.
154
Bretone M., I fondamenti di diritto romano. Le cose e la natura, Roma-Bari, 1998
108
di essere possedute in parte hanno un valore economico. Si è tradizionalmente
escluso che fossero “beni” le res communis omnium, entità caratterizzate da
presenza abbondante, disponibilità illimitata e fruibilità libera. Cose che “per
natura” non possono essere sottratte a nessuno, come l’aria, l’acqua fluente e il
sole. Entità che offrono utilità e che sono indispensabili per la vita dell’uomo e, in
origine, per la loro sovrabbondante disponibilità in natura, non avevano un valor
economico di scambio. Beni “aperti iure naturali all’uso comune di tutti”.155
La scarsità è venuta in evidenza con l’evoluzione della società industriale. E si è
posta l’esigenza di porre delle regole a garanzia delle migliore allocazione del
bene e le cose rientranti tra le res communis omnium sono state classificate dal
diritto con l’espressione “beni pubblici”.
156
Ne è conseguito che all’espressione
res communis omnium sia stato assegnato il significato di categoria comprensiva
di quelle risorse sulle quali lo Stato esercita la sovranità, in antitesi con il
concetto di bene pubblico, come bene giuridico sul quale lo stato esercita poteri
di controllo e di gestione.157 L’attuale sistema normativo italiano si incardina
sugli artt. 822 ss. cod.civ.: le acque fanno parte del demanio pubblico a causa
dell’incipiente interesse sociale atto a giustificare la dichiarazione di demanialità.
Demaniale è l’acqua fluente - bene immobile da considerarsi nella sua massa
perenne, mentre diviene acqua privata, circoscritta e definita in canali o serbatoi
il bene mobile acqua derivata.
158
La possibilità teorica di una natura privata
discende dalla funzione giuridica dell’acqua fluente, bene destinato all’uso
pubblico, che consente al privato l’uso personale e individuale rispetto a quelle
modeste entità appropriabili direttamente per occupazione: appropriazioni
irrilevanti per lo ius publicum in quanto non menomano la massa d’acqua fluente
che rende permanente la sua utilità.
Allo ius publicum interessa la conservazione complessiva del bene: è la logica
delle res extra commercium. La natura di bene pubblico destinato all’uso generale
155
Astuti, op. cit.
156
vedi sul punto Costantino - I beni in generale, in Tratt. di diritto privato diretto da Rescigno P.,
VII, Torino, 1982, 13; Messinetti - Oggetto dei diritti, Enc. del dir., XXIX, Milano, 1979; Pugliatti S.,
Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962
157
Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963
158
così Pugliatti e Biondi, op. cit.
109
consente la fruizione dell’utilità che da tale bene deriva, che si materializza
nell’acqua derivata che, pur costituita dalla stessa materia del bene pubblico, non
ne rappresenta però una pars. 159
La cosa necessita della predisposizione di un apparato strumentale che consente
di dotare la materia grezza di un quid che la renderà utile per la fruizione. Nella
fase della distribuzione della risorsa, perché si producano utilità in grado di
soddisfare il bisogno del consociato, è necessaria la mediazione di una attività
organizzativa che consenta l’accessibilità diffusa del bene, predisposta da un
operatore, nei limiti apprezzabili di utilità. La scarsità delle risorse e la non
economicità della produzione hanno storicamente comportato che lo Stato si sia
reso monopolista erogatore per garantire una destinazione generale alla
fruizione. La riserva della predisposizione di un apparato organizzativo è
imposta dalla missione primaria volta all’approvvigionamento diffuso della
collettività, che si renderebbe precario ove lasciato al gioco del libero mercato.
Per lungo tempo si è così realizzata una stretta connessione tra il sistema di
cautele, legato al compito generale dello Stato di soddisfare bisogni della
collettività, con le ragioni di un effettivo assolvimento alle esigenze dell’utenza
estraneo ad eventuali intenti lucrativi, che avrebbero potuto sacrificare le fasce
sociali economicamente più deboli e le collettività dislocate in zone disagiate o
economicamente non remunerative.160
Il servizio pubblico si sviluppa dunque in tale dimensione come “un’area rivolta
agli interessi di tutta la collettività...; un’area nella quale il principio dominante è
quello di legalità e funzionalità”. 161
Il servizio pubblico rappresenta dunque” il complesso degli scopi sociali che gli
enti amministrativi debbono proporsi e costituisce il fine ultimo dell’intera attività
amministrativa, che si appalesa in ogni ramo di essa”162. E ancora sul punto
“Pubblico servizio in senso lato e suriettivo è il soddisfacimento di bisogni collettivi
159
Gambino A.M., Beni extra mercato, Giuffrè, 2004
160
Gambino A.M., op.cit.
161
Scotti E., op. cit.
162
Romano S., Principi di diritto amministrativo, Milano, 1919
110
mediante esplicazione dell’attività dello Stato”163 laddove “l’idea del pubblico
servizio non precede, ma segue quella della pubblica amministrazione”164.
Sul piano storico ciò significa che l’esigenza di una sua compiuta nozione
giuridica è stata avvertita allorché lo Stato moderno si è assunto su larga scala il
compito di intervenire nei rapporti sociali volgendo le proprie energie a
favorirne il miglioramento.
165
In tale svolta - che sul piano istituzionale ha
segnato il passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale - alle tradizionali
attività svolte dai pubblici poteri per adempiere a funzioni essenzialmente
conservative, si sono affiancati, com’è noto, nuovi ambiti di azione di tipo
prevalentemente non autoritativo, preordinati all’utile dei singoli membri della
collettività166.
Il pubblico servizio è dunque il fine ultimo dell’intera attività amministrativa che
consiste nel soddisfacimento di bisogni collettivi mediante esplicazione dell’attività
dello Stato. Esso rappresenta lo strumento attraverso il quale la res informe
assume concretezza nell’ordinamento e si dota di un corollario di cautele che ne
declinano il valore che lo stesso ordinamento vi ha connesso.
4. Naturale idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni primari
Il servizio pubblico si connota innanzitutto come attività il cui svolgimento è
vincolato da una doverosità funzionale.167 E un gestore che abbia parimenti
carattere pubblico, è quello che potrebbe al meglio assicurare l’adempimento dei
relativi obblighi: quasi una simmetria. Un riflesso sul piano soggettivo
dell’organizzazione, secondo una impostazione in cui ”la titolarità viene ora (rispetto alle dottrine precedenti) - considerata non più il fattore che determina la
163
Cammeo F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.
164
Orlando V.E., Introduzione al Primo trattato di diritto amministrativo, Milano, I, 1901
165
Scotti E., op.cit.
166
Scotti E., op.cit.
167
Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994
111
pubblicità obiettiva dell’istituto ma, secondo un processo inverso più vicino alla
teoria francese del servic public, il suo necessario risvolto soggettivo”.168
E l’attribuzione ad un gestore pubblico dell’esercizio di un servizio pubblico fa
diventare suo fine istituzionale, sia pure soltanto per quanto attiene alla gestione,
la soddisfazione dell’interesse collettivo per il quale esso è stato istituito:
“…per il quale l’offerta ai potenziali utenti è stata disciplinata come doverosa da
parte dell’ordinamento generale; e lo fa diventare suo fine istituzionale, non solo per
quel che attiene alla sua attività: anche già per quel che riguarda la sua stessa
soggettività”.169
Nei limiti in cui non si cada in errore derivante dalla confusione tra istituiti diversi
- chiarendo dunque dapprima i limiti dell’istituto cui ci si appresta a riferirsi parrebbe utile richiamarsi - al fine di meglio delineare i confini della dicotomia
pubblico-privato nella gestione del servizio idrico - al paragone “secondo il quale
la gestione di un servizio pubblico in concessione ad un soggetto privato, sia un
mero succedaneo di una sua gestione da parte di un soggetto pubblico.” (Romano
A.) Infatti gestore pubblico e gestore privato di un servizio pubblico agiscono con
la medesima strumentalità rispetto all’amministrazione che del servizio è titolare.
E come analoghi portatori di interessi diversi da quelli in questa soggettivati. E la
concessione di un servizio pubblico ad un concessionario pur imprenditore
privato opera una sovrapposizione alla sua soggettività, appunto privata, di una
qualità intrinsecamente pubblica. In modo che il soggetto, sebbene privato, che
esplichi un servizio pubblico, in forza di questa concessione viene ad assumere un
ruolo oggettivamente pubblico.
L’attuale tendenza a prediligere una gestione affidata in concessione a soggetti
privati tendenza muove dalla considerazione delle degenerazioni cui la soluzione
pubblicistica ha dato luogo, dall’assunto della superiore efficacia dell’azione
condizionata dalle regole di mercato rispetto a quella disciplinata dalle norme
giuridiche, ritenuto troppo facilmente trasgredibili, fino alla tesi della maggiore
168
Scotti E., op.cit.
169
Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994
112
razionalità ed efficienza economica in termini soprattutto di abbattimento dei
costi di una gestione privatistica. (Romano A.)
Tuttavia deve sottolinearsi - con il Maestro Alberto Romano - come proprio “la
gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalti il
contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente pubblico, che di
tale servizio è il titolare”.170
Il gestore privato generalmente è un normale imprenditore che opera secondo le
regole del mercato. Ma opera se e fino a quando l’attività che svolge gli procura del
profitto. Ciò corrisponde a dire che esso, di per sé, offrirebbe le prestazioni in cui
si esplica il servizio, soltanto in quanto, in base alle regole di mercato, tale offerta
gli fosse economicamente conveniente. Ma proprio la natura doverosa di tali
prestazioni non può esimere il privato dal rispettare il programma di servizio cui
si vincola nel momento in cui accetta la concessione della gestione:
conseguentemente il soggetto necessariamente pubblico deve intervenire al fine
di riequilibrare il bilancio dell’imprenditore concessionario che nel programma di
servizio incontra una forzatura nella gestione, un irrigidimento nella sua libertà di
impresa.
171
E’ pur vero, però che, nonostante una siffatta limitazione
dell’autonomia del privato, il titolare del servizio pubblico, all’atto nel quale gliene
concede l’esercizio, e per il solo fatto che glielo concede, gli mette a disposizione
un mercato, una clientela172, e per tale motivo, sebbene doverosa, la gestione del
servizio diventa per ciò più appetibile, unitamente alla possibilità di acquisire
ulteriori utilità, quali ad esempio la concessione dell’uso di beni pubblici, che si
traducono per lui in un vantaggio economicamente apprezzabile. Senza
considerare infine come sarebbe irrealistico non riconoscere che anche il
concessionario, nella concretezza delle esperienze pratiche, finisce col giocare
spesso un ruolo rilevante nella determinazione del programma di servizio.
In una simile prospettiva lungi dall’essere il privato un soggetto virtuoso
naturalmente e funzionalmente predisposto ad assicurare l’efficacia gestionale di
170
Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994, p.460
171
sul punto vedi Chirulli P., Autonomia pubblica e diritto privato nell'amministrazione. Dalla
specialità del soggetto alla rilevanza della funzione,CEDAM, 2005
172
Cavallo Perin R., Riflessioni sull’oggetto e sugli effetti giuridici della concessione di servizio
pubblico, Riv. dir. amm., 1994, 111
113
una qualsiasi attività: il fine del privato è e resta in ogni caso il perseguimento di
utili in mercati economicamente appetibili e, nonostante possa trovarsi ad
operare in contesti “vincolati”, non per questo si determina necessariamente una
riduzione dell’appetibilità del settore, ciò che trova una perfetta rispondenza anche
in materia di servizio idrico.
“Se dunque la funzionalizzazione dell’attività è intrinseca pure nell’attività di
soggetti pubblici che sia organizzata e prestata imprenditorialmente, una
conclusione si impone: si deve affermare che quel che è intrinsecamente
funzionalizzato e perciò ulteriormente normato, non è l’autonomia pubblica in
contrapposizione a quella privata: è l’autonomia dei soggetti pubblici pure nei
suoi profili di diritto comune. E questa prospettiva di una completa
funzionalizzazione dell’attività dei soggetti pubblici, di quella che si estrinseca in
negozi di diritto privato non meno di quella che si esplica in provvedimenti,viene
a convergere con un’altra, ancora più radicale: con quella secondo la quale è la
stessa loro personalità, è la stessa loro soggettività giuridica che ha carattere solo
funzionale. Nel senso che essi sono venuti ad esistere solo per l’assolvimento di
funzioni di interesse collettivo: esistono solo in quanto devono assolverle.” 173
“Si può anzi dire che tale ente - ente pubblico - in tanto esiste in quanto esercita
una pubblica funzione, la quale è a considerarsi come la causa, il fondamento della
sua stessa personalità”. 174
Anzi, da questo altro punto di vista, la funzionalizzazione della loro attività non
sarebbe altro che una mera conseguenza della funzionalizzazione già della loro
soggettività. E’ in questo quadro concettuale che sembra essere considerata la
gestione di un servizio pubblico che sia soggettivamente del pari pubblica.
Il
tratto
essenziale
del
servizio
pubblico
risiede
nella
sua
oggettiva
funzionalizzazione ad esigenze generali ritenute dall’ordinamento di necessaria
soddisfazione e per questo soggettivizzate in un ente pubblico, garante,
responsabile quindi titolare del servizio.175
D’altronde, in tema di bisogni primari e dei singoli individui e della collettività,
173
Romano A., op. cit.
174
Romano S., Il Comune, nel Trattato Orlando, 1934
175
. Scotti, op.cit.
114
“La forma fortemente e tradizionalmente pubblicistica della loro gestione pare
corrispondere soprattutto alla convinzione per lungo tempo condivisa, e che
neppure oggi si crede possa essere abbandonata, che è essa quella più coerente con
tale vincolo funzionale176”.
Ciò che distingue i pubblici servizi dalle prestazioni fornite come normali attività
economiche, è dunque la loro “doverosità”177: la doverosità è il fattore che
differenzia il servizio pubblico, il vero servizio pubblico, da un’attività anche
oggettivamente analoga.
“E se questa doverosità è così essenziale per l’istituto, diventa altrettanto
indispensabile che ci sia un soggetto che la garantisca. E questo soggetto non può
essere che pubblico”178.
Alla base dell’istituzione di un servizio pubblico deve individuarsi una valutazione:
la valutazione che tale attività debba essere posta a disposizione dei cittadini e che
debba essere svolta con vincolo di continuità, costanza di dati quantitativi e
qualitativi, ecc., che il mercato, di per sé, non può assicurare.
La gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalta
invece il contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente
pubblico, che di tale servizio è il titolare. Tale contrasto, pur esistendo anche
nell’ipotesi in cui il gestore sia soggettivamente pubblico, è qui addirittura
radicalizzato: perché gli interessi contrapposti qui sono addirittura eterogenei. Lo
sono, come riflesso di una eterogeneità che investe la natura medesima dei
soggetti cui si riferiscono. 179 Si è detto che il gestore privato tendenzialmente è un
normale imprenditore. Esso opera secondo le regole del mercato, se e finché e nei
limiti dei quali questa sua attività gli procura profitto. “Ma l’inquadramento di tali
prestazioni nella gestione di un servizio pubblico, l’impressione ad esse del
176
Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994, p.460
177
Per un ordine di idee simili, v. Marino, Servizi pubblici e Cavallo Perin R., Comuni e province, cit.
178
Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, op. cit.
179
Trimarchi, Profili organizzativi della concessione di pubblici servizi, 1967
115
marchio della loro”doverosità” che questa comporta, sbocca ad un risultato che è
perfettamente antitetico: alla negazione che il concessionario di tale gestione
possa essere lasciato libero di agire secondo i soli criteri di convenienza
economica. O più esattamente: è in base a tali criteri che esso sceglierà se
chiedere, o accettare, che la gestione medesima gli sia concessa. Ma una volta che
glielo è stata, esso è vincolato alla sua esplicazione: così come i suoi elementi
quantitativi e qualitativi sono stati prefissati nel “programma” di servizio. “180
Sviluppi naturali della “doverosità” della gestione dei servizi pubblici sono costituiti
dall’impossibilità, almeno tendenziale, che i costi siano coperti dai ricavi: una
“antieconomicità” oggettiva, derivante dalla scelta politica di considerare come
necessaria l’offerta al pubblico di una data prestazione. L’esigenza cioè che tutti i
potenziali beneficiari di un dato servizio ne possano usufruire, anche
indipendentemente dalle loro possibilità economiche, può tradursi anche in una
riduzione delle tariffe corrispondenti. E ciò deriva dalla “essenzialità” del servizio
stesso:
“…è evidente come la carenza di mezzi finanziari merita di essere ben diversamente
considerata come ostacolo più giustificato o meno giustificato alla fruibilità delle
prestazioni, secondo che si tratti, poniamo, dei servizi di telecomunicazioni o del
servizio sanitario nazionale”181.
In tale contesto assume dunque un ruolo fondamentale il concetto di “programma”
del servizio182: il programma in cui si definiscono le caratteristiche del servizio,
quali dati qualitativi e quantitativi delle prestazioni nelle quali si risolve, i loro
ritmi, e così via. E di nuovo, intuitivamente, “solo un soggetto che sia parimenti
pubblico”183 è legittimato a formularlo. E a tale soggetto dovrebbero spettare,
almeno tendenzialmente, altri poteri ancora: quelli di revoca delle scelte gestionali
qualora esse si rivelino essere non più ottimali per il perseguimento degli
180
Romano A., op. cit.
181
Romano A., Profili..,op.cit.
182
Cavallo Perin R., Comuni e province, op. cit., pagg. 74 ss., 84 ss.
183
Romano A., Profili..,op.cit.
116
interessi pubblici che il servizio deve garantire; quelli di controllo sull’operato del
gestore; quelli eventualmente sanzionatori nei suoi confronti, etc.
La riforma attuata in Italia con la legge 166/09 in siffatto contesto e in una
prospettiva di comparazione, era decisamente in controtendenza rispetto a
quanto stava avvenendo all’epoca a livello europeo in cui l’orientamento sempre
più diffuso era (ed è) quello di una gestione pubblica dell’acqua e di un ritorno alla
stessa laddove si è sperimentata quella dei privati. E ciò nonostante i richiami
comunitari all’apertura del mercato. Ad esempio il parlamento tedesco ha
approvato una risoluzione che respinge la liberalizzazione del servizio idrico per
motivi ambientali, sanitari e di efficienza; in Spagna la gestione dell’adduzione è
affidata alle regioni e la distribuzione è comunale; a Parigi, il consiglio comunale ha
deciso di rimunicipalizzare il servizio idrico una volta scadute le concessioni in
mano ai privati da 25 anni; in Belgio, il servizio idrico è gestito dalla pubblica
Vivaqua; in Svizzera, la Costituzione prevede esplicitamente che la gestione
dell’acqua rimanga di esclusiva competenza pubblica184. E di fatto il
riallineamento dell’Italia nei termini di una tendenza europea che privilegia una
gestione pubblica dell’acqua e/o di un ritorno alla stessa è avvenuto come esito
del referendum popolare del giugno 2011, che ha abrogato la legge 166/09.
Tale scelta sembra peraltro coerente con l’importanza del bene acqua e con il ruolo
del gestore pubblico evidenziato da una parte della dottrina.
“L’ente pubblico gestore di un servizio pubblico (per competenza propria) opera
imprenditorialmente non solo come qualsiasi altro imprenditore pubblico: non
solo per assicurare una presenza pubblica sul mercato; ossia per influenzarlo
genericamente, sia pure per scopi pubblici, di politica economica, industriale, e
così via: come lo potrebbe influenzare per scopi viceversa egoistici qualsiasi
imprenditore privato. Ma per esplicare al meglio il servizio pubblico che gli
pertiene di esercitare”.
185
E le conseguenze di ciò sono di notevole rilievo, nel
senso che “l’attribuzione ad un siffatto gestore pubblico dell’esercizio di un
servizio pubblico, fa diventare suo fine istituzionale, sia pure solo per quel che
attiene alla gestione e non anche alla titolarità di tale servizio, la soddisfazione
184
Depedis R., op.cit.
185
Romano A., op. cit.
117
dell’interesse collettivo per il quale esso è stato istituito”. 186
La naturale idoneità funzionale del gestore pubblico rispetto ad un soggetto
privato deriva dal dato significativo che “gli obblighi inerenti alla prestazione del
servizio, anche se solo inerenti alla prestazione del servizio, se il gestore è
pubblico, si fanno suoi doveri istituzionali.” (Romano A.)
La funzione istituzionale del soggetto pubblico viene ad essere assolta da esso
attraverso la soddisfazione degli interessi dell’utenza, mediante la prestazione
dell’attività a ciò necessaria. E di conseguenza anche gli stessi provvedimenti e i
negozi di diritto privato di un gestore pubblico siffatto, sono soggetti alla norme,
se non alle disposizioni giuridiche funzionali che nell’adozione di essi deve
osservare qualsiasi pubblica amministrazione.
Parte II Il profilo teorico
Capitolo quarto
Le criticità del sistema di “beni comuni”
1. Premessa
186
Romano A., op. cit.
118
Un implicito riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in
Italia può dirsi avvenuto con l’affermazione della pubblicità di tutte le acque. Un
riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle
caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto rappresenta tuttavia una
mera enunciazione di principio priva di reale incisività. E il mezzo di cui
l’ordinamento si è servito per veicolare il diritto direttamente alla collettività - al
fianco della proprietà pubblica del’acqua - è il servizio idrico come servizio
pubblico.
E la forma gestionale che si è rivelata funzionalmente idonea al
perseguimento ed alla soddisfazione degli interessi della collettività è emersa
essere quella attuata a mezzo di soggetti altrettanto pubblici. Nella dicotomia tra
pubblico e privato essi infatti in tanto esistono in quanto esercitano una pubblica
funzione, “la quale è a considerarsi come la causa, il fondamento della sua stessa
personalità”. (Romano A.)
E’ la stessa loro personalità, è la stessa loro soggettività giuridica che ha
carattere solo funzionale. Essi sono cioè venuti ad esistere solo per
l’assolvimento di funzioni di interesse collettivo: “esistono solo in quanto devono
assolverle.”
La gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalta
invece il contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente
pubblico, che di tale servizio è il titolare. Tale contrasto, pur esistendo anche
nell’ipotesi in cui il gestore sia soggettivamente pubblico, è qui addirittura
radicalizzato: perché gli interessi contrapposti qui sono addirittura eterogenei.
Delineata ora la cornice istituzionale in cui si colloca in Italia la tutela e
l’amministrazione di quello che abbiamo per comodità definito “diritto
all’acqua”, torniamo dunque all’interrogativo alla base della nostra indagine.
Torniamo a cioè domandarci cosa cambi in un ordinamento attraverso
l’affermazione ufficiale che esista un diritto di accedere all’acqua. Torniamo a
chiederci perché e come rendere una “cosa” oggetto di una data situazione
giuridica può avere un rilievo autonomo a prescindere dalla sua effettività nella
realtà concreta dell’ordinamento giuridico. Per dare una risposta a tale
interrogativo e procedere oltre nell’analisi ricostruttiva dei confini di un “diritto
all’acqua” in cui il dato formale completi il quadro sostanziale realizzato da
119
proprietà e gestione pubbliche, ripercorriamo sinteticamente lo sviluppo lavoro
svolto fin qui.
1) INQUADRAMENTO GENERALE - Abbiamo innanzitutto esaminato la
situazione attuale: come cioè l'acqua si inquadra a livello internazionale,
comunitario e nazionale italiano. Come risultato dell’analisi sul piano formale
emerge il dato che non c’è stato mai a nessun livello il riconoscimento espresso
di un diritto all’acqua (tranne l’eccezione del Sud Africa) - mentre esistono molti
documenti che implicitamente prevedono il diritto - ma soltanto affermazioni di
principi e la definizione che emerge è quella di diritto di tutti di avere acqua in
quantità e qualità tali da assicurare la vita. Tutti: essere viventi umani e non
umani. Esso si declina poi in un altro diritto: diritto alla conservazione della
risorsa (in termini di quantità e qualità). E poi in un diritto di terzo livello: diritto
alla utilizzazione.
2) PROPRIETA’ PUBBLICA - Finora la finalità di conservazione è stata ottenuta
attraverso lo strumento della proprietà pubblica dell'acqua.
3) GESTIONE - In particolare in Italia anche la proprietà pubblica dell’acqua è
stata affiancata da una gestione (prevalentemente) di altrettanta matrice
pubblicistica. A questo punto compiamo un passo ulteriore: chiediamoci se tale
sistema di “diritto dell’acqua” in Italia sia esente da criticità. Che cosa ha
condotto ad una riforma radicale della modalità di gestione del servizio idrico
introdotta attraverso la legge 166/09? Che cosa ha poi mosso la collettività a
promuovere e successivamente votare un referendum popolare per mezzo del
quale sono state cancellate le disposizioni introdotte? Ci chiediamo cioè quali
sono i motivi oggettivi alla base da un lato, della decisione del legislatore di
cambiare il sistema di gestione prevalentemente pubblicistico vigente da anni in
Italia a favore una ampia apertura del settore idrico al mercato e ai soggetti
privati;
dall’altro indaghiamo il perché la società civile abbia manifestato
chiaramente e decisamente la propria volontà nel senso del mantenimento del
sistema previgente alla riforma.
I due “movimenti” di tendenza contrapposti - quello alla privatizzazione della
gestione del servizio idrico - e quello di conservazione della pubblicità
gestionale, sono indubbiamente indice di una situazione non esente da criticità.
Cioè, cosa spinge un Paese a dibattere e “scontrarsi” - con i mezzi istituzionali a
120
sua disposizione - su una tematica specifica? Perché soprattutto è stata avvertita
dal legislatore la necessità di riformare il settore? Quali sono dunque i limiti del
“sistema delle acque” in Italia sullo sfondo della costante dicotomica tra pubblico
e privato?
2. Le criticità del “sistema pubblico” della disciplina delle acque
assenza di controlli - sprechi di acqua
La risorsa idrica diventa sempre più scarsa. E le responsabilità della carenza
idrica in Italia sono riconducibili sia alla p.a. che alla collettività.
La prima responsabilità (p.a.) riguarda il malfunzionamento della rete idrica; la
seconda (collettività) gli sprechi.
L’Istat, che a dicembre 2009 ha pubblicato un Censimento delle risorse idriche a
uso civile relativo al 2008 in cui riferisce che dal 1999 al 2008 non è cambiato
nulla. La percentuale di acqua che va perduta rispetto a quella prelevata dalla
fonte e non erogata è rimasta uguale, il 39 per cento a livello nazionale. Con una
punta del 49 per cento nel Mezzogiorno, molto lontana dal target europeo del 25
per cento fissato per il 2013. Secondo lo studio non c’è risparmio di acqua e la
causa principale sta negli scarsi investimenti sulla rete. La dispersione di acqua
dal 1999 a oggi non è cambiata: sulla quota di acqua dispersa, circa due terzi
sono causati da perdite nelle condotte, alla mancanza di regolazione nel prelievo
al variare periodico delle necessità e a prelievi non autorizzati, soprattutto per
usi agricoli. La parte restante si deve alla necessità di garantire una continuità di
afflusso alle condutture e alle adduzioni di acqua all’ingrosso concesse a imprese
industriali, in genere alimentari. Infine, anche se sfugge alla statistica, va
considerato che la dispersione di acqua è generata anche da problemi di tipo
amministrativo:
mancate
fatturazioni,
allacci
abusivi,
insolvenza
nei
pagamenti187.
Gli sprechi e le inefficienze si concentrano maggiormente al Sud, nelle aree
cosiddette sottoutilizzate. Secondo il Coviri - Commissione di vigilanza sulle
risorse idriche - il rapporto tra investimenti effettivamente realizzati e
187
Depedis R., La riscossa del pubblico, dossier sull'acqua del settimanale Carta
121
investimenti programmati è nel Nord188 pari al 74,6 per cento, al Centro all’85,3
e al Sud al 23,6, con una media nazionale del 55,8189.
Quanto alle regioni del Sud l’Acquedotto Pugliese recentemente è stato
trasformato da spa ad azienda senza scopo di lucro190.
Incombe sulle Regioni, ex art. 146 Codice dell’ambiente191, l’obbligo di garantire
188
La Lombardia è al 21 per cento come perdite di acqua immessa nella rete e non erogata, il
Veneto al 22, l’Emilia al 24, mentre la Sardegna è al 46 per cento, Abruzzo e Molise al 44. E ancora
Firenze [22], Bologna [25]. E tra le città più piccole [tra 100 mila e 200 mila abitanti], Piacenza
[10 per cento], Vicenza [13], Bergamo [14], Trento [15], Bolzano [16], Brescia [18], Forlì [19] e
Rimini [21], che detiene anche il primato della capacità ed efficienza di depurazione delle acque
reflue.
189
Coviri stima che servano 60 miliardi in 30 anni, di cui 24,3 riguardano il Mezzogiorno
190
Il premio Manager dell’anno 2009 nel settore delle utility è andato all’amministratore unico
dell’Acquedotto Pugliese: Ivo Monteforte. È stato assegnato da 91 autorevoli esperti del settore e
motivato con «la politica d’interventi attuata», 600 milioni d’investimenti negli ultimi tre anni.
Tra i principali risultati conseguiti: la riduzione delle perdite, il risparmio di 40 milioni di metri
cubi d’acqua, la gestione più razionale grazie a innovativi sistemi di controllo in remoto dei flussi
idrici, oltre a un’efficace politica di risanamento finanziario ed economico; un forte impulso alla
semplificazione organizzativa e alla riqualificazione del personale.
191
articolo 146 Codice dell’Ambiente
1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni,
sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti(*), nel rispetto dei principi della
legislazione statale, adottano norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli
sprechi ed in particolare a:
a) migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso
destinate al fine di ridurre le perdite;
b) prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione
dell'acqua sia interni che esterni, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle
condotte di materiale metallico;
c) realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti
dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate per usi
compatibili;
d) promuovere l'informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico domestico e
nei settori industriale, terziario ed agricolo;
e) adottare sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e
dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;
f) installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori
122
il risparmio idrico, adottando norme e misure volte a razionalizzare i consumi e
eliminare gli sprechi ed in particolare a migliorare la manutenzione delle reti di
adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le
perdite. 192
In Italia oltre il 95% della popolazione è allacciata al servizio acquedotto. Solo
l’84,7% è allacciata al servizio fognatura, e il 70,4% dispone di un impianto di
depurazione193.
Inoltre negli ultimi decenni si assiste ad una serie di cicli alternati che vedono
periodi di intensa siccità seguiti a periodi di relative abbondanti piogge. Alcuni
tra gli studiosi parlano già di sconvolgimento del clima che, con i fenomeni noti
come “buco nell’ozono” degli emisferi del globo terrestre ed il cosiddetto “effetto
serra antropico” dovuto alle eccessive
emissione
di
idrocarburi (CO2),
condizionano i cicli naturali a cui si assiste in questi ultimi anni con pesanti ed a
volte tragiche ripercussioni sotto gli occhi di tutti. Inoltre, resta pur sempre
comunque valido il principio che in periodi di abbondanti piogge, una rete più
efficiente ed un sistema di captazione migliore favorisce e tutela contro periodi
di siccità sempre “dietro l’angolo”194.
differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;
g) realizzare nei nuovi insediamenti, quando economicamente e tecnicamente conveniente anche
in relazione ai recapiti finali, sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le
acque reflue e di prima pioggia;
h) individuare aree di ricarica delle falde ed adottare misure di protezione e gestione atte a
garantire un processo di ricarica quantitativamente e qualitativamente idoneo.
192
Giova ricordare che In Italia gli acquedotti sono demaniali, appartengono cioè al demanio e
sono inalienabili (art 133 del D. Lgs 152/06 e art 822 e 823 del Codice Civile). Reti e impianti idrici
in Italia non sono quindi vendibili, né privatizzabili. Gli impianti realizzati direttamente dai gestori
sono restituiti gratuitamente agli enti locali a fine concessione. Gli acquedotti, le fognature, gli
impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di
consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice
civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 143 Codice
dell’Ambiente - proprietà delle infrastrutture).
193
Vademecum ACQUA PUBBLICA, Confservizi Veneto
194
Scrocchia I.M., Bene pubblico locale e gestione del servizio idrico integrato Quaderno n. 8/2006,
Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Università di Foggia.
123
L’Istat a dicembre 2009 ha pubblicato un Censimento delle risorse idriche a uso
civile relativo al 2008, facendo riferimento alla platea di proprietari e gestori
attuali, in maggioranza pubblici, in cui riferisce che dal 1999 al 2008 non è
cambiato nulla. Secondo lo studio non c’è risparmio di acqua e la causa principale
sta negli scarsi investimenti sulla rete. Sono le Autorità d’Ambito, composte dai
Comuni nel Piano di Ambito, a decidere gli investimenti e attualmente gli
investimenti nel servizio idrico sono stimati in 60-70 miliardi di Euro in Italia nei
prossimi 30 anni. 195
Le alterazioni climatiche e i fenomeni di inquinamento rendono sempre più
difficile disporre di acque idonee al consumo umano. La rete deve essere estesa
alle nuove aree edificate. La dispersione di acqua dal 1999 a oggi non è cambiata:
sulla quota di acqua dispersa, circa due terzi si devono a perdite nelle condotte,
alla mancanza di regolazione nel prelievo al variare periodico delle necessità e a
prelievi non autorizzati, soprattutto per usi agricoli196. Quando si parla di
195
In Italia devono essere completati la rete fognaria e gli impianti di depurazione, per garantire
scarichi a norma in tutti i nuclei abitati entro il 2014, altrimenti si incorrerà in sanzioni
dell’Unione Europea. Deve essere potenziato e interconnesso il sistema degli attingimenti di
acqua, per garantire acqua a tutti sempre.
