DIRITTO ALL`ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA
Transcript
DIRITTO ALL`ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO E TEORIA DEL GOVERNO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN Storia,politica ed istituzioni dell’area euro-mediterranea nell’età contemporanea CICLO XXIII TITOLO DELLA TESI DIRITTO ALL’ACQUA E STATUTO DELLA RISORSA IDRICA con particolare riguardo a proprietà e tariffa TUTOR Chiar.ma Prof.ssa Elisa Scotti DOTTORANDA Dott.ssa Francesca Testella COORDINATORE Chiar.mo Prof. Angelo Ventrone ANNO 2011 Indice Introduzione Parte I Il diritto all’acqua nella pluralità degli ordinamenti giuridici Capitolo primo (1-48) Il diritto all’acqua nel contesto sovranazionale 1. Premessa: sull’importanza della qualificazione giuridica del bene acqua 2. Il contesto internazionale 2.1 evoluzione storica del dibattito mondiale sul tema dell’acqua 2.2 Quadro generale della normativa comunitaria in materia di acque 2.3 basi formali del diritto all’acqua Parte II Il diritto italiano delle acque Capitolo secondo (49-88) Il diritto all’acqua e la proprietà della risorsa 1. Emersione e sviluppo di una nozione di “diritto all’acqua” nell’ordinamento giuridico italiano 2. La proprietà pubblica dell’acqua come elemento-base del riconoscimento di un diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti “democratici” 3. Evoluzione storica del concetto di proprietà delle risorse idriche dal 1865 al 2009 4. La “proprietà” dell’acqua strumento di tutela della risorsa Capitolo terzo (89 -118) Segue. Il diritto all’acqua e la “gestione” della risorsa: il servizio idrico come filtro di “valore” della risorsa acqua 1. Premessa 2. Evoluzione storica delle forme di gestione dell’acqua in Italia 3. Il “valore” della risorsa acqua nel servizio idrico 4. Naturale idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni primari Parte II Il profilo teorico Capitolo quarto (119-136) Le criticità del sistema di “beni comuni” 1. Premessa 2. Le criticità del “sistema pubblico” della disciplina delle acque 3. Conclusioni 4. La tragedia dei beni comuni Capitolo quinto (137 -175) Limiti necessari alla proprietà pubblica dell’acqua 1. Premessa 2. La tariffa come limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa 2.1. Premessa 2.2. Disposizioni comunitarie in materia di tariffa idrica 2.3. Modalità di determinazione della tariffa idrica nell’ordinamento italiano 2.4 Rilievi critici 2.5 Tariffa idrica: aspettative fallite e potenzialità attuali derivanti dell’esperienza regionale 3. Regolazione ( - Autorità ) e soggetti Parte III la prospettiva comparata Capitolo sesto (176-202) Possibili soluzioni da una prospettiva comparata La tradizione pubblicistica dei Paesi Bassi nella gestione dell’acqua 1. Introduzione sull’utilità di uno spunto comparativo 2. Quadro generale:sistema amministrativo e contesto generale dell’acqua 2.1. La gestione dell’acqua: innovazione e cooperazione 2.2 Unificazione normativa nel Nuovo General Water Act (2008) 3.Sistema di gestione 3.1 Nozione di gestione idrica 3.2 Evoluzione delle water companies olandesi 3.3 Sistema di copertura dei costi 3.4 Divieto di fornitura privata di acqua (Waterleidingwet 2004) 4. Ruolo dei “water boards” 4.1 Premessa 4.2 Origine 4.3 Competenze 4.4 Forma istituzionale 4.5 Composizione 4.6 Autonomia finanziaria 5. Conclusioni sull’esperienza olandese Parte IV Considerazioni conclusive e proposte ricostruttive Capitolo settimo (203-229) Proprietà ambientale e finalità di conservazione 1. Considerazioni conclusive 2. Considerazioni sulle soluzioni prospettate in precedenza e potenzialità ulteriore offerta dal “riconoscimento” del diritto 3. Inadeguatezza della “terza” e “quarta” via a. Una terza via per gestire le risorse comuni: la gestione civica del bene attraverso istituzioni di autogoverno b. Diritti di proprietà individuali sull’acqua - critica 4. La “quinta via” della proprietà ambientale 5. L’esempio della Conservatoria delle Coste della Sardegna Bibliografia Introduzione La risoluzione delle Nazioni Unite del luglio 29 luglio 2010 afferma l’esistenza del “diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici come un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. A fronte di tale esplicita presa di posizione di un organismo internazionale su una tematica importante quale quella dell’accesso alle risorse idriche, appare quanto meno utile indagare se e come questa affermazione produca dei riflessi negli ordinamenti interni degli Stati. L’indagine dell’indifferenza o dell’assorbenza da parte del diritto di uno Stato di una dichiarazione di un principio universale, pur nella sua assoluta non vincolatività, rappresenta uno strumento attraverso il quale cercare di definire i contorni giuridici del bene acqua. E ciò in quanto l’acqua è oggetto di un servizio pubblico in cui è centrale il problema della garanzia dell’accessibilità della stessa a fronte di vari elementi: il profilo proprietario della risorsa, le diverse forme gestionali scelte nel tempo dal legislatore, il sistema di tariffazione e la presenza di autorità di regolazione. In linea teorica implicazioni differenti seguirebbero al riconoscimento di un diritto piuttosto che ad esempio di un bisogno, sotto vari profili. Innanzitutto quello giuridico, in termini di pretese in capo ai titolari e corrispondenti doveri delle pubbliche amministrazioni; economico, in termini di valutazione del valore del bene acqua; politico, dal punto di vista delle scelte che ne derivano; organizzativo, nel senso di una configurazione del corrispondente servizio che ne rispecchi i contenuti. Sempre in linea teorica differente dovrebbe essere l’effetto di una affermazione ufficiale che esiste un diritto di accedere all’acqua, a seconda dell’ambito normativo in cui una siffatta affermazione è inserita. Il peso di una previsione costituzionale non è infatti lo stesso di una legge ordinaria. Il livello pratico però non corrisponde necessariamente a quello formale. Emblematico è il caso del Sudafrica. La sezione 27 della Costituzione del Sudafrica stabilisce che ognuno ha diritto a sufficiente acqua. Quindi formalmente siamo al massimo livello di riconoscimento giuridico per l’acqua: essa è infatti oggetto di un diritto e tale diritto è previsto dalla Costituzione. Nella sentenza della Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009, Mazibuko v. City of Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma però che non esiste un obbligo costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua I gratuita.1 La Corte Costituzionale afferma come la previsione del diritto non implica la fornitura di un minimo quantitativo di acqua cui lo Stato è obbligato ed il dettato costituzionale deve essere interpretato nel senso di un dovere alla progressiva realizzazione del diritto attraverso ragionevoli strumenti legislativi e per mezzo di successive revisioni. Quanto sancito dalla Corte Costituzionale Sudafricana dell’ottobre 2009 esprime un concetto analogo a quello contenuto nella successiva caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella risoluzione Onu del 30 settembre 2010. La risoluzione infatti non fa riferimento ad un minimo quantitativo gratuito di acqua per persona, bensì richiama gli Stati a realizzare il diritto affermato attraverso strumenti e meccanismi che consentano l’accesso di tutti all’acqua e ai servizi igienici. L’esempio citato dimostra come all’affermazione formale dell’esistenza di un diritto, anche a livello costituzionale, non consegua a livello pratico automaticamente la garanzia della concretizzazione del diritto stesso o meglio, un rispondente substrato oggettivo. Allora non possiamo non chiederci perché e come rendere una “cosa” oggetto di una data situazione giuridica - e nel caso di specie di un diritto - può avere un rilievo autonomo a prescindere dalla sua effettività. 