196
In tema di reti idriche vedi : ANGELETTI A., Privatizzazione ed Efficienza della Pubblica
Amministrazione alla luce del Diritto Comunitario, Atti del Convegno, Giuffrè, Milano, 1996;
ARCANGELI R., Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, II ed., Cedam, Padova,
2000; ARCHIBUGI A., PIZZETTI B., I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in
''L'Industria'', n. 2, 2001; BAGNETTI G., Il processo di Privatizzazione nell'attuale Contesto
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125
irrigazione, si deve distinguere la problematica relativa alla cosiddetta
irrigazione “pubblica” e cioè quella derivante dalle grandi infrastrutture gestite
normalmente dai Consorzi di bonifica, da quella della irrigazione “privata” e cioè
quella ottenuta attraverso emungimento da pozzi. Sono infatti problematiche
completamente differenti e rappresentano entrambe fenomeni molto consistenti.
Ad esempio in Puglia si calcola che su 262.000 ettari complessivamente irrigati,
83.000 sono irrigati con le grandi infrastrutture e ben 179.000 da pozzi. Per
quanto riguarda
l’irrigazione privata la situazione è in un certo senso più
delicata e complessa. In questo caso infatti si tratta di prelievi sotterranei
d’acqua che sfuggono ad un controllo certo e che avvengono in particolare in
zone ove manca l’irrigazione pubblica. Ciò comporta dunque spesso gravi
problemi di abbassamento della falda freatica, processi di salinizzazione nelle
zone costiere e fenomeni sempre più estesi di subsidenza. Poche Regioni allo
stato attuale hanno provveduto con raziocinio ed efficienza a stabilire le
procedure di semplificazione per la denuncia dei pozzi197.
La situazione degli acquedotti e delle fognature cambia da regione a regione: in
generale il Nord, con 2,4 chilometri di reti idriche per chilometro quadrato e 1,4
chilometri di fognature per chilometro quadrato, risulta meglio attrezzato
rispetto al Centro e al Sud, entrambi sotto la media nazionale (1,8 chilometri per
chilometro quadrato per gli acquedotti e 1 chilometro per chilometro quadrato
per le fognature).
Ma oltre alla copertura del territorio, c’è anche il problema degli sprechi.
Secondo le stime di Legambiente198 il 42% in media del volume d’acqua erogato
in Italia viene disperso: si tratta di 10.550 metri cubi al chilometro,
corrispondente a un valore medio di circa un terzo di litro al secondo per
chilometro, con punte minime nel Torinese in Piemonte 22%, fino a un massimo
dell'utenza idrica, in ''Riv. di dir. Agrario'', 1972; PASSATELLI M., Struttura della
regolamentazione economica in applicazione della legge 36/94, Paper n. 95/01, Roma, maggio
1995; QUADRO CURZIO A., FORTIS M., Le Liberalizzazioni e le Privatizzazioni dei Servizi Pubblici
Locali, Il Mulino, Bologna, 2000; RESCIGNO P., Trattato di diritto privato, vol. VII, Torino, 1982.
197
Stolfi N., Agricoltura e gestione sostenibile
delle risorse idriche, Relazione al Convegno
Nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori, Catanzaro, 10 luglio 2001
198
Dossier Legambiente 2007
126
del 73% nel Lazio Meridionale e in Abruzzo. Le regioni più virtuose, con perdite
inferiori al 30%, sono il Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Basilicata.
Le perdite più elevate, superiori al 50%, invece, si riscontrano nelle reti di
Abruzzo, Campania, Puglia e Calabria. Secondo i dati di Ecosistema urbano 2007
di Legambiente, a Cosenza va il primato dell’acqua persa con una percentuale del
70% rispetto a quella immessa in rete, seguita da Latina con il 66% e da
Campobasso con il 65%.Il 43% delle 88 città capoluogo in classifica perde più del
30% dell’acqua che immette in rete. Sono 13 le città che perdono più della metà
dell’acqua immessa in rete (8 del sud, 3 del centro e 2 del nord): Cosenza, Latina,
Campobasso, Pescara, Vibo Valentia, Rieti, Bari, Siracusa, Nuoro, Agrigento,
Sassari, Belluno e Gorizia. Le più virtuose di questa classifica sono Viterbo (con
perdite pari al 4%), Bergamo (5%) e Vercelli (6%). 199
Sempre secondo lo studio di Legambiente i buchi negli acquedotti e le condotte
fognarie che non funzionano costano circa 5 miliardi di euro l’anno. Circa la metà
delle tubature e un terzo delle attuali fognature presenti in Italia devono essere
sostituite entro i prossimi dieci anni. Le reti idriche e fognarie del nostro paese
presentano le maggiori carenze infrastrutturali rispetto ai principali Paesi
europei. Infatti, il tasso di perdita negli acquedotti italiani è di circa il 40% contro
il 10% circa della Germania ed il 15% della Gran Bretagna, nonostante la densità
per area geografica e pro-capite di quei paesi sia inferiore rispetto all’Italia. In
base alle stime di affidabilità di tenuta delle tubature, circa il 50% degli attuali
acquedotti, almeno 125.000 chilometri di rete idrica, e oltre il 30% delle attuali
fognature, corrispondente a 46.000 chilometri di rete fognaria, devono essere
sostituite entro il prossimo decennio, tanto più che sussiste una significativa
presenza di reti contenenti amianto.
La ricerca e l’innovazione nelle infrastrutture idriche costituirebbe una modalità
efficace per adeguare la rete nazionale agli standard europei. Le reti idriche e
fognarie rivestono peculiare importanza tra i sistemi a rete presenti in ambito
urbano, sia per la loro notevole estensione che per i molteplici problemi di
compatibilità ambientale e di integrazione con la realtà urbana. E’ quindi di
notevole interesse, a livello comunitario, il miglioramento delle condizioni
199
Dossier Legambiente 2007
127
operative e gestionali delle reti idriche e fognarie, che attualmente risultano in
Europa piuttosto variegate. Per quanto riguarda le reti di distribuzione, in
alcune aree geografiche sistemi ben funzionanti rappresentano ancora un
obiettivo da raggiungere, mentre altrove l’attenzione è focalizzata su di una
gestione efficiente delle reti. Peraltro anche nei Paesi più avanzati l’età delle
condotte è piuttosto elevata; di conseguenza, si sta verificando un’accelerazione
del ritmo di deterioramento delle stesse; rotture, perdite idriche e lamentele
riguardo alla qualità dell’acqua ed all’affidabilità del servizio sono in aumento200.
Considerazioni similari possono essere svolte per le reti di drenaggio urbano; in
molte realtà europee i sistemi di drenaggio urbano appaiono caratterizzati da
insufficiente capacità di trasporto, degrado dei componenti e difetti di
costruzione,
tali
da
provocare
cedimenti
strutturali,
allagamenti
ed
inquinamento dei corpi idrici ricettori.
In Europa, come dimostrato dal rapporto finale del progetto europeo COST C3
“Urban Water Management”201, la politica di riabilitazione delle reti è tuttora
prevalentemente basata su una azione di tipo reattivo: rari sono i piani di
riabilitazione a lungo termine, comunque usualmente fondati sulla definizione di
un tasso globale di intervento su tutta la rete, basato su criteri di scelta non
tecnici; inoltre la scelta della rete su cui intervenire nel breve periodo è spesso
dettata da criteri di opportunità o politici202.
200
A. Bizzarri, I. Di Federico, V. Di Federico, e S. Mazzacane, Affidabilità delle reti di distribuzione
idrica urbana, Franco Angeli Editore, Milano, 2000; V. Di Federico, C. Grelli, M. Schiatti, A.
Bizzarri, I. Di Federico, S. Mazzacane, e G. Bizzarri, Pipe break data analysis in Emilia-Romagna,
Italy: a first step towards effective management of water distribution networks. In RISK Analysis II,
Proceedings of Second International Conference on Computer Simulation in Risk Analysis and
Hazard Mitigation, WIT Press,Southampton, 2000.
201
European Commission: Directorate General for Research, Diagnosis of urban water supply and
wastewater infrastructure, Proceedings from COST C3 end of action workshop, Brussels, May
2000.
202
Di Federico V., Nuovi strumenti per la gestione e manutenzione integrata delle reti idriche e
fognarie: care w e care s, Università di Bologna
I progetti di ricerca CARE-W (Computer Aided Rehabilitation of Water Networks) e CARE-S,
(Computer Aided Rehabilitation of Sewer networks) entrambi finanziati dalla U.E. nell’ambito del
V Programma Quadro, hanno lo scopo di affrontare su scala europea il tema della gestione e
manutenzione ottimale rispettivamente delle reti idriche e di quelle di drenaggio urbano. In
128
L’attuazione di politiche di efficienza idrica passa necessariamente attraverso la
riabilitazione delle reti con interventi ed investimenti a lunga durata. In
economia si afferma che se le inefficienze della produzione pubblica sono troppo
elevate si può avviare una politica di privatizzazione, considerando i rischi che
questo approccio comporta. Sempre secondo un approccio di tipo economico, le
migliori possibilità per garantire il recupero di efficienza sono legate alla
possibilità di creare un ambiente maggiormente concorrenziale. E importante è
pertanto in tale ottica il concetto di mercato contendibile203. I mercati
contendibili provocano una concorrenza per il mercato in grado di realizzare
soluzioni ottimali, in presenza di determinate condizioni.
204
Tutti i casi delle
entrambi in progetti vengono esaminati i problemi connessi all’invecchiamento delle reti, tra cui
quelli inerenti ai cedimenti strutturali, con la codifica delle possibili cause e condizioni al
contorno, alle insufficienze ed alle perdite, alla qualità dell’acqua, ai costi di manutenzione ed agli
effetti sull’ambiente costruito. La filosofia di base è quella di fornire alle aziende di gestione un
insieme completo di strumenti finalizzati al miglioramento della gestione delle reti, integrati in
un sistema di supporto decisionale che consente di affrontare la gestione della rete con un
approccio di tipo preventivo, tale da riabilitare la condotta (o collettore) giusta, al momento
giusto ed utilizzando la tecnica più efficace, prima che si verifichi un disservizio, evitando disagi
all’utenza e consentendo l’adozione di piani di manutenzione programmata, con le conseguenti
ricadute positive di bilancio.Gli strumenti CARE-W e CARE-S sono stati sviluppati all’interno degli
omonimi progetti di ricerca finanziati dalla U.E. nell’ambito del V programma Quadro,
rispettivamente con i contratti EVK1-CT-2000-00053 ed EVK1-CT-2001- 00167; essi sono inoltre
membri del CityNet Cluster. Ulteriori informazioni sono disponibili presso i siti http://carew.unife.it e http://care-s.unife.it .
203
Baumol, Panzer, Willing, Contestable markets and the theory of market striature, New York,
Harcourt Brace Jovanovich, ed 1984.
204
Studio svolto da Scrocchia I.M.,Quaderno n. 8/2006, cit.
a) mancata esistenza di costi fissi non recuperabili, c.d. sunk cost. Tale condizione permette alle
nuove imprese di entrare e uscire dal mercato a costo zero. La minaccia di ingresso di nuove
imprese costringe quelle già esistenti ad adottare un comportamento efficiente, e a praticare un
prezzo pari al costo medio (soluzione di second best), poiché un prezzo superiore
determinerebbe un extra-profitto, e quindi la possibilità di ingresso nel mercato di imprese rivali.
b) Le imprese potenzialmente entranti dispongano della stessa tecnologia di quelle già operanti
nel mercato;
c) Le imprese esistenti non varino i prezzi in tempi inferiori a quelli necessari per le nuove
imprese per raggiungere una produzione a pieno regime;
129
public utilities sono caratterizzati dall’assenza di tali condizioni. Quindi nel caso
in cui la contendibilità non possa essere realizzata e la fornitura del servizio da
parte di un soggetto pubblico sia particolarmente inefficiente, si ritiene si
possano prendere in considerazione politiche per la concorrenza. Questo non
comporterebbe una riduzione del ruolo dell’operatore pubblico ma piuttosto una
sua
modifica,
con
l’attribuzione
di
nuovi
compiti
sul
piano
della
regolamentazione. 205
3. Conclusioni
4) CRITICITA’ - Il quadro di sintesi che emerge dall’excursus svolto denuncia
come ci sia un problema di fondo da cui il “sistema delle acque” italiano non è
esente: la risorsa idrica diventa sempre più scarsa. E le responsabilità della
carenza idrica in Italia sono riconducibili sia alla p.a. che alla collettività.
La prima responsabilità (p.a.) riguarda il malfunzionamento della rete idrica; la
seconda(collettività) gli sprechi.
Sotto il primo profilo - che chiameremo di natura economica - per risolvere il
problema si è tentata la via della gestione del servizio idrico aperta ai privati e/o
prevalentemente privata (art. 15 l. 166/09).
A ciò è seguita la reazione di opposizione della collettività (sfociata in un
referendum popolare abrogativo della legge sulla “privatizzazione” del servizio
idrico integrato). Tale opposizione è stata motivata dal timore dell’ aumento
delle tariffe idriche (in quanto il privato persegue per fine istituzionale il lucro) e
dalla paura delle conseguente privatizzazione della proprietà dell'acqua e del
diritto di accedere alla risorsa. Si è temuto che potesse accedere all'acqua solo
chi potesse permetterselo economicamente. Quindi il problema ha riguardato il
d) I consumatori abbiano la capacità e la disponibilità di variare immediatamente il proprio
fornitore.
205
Questo nuovo approccio si estrinseca nelle due forme della concorrenza per il mercato e della
concorrenza nel mercato. Nella concorrenza per il mercato le attività esercitate dallo stato sono
affidate ai privati, nelle forme e nei modi da questo stabiliti, mediante aste pubbliche
opportunamente organizzate.
130
mantenimento della possibilità di tutti di avere acqua. Addirittura si è detto che
l'acqua non dovrebbe essere pagata ma essere un costo a carico dello Stato.
Questo però non è più possibile a causa dell'attuale situazione del debito
pubblico italiano e dei tagli agli enti locali. Lo Stato non dispone di adeguate
risorse economiche e le reti necessitano di investimenti.
Veniamo ora alla seconda responsabilità enunciata: quella della collettività per
gli sprechi della risorsa. Sotto questo profilo - che definiremo di matrice sociale viene in questione il ruolo del profilo proprietario ed il connesso tema della
responsabilità “sociale”. Ci troviamo cioè in un sistema in cui tutti e nessuno
sono proprietari dell'acqua e la proprietà pubblica è stata funzionalizzata
all'accesso collettivo attraverso il servizio pubblico.
Si continua a riconoscere che la proprietà pubblica dell’acqua e la
contemporanea gestione pubblica del relativo servizio siano la formula che
finora meglio abbia realizzato gli interessi della collettività (in quanto il soggetto
pubblico è funzionalmente più idoneo a soddisfare interessi generali rispetto ad
un soggetto privato).
Non può però ignorarsi come la proprietà pubblica, intesa nell’accezione di
accesso generalizzato alla risorsa, abbia permesso a tutti, oltre che di avere
l'acqua - attraverso un servizio "sociale" - allo stesso tempo ha consentito però a
tutti di abusarne nell'uso e di ledere così il diritto globale di accesso alla risorsa.
Il limite della proprietà pubblica è costituito dunque dal fatto che essa lascia
spazio agli abusi della collettività così come la gestione pubblica lascia spazio agli
abusi degli amministratori.
4. La tragedia dei beni comuni
Si è anticipato in precedenza come il General Comment no. 15)
del 2002
ricostruisca le basi legali del diritto all’acqua (riconosciuto implicitamente) e ne
chiarisca il contenuto normativo. Tale contenuto comprende i concetti di
“availability” ovvero quantità sufficiente, “quality” ovvero qualità adeguata,
“affordability” ovvero accessibilità anche economica. Inoltre il documento
individua gli obblighi per l’attuazione da parte dei singoli Stati, generali e
specifici, in patria e a livello internazionale, indicandoli con i verbi “to respect, to
protect, to fulfil”, nel significato di rispettare e proteggere tale diritto, elencare
131
possibili violazioni e i possibili strumenti attuativi, legislativi, politici, tecnici,
scientifici. Allo Stato dunque sta il compito di assicurare che il diritto sia
effettivo, attraverso strumenti ad ampio raggio d’azione. La principale
argomentazione usata dagli economisti che giustificano l’intervento dello Stato
sul mercato a protezione delle risorse senza prezzo da un uso indiscriminato è
che non sia possibile concepire la proprietà individuale dell’aria o dell’acqua.
Numerosi orientamenti dottrinali206 hanno sottolineato infatti come non sia
sempre conveniente affidarsi al mercato per la protezione dell’ambiente. Altri
economisti207 affermano però che se nessuno si sente proprietario delle risorse,
nessuno avvertirà il bisogno della loro salvaguardia.
“Ogni nuova recinzione della proprietà comune implica la violazione della libertà
personale di qualcuno….Gli individui ancorati alla logica della proprietà comune
sono liberi solo di preparare la rovina universale. Una volta compresa la necessità
degli obblighi reciproci, essi divengono liberi di perseguire altri scopi. Penso che sia
stato Hegel a dire: «La libertà è il riconoscimento della necessità»”.208
Hardin, nel noto e altrettanto discusso trattato sui “Beni comuni”, si focalizza
innanzitutto su cosa si intenda per “bene” della collettività e su come debba
orientarsi la scelta di un amministratore pubblico finalizzata alla realizzazione
del “bene”.
“Vogliamo il bene massimo per ogni persona, ma cosa è “bene”? Per qualcuno
“bene” sono le aree selvagge, per qualcun altro sono gli impianti sciistici. Per
qualcuno sono le foci dei fiumi per nutrire anatre da cacciare, per qualcun altro
sono i terreni agricoli. Confrontare tra loro i beni, diciamo di solito, è impossibile
dal momento che i beni non sono commensurabili. E ciò che è incommensurabile
non è comparabile.
In teoria, ciò può corrispondere al vero; ma nella vita reale le cose
incommensurabili sono commensurabili. Tutto ciò che serve è un criterio di
giudizio e un sistema di misurazione. In natura, quel criterio è la sopravvivenza.Il
206
sul punto così Malagnino C.D. , L’ambiente come sistema giuridico complesso, Cedam, 2007
207
sul punto vedi Hardin G., The tragedy of the commons, (1959); S. von Hoernor, Science 137, 18
(1962); J. D. Roslansky, Genetics and the Future of Man (Appleton-Century-Crofts, New York,
1966), p. 177; C. Frankel, The Case for Modern Man (Harper, New York, 1955), p. 203.
208
Hardin G., The tragedy of the commons, (1959)
132
compromesso raggiunto dipende dall’assegnazione naturale di pesi diversi ai valori
delle variabili”.
Secondo Hardin, in assenza di reali ed efficaci restrizioni al consumo di una
risorsa, quali possono essere garantite unicamente da una chiara definizione dei
diritti di proprietà, essa sarà inevitabilmente sottoposta a sovrasfruttamento, dal
momento che: 1) i benefici dell'abuso della risorsa sono raccolti unicamente dal
fruitore individuale, mentre i costi sono dispersi fra tutti gli utilizzatori; 2) coloro
che volontariamente limitano il loro utilizzo delle risorse in un territorio comune
e aperto a tutti sopportano tutti i costi della conservazione ma non ne hanno
alcun vantaggio; 3) ciascun individuo ha un incentivo netto a prendersi quanto
più possibile di una risorsa, prima che altri se ne approprino. 209
“Non c’è bisogno che un’alternativa alla proprietà comune sia perfettamente giusta
o preferibile. L’alternativa che abbiamo scelto per i terreni e per altri beni
materiali è l’istituzione della proprietà privata abbinata alla successione legale.
Questo sistema è perfettamente giusto? [.…] Dobbiamo ammettere che il nostro
sistema legale è ingiusto riguardo alla proprietà privata e alla successione — ma
ce ne accontentiamo dal momento che non siamo convinti, attualmente, che
qualcuno abbia ancora inventato un sistema migliore. L’alternativa della proprietà
comune è troppo orribile per prenderla in considerazione. Un’ingiustizia è
preferibile alla completa rovina. Una delle particolarità del conflitto tra riforme e
status quo è quella di essere sconsideratamente governato da un doppio standard.
Ogni qualvolta viene proposta una misura di riforma, essa viene spesso sconfitta
non appena i suoi oppositori riescono trionfalmente a trovarvi una pecca. [.......] i
sostenitori dello status quo a volte lasciano intendere che non sia possibile alcuna
riforma senza un accordo unanime, un presupposto contrario ai fatti storici. Per
quel che ne capisco, il rifiuto automatico delle riforme proposte è basato su uno tra
due presupposti inconsci: (i) che lo status quo sia perfetto, oppure (ii) che ci si trova
di fronte alla scelta tra riforma o inazione; se la riforma proposta è imperfetta,
dovremmo presumibilmente non fare nulla nell’attesa della proposta perfetta”.
209
*Tratto da "Elefanti al guinzaglio", Leonardo Facco Editore
133
Dunque una scelta dello Stato che consenta di preservare una risorsa può non
essere popolare né perfetta da un punto di vista di “giustizia sociale”. Ma se si
considerano le variabile cui è soggetta la presenza di acqua - prima tra tutte la
variabile geografica, ma non meno l’aspetto culturale - vi è una naturale ed
originaria disuguaglianza dei popoli nell’avervi accesso. Laddove c’è una
maggiore disponibilità di acqua si sta già implicitamente consumando
un’ingiustizia rispetto alle collettività che ne dispongono in quantità scarsa. Così
come la non condivisione del progresso tecnico che consente di realizzare
infrastrutture di connessione alla rete idrica e sistemi di depurazione generano
automaticamente disparità. Imperfezione ed ingiustizia sono dunque le costanti
delle scelte dei governanti finalizzate a perseguire il “bene” della propria
collettività e non della collettività tutta, intesa in senso globale. Qual è perciò il
limite di misura che può definirsi accettabile in un ottica di responsabilità di un
pubblico amministratore nei confronti del “bene”?
Hardin parla di “riconoscimento della necessità”.
“Forse il sunto più semplice di questa analisi dei problemi di popolazione dell’uomo
è questo: la proprietà comune, se è giustificabile, è giustificabile solo in condizioni
di bassa densità di popolazione. Quando la popolazione umana è cresciuta, in un
modo o nell’altro si è dovuta abbandonare la pratica della proprietà comune”.
Le risorse sono limitate e finite. Ed il numero di compone la collettività in
continuo aumento.
“Ma, per i problemi pratici che dovremo affrontare nelle generazioni più prossime e
con la tecnologia prevedibile, è chiaro che daremo una forte spinta alla miseria
umana se, nell’immediato futuro, non partiamo dal presupposto che il mondo a
disposizione della popolazione umana della Terra è limitato. Lo “spazio” non
costituisce una via di fuga”.
Per Hardin «La libertà è il riconoscimento della necessità». La necessità di porsi
dei limiti come collettività. Una volta compresa la necessità degli obblighi
reciproci, i consociati allora divengono liberi di perseguire altri scopi.
La condivisione di risorse finite implica l’assunzione di una responsabilità
comune o, con le parole di Hardin, “coercizione reciproca concordata”.
134
“Se il termine “responsabilità” deve proprio essere usato, suggerisco che venga
usato nel senso che gli attribuisce Charles Frankel. «La responsabilità», dice questo
filosofo, «è il prodotto di un patto sociale definito».
nell’ordinamento italiano la legge Galli ha introdotto il criterio della solidarietà
(“l'acqua va gestita secondo criteri di solidarietà”) come variante dell'interesse
nazionale. “Laddove infatti non esiste più in Costituzione l'interesse nazionale, è
stato introdotto un surrogato, la variante etica, cioè la solidarietà, che però non
può essere sempre imposta, in quanto gli imperativi etici, a differenza degli
imperativi giuridici, non hanno strumenti di coazione, ma presuppongono la
condivisione e l'adesione spontanea”. 210
Torniamo ora pertanto alle due criticità individuate e che affliggono il sistema
delle acque italiano: l’esigenza di investire sulla rete idrica per ridurre/azzerare
le perdite e la limitazione degli sprechi ad opera della collettività.
Come coprire dunque gli investimenti di cui la rete necessita? Come ridurre gli
sprechi d’acqua? Come controllare i controllori?
Innanzitutto “limitando” l’ accesso generalizzato all’acqua: ponendo cioè,
seguendo Hardin, limiti definiti e necessari al diritto di tutti di accedere alla
risorsa. Il limite al diritto di tutti di usare la risorsa realizza paradossalmente in
concreto l’accesso generalizzato all’acqua. Un primo limite è costituito dalla
tariffa; un secondo dalla regolazione. Il sistema di tariffazione idrica e le esistenti
autorità di regolazione in materia di acqua saranno oggetto dell’analisi condotta
nella parte secondo del presente capitolo al fine di comprendere
se esse
realizzino in concreto le funzioni di garanzia della tutela e dell’uso delle risorse
idriche, salvaguardia della vivibilità dell’ambiente e delle aspettative e diritti
delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale, oltre alla
finalità di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di
assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio.
In secondo luogo, oltre l’imposizione necessaria di limitazioni all’accesso
generalizzato all’acqua, possibili soluzioni alle criticità del settore idrico italiano,
210
Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei
giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003
135
possono essere mutuate, in una prospettiva di comparazione, da un’esperienza
diversa - e notoriamente “virtuosa” - nella realizzazione e gestione del sistema
che concretizza l’accesso alle risorse idriche, qual è quella dell’Olanda, paese
storicamente associato alla gestione dell’acqua. Per sopravvivere, infatti, gli
olandesi hanno dovuto sviluppare un metodo altamente sofisticato per convivere
con essa. La prospettiva comparata con l’esperienza olandese ci consente di
verificare la fattibilità in termini di “esportazione” delle soluzioni attuate con
successo in Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le
criticità del sistema idrico italiano. Nel capitolo quinto del presente lavoro verrà
al tal fine esaminato il quadro normativo olandese in materia di acqua e servizio
idrico e le sue peculiarità. I profili che emergono come significativi e che
verranno approfonditi in quanto maggiormente utili ai fini della nostra indagine
riguardano, da un lato il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in
termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è
consolidato nel Paese; dall’altro il ruolo chiave dei “water boards”, autorità
idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma con caratteristiche
differenti ed infine il sistema di copertura dei costi che prevede anche
l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali. Da
una prospettiva di comparazione con l’esperienza olandese il contesto da cui si
ritiene utile e possibile trarre degli spunti di esportazione è costituito dunque dal
partenariato pubblico/privato sui generis, i water boards ed una tariffa idrica di
matrice ambientale.
Capitolo quinto
Limiti necessari alla proprietà pubblica dell’acqua
1. Premessa
Porre dei limiti necessitati alla proprietà pubblica dell’acqua rappresenta l’avvio
del processo di superamento dell’imperfezione della stessa.
Riconoscere il diritto all’acqua permette di compiere un passo ulteriore:
pervenire ad un equilibrio tra valore economico e gestione non economica della
stessa. Esso consente cioè di andare oltre rispetto all’attuale inquadramento
136
giuridico della risorsa idrica, rendendo possibile ed effettiva l’utilizzazione di
una forma proprietaria diversa ed adeguata alla particolare categoria di beni
costituita dalle risorse naturali. Soffermiamoci dunque dapprima sui limiti e, in
un secondo momento, sul riconoscimento espresso del diritto.
Muoviamo ora dal presupposto che il mondo a disposizione della popolazione
umana della Terra sia limitato e che, nello specifico, le risorse idriche siano
esauribili. Laddove esiste un bene indispensabile alla sopravvivenza di tutti,
l’accesso generalizzato ad esso deve essere necessariamente garantito da limiti.
Gli sprechi dell’acqua sono intesi in questa prospettiva come una conseguenza
della “recinzione della proprietà comune”, nel senso che la stessa implica la
violazione della libertà personale di qualcuno. La libertà di ciascuno può essere
garantita attraverso il riconoscimento della necessità. La necessità di porre dei
limiti all’uso dell’acqua. Limiti imposti o, preferibilmente, auto-imposti.
“Il solo tipo di coercizione che raccomando è la coercizione reciproca,
reciprocamente concordata dalla maggioranza delle persone che ne sono
toccate.Dire che concordiamo reciprocamente sulla coercizione non significa dire
che ci piace, né anche solo fingere che ci piaccia. A chi piacciono le tasse? Tutti ce
ne lamentiamo. Ma accettiamo le tasse obbligatorie perché riconosciamo che la
tassazione volontaria favorirebbe la mancanza di coscienza. Istituiamo e (col muso
lungo) sopportiamo le tasse e altri mezzi coercitivi per sfuggire all’orrore della
proprietà comune.
Non c’è bisogno che un’alternativa alla proprietà comune sia perfettamente giusta
o preferibile”. 211
211
Hardin T., op. cit. - Hardin spiega come nessun sistema sia perfetto ma che sia comunque
necessario agire. Ciò che infatti è stato fatto per migliaia di anni è agire. “Il che produce anche dei
danni. Una volta che siamo consapevoli che lo status quo è l’azione, possiamo confrontare i suoi
vantaggi e svantaggi verificabili con i vantaggi e gli svantaggi previsti per le riforme proposte,
cercando di cavarcela il meglio possibile di fronte alla nostra mancanza di esperienza. Sulla base
di un simile confronto, possiamo prendere delle decisioni razionali che non comprendano il
presupposto insuperabile che solo i sistemi perfetti siano tollerabili. - cfr. J. D. Roslansky, Genetics
and the Future of Man (Appleton-Century-Crofts, New York, 1966), p. 177.”
137
2. La tariffa come limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla
risorsa
2.1. Premessa
Si è detto in precedenza che il pubblico servizio è dunque il fine ultimo dell’intera
attività amministrativa che consiste nel soddisfacimento di bisogni collettivi
mediante esplicazione dell’attività dello Stato. Esso rappresenta lo strumento
attraverso il quale la res informe assume concretezza nell’ordinamento e si dota
di un corollario di cautele che ne declinano il valore che lo stesso ordinamento vi
ha connesso. Una di queste cautele è la tariffa. E la tariffa trova nel servizio il
luogo naturale in cui assolvere alla funzione di incarnare il valore che la
collettività ed i suoi rappresentanti hanno inteso conferire all’acqua. Essa è filtro
di valore e al tempo stesso limite di responsabilità: limite necessario ad un
accesso “irresponsabile” alla risorsa. Venendo poi allo specifico del sistema
tariffario vigente in Italia, anche sulla scorta di quello che l’Unione Europea
richiede in materia agli Stati membri, è necessario chiedersi dunque se esso
rappresenti un disincentivo agli sprechi della risorsa e, in caso negativo, quali
siano le criticità che non permettono alla tariffa di assolvere alla duplice funzione
di filtro di valore e limite di responsabilità. Si procederà dapprima ad illustrare
cosa dice la normativa comunitaria, per descrivere poi
le modalità di
determinazione della tariffa idrica in Italia e, successivamente, verranno
evidenziati i tratti del sistema sui quali porre l’attenzione in una prospettiva di
revisione, anche traendo spunto dalle iniziative intraprese da alcune Regioni.
2.2. Disposizioni comunitarie in materia di tariffa idrica
La direttiva comunitaria 2000/60 non contiene previsioni in materia di tariffa
idrica ma si occupa più genericamente del tema del “Recupero dei costi relativi ai
servizi idrici” all’articolo 9, stabilendo, al comma 1, che gli Stati membri devono
tener conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, inclusi i costi
ambientali e relativi alle risorse, facendo riferimento all'analisi economica
138
effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio «chi
inquina paga».
Inoltre la direttiva ha fissato al 2010 il termine entro il quale gli Stati membri
avrebbero dovuto provvedere ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua
incentivanti per gli utenti ad usare le risorse idriche in modo efficiente,
contribuendo così agli obiettivi ambientali della direttiva stessa; inoltre, sempre
entro il termine indicato, gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere a
realizzare un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico
dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e
agricoltura, sempre sulla base dell'analisi economica effettuata secondo
l'allegato III e tenendo conto del principio «chi inquina paga». per quanto
concerne quest’ultima previsione, gli Stati membri possono tener conto delle
ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero, nonché delle
condizioni geografiche e climatiche della regione in questione.
In base al comma 2 dell’articolo 9, gli Stati membri devono poi riferire nei piani
di gestione dei bacini idrografici circa i passi previsti per attuare quanto sopra,
nonché circa il contributo dei vari settori di impiego dell'acqua al recupero dei
costi dei servizi idrici.
L’allegato III alla direttiva, in tema di analisi economica, dice che l’analisi
economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate al fine
di:
“a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il
principio del recupero dei costi dei servizi idrici, di cui all'articolo 9, tenuto conto
delle previsioni a lungo termine riguardo all'offerta e alla domanda di acqua nel
distretto idrografico in questione e, se necessario:
. stime del volume, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici,
. stime dell'investimento corrispondente, con le relative previsioni;
b) formarsi un'opinione circa la combinazione delle misure più redditizie,
relativamente agli utilizzi idrici, da includere nel programma di misure di cui
all'articolo 11 in base ad una stima dei potenziali costi di dette misure”.
L'analisi economica ha quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai
diversi usi della risorsa idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e
l'uso idroelettrico. Per quanto riguarda l'uso idropotabile, va rilevato che il valore
139
dell'acqua per l'uso civile viene stimato a partire dalla considerazione che, nel caso
del servizio idrico, servizio essenziale, la domanda non possa essere lasciata
insoddisfatta ed in tale ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare
gli usi meno efficienti e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi,
valorizzare gli usi più efficienti e più necessari. La direttiva induce dunque a
considerare la gestione delle acque in una logica più ampia di quella attuale212: cioè
non nella logica della gestione di un servizio ma in una logica di governo della
risorsa, comprendente il complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi
civili, usi irrigui, zootecnici, piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti
drenanti, invasi e condotte funzionali alla produzione energetica, impianti di
dissalazione, ecc. …).Ed in una simile ottica lo strumento economico deve essere
utilizzato come strumento per preservare la risorsa, piuttosto che come mero
strumento per ripianare i costi del servizio idrico o per fare profitti, attraverso la
revisione dei meccanismi economici - tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere
i conti effettivi della gestione del servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e
rendendoli trasparenti ai cittadini, sia cercando di internalizzarli. La gestione va
inoltre considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle
marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso
sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia
idro-dipendente. In tale prospettiva le azioni prioritarie da mettere in campo
spaziano dalla pianificazione degli usi in base al bilancio idrico di bacino al
miglioramento delle tecnologie produttive e delle tecniche irrigue, fino
all’applicazione di buone pratiche soprattutto agricole. La Commissione europea
da anni esercita pressioni affinché gli Stati membri adottino politiche di
risparmio idrico, e nel dossier ‘2012 Water Scarcity and Droughts – Policy Review’
essa passa al setaccio le azioni adottate dagli Stati membri nella lotta alla carenza
idrica e alla siccità. Il dossier conferma come, attualmente, in molte zone
dell’Europa l’equilibrio tra domanda di acqua e risorse idriche disponibili ha
raggiunto un punto critico. Secondo la Commissione serve un impegno più
incisivo a cominciare da una efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure
concordate di promozione dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste,
212
Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008
140
secondo la Commissione, le condizioni che potranno permettere all’ Europa di
disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze
degli utilizzatori e ad affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici.
2.3. Modalità di determinazione della tariffa idrica nell’ordinamento italiano
a) Legge Galli e metodo normalizzato
Prima di analizzare il recepimento a livello di diritto interno della normativa
comunitaria, è necessario fare una premessa sull’origine del sistema tariffario
italiano e risalire alla Legge Galli per la parte relativa alla tariffa idrica e al D.M.
1/08/1996 che ha introdotto il c.d. “metodo normalizzato” di determinazione della
stessa. In materia di determinazione della tariffa occorre infatti risalire alla legge
36/94 che stabilisce in particolare che la determinazione della stessa doveva
avvenire considerando i seguenti fattori: la qualità della risorsa idrica e del servizio
fornito, intesa sia con riferimento alle caratteristiche organolettiche dell’acqua, sia
considerando l’efficienza e l’efficacia nella fornitura del servizio agli utenti; le
opere e gli adeguamenti necessari, ovvero l’ammontare della spesa per
investimenti necessari a conseguire gli obiettivi che sono stati predefiniti in sede
di pianificazione da parte degli Ambiti; l’entità dei costi di gestione delle opere, in
modo da considerare gli effetti tariffari derivanti dai costi operativi, oltre che dalla
spesa per investimenti; l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, in
modo da creare le condizioni per incentivare gli investimenti.
In base alla Legge 36/94 la regolazione tariffaria si basa sulla distinzione
tra: tariffa di Riferimento e tariffa reale e relativa articolazione tariffaria, calcolata
quest’ultima attraverso specifiche formule e modalità previste da un “Metodo
Normalizzato”. Tramite la tariffa di riferimento (o tariffa media) è possibile
determinare le entrate complessive del gestore.
“3. Il Ministro dei lavori pubblici, di intesa con il Ministro dell'ambiente, elabora un
metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di
riferimento. La tariffa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali,
anche con riferimento a particolari situazioni idrogeologiche.
141
4. La tariffa di riferimento costituisce la base per la determinazione della tariffa
nonché per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti
dall'applicazione della presente legge.
5. La tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario
degli interventi relativi al servizio idrico di cui all'articolo 11, comma 3”213.
Per articolazione tariffaria, si intende l’insieme delle regole che, a parità di entrata
economica per il gestore (ovvero a parità di tariffa media), consente di applicare
tariffe diverse per utenti o usi diversi (ad esempio tariffe inferiori per i consumi
più bassi e tariffe superiori per consumi più elevati)214.
213
214
articolo 13 legge 36/1994
La legge Galli ha rivoluzionato il sistema tariffario esistente ed in attesa della sua piena
applicazione ha dato vita ad un regime transitorio che, dal 1995, prevede una Deliberazione CIPE
annuale per la determinazione degli incrementi massimi ammissibili.
Allo stato attuale le tariffe per uso domestico si articolano, in base al consumo (espresso in metri
cubi) in: tariffa agevolata (si applica sulla quantità di acqua consumata nella prima fascia di
consumo); tariffa base (si applica sulla quantità di acqua consumata eccedente rispetto alla prima
fascia); tariffe eccedenza (da 1 a 3 scaglioni, si applicano ai consumi eccedenti rispetto alla
seconda fascia).
Il totale delle bolletta dell‘acqua che paghiamo è il risultato di più voci:
•La quota fissa, calcolata generalmente su base annua;
•La quota variabile, calcolata in base ai metri cubi di acqua consumati (suddivisi per scaglioni);
•Canone di depurazione e canone di fognatura, variabili in base ai consumi (in genere la tariffa è
unica e si riferisce all‘intero consumo) e al tipo di uso (civile o produttivo) che siamo tenuti a
pagare anche in caso di assenza d‘impianto di depurazione o di sua inattività;
•Iva la 10%, calcolata su tutte le precedenti voci (ad eccezione dell‘Ato pugliese che applica
un‘iva al 20%).
Con il pagamento della prima bolletta si versa, inoltre, un deposito cauzionale, fissato
dall‘azienda, a garanzia del rispetto del contratto.
La situazione prima della legge Galli
Fino al 1974 le tariffe dell‘acqua erano determinate dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP),
senza alcun riferimento ai costi di gestione. A partire da quell‘anno il CIPE (Comitato
Interministeriale per la Programmazione Economica) demandò la fissazione delle tariffe ai
Comitati Provinciali Prezzi (CPP), maggiormente in grado di valutare l‘effettivo costo del servizio.
L‘obiettivo era quello di eguagliare i ricavi di gestione ai relativi costi. I provvedimenti emanati
dal CIP tra il 1974 e il 1975 (precisamente Provvedimenti 45 e 46 del 1974 e Provvedimento 26
142
Quindi, una volta determinata la Tariffa di Riferimento mediante il Metodo
Normalizzato, sarà poi compito delle singole AATO determinare le Tariffe Reali
(decise quindi al livello di regolazione periferico) che verranno effettivamente
applicate all’utenza finale.
Attualmente il metodo tariffario nazionale è stabilito nel D.M. L.L.P.P. 1° agosto
1996 "Metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la
tariffa di riferimento". In base all’allegato tecnico del decreto si stabilisce che “la
tariffa di riferimento del servizio idrico integrato è lo strumento per consentire la
realizzazione di adeguati livelli di servizio, per sostenere conseguenti programmi
del 1975) individuarono i tratti fondamentali dell‘attuale sistema tariffario, quali l‘articolazione
tariffaria per scaglioni di consumo ed il c.d. minimo garantito (ossia il quantitativo minimo
d‘acqua corrispondente alle necessità domestiche fondamentali). Inoltre, il Provvedimento
26/1975 ha introdotto il c.d. minimo impegnato che consiste nel volume di acqua fatturato alle
utenze indipendentemente dal consumo effettivo. In realtà la Delibera CIPE 52/01 ha previsto il
superamento (mediante un percorso della durata di 4 anni) del minimo impegnato,
relativamente ai consumi domestici, per tutte le tipologie di gestori. L‘obiettivo è rendere il costo
dell‘acqua maggiormente correlato al consumo effettivo in modo da eliminare gli sprechi. In
alternativa al minimo impegnato, la stessa Delibera CIPE ha previsto l‘estensione della quota fissa
(o ex nolo contatore) a tutte le unità abitative.
A partire dal 1984 gli adeguamenti della tariffa idrica furono assoggettati al limite dell‘inflazione
programmata. Nella seconda metà degli anni ‘80 la situazione di grave deficit finanziario in cui
versavano gli enti gestori del servizio spinse nella direzione di un allentamento dei vincoli alla
crescita delle tariffe.
Il cambiamento della politica tariffaria contribuì a rendere più complesso il quadro delle
competenze istituzionali in materia di tariffe idriche (tra CPP ed enti locali). Un primo cenno di
riforma della politica dell‘acqua è dovuto alla legge 183/89 la quale ha posto alcuni principi base:
l‘individuazione degli ambiti territoriali di riferimento nel bacino idrografico; l‘istituzione delle
Autorità di bacino, quali organismi specializzati esercitanti le competenze più rilevanti;
l‘introduzione di uno strumento pianificatorio, il Piano di bacino. La mancanza di chiarezza sul
quadro istituzionale fu accentuata dal D. Lgs 504/92 che attribuì agli enti in economia, gestori del
servizio, la facoltà di variare le tariffe anche senza l‘approvazione del CPP. Così, a partire dal
1992, il corrispettivo del servizio idrico venne definito secondo diverse modalità: per le gestioni
comunali dirette, gli enti locali stabilivano le tariffe in modo autonomo, mentre le aziende private
di gestione rimanevano sottoposte alle autorizzazioni dei CPP.
La vera rivoluzione del settore si ebbe nel 1994 con la soppressione del CIP e dei CPP e con
l‘approvazione della legge Galli.
143
di investimento nell'equilibrio di bilancio, per ottenere il contenimento dei costi al
consumo, il miglioramento dell'efficienza della gestione e la tutela dell'interesse
dell'utenza”. “La tariffa di riferimento”, continua l’allegato, “collegata al metodo di
controllo tariffario dei "limiti di prezzo”, in applicazione della deliberazione CIP n.
34 dei 18.12.91, rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni cui l'Ambito
deve attenersi nello stabilire la tariffa reale media della gestione. La tariffa reale
media è stabilita dall'Ambito in relazione al modello organizzativo della gestione,
alla quantità e alla qualità della risorsa idrica e dal livello di qualità del servizio.
La stessa è altresì fissata in funzione del piano finanziario di cui all'articolo 11,
comma 3, della legge 36/94, tenuto conto dei costi reali, delle economie
conseguenti al miglioramento di efficienza e al superamento della frammentazione
delle attuali gestioni”. 215
La tariffa di riferimento viene determinata in base alla seguente formula:
Tn = (C+A+R)n-1 (1+P +K)
dove:
Tn è la tariffa all'anno corrente
C è la componente dei costi operativi
A è la componente del costo di ammortamento
R è la componente per la remunerazione del capitale investito
P è il tasso di inflazione programmato per l'anno corrente
K è il "limite di prezzo"
Per quanto riguarda la componente dei costi operativi (c), è calcolata sulla base
del confronto tra i valori modellati calcolati secondo formule indicate
nell’allegato e quelli reali previsti nel piano finanziario, in modo da conseguire
livelli progressivi di efficienza secondo le previsioni degli articoli 5 e 6 dello
stesso allegato.
Il calcolo della tariffa di riferimento all'anno iniziale (T1) è effettuato assumendo
come tariffa all'anno zero ((T0) la tariffa media ponderata delle gestioni
preesistenti come accorpate nella nuova gestione.
215
V. Santandrea R. (a cura di), Seminario riuso acque reflue : alcuni risultati dell’analisi
economica, Bari , 25 settembre 2008
144
in sintesi, secondo il Metodo Normalizzato, i costi che le Autorità di Ambito
(AATO) devono inserire nel calcolo della tariffa reale media, e che, quindi,
devono essere coperti dai ricavi del servizio idrico integrato, sono dunque i costi
operativi, gli ammortamenti e la remunerazione del capitale investito216.
Rispetto a tali componenti, la tariffa può variare di anno in anno in risposta al
tasso d'inflazione programmato per l'anno e ad un fattore K che rappresenta il
limite di prezzo che può consentire alle tariffe di crescere o di diminuire in base
agli obiettivi del regolatore. Per la definizione dei costi operativi, l'AATO
determina, per il periodo dell'intera durata dell'affidamento, i costi operativi
ottimali relativi alla gestione del servizio nel proprio territorio e, nello stesso
tempo, sulla base di alcune grandezze tecniche, calcola i costi operativi di
riferimento. Per i costi operativi, l’attuale metodo normalizzato prevede tre
tipologie: acquedotto, fognatura, depurazione. 217
216
Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007
217
Per quanto riguarda la depurazione, i costi operativi sono definiti nell’ambito del Metodo
Normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di
riferimento del servizio idrico integrato:
(2) CO = (Σn1α*(C)β * A*F)
Dove:
CO = costo operativo per trattamenti;
C = carico inquinante trattato (Kg/g di COD)
n = numero di impianti
α = Coefficiente funzione classe di impianto
β = Esponente funzione della classe di impianto
A = Coefficiente per la difficoltà dei trattamenti – linea acque
F = Coefficiente per la difficoltà dei trattamenti – linea fanghi
La definizione dei costi riconosciuti in tariffa relativamente agli ammortamenti e alla
remunerazione del capitale investito è legata all'eventuale ammontare del capitale investito
iniziale e alla previsione annuale della spesa per investimenti. L'ammontare degli ammortamenti
riconosciuti in tariffa è il risultato di una previsione che deve tenere conto della spesa,
dell'entrata in esercizio dell'opera a cui la spesa si riferisce e dell'aliquota di ammortamento dei
vari cespiti che compongono l'investimento.
145
b) recepimento della normativa comunitaria nel codice dell’ambiente
La legge Galli è stata quasi interamente abrogata dal D.lgs. 152/06 TU Ambiente
anche se la maggior parte delle sue disposizioni rivivono nello stesso.
Il D.Lgs. 152/2006 recepisce inoltre l’articolo 9 della direttiva 2000/60 nell'art.
119 che disciplina il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici.
Nell’articolo in questione, al comma 2, si stabilisce che “entro il 2010 le Autorità
competenti provvedono ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua idonee ad
incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente ed
a contribuire al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità
ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE” e che “… dovranno comunque essere
tenute in conto le ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero dei
suddetti costi, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle
regioni in questione. In particolare: a) i canoni di concessione per le derivazioni delle
acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi
all'utilizzo dell'acqua; b) le tariffe dei servizi idrici a carico dei vari settori di
impiego dell'acqua, quali quelli civile, industriale e agricolo, contribuiscono
adeguatamente al recupero dei costi sulla base dell'analisi economica effettuata
secondo l'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto”.
L’articolo 154 del Codice dell’Ambiente disciplina nella specifico la tariffa idrica,
prevedendo che “La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed
è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito,
delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere,
dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione
delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento
dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di
investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il
principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato
La remunerazione del capitale investito, ottenuta moltiplicando il valore della previsione di
capitale investito medio per un tasso del 7% (al lordo delle imposte), è destinata a far fronte ai
costi del capitale di terzi e del capitale di rischio.
146
hanno natura di corrispettivo”.
Al comma 2 del medesimo articolo si prevede che Il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo
il principio "chi inquina paga", definisca con decreto le componenti di costo per la
determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego
dell'acqua e, al terzo, che
“con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, siano stabiliti i criteri generali per la
determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di
acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e
prevedendo altresì riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un
riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o
di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime
caratteristiche qualitative di quelle prelevate” al fine di assicurare un'omogenea
disciplina sul territorio nazionale. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza
triennale.
Sempre in base alla citata normativa è l'Autorità d'ambito, al fine della
predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1, lettera
d),218 a determinare la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni contenute
nel decreto di cui al comma 2, assicurando, nella modulazione della tariffa, anche
mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli
domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo
prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei
costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli
impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e
218
L’articolo 149 del D.lgs. 152/06 stabilisce che l'Autorità d'ambito provvede alla
predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito. E specifica che Il piano d'ambito è
costituito dai seguenti atti:
a) ricognizione delle infrastrutture;
b) programma degli interventi;
c) modello gestionale ed organizzativo;
d) piano economico finanziario.
147
industriali.
La tariffa viene poi applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e
del relativo disciplinare ed è riscossa dal gestore del servizio idrico integrato.
Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari
convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di
acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati
entro trenta giorni dalla riscossione.
In tema di recupero dei costi, il sistema tariffario in vigore in Italia prima del
referendum di giugno 2011, prevedeva inoltre la remunerazione del capitale
investito dai soci pubblici o privati dei gestori individuati dagli Ambiti. Per attrarre
capitali in questo settore e finanziare gli ingenti investimenti previsti in Italia la
legge Galli e poi l’articolo 154 comma 1 del TU Ambiente, stabilivano che potesse
essere considerata in tariffa, una remunerazione del capitale investito fino al
massimo del 7 per cento. Con questa quota di tariffa i gestori avrebbero pagato gli
oneri finanziari derivanti dai prestiti contratti per gli investimenti oppure i
dividenti (utili) ai soci che hanno investito capitale proprio nell’azienda di
gestione.
In tema di tariffa del servizio idrico, a seguito dell’esito referendario c’è stata
l’abrogazione dell’art. 154 del d. lgs. n. 152 del 2006, limitatamente a quella parte
del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio idrico
integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale
investito. E’ stata cancellata la previsione dell’«adeguata remunerazione del capitale
investito». Questo significa che i gestori, di qualunque natura essi siano (pubblici,
privati o misti), non riceveranno più il 7% del capitale investito che veniva
riversato sui costi della bolletta dell’acqua. Il quesito non cancella però le norme
che stabiliscono come si calcola la tariffa, compresa la parte in cui si indica il 7%
come tasso di remunerazione. Resta vigente anche un’altra norma, specchio di
quella abrogata: l’art. 117 del Testo unico degli enti locali (DLgs 267/2000) che, al
comma 1, prevede «l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito,
coerente con le prevalenti condizioni di mercato». Al riguardo la stessa Corte
Costituzionale ha parlato di «incertezza dell’effetto giuridico in caso di esito
positivo del referendum» (sent. 26/2011).
c) La Corte Costituzionale in materia di tariffa idrica
148
In materia di tariffa per il servizio idrico integrato, è intervenuta anche la Corte
Costituzionale che, nella sentenza 29/2010, ha stabilito che la determinazione
della stessa spetta allo Stato e non alla Regione, perché la "metodologia tariffaria" è
finalizzata a tutelare in maniera uniforme su tutto il territorio italiano il bene
giuridico. La pronuncia dichiara illegittima la legge regionale dell' Emilia Romagna
che prevede l'individuazione della "tariffa di riferimento", costituente il
corrispettivo del servizio idrico integrato, e che attribuisce alla regione il compito
di redigere il relativo piano economico e il piano finanziario, in quanto contraria
non solo alla competenza esclusiva attribuita allo Stato dalla Costituzione, così
come riformata nel 2001, in materia sia di tutela ambientale, sia di concorrenza219
ma anche alle disposizioni in materia del Dlgs 152 /06.
La Corte Costituzionale già con la sentenza n. 246 del 2009, affermava che
attraverso la determinazione della tariffa nell’ambito territoriale ottimale, il
legislatore statale ha fissato livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha
inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di
solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e le
aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio
ambientale e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144, 145
e 146 del d.lgs. n. 152 del 2006. Nella medesima pronuncia si è altresì sottolineato
che «la finalità della tutela dell’ambiente viene in rilievo anche in relazione alla
scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare», tra i quali il
legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche
secondo il principio “chi inquina paga”» (art. 154, comma 2).
Sotto altro − ma connesso − proqilo, continua la Corte, nella determinazione della
tariffa viene poi in rilievo la materia della tutela della concorrenza; ciò in quanto
«alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’ambito, al fine di ottenere
un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza
efficienza ed affidabilità del servizio220. Tale fine è raggiunto determinando la
tariffa secondo un meccanismo di price cap - ossia attraverso la fissazione di un
tetto limite - (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario
219
art. 117 Cost. primo e secondo comma lettere e) e s)
220
art. 151, comma 2, lettere sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 n.
51 del 2008. c, d, e
149
unico abusi della sua posizione dominante.221 L'uniforme metodologia tariffaria,
adottata con l'interposta legislazione statale, e la sua applicazione da parte delle
Autorità d'ambito, è finalizzata a preservare il bene giuridico "ambiente" dai rischi
derivanti da una tutela non uniforme e a garantire uno sviluppo concorrenziale del
settore del servizio idrico integrato. Tali finalità non potrebbero essere realizzate
se dovesse trovare applicazione la normativa regionale, la quale prevede la
determinazione di oneri tariffari ulteriori o diversi. Dunque la legge regionale, pur
operando nell'ambito della normativa statale modificherebbe il processo di
determinazione tariffaria puntualmente delineato dal legislatore statale. Essa
incide, in particolare, sulle attribuzioni dei soggetti preposti al servizio idrico
integrato.
Garanzia della tutela e dell’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche,
salvaguardia della vivibilità dell’ambiente e delle aspettative e diritti delle
generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale rappresentano
pertanto gli scopi che, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, la
determinazione tariffaria statale deve perseguire, oltre al fine di ottenere un
equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza
efficienza ed affidabilità del servizio, per evitare che il concessionario unico abusi
della sua posizione dominante: preservazione del bene giuridico "ambiente" dai
rischi derivanti da una tutela non uniforme e garanzia di uno sviluppo
concorrenziale del settore del servizio idrico integrato.
La Corte Costituzionale, nella precedente sentenza n. 335/2008, aveva poi definito
la tariffa idrica come
“un corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché
determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova la sua fonte non in un atto
autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto
di utenza".
La Corte affermava inoltre che:
221
sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 e n. 51 del 2008
150
"L'inestricabile connessione delle suddette componenti e' evidenziata, in
particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa,
l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione
della risorsa idrica, sia nella fornitura di servizi di fognatura e depurazione. (...).
L'unitarietà' della tariffa impedisce infatti, di ritenere che le sue singole
componenti abbiano natura non omogenea e, conseguentemente che anche solo
una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale.
E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio
idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto
servizio come un tutto unico, nell'ambito del quale la suddivisione in quote
risponde solo all'esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa,
che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare" .
2.4 Rilievi critici
La prima considerazione che emerge dall’illustrazione del sistema tariffario
vigente in Italia - risultante dal combinato disposto del codice dell’ambiente e del
vigente D.M. 1/08/1996 - concerne la mancata concretizzazione di quanto
previsto in materia di costi ambientali, pur riferendosi ad essi esplicitamente sia la
Corte Costituzionale italiana sia la Direttiva Comunitaria sulle Acque.
Nella parte del presente lavoro dedicata all’analisi comparata si vedrà come invece
in Olanda (ma si potrebbe citare anche il caso degli Stati Uniti) una parte
consistente della tariffa idrica è costituita da imposte a tutela dell’ambiente: si
possono citare, a titolo esemplificativo, la tassa sull’inquinamento, l’imposta
provinciale per la conservazione delle acque sotterranee e la tassa denominata
“green tax” sulle acque sotterranee come risorse naturali. Un altro risultato delle
compagnie idriche olandesi, in confronto ad altri paesi, è costituito dal fatto che
l’acqua non contiene alcun additivo. In Italia non si fa menzione alcuna di tale
valore aggiunto alla qualità della risorsa. Sempre in tema di costi, in Olanda è
pacificamente accettato che il trenta per cento del costo di purificazione dell’acqua
sia attributo all’acqua piovana, nel senso che il più importante fattore di costo è la
capacità idraulica richiesta per pomparla dalla rete fognaria. Oltre a ciò, ogni
consiglio distrettuale idrico (c.d. water boards) fissa il proprio prezzo per unità di
151
inquinamento. I costi per questa gestione della qualità delle acque vengono
ripartiti su un numero di “unità di inquinamento equivalenti” attraverso la tassa
sull’inquinamento, che di fatto crea una sorta di meccanismo di determinazione
del prezzo. I costi per la qualità dell’acqua, oltre al numero delle unità di
inquinamento che devono essere trattate, sono anche determinati dagli elevati
standards di qualità richiesti.
Nonostante il recepimento delle disposizioni comunitarie nel codice dell’ambiente
italiano, il metodo normalizzato del 1996 nulla dice in merito a livelli di tutela
ambientale e di qualità dell’acqua, risalendo appunto a prima della direttiva
60/2000 e non essendo mai stato ad oggi rivisto.
Esso non consente pertanto di attuare una gestione sostenibile della risorsa in
quanto esclude completamente il fattore “ambiente” dalla propria valutazione. Il
metodo non muove dalla natura del bene ma esclusivamente da uno schema
economico astratto non rispondente ad esigenze di razionale gestione della risorsa
e privo di riscontri di tipo ambientale. Il D.Lgs. 152/2006 all’art. 154 prevede
invece che il Ministro dell'Ambiente, su proposta del Comitato per la vigilanza
sull'uso delle risorse idriche, elabori con decreto un Metodo tariffario, in modo
che sia assicurata la copertura dei costi di investimento e di esercizio e tenuto
conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio
"chi inquina paga". Il Metodo tariffario attualmente in vigore al punto 11 (D.M.
1/08/1996), stabilisce che il Comitato, con cadenza quinquennale, proponga al
Ministro eventuali modifiche per tenere conto, tra l'altro, di nuove disposizioni
normative, di evoluzioni tecnologiche, di variazioni finanziarie ovvero di cause
straordinarie che afferiscano alla generalità del territorio nazionale. Nel maggio
del 2002, il Comitato di Vigilanza sulle risorse idriche (Co.vi.ri.), dopo ampia
consultazione di tutti i soggetti interessati, ha sottoposto all'allora Ministro
dell'ambiente, una proposta di aggiornamento del Metodo normalizzato, che
però non fu emanato222. Ad oggi dunque manca un raccordo concettuale e
pratico tra le disposizioni di legge che recepiscono la normativa comunitaria in
materia di tariffa idrica e il metodo vigente per la determinazione della stessa.
Una seconda considerazione che può essere fatta in merito al metodo tariffario
222
Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007
152
attualmente applicato in Italia, concerne poi la mancata fissazione di obiettivi
minimi di collegamento alla rete per i gestori. In genere, per i gestori sono i costi
di distribuzione (la principale rete idrica) a costituire la parte maggiore del prezzo
del servizio. Nei Paesi più all’avanguardia in materia di gestione idrica integrata, le
compagnie garantiscono gli allacci alla rete proteggendo tali investimenti da
eventuali rischi di aumento dei costi di fornitura dell’acqua - come detto i
maggiormente rilevanti - attraverso il miglioramento continuo della qualità
dell’acqua e investendo in tecnologie di purificazione o prevenendo la
contaminazione delle risorse idriche. Nel nostro ordinamento al riguardo l’articolo
6 del D.M. 1 del 1996 introduce una previsione che può essere di ausilio: si
stabilisce infatti che
“nel determinare la tariffa reale media da applicare nel periodo della durata del
piano, l'Ambito delibera un coefficiente di miglioramento dell'efficienza che il
gestore, anche per effetto dei previsti investimenti, deve rispettare mediante
riduzione della componente tariffaria relativa ai costi operativi”.
Pertanto l’Ambito detiene il potere di stabilire di quanto debba incrementarsi
l’efficienza della gestione in termini di abbattimento nel corpus della tariffa dei
costi operativi.
Inoltre, l’articolo 8 del citato Decreto Ministeriale, prevede che “l'Ambito, ferma
restando la verifica triennale nell'applicazione della tariffa, può in qualsiasi
momento intervenire nel caso di significativi scostamenti dalle previsioni del piano
finanziario e gestionale in ordine a:
a) raggiungimento dei livelli di servizio previsti dal piano anche a seguito dei
relativi investimenti, valutando le variazioni al limite di prezzo "K" o le
penalizzazioni, e i rimborsi secondo quanto previsto nella convenzione di gestione,
specialmente in merito alle componenti "ammortamento" e "ritorno del capitale"
sulla tariffa;
b) corrispondenza tra l'incasso derivante dall'applicazione della struttura
tariffaria e l'incasso previsto per effetto della tariffa media stabilita nella
convenzione di gestione, al fine di apportare le conseguenti variazioni.
Un’altra questione di rilievo riguarda infine la raccolta e pubblicazione di un
quadro statistico completo sugli andamenti storici delle tariffe su tutto il
153
territorio nazionale al fine di recuperare le informazioni relative al passato, di
stabilire idonee regole della tempistica di adozione dei provvedimenti sulle
tariffe e di comunicazione al Comitato e di evitare che l’opinione pubblica si
orienti sull’ argomento in base a informazioni che trovano larga diffusione ed
udienza, anche se, a volte, prive della necessaria validazione.
Quanto esposto sopra evidenzia l’urgenza di mettere mano ad un lavoro di
modernizzazione del metodo vigente in materia di tariffa idrica, soprattutto al
fine di garantire un accesso sostenibile alla risorsa, come tra l’altro espresso dal
Co.vi.ri. in un recente Rapporto sul metodo Normalizzato in cui esso pone
l’accento appunto sulla necessità di una revisione dell'attuale Metodo Tariffario,
soprattutto in conseguenza delle variate condizioni economiche, ambientali e
normative che hanno fatto emergere alcune necessità di modifica223.
Innanzitutto, secondo quanto risulta dal Rapporto in esame, è necessario dare
una più adeguata definizione delle attività che fanno parte del servizio idrico
integrato per tutelare il consumatore dal rischio di finanziare attività ulteriori
del gestore. Poi, per garantire un più rigoroso rispetto del disincentivo a vendere
più acqua, rendere effettivo il trasferimento di parte del recupero di efficienza
all'utente, bisogna legare in modo più diretto gli incrementi tariffari non solo alla
realizzazione degli investimenti, ma anche al miglioramento delle prestazioni del
gestore relativamente allo stato delle infrastrutture e ai livelli di servizio
all'utente è necessaria una più adeguata definizione delle regole che presidiano
la revisione tariffaria periodica. Al fine di rendere più efficace la tutela degli
utenti e di riequilibrare le tariffe fra i vari usi (domestica e produttiva), anche in
applicazione del principio "chi inquina paga", è necessaria la definizione di un
nuovo sistema di articolazione della tariffa, che superi i vecchi provvedimenti
CIP del 1974 e 1975, e introduca forme di tutela delle utenze deboli224. Allo
223
Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007
224
INDAGINE DI CITTADINANZATTIVA SUI COSTI DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO IN ITALIA
Fonte: Cittadinanzattiva – Osservatorio prezzi e tariffe, 2007
Massa è la città in cui il servizio idrico integrato costa meno (99 € annui); tra le dieci città più
care ben sette sono in Toscana: record ad Arezzo (355 €) e a Livorno (335 €), a testimonianza di
una marcata disparità del costo dell’acqua fra le diverse province italiane, anche all’interno di
una stessa Regione.
154
Nello studio realizzato dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, l’analisi a carattere
nazionale del Servizio Idrico Integrato (acquedotto, canone di fognatura, canone di depurazione e
quota fissa o ex nolo contatori) in termini di costo sopportato da una famiglia di tre persone che
consuma all’anno 192 metri cubi di acqua, in linea con quanto calcolato dal Comitato di vigilanza
sull’uso delle risorse idriche nell’ultima relazione al Parlamento.
Complessivamente, in media, in un anno la nostra famiglia tipo sostiene una spesa di 215 € per il
servizio idrico integrato, con un aumento del 5% rispetto alla spesa sostenuta nello scorso anno,
come confermato anche da dati Istat che segnalano, inoltre, un incremento tariffario dell’acqua
potabile, da gennaio 2000 ad oggi, del 23%.
Caro acqua: in una provincia, il servizio idrico integrato può avere costi anche tre volte superiori
rispetto ad un’altra provincia, e più che doppi tra province nell’ambito di una stessa regione. Ad
esempio, in Toscana tra Arezzo e Massa la differenza di spesa annua per il servizio idrico è
addirittura di 256 euro; in Piemonte, tra Asti e Cuneo intercorre una differenza di 171 €, e
situazioni simili si riscontrano in Veneto, Sicilia, Emilia, Marche e Liguria. Marcata la differenza
tariffaria tra le diverse regioni: le tariffe al di sopra della media nazionale si riscontrano,
nell’ordine, in Puglia, Toscana, Emilia Romana, Marche, Umbria, Sicilia e Basilicata.
Le 10 città in cui il servizio idrico integrato costa di più
Le 10 città in cui il servizio idrico
integrato costa di meno
Città
Spesa annua (2006)
Città
Spesa
annua
(2006)
Arezzo € 355
Massa
€ 99
Livorno € 335
Milano
€ 106
Pesaro € 315
Cuneo
€ 110
Prato
Isernia
€ 116
Pistoia € 309
Lecco
€ 119
Firenze € 309
Novara
€ 123
Ferrara € 308
Udine
€ 131
Urbino € 307
Pordenone
€ 131
Siena
Lodi
€ 135
Verona
€ 146
€ 309
€ 306
Grosseto€ 306
L’indagine ha preso ad oggetto le tariffe del servizio idrico ad uso domestico applicate nel biennio
2005 e 2006 in tutti i capoluoghi di provincia delle venti regioni italiane, ed è stata realizzata da
rilevatori civici di Cittadinanzattiva. I dati sono stati reperiti direttamente dagli Ato o dai gestori
del servizio idrico nelle città interessate dalla rilevazione, e tutti i costi sono stati considerati
comprensivi di Iva al 10%.