2 In questa sede si compie dunque il tentativo di comprendere se il riconoscimento di un diritto all’acqua a livello internazionale possa risultare concretamente utile, necessario, realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento interno di uno Stato. Per rispondere a questa domanda si esploreranno i seguenti punti: DIRITTO - Prima di tutto esamineremo la situazione attuale: dopo una iniziale analisi delle vicende giuridiche dell’acqua nello scenario internazionale e a livello di Unione Europea, si circoscriverà lo studio allo specifico contesto italiano. Si cercherà cioè di individuare gli elementi di cui si compone attualmente in Italia il 1 Oggetto dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici prepagati per i consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia (corrispondenti a 25 litri di acqua al giorno per persona), finalizzata alla riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di primo grado e della Corte d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza1, consideravano l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre indicavano rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo base di acqua rispondente al diritto. 2 Romano S., L’ordinamento giuridico, 1946 II c.d. statuto della risorsa idrica per capire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene. E questo per esigenze diverse e di varia natura. “Nella materia acqua convivono infatti diverse funzioni: la funzione "risorsa”, che va gestita, organizzata, amministrata; poi c'è la funzione "recipiente", poiché i fiumi, i laghi, il mare sono utilizzati anche come recipiente del metabolismo umano e industriale. Un'altra funzione è quella di "mobilità": acqua come mezzo di trasporto. E poi acqua come protezione del suolo (funzione indiretta). Ma le funzioni vanno coordinate e armonizzate: se l'acqua è usata solo come recipiente la funzione come risorsa viene danneggiata”. 3 Quanto appena espresso si traduce dunque in differenti esigenze: di sostenibilità, economica e di sistema. Capire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se (e come) il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è cioè importante prima di tutto per verificare se le esigenze sociali ed economiche che sono alla base della sua utilizzazione si conciliano con l’aspetto di salvaguardia ambientale della risorsa. Si pone la necessità di verificare se ci sia una utilizzazione della risorsa in linea con il principio di sostenibilità e/o come la si possa raggiungere. Esigenza direttamente connessa alla precedente è quella di pervenire a una corretta collocazione della risorsa idrica in uno scenario di tipo economico. Sotto un profilo economico conoscere che tipo di inquadramento giuridico dà un ordinamento all’acqua è necessario per individuare quali sono le possibilità di gestione della risorsa. Un’ulteriore esigenza alla base dell’intento di chiarire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è quella di porre le basi per una regolamentazione unitaria della materia delle acque. Regolamentazione unitaria attualmente inesistente anche a livello internazionale e di primaria importanza per un’utilizzazione razionale ed uniforme della risorsa idrica. 3 Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 III Come risultato dell’analisi sul piano formale emerge il dato che non c’è stato mai a nessun livello il riconoscimento espresso di un diritto all’acqua - mentre esistono molti documenti che implicitamente prevedono il diritto - ma soltanto affermazioni di principi e la definizione che emerge è quella di diritto di tutti di avere acqua in quantità e qualità tali da assicurare la vita. Tutti: essere viventi umani e non umani. Esso si declina poi in un altro diritto: diritto alla conservazione della risorsa (in termini di quantità e qualità). E poi in un diritto di terzo livello: diritto alla utilizzazione. PROPRIETA’ PUBBLICA - Un secondo aspetto oggetto della nostra analisi è costituito dalla proprietà pubblica della risorsa (come primo elemento dello statuto dell’acqua). Posto che finora la conservazione si è ottenuta attraverso la proprietà pubblica dell'acqua e tale proprietà rappresenta un punto fermo sinora non messo in discussione pur nei tentativi di cd. privatizzazione dell’acqua (che hanno riguardato la gestione) ci si domanderà: qual è la funzione di tale proprietà? Cosa è in grado di assicurare rispetto al diritto all’acqua? GESTIONE - Un ulteriore oggetto di indagine è costituito dalla gestione (come secondo elemento dello statuto dell’acqua). Si esaminerà in particolare, innanzitutto, l’idea tradizionale che solo una gestione prevalentemente pubblica sia in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua. E poi le più recenti tesi tese ad affermare la neutralità della gestione rispetto al diritto. SISTEMI TARIFFARI E SOGGETTI DI REGOLAZIONE – L’indagine riguarderà poi i sistemi tariffari (terzo elemento dello statuto dell’acqua), come banco di prova dell’effettività del diritto all’acqua (ed il fallimento in Italia del sistema basato sulle tariffe). In tale ambito si toccherà anche il profilo relativo all’esistenza ed al peso di autorità di regolazione (quarto elemento dello statuto dell’acqua). CRITICITA’ – Si affronteranno poi i problemi concreti del settore, che sembrano influenzare la scelta circa il pubblico o privato nella gestione e circa il regime tariffario. C’è infatti un problema da cui non è esente il nostro sistema prevalentemente fondato su gestioni pubbliche e su tariffe basse: la risorsa diventa sempre più scarsa. Quali sono i motivi? Le responsabilità della carenza idrica in Italia sono riconducibili sia alla collettività che alla p.a. IV La prima responsabilità (collettività) riguarda gli sprechi dell’acqua; la seconda (p.a.) il malfunzionamento della rete idrica. a) Gli sprechi della risorsa Si affronterà dapprima