Anno 2006: Spesa media annua per singole voci e per regioni, e variazioni 2005/2006
155
scopo di recepire i principi sanciti dalla direttiva comunitaria 2000/60 per il
Regione Acquedotto-Depurazione-Fognatura-Quota fissa-Totale 2006-Totale 2005-Variazione
Abruzzo
€ 91
€ 62
€ 22
€9
€ 184
€ 182
+1%
Basilicata
€ 120
€ 57
€ 21
€ 21
€ 219
€ 214
+2.3%
Calabria
€ 95
€ 58
€ 20
€ 11
€ 184
€ 180
+2.2%
Campania
€ 108
€ 56
€ 20
€7
€ 191
€ 191
+0%
Emilia R.
€ 155
€ 71.5 € 26.5 € 10
€ 263
€ 249
+5.6%
Friuli V.G.
€ 60.5 € 57
€ 26.5 € 20
€ 163
€ 156
+5%
Lazio
€ 101
€ 60
€ 20
€ 15
€ 197
€ 193
+2%
Liguria
€ 108
€ 54
€ 31
€ 12
€ 205
€ 203
+1%
Lombardia
€ 58
€ 68
€ 30
€8
€ 164
€ 162
+1.2%
Marche
€ 142
€ 64
€ 29
€ 15
€ 250
€ 228
+9.6%
Molise
€ 64
€ 56
€ 12
€4
€ 136
€ 136
+0%
Piemonte
€ 96
€ 60.5 € 27.5 € 14
€ 198
€ 191
+3.7%
Puglia
€ 176
€ 71
€ 25
€ 28
€ 299
€ 294
+1.7%
Sardegna
€ 113
€ 60
€ 24
€ 17
€ 214
€ 214
+0%
Sicilia
€ 138
€ 56
€ 20
€ 10
€ 224
€ 224
+0%
Toscana
€ 127
€ 78
€ 52
€ 20
€ 277
€ 263
+5.3%
Trentino
€ 57
€ 89
€ 28.5 € 4.5
€ 179
€ 170
+5.3%
Umbria
€ 115
€ 63
€ 40
€ 28
€ 246
€ 199
+24%
Veneto
€ 75
€ 65
€ 38
€ 14
€ 192
€ 187
+2.7%
Valle d’Aosta
€ 68
€ 55
€ 18.5 € 5.5
€ 147
€ 144
+2%
Italia
€ 108
€ 65
€ 29
€ 215
€ 204
+5%
€ 13
Le 10 città in cui si sono riscontrati i più rilevanti incrementi tariffari nel periodo 2005/2006
Macerata
€ 211
€ 149
42,0%
Terni
€ 272
€ 194
40,0%
Vibo V.
€ 190
€ 149
28,1%
Piacenza
€ 181
€ 146
24,0%
Gorizia
€ 164
€ 133
23,0%
Chieti
€ 150
€ 130
15,4%
Ascoli P.
€ 210
€ 189
11,0%
Perugia
€ 220
€ 204
7,9%
Padova
€ 211
€ 196
7,8%
Bolzano
€ 168
€ 156
7,5%
156
raggiungimento nel SII degli obiettivi da essa stabiliti è necessario approntare
una nuova politica tariffaria. Per rendere più efficace il miglioramento del
servizio all'utente, il conseguimento degli obiettivi in materia ambientale e il
miglioramento dello stato delle infrastrutture è necessario introdurre un
meccanismo tariffario che risponda, con penalità e premi, al raggiungimento di
prefissati livelli di qualità del servizio, da definirsi sulla base di un bench marking
nazionale. Per evitare forme di ammortamento che comportano un incremento
delle tariffe e un'iniquità intergenerazionale e per contribuire al contenimento
delle tariffe all'utenza bisogna introdurre una diversa definizione degli
ammortamenti per investimenti ammissibili in tariffa, escludendo forme di
ammortamento più brevi rispetto alla vita utile dei beni. Altre finalità alla base
della proposta di revisione del Metodo Normalizzato riguardano la possibilità di
trasferire almeno una parte del miglioramento di efficienza all'utente, sotto
forma di una riduzione o di un minor incremento della tariffa, attraverso una più
precisa ed incisiva definizione dei meccanismi attraverso i quali si incentiva il
gestore a raggiungere un livello di efficienza più elevato. L'adeguamento del
Metodo normalizzato, prosegue il Rapporto del COVIRI, si rende ancora più
urgente anche di fronte a iniziative regionali che, con l'introduzione di
metodologie tariffarie proprie, finiscono per favorire alcuni operatori a discapito
di altri e dell'utente, anche in violazione del principio comunitario di tutela della
concorrenza.
2.5 Tariffa idrica: aspettative fallite e potenzialità attuali derivanti
dell’esperienza regionale225
225
sul tema vedi Caroselli A., Brevi riflessioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in
materia di servizio idrico, www.dirittodeiservizipubblici.it; Mancuso C., il servizio idrico integrato
in Emilia Romagna: tra esigenze di aggregazione e nuovi municipalismi, in Le istituzioni del
Federalismo 2.2006; Panero E.T., nota a sentenza Corte Costituzionale - Sentenza 335/08,
L’illegittimità costituzionale del servizio idrico nella indebita richiesta di corresponsione della
tariffa di un servizio [depurazione] non prestato; Tariffa Acqua Sintesi delle relazioni annuali
Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia
Romagna - Tratto da Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una politica sociale; Todarello F., La
gestione del servizio idrico integrato in Lombardia: sbagliando s’impara, in Acqua e Territorio, 22
febbraio 2009 e inoltre le sentenze della Corte Costituzionale 335/2008, 246/2009, 307/2009,
157
Tariffa idrica come filtro di valore e al tempo stesso limite necessario ad un
accesso “irresponsabile” alla risorsa. Queste erano le aspettative che la legge
Galli riponeva nello strumento tariffario. Il sistema gestionale da un lato di
carattere “economico” fondato sulla copertura dei costi con i ricavi e, dall’altro,
finalizzato a realizzare criteri solidaristici di accessibilità alla risorsa,
individuava nella tariffa lo strumento principale di attuazione. Allo stato attuale,
ed alla luce delle considerazioni sopra svolte, il sistema così come organizzato
esclusivamente sull’elemento della tariffa e strutturato secondo i dettami del
metodo normalizzato, ha avuto una attuazione lenta e non ha raggiunto gli
obiettivi fissati. Giova infine ricordare di nuovo come la stessa collettività si sia
espressa, in sede di referendum, nel senso dell’abrogazione della disposizione
che definiva la tariffa come il corrispettivo del servizio idrico integrato e che
stabiliva che tale corrispettivo venisse determinato tenendo conto dell’adeguata
remunerazione del capitale investito.
Lo strumento tariffario in genere rappresenta nel contesto del servizio idrico la
chiave di volta in termini di garanzia di accessibilità ed universalità in tutto il
territorio nazionale. A fronte della difficoltà di realizzare obiettivi di efficienza ed
accesso generalizzato, alcune regioni, come l’Emilia Romagna e la Lombardia226,
29/2010,
142/2010
e
325/2010.
Siti
d’interesse:
www.regione.emilia-romagna.it
e
http://www.ato-bo.it/procapite/tariffa_procapite.html
226
La regione Lombardia, così come l’Emilia Romagna, nel dare attuazione alla legge Galli, ha
introdotto, in materia di tariffa, una variante al metodo normalizzato. il Metodo lombardo di
determinazione della tariffa presenta criticità rilevanti rispetto al Metodo normalizzato, in
quanto:
158
1. il livello di ricavo permesso oltre a non incentivare il gestore a massimizzare la produttività e
ad adottare un comportamento efficiente, lo incentiva a incrementare le vendite in violazione del
principio di un uso sostenibile della risorsa e di una politica di risparmio;
2. ammette costi in tariffa che non sono riconosciuti dal Metodo normalizzato e non prevede
alcun sistema di efficientamento;
3. applica aliquote di ammortamento non conformi al Metodo e consente anche l’ammortamento
finanziario;
4. raddoppia la voce relativa alla remunerazione, prevedendola sia sull’attività svolta dal soggetto
erogatore che sugli investimenti realizzati dalla società patrimoniale;
5. non prevede un limite massimo di crescita annuale delle tariffe;
In materia di SII in Lombardia è intervenuta a più riprese la Corte Costituzionale: con la sentenza
307/2009 (sulla l. 26/2003) e 142/10 (sulla legge 1/2009). La sentenza 307/2009 ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1 della legge della Regione Lombardia 12
dicembre 2003, n. 26
che stabiliva il principio della separazione obbligatoria dell’attività di
gestione delle reti da quella di erogazione del servizio. Secondo la Corte la norma regionale
violava la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni. Con la sentenza
142/10 la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 4, comma 1 della l.r. 1/2009 in quanto
esso attribuiva la funzione di controllo sul piano d’ambito alla Giunta regionale, competenza
propria del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle risorse Idriche (Coviri) ex D.lgs. 152/06. La
Corte inoltre ha dichiarato l’incostituzionalità di altri articoli della l.r. 29/10 ; affermando, in
materia di tariffa idrica, che “Le norme censurate recano una disciplina della tariffa del servizio
idrico integrato, prevedendo che questa sia determinata sulla base delle prescrizioni
dell’amministrazione regionale, mentre i citati parametri interposti dei commi 2 e 4 dell’art. 154
del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuiscono al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la
definizione delle componenti di costo per la determinazione della «tariffa relativa ai servizi idrici
per i vari settori di impiego dell’acqua» e all’Autorità d’àmbito la determinazione della tariffa di
base”. La Consulta ha affermato poi che “la separazione della gestione delle reti dall’erogazione
del servizio non giustificherebbe “un diverso sistema tariffario, neppure riferito al metodo,
attribuito alla competenza esclusiva statale, in quanto anche in questo caso risulta applicabile il
Metodo normalizzato di cui al D.M. 1 agosto 1996, visto che detto Metodo prevede una tariffa
reale media costituita da tre componenti di cui due relativi agli investimenti (ammortamento e
remunerazione) tra i quali possono rientrare le competenze del gestore delle reti”. La Regione
Lombardia ha invece precisato che “la previsione di una competenza regionale nella procedura di
determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato risponde all’esigenza di garantire un
sistema tariffario adeguato alle esigenze delle realtà locali”. Essa ritiene inoltre “il metodo
normalizzato fissato dalla normativa statale per la determinazione della tariffa ispirato a criteri
inadeguati alla realtà lombarda, perché «determina aumenti tariffari ingenti ed illogici, che si
ripercuotono in maniera insanabile a danno dei consumatori e degli utenti più deboli»”.
159
hanno sperimentato variazioni al sistema tariffario nazionale, incorrendo però
talvolta in violazioni del dettato costituzionale. Appare utile ripercorre
brevemente l’esperienza dell’Emilia Romagna per capire quali alternative
possibili siano state elaborate e tentate per superare le criticità del sistema.
a. Il metodo emiliano
In applicazione della legge 36/94 (cd. legge Galli), tutte le regioni si sono dotate
di una legge di attuazione in materia di servizio idrico integrato: per l’Emilia
Romagna la legge n. 25 del 6 settembre 1999. (poi modificata ed integrata dalle
leggi regionali n.27 del 21/10/2001, n.1 del 28/01/2003, n. 7 del 14/04/2004 e
n. 10 del 30/06/2008). Essa presenta la peculiarità di accorpare in un unico
testo normativo la disciplina del servizio idrico integrato e quella del servizio di
gestione dei rifiuti urbani. L’Emilia Romagna ha inoltre provveduto (sempre ex
lege Galli) ad istituire ambiti territoriali ottimali, punto di riferimento
organizzativo per enti locali ai fini della concreta predisposizione del servizio.
Questo con la legge 25/99 e altri atti: delibere di giunta n. 2680 del 3 dicembre
2001, n.1550 del 28 luglio 2003 e n.2679 del 3 dicembre 2001. 227 Nel territorio
regionale sono delimitati, in corrispondenza con il territorio di ciascuna
Provincia e con l'Area metropolitana di Bologna come determinata dalla L.R. 12
aprile 1995 n. 33, nove ambiti. 228 L’articolo 8ter della legge 25/99 assegna alle
227
Legge regionale del 06/09/1999 n. 25 Delimitazione degli Ambiti territoriali ottimali e
disciplina delle forme di cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio idrico
integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani ; Delibera della Giunta regionale del
03/12/2001 n. 2680 Indirizzi e linee guida per la prima attivazione del servizio idrico integrato ;
Delibera della Giunta regionale del 03/12/2001 n. 2679 Approvazione della convenzione tipo per
la regolazione dei rapporti tra le agenzie d'ambito e i soggetti gestori dei servizi idrici integrati;
Delibera della Giunta regionale del 28/07/2003 n. 1550 Emanazione aggiornamento "Indirizzi e
linee guida per l'organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato" e "Primi elementi di
indirizzo e linee guida per l'organizzazione del servizio gestione rifiuti urbani"
228
1) Ambito territoriale ottimale di Piacenza
2) Ambito territoriale ottimale di Parma
3) Ambito territoriale ottimale di Reggio Emilia
4) Ambito territoriale ottimale di Modena
160
Autorità d’ambito - che in E.R. prendono il nome di Agenzie d’Ambiti per i servizi
pubblici - il compito di procedere all’affidamento del servizio. Per la compiuta
attuazione del servizio idrico integrato, l'Agenzia, approva il piano di ambito per
l'organizzazione unitaria del servizio idrico integrato e l'applicazione di un'unica
tariffa di riferimento in ciascun ambito. Il piano è predisposto nel rispetto del
piano regionale di tutela, uso e risanamento delle acque,nonché sulla base della
ricognizione delle opere di adduzione, di fognatura e di depurazione esistenti.
Esso,in particolare,: a) stabilisce il modello gestionale e organizzativo; b)
determina i livelli di servizio da assicurare all'utenza; c) determina il programma
degli interventi con le relative priorità e il piano finanziario; d) determina la
tariffa di riferimento unica per l'intero ambito. In tema di infrastrutture, la legge
25/99 (art. 8 bis) vieta espressamente la separazione tra gestione degli impianti
ed erogazione del servizio.
229Altra
differenza dal disposto della legge Galli in
Emilia Romagna riguarda la mancata previsione dell’affidamento diretto a
società a capitale interamente pubblico (c.d. in house providing). Inoltre la
norma regionale non contiene la previsione espressa che l’affidamento diretto a
società mista possa avvenire solo nel caso in cui il socio privato sia stato scelto
con gara. Altra peculiarità della legge 25/99 rispetto alla legge Galli riguarda la
previsione di una c.d. clausola di salvaguardia come strumento per favorire il
passaggio dalle vecchie alle nuove gestioni previste In materia di tariffa del SII la
l.r.25/99, all’articolo 13 (modificato comma 2 da art. 28 L.R. 21 agosto 2001 n.
27; modificato comma 1 da art. 13 L.R. 28 gennaio 2003 n. 1), rubricato “Tariffa
per il servizio idrico integrato”, stabilisce che
5) Ambito territoriale ottimale di Bologna
6) Ambito territoriale ottimale di Ferrara
7) Ambito territoriale ottimale di Ravenna
8) Ambito territoriale ottimale di Forlì-Cesena
9) Ambito territoriale ottimale di Rimini.
229
Art. 8 bis (articolo aggiunto da art. 7 L.R. 28 gennaio 2003 n. 1) Gestione delle reti ed impianti
1. Per il servizio idrico integrato e per il servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani e
assimilati, così come definito all'articolo 15, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre
dotazioni patrimoniali destinati all'esercizio dei servizi non può essere disgiunta da quella di
erogazione degli stessi.
161
1. L'Agenzia sulla base del metodo normalizzato per la tariffa di riferimento, di cui
al decreto dei Ministero dei Lavori Pubblici 1 agosto 1996, determina la tariffa
**à** che assicura la copertura integrale dei costi e delle remunerazioni indicate al
comma 2 dell'art. 13 della legge n. 36 del 1994.
2. Al fine di salvaguardare esigenze sociali di riequilibro territoriale e per
perseguire il razionale utilizzo dell'acqua l'Agenzia può articolare le tariffe per
fasce territoriali, per tipologia d'utenza e per fasce di consumo. **In particolare,
l'Agenzia articola opportunamente le tariffe, tenendo conto dell'esigenza di tutela
degli interessi delle zone montane sulle sorgenti e sulle risorse idriche, in coerenza
con le politiche di valorizzazione e di sostegno di detti territori.**
La legge regionale del 14/04/2004 n. 7 modifica la legge 25/99 attraverso
l’inserimento dell’articolo 25 ter. Esso prevede che con decreto del Presidente
della Giunta regionale sia stabilito il metodo per definire la tariffa relativa al
servizio idrico integrato ed alla gestione dei rifiuti, sentite le organizzazioni
economiche, sociali e sindacali maggiormente rappresentative sul territorio
regionale e previo parere della Commissione consiliare competente. Inoltre la
legge stabilisce che il metodo deve essere determinato tenendo conto di
meccanismi incentivanti il risparmio delle risorse ambientali per la sostenibilità
dello sviluppo, della qualità del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti
necessari al servizio, dell'entità dei costi di gestione e dell'adeguatezza della
remunerazione del capitale investito in modo che sia assicurata la copertura dei
costi di investimento e di esercizio. Il metodo dovrà tenere conto degli oneri
relativi alla tutela della risorsa idrica nel territorio montano al fine di favorire la
riproducibilità della risorsa nel tempo e il conseguimento di un più elevato
livello di qualità. Per le successive determinazioni della tariffa il metodo tiene
conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del
servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Conseguente alla legge
7/2004 è la determinazione n.5749 del 16 aprile 2004 con cui è stato costituito il
gruppo di lavoro regionale interistituzionale formato da funzionari della Regione
Emilia Romagna, Agenzie d’ambito e tecnici indicati da Confservizi. Il gruppo è
stato creato con il compito di formulare una proposta aggiornata di metodo
normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione
162
della tariffa di riferimento per il SII dell’E.R. Con decreto del presidente della
giunta regionale 13 marzo 2006, n.49 (modificato successivamente dal DPGR
n.274 del 13/12/2007), sulla base della proposta presentata dal gruppo di
lavoro, è stato poi approvato il metodo tariffario per la regolazione e la
determinazione della tariffa del Servizio idrico integrato. La peculiarità della
tariffa emiliana è prevista dall’articolo 4 del decreto, che introduce il fattore di
performance complessiva PCn. Esso consente il riconoscimento di un incentivo ai
gestori che forniscono un servizio di elevata qualità ed in linea con i canoni di
tutela dell’ambiente e della risorsa per mezzo di un incremento della tariffa. Di
contro, gli utenti dei gestori che forniscono un servizio di livello inferiore
beneficeranno di una riduzione della tariffa in modo da disincentivare il gestore
a mantenersi su bassi livelli di qualità o a sfavorire politiche di tutela ambientale.
L’articolo 10 stabilisce poi che le Agenzie d’ambito determinano l’articolazione
tariffaria dell’Ambito sulla base del metodo normalizzato per la tariffa di
riferimento, che assicura la copertura integrale dei costi e delle remunerazioni
indicate al comma 2 dell'art. 13 della legge n. 36 del 1994. In estrema sintesi le
principali novità introdotte in Emilia Romagna riguardano la promozione della
qualità del servizio reso e del risparmio e conservazione della risorsa attraverso
meccanismi di incentivazione o disincentivazione, una maggiore flessibilità del
limite di prezzo “k”;, la possibilità di separazione tra tariffa di acquedotto e tariffa
di fognatura-depurazione (distinzione dei costi, principio “chi inquina paga” per la
depurazione); maggiore adeguatezza della remunerazione del capitale investito,
aggiornamento e ridefinizione della tariffa relativa ai reflui produttivi,
miglioramento del meccanismo dell’efficientamento della gestione; regolazione dei
canoni antincendio; etc.230 Nel sistema delineato dalla legge Galli spetta allo Stato
(Ministro dell’Ambiente) con proprio decreto la definizione delle componenti di
costo per la determinazione della tariffa idrica e poi, è l’Autorità d’ambito a
determinare
230
successivamente
la
tariffa
di
riferimento
ai
fini
della
Sintesi delle Relazioni sullo stato delle tariffe dei servizi idrici, Autorità regionale per la
vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna , Tariffa Acqua
Sintesi delle relazioni annuali , Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione
dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna - Tratto da Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una
politica sociale
163
predisposizione del relativo piano economico e finanziario. Il metodo tariffario
per la determinazione della tariffa è invece determinato dal Comitato di vigilanza
per le Risorse Idriche (CO.VI.RI.) L’articolo 2 della legge regionale E.R.
10/2008231, prevede invece che sia la Regione ad individuare la “tariffa di
riferimento” e a redigere il relativo piano economico e finanziario.232 Inoltre il
comma 7 della citata legge prevede l’introduzione di una struttura organizzativa
peculiare233 - il cui costo di funzionamento è a carico della tariffa - per
l’adempimento dei compiti di individuazione della tariffa di riferimento e
redazione del piano economico e finanziario.
234
Sul punto è intervenuta di
recente la Corte Costituzionale, con la sentenza 29/2010 che ha dichiarato
231
Legge regionale 30 giugno 2008, n. 10 Misure per il riordino territoriale, l'autoriforma
dell'amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni
232
Art. 28 comma 2 “La Regione esercita le funzioni di regolazione economica e di regolazione
dei servizi in raccordo con le Autonomie locali provvedendo, in particolare, alla redazione del
piano economico e del piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 4 e all'articolo 203, comma
3 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché alla
individuazione della tariffa di riferimento ai fini della proposizione ai soggetti partecipanti alla
forma di cooperazione di cui all'articolo 30 della regolazione tariffaria. (1) Con direttiva della
Giunta regionale sono ulteriormente specificate le attività connesse alle suddette funzioni e in
particolare le modalità essenziali di partecipazione degli utenti.”
233
c.d. “Struttura di regolazione economica, valutazione e monitoraggio dei servizi
pubblici ambientali”: struttura organizzativa prevista dall'allegato A della Deliberazione di
Giunta Regionale n. 2302/2008 e di fatto istituita dalla Determinazione dirigenziale n.
2121/2011. La struttura ricopre le funzioni generali dell’attività di regolazione di cui all'art. 28
della L.R. n. 10/2008 raggruppate lungo alcune linee di attività fondamentali, quali: le Tariffe, i
Servizi, la Vigilanza e Controllo, gli Affari legislativi e legali, le Informazioni e Tutela dei
consumatori. La struttura svolge inoltre attività sinergiche con altre strutture della Direzione
Generale Ambiente e Difesa del suolo e della costa, quali il Servizio Affari Generali Giuridici e
Programmazione Finanziaria, l'Autorità regionale di vigilanza sui servizi idrici e di gestione dei
rifiuti urbani, il Servizio Tutela e Risanamento Risorsa Acqua e il Servizio Rifiuti e Bonifica Siti.
234
Art. 28 comma 7 “Per l'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo, la Regione si avvale
di una struttura organizzativa il cui costo di funzionamento è a carico delle tariffe dei servizi
regolati nel limite di spesa fissato dalla Giunta regionale, sentita la Conferenza RegioneAutonomie locali, nonché di quanto introitato a titolo di sanzioni.”
164
incostituzionali i due articoli menzionati in quanto essi operano una sottrazione
di competenze dallo Stato alla Regione.235 La Regione affermava invece di aver
235
La Regione E.R. ha affermato l’erroneità dell’identificazione, tra il “metodo tariffario”, quale
disciplinato dall’art. 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, e la “tariffa di riferimento”, oggetto
del censurato art. 28 della legge reg. Emilia-Romagna n. 10 del 2008. Secondo la Regione, infatti,
il “metodo tariffario” e la “tariffa di riferimento” attengono a profili completamente diversi,
perché il primo, predisposto dal CO.VI.RI, «rappresenta […] l’insieme dei criteri che consentono
l’individuazione del costo complessivo del servizio» e ne individua le varie componenti (costi
operativi, aliquote di ammortamento, etc.); la seconda esprime, invece, «il valore complessivo dei
costi del servizio, calcolati in base ai criteri definiti nel metodo», valore che «costituisce la base
per la determinazione della tariffa da applicare all’utenza, articolata per fasce di consumo e
tipologia di utenze». In particolare, per la Regione, la “tariffa di riferimento” costituisce
attuazione del “metodo tariffario” e definisce, a sua volta, la “tariffa reale” applicata dal gestore,
quale risultante dalla tariffa di riferimento «divisa per i volumi di acqua che si prevede di erogare
alle diverse tipologie di utenze».235 La Regione, cioè, afferma di aver emanato la norma oggetto di
censura in forza della propria potestà primaria in materia di servizi pubblici, al fine di evitare una
determinazione tariffaria «frammentata», ad opera delle diverse Autorità d’ambito territoriale
ottimale (AATO), «accentrandola» a livello regionale. Per la Regione, il d.lgs. n. 152 del 2006
attribuisce allo Stato solo la competenza a determinare le “componenti di costo” ed il “metodo
tariffario”, ma non anche la “tariffa di riferimento”. Inoltre la disposizione regionale censurata,
proprio in quanto unifica a livello regionale le diverse tariffe di riferimento elaborate dalle varie
Autorità d’àmbito, secondo la Regione assicura una positiva omogeneità della tariffa stessa a
livello regionale. Quanto al secondo motivo di censura, per la Regione, la norma regionale –
accentrando a livello regionale una parte delle funzioni in precedenza svolte a livello locale e,
quindi, realizzando una maggiore uniformità ed un piú intenso coordinamento – avrebbe
ottenuto vantaggi «in termini economici», derivanti dalla riduzione dei costi del sistema, ed
avrebbe, perciò, rispettato la normativa statale, la quale stabilisce il principio secondo cui la
tariffa deve coprire integralmente i costi delle funzioni pubbliche esercitate, compresi quelli di
«funzionamento dell’assetto pubblico di regolazione». Pertanto - argomenta ancora la resistente , è del tutto legittimo, secondo i princípi della legislazione statale e del diritto comunitario, che i
costi di regolazione del servizio siano inglobati nella tariffa. Secondo la Regione, dunque, la
disciplina censurata si traduce non in un costo aggiuntivo, ma in un risparmio di risorse rispetto
al passato, per effetto dell’individuazione di un’unica struttura organizzativa regionale. Di contro,
la Corte costituzionale, in ordine alla censura riferita al comma 2 art. 28, afferma che
dall’interpretazione degli artt. 154, 155 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che la
determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua è
ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza,
ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Analoghe considerazioni vengono svolte
165
emanato la norma oggetto di censura al fine di evitare una determinazione
tariffaria «frammentata», ad opera delle diverse Autorità d’ambito territoriale
ottimale (AATO), «accentrandola» a livello regionale. Inoltre la disposizione
regionale censurata, proprio in quanto unifica a livello regionale le diverse tariffe
di riferimento elaborate dalle varie Autorità d’ambito, secondo la Regione
avrebbe assicurato una positiva omogeneità della tariffa stessa a livello
regionale. Con nota PG2010.0103608 del 13/04/2010 della Direzione generale
Ambiente della regione Emilia Romagna viene comunque confermata la vigenza
del metodo tariffario introdotto dal DPGR 49/2006 (e successive modificazioni).
b. La tariffa sociale
Il Piano di Tutela delle Acque (P.T.A.) dell’Emilia Romagna prevede politiche
tariffarie economicamente incentivanti per il risparmio idrico. Il DPGR 49/2006
stabilisce che entro 5 anni dalla sua applicazione, coincidente con la prima
revisione tariffaria successiva al 1/12/2007, l’articolazione per fasce di consumo
debba tenere conto, su tutto il territorio dell’ambito, della composizione dei
nuclei familiari (art. 10, comma 5). La c.d. tariffa pro capite è appunto la tariffa
che prevede fasce di consumo idrico differenziate in base al numero dei soggetti
che compongono il nucleo familiare. Con Delibera di Giunta regionale n.
560/2008 sono stati approvati gli "Indirizzi e linee guida per l’applicazione della
tariffazione sociale e dell’articolazione tariffaria" . Essa prevede:
dalla Corte in relazione alla censura inerente al comma 7 dell’art. 28 e riguardante il computo,
nella tariffa, del costo di funzionamento della struttura organizzativa della quale deve avvalersi la
Regione Emilia-Romagna per esercitare varie funzioni attinenti al servizio idrico integrato.
L’articolo 28, comma 7, nel prevedere una specifica componente di costo che prescinde da
quanto stabilito dal decreto ministeriale di fissazione del metodo, attribuisce alla tariffa del
servizio idrico della sola Regione Emilia-Romagna una struttura del tutto peculiare,
potenzialmente idonea ad influire sulla domanda del servizio stesso, così da porla in contrasto
con la finalità di garantire la concorrenza anche attraverso l’uniforme individuazione su tutto il
territorio dello Stato delle componenti di costo della tariffa. A seguito dell’abrogazione delle
norme di cui sopra non spetta dunque alla Regione ma alle Agenzia d’Ambito determinare la
tariffa di riferimento così come stabilito originariamente dalla l.r. 25/99.
166
la tariffa sociale applicata come un contributo di pari importo praticato a
seconda di una scala parametrica associata ad una determinata soglia ISEE
(Indicatore Situazione Economica Equivalente); c’è un’unica soglia ISEE uguale
per tutta la Regione, in corrispondenza delle situazioni di massimo disagio
economico-sociale, ed un range entro il quale ciascun Ambito Territoriale
Ottimale può fissare il valore territorialmente più adatto per una seconda fascia
corrispondente a situazioni di disagio non estremo. Elementi vincolanti
nell’applicazione della tariffazione sociale devono essere l’assoluta omogeneità
applicativa all’interno del territorio dell’ATO evitando sperequazioni tra soggetti
in condizioni consimili all’interno del territorio d’ambito ed il ruolo centrale dei
Comuni o delle Unioni di Comuni nella destinazione dei contributi, ovvero nella
ricezione delle domande di beneficio e nell’individuazione dei beneficiari;
- l’istituzione di un apposito fondo, finanziato mediante l’applicazione di una
quota aggiuntiva da applicare sulle tariffe ad uso domestico e non domestico in
vigore, per ogni tipologia di utenza e fascia di consumo. Prevede cioè la
possibilità per le Agenzie d’Ambito, i Comuni e gli enti di gestione del servizio, di
aumentare la bolletta idrica fino ad un massimo dell’1% per devolvere poi il
ricavato in favore degli utenti in condizione di disagio socio-economico, o
attraverso gli stessi Comuni o attraverso uno sconto diretto sulla bolletta
dell’acqua.
- l’individuazione di due classi parametrate sui valori ISEE: Prima classe,
composta dai nuclei familiari con valori ISEE da Euro 0,00 fino ad Euro 2.500,00
cui verrà devoluto il 60% del fondo istituito; Seconda classe, composta da nuclei
familiari convalori ISEE superiori ad Euro 2.500,00 fino ad Euro 5.000,00 cui
verrà devoluto il40% del fondo;
- l’affidamento a ciascun ATO della scelta sulle modalità applicative più adatte al
proprio territorio, nel rispetto dei principi stabiliti dalla deliberazione.
c. Tariffa sociale negli ambiti di Bologna, Ferrara e Parma
Il 28 maggio 2008 l’Assemblea di ATO 5 Bologna ha approvato all’unanimità la
deliberazione n.3 con la quale è stata istituita la tariffa pro capite e applicata in
via sperimentale in nove Comuni. Nel 2009 la nuova tariffa è stata estesa agli
altri Comuni della provincia. La tariffa è applicata soltanto alle utenze
167
domestiche e tiene conto della composizione del nucleo familiare. Le tariffe pro
capite definite da ATO 5 si articolano in cinque fasce: due agevolate, una base e
due di eccedenza. L’Agenzia di Ferrara, con propria Delibera n.5 del 17 dicembre
2007 è stata la prima Agenzia ad applicare il nuovo metodo tariffario regionale.
Per l’esercizio 2008 viene decisa l’applicazione di una quota aggiuntiva pari allo
0,5% della tariffa del Servizio Idrico Integrato, al netto delle imposte, da
destinarsi alla costituzione di un fondo per la copertura dei contributi rivolti ai
clienti in condizioni economiche disagiate, ad anziani e disabili. L’Autorità di
Ambito Territoriale Ottimale di Parma con propria Deliberazione n.15 del
22/12/2009 ha approvato l’istituzione della tariffa sociale per il servizio idrico
integrato, definendo la disciplina per l’applicazione della tariffa sociale con i
caratteri della prima applicazione e della sperimentazione. I soggetti beneficiari
dei contributi sono stati individuati in due categorie ISEE, la prima (limite ISEE
fino a 2.500 euro) e la seconda classe (limite ISEE da 2.500 a 5.000 euro), il fondo
andrà ripartito per il 60% sulla prima classe ed il restante 40% sulla seconda.
d. Considerazioni
Dall’analisi svolta emerge dunque che la regione Emilia Romagna, a fronte delle
difficoltà applicative e dei risultati non ottimali realizzati attraverso il sistema
tariffario previsto dalla legge Galli e dal c.d. metodo normalizzato, ha introdotto
delle varianti allo schema base al fine di perseguire entrambe le finalità di
economicità e solidarietà del servizio idrico integrato. Varianti in parte
consentite, in parte dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. Il metodo
regionale interviene sui due profili dell’economicità, da un lato, e della
solidarietà, dall’altro, rispettivamente con il fattore di performance complessiva
e con la tariffa sociale, nella variante della tariffa pro-capite. Da una parte viene
riconosciuto un incentivo ai gestori che forniscono un servizio di elevata qualità
attraverso un incremento della tariffa, mentre per gli utenti dei gestori meno
virtuosi è prevista una riduzione della tariffa. Meccanismi di incentivazione o
disincentivazione sono utilizzati come strumenti per promuovere la qualità del
servizio ed il risparmio idrico. In termini di solidarietà invece viene utilizzata
una tariffazione che prevede fasce di consumo idrico differenziate in base al
numero dei soggetti che compongono il nucleo familiare. La c.d. tariffa pro capite
168
rientra nel contesto più ampio della tariffazione sociale che, in Emilia Romagna,
viene applicata come un contributo di pari importo praticato in base ad un
indicatore delle situazioni di disagio economico-sociale. E’ stata poi prevista
l’istituzione di un apposito fondo, finanziato mediante l’applicazione di una
quota aggiuntiva da applicare sulle tariffe ad uso domestico e non domestico in
vigore. Tariffa pro capite, tariffazione sociale e fondo sociale sono gli strumenti
che la regione Emilia Romagna ha individuati come varianti al sistema tariffario
tradizionale al fine di garantire l’accessibilità alla risorsa anche delle fasce sociali
economicamente più deboli.
3. Regolazione ( - Autorità ) e soggetti
“Se l’interesse generale correlato alla demanialità coincide con l’interesse alla
difesa del patrimonio idrico, di conseguenza la pubblicità non afferisce più soltanto
ai profili statici del rapporto dominicale, bensì si estende anche agli aspetti
dinamici della sua fruizione ed in quest’ottica muta la stessa posizione dello Stato:
esso assume il ruolo di garante della salvaguardia della risorsa e di
amministratore simile ad una authority con il compito di assicurare il miglior
sfruttamento di un bene che non è dello Stato, ma che appartiene ed è necessario
all’intera collettività ed i vari centri di competenza gestionale concorrono ad
attuare gli strumenti finalizzati ad un uso razionale della risorsa”. 236
Un ulteriore limite di responsabilità alla proprietà pubblica dell’acqua può essere
costituito, nell’ottica di “un patto di responsabilità” da un garante, sia esso lo
Stato o un soggetto terzo.
Anche nella teoria di Hardin viene in evidenza l’esigenza di un “controllore”che
sia amministratore e al tempo stesso garante delle regole.
“La legge amministrativa, che è giustamente temuta per un’antica ragione — Quis
custodiet ipsos custodes? — «Chi controlla i controllori?». John Adams ha detto che
dobbiamo avere “un governo di leggi e non di uomini”. Gli amministratori locali, nel
cercare di valutare la moralità delle azioni in base al contesto, sono
236
Cazzagon F., Le acque pubbliche nel Codice dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb, 2007
169
individualmente soggetti a corruzione, producendo un governo degli uomini, non
delle leggi”. 237
“.... La grande sfida che abbiamo di fronte oggi è l’ideazione dei sistemi di feedback
correttivo che sono necessari per far sì che i custodi siano onesti. Dobbiamo trovare
il modo di legittimare l’autorità necessaria tanto dei custodi quanto dei sistemi di
feedback correttivo”. 238
Nell’ordinamento giuridico italiano il c.d. Decreto legge sviluppo 70/2011
all’articolo 10 commi 11 e seguenti aveva ovviato alla carenza di un soggetto
terzo garante delle acque. Esso aveva previsto l’istituzione a partire dal 14
maggio 2011 di un’agenzia apposita per l’acqua: l’Agenzia nazionale di vigilanza
sulle risorse idriche, come organo indipendente dal Governo che opera in piena
autonomia. Essa principalmente avrebbe assolto alle funzioni di definire i livelli
minimi di qualità del servizio idrico ed esercitato poteri di vigilanza al riguardo;
definire le componenti di costo della tariffa relativa ai servizi idrici e predisporre
il metodo tariffario per la determinazione della stessa; verificare la corretta
redazione del piano d’ambito. Ad essa venivano attribuite le funzioni della
Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, soppressa dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. La nomina
dell’Agenzia sarebbe dovuta avvenire entro 30 giorno dall’entrata in vigore della
legge e fino a quel momento le funzioni di vigilanza avrebbero continuato ad
essere esercitate dalla Commissione.
Il decreto sviluppo è stato convertito con le legge di conversione 12 luglio 2011,
n. 106. Ma la legge n. 214 del 2011 (conversione del decreto legge n. 201 del
2011 - decreto cd "salva Italia") all’articolo 21 ha disposto la soppressione di vari
enti, fra i quali l’ Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di
acqua e la Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse idriche. I compiti
di regolazione e di vigilanza relativi ai servizi idrici sono attribuiti all’AEEG
(Autorità per l’energia elettrica e il gas).
Ciò premesso, un nodo cruciale su cui è necessario l’intervento di un soggetto
garante della salvaguardia della risorsa, sia esso lo Stato al tempo stesso
237
Hardin T., op. cit.
238
Hardin T., op. cit.
170
amministratore e organo controllare analogo ad una authority, oppure una
specifica autorità di settore con il compito di assicurare il miglior sfruttamento
del bene acqua, concerne il rilievo che le ultime misurazioni sulle risorse idriche
risalgono alla Conferenza sulle Acque del 1971 e i numeri usati e divulgati
tuttora sono soltanto elaborazioni statistiche. A ciò si aggiunga la circostanza che
il servizio idrico si occupa sostanzialmente solo degli usi civili, che coprono il 20
per cento dell’acqua consumata, quella potabile. Il resto delle risorse idriche è
usato in agricoltura239 (50 per cento), industria (20) e per scopi energetici.
239
REGIONE del VENETO, Giunta Regionale, Piano di Sviluppo Rurale
La centralità dei dati sulla situazione degli usi in agricoltura dell’acqua, nonché la conseguente
rilevanza delle politiche agricole ai fini di una razionale utilizzazione e protezione delle risorse
naturali, viene in evidenza, prendendo ad esempio sempre il caso del Veneto, esaminando un
qualsiasi progetto di richiesta di fondi comunitari per l’attuazione del piano di Sviluppo Rurale
della Regione. L'utilizzo razionale delle acque, anche in relazione agli usi plurimi delle stesse, e la
regimazione delle acque in eccesso sono due problemi fondamentali del territorio veneto che, per
le proprie peculiari caratteristiche territoriali, manifesta i due fenomeni con intensità e
frequenze molto eterogenee ma sempre in modo particolarmente grave. Obiettivo globale di
progetti per cui vengono richiesti finanziamenti comunitari è la salvaguardia e la razionale
utilizzazione di una risorsa importante qual è quella idrica, anche a livello aziendale, per
assicurare e migliorare le produzioni agricole, ed obiettivi specifici sono: la tutelare la risorsa
idrica, in termini di qualità e di disponibilità; la razionalizzare dell’uso dell’acqua al fine del
risparmio di risorse e riduzione dell’inquinamento anche da intrusione di acqua salata;
assicurare la possibilità di diversificazione produttiva e l’economicità di gestione; mantenere
l’acqua sul territorio come elemento fondamentale di supporto ad un assetto paesaggistico dove
prato e seminativo si accompagnano alle siepi; assicurare l’adduzione anche di acqua di qualità
non eccellente, idonea a soddisfare esigenze plurime. Obiettivi operativi invece sono
rappresentati da: risparmio della risorsa idrica anche a livello aziendale; riduzione dei fenomeni
di lisciviazione e percolamento; alimentare la ricarica della falda per garantire deflussi nei corsi
d’acqua di risorgiva; riduzione dell’emungimento della falda freatica; adeguamento, ripristino,
ottimizzazione delle condotte idriche obsolete e vulnerate dall’incontrollata urbanizzazione;
mantenimento dei minimi flussi vitali anche nei corsi d’acqua di bonifica e di irrigazione;
aumento della funzionalità e ammodernamento del servizio irriguo; assicurare sufficienti
dotazioni irrigue nelle aree collinari. Gli impatti che si prevedono di ottenere concernono
l'aspetto economico con un miglioramento del reddito delle imprese mediante una più razionale
utilizzazione delle acque di irrigazione ed un miglioramento della qualità delle produzioni e
l'aspetto ambientale in quanto i risparmi irrigui si traducono in una tesaurizzazione della risorsa
acqua ed una migliore gestione della medesima da parte dei consorzi di bonifica, mentre, quali
171
Gli esperti del settore affermano che, di questo “restante” 80 per cento, non si
occupa nessuno, sussistendo invece la necessità imprescindibile di un’analisi
condotta a 360 gradi, sia perché esiste un equilibrio fra le parti, sia perché
sussiste il rischio costante di conflitti fra i diversi usi, soprattutto quando la
risorsa, come l’acqua, è carente. Né può essere dimenticata l’assenza cronica di
conoscenza, pianificazione e controllo pubblico sulle acque in Italia, che riemerge
puntualmente a ogni emergenza o disastro, per poi essere accantonata di
nuovo240.
Un ulteriore cambiamento inerente il settore delle acque nell’ordinamento
italiano è stato introdotto dalla Legge 26 marzo 2010 n.42 che ha abolito le
Autorità d’ambito, senza però che le funzioni delle stesse siano state trasferite a
nuovi soggetti. Successivamente la soppressione delle Aato è stata rinviata
dapprima al 31 dicembre 2011 e, di nuovo, al 31 dicembre 2012 da parte del
decreto-legge c.d. "milleproroghe" approvato dal Consiglio dei Ministri il 23
dicembre 2011.
Nello specifico, la legge 26 marzo 2010, n. 42241 all’articolo 1-quinquies prevede
che
indicatori fisici di realizzazione dei progetti possono essere utilizzati il numero di progetti
finanziari, i consorzi di bonifica interessati, il numero di aziende agricole coinvolte nei progetti, le
superfici agricole interessate dalle iniziative ed infine i quantitativi di acqua oggetto di risparmio
con la realizzazione delle iniziative.
In questo senso il ruolo dei Consorzi di bonifica, Enti economici territoriali, appare estremamente
qualificati ed importante sia come servizio diretto alle imprese agricole per le attività da esse
svolte, sia in un'ottica più generale per i problemi di eliminazione delle acque dalle aree urbane e
periurbane che interagiscono in maniera sempre più stretta con il resto del territorio regionale.
Al fine di operare una programmazione concertata fra pubblico e privato delle iniziative sul
territorio e delle problematiche emergenti ciascun Consorzio di bonifica si è dotato del Piano
Generale di Bonifica e di Tutela del Territorio Rurale.
240
241
Pacilli A., Profitto fino all’ultima goccia, dossier sull'acqua del settimanale Carta
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante
interventi urgenti concernenti enti locali e regioni" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27
marzo 2010
172
“All'articolo 2, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186, e' inserito
il seguente:
«186-bis. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono
soppresse le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso
termine, ogni atto compiuto dalle Autorita' d'ambito territoriale e' da considerarsi
nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni
attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei
principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli
articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n.152 del 2006 sono efficaci in
ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al
periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il testo dell'art. 150, comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
come modificato dal DPR 168/2010 prevede invece che, in materia di “scelta
della forma di gestione e procedure di affidamento”, “L'Autorita' d'ambito, nel
rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarieta' della gestione per
ciascun ambito, decide la forma di gestione”.
Gli atti compiuti dagli Ato dopo la data indicata saranno da considerarsi nulli.
Mentre entro quella data «le regioni attribuiscono con legge le funzioni già
esercitate dagli Ato». Pertanto rimane compito delle regioni non più definirne i
confini ma attribuire le funzioni, sino ad ora svolte dagli Ato.
L’art. 1, comma 1 quinquies, della Legge 42/2010, si pone in direzione opposta
all’apposizioni di chiari limiti di responsabilità nel contesto del regime giuridico
delle acque, lasciando molti problemi irrisolti:
1) Quali soggetti possono essere destinatari delle funzioni da parte delle
Regioni, se gli Enti territoriali (Province e Comuni) oppure è lecito pensare a
soggetti diversi (Enti Regionali) o a nuove forme di cooperazione;
173
2) Cosa accade in caso di inerzia delle Regioni che non provvedano entro il
termine; chi subentrerà nei rapporti giuridici oggi facenti capo agli ATO, chi
compirà i relativi atti.
In merito al primo punto la ratio della norma non dovrebbe lasciare dubbi nel
ritenere che la volontà del legislatore è quella di eliminare Enti intermedi tra
Regioni, Province e Comuni, semplificando il sistema e riportando in capo agli
Enti costituzionalmente riconosciuti tutte le competenze. Risulta pertanto chiaro
che la volontà non può essere quella di creare nuovi consorzi tra Comuni – o
altre forme di cooperazione – quando per legge, dal 2011, devono essere
soppressi tutti quelli esistenti. La scelta razionale e obbligata appare quella di
trasferire le funzioni alle Province: L’UPI, Unione Province d’Italia, subito dopo
l’approvazione dell’emendamento alla legge di conversione del D. L. 2/2010, con
la previsione dell’abolizione degli ATO, con una nota ufficiale del 19 febbraio
scorso, ha sottolineato come le Province siano le istituzioni di area vasta che
meglio possono assolvere a tali funzioni, così scongiurando la nascita di nuove
agenzie regionali o enti strumentali che causerebbero un inutile aggravio di costi
e che vanificherebbero l’obiettivo della norma che prevede la soppressione degli
Enti. Le regioni però potrebbero anche optare per scelte diverse dalle province e
addirittura farle rimanere competenza diretta delle amministrazioni regionali:
potrebbe cioè essere la regione a svolgere le funzioni che sino ad ora sono state
attribuite agli Ato. L'ambito territoriale ottimale è un territorio su cui sono
organizzati servizi pubblici integrati, in particolare quello idrico e quello dei
rifiuti, introdotti per i servizi idrici dalla L. 36/94 (legge Galli) e per i rifiuti dal
Dlgs. 22/97 (decreto Ronchi) e confermati nel Testo unico ambientale (dlgs
152/2006). Gli Ato sono individuati dalle Regioni con apposita legge (nel caso
del servizio idrico integrato con riferimento ai bacini idrografici e dei rifiuti
principalmente alle province) e su di essi agiscono le Autorità d'Ambito,
strutture dotate di personalità giuridica che hanno il compito di organizzare,
affidare e controllano la gestione del servizio. Proprio le modalità di affidamento
del servizio - più volte riviste in successive norme e regolamenti hanno
determinato una inerzia nell'attività degli Ato. Qualsiasi saranno le scelte che le
regioni faranno, resta il fatto che la previsione della soppressione delle funzioni
sino ad ora svolte dalle autorità d'ambito porterà sicuramente una empasse nelle
174
loro attività. Con conseguenze facilmente immaginabili. Si pone infatti il tema di
come gestire le gare per l'affidamento del gestore dei servizi, che in alcuni casi
sono in fase avanzata e in altri prossime ad essere bandite.
Per quanto invece concerne l’eventuale inerzia delle Regioni, se le Regioni non
provvedono entro il termine del 27 marzo 2011, si determina un grave vuoto
normativo con imprevedibili conseguenze, soprattutto nei casi di contratti di
servizio già stipulati dagli ATO. La norma, sancendo la nullità di ogni atto
compiuto dall’ATO dopo il termine del 27 marzo 2011, esclude in radice ogni
possibilità di proroga implicita fino alle decisioni regionali. Si porrebbe un
problema di corresponsabilità nella gestione delle funzioni da parte degli Enti
Locali oggi costituenti gli ATO con complesse problematiche giuridico amministrative.
Né
sembrano
ipotizzabili
interventi
sostitutivi
o
commissariamenti da parte dello Stato. La scelta è dunque affidata alle Regioni
da cui ci si attendono rapide e razionali decisioni.
PARTE III La prospettiva comparata
Capitolo sesto
Possibili soluzioni da una prospettiva comparata
La tradizione pubblicistica dei Paesi Bassi nella gestione dell’acqua
1. Introduzione sull’utilità di uno spunto comparativo
L’Olanda è un paese storicamente associato alla gestione dell’acqua. Per
sopravvivere, infatti, gli olandesi hanno dovuto sviluppare un metodo altamente
sofisticato per convivere con essa. L’alta densità di popolazione (465 persone per
175
metro quadrato), unitamente ad una economia fortemente connessa al settore dei
trasporti, della navigazione e dei porti, determina una compressione della spazio
e dell’ambiente che necessita di essere affrontata con grande cautela e
lungimiranza. Per questo motivo nell’attività di pianificazione del territorio sono
da sempre coinvolti tutti i portatori di interessi più rilevanti, al fine di disegnare
un complesso di infrastrutture altamente sostenibile e il meno impattante
possibile. L’inizio della storia della gestione dell’acqua in Olanda può collocarsi
all'incirca intorno al nono secolo, connotata dalla continua difesa del territorio
dalle ricorrenti inondazioni, attraverso la costruzione di dighe e l’introduzione,
tra il 1250 e il 1600, dei mulini242. Il mantenimento delle costruzioni era però
molto costoso e, al fine di sopperire alle spese, in ciascuna comunità, ogni
agricoltore
era
responsabile
di
una
parte
determinata
della
diga.
Successivamente i comitati per l’acqua hanno iniziato a mantenere da soli le
strutture, al fine di garantire una certa qualità, e gli agricoltori sono stati
assoggettati a tassazione. Con gli anni sono state affinate tecniche ingegneristiche
sempre più sviluppate contro i rischi di alluvioni ma, il disastro del 1953, in cui
sono morte 1800 persone e sono stati arrecati pesantissimi danni a case e
proprietà, e il preoccupante aumento del livello dei fiumi a causa dei
cambiamenti climatici negli anni 1993 e 1995, ha costretto i Paesi Bassi ad
affrontare il problema cercando un nuovo approccio alla gestione delle acque, al
fine di creare un maggiore spazio per questa risorsa.
La prospettiva comparata con l’esperienza olandese ci consente di verificare la
fattibilità in termini di “esportazione” delle soluzioni attuate con successo in
Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le criticità del
sistema idrico italiano. Verrà al tal fine esaminato il quadro normativo olandese
in materia di acqua e servizio idrico e le sue peculiarità. I profili che
maggiormente
interessano
ai
fini
del
presente
lavoro
riguardano
il
coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il
particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese; un
242
Uitgeverij Matrijs, Parts from Man-made lowlands – History of water management and land
reclamation in the Netherlands., 1993.
176
sistema di copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa
idrica strutturata su componenti c.d. ambientali ed infine il ruolo chiave dei
“water boards”, autorità idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma
con caratteristiche differenti.
2. Quadro generale:sistema amministrativo e contesto generale dell’acqua
2.1. La gestione dell’acqua: innovazione e cooperazione
Una gestione idrica integrata può essere identificata in un uso della risorsa, dal
sottosuolo alla superficie, in termini di quantità, qualità e da un punto di vista
ecologico, derivato a un punto di vista multidisciplinare, che non prescinde da
doveri sociali di accessibilità. Centrale in questo approccio è la consapevolezza
che un ciclo dell’acqua efficiente ed ecologicamente compatibile sia la base di un
suo uso sostenibile : il c.d. “water system approach”243.
Alla base di questo approccio c’è la constatazione di un uso eccessivo ed intensivo
delle risorse naturali e la convinzione che ogni settore interessato dal ciclo idrico
debba incentrarsi sul riuso delle materie prime, sull’impiego di diversi tipi di
risorse, affinando le conoscenze e definendo in modo specifico le responsabilità e
una politica di cooperazione. In particolare è la cooperazione che è stata posta
alla base del “water management”: i ministri, le amministrazioni regionali e locali,
i water boards (consigli dell’acqua) e le compagnie di fornitura di acqua potabile
sono tutti coinvolti nel processo di gestione idrica.
Il governo olandese ha dimostrato la ferma intenzione di garantire la sicurezza in
materia creando una rete legale ed istituzionale nel settore e garantendo
l’accesso generalizzato all’acqua potabile, la trasparenza della gestione del c.d.
“water system” e la piena partecipazione di tutti i cittadini nel processo
decisionale. In tale direzione I Paesi Bassi hanno sviluppato una infrastruttura
cognitiva unica e coerente, che ricomprende centri di ricerca sia statali che
privati, istituti tecnologici e di formazione (come ad es. Alterra, UNESCO-IHE, ITC,
RIZA, WL|Delft Hydraulics) e parecchie università. In queste realtà viene
sviluppata una vasta gamma di ricerche sui settori direttamente e indirettamente
243
Dutch Ministry of Transport, Public Works and Water Management
177
collegati all’acqua, dall’ingegneria idraulica alla gestione integrata. Gli istituti
hanno inoltre creato delle connessioni con compagnie private che utilizzano le
conoscenze in essi prodotte al fine di migliorare le proprie prestazioni. Molti sono
gli investimenti pubblici nel campo della ricerca in materia, come conseguenza
diretta dell’importanza primaria che il settore idrico riveste nell’economia del
Paese, ricerche orientate all’innovazione e allo sviluppo di un Istituto di prima
classe in materia di tecnologia idrica (Technological First Class Institute Water
Technology) sotto il monitoraggio del ministero degli Affari Economici.
Anche le organizzazioni non governative (NGO) hanno in Olanda una solida base
istituzionale e finanziaria, alla stregua di un focus internazionale. Esse sono
coinvolte nel processo decisionale in materia di acqua, e questo anche a livello
internazionale, attraverso la partecipazione agli incontri più importanti.
Nell’ultimo decennio le ONG olandesi sono state coinvolte in molti progetti
internazionali, in materia di irrigazione, capacity building, danni da inondazioni,
in cooperazione con il governo. Oltre a ciò viene incoraggiata la presenza stabile
delle organizzazioni internazionali sul territorio dei Paesi Bassi: la loro presenza
viene infatti ritenuta determinante al fine di migliorare l’interazione con i
ministeri e gli istituiti di ricerca.
Il settore idrico olandese offre quindi una combinazione unica tra soggetti
pubblici, istituti di ricerca, organizzazioni non governative ed esperti del settore
privato che lavorano in partnership per l’acqua.
A livello istituzionale i soggetti che in Olanda si occupano della amministrazione
del servizio idrico ( e delle acque in genere) sono: i w.b., il governo e le province
(che realizzano il governo regionale e corrispondono dunque alle nostre regioni).
La politica idrica viene formulata in delle linee giuda governative ed il governo
centrale è responsabile per l’amministrazione dei corsi d’acqua nazionali e per le
opere primarie di difesa delle alluvioni. Entro il quadro delineato dal governo
nazionale le province definiscono la loro politica per i corsi d’acqua non
nazionali (locali). I w.b. e i comuni si occupano della gestione idrica e delle
politiche di implementazione. I Comuni hanno compiti di costruzione e
mantenimento delle fogne nelle aree urbane mentre i w.b. esercitano le proprie
funzioni sia in aree urbane che rurali.
178
A livello di governo centrale diversi sono, come anticipato, i ministeri che si
occupano di acqua a seconda dello specifico settore di competenza: il ministero
dei Trasporti, Lavori Pubblici e Gestione Idrica si occupa di garantire la
protezione del Paese contro l’acqua; il ministro dell’Ambiente e della
Pianificazione invece coordina le politiche ambientali a livello governativo ed il
ministro dell’Agricoltura quelle agricole. Inoltre il ministro degli Affari Economici
gioca un ruolo decisivo in materia di innovazione nel settore idrico: l’acqua è
indicata come una delle quattro aree chiave per l’innovazione in Olanda. Infine il
ministro degli Esteri supporta i paesi in via di sviluppo nella costruzione di
impianti per l’acqua potabile e servizi igienici e nell’attuazione di sistemi di
gestione integrata, aiutandoli a promuovere le riforme necessarie nel settore
idrico e ad aumentare le proprie conoscenze in materia.
Il soggetto responsabile del mantenimento di un sistema idrico sostenibile ad un
costo accettabile per la società è il Direttorato Generale per gli Affari Idrici, che
funge da nesso tra soggetti pubblici e privati: ciò che la società considera
accettabile, in termini di benefici e costi, determina cosa può e deve accadere.
Responsabili della qualità e quantità dell’acqua a livello regionale in Olanda,
insieme con il Dipartimento per i lavori Pubblici e delle Risorse Idriche, sono i
“water boards” (comitati/consigli per l’acqua). Essi si occupano di monitorare i
livelli fisici dell’acqua nella loro regione e, se necessario, delle acque di scarico,
oltre ad essere competenti in materia di trattamento delle acque reflue, controllo
della qualità delle acque superficiali e del mantenimento di corsi d'acqua e
canali. L'organizzazione che riunisce i water boards è l’Unie van Waterschappen.
2.2 Unificazione normativa nel Nuovo General Water Act (2008)
Il 2008 è stato un anno importante per tutti i soggetti coinvolti nel processo della
filiera idrica: il governo ha appunto redatto l’ “Act”, un nuovo Water Act, di
carattere generale, successivamente rivisto dal Parlamento, che ha consolidato e
sostituito gli otto atti già esistenti ed ha introdotto nuove misure di protezione
dell’acqua 244.
244
Bulletin of Acts and Decrees 1009, 490. Per questo atto vedi Water Act Guide, edito da H.J.M.
Havekes and P.J. de Putter, Kluwer, Alphen aan den Rijn, 2009
179
“Un nuovo Atto sulla gestione dell’acqua: l’Olanda mira con esso a realizzare un
sistema integrato e a centrare gli obiettivi comunitari in materia”245.
Fino all’emanazione di questo atto la legislazione olandese in materia era
piuttosto frammentaria: esistevano infatti normative separate per ogni segmento
della gestione idrica. Tutte queste leggi avevano inoltre la propria pesante
struttura con propri strumenti, procedure e sistemi di ricorsi. Questa
frammentazione può essere spiegata da un punto di vista storico: una nuova
legge di solito veniva emanata come risultato di un “disastro” (ad esempio, siccità
prolungata o imminente inondazione) ma essa ostacolava la pratica riuscita e
fattibilità e, spesso, ignorava la coesione intrinseca con la gestione della acque. Il
governo olandese ha poi compreso questo fatto e, in parte grazie anche
l’insistenza della Camera Olandese dei Rappresentanti (Dutch House of
Representatives), ha integrato con successo le varie leggi con l’aspetto primario
del controllo idrico. La direttiva quadro sulle acque, che prevede l’integrazione di
molte linee guida sull’acqua a livello europeo, è anche in linea con questa
iniziativa. Il Water Act è stato accettato dal Parlamento ed è appunto entrato in
vigore il 22 dicembre 2009. Esso integra:
• la legge sull’inquinamento delle acque di superficie (Pollution of Surface Waters
Act);
• la legge sull’inquinamento marino(Marine Pollution Act);
• la legge sulle acque del sottosuolo (Groundwater Act);
• la legge sulla gestione dell’acqua (Water Management Act);
• la legge sulle difese dalle inondazioni (Flood Defences Act);
• la legge sulla bonifica dei terreni e sugli argini (Land Reclamation and Dykes
Act);
• la legge sulle opere pubbliche del 1900 relativamente alla previsione in essa
contenuta sulla gestione dell’acqua (Management of Engineering Structures Act) .
245
Netherlands: New Dutch Water Legislation, Articolo di Clifford Chance, Gruppo mondiale per
l'ambiente, 21 August 2008
180
Anche la normativa per i letti inquinati, contenuta nella legge sulla protezione
del suolo (Soil Protection Act ), è stata integrata.
Il Water Act è stato successivamente rielaborato nel Decreto sull’Acqua (Water
Decree) nella Water Regulation e nelle leggi emanate dalle province e dalle water
authorities regionali (di cui si dirà nel paragrafo 4) . L’obiettivo più importante
del Water Act è quello di facilitare il governo integrato delle acque e alla base c’è
la convinzione che ciò sia maggiormente perseguibile con una sola legge
piuttosto che con otto differenti normative. Un’altra ragione alla base
dell’”integrazione” è quella di ridurre la pressione amministrativa sulla
comunità economica: anziché richiede sei diversi permessi la nuova legge
prevede un unico permesso per le attività correlate in qualche modo alla
gestione idrica. Il Water Act mira inoltre a realizzare una semplificazione
dell’implementazione della normativa europea in materia di acqua: oltre ad
essere molto più trasparente, attualmente quasi tutta la regolamentazione
olandese sull’acqua è fusa in un unico atto. Tuttavia la normativa sulle water
authorities è ancora contenuta nel Water Board Act, la gestione (municipale)
delle acque di scarico è disciplinata dal Environmental Management Act ed il
Drinking Water Act si occupa della fornitura di acqua da bere. Infine, sebbene il
Water Act derivi da otto differenti atti, prevede anche un numero di nuovi
elementi che permettono a chi gestisce l’acqua di meglio provvedere ai propri
compiti, compreso il rafforzamento della relazione tra il governo delle acque e la
pianificazione dello spazio territoriale, l’obbligo di registrazione delle strutture
di controllo dell’acqua, gli standards relativi al rischio di inondazione, l’ampio
uso di una procedura progettuale, l’obbligo di tolleranza delle riserve d’acqua, il
ruolo decisivo delle r.w.a. nella gestione delle acque del sottosuolo e l’obbligo di
coordinamento con tra le r.w.a. e i comuni.
Quanto agli obiettivi specifici dell’Atto, essi sono identificabili con la
prevenzione delle inondazioni e della scarsità di acqua così come con la
protezione ed il miglioramento della qualità chimica ed ecologica del c.d. water
system : in pratica raggiungere un sistema di gestione idrica integrata ad opera
delle autorità pubbliche.
Ci sono tre aree principali in cui l’Act modifica la legislazione esistente:
innanzitutto viene previsto, come sopra menzionato, un solo permesso per tutte
181
le attività idriche impattanti sull’ambiente. Precedentemente, invece, esistevano
sei permessi separati rispettivamente per: il drenaggio delle sostanze
inquinanti; il drenaggio di acqua pulita; l’estrazione di acqua dal suolo; le
infiltrazioni nel sottosuolo; le attività nelle acque comuni (es. attività ricreative)
e infine lo scarico in mare e la realizzazione di opere pubbliche.
Inoltre, la legge olandese, prima della riforma, consentiva agli individui e alle
imprese di chiedere il risarcimento dei danni causati da decisioni politiche da
parte delle autorità pubbliche (come i comuni, le aziende idriche della zona e
Province), che sono responsabili della gestione delle acque in relazione alle
persone e alle imprese. A titolo di esempio, il risarcimento operava quando il
danno era stato causato al materiale elettrico in un seminterrato da una
decisione delle autorità a non intervenire per alleviare il rischio di alluvione. A
seguito delle riforme previste dalla legge, gli indennizzi per tali danni sono
limitati. Il danno è risarcibile soltanto se è '"sproporzionato", cioè il danno non
copre il rischio cosiddetto ‘sociale’ (questo concetto riflette il principio che gli
individui devono assumersi la responsabilità ordinaria di rischi ogni giorno); un
aspetto importante nel determinare il ‘rischio sociale’è la misura in cui il danno
è stato previsto (ad esempio, un danno irreparabile alle apparecchiature
elettriche a causa di imprevedibili circostanze straordinarie sarebbe ancora
risarcibile).
Infine, in termini di attuazione della Direttiva c.d. Acque, l’Act rappresenta un
significativo volano per una nuova politica idrica in Olanda e con esso il Paese
mira a realizzare gli standards di potenza ecologica previsti dalla normativa
europea per tutti i corpi idrici entro il 2015.
3. Sistema di gestione
3.1 Nozione di gestione idrica
Il concetto di “gestione idrica” può essere descritto come quella parte dei compiti
pubblici che riguardano la protezione dalle inondazioni, il regime delle acque
182
(acque di superficie e del sottosuolo dal punto di vista sia qualitativo che
quantitativo) e i corsi d’acqua.246
Esso è focalizzato sulla abitabilità e utilizzabilità della terra e sulla protezione ed
il miglioramento dell’ambiente vitale. L’articolo 21 della Costituzione Olandese
così recita:
“L’attenzione del governo è rivolta all’abitabilità del paese e alla protezione e
miglioramento dell’ambiente”.
(‘Government care is aimed at the habitability of the country and the protection
and improvement of the environment’).
L’importanza di una buona gestione delle acque si è accresciuta come risultato
dell’aumento del livello del mare, dei cambiamenti climatici, l’abbassarsi delle
terre e l’urbanizzazione.
La gestione delle acque viene realizzata attraverso delle opere infrastrutturali
(dighe, opere di contenimento dei corsi d’acqua, ponti, argini etc.). Questi lavori
sono di importanza cruciale per rendere i Paesi Bassi abitabili e le autorità
regionali
si
occupano
di
salvaguardare
il
corretto
mantenimento
e
funzionamento di queste strutture. Ad esempio è assolutamente vietato iniziare
attività quali costruzioni, scavi e serre senza il loro permesso. Il codice penale
olandese considera punibile la condotta di chi deliberatamente danneggi le opere
infrastrutturali: ciò a conferma dell’importanza vitale di tali lavori per l’Olanda.
Sei autorità regionali sono competenti anche in materia di gestione delle strade:
sebbene infatti questa funzione non sia strettamente correlata alla gestione delle
acque, essa ricade nel concetto di “Lavori pubblici e Gestione Idrica”.
Sebbene la gestione dell’acqua sia un settore separato dalla responsabilità del
governo nazionale, ha molto in comune con altri diversi campi di attività della
politica nazionale, come la pianificazione dello spazio, la protezione
dell’ambiente e la conservazione della natura. E’ pertanto vitale adattare le
decisioni relative a queste politiche a quelle adottate negli altri settori connessi.