la questione della responsabilità della collettività per gli sprechi della risorsa. Sotto questo profilo - che definiremo di matrice sociale - viene in questione il ruolo del profilo proprietario ed il connesso tema della responsabilità “sociale”. La proprietà pubblica intesa nei termini di accesso generalizzato alla risorsa ha permesso a tutti sia di avere l'acqua - attraverso un servizio "sociale" - ma allo stesso tempo ha permesso a tutti di abusarne e di ledere così il diritto globale di accesso alla risorsa. Si esamineranno dunque le criticità della proprietà pubblica nei termini di accesso diffuso alla risorsa - sia pur “regolato” attraverso lo strumento della concessione, ma con i limiti che lo stesso strumento concessorio presenta - ed il connesso fallimento del sistema tariffario italiano come tentativo di limitare gli sprechi. b) Il malfunzionamento della rete idrica Per risolvere il problema si è tentata la via della gestione del servizio idrico aperta ai privati e/o prevalentemente privata (art. 15 l. 166/09), poi bloccato a seguito di un referendum popolare abrogativo. Tale opposizione è stata motivata dal timore dell’aumento delle tariffe idriche (in quanto il privato persegue per fine istituzionale il lucro) e dalla paura delle conseguente privatizzazione della proprietà dell'acqua e del diritto di accedere alla risorsa. Si è temuto che potesse accedere all'acqua solo chi potesse permetterselo economicamente. Ma lo Stato non ha soldi e le reti necessitano di investimenti. Come coprire dunque gli investimenti? Rispetto a questo problema si studieranno le possibili soluzioni: il coinvolgimento dei privati e/o la tassazione. Riguardo tali soluzioni verranno esaminate ipotesi intermedie: così quanto ai soggetti privati si verificherà se possono essere coinvolti senza affidare loro la gestione. PROSPETTIVA DI COMPARAZIONE CON L’OLANDA - L’indagine sulle possibili soluzioni alle criticità della rete idrica verrà svolta, in una prospettiva di comparazione, attraverso l’esame del sistema olandese. Rispetto alla tassazione si verificherà l’ipotesi di una “green tax”: una tassa per gli investimenti ambientali. Anche a tale proposito si esaminerà il caso dell’ Olanda. La prospettiva comparata con V l’esperienza olandese ci consente di verificare la fattibilità in termini di “esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. Verrà al tal fine esaminato il quadro normativo olandese in materia di acqua e servizio idrico e le sue peculiarità. I profili che emergono come significativi e che maggiormente interessano ai fini del presente lavoro riguardano, da un lato il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese; dall’altro il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti ed infine il sistema di copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali. (Questo è il contesto da cui trarre degli spunti di esportazione) SOLUZIONE PROSPETTATA - TESI – Si verificherà infine la praticabilità di un’altra via, ulteriore rispetto a quella delle limitazioni del diritto di accesso all’acqua attraverso lo strumento tariffario e la regolazione e il possibile coinvolgimento nel servizio idrico non in termini di gestione. Una via alternativa alla proprietà pubblica, affiancata da una gestione altrettanto pubblica, che consenta di realizzare un equilibrio tra il profilo economico - investimenti sulle reti - ed il profilo sociale evitare gli sprechi - dell’accesso all’acqua diversa dalla privatizzazione della gestione servizio idrico. Si esaminerà dapprima la soluzione della proprietà collettiva ed i suoi limiti - (tale soluzione sembra infatti fallire laddove fallisce la proprietà pubblica - abuso dei consociati nell’uso e nell’appropriazione). E si studierà l’opzione dell’alienazione di diritti di proprietà individuali sull’acqua, che tuttavia presenta anch’essa limiti analoghi alla proprietà collettiva. Si valuterà dunque un’ulteriore via data da una quinta forma proprietaria: la proprietà ambientale. Si verificherà se tale soluzione consenta di dare una risposta non solo alle criticità del sistema ma anche all’interrogativo da cui muove tutto il nostro discorso: cosa cambia a seguito della risoluzione Onu sul piano internazionale e a livello di diritto interno dei singoli Stati? Che cambiamento cioè determina un riconoscimento formale del diritto all’acqua a livello globale e nei singoli Stati? VI L’ipotesi oggetto di studio è che il riconoscimento del diritto avente ad oggetto una risorsa naturale assicura l’equilibrio tra il profilo economico e il profilo sociale del bene, dando spazio al valore “ideale” della risorsa stessa. E cioè che tale riconoscimento innanzitutto funga da ago della bilancia tra il mercato e la gestione non economica del bene. In secondo luogo il riconoscimento di un diritto all’acqua aprirebbe la strada allo sviluppo di strumenti effettivi di conservazione delle risorse naturali che superino le tradizionali forme di inquadramento della titolarità e gestione del bene. Un esempio in tal senso potrebbe appunto essere costituito dalla proprietà ambientale: una forma proprietaria in cui risulta centrale il valore “ideale” del bene ambientale e che potrebbe realizzare appieno la propria funzione laddove si rafforzassero i vincoli da essa derivanti. VII Parte I Il diritto all’acqua nella pluralità degli ordinamenti giuridici Capitolo primo Il diritto all’acqua nel contesto internazionale 1. Premessa: sull’importanza della qualificazione giuridica del bene acqua La risoluzione delle Nazioni Unite del luglio 29 luglio 2010 afferma l’esistenza del “diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici come un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. A fronte di tale esplicita presa di posizione di un organismo internazionale su una tematica importante quale quella dell’accesso alle risorse idriche, appare quanto meno utile indagare se e come questa affermazione produca dei riflessi negli ordinamenti interni degli Stati. L’indagine dell’indifferenza o dell’assorbenza da parte del diritto di uno Stato di una dichiarazione di un principio universale, pur nella sua assoluta non vincolatività, rappresenta uno strumento attraverso il quale cercare di definire i contorni giuridici del bene acqua. E ciò in quanto l’acqua è oggetto di un servizio pubblico in cui è centrale il problema della garanzia dell’accessibilità della stessa a fronte di vari elementi: il profilo proprietario della risorsa, le diverse forme gestionali scelte nel tempo dal legislatore, il sistema di tariffazione e la presenza di autorità di regolazione. In linea teorica implicazioni differenti seguirebbero al riconoscimento di un diritto piuttosto che ad esempio di un bisogno, sotto vari profili. Innanzitutto quello giuridico, in termini di pretese in capo ai titolari e corrispondenti doveri delle pubbliche amministrazioni; economico, in termini di valutazione del valore del bene acqua; politico, dal punto di vista delle scelte che ne derivano; organizzativo, nel senso di una configurazione del corrispondente servizio che ne rispecchi i contenuti. In questa sede si compie il tentativo di comprendere se il riconoscimento di un diritto all’acqua a livello internazionale possa risultare utile, necessario, realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento interno 1 di uno Stato, e in specie, in Italia. E, per arrivare a questo, si cercherà prima di capire di quali elementi si compone attualmente in Italia il c.d. statuto della risorsa idrica. Diverse e di molteplice natura sono le esigenze alla base dell’intento di chiarire come un ordinamento consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene. “Nella materia acqua convivono infatti diverse funzioni: la funzione "risorsa”, che va gestita, organizzata, amministrata; poi c'è la funzione "recipiente", poiché i fiumi, i laghi, il mare sono utilizzati anche come recipiente del metabolismo umano e industriale. Un'altra funzione è quella di "mobilità": acqua come mezzo di trasporto. E poi acqua come protezione del suolo (funzione indiretta). Ma le funzioni vanno coordinate e armonizzate: “se l'acqua è usata solo come recipiente la funzione come risorsa viene danneggiata”. 1 Quanto appena espresso si traduce in differenti esigenze che sono alla base dell’indagine di come un ordinamento inquadri giuridicamente una risorsa naturale e se e come il corrispondente servizio alla collettività realizzi effettivamente la sua funzione pubblica. 2. Esigenza di sostenibilità Capire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se (e come) il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è importante prima di tutto per verificare se le esigenze sociali ed economiche che sono alla base della sua utilizzazione si conciliano con l’aspetto di salvaguardia ambientale della risorsa. Si pone cioè la necessità di verificare se ci sia una utilizzazione della risorsa in linea con il principio di sostenibilità e/o come la si possa raggiungere. La disamina giuridica del tema della distribuzione delle risorse idriche in termini di diritto di accesso, non può prescindere dal nesso con la tematica del progresso economico compatibile con la preservazione dei beni ambientali. Una corretta gestione della risorsa idrica, così come delle risorse naturali in genere, non può esimersi dal considerare il collegamento esistente tra l’uso sostenibile delle stesse e lo sviluppo: appare indispensabile “conciliare le esigenze imposte dell’efficienza 1 allocativa, dall’equità distributiva e dalla salvaguardia Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 2 dell’ambiente”2. Perché “Una impostazione contemporanea di ciò che è stato fin’ora <<il diritto delle acque>> non può non partire da una constatazione di fatto, che costituirà presumibilmente una delle caratterizzazioni che la storia riconoscerà alla nostra età: le risorse idriche diventano, ovunque e con maggiore evidenza nelle aree fortemente urbanizzate, sempre più scarse, ed inoltre tali risorse presentano una qualità che tende a deteriorarsi e che anzi spesso è già al degrado irreversibile”3. Il modo in cui un ordinamento inquadra giuridicamente una risorsa naturale e la utilizza canalizzandola in un servizio, ci permette cioè di capire se la risorsa stessa viene rispettata o al contrario, danneggiata o deteriorata. E questo è fondamentale perché il rispetto della risorsa, attraverso la garanzia di conservazione e tutela, indirettamente assicura le future possibilità di sfruttamento della stessa in termini qualitativi e quantitativi. Infatti soltanto se la risorsa viene utilizzata razionalmente, il servizio alla collettività è effettivo e certo, nel presente e nel futuro. L’acqua viene indicata dal Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, in occasione del vertice di Johannesburg (2002), come una delle cinque priorità ed il rapporto dell’Unep (Geo 2000) definisce la scarsità delle risorse idriche come una emergenza globale.4 Le strette connessioni tra le risorse ambientali e lo sviluppo economico e sociale costituiscono quello che oggi è noto come “sviluppo sostenibile”, termine presente per la prima volta nel c.d. Rapporto Brundtland del 1987. “Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni presenti senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”5. 2 Murolo A., Aspetti economici dello sviluppo sostenibile, pag.4, Giappichelli, 2007 3 Greco N., Le acque, pag.22, Il Mulino, 1983 4 Le modalità istituzionali necessarie per regolare un uso equo delle risorse idriche, alla luce dei dati contenuti nel World Water Development Report (Rapporto Mondiale sull’Acqua), presentato durante la Giornata Mondiale dell’Acqua, il 22 marzo 2003, sono apparse all’epoca del tutto inadeguate e la definizione di un quadro giuridico amministrativo omogeneo viene indicata quale base su cui realizzare obiettivi di cooperazione ed evitare il moltiplicarsi di conflitti per l’acqua. 5 Brundtland G.H. e altri , "Il futuro di noi tutti. Rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo", Milano, Bompiani, 1988 3 Si definisce sostenibile la gestione di una risorsa se, nota la sua capacità di riproduzione, non si eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia. Per quanto attiene in particolare alle risorse idriche, incluse nella categoria delle c.d. risorse “esauribili”, di primaria importanza sono i tempi e le modalità dello sfruttamento delle stesse. La materia ambientale in genere costituisce un ambito ritenuto fondamentale per il raggiungimento dell’ obiettivo di creazione di aree di libero scambio, di pace durevole e di prosperità condivisa6: questa è infatti un'esigenza fortemente avvertita nello scenario internazionale, sia per l’interdipendenza tra i vari Paesi, sia per la necessità di un coordinamento tra i programmi multilaterali al fine di conciliare lo sviluppo economico con la protezione dell’ambiente, circoscrivendo i problemi primari del settore tra cui, in primis, una equa allocazione delle risorse idriche tra Paesi industrializzati e Paesi in via di Sviluppo. Nella Relazione della Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo 42/187, appunto il c.d. Rapporto Brundtland, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concorda con la Commissione sul fatto che, mentre si cerca di porre rimedio ai problemi ambientali esistenti, sia “indispensabile influenzare le fonti di tali problemi nell’attività umana, in particolare in quella economica, e quindi provvedere ad uno sviluppo sostenibile”, e ritiene inoltre che “una ripartizione equa dei costi ambientali e dei benefici dello sviluppo economico tra i diversi paesi e tra generazioni presenti e future sia la chiave per raggiungere la sostenibilità”7. Il rapporto Brundtland (Our Common Future) è un documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCED) dove per la prima volta, viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Il nome viene dato dalla coordinatrice Gro Harlem Brundtland che in quell'anno era presidente del WCED e ha commissionato il rapporto. 