246
Herman Havekes, Martin Koster, Wijnand Dekking, Cathelijn Peters, Rafaël Lazaroms ,Rob
Uijterlinde, Ron Walkier (NWB Bank), Water governance, The Dutch regional water authority
model, Edition Unie van Waterschappen, , 2010
183
Il concetto di “gestione integrata dell’acqua” è spesso usato proprio nel rispetto
di quanto appena detto: esso cioè non tiene soltanto conto delle relazioni con
l’attività di gestione in sè (quantità e qualità delle acque di superficiali e del
sottosuolo), ma anche delle politiche settoriali precedentemente elencate.
Questo è esemplificato dal fatto che la legge stabilisce che i piani provinciali e
comunali, nel campo appunto della pianificazione territoriale, devono indicare le
conseguenze che essi comportano in termini di gestione dell’acqua. L’obiettivo di
questa disposizione è quello di prevenire la costruzione di nuove aree urbane o
industriali in zone che sono considerate non utilizzabili dal punto di vista della
gestione idrica. Il fatto che, riguardo agli aspetti territoriali, il recente Water Act
indichi il Piano Idrico Nazionale ed i piani regionali delle province come “concetti
strutturali” entro il significato dello Spatial Planning Act, deve essere considerato
nel suddetto contesto di stretta interdipendenza tra la pianificazione dello spazio
fisico e la gestione idrica.
3.2 Evoluzione delle water companies olandesi
In Olanda l’estrazione, la produzione e la distribuzione dell’acqua sono
principalmente in mano alle compagnie mentre la raccolta delle acque di scarico
rientra nei compiti dei comuni. Il trattamento delle stesse, pur essendo di
competenza delle province (Pollution of Surface Waters Act del 1970), molto
spesso viene da esse delegato ai water boards (paragrafo 4).
Le compagnie idriche olandesi - Public Water PLC (government-owned public
limited company - sono a metà tra utilities di proprietà pubblica e una società
privata: esse sono società pubbliche ma incorporate come compagnie private e
dunque sono anche soggette alla regolamentazione e alle regole in materia di
commercio e affari.247 La maggior parte delle quote sono comunque detenute dal
governo provinciale. Sono state originariamente create dalle autorità pubbliche
che apprezzavano i benefici per la collettività derivanti dalla loro istituzione. La
prima water supply company fu creata dai comuni urbani mentre, per le realtà
rurali e gli insediamenti più piccoli, le compagnie idriche furono istituite
247
Blokland, M., O. Braadbaardt, K. Schwartz (eds.), Private Business, Public Owners. Government
Shareholdings in Water Enterprises, study sponsored by the Dutch Ministry of VROM and the
Water Supply and Sanitation Collaborative Council, Den Haag, 1999.
184
successivamente per mano delle autorità provinciali e con il tempo hanno
assunto dimensioni tali da rifornire un’intera provincia. I motivi del ruolo
principale delle province nel guidare il loro sviluppo sono sostanzialmente due:
innanzitutto la volontà di assicurare ai cittadini la fornitura di acqua da bere di
buona qualità ad un prezzo ragionevole - 100.000 collegamenti alla rete erano
considerati un requisito minimo per le compagnie - ; secondariamente i loro
compiti strategici in materia di gestione delle acque del sottosuolo, in particolare
il potere di permettere o vietare l’estrazione delle stesse per la produzione di
acqua da bere. Nel 1945 il settore idrico olandese era fortemente frammentato
con più di 200 compagnie. Il loro numero è poi gradualmente sceso a dieci nei
cinque decenni seguenti. Una delle ragioni principali è stato lo spostamento
dell’attenzione dalle acque di sottosuolo a quelle di superficie, unitamente alla
necessità di realizzare un complesso sistema di trattamento che ha richiesto la
cooperazione delle municipalità. Un altro motivo è costituito dalla tendenza,
assunta dal governo nazionale, ad incoraggiare la creazione di compagnie
controllate più ampie attraverso una legge del 1975248. Tale tendenza
contrastava però con la volontà delle compagnie di realizzare economia di scala e
di essere competitive in un mercato europeo liberalizzato. Dal 1997 le
compagnie iniziarono ad esercitare la pratica del benchmarking249, in modo da
migliorare l’efficienza ed incrementare la trasparenza. Il benchmarking olandese
copre quattro aree: la qualità dell’acqua, il servizio, la protezione dell’ambiente e
248
Vewin Presentation 2006
http://www.iwahq.org/uploads/iwa%20hq/website%20files/utilities/benchmarking_amsterda
m_06/IWA%20conference%20on%20benchmarking%202006_04_Theo%20Schmitz.pdf
249
Con benchmark o, più spesso e coerentemente con la voce inglese "benchmarking” in
economia si intende una metodologia basata sul confronto sistematico che permette alle aziende
che lo applicano di compararsi con le migliori e soprattutto di apprendere da queste per
migliorare. Sul tema vedi: Roberto Centazzo, Il Benchamrking nelle PMI.Applicazioni della
metodologia del benchmarking nei distretti industriali, nei sistemi territoriali e nelle reti di piccole e
medie imprese italiane., F. Angeli editore, 2002; Landi, Il marketing di acquisto, Angeli editore,
1979; R. Camp, Benchmarking. Come analizzare le prassi delle aziende migliori per diventare i
primi, Itaca, 1991; U. Bocchino, Il benchmarking, uno strumento innovativo per la pianificazione ed
il controllo strategico, Giufré editore, 1994; U. Bocchino, Manuale di benchmarking, Giuffré
editore, 1994; P. Ceccarelli; Calia G., Vincere con il benchmarking. La gestione aziendale attraverso
il confronto, Sperling & Kupfer, 1979.
185
l’efficienza. Quello olandese è stato il primo esercizio di tale pratica nel settore
della fornitura idrica nell’Europa continentale250 ed ha ispirato paesi come
Danimarca, Finlandia, Norvegia e Germania.
Il Waterleidingwet del 2004 rappresenta un atto significativo nella storia
olandese della gestione pubblica dell’acqua: con esso si introduce infatti il divieto
per le compagne private di fornire acqua al pubblico. Essa rappresenta lo
sviluppo di un progetto del governo in cui si esprime chiaramente la volontà di
accordare le concessioni per la fornitura di acqua soltanto alle compagnie
pubbliche. Considerato comunque che la maggior parte delle compagnie idriche
olandesi erano già pubbliche, ciò, a livello interno, non ha prodotto rilevanti
cambiamenti, mentre ha impedito di fatto l’ingresso di soggetti esterni di natura
privatistica.
Attualmente in Olanda dieci public regional water companies sono responsabili
della fornitura di acqua potabile: esse lavorano in sinergia tra loro e sono
unitariamente rappresentate dall’associazione Vewin, che le supporta nel
raggiungimento dei loro risultati strategici.
Molti dei loro servizi, come le relazioni con i clienti e le riparazioni dei guasti,
vengono da esse affidati a soggetti privati. Fino al 2011 esisteva soltanto una
piccola compagnia idrica privata olandese - NV Bronwaterleiding Doorn - che
forniva acqua potabile nel comune di Doorn e che nel 2011 è stata acquisita dalla
più vicina public company, Vitens, in base a quanto stabilito al Water Drinking
Act.
Se si vuol dunque parlare di settore privato dell’acqua in Olanda, bisogna riferirsi
a numerose compagnie che vengono coinvolte nell’ingegneria idraulica, nella
progettazione e realizzazione di progetti, aziende di consulenza e banche. Molte
di queste compagnie hanno un focus internazionale, soprattutto quelle
interessate
dallo sviluppo tecnologico e
dall’implementazione
nell’area
dell’ingegneria idraulica, fornitura e depurazione di acqua. Ad esempio il
250
Vewin Presentation 2006
http://www.iwahq.org/uploads/iwa%20hq/website%20files/utilities/benchmarking_amsterda
m_06/
WA%20conference%20on%20benchmarking%202006_04_Theo%20Schmitz.pdf
186
processo della desalinizzazione e purificazione è ben conosciuto e alcune
compagnie olandesi sono all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie innovative
per l’ingegneria civile idraulica.
In Olanda attualmente la garanzia di un sufficiente apporto di acqua potabile è
affidata a diversi soggetti che cooperano tra loro: oltre alle società di
distribuzione idrica, un ruolo chiave è assolto dal governo nazionale e dalle
province. Ciascuna parte ha il proprio compito. In una simile organizzazione ogni
parte ha il suo ruolo ben preciso e proprio questa divisione dei compiti, in un
sistema integrato, voluto e largamente condiviso da tutti gli attori, sta la forza
della “gestione” in senso lato del settore idrico olandese. Nessun soggetto
potrebbe infatti operare senza il supporto degli altri: è la rete che garantisce la
buona riuscita di ciascuno nel proprio ambito di competenza.
Le dieci compagnie idriche esistenti assicurano che acqua da bere sicura sgorghi
dal rubinetto 24 ore su 24: la fornitura idrica è costantemente garantita. Esse
estraggono acqua dal suolo, fiumi, canali e laghi, la depurano e la rendono sicura
per i consumatori e sono responsabili della manutenzione e qualità di tutte le
condutture che arrivano al contatore dell’acqua. I proprietari delle abitazioni
invece sono responsabili delle linee idriche all’interno dell’abitazione. Questo
sistema integrato permette di verificare continuamente lo stato degli impianti e
di affermare che la rete di distribuzione del settore dell’acqua potabile olandese
è in uno stato eccellente. Le perdite sono infatti intorno al 6% mentre in altri
Paesi europei è spesso al 12% o più.
3.3 Sistema di copertura dei costi
I costi dell’estrazione, produzione e distribuzione di acqua potabile sono espressi
nel prezzo che i consumatori pagano per metro cubo. I costi di distribuzione
costituiscono la parte maggiore del prezzo. Le compagnie fronteggiano eventuali
rischi di aumento dei costi migliorando continuamente la qualità dell’acqua e
investendo in tecnologie di purificazione o prevenendo la contaminazione delle
risorse idriche. Ogni compagnia fissa il proprio prezzo. Il prezzo medio per metro
cubo di acqua potabile in Olanda rappresenta la terza tariffa più alta tra quelle di
187
undici paesi europei, compresi Germania e Danimarca 251. In questo prezzo sono
però incluse l’imposta provinciale per la conservazione delle acque sotterranee
(circa due centesimi per metro cubo) e la tassa nazionale (circa 34 centesimi per
metro cubo) denominata “green tax” sulle acque sotterranee come risorse
naturali. Un importante risultato delle compagnie idriche olandesi, in confronto
ad altri paesi, è costituito dal fatto che l’acqua non contiene alcun additivo.
I comuni invece, dal loro canto, possono evocare a sé tutti i costi di mantenimento
della rete fognaria oppure, come spesso accade, li includono nella tassa sulla
proprietà, che per loro rappresenta la fonte generale di entrata.
Sempre in tema di costi, in Olanda è pacificamente accettato che il trenta per
cento del costo di purificazione dell’acqua può essere attributo all’acqua piovana,
nel senso che il più importante fattore di costo è la capacità idraulica richiesta
per pomparla dalla rete fognaria. Oltre a ciò, ogni water board (paragrafo 4) fissa
il proprio prezzo per unità di inquinamento. In Olanda il prezzo medio per il
trattamento dell’acqua per abitazione (3 pollution units) è di circa Euro 136.00
all’anno (NLG 300.00). I costi per questa gestione della qualità delle acque sono
distribuiti su un numero di “unità di inquinamento equivalenti” attraverso la
tassa sull’inquinamento, che di fatto crea una sorta di meccanismo di
determinazione del prezzo. I costi per la qualità dell’acqua, oltre al numero delle
unità di inquinamento che devono essere trattate, sono anche determinati dagli
elevati standards di qualità richiesti.
Complessivamente il prezzo dell’acqua potabile è costituito da tre elementi: il
prezzo stabilito dalla water company per il servizio di fornitura; la tassa fissata
dagli w.b. per il trattamento delle acque reflue e le imposte municipali di
fognatura: una somma per la costruzione ed il mantenimento della rete fognaria.
3.4 Divieto di fornitura privata di acqua (Waterleidingwet 2004)
Venendo allo specifico del Drinking Water Act del 2004, esso innanzitutto
modernizza le leggi esistenti in materia di gestione idrica ed inoltre sostituisce
251
TIRET A.,Présentation des services publics de l’eau et de l’assainissement en France, Symposium
de Cannes 25 juin 2008
188
diversi Atti ormai parzialmente obsoleti: il Water Resources Management Act, i
Pollution of Surface Water Act e Pollution of Sea Water Act, il Groundwater Act, l’
Act on Reclamation and Embankment, il Flood Defences Act, l’ Act on Water Works
e il Water State Act 1900. Gli Atti menzionati sono abrogati dalla nuova
legislazione, ad eccezione degli ultimi due.
Il Waterleidingwet del 2004 affonda le sue radici in un progetto di legge del 2000
presentato dal Ministro dell’Ambiente olandese, Jan Pronk, per impedire alle
compagnie private di occuparsi della fornitura dell’acqua al fine di conservare, in
capo alle compagnie pubbliche, diritti esclusivi di produzione e distribuzione di
acqua potabile nelle zone di loro competenza252.
Nel 2001 una legge di questo tipo è stata abbozzata ma poi accantonata nel 2002,
dopo le dimissioni del governo allora in carica e l’insediamento del successivo. La
proposta di legge può essere considerata come il seguito di un documento del
governo del 1997 con il quale si affermava esplicitamente che le concessioni per
la fornitura di acqua potabile sarebbero state date soltanto a compagnie di
proprietà dello Stato253.
a. Forma legale di proibizione della fornitura privata di acqua potabile
La nuova legge sull’acqua da bere (Drinking Water Act) del 2004 riguarda
appunto soltanto l’acqua potabile e non il trattamento delle acque reflue. Essa254
stabilisce che i servizi di fornitura di acqua potabile ai consumatori possono
essere gestiti soltanto da “gekwalificeerde rechtspersoon” ovvero persone
legalmente qualificate. Secondo la legge sono persone legalmente qualificate
quelle entità al 100% pubbliche o di proprietà pubblica.
L’articolo 1f specifica i soggetti rientranti nella categoria:
1. “publiekrechtelijke rechtspersoon”, (persone legalmente qualificate), come
252
WaterForum Online, 7 Sep 2001
253
Blokland, Maarten; Braadbaart, Okke; and Schwartz, Klaas (eds 1999), Private Business, Public
Owners: Government Shareholdings in Water Companies, International Institute for Infrastructural,
Hydraulic and Environmental Engineering (IHE), p39
254
Eerste Kamer der Staten-Generaal (2003), 28 339: Wijziging van de Waterleidingwet (eigendom
waterleidingbedrijven), 9 December 2003
189
stato, province, municipalità e comitati idrici;
2. “naamloze or besloten vennootschap” (compagnie pubbliche o private a
responsabilità limitata) alle seguenti condizioni:
i.
lo statuto prevede che tutto il capitale della compagnia è detenuto
direttamente o indirettamente da persone giuridiche pubbliche;
ii.
i poteri di controllo della compagnia non possono essere ceduti né
condivisi con soggetti diversi da persone giuridiche pubbliche o
altre compagnie così come definite in questo articolo.
3. “coöperatie” (joint venture) i cui membri rispondono alle condizioni di cui
al punto 2.
L’articolo 1g aggiunge:
“bestaand waterleidingbedrijf” (compagnie per l’acqua esistenti), che alla data
del primo settembre 2000 si occupavano della fornitura di acqua potabile, così
come il loro legale successore, purchè questo sia persona giuridica qualificata.
La forma giuridica del divieto previsto dall’articolo 3i è la proibizione di tutta la
produzione e la fornitura di acqua da bere ai consumatori:
Articolo 3i
“E’ vietato
a) produrre acqua da bere per i consumatori o
b) fornire acqua da bere ai consumatori”.
L’articolo 3j poi elimina il divieto per alcune organizzazioni e solo in determinate
circostanze: le compagnie per l’acqua controllate da “persone legalmente
qualificate” (“qualified legal persons”).
Articolo 3j
“1. Il divieto di cui all’articolo 3i, nel rispetto della parte a, non si applica:
alle compagnie per l’acqua esistenti sotto l’esclusivo controllo di persone
legalmente qualificate.
190
Gli articoli successivi prevedono alcuni specifici chiarimenti per assicurare che il
divieto non venga aggirato:
Articolo 3m:
“ E’ proibito creare una transazione legale il cui risultato sia che, direttamente o
indirettamente, solo o insieme con altre parti, qualcuno guadagni il controllo o la
gestione di una compagnia per l’acqua o parte di essa”.
Le responsabilità per e del controllo di questo servizio possono comunque
essere passate ad un’altra compagnia per l’acqua a condizione che questa sia
esclusivamente controllata da persone legalmente qualificate (Art 3k).
L’articolo 3n specifica poi un numero di azioni che cadono sotto la previsione
dell’articolo 3m:
“a: i cambiamenti in termini statutari di una compagnia, come la concessione a
terze parti, non persone legalmente qualificate, di diventare co-proprietari;
b: il trasferimento di parti del capitale sociale di una compagnia per l’acqua a terze
parti come nella previsione di cui alla lettera a;
c: il trasferimento a terze parti della proprietà delle opere di trattamento delle
acque o delle opere necessarie alla produzione dell’acqua da bere all’interno di una
compagnia per l’acqua”.
b. Il rapporto tra le legge sull’acqua olandese e la legislazione europea
Il Parlamento olandese, all’epoca dell’emanazione del Drinking Water Act, era
consapevole che questa legislazione sulle operazioni “fuori legge” dei privati in
materia di servizi idrici non fosse in contrasto con la normativa europea: si
considerava infatti il settore di libera regolazione da parte degli Stati membri
fino a quando non fossero intervenute misure europee255. Si riteneva che non ci
255
Tweede Kamer der Staten-Generaal 2 Vergaderjaar 2001–2002 28 339 Wijziging van de
Waterleidingwet (eigendomwaterleidingbedrijven) Nr. 3 MEMORIE VAN TOELICHTING. Summary
per Jan Willem Goudriaan.
191
fosse alcuna direttiva europea che impedisse agli Stati membri di dichiarare
illegale la privatizzazione dell’acqua, sia per mezzo della vendita che per delega o
concessione. All’epoca non esisteva infatti una direttiva che imponesse una
qualche forma di liberalizzazione nel settore delle acque. La Comunità Europea
propose di considerare una previsione di questo tipo nel 2003, ma la vicenda è
stata molto controversa e la proposta è stata specificamente respinta da una
risoluzione del Parlamento europeo nel marzo 2004:
"47. respinge i tentativi di rendere i servizi idrici e di smaltimento dei rifiuti
oggetto di direttive settoriali del mercato unico, ritiene che la liberalizzazione
dell'approvvigionamento idrico (compreso lo smaltimento delle acque reflue) non
dovrebbe essere effettuata in considerazione delle peculiarità regionali del settore
e della responsabilità locale per la fornitura di acqua potabile, nonché di varie
altre condizioni relative all'acqua potabile; chiede tuttavia che, senza giungere alla
liberalizzazione la fornitura di acqua potabile sia 'modernizzata' con i principi
economici in conformità con la qualità e della tutela ambientale e le esigenze di
efficienza; 48. È del parere che l'acqua e i servizi di rifiuti non dovrebbero essere
oggetto di direttive comunitarie settoriali, ma sottolinea il fatto che l'Unione
dovrebbe mantenere la sua piena responsabilità per questi settori in termini di
qualità e di tutela ambientale "256.
Il successivo libro bianco dell’Unione Europea sui servizi di interesse generale
evidenziava come "sono espresse opinioni divergenti sulla questione come se fosse
auspicabile, a livello comunitario, un preciso quadro regolatorio ... Nessun accordo
esiste per quanto riguarda l'apertura del settore delle acque a livello comunitario",
e afferma soltanto che: " Per quanto riguarda il settore idrico, la Commissione
pubblicherà entro la fine dell'anno i risultati della valutazione sulla quale si è
impegnata "257.
256
European Parliament Texts Adopted by Parliament Provisional Edition : 14/01/2004 Services
of general interest P5_TA-PROV(2004)0018 A5-0484/2003 European Parliament resolution on
the Green Paper on services of general interest (COM(2003) 270 - 2003/2152(INI))
257
COM(2004) 374 White Paper on services of general interest Section 4.
192
Il libro bianco dell’UE sui servizi di interesse generale nel 2004 affermava poi
espressamente che la proposta di direttiva non imponeva alcun obbligo di
ristrutturare il settore idrico: "in questa proposta, determinate attività che
possono essere considerate da parte degli Stati membri come servizi di interesse
economico generale, sono escluse dall'ambito di applicazione della proposta, come
i trasporti, o sono soggette a deroghe del paese d'origine principale, come i servizi
postali e di elettricità, gas e servizi di distribuzione dell'acqua. Più importante, la
proposta non fa obbligo agli Stati membri di aprire i servizi di interesse economico
generale alla concorrenza, né interferisce con il modo in cui essi sono finanziati o
organizzati "258.
La direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva Servizi
2006/123/UE) è stata adottata dal Consiglio europeo nel 2006.
4. Ruolo dei “water boards”
4.1 Premessa
Il modello regionale delle autorità per l’acqua olandesi è molto ammirato nel
contesto internazionale come un sistema “confezionato su misura” per adempiere
ai propri doveri, finanziariamente autosufficiente e, come dimostrato dalla sua
storia di più di 800 anni, ampiamente sostenibile. Infatti l’organizzazione e il
sistema finanziario alla base della gestione decentralizzata olandese dell’acqua,
sono temi molto ricorrenti al centro delle relazioni internazionali, in particolare
per lo scrupoloso rispetto di vari aspetti richiesto dal sofisticato sistema delle
water authorities regionali259.
258
COM(2004) 374 White Paper on services of general interest Section 3.7 and Annexe 2
259
Sul punto vedi: Uijterlinde, R., Janssen, A., Figueres, C. (red.): Success factors in self financing
local water management,GBS prepress, Rijswijk, 2003, ISBN 90 6904 114 6; Ven, G.P. van de
(red.): Leefbaar laagland, vijfde geheel herziene druk, Uitgeverij Matrijs, Utrecht 2003,ISBN 90
5345 190 0; Kramer, T. de, Rijswick, H.F.M.W. van, Minderhoud, F., Berns, J.: Europagids,
Handleiding Europees rechtvoor waterschappen, STOWA, Utrecht 2004; Havekes, H.J.M.,
Koemans, A.M.H.Th., Lazaroms, R.J., Uijterlinde, R.: Water Governance. The Dutch waterboard
model, GBS prepress, Rijswijk 2004; Rijswick, H.F.M.W.(red), Freriks, A.A., Backes, CH.W.,
Groothuijse, F.A.G., Keessen, A.M., Kempen, J.J.H. van, Widdershoven, R.J.G.M.: EG-recht en de
praktijk van het waterbeheer, STOWA-rapportnummer 2008-02, ISBN 978 90 5773 377 2;
Havekes, H.J.M., Jongmans, H.C., Knoops, J.J.M., Strijen, A.van: Het waterschap in kort bestek 2008-
193
Innanzitutto il cinquanta per cento del territorio olandese sarebbe coperto
dall’acqua se la gestione idrica non fosse perfettamente rispondente agli
standards fissati e, se le autorità idriche cessassero di svolgere il loro lavoro
anche solo per un giorno, la parte inferiore dei Paesi Bassi sarebbe seriamente in
difficoltà. La politica idrica olandese da tempo mira a prevenire ed anticipare i
cambiamenti climatici e ad implementare completamente la propria normativa
con la politica europea, così come espressa nelle Direttiva 2000/60 sull’acqua e
2007/60 sulla gestione dei rischi di alluvioni. Nel realizzare quanto sopra le
autorità idriche regionali hanno un ruolo cruciale con i loro compiti in materia di
protezione dalle inondazioni, gestione di qualità e quantità dell’acqua e
trattamento delle acque di scarico. Nel 2008 i cambiamenti richiesti sono stati
ottenuti come risultato dell’introduzione di un nuovo Water Boards Act che è
entrato ufficialmente in vigore il 22 dicembre 2009.
4.2 Origine
Responsabili della qualità e quantità dell’acqua a livello regionale in Olanda,
insieme con il Dipartimento per i lavori Pubblici e delle Risorse Idriche, sono
appunto i “water boards” (“Waterschappen” o comitati/consigli per l’acqua): enti
pubblici per la gestione delle risorse idriche. Essi rappresentano la più antica
forma di governo democratico in Olanda. Le prime si sono sviluppate nel
tredicesimo secolo, e sono proliferate a livello locale fino al punto di arrivare al
numero di 2500 nel 1950. In seguito, per rendere più efficiente il loro
funzionamento, sono state progressivamente accorpate fino ad arrivare
all’attuale numero di 27.
4.3 Competenze
I Water Boards si occupano degli aspetti essenziali della gestione regionale delle
acque: dalla protezione dalle inondazioni, alla gestione integrata dell’acqua sia
2009; Reed Business/Unie van Waterschappen, Den Haag 2008, ISBN 978 90 352 4240 1;
Havekes, H.J.M.: Functioneel decentraal waterbestuur : borging, bescherming en beweging; De
institutionele omwenteling van het waterschap in de afgelopen vijftig jaar (diss.), SDU Den Haag
2009; Ministerie van Verkeer en Waterstaat : Water in Beeld 2009. Voortgangsrapportage over
het waterbeheer inNederland, Den Haag 2009, www.waterinbeeld.nl; Havekes, H.J.M., Putter, P.J.
de (red): Wegwijzer Waterwet. Kluwer, Alphen aan den Rijn 2009, ISBN 978 90 13 07127 6.
194
dal punto di vista della quantità (drenaggio e irrigazione, controllo del livello dei
fiumi e della falda acquifera) sia dal punto di vista della qualità (controllo
dell’inquinamento, miglioramento della qualità delle acque superficiali,
trattamento delle acque di scarico, rilascio di permessi di scarico, gestione e
manutenzione di impianti di depurazione).
I principi cardine su cui queste pubbliche autorità si fondano sono i seguenti:
• il Governo dell’Acqua deve essere effettuato in maniera efficiente;
• deve essere effettuato a livello locale dove possibile;
• la realizzazione di tale governo deve avvenire dopo aver pesato e valutato gli
interessi di tutti coloro che ne sono coinvolti.
Per realizzare i tre principi suddetti, è stato dato alle Water Board la struttura di
organi governativi ad amministrazione decentralizzata, autonomi sia dal punto di
vista politico che finanziario (si finanziano attraverso tassazione diretta). 260
4.4 Forma istituzionale
Le autorità idriche servono per monitorare i livelli fisici dell’acqua nella loro
regione e, se necessario, delle acque di scarico, oltre ad essere competenti in
materia di trattamento delle acque reflue, controllo della qualità delle acque
superficiali e del mantenimento di corsi d'acqua e canali. L'organizzazione che
riunisce i water boards è l’Unie van Waterschappen.
La gestione delle risorse idriche locali e regionali nei Paesi Bassi è, come detto,
ampiamente decentrata. I w.b. hanno un ruolo chiave in questo come autorità di
governo decentrato funzionale. Essi possono concentrarsi completamente sul
governo dell'acqua, che viene così reso immune dall’influenza della politica. I
distretti olandesi tengono il passo con l'evoluzione della società ma, anche se le
strutture organizzative, quelle finanziarie e il quadro legislativo, sono adeguati e
aggiornati continuamente, gli elementi ei principi di base rimangono intatti. Essi
260
Le Water Board nei Paesi Bassi: un’istituzione democratica, http://www.finisterrae-
onlus.org/Documenti%20tradotti/Documenti/waterboard.pdf.
Altre
informazioni
sul
sito
Web
dell’Associazione
http://www.uvw.nl/ (in olandese e inglese)
195
delle
Water
Board
Olandesi:
sono individuabili nell'esistenza di una struttura democratica che permette
l'ingresso e la partecipazione dei soggetti interessati e che subordina il
pagamento delle tasse all’effettiva rappresentanza - mantenendo così l’equilibrio
tra denaro e i mezzi a disposizione a livello locale - e l’indipendenza finanziaria e
affidabilità garantite dalla presenza di una propria area di fiscalità decentrata.
Il water board è un corpo funzionale amministrativo decentralizzato con
personale e finanza autonomi, istituito al fine di adempiere ai compiti
concernenti il settore della governance delle acque. Da un punto di vista
gerarchico esso hanno lo stesso status dei comuni. Come detto nel
sopramenzionato articolo della Costituzione, le province giocano un ruolo
importante con riguardo all’organizzazione delle autorità idriche regionali,
soprattutto in termini di elaborazione di regole e di supervisione della loro
attività. Attualmente in Olanda ci sono 27 water authorities regionali, 12 province
e 430 comuni.
In tema di struttura e doveri dei w.b. (come regional water authorities) il nuovo
Water Boards Act, all’articolo 1, caratterizza le stesse come corpi pubblici con
l’obiettivo della governance idrica in un particolare distretto. Questa definizione
consta di tre elementi: prima di tutto la norma chiarisce che le r.w.a. sono parte
della pubblica amministrazione e, in quanto tali, parte dell’organizzazione del
governo olandese. Come conseguenza di ciò esse prendono decisioni che sono
vincolanti per i cittadini e, ad esempio, redigono leggi locali con previsioni
obbligatorie e divieti, concedono e rifiutano permessi e impongono tasse. Se
necessario esse possono rafforzare la garanzia del rispetto di questa
regolamentazione attraverso coercizioni e sanzioni.
Il secondo elemento riguarda i limiti territoriale delle r.w.a.: esse infatti hanno
ognuna un distretto entro il quale eseguire i propri compiti. Conseguentemente,
esse sono parte della c.d. amministrazione decentrata, così come lo sono le
province e i comuni. I confini dei distretti delle r.w.a. non sono disegnati
arbitrariamente, ma sono determinati da ragioni che concernono la gestione
idrica (bacini imbriferi, rete delle fognature e il raccordo degli argini). Come
risultato di ciò, essi deviano dai limiti provinciali e municipali quasi per
definizione.
196
Il terzo elemento, concerne la considerazione che la sopra-menzionata
definizione implica: i compiti delle r.w.a. riguardano esclusivamente il settore
della governance idrica (o il più ampio concetto di “opere pubbliche e gestione
idrica”). Tali funzioni sono pertanto fissate sin dall’inizio in questo unico ambito,
a differenza, ad esempio, di un comune che è investito di una molteplicità di
compiti nei settori più diversi.
Essendo fermo in Olanda che tutte le autorità nazionali e locali sono coinvolte
nella gestione dell’acqua, le r.w.a. pertanto non lavorano isolate bensì esistono
molti strumenti di coordinamento e raccordo che possono essere suddivisi in due
categorie: i “normali” metodi di supervisione e di governance da un lato, e le
specifiche regole contenute nel Water Act dall’altro.
La prima categoria tratta primariamente l’attività di controllo e repressione
condotta dalle autorità maggiori su quelle inferiori. La regolamentazione in
materia prevista dal Water Boards Act può esservi ricompresa.
Per quanto riguarda invece la seconda categoria, i piani di gestione delle r.w.a.
devono essere approvati in conformità al Water Act. I poteri di supervisione, di
relativa vasta portata, in capo a province e governo centrale, indicati nel terzo
paragrafo del capitolo tre del Water Act, devono essere menzionati in questo
contesto. La base di tale regolamentazione è costituita dalla volontà di
promuovere una politica coerente ed efficace del regime delle acque. L’obbligo
dei comuni di coinvolgere le r.w.a. nella preparazione del piano comunale della
rete fognaria rientra in questa categoria e comunque, pur in assenza di queste
previsioni legislative, ci sarebbero in ogni caso buone consultazioni tra i vari
attori del processo decisionale. A livello nazionale ciò si verifica infatti nel
Nationaal Water Overleg (NWO, national water consultation), in cui il governo
nazionale, le province, i comuni e le r.w.a. sono rappresentati e si riuniscono sotto
la presidenza del Segretario di Stato dei Trasporti, Lavori Pubblici e Gestione
delle Acque.
4.5 Composizione
I w.b. sono istituzioni democratiche e una delle prime forme di ente pubblico in
cui le decisioni si basano sul consenso. Gli organi di governo sono l’Assemblea del
Water Board, l’Assemblea Esecutiva, e il Presidente.L’assemblea è costituita da
rappresentanti delle diverse categorie di portatori di interesse dell’area di
197
competenza. L’idea di base è che chiunque abbia un interesse alla gestione
dell’acqua nell’area si fa carico di un costo proporzionale a tale interesse ed ha
dunque un potere decisionale altrettanto proporzionale al proprio interesse ed al
costo relativo. Nei w.b. si fa distinzione tra interessi di tipo generale e interessi di
tipo specifico. Gli interessi generali sono quelli che riguardano gli abitanti
dell’area indistintamente. Gli interessi specifici sono quelli relativi alle diverse
attività dell’area. I portatori d’interesse che devono essere rappresentati nei
distretti idrici sono elencati, anche se non a titolo esaustivo, nell’articolo 12 del
Dutch Water Boards Act. Essi sono: i residenti, gli agricoltori, i proprietari di aree
naturali e gli imprenditori, i proprietari terrieri, i proprietari di appartamenti o
edifici, gli utenti di strutture in cui si realizzano attività economiche, in
rappresentanza di aziende che scaricano acque industriali, i rappresentanti di
coloro che hanno interessi generali e gli inquilini.