6 Marchisio S., Aspetti giuridici del partenariato Mediterraneo, pag.3, Giuffrè, 2001 Il sistema descritto dalla Convenzione di Barcellona per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento e dei suoi Protocolli è uno dei fattori che concorrono maggiormente sul piano normativo alla promozione dello sviluppo sostenibile, nel contesto della messa in atto del c.d. partenariato euro-mediterraneo. Il programma correlato alla Dichiarazione del 1995 indica l’ambiente come uno dei diversi settori di cooperazione per la creazione di una zona di “benessere condiviso”. 7 Rapporto Brundtland, 42/187. Report of the World Commission on Environment and Development,http://www.un.org/documents/ga/res/42/ares42 -187.htm 4 Lo strumento che il Rapporto indica come fondamentale al fine di realizzare un equilibrio tra crescita economica, preservazione del bene ambientale e diritti delle generazioni attuali e future ad avere condizioni di vita sane, è costituito dall’equa ripartizione dei costi che ricadono sull’ambiente e, allo stesso tempo, dei vantaggi economici derivanti dallo sviluppo, tra tutti i Paesi del Mondo e tra le generazioni esistenti e le successive, oltre alla fusione di ambiente ed economia nei processi decisionali. Ne deriva che, applicando questo strumento operativo all’ambito delle risorse idriche, per “sostenibilità idrica” si intende un uso razionale dell’acqua che consenta di conservare e tutelare la risorsa nel lungo periodo, sia esso domestico, agricolo o industriale; che si realizza attraverso la condivisione delle ripercussioni positive e negative in termini, rispettivamente, di costi per l’ambiente ed utilità economica, equa ripartizione tra Paesi Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo da un lato, e tra generazioni di oggi e quelle di domani dall’altro. Quanto proclamato nel Rapporto si scontra però con la realtà degli anni passati e con quella attuale, in cui il divario tra Paesi Ricchi e Paesi Poveri è stato ed è tuttora enorme, con una allocazione dei vantaggi economici esclusivamente presso i primi ed una diseguale ripartizione dell’acqua con seri problemi per i secondi, pur nella sua complessiva scarsità. L’aspetto economico prevale sia sulla salvaguardia della risorsa sia sulla garanzia dei diritti degli individui. La conclusione che se ne può logicamente trarre è che lo strumento della condivisione non sia stato quindi attuato. Il Rapporto ribadisce la necessità, per i Paesi sviluppati e per gli specifici organi ed organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, di rafforzare la cooperazione tecnica con i Paesi in via di Sviluppo per renderli in grado di elaborare e rafforzare la loro capacità di identificare, analizzare, monitorare, prevenire e gestire i problemi ambientali, secondo i propri piano di sviluppo nazionali, le priorità e gli obiettivi. Si afferma cioè la necessità di ripartire equamente anche le conoscenze tecniche a disposizione al fine di consentire a tutti i Paesi di porsi sullo stesso piano nell’affrontare le criticità gestionali delle risorse e, nel caso specifico di studio, dell’acqua. 5 3. Esigenza “economica” Esigenza direttamente connessa alla precedente è quella di pervenire a una corretta collocazione della risorsa idrica in uno scenario di tipo economico. Sotto un profilo economico conoscere che tipo di inquadramento giuridico dà un ordinamento all’acqua serve per individuare quali sono le possibilità di gestione della risorsa. Il Mar del Plata Action Plan (documento conclusivo della Conferenza del 1977 da cui deriva il nome) nella prima parte, recante raccomandazioni riguardanti tutte le componenti principali della gestione dell’acqua, contiene una relazione avente ad oggetto la nascita di una nuova branca dell’economia che si occupa specificamente dei problemi relativi all’acqua, appunto la c.d. idroeconomia8. Essa deriva dall’esigenza di comprendere come l’economia sia usata in materia al fine di individuare tutte le possibilità di gestione della risorsa e come esse vengono valutate. Nella Relazione l’acqua viene definita come uno dei più semplici composti chimici che gioca però un ruolo critico nel sostenere la vita biologica del pianeta Terra. Al fine di aumentare l’efficienza negli usi si afferma che non deve essere costruita una politica in sé, ma piuttosto un principio in tutte le politiche: porre un’appropriata attenzione sull’efficienza dell’utilizzazione della risorsa acqua. La riduzione della domanda invece degli aumenti di fornitura, dovrebbe diventare la strategia di scelta nel bilanciamento tra fornitura e domanda. Poiché viene introdotto un prezzo per l’acqua, si ritiene importante considerare le infrastrutture promuovendo la riduzione delle perdite e degli sprechi in modo che l’acqua risparmiata possa essere riallocata a usi alterni come appunto gli aumenti di domanda. Viene anche considerato importante focalizzare l’attenzione sulla prevenzione dell’inquinamento come via per massimizzare l’utilizzazione della risorsa. Gli usi dell’acqua, che rappresentano le ricadute in termini pratici della proprietà e della gestione, siano esse pubbliche o private, secondo la Relazione sono soltanto due: il primo e più importante, quello finalizzato al sostentamento dell’ecosistema, il secondo quello di risorsa naturale 8 Rogers, P. (1997). Preparing for the future. Hydroeconomics: Getting water into national economic planning. Proceedings of Mar del Plata 20 years anniversary seminar. Stockholm, Stockholm International Water Institute. 6 per il genere umano. Tutti gli altri usi possono essere subordinati a questi due. La discussione circa la scarsità dell’acqua è ritenuta inoltre intimamente legata al concetto di risorsa rinnovabile o non rinnovabile. Se è rinnovabile, ci si chiede come essa potrà mai esaurirsi. In un ecosistema non c’è un “surplus” di materiali. L’acqua viene già riallocata tra le specie e senza queste “esternalizzazioni” non avremmo un ecosistema funzionante. Non c’è - continua la Relazione - un sistema che non sia una parte funzionale di qualche altro sistema. Tutte le “esternalizzazioni” sono, pertanto, vantaggiose. Senza riallocazioni il sistema stesso cesserebbe la sua funzione. Il problema sorge quando l’uomo sovraccarica la capacità dell’ecosistema di assorbire o neutralizzare i suoi “effluenti” e le azioni ambientali e ciò porta conseguentemente, quanto all’acqua, ad una non corretta riallocazione ed alla scarsità della stessa. Gli economisti moderni definiscono la scarsità dell’acqua evidenziando come il bisogno della risorsa debba essere espresso attraverso la quantità ed il prezzo9. Questa è la c.d. “domanda economica” per l’acqua in relazione alla quale devono essere specificati sia la quantità che il prezzo. Chiaramente, se una risorsa è fissa e la popolazione che la consuma cresce, qualcosa deve cambiare, sia per la quantità sia per il prezzo. Non esiste infatti un surrogato dell’acqua dolce nel sostentare la vita umana ed animale ed è pertanto necessario muoversi sui due fattori di riferimento menzionati al fine di garantire la soddisfazione del bisogno. Si sostiene infatti che “La definizione della scarsità in termini non economici è una distrazione che può indurre ad una allocazione sbagliata della risorsa”.10 Il prezzo viene quindi considerato oltre ad un elemento costitutivo della risorsa, anche e soprattutto uno strumento di difesa della stessa. L’acqua è in pericolo a causa di una gestione errata di questa risorsa di comune proprietà per il fatto che non ha un prezzo di protezione. Il fatto che relativamente ad essa esistano molti potenziali usi conflittuali, implica sicuramente maggiori compiti dei governi nel regolare l’accesso alla stessa. E’ difficile infatti assegnare un “ambiguo” valore economico a molti usi, e pertanto questi potranno essere implicitamente sottostimati, sovrastimati, oppure completamente ignorati, nel corso del processo decisorio, ma la fissazione di un prezzo di mercato resta comunque 7 necessaria per tutelare la risorsa. Il modello di gestione dell’acqua auspicato dal Mar del Plata Action Plan è quindi basato sulla riduzione della domanda a cui si perviene, sia attraverso il contenimento delle perdite e degli sprechi in modo che l’acqua risparmiata possa essere riallocata a usi alterni, sia per mezzo della lotta all’inquinamento. La c.d. “sostenibilità idrica” viene definita facendo riferimento al prezzo della risorsa come un elemento costitutivo e uno strumento di difesa della stessa. Una corretta allocazione e gestione dell’acqua, che consenta di soddisfare tutti i suoi potenziali usi, pur preservando contemporaneamente la risorsa sia per le generazioni attuali che per quelle future, poggia infatti sulla fissazione da parte dei governi di un prezzo di mercato, restando sempre l’acqua un bene comune alla collettività protetto attraverso i compiti del pubblico potere. Nello scenario internazionale, dopo la Conferenza del Mar del Plata, il “valore economico dell'acqua” è uno dei temi centrali della Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di Dublino (ICWE) del 1992 e viene nuovamente rappresentato il concetto che “gestire l'acqua come un bene economico è un modo importante di conseguire un uso efficiente ed equo, e di favorire la conservazione e la tutela delle risorse idriche”, muovendo dal principio secondo il quale l'acqua ha un valore economico in tutti i suoi usi concorrenti e deve essere riconosciuta come un bene economico. Durante il Primo Forum Mondiale sull’Acqua di Marrakech11, attraverso il documento denominato “La Visione”, al fine di introdurre concretamente un uso 11 Primo Forum Mondiale sull' acqua (Marrakech,1997) Il Primo Forum Mondiale sull' acqua si svolge a Marrakech, in Marocco, il 22 marzo 1997, appunto Giornata Mondiale dell'Acqua, e nel corso dello stesso vengono affrontate tematiche quali acqua e fognature, gestione delle risorse idriche condivise, conservazione dell'ecosistema ed uso efficiente dell'acqua. A conclusione della Conferenza viene adottata la “Dichiarazione di Marrakech”, una “Carta” dei principi in materia di acqua, e viene approvato anche il documento designato a porre in essere i principi sanciti dalla Dichiarazione: “The World Water Vision” (la Visione Mondiale dell’Acqua). (Marrakech Declaration http://www.ielrc.org/content/e9712.pdf) Il quadro generale della situazione mondiale delle acque viene delineato nella Dichiarazione di Marrakech: “Noi, i partecipanti al primo Forum mondiale dell'acqua, svoltosi in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua a Marrakech il 21-22 marzo 1997, riconosciamo il generoso sostegno di Sua 8 sostenibile delle risorse idriche, viene prospettata una nuova strategia collettiva basata sulla partecipazione dei cittadini ed al tempo stesso caratterizzata da un ruolo più complesso dell’autorità pubblica, contemporaneamente ente garante ed ente controllato, con il compito precipuo di aiutare le popolazioni. I pubblici poteri quindi, oltre ad avere il dovere di agire a protezione della risorsa e dei cittadini, come precedentemente espresso nei Summit già citati, vedono il loro operato assoggettato al controllo della collettività. Nulla però si specifica circa l’inquadramento giuridico dell’acqua, se sia cioè configurabile come un bisogno, un diritto o altro. Nel corso del Terzo Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto si comincia a parlare di privatizzazione dell’acqua e dei servizi ad essa legati o, come viene meglio detto, della partnership pubblico-privato. La dichiarazione ministeriale approvata a Kyoto, al sesto punto, afferma infatti che “tutte le fonti di finanziamento, sia pubbliche, sia private, nazionali e internazionali, devono essere mobilitate ed utilizzate nel modo più efficiente ed efficace”12. Maestà il Re Hassan II per il suo patrocinio a questo storico incontro((...)) Estendiamo i nostri più sentiti ringraziamenti al governo del Regno del Marocco per l'organizzazione di questo Forum, e ringraziamo il suo popolo e questa grande città di Marrakech per la loro straordinaria ospitalità. Noi riconosciamo l'urgente necessità di una migliore comprensione di tutte le complesse questioni sul piano quantitativo e qualitativo , politico ed economico e giuridico e istituzionale, sociale e finanziario, educativo e ambientale, che deve esserci nella definizione di una politica delle acque per il prossimo millennio. Il Forum invita i governi, organizzazioni internazionali, ONG e i popoli del mondo a lavorare insieme in una rinnovata collaborazione a mettere in pratica quanto affermato a Mar del Plata, i Principi di Dublino e il capitolo 18 del Vertice di Rio e ad avviare una «Blue Revolution» per garantire la sostenibilità delle acque della Terra . In particolare, il Forum raccomanda azioni per riconoscere i bisogni umani fondamentali ad avere accesso all'acqua potabile e servizi igienico-sanitari, di istituire un efficace meccanismo per la gestione delle acque comuni, sostenere e preservare gli ecosistemi, incoraggiare l'uso efficiente delle risorse idriche e promuovere il partenariato tra i membri della società civile e Governi. In risposta alle esigenze illustrate ed alle azioni raccomandate, si conferisce mandato del Consiglio Mondiale dell'Acqua a lanciare una iniziativa di tre anni di studio, consultazione e di analisi che porterà ad una visione globale delle acque, della vita e dell' ambiente nel prossimo secolo. A conclusione di questo processo, si vuole offrire una politica ri1evante da intraprendere da parte dei leader del mondo al fine di soddisfare le esigenze delle generazioni future”. 