L’assemblea generale delle Water Board elegge (di solito) l’Assemblea Esecutiva.
Normalmente i membri di tale assemblea sono scelti sulla base della loro
esperienza settoriale, in quanto sono coloro che decidono le politiche e gli
indirizzi generali. Il presidente viene eletto direttamente dai regnanti, e fa parte
integrante dell’assemblea esecutiva.261 La caratteristica democratica delle w.b.
risiede nel fatto che i rappresentanti dell’assemblea sono eletti dagli abitanti
dell’area, e tale assemblea ha potere di voto sulle direttive dell’assemblea
esecutiva. Il presidente non ha diritto di voto.
4.6 Autonomia finanziaria
Per quanto concerne invece l’aspetto finanziario dell’attività dei water boards, va
innanzitutto ribadito come la gestione dell’acqua in Olanda sia interamente nelle
mani del governo. Tutti i compiti inerenti il settore ricadono sotto leggi dello
Stato e sono eseguiti da governo centrale, province, comuni e autorità idriche
regionali. Esse sono finanziate dai fondi generali del governo centrale
o
attraverso la riscossione di diverse tasse decentralizzate.
L’unica eccezione a quanto appena detto è rappresentata dalla fornitura
dell’acqua potabile: questa funzione viene infatti assolta dalle compagnie per
261
E’ interessante notare che il potere decisionale di questo rappresentante è a un livello
superiore rispetto alle municipalità, su cui ha dunque potere di veto.
198
l’acqua ed i costi sono recuperati dai cittadini attraverso fatturazioni che
ricadono sotto leggi di diritto privato. Le compagnie sono però largamente
controllate dal governo nazionale secondo quanto disciplinato espressamente dal
Drinking Water Act.
Le province e i comuni sono ampiamente dipendenti, sotto il profilo finanziario,
dal supporto del governo centrale (attraverso sovvenzioni al fondo provinciale e
al fondo per le municipalità); invece le autorità idriche regionali sono in larga
misura finanziariamente indipendenti. Questa indipendenza è il risultato del fatto
che esse hanno la propria ampia area di tassazione. Le loro attività possono
essere finanziate indipendentemente grazie alla riscossione diretta di tasse.
Infatti il governo centrale dà soltanto un contributo sostanziale ai compiti di
protezione dalle inondazioni.
5. Conclusioni sull’esperienza olandese
Come indicato nella premessa del presente capitolo, l’analisi dell’esperienza
olandese ci consente di riflettere sulla fattibilità in termini di possibile
“esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale
attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. I profili
che maggiormente sono emersi, e che costituiscono uno spunto in prospettiva
comparata, riguardano dunque: il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico
non in termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è
consolidato nel Paese; un sistema di copertura dei costi che prevede anche
l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali ed
infine il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle
nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti.
1) approccio integrato e coinvolgimento dei privati
L’esperienza olandese si caratterizza fondamentalmente per la logica posta alla
base del “water system”: essa muove dalla considerazione del settore idrico
come differente dagli altri settori di utilità, come ad esempio l’energia, i rifiuti e
le telecomunicazione. L’acqua è cioè considerata una risorsa il cui uso non può
essere separato dal sistema regionale di estrazione della stessa in un approccio
normativo integrato. Il servizio idrico rappresenta un’eccezione nella disciplina
dei servizi pubblici in quanto avente ad oggetto una risorsa vitale ed esauribile e,
199
come tale, solo muovendo da tale assunto, lo si può comprendere e disciplinare
appieno in modo che possa realmente funzionare. Esso non è un servizio
pubblico come gli altri. Tale consapevolezza deriva dall’esperienza di un Paese
per il quale da secoli l’acqua ha costituito, come in nessun’altra realtà, un
elemento decisivo per la vita e la morte dei suoi abitanti e del suo territorio. In
una simile realtà, è stato vitale creare un sistema integrato sia tra i diversi attori,
sia tra i vari settori toccati in modo diverso dal ciclo idrico sia infine tra il sistema
delle acque (inteso appunto come insieme dei corsi d’acqua) e la catena
dell’acqua (ossia il complesso delle attività che concernono l’acqua: estrazione,
produzione, purificazione e distribuzione: in breve, la gestione in senso
lato).L’Olanda, forte di tale esperienza concreta, ha costruito nei secoli un
modello unico, incentrato su un partenariato pubblico-privato sui generis, in cui
cioè le potenzialità degli operatori privati vengono sfruttate da soggetti che
hanno un’origine pubblica. Come si è visto infatti le water companies pubbliche
affidano a soggetti privati molti dei loro servizi, come le relazioni con i clienti e le
riparazioni dei guasti. Esse coinvolgono numerose compagnie nell’ingegneria
idraulica, nella progettazione e realizzazione di progetti e nella consulenza. E ciò
anche a dimostrazione del fatto che “la privatizzazione non conduce
automaticamente a miglioramenti nell’efficienza delle prestazioni e una
compagnia di fornitura idrica in mani pubbliche può anche essere competitiva in
termini di efficienza della prestazione”. 262
2)sistema di copertura dei costi con componenti ambientali
La tariffa idrica olandese si compone di voci di costo che corrispondono alle varie
fasi della catena idrica ed tale composizione, in cui assume un ruolo significativo
il dato ambientale, rispecchia l’approccio integrato del water system di una
gestione integrata e complessiva dell’acqua, sia da un punto di vista oggettivo che
soggettivo. Il prezzo che i consumatori olandesi pagano per l’acqua è fissato per
metro cubo e i costi del servizio idrico comprendono infatti: i costi
262
Stefan M.M. Kuks, The privatisation debate on water services in the Netherlands. An examination
of the public duty of the Dutch water sector and the implications of market forces and water chain
cooperation, University of Twente, Centre for Clean Technology and Environmental Policy
(CSTM), 2000
200
dell’estrazione, produzione e distribuzione; questi ultimi costituiscono la parte
maggiore del prezzo. Ogni compagnia fissa il proprio prezzo. In questo prezzo
sono incluse l’imposta provinciale per la conservazione delle acque sotterranee
(circa due centesimi per metro cubo) e la tassa nazionale (circa 34 centesimi per
metro cubo) denominata “green tax” sulle acque sotterranee come risorse
naturali. Ma è la tassa sull’inquinamento (riscossa dai w.b.) che di fatto crea una
sorta di meccanismo di determinazione del prezzo, in quanto esso viene fissato in
base al numero delle unità di inquinamento che devono essere trattate. I comuni
invece, dal loro canto, possono evocare a sé tutti i costi di mantenimento della
rete fognaria oppure, come spesso accade, li includono nella tassa sulla proprietà,
che per loro rappresenta la fonte generale di entrata. Altro costo riguarda la
purificazione dell’acqua il cui 30% è attributo all’acqua piovana, nel senso che il
più importante fattore di costo è la capacità idraulica richiesta per pomparla dalla
rete fognaria.
3) ruolo dei w.b.
E’ stato inoltre creato un soggetto per il governo delle acque unico nelle sue
caratteristiche e nelle sue funzioni: il water board. Esso si presenta infatti come
un ente dedicato esclusivamente alle risorse idriche, con autonomia finanziaria
derivante da una specifica tassazione. Nonostante in Olanda si sia molto discusso
se aprire al mercato il settore idrico e sia in corso il dibattito sulla fusione dei
water boards all’interno delle province (per eliminarne il costo e migliorare
l’efficienza della gestione idrica), quasi a ritenere la provincia (che corrisponde in
Italia alle regioni) la panacea di tutti i mali, muovendo da una prospettiva storica
non può non darsi atto della “sostenibilità” e indispensabilità di tale originale
strumento che, dal Medio Evo ad oggi, ha garantito la sopravvivenza del Paese.
Una così antica istituzione va sicuramente potenziata e migliorata nelle
caratteristiche, se non altro in ragione dell’evolversi della società e delle esigenze;
ma non può disconoscersi come essa soltanto incarni appieno la concezione alla
base del ciclo idrico e della catena idrica: solo un organismo esclusivamente
preposto alla cura delle acque nella sua accezione più lata, può assicurare che il
servizio idrico conservi il carattere eccezionale che ad esso deriva dal bene che ne
forma oggetto e che impedisce che esso sia assoggettato alle regole vigenti per il
servizio pubblico in genere.
201
Parte IV Considerazioni conclusive e proposte ricostruttive
Capitolo settimo
Proprietà ambientale e finalità di conservazione
1. Considerazioni conclusive
Finora sono state esplorate le possibili vie attraverso le quali porre rimedio alle
due criticità individuate e che affliggono il sistema delle acque italiano: l’esigenza
di investire sulla rete idrica per ridurre/azzerare le perdite e la limitazione degli
sprechi ad opera della collettività.
Come coprire dunque gli investimenti di cui la rete necessita. Come ridurre gli
sprechi d’acqua. Come controllare i controllori.
Una prima soluzione a questi interrogativi è stata individuata nella “limitazione”
202
del diritto di proprietà: ponendo cioè, limiti definiti e necessari al diritto di tutti
di accedere alla risorsa. Si è detto che il limite al diritto di tutti di usare la risorsa
realizza paradossalmente in concreto l’accesso generalizzato all’acqua. Un primo
limite è costituito dalla tariffa. Un secondo limite è costituito dalla regolazione.
Porre dei limiti necessitati alla proprietà pubblica dell’acqua, nella sua accezione
di accesso generalizzato, rappresenta dunque l’avvio del processo di
superamento
dell’imperfezione
della
stessa.
Laddove
esiste
un
bene
indispensabile alla sopravvivenza di tutti, l’accesso generalizzato ad esso deve
essere necessariamente garantito da limiti e gli sprechi dell’acqua sono intesi in
questa prospettiva come una conseguenza della “recinzione della proprietà
comune”. Si è detto in precedenza che il pubblico servizio è il fine ultimo
dell’intera attività amministrativa, che consiste nel soddisfacimento di bisogni
collettivi mediante esplicazione dell’attività dello Stato. Esso rappresenta lo
strumento
attraverso
il
quale
la
res
informe
assume
concretezza
nell’ordinamento e si dota di un corollario di cautele che ne declinano il valore
che lo stesso ordinamento vi ha connesso. Una di queste cautele è la tariffa. E la
tariffa trova nel servizio il luogo naturale in cui assolvere alla funzione di
incarnare il valore che la collettività ed i suoi rappresentanti hanno inteso
conferire all’acqua. Essa è filtro di valore e al tempo stesso limite di
responsabilità: limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa.
Come si è visto, il metodo tariffario vigente in Italia non è però esente da criticità,
sia in termini di modernizzazione del metodo normalizzato, sia in tema di livelli
di tutela ambientale e di qualità dell’acqua, sia per le connessione alle reti. Un
ulteriore limite di responsabilità alla proprietà pubblica dell’acqua può essere
costituito, nell’ottica di “un patto di responsabilità” da un garante, sia esso lo
Stato o un soggetto terzo. Nell’ordinamento giuridico italiano, dapprima il c.d.
Decreto legge sviluppo 70 del 13 maggio 2011 all’articolo 10 commi 11 e
seguenti aveva ovviato alla carenza di un soggetto terzo garante delle acque con
la previsione dell’istituzione dell’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse
idriche, come organo indipendente dal Governo che operasse in piena
autonomia. Successivamente, prima che la Commissione fosse diventata
operativa, la legge n. 214 del dicembre 2011 ne ha disposto la soppressione,
unitamente a quella della Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse
203
idriche e i compiti di regolazione e di vigilanza relativi ai servizi idrici sono stati
attribuiti all’AEEG.
Sempre nei termini della ricerca di soluzioni al problema di come ovviare agli
investimenti di cui necessita la rete idrica per ridurre/azzerare le perdite e
all’esigenza di limitare degli sprechi ad opera della collettività, nel corso del
presente lavoro si è poi tentata la via della riflessione in una prospettiva di
comparazione con l’esperienza olandese. E dall’analisi svolta sono emerse altre
due interessanti soluzioni potenzialmente esportabili in Italia: il coinvolgimento
dei privati e/o la tassazione strutturata con componenti ambientali.
Nel presente capitolo si passerà a verificare infine la praticabilità di un’altra via,
ulteriore rispetto a quella delle limitazioni del diritto di accesso all’acqua
attraverso lo strumento tariffario e la regolazione e il possibile coinvolgimento nel
servizio idrico non in termini di gestione. Una via alternativa alla proprietà
pubblica, affiancata da una gestione altrettanto pubblica, che consenta di
realizzare un equilibrio tra il profilo economico - investimenti sulle reti - ed il
profilo sociale - evitare gli sprechi - dell’accesso all’acqua diversa dalla
privatizzazione della gestione servizio idrico. Si esaminerà dapprima la soluzione
della proprietà collettiva ed i suoi limiti - (tale soluzione sembra infatti fallire
laddove fallisce la proprietà pubblica - abuso dei consociati nell’uso e
nell’appropriazione). E si studierà l’opzione dell’alienazione di diritti di proprietà
individuali sull’acqua, che tuttavia presenta anch’essa limiti analoghi alla proprietà
collettiva. Si valuterà dunque un’ulteriore via data da una quinta forma
proprietaria: la c.d. proprietà ambientale. Si verificherà se tale soluzione consenta
di dare una risposta non solo alle criticità del sistema ma anche all’interrogativo da
cui muove tutto il nostro discorso: cosa cambia a seguito della risoluzione Onu sul
piano internazionale e a livello di diritto interno dei singoli Stati? Che
cambiamento cioè determina un riconoscimento formale del diritto all’acqua a
livello globale e nei singoli Stati? L’ipotesi oggetto di studio è che il riconoscimento
del diritto avente ad oggetto una risorsa naturale assicura l’equilibrio tra il profilo
economico e il profilo sociale del bene, dando spazio al valore “ideale” della risorsa
stessa. E cioè che tale riconoscimento innanzitutto funga da ago della bilancia tra il
mercato e la gestione non economica del bene. In secondo luogo il riconoscimento
di un diritto all’acqua aprirebbe la strada allo sviluppo di strumenti effettivi di
204
conservazione delle risorse naturali che superino le tradizionali forme di
inquadramento della titolarità e gestione del bene. Un esempio in tal senso
potrebbe appunto essere costituito dalla proprietà ambientale: una forma
proprietaria in cui risulta centrale il valore “ideale” del bene ambientale e che
potrebbe realizzare appieno la propria funzione laddove si rafforzassero i vincoli
da essa derivanti.
2. Considerazioni sulle soluzioni prospettate in precedenza e potenzialità
ulteriore offerta dal “riconoscimento” del diritto
Attraverso la categoria giuridica della proprietà pubblica, in Italia la pubblicità
dei beni (pubblici) è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il
suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della
cosa, delle sue utilità, anche non economiche. La proprietà pubblica rafforza
dunque il legame tra una comunità ed un bene strategico. La demanializzazione
dell’acqua e delle relative infrastrutture è posta a presidio di un valore
fondamentale dell’uomo. Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha
precisato che “L’acqua è un bene primario della vita dell’uomo” e, quindi “un
diritto fondamentale dell’uomo e delle generazioni future”.
263
La proprietà
pubblica rappresenta l’esito naturale di un processo di formalizzazione
nell’ordinamento giuridico della situazione connessa all’acqua: è cioè la
particolare natura del bene che necessariamente condiziona l’assetto
organizzativo dei servizi inerenti lo stesso. Dalle caratteristiche della risorsa è
imprescindibile muovere nell’elaborazione di regole di utilizzazione, accesso e
gestione dell’acqua. Il riconoscimento di un diritto di accesso all’acqua, o in
generale, di un diritto all’acqua, pur nella sua rilevanza, parrebbe però, alla luce
di quanto sopra, rappresentare un rafforzativo - di rilievo, certo - ma soltanto un
rafforzativo, di una tutela giuridica che si attua innanzitutto attraverso lo
strumento della pubblicità delle acque. Il vero ed effettivo riconoscimento del
diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia sembra essere già
avvenuto infatti con l’affermazione della pubblicità (rectius, demanialità) di tutte
le acque, in una prospettiva di “proprietà integrata” come sopra specificato.
Accanto al profilo proprietario della risorsa, il problema della garanzia
263
sentenza n.259/1996
205
dell’accessibilità della stessa viene poi concretamente affrontato attraverso gli
elementi della gestione del servizio idrico, il sistema di tariffazione e la presenza
di autorità di regolazione. In particolare, lo strumento della tariffa idrica, per
mezzo del servizio pubblico ad essa relativo, assurge, pur con tutte le sue
criticità, a strumento filtro del “valore” effettivo del bene. La proprietà pubblica
del bene unitamente ad un sistema tariffario specchio della scelta di “socialità”
dell’ordinamento, in una cornice gestionale di matrice pubblicistica, in cui
recentemente è stato potenziato anche l’elemento regolatorio - sia pur ancora a
livello formale -, in Italia realizzano la sostanza di quello che potremmo chiamare
“diritto di accesso” all’acqua.
Un riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle
caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto, rappresenterebbe dunque in
tale prospettiva una mera enunciazione di principio priva di reale incisività. E la
risoluzione dell’ Onu, al pari d’altronde di qualsiasi affermazione di principi
universali, costituisce il punto di arrivo di un processo culturale che nella sua
cristallizzazione trova una conferma definitiva a livello formale.
L’ufficializzazione di una situazione di fatto, per il tramite di un riconoscimento
espresso, aggiunge un quid formale che, nel contempo si connota di un rilievo di
natura sostanziale. Ed il substrato oggettivo a sua volta si cristallizza in un
quadro formalmente definito. L’elemento di attualizzazione del legame
sussistente tra l’acqua e la collettività - dato oggettivo costituito da proprietà
pubblica e tariffa equa - si stabilizza cioè nella cornice ufficiale del
riconoscimento espresso del diritto.
Riconoscere il diritto all’acqua permette però di compiere un passo ulteriore
rispetto a quanto appena detto e rispetto anche alla fissazione di limiti alla
proprietà pubblica: consente di pervenire ad un equilibrio tra valore economico
dell’acqua e gestione non economica della stessa.
Abbiamo visto264 come anche laddove esiste un riconoscimento costituzionale
del diritto, come in Sudafrica non è necessariamente consequenziale la garanzia
concreta dello stesso, o meglio un sostrato oggetto rispondente alle aspettative
della collettività. E’ anche vero però che, richiamando di nuovo quanto affermato
264
premessa al capitolo 3
206
da Hardin, non sempre le scelte dei governanti sono popolari ma, ciononostante,
sono necessarie per proteggere i c.d. beni comuni dagli abusi della loro
utilizzazione. Il problema che dunque emerge dalla vicenda sudafricana, non
riguarda tanto se e quale sia il quantitativo minimo d’acqua gratuita che deve
essere garantito; bensì la dimostrazione da parte degli Stati di aver adottato le
misure legislative e gli strumenti necessari, entro la propria disponibilità di
risorse, per raggiungere la progressiva realizzazione del diritto. 265
L’inciso presente nella sentenza della Corte Costituzionale Sudafricana, “entro la
propria disponibilità di risorse”, si ricollega alla logica alla base dell’esigenza di
porre un limite all’utilizzazione dei beni comuni. Per risorse infatti debbono
intendersi sia i mezzi economici dello Stato, sia le riserve di acqua esistenti. E la
garanzia di un effettivo diritto di accesso in una dimensione globale, implica lo
spostamento dell’attenzione dal soggetto alla risorsa naturale e le sue
caratteristiche, tra cui, in primis, l’esauribilità e la non omogenea distribuzione. Si
vuol cioè affermare che il diritto di tutti di avere acqua per vivere, e poi vivere
dignitosamente, si calibra sulla domanda globale e sulla disponibilità
complessiva di acqua. Attraverso la conservazione della risorsa si realizza la
concreta possibilità per tutti di accedervi anche se non in misura corrispondente
alla proprie aspettative.
Riconoscere ufficialmente l’esistenza di un diritto all’acqua, in una simile
prospettiva, permette inoltre di superare l’attuale inquadramento giuridico della
risorsa idrica, rendendo possibile ed effettiva l’utilizzazione di una forma
proprietaria diversa e soprattutto adeguata alla particolare categoria di beni
costituita dalle risorse naturali, in quanto beni extra mercato. E consente
all’interprete di superare i limiti che il sistema attuale di “diritto delle acque”
incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di trovare una soluzione al di
fuori delle tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella
dicotomia
pubblico-privato,
ed
anche
oltre
le
più
moderne
teorie
rispettivamente della gestione civica del bene attraverso istituzioni di
autogoverno e dei diritti individuali di proprietà sull’acqua.
265
vd. nota 127
207
3. Inadeguatezza della “terza” e “quarta” via.
a. Una terza via per gestire le risorse comuni: la gestione civica del bene attraverso
istituzioni di autogoverno
Accanto ai modelli tradizionali di proprietà e gestione dei beni comuni in genere
e, in particolare, delle risorse naturali, espressi dalla dicotomia pubblico-privato,
è stata prospettata una terza via: la via della gestione civica del bene attraverso
istituzioni di autogoverno. Tale teoria si inserisce nel solco della concezione della
democrazia partecipativa e deliberativa, definite più o meno concordemente
dalla maggioranza degli studiosi facendo riferimento a due elementi distintivi: 1)
tutte le forme di democrazia partecipativa danno vita a tecniche dirette a
permettere che tutti coloro che sono interessati da una decisione pubblica siano
consultati ed esprimano una propria posizione; 2) l’effetto della partecipazione
non è quello di trasferire il potere decisionale finale in capo ai partecipanti.
266
266
Bifulco R., DEMOCRAZIA DELIBERATIVA E DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA: relazione al
Convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, Firenze, 23 aprile 2009.
Per approfondimenti sul punto vedi anche: U.ALLEGRETTI, Basi giuridiche della democrazia
partecipativa in Italia: alcuni orientamenti, in Democrazia e diritto, 2006; V.ATRIPALDI,
Contributo alla definizione del concetto di partecipazione nell’art.3 Cost., in AA.VV., Strutture di
potere, democrazia e partecipazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 1974, 11; A.BALDASSARRE, Il
retrobottega della democrazia, in Laboratorio politico, 1982, 78; S.BENETULLIERE, Démocratie
participative et citoyenneté, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris,
L’Harmattan, 2007, 59; J.R.BESSETTE, Deliberative Democracy : The Majority Principle in
Republican Government, in R.Goldwin, W.A Schambra (a cura di), How Democratic is the
Constitution ?, Washington, American Enterpreise Institute, 1980, 102; L.BOBBIO, Dilemmi della
democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 4, 2006, 11 ; J.BOHMAN, Institutional Reform
and Democratic Legitimacy. Deliberative Democracy and Transnational Constitutionalism, in
S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate,
2006, 215 S.BOSSON, J.L.MARTÍ, Introduction, in IIDD. (a cura di), Deliberative Democracy and its
Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, XIII L.CATALDI, Promesse e limiti della democrazia
deliberative: un’alternativa alla democrazia del voto?, in Working Paper-LPF n.3, 2008 ;
J.CHEVALLIER, Synthèse, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris, L’Harmattan,
2007, 211 D.CURTIN, Framing Public Deliberation and Democratic Legitimacy in the European
Union, in S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot,
208
La via della gestione civica del bene comune attraverso istituzioni di
autogoverno è stata sostenuta dal premio nobel Elinor Ostrom267 che, sulla base
delle rilevazioni empiriche risultanti dalle proprie indagini, ha affermato che né
lo Stato, né tanto meno il mercato sono in grado di garantire una sostenibilità di
lungo periodo e un uso produttivo delle risorse naturali. La terza via della
Ostrom si basa su istituzioni nuove, appositamente create e amministrate
direttamente dagli stessi cittadini, aventi il compito di gestire i cosiddetti beni
comuni. Dopo una critica alle teorie utilizzate dalla economia e dalla scienza
politica classica per analizzare e risolvere il problema dei beni comuni,
268
in
particolare quella di Hardin, vengono esaminati vari case studies rispettivamente
di gestione virtuosa o fallimentare dei beni comuni. Sulla base di questi esempi lo
studio mira a cercare di comprendere nuovi possibili metodi di risoluzione del
problema allo scopo di elaborare una migliore teoria dell’azione collettiva. La
Ostrom utilizza per il proprio studio il metodo dei biologi:si prendono in
considerazione organismi semplificati e se ne studiano i processi al loro interno
(ad esempio casi di villaggi di pescatori, zone di pascolo, bacini idrografici,
sistemi di irrigazione, foreste comunali, e simili). E muovendo dai dati ricavati, si
formulano delle congetture razionali su come e perché alcuni gruppi di individui
siano in grado di organizzarsi perfettamente e per un tempo considerevole in
forme di auto-governo, mentre altri non ne sono capaci. Si tenta poi di definire le
Ashgate, 2006, 133 ; J.ELSTER (a cura di), Deliberative Democracy, Cambridge, Harvard
University Press, 1998
267
Elinor Ostrom ha ricevuto il premio Nobel per l’economia, per i suoi studi in materia di
governance economica, con particolare riferimento alla gestione dei beni comuni. La teoria della
Ostrom è contenuta nel suo lavoro “Governing the commons. The evolutions of institutions for
collective actions”, pubblicato nel 1988. Il problema al centro dello studio riguarda come un
gruppo di soggetti, nel testo definiti “principals”, interdipendenti tra di loro, possano autoorganizzarsi e autogovernarsi al fine di ottenere benefici collettivi di lungo periodo, superando la
tentazione di comportamenti di tipo opportunistico.
268
"La tragedia dei beni comuni" di Garrett Hardin; “Il dilemma del prigioniero, concettualizzato
come un gioco non cooperativo in cui tutti i partecipanti hanno completa informazione”; “La logica
dell’azione collettiva" di Mancur Olson (The logic of collective action: Public Goods and the Theory
of Groups, Mancur Olson, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1965).
209
caratteristiche delle istituzioni che hanno avuto successo e di individuare quali
sono gli incentivi che inducono i partecipanti ad impiegare tempo ed energia
nell’intento di governare e gestire il loro patrimonio comune. Le situazioni di
successo e quelle di insuccesso vengono dunque messe a confronto e
successivamente si cerca di identificare i fattori, interni ed esterni, che possono
essere d’ostacolo all’emersione delle capacità degli individui di autogovernarsi.
Esempio virtuoso di gestione del servizio idrico attraverso una società
municipalizzata partecipata dal basso della città spagnola di Cordoba. Attraverso
l’Impresa Municipale di Acque di Cordoba (EMACSA), è stato infatti attuato un
modello partecipativo nella gestione dell’acqua. Cordoba è stato uno dei primi
municipi spagnoli che hanno scelto di dotarsi di una organizzazione autonoma
per la gestione dell’acqua.269 Nel 1891 è stata fondata la Compagnia di Acque
Potabili di Cordoba e nel 1938 il Comune l’ha acquisita, dando inizio ad un
servizio idrico municipalizzato. Nel 1955 la qualità delle acque è stata
incrementata grazie alla costruzione della stazione di trattamento di Villa Azul
ed infine, nel 1969, è stata creata EMACSA ed il servizio idrico è stato
trasformato in impresa pubblica. Nel 1979 nel funzionamento di EMACSA è stato
introdotto un modello partecipativo che consentiva ai rappresentanti di
associazioni cittadine, sindacati e partiti politici di concorrere nell’adozione delle
decisioni da parte dell’ente. La compagnia fornisce sevizi di buona qualità agli
utenti a prezzi bassi . Essa è soprattutto impegnata nel migliorare la propria
prestazione da un punto di vista “ecologico”: vengono infatti fatti grandi
investimenti annuali per il potenziamento della rete in modo da ridurre le
perdite e, attraverso campagne di sensibilizzazione, EMACSA ha contribuito con
successo ad una sostanziale riduzione del consumo idrico.
269
La gestione dell’acqua in Spagna coinvolge i tre livelli di governo: statale, autonomo e
municipale. I compiti di approvvigionamento di acqua potabile, scarico e depurazione sono di
competenza dei circa 8000 municipi spagnoli, singoli o associati. I principi vigenti in materia di
gestione delle risorse idriche sono contenuti nella Legge delle Acque del 1985: l’unicità del ciclo
delle acque, il carattere pubblico della stessa e la progettazione idrica. Ci sono però anche acque
private: le acque minerali sottoposta alla legislazione mineraria e, nelle isole Canarie, l’acqua
sotterranea, per effetto di una specifica legislazione. Inoltre nella riforma della Legge delle Acque
del 1999 sono stati introdotti diversi tipi di mercato dell’acqua.
210
Una responsabile pianificazione della raccolta delle acque e la predisposizione di
infrastrutture di colletta mento aiutano la città a contrastare le notevoli
variazioni stagionali nell’uso dell’acqua. Così Cordoba è stata la sola città in
Andalusia a non aver ridotto la fornitura durante una grave siccità nel 1995.
Da evidenziare è senza dubbio la struttura gestionale della compagnia. Dal 1979,
essa ha sviluppato un’organizzazione di co-partecipazione nella gestione
largamente accettata e ben funzionante . Il Comitato dei Direttori è responsabile
per tutte le decisioni più rilevanti e si compone di membri di natura eterogenea;
indipendentemente dalle elezioni comunali e dalle maggioranze, ognuno dei tre
gruppi politici presenti nel consiglio nomina due membri del Comitato. Le due
maggiori camere di commercio nominano ciascuna due componenti aggiuntivi, e
uno è designato da un consiglio di movimenti della società civili (le associazioni
di quartiere, che organizzano circa il 13% della cittadinanza, giocano un ruolo
primario)
Il manager di EMACSA, così come il segretario generale e il controllore della
finanza generale del consiglio della città, prendono parte alle riunioni del
Comitato senza diritto di voto. Questa struttura di partecipazione è
caratterizzata da un’ampia trasparenza che permette ai cittadini che non sono
delegati di seguire il processo decisionale e di intervenire, ad esempio portando
soluzioni alternative.
La compagnia è stata ufficialmente riconosciuta dall’Associazione dei
Consumatori andalusa Facua nel marzo 2008 per il suo sistema e la pratica della
partecipazione.
Il caso si Cordoba si inserisce nel contesto generale spagnolo in cui il fenomeno
della privatizzazione ha iniziato però ad interessare complessivamente il Paese
partendo dal settore della costruzione delle opere idrauliche e con
l’esternalizzazione delle funzioni delle pubbliche amministrazioni. Il soggetto di
privatizzazione più tradizionale resta però la gestione dei sistemi di
approvvigionamento e depurazione delle città. Dal 1998 al 2002 la gestione
privatizzata
ha
avuto
un
aumento
dell’
8%.
Dall’analisi
condotta
dall’Osservatorio dei Servizi Pubblici dell’ERL-UCM, in Spagna esistono due
grandi gruppi multiservizi, Aguas de Barcelona (AGBAR) e Fomento de
Constructiones Y Contratas (FCC): considerate unitamente controllano l’80%
211
della gestione privata in Spagna. Lo studio dell’Osservatorio indica da un lato,
l’esistenza di difficoltà di controlli pubblici sull’esecuzione del contratto, un
rialzo notevole delle tariffe idriche e l’impossibilità per i cittadini di attuare
forme di partecipazione nella gestione dell’acqua; dall’altro rileva che ci sono
servizi pubblici ben gestiti, come il Canal de Isabel II (Madrid), Zaragona,
Consorzio del Gran Bilbao, EMASESA (Siviglia), EMACSA (Cordoba), EMAYA
(Palma de Mallorca), Aguas de Gijon, Aguas de Santa Cruz de Tenerife, etc.. Altre
imprese e servizi municipali non funzionano in maniera ottimale a causa della
mancanza di volontà politica e dell’incapacità di individuare e i risolvere i
problemi tecnici del servizio idrico. 270
b. Diritti di proprietà individuali sull’acqua
Permettere alla gente di controllare la propria acqua. Il miglior modo di
sviluppare un diritto umano all'acqua è dare agli esseri umani abbastanza soldi
per comprare l'acqua in un mercato competitivo. E la via meno costoso per dare
soldi ad ogni cittadino è permettere che il cittadino benefici del valore della sua
parte del patrimonio idrico nazionale. La soluzione dei diritti di proprietà presso
ciascun cittadino e nei mercati sostituisce i burocrati e i politici nell'allocazione
delle risorse idriche.
271
La più recente soluzione al problema della crisi idrica
sperimentata in alcune parti degli Stati Uniti (ad es. California) ed in Australia
muove dalla verifica dell’inefficacia del riconoscimento costituzionale di un
diritto all’acqua laddove questo non sia supportato da un governo trasparente e
da risorse finanziare adeguate. 272
270
Per maggiori informazioni vedi: Observatorio de los Servicios Públicos, Cordoba. Watertime
Case Study, 2005, http://www.watertime.net/docs/WP2/D17_Cordoba.doc, Enrique Ortega de
Miguel and Andrés Sanz Mulas, Water Management in Córdoba (Spain): A Participative, Efficient
and Effective Public Model, 2005, http://www.tni.org/books/waterspain.pdf.
271
Zetland D.,The End of Abundance. economic solutions to water scarcity, Aguanomics
Press,Amsterdam, Mission Viejo 2011
272
A livello mondiale oltre sessanta Costituzioni citano l’ambiente, anche se solo 16 citano il
termine “acqua” e si parla esplicitamente di diritto umano solo in Uruguay, Uganda e
Sudafrica. Il Sudafrica in particolare inserisce il diritto all’acqua tra i diritti universali: la sezione
212
La tabella che segue riporta i Paesi in cui è costituzionalmente previsto un diritto
all’acqua, l’anno di entrata in vigore del diritto, la percentuale di popolazione con
accesso all’approvvigionamento idrico nell’anno base e nell’anno 2006, il grado
dell’Indice dello Sviluppo Umano (HDI - Human Development Index) nel 2007 ed
il grado di efficacia del governo nel 2008. I Paesi con “*” non hanno dati completi
per l’analisi.