12 http://www.mofa.go.jp/policy/environment/wwf/declaration.html 9 Contemporaneamente nel corso del Primo Forum Alternativo sull’Acqua di Firenze si esprime chiaramente il concetto inverso per cui non ci può essere produzione di ricchezza senza accesso all’acqua: l’acqua non è infatti paragonabile a nessun’altra risorsa e non può essere quindi oggetto di scambio commerciale di tipo lucrativo13. Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile individuale e collettivo. L’acqua appartiene più all’economia dei beni comuni e della distribuzione della ricchezza che all’economia privata dell’accumulazione individuale ed altre forme di espropriazione della ricchezza. L’acqua è « res publica » ed i meccanismi di fissazione dei prezzi individuali devono seguire un sistema di progressività partendo da un livello di utilizzazione dell’acqua oltre il minimo vitale indispensabile. Aldilà di questo minimo vitale, è infatti corretto che i prezzi siano in funzione della quantità usata e che ogni eccesso debba essere considerato illegale. Si sostiene inoltre una vera partnership pubblica/privata a livello locale/nazionale/mondiale, basata sul rispetto reciproco e non su conflitti e rivalità, per realizzare una gestione dell’acqua sostenibile, nell’interesse generale. Si accetta pertanto che ci sia un prezzo per l’acqua quando l’uso che se ne fa superi il minimo indispensabile alla vita e si ribadisce implicitamente il valore economico della stessa come strumento di protezione da eccessi e sprechi. Sulla privatizzazione dell’acqua in genere si torna a discutere nel corso del Quarto Forum Ufficiale svoltosi a Città del Messico: anche se i risultati raggiunti dal settore privato non sono stati spesso all’altezza né delle aspettative delle autorità dei Paesi in via di Sviluppo né dei Paesi donatori, il Secondo Rapporto Mondiale sull’Acqua14, presentato appunto a Città del Messico, insiste sul fatto che “ sarebbe un errore” mettere una croce sul settore privato in quanto si reputa che dei governi in grande difficoltà finanziaria, nei cui paesi le regolamentazioni sono insufficienti, siano lontani dal risolvere i problemi di cattiva gestione delle risorse di acqua e problemi di insufficienza dei servizi di approvvigionamento di acqua. Le cause principali della crisi idrica attuale e al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione vengono individuati in cattive pratiche di gestione, 13www.ecoprogetti.com/downloads/acqua/documentofinale_F_Acqua.pdf associazioni.comune.firenze.it/legambiente/programma.pdf 14 http://www.unesco.org/water/wwap/wwdr/wwdr2/ 10 corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi dovuti a collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei canali. Al termine di questo Summit, così come avviene nel corso del Quinto Forum di Istanbul15, non c’è il riconoscimento dell’acqua come diritto mentre, durante il Forum Alternativo16 che si svolge contemporaneamente ad Istanbul, si ribadisce la lotta contro la privatizzazione dell'acqua a favore di una gestione pubblica, partecipata e democratica della risorsa idrica, intesa come un diritto umano inalienabile. Si rifiuta il modello economico e finanziario che prevede la privatizzazione, commercializzazione e riduzione dell’acqua pubblica e dei servizi sanitari in mano a interessi corporativi che rappresenta una riforma del settore pubblico distruttiva e non partecipativa, fallimentare e causa di un enorme indebitamento del settore pubblico e della trasformazione dell’acqua in una merce e della Natura in una riserva di materie prime, opposta al necessario partenariato pubblico-pubblico che sottrae il controllo dell’acqua per il profitto, alle corporazioni e ne assicura la pubblica utilità. 4. Esigenza di una regolamentazione unitaria Un’ulteriore esigenza alla base dell’intento di chiarire come l’ordinamento consideri il bene acqua e se e come il servizio idrico risponda realmente alla finalità pubblica connessa al bene è quella di porre le basi per una regolamentazione unitaria della materia delle acque. Regolamentazione unitaria attualmente inesistente anche a livello internazionale e di primaria importanza per un’utilizzazione razionale ed uniforme della risorsa idrica. Tentativi di creazione dapprima, e di unificazione poi, di leggi organiche sulle acque sono infatti ravvisabili sin dalle più antiche civiltà idrauliche quali quella del Mekong, del Fiume Giallo e dell' Indus fino alla Cina dei regni combattenti, dove è riscontrabile l'esistenza di un codice delle acque già intorno al 400 a.C.17, dall'antica Roma al 15http://www.iisd.ca/ymb/water/worldwater5/html/ymbvol82num23e.html http://www.iwlearn.net/abt_iwlearn/events/iwc5/5th-world-water-forum-ministerialstatement 16 http://www.asud.net/images/doc/000dich_istanbul_acqua.pdf 17 Perrucci U., Le acque pubbliche nella legislazione italiana, Zanichelli, 1981, pag. 151 11 Medioevo, in cui si afferma anche per le acque il concetto di beni appartenenti al 18 dominio (demanium) del re o dell'Imperatore . L'utilizzazione delle acque, soprattutto interne, ha sempre avuto un'importanza decisiva ai fini dello sviluppo delle attività connesse all'agricoltura, al commercio ed alla stessa convivenza civile. Tuttavia all’inizio, l'intervento dei pubblici poteri si è articolato in modo disorganico, legato a specifiche contingenze del momento piuttosto che secondo linee direttrici unitarie del fenomeno idrico ed è solo con l'emergere di nuove esigenze legate a minacce reali di depauperamento ed esaurimento della risorsa e per arginare il fenomeno di deterioramento dell'ambiente naturale compromesso dalla crescita delle civiltà industriali, che si riscontrano i primi tentativi, sia a livello interno dei diversi Stati sia a livello internazionale, di individuare le linee direttrici di una disciplina unitaria del fenomeno idrico e di avviare forme di collaborazione finalizzate ad un razionale uso delle acque ed alla preservazione delle risorse idriche esistenti. I risultati di questa nuova tendenza sono ravvisabili in diversi codici delle acque in cui viene condensata la politica riguardante le risorse idriche di differenti paesi: la legge israeliana sulle acque del 1959; la legge turca di nazionalizzazione del 1960; la legge iraniana di nazionalizzazione del 1968; i c.d. «water acts» di diversi Stati Americani; il codice delle acque dell'Alaska del 1966 e quello della Florida del 1975. Anche in ambito europeo molti Stati si dotano di leggi sistematiche sulle acque, come ad esempio la Francia nel 1964 e l'Inghilterra nel 1963 e nel 1973. Conseguenza diretta della creazione di codici o testi unici sulle acque è stata l'organizzazione di incontri e convegni internazionali in cui sono stati