Year of right
Base Access
2006 Access
HDI
Governance
Colombia
89
93
77
85
Congo* 45
46
176
210
80
95
80
180
13
42
171
128
Gambia 1996
85
86
168
163
Guatemala
79
96
122
133
Iran 1989
92
95
88
160
Kenya 2005
51
57
147
144
Nigeria 1999
50
47
158
184
Panama 1999
92
92
60
84
Philippines
83
93
105
96
South Africa 83
93
129
53
100
15
43
1991
DR
2007
Ecuador
1998
Ethiopia*
1994
1985
1987
1996
Spain*
100
(regions)
27 del Bill of Rights (1996) è però l’unica dichiarazione costituzionale analoga a citare il diritto
universale all’accesso a sufficienti cibo e acqua.
213
2006
Uganda 1995
49
64
167
136
Uruguay*
100
100
50
67
90
n/a
58
176
53
58
164
150
2004
Venezuela*
1999
Zambia 1996
L’accesso all’acqua (inteso nel solo significato di accesso all’acqua pulita)
richiede più che diritti; esso richiede soldi ed un governo funzionante. Infatti
molti dei Paesi inclusi nella tabella hanno un indice basso di Sviluppo Umano e di
governance. I Paesi con un indice basso hanno cittadini malati, non istruiti e
poveri. Un basso indice di governance significa corruzione. Una delle prime
criticità nel settore delle risorse idriche è la corruzione. Un’alternativa a questa
disfunzione del sistema di garanzia del diritto all’acqua viene individuata nel
ricorso al mercato e ai diritti di proprietà: il primo passo consiste nell’attribuire
a ogni cittadino un diritto di proprietà sulla ricchezza idrica della sua nazione; il
passo successivo è permettere che alcuni diritti siano trasferiti in cambio di
denaro che può essere usato per pagare il costo del servizio idrico. L’articolo 17
della Dichiarazione Universale sui diritti dell’uomo stabilisce che “Ognuno ha il
diritto della sua proprietà, singolarmente o in unione con altri”. Zetland, nella sua
opera “The End of Abundance. economic solutions to water scarcity”, fa notare
come la dichiarazione usi il termine “the right to own property” e non “the right
to property”, riferendosi dunque specificamente ad un diritto ad una propria
proprietà, e non ad un generico diritto di proprietà. I diritti di proprietà sono
differenti dai diritti umani per due aspetti: soltanto i diritti di proprietà possono
essere alienati; i governi devono proteggere i diritti di proprietà ma devono
sviluppare i diritti umani.
Riguardo all’acqua, se noi conveniamo sul fatto che un diritto di proprietà
sull’acqua rappresenta una parte permanente di acqua rinnovabile che trae
origine in un luogo o una temporanea quantità di acqua che può essere mossa
altrove, possiamo vedere che le persone potrebbero avere la propria acqua in un
214
posto ma anche “affittare”il flusso dell’acqua ad altri, in piccoli mercati per la
concessione annuale di “scorrimento”(“selling water”) .
La fine dell’abbondanza significa che le allocazioni da parte dello Stato sono
meno vicine a soddisfare i bisogni delle persone. E ciò implica che i cittadini sono
più propensi ad esercitare i loro diritti di proprietari e a concedere quote di
acqua agli agricoltori, pescatori, ambientalisti e imprese che li utilizzeranno per
produrre valore. Ma, a tale proposito è necessario e fondamentale distinguere la
proprietà in “diritti vitali” che sono inalienabili, pari a 135 litri per ogni persona,
e “diritti commerciabili” che variano con la fornitura d’acqua e si adattano ai
cambiamenti nella popolazione. Tramite questo sistema si ritiene che il
commercio aumenterà il valore dell’acqua in uso, in quanto nella maggior parte
del mondo i prezzi dell’acqua riflettono il costo della fornitura e non il reale
valore dell’acqua in uso. Si afferma inoltre come attraverso i diritti di proprietà
sull’acqua verranno eliminati gli squilibri tra domanda e offerta e i cittadini
potranno scegliere come allocare la propria acqua. In questo modo i diritti di
proprietà ed il mercato potranno essere strumenti di per eliminare la povertà dei
servizi rispetto a miliardi di persone.
c. Criticità della “terza e quarta via”
“Nelle nostre società si afferma una tendenza quasi violenta nel trasformare tutto
quanto è pubblico, comune, condiviso, in bene appropriato, privatizzato...Ma le
società per persistere e non sfaldarsi rapidamente in modo entropico hanno
bisogno di un legante condiviso.[…] I beni comuni sono un insieme di beni
necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono il dispiegarsi della vita
sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto
con gli ecosistemi di cui è parte. Sono condivisi in quanto...essi stanno meglio e
forniscono le loro migliori qualità quando siano trattati e quindi anche governati e
regolati come beni “in comune”, a tutti accessibili almeno in via di principio”. 273
273
Donolo C., I beni comuni. Un nuovo punto di vista, in www.labsus.org, 19 ottobre 2010
Sui beni comuni vedi anche S. Rodotà e a. (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della
proprietà pubblica, Il Mulino, Bologna, 2007; Id., I beni pubblici. Dal governo democratico
215
Proponendo una nuova lettura dell’articolo 810 del codice civile, si afferma274
che i c.d. beni comuni “possono essere oggetto di diritti di custodia, sia da parte di
soggetti pubblici sia da parte di soggetti privati. Se infatti i beni comuni sono beni
che permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la
sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistema di cui è parte, l’unico
atteggiamento che noi possiamo avere nei loro confronti è quello di chi li ha in
custodia, non di chi li possiede. Noi siamo i custodi, non i proprietari, dei beni
comuni. Possiamo goderne, ma non fino al punto da rendere impossibile un uguale
godimento di tali beni da parte del resto dell’umanità e delle generazioni future”.
“In questa prospettiva i beni comuni rientrano nella definizione dell’articolo 810
c.c. purché si qualifichino i diritti di cui possono essere oggetto partendo
dall’assunto secondo il quale i titolari di tali diritti sono i custodi dei beni, il
proprietario essendo la comunità intesa nel senso più ampio del termine: comunità
territoriale, comunità nazionale, umanità presente e futura”. 275
La Commissione Rodotà nel 2008 propose di distinguere i beni in beni comuni,
beni pubblici e beni privati. E definì i beni comuni “le cose che esprimono utilità
funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della
persona”. 276
Secondo questa definizione i beni comuni, pertanto, sono cose (materiali ed
immateriali) che possono essere oggetto dell’esercizio dei diritti fondamentali
dell’uomo e degli altri diritti funzionali al libero e pieno sviluppo della persona
umana. Tutti, cittadini e non cittadini, possono esercitare tali diritti nei confronti
dei beni comuni, in quanto i beni comuni sono indispensabili per una qualità
della vita degna di un essere umano.
Secondo ciò che affermava Hardin, in assenza di reali ed efficaci restrizioni al
consumo di una risorsa, quali possono essere garantite unicamente da una chiara
dell'economia alla riforma del codice civile, Accademia nazionale dei Lincei, 2010. Ma anche M.
Renna, I "beni comuni" e la commissione Rodotà, in www. labsus.org.
Inoltre Corte di Cassazione, S.U., 16 febbraio 2011 n. 3811; In proposito cfr
274
Donolo C., op. cit.
275
Donolo C., op. cit.
276
I "beni comuni" e la commissione Rodotà, in www. labsus.org.
216
definizione dei diritti di proprietà, essa sarà inevitabilmente sottoposta a
sovrasfruttamento, dal momento che: 1) i benefici dell'abuso della risorsa sono
raccolti unicamente dal fruitore individuale, mentre i costi sono dispersi fra tutti
gli utilizzatori; 2) coloro che volontariamente limitano il loro utilizzo delle
risorse in un territorio comune e aperto a tutti sopportano tutti i costi della
conservazione ma non ne hanno alcun vantaggio; 3) ciascun individuo ha un
incentivo netto a prendersi quanto più possibile di una risorsa, prima che altri se
ne approprino.
In una prospettiva di garanzia della custodia del bene comune attraverso
l’introduzione di restrizioni al consumo dell’acqua, in entrambe le teorie delle
istituzioni di autogoverno e delle quote individuali manca una specifica
attenzione all’elemento naturale delle risorse considerate: manca la destinazione
della proprietà (e della gestione) alla finalità di conservazione della risorsa.
Destinazione che opera come restrizione all’uso generalizzato della risorsa. Nelle
due forme proprietarie considerate, la conservazione dell’acqua è invece nelle
mani o della collettività intera o dei singoli cittadini e non invece insita nella
proprietà stessa e, nello specifico, in un organismo appositamente esistente per
la preservazione della risorsa. La finalità di conservazione è dunque soggetta a
variabili discrezionali, dipendenti dalla collettività, sia pur organizzata, o dai
singoli individui. La proprietà comune dell’acqua o l’autogestione delle quote di
valore non rappresentano cioè una garanzia certa e durevole della conservazione
del bene. Mentre la facoltà di godimento del proprietario del bene altro non
dovrebbe essere che il potere di conservazione del bene. Per realizzare
pienamente la custodia dei beni c.d. comuni è necessario compiere un passo
ulteriore: sottrarre la custodia ai consociati ed aggregarla in un organismo
autonomo.
4. La “quinta via” della proprietà ambientale
“Occorrerebbe cominciare a rilevare che la locuzione <<difesa dell’ambiente e del
patrimonio naturale e culturale>>, dal punto di vista scientifico è impropria,
perché l’uomo, in ogni momento, crea, modifica, distrugge il proprio ambiente, il
proprio patrimonio culturale, il proprio patrimonio naturale: la sua opera è
217
continua creazione così come è continua distruzione. La locuzione può invece avere
un significato se inserita in un quadro temporale di politica delle istituzioni. [...] In
altre parole, mentre in precedenti periodi storici c’è stato un equilibrio tra il fatto
creativo e il fatto distruttivo dell’uomo [...], oggi questo equilibrio si è rotto e
prevale l’elemento negativo: le forze distruttive sono maggiori delle forze
costruttive”.277
Le risorse naturali necessitano dunque di strumenti di preservazione, e ciò non
soltanto in una prospettiva di utilizzazione. “..il cambiamento a cui stiamo
assistendo consiste appunto nel fatto che il lago sta divenendo bene collettivo
anche in relazione al suo essere tutelabile come patrimonio naturale, e non più solo
come cosa idonea a rendere taluni godimenti alla collettività”. 278
Attraverso la categoria giuridica della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità
dei beni pubblici è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il
suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della
cosa, delle sue utilità, anche non economiche. La proprietà pubblica rafforza il
legame tra una comunità ed un bene strategico.
“Il regime della demanialità implica la sottrazione al diritto comune dei beni delle
categorie che vi sono sottoposte....E questa sottrazione segnala un dato prezioso: il
fatto che i beni demaniali stessi, non potendo spettare ad un solo soggetto
dell’ordinamento e, in particolare non potendo essere di proprietà di uno solo di
noi, appartengono a tutti noi: alla nostra società e a noi in quanto ne facciamo
parte. Il regime demaniale sottolinea che questa interposizione è solo strumentale:
in quanto mezzo necessario per garantire l’effettività di questa appartenenza
collettiva, e quindi di una generale utilizzazione”. 279
La demanialità in quanto categoria strumentale tra il bene e la collettività, ai fini
dell’utilizzazione, trova origine nell’impossibilità di una proprietà individuale del
bene stesso. Da siffatta impossibilità deriva l’esigenza di uno strumento di
277
Giannini M.S., Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. Trim. Dir.
Pubbl., 3, 1971
278
Giannini M.S., op. cit.
279
Romano A., Demanialità e patrimonialità: a proposito dei beni culturali, in La cultura e i suoi
beni giuridici, a cura di Caputi Jambrenghi V., Milano 1999, 402.
218
intermediazione. Ma, aldilà dell’utilizzazione, nel diritto ambientale in
particolare, è primaria l’esigenza della conservazione del bene.
“La finalità di conservazione delle risorse naturali riguarda l'intreccio esistente in
un dato territorio tra evoluzione naturale e storia umana e cioè tra l'elemento
naturale, l'elemento culturale e il paesaggio in un rapporto indissolubile tra
contenuto e forma. Questo intreccio impone all'idea di conservazione una visione
non più statica, come era nella concezione originaria, bensì dinamica, nel senso di
una forte connessione con la questione dello sviluppo poiché non è possibile
realizzare una vera politica di conservazione senza realizzare nel contempo
un'adeguata politica di sviluppo. Proprio questa connessione è alla base dell'idea
dello sviluppo sostenibile (o, come dicono i francesi, durevole)”. 280
La demanialità in Italia è stato lo strumento che ha consentito di realizzare in
parte la conservazione dell’acqua. Si è detto in precedenza che la demanialità
non rappresenta l’unico modo di disciplinare l’uso dei beni in vista del
soddisfacimento di esigenze collettive, ma è la sola via che possa assicurare
l’ininfluenza sulla stabilità dell’appartenenza e sulla gestione dei beni delle
esigenze utilitaristiche connesse alla proprietà privata. Inoltre la demanialità
delle acque risponde alla necessità di risolvere un problema di distribuzione dei
beni, disponendo che gli stessi appartengono alla p.a., ma soprattutto destina le
medesime acque ad una serie di utilizzazioni individuate specificatamente e
controllate dalla stessa, operando una destinazione vincolata dei beni.
La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque,
è intervenuta in modo del tutto innovativo sul profilo della gestione del servizio
idrico, ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla
tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso
da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di
efficienza, efficacia ed economicità. Nell’articolo 1, comma 2, delle legge, si
richiamano inoltre i diritti delle future generazioni all’utilizzazione di un
patrimonio ambientale integro, salvaguardati da usi idrici finalizzati al risparmio
ed al rinnovo delle risorse. La legge 36/94 rappresenta il primo tentativo di
280
Desideri C. e Imparato E., Beni ambientali e proprietà, Giuffrè, 2005
219
conciliare la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una
gestione di tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici
finalizzati ad assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità.
I principi sanciti dalla Legge Galli vengono successivamente trasfusi nel c.d.
Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo 152/06, nonché potenziati nel senso
dell’affermazione della demanialità di tutte le acque, della subordinazione
dell’utilizzazione delle stesse al principio dello sviluppo sostenibile e della
“funzionalizzazione” della disciplina degli usi della risorsa alla razionalizzazione
ed alla tutela . Tuttavia,
“Il problema, che riguarda tanto la proprietà pubblica che quella privata, è di
vedere se il diritto di proprietà, che nella sua definizione tradizionale è diritto
individuale di godimento e di disposizione (art. 832 c.c.) possa oggi rappresentare
uno strumento di gestione per perseguire obiettivi di tutela dell'ambiente che sono
obiettivi di interesse generale. Sotto il profilo soggettivo, cioè della titolarità, il
fenomeno coinvolge tutti i possibili proprietari (perché si riferisce a qualsiasi
categoria di beni: pubblici, privati, collettivi, individuali). Sotto il profilo oggettivo
occorre far riferimento a quei beni che hanno una destinazione ambientale:
dedotta dalla natura del bene, da atto autoritativo o da atto di autonomia privata”.
281
Quale può essere dunque il ruolo del diritto di proprietà nelle politiche di tutela
dell'ambiente? O meglio, quale forma proprietaria meglio si presta alla finalità di
conservazione delle risorse naturali?
Se infatti la proprietà viene finalizzata alla tutela, e il potere di godimento è
esclusivamente il potere di conservazione del bene, il potere di disposizione non
può che essere strumentale al godimento: la facoltà di disporre finisce con l'essere
il potere di gestire il bene al fine di permettere che venga goduto. In quanto i beni
per essere conservati devono essere gestiti. 282
Questa forma proprietaria “dedicata” è la c.d. proprietà ambientale, quinta
esplicazione del diritto proprietario, che si pone accanto alla proprietà pubblica,
privata, collettiva ed individuale per quote.
281
Desideri C. e Imparato E., Beni ambientali e proprietà, Giuffrè, 2005
282
Desideri C. e Imparato E., op.cit.
220
Il fenomeno chiamato "proprietà ambientale", in cui si esprime la rilevanza
giuridica di valori ideali, segna dunque l'irrompere dell'istituto proprietario in una
sfera irriducibile all'economia. La proprietà ambientale non può essere
interpretata solo in termini economicistici (come è dimostrato dalla sua
complessità indicati dagli elementi di: connessione tra conservazione e sviluppo
sostenibile; situazioni giuridiche che comunque si inseriscono in rapporti di
carattere economico; concessione;utilità economiche).283
Essa è una proprietà "destinata": destinata alla conservazione proprio per la
natura del bene e la proprietà stessa, in quanto ambientale, realizza sola la finalità
di conservazione.
Ne è un esempio il National Trust inglese.284 Quando il National Trust diventa
proprietario di un bene, con ciò stesso realizza la tutela del bene: l'esercizio del
suo potere è la tutela di quel bene, è la sua conservazione. In questa luce vanno
viste le facoltà di godere e di disporre quando si configura un caso di proprietà
ambientale. La facoltà di godimento del proprietario del bene altro non è che il
potere di conservazione del bene.
Inevitabile corollario di questa impostazione è l'inalienabilità del bene e cioè la sua
sottrazione al mercato o meglio la sua irriducibilità a bene economico. Essa può
derivare sia dalla natura del bene (es. bene demaniale) sia da una apposita
previsione legislativa.
Tuttavia anche se in economia i valori potenziali hanno una loro rilevanza attuale,
quel bene fino a quando resta oggetto di proprietà ambientale è preso in
283
284
Desideri C. e Imparato E., op.cit.
National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty: soggetto dedicato alla
conservazione di un patrimonio inalienabile. L'attività dell'ente è la gestione del bene.
Il National Trust è stato fondato nel 1895 da Octavia Hill, Sir Robert Hunter e Canon Hardwicke
Rawnsley quale istituzione che fornisce consulenza allo Stato nell'acquisto e la salvaguardia di
zone costiere, paesaggi naturali ed edifici a rischio. Attualmente il National Trust tutela oltre
248.000 ettari di paesaggi in Inghilterra, nel Galles e nell'Irlanda del Nord, oltre 1.100 chilometri
di coste e circa 250 edifici e giardini di particolare interesse e importanza storica. Il National
Trust è una fondazione registrata completamente indipendente dal governo.
221
considerazione dall'ordinamento giuridico non come bene economico ma come
bene dotato di un valore ideale. 285
E’ interessante poi osservare come il Trust, pur essendo un soggetto privato, sia
dedicato ad una finalità tradizionalmente pubblica quale quello del riequilibrio
territoriale.
Un esempio italiano, anche se di dimensioni più ridotte rispetto al National Trust,
è costituito dagli usi civici. Per quel che riguarda gli enti l’unica esperienza
associabile a quella della proprietà ambientale è invece quella degli enti parco ai
quali viene riconosciuta dal legislatore la possibilità di esercitare un diritto di
prelazione sulle aree presenti all’interno dei confini del parco e anche
l’espropriazione. Ma nulla vieta che il fenomeno, nato originariamente per le
terre e i beni paesaggistici, non possa essere mutuato anche per i corsi d'acqua e
le fonti di approvvigionamento idrico in genere.
Certo la destinazione ambientale è sempre un elemento fluttuante: ad es. i beni
demaniali possono essere sdemanializzati ma la gestione è sottratta all'influenza
di fattori esterni, come mutamenti di indirizzo politico o amministrativo. 286
Ciò che ai nostri scopi interessa non è la struttura e/o la natura dell’ente
preposto, bensì il fine che, nella formula proprietaria invocata, viene
direttamente connesso alla proprietà che fa capo ad un ente: il fine espresso di
conservazione di un bene ambientale. L’istituto proprietario di conseguenza
viene condizionato, nelle sue esplicazioni e nei poteri che vi si connettono, dalla
finalità di garantire la preservazione di un dato bene, sia esso una terra o, a
nostro avviso, anche un corso d’acqua. Per comprendere come in presenza di un
bene ambientale il confine nella proprietà tra pubblico e privato si attenui
progressivamente è indicativo l’esempio della proprietà forestale. “La proprietà
cosiddetta forestale è caratterizzata da un minore iato tra proprietà privata e
proprietà pubblica, e ciò in quanto al bene forestale privato è assegnata una
funzione di utilità generale così intensa e pregnante da imporne la
sottoposizione ad una penetrante disciplina pubblicistica. Beni costituenti
oggetto di proprietà silvana privata e beni forestali pubblici presentano dunque
285
Desideri C. e Imparato E., op.cit.
286
Desideri C. e Imparato E., op. cit.
222
una disciplina sostanzialmente unitaria, che prescinde dalla situazione di
appartenenza e tiene conto dell’intrinseca attitudine dei primi a soddisfare, al
pari dei secondi, prioritarie esigenze di ordine sociale”. 287
Particolarmente accentuato è dunque, in riferimento ai beni forestali, il processo
di socializzazione dei diritti privati, che induce ormai ad accogliere senza
difficoltà la categoria dei beni privati di interesse pubblico [..] alla quale la
dottrina ha ricondotto i beni forestali privati. 288
Riguardo a tali beni viene in evidenza come l’intrinseca attitudine degli stessi a
soddisfare prioritarie esigenze di ordine sociale condiziona il regime
proprietario e la relativa disciplina. La caratteristica dell’elemento naturale trova
cioè espressione nella finalità ricollegata al bene e, attraverso tale finalità,
determina l’emergere di un assetto normativo risultante dalla compresenza di
elementi privatistici e pubblicistici.
“Convergono quindi sui beni forestali privati precisi e preminenti interessi
pubblici, sì che il proprietario conserva il potere di disporne, ma deve far salvo il
vincolo di destinazione; conserva la facoltà di godimento, ma nei limiti stabiliti
dalla
pubblica
autorità;
può
imprimere
al
bene
una
finalizzazione
imprenditoriale, ma sottoponendosi ai controlli ed alla vigilanza delle autorità
forestali”. 289
E ciò in linea con quanto affermato più volte nel presente lavoro, secondo cui, in
una prospettiva di sostenibilità nell’utilizzazione delle risorse naturali, è la
caratteristica naturale del bene che ne condiziona la funzione e determina il
conseguente assetto organizzativo che si sviluppa intorno al bene stesso.
Più confacente all’esperienza italiana, rispetto al National Trust, è l’esempio della
Conservatoire du Littoral francese: essa è più vicina all'esperienza italiana sotto il
287
voce proprietà forestale in Digesto delle discipline privatistiche pag.535
Sul tema della proprietà forestale: Abrami, La disciplina normativa dei terreni forestali, Milano,
1987; Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983; Romagnoli, Pubblico e
privato nel regime giuridico dei boschi e dei pascoli montani, RDA, 1980;Tamponi, Profilo odierno
della proprietà forestale, RDA 1984. Sul tema delle problematiche ambientali connesse alle
tematiche dello sfruttamento del suolo: Francario, Le destinazioni della proprietà a tutela del
paesaggio, Napoli, 1986; Capizzano, Per un diritto agrario ambientale, RDA, 1987.
288
289
Tamponi, Una proprietà speciale (lo statuto dei beni forestali), Padova, 1983
voce proprietà forestale in Digesto delle discipline privatistiche cit.
223
profilo giuridico e istituzionale, per la priorità dell'intervento pubblico per
l'ambiente e la cornice di diritto amministrativo in cui si inserisce tale
intervento. La Conservatoire du Littoral, il cui nome ufficiale è Conservatoire de
l'espace littoral et des rivages lacustres è un'istituzione pubblica francese, creata
nel 1975, con l'obiettivo di tutelare in modo permanente le aree naturali di
particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale situate sulle coste, le rive dei
laghi e le distese d'acqua con una estensione di almeno dieci chilometri quadrati.
290
Essa è un établissement public a carattere amministrativo posto sotto la
sorveglianza del Ministero dell’Ambiente, gestito da un organo di governo a
struttura mista composto da membri scelti dal Parlamento, da rappresentanti
ministeriali, delle associazioni ambientaliste, delle regioni e degli enti locali. 291
Interessanti ed utili ai fini di una trasposizione dell’istituto della proprietà
ambientale alle acque, sono i principali criteri a cui si attiene il Conservatoire per
la scelta delle aree da acquisire. Essi sono infatti costituiti da: a) la presenza di
forti minacce rispetto a un sito; b) la necessità di recuperare una zona in via di
degrado; c) la volontà di aprire al pubblico un sito prima dell’acquisizione
inaccessibile.
Minacce (o spesso esperienze attuali) di depauperamento di corsi d’acqua e la
necessità di recuperarli, possono essere alla base della creazione di un soggetto
giuridico - anche nell’indifferenza della sua natura pubblicistica o privatistica,
pur valendo in una simile prospettiva l’impostazione seguita nel presente lavoro
in termini di maggiore idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni
primari - che abbia come destinazione la conservazione della risorsa idrica. E ciò
si pone in linea anche con un’ottica di utilizzazione: una utilizzazione che per
essere diffusa deve innanzitutto essere regolata. E un riconoscimento espresso
dell’esistenza di un diritto all’acqua, autonomo ed indipendente rispetto al diritto
alla salute e ad altri diritti in genere, consente all’interprete di superare i limiti
290
La Conservatoria è membro dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura
(IUCN). La conservatoria acquisisce annualmente da venti a trenta chilometri quadrati di terreno
e, al 31 dicembre 2007, risultavano sotto la sua tutela 113000 ettari di territorio comprensivi di
circa 900 chilometri di litorale marino. La Conservatoire du Littoral ha firmato un accordo di
partenariato con la Conservatoria delle Coste della Sardegna e con il National Trust inglese.
291
Desideri C. e Imparato E., op. cit.
224
che il sistema attuale di “diritto delle acque” italiano incontra in termini di
accessibilità alla risorsa e di trovare una soluzione al di fuori delle tradizionali
categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato. E
ciò anche oltre le più moderne teorie rispettivamente della gestione civica del
bene attraverso istituzioni di autogoverno e dei diritti individuali di proprietà
sull’acqua. Consente cioè di legittimare l’utilizzazione di una proprietà
espressamente dedicata ai beni naturali, creata al fine unico della conservazione
di tali beni, in quanto beni extra mercato. Beni cioè che richiedono un
inquadramento giuridico proprietario e gestionale differente rispetto agli altri
beni e indirizzato dalla primaria esigenza di garanzia degli stessi oltre
l’utilizzazione generalizzata. La specifica ed esclusiva destinazione dell’ente alla
conservazione non implica, come specificato sopra, una chiusura del bene
all’utilizzazione: al contrario è la stessa conservazione a rendere possibile l’uso
di corsi d’acqua rigenerati o, nei termini di regolazione del fattore di stress
idrico, sottoposti a pressioni antropiche notevoli.292 Utilizzazione che però
292
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225
rientra concettualmente nella nozione di “servizio naturale”, inteso come
insieme di prestazioni che l’ambiente produce nei rispetto all’uomo, nella
prospettiva volta a far emergere, nell’analisi del diritto ambientale, la logica
ecologica sottostante alla disciplina giuridica dell’ambiente293.
“La moderna impostazione, facendo riferimento alle più accreditate concezioni
provenienti dagli studi ecologici, ha messo in evidenza che lo studio dell’ambiente,
anche sotto il profilo giuridico, non può prescindere dalla figura del <<servizio
naturale>> (o ecosistema) che indica <<una multiforme gamma di prestazioni che
l’ambiente procura a vantaggio del genere umano>>, definito, oggi giuridicamente
come una funzione svolta da <<una risorsa a favore di altre risorse naturali e/o del
pubblico>>. 294
5. L’esempio della Conservatoria delle Coste della Sardegna
Nell’esperienza italiana, a nostro avviso, un compromesso a metà strada tra
l’istituto del Trust e la Conservatoria francese è costituito dalla Conservatoria
delle Coste della Sardegna. Essa è un'agenzia regionale istituita con legge
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293
vedi sul punto Cafagno M., Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso,
adattivo, comune, in Scoca, Roversi Monaco, Morbidelli (diretto da), Tratt. dir. Amm. it., Torino,
2007
294
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codice dell’ambiente, Atti del convegno a Palermo 23-24 maggio 2008, Chiti M.P. e Ursi R. (a cura
di), Giappichelli
226
regionale n° 2 del 29 maggio 2007 (articolo 16) “con l’obiettivo di avviare un
processo dinamico di tutela, gestione e valorizzazione che tenga conto sia della
fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri della Sardegna, sia della diversità
delle attività e degli usi, delle loro interazioni e dei loro impatti”. I compiti
istituzionali dell'Agenzia sono di salvaguardia, tutela e valorizzazione degli
ecosistemi costieri e di gestione integrata delle aree costiere di particolare
rilevanza paesaggistica ed ambientale, sia di proprietà regionale o messe a
disposizione da soggetti pubblici o privati.
Le funzioni di competenza della Conservatoria vanno dal coordinamento delle
iniziative regionali in materia di gestione integrata delle zone costiere nei
rapporti con le altre regioni italiane e con le autorità locali dei paesi rivieraschi
del Mediterraneo alla promozione e diffusione delle tematiche relative alla tutela
ambientale e paesaggistica ed allo sviluppo sostenibile delle aree costiere. Essa
inoltre esercita il diritto di prelazione sugli atti di vendita di terreni ed immobili
derivanti da assegnazioni pubbliche, che ricadono nella fascia costiera dei due
chilometri dal mare e opera l'esproprio e/o l'acquisto delle aree e dei beni
immobili la cui qualità ambientale, paesaggistica e culturale è tale da ritenere
necessaria la loro conservazione e salvaguardia. Inoltre esercita le competenze
regionali in materia di demanio marittimo e costiero nelle aree demaniali
immediatamente prospicienti le aree di conservazione costiera e sui singoli beni
ad esso affidati.295
Dal punto di vista istituzionale, la Conservatoria è un’agenzia dotata di
autonomia
regolamentare,
finanziaria,
organizzativa,
amministrativa,
patrimoniale, contabile e gestionale ed è sottoposta ai poteri di indirizzo,
vigilanza e controllo esercitati dalla Giunta regionale. I suoi organi sono: il
Comitato scientifico, il Direttore esecutivo ed il Collegio dei revisori. La
Conservatoria delle Coste si ispira al National Trust inglese ma, soprattutto, al
Conservatoire du Littoral francese col quale, nel dicembre del 2008, ha firmato un
accordo di partenariato.
La Conservatoria delle Coste è un’Agenzia tecnico-operativa della Regione, con
personalità giuridica di diritto pubblico, ed è stata concepita con lo scopo di
295
articolo 3, legge regionale n. 2 del 29 maggio 2007
227
completare l’azione di protezione degli strumenti di programmazione e di
regolamentazione svolgendo compiti di gestione integrata di quelle aree costiere
di particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale, di proprietà regionale o
poste a sua disposizione da parte di soggetti pubblici o privati e che quindi
assumono la qualità di aree di conservazione costiera. L’obiettivo è quello di
avviare un processo dinamico di tutela, gestione e valorizzazione che tenga conto
sia della fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri, sia della diversità delle
attività e degli usi, delle loro interazioni e dei loro impatti. L'Agenzia nasce
dunque quale strumento per l'attivazione di queste politiche: la formula è quella
già proposta per rispondere a temi non riconducibili all'ordinaria organizzazione
dell'amministrazione regionale. In base a quanto disposto dalla deliberazione di
Giunta regionale istitutiva, la Conservatoria potrà agire su più livelli: gestire i
beni immobili costieri di rilevante interesse paesaggistico e ambientale facenti
già parte del patrimonio e del demanio regionale; acquisire i territori costieri
dall’equilibrio ecologico più fragile o a rischio di degrado e compromissione sia
attraverso accordi con Amministrazioni statali o locali o Enti pubblici, sia
mediante donazioni, acquisti attraverso sottoscrizioni pubbliche, permute con
privati.
Successivamente all’acquisizione, la Conservatoria potrà attuare i lavori di
ripristino naturale delle aree denominate “Aree di Conservazione Costiera” e poi
predisporre i piani di gestione: la cura delle attività gestionali potrà essere
successivamente affidata ad Enti locali, a cooperative, società di servizi o
associazioni ambientaliste che dovranno, comunque, assicurare l’accesso al
pubblico. 296
296
Attualmente l’Agenzia ha già in gestione 6300 ettari di territori costieri, in parte di proprietà
della Regione o di altri enti pubblici, in parte di privati che li hanno ceduti alla Conservatoria.
Eccezionalmente la Conservatoria acquisisce aree costiere anche per acquisto diretto. Una volta
entrata in possesso delle aree, la Conservatoria opera attività di ripristino ambientale e in seguito
decide se gestirle direttamente o darle in gestione ad altri soggetti pubblici o privati. Definisce
inoltre gli usi, in particolare agricoli e turistici, compatibili con gli ecosistemi costieri ripristinati,
tenendo conto della normativa nazionale e regionale, seguendo le linee-guida del Piano
Paesaggistico Regionale (PPR).
228
Questo nuovo istituto è visto quale uno dei “tasselli” fondamentali della nuova
politica di tutela e di corretta valorizzazione del territorio costiero sardo. 297
297 Deliperi S., La Conservatoria delle coste della Sardegna, in Rivista Giuridica dell’ambiente,
5/2005
229
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