confrontati gli studi giuridici in materia e prospettate soluzioni ai problemi idrici emergenti nel contesto internazionale ed anche alle conseguenti implicazioni sul piano dei rapporti tra gli Stati. Sviluppo sostenibile, inquadramento economico e regolamentazione unitaria dell’acqua sono esigenze che inducono a non sottovalutare le potenzialità che dall’affermazione del diritto in sede internazionale possono derivare alla “questione idrica”. Relativamente recente è infatti il dibattito sull’acqua e le aspettative che su questa risorsa si concentrano. E ancora lontano sembra la strada volta al raggiungimento di una concezione globale che metta d’accordo i diversi 18 Astuti, Acque, in Enciclopedia del diritto I, pag. 346 12 attori che si contrappongono nello scenario mondiale nella annosa querelle sulla qualificazione giuridica da riconoscere al bene acqua. Se esso sia cioè oggetto di un bisogno o di un diritto ancora non è stato chiarito. Ma non lascia di certo indifferenti la netta presa di posizione sulla questione da parte delle Nazioni Unite. Torniamo dunque a chiederci se e cosa cambi con la Risoluzione del luglio 2010. E al fine di comprendere il significato dell’affermazione del diritto da essa operato, ripercorriamo innanzitutto le tappe dell’evoluzione del dibattito mondiale che si è sviluppato sul tema dell’acqua a partire dagli anni ’70 ad oggi. Dopodiché si passerà a definire la cornice comunitaria di riferimento sulla risorsa, cornice che è venuta delineandosi quasi parallelamente a quella internazionale. Infine lo scenario interno: si descriverà l’emergere nell’ordinamento giuridico italiano di una normativa specifica sull’acqua e il delinearsi degli elementi costitutivi della situazione soggettiva che è stata costruita intorno ad essa. Il quadro di sintesi risultante dall’analisi dei documenti prodotti a seguito dei Forum Mondiali, dall’attività dell’Unione Europea e dalla normativa italiana sul tema, sarà d’ausilio nel percorso volto all’indagine dei potenziali elementi costituitivi di un diritto all’acqua. Sulla base di quanto emerso, cercare di capire se il riconoscimento di tale diritto - ad opera di una determinazione non vincolante assuma in qualche modo un significato che vada aldilà di una mera enunciazione di principio, potrà acquistare maggiore concretezza di contenuti e permetterci di fissare un primo tassello nel quadro complessivo che si intende ricostruire. 2. Il contesto internazionale 2.1 evoluzione storica del dibattito mondiale sul tema dell’acqua Il dibattito mondiale sul problema dell’approvvigionamento idrico ha interessato gli Stati a partire dagli anni ’70, periodo dal quale è iniziata ad emergere la consapevolezza che è necessario tutelare le risorse naturali attraverso strategie di pianificazione e porre l’attenzione sul binomio economia-ambiente. Il raggiungimento dell’equilibrio tra economia ed ambiente viene considerato asse prioritario al fine della definizione di un nuovo modello di sviluppo che muova dalla presa di coscienza della gravità dei rischi per la qualità della vita, derivanti da uno squilibrio tra i due fattori, e che si ponga quale obiettivo primario le creazione 13 tra gli stessi di un rapporto integrato e positivo, che consenta di preservare le risorse pur nella loro utilizzazione. Fin dal 1952 le Nazioni Unite, che annoverano tra gli scopi principali la promozione della cooperazione internazionale e lo sviluppo economico e sociale dei suoi membri, incaricano il Segretario Generale, attraverso diverse risoluzioni, di facilitare lo sviluppo delle risorse idriche e, il bilancio generale che si può tracciare a più di dieci anni di distanza dalla prima conferenza mondiale ufficiale sul tema, vede il succedersi di numerosi appuntamenti internazionali, i cui risultati si traducono in documenti (c.d. dichiarazioni), organizzati allo scopo di affrontare e tentare di risolvere a livello globale il problema della crisi idrica e garantire a tutti gli essere umani l’accesso alla risorsa. La prima conferenza in materia di acqua è la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite del 1977 svoltasi in Argentina, c.d. Conferenza di Mar del Plata19 nel corso della quale si afferma il principio fondamentale secondo cui “Tutti hanno diritto di accedere all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali” e viene inoltre pubblicato il c.d. Mar del Plata Action Plan, un 19 Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sull’acqua ( Mar del Plata, 1977) Al termine della Conferenza di Mar del Plata viene pubblicato il c.d. Mar del Plata Action Plan, un documento contenente un consistente piano di azioni diviso in due parti: la prima recante raccomandazioni riguardanti tutte le componenti principali della gestione dell’acqua ed la seconda dodici risoluzioni su una vasta gamma di aree specifiche. La Conferenza di Mar del Plata viene considerata una pietra miliare nella storia dello sviluppo dell’acqua durante la seconda metà del ventesimo secolo. Contemporaneamente alla Conferenza di Mar del Plata, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), unitamente alle Commissioni Economiche Regionali per le acque create dalle Nazioni Unite, organizza numerose conferenze tra le quali degne di nota sono: la Conferenza di Bangkok del 1965 sui codici delle acque; il seminario interregionale di Nuova Dehli del 1973 avente ad oggetto la gestione delle acque; il seminario di Budapest del 1975 sullo sviluppo dei bacini; i congressi di Manila e Damasco sulle tecniche di irrigazione; gli incontri dell’associazione internazionale delle acque di Mendoza e Caracas tenutisi rispettivamente nel 1968 e nel 1976. Nel periodo che va dal 1980 al 1992 si susseguono eventi internazionali finalizzati a dare rilevanza mondiale al problema dell'accesso alle risorse idriche: nel 1980 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama Decennio Internazionale dell'Acqua il periodo 1981-1990 e definisce il c.d “accesso” alla risorsa come “la disponibilità di almeno venti litri di acqua pulita al giorno pro capite; nel 1990 segue la Consultazione Globale di Nuova Dehli su Acqua Pulita e Servizi Sanitari. 14 documento contenente un consistente piano di azioni in materia di gestione dell’acqua20 . Da conferenze e trattati internazionali emerge la tendenza generale a ritenere determinante, al fine di razionalizzare l’uso dell’acqua e rispondere al sempre più crescente bisogno della stessa, la considerazione della risorsa idrica come bene economico ed il riconoscimento del suo valore monetario. Nello specifico, la Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente svoltasi a Dublino nel 1992, introduce il concetto di acqua come bene economico, concetto che viene ribadito nuovamente nel corso del Secondo Forum Mondiale sull’Acqua dell’Aja nel marzo 2000: per la prima volta l’economia entra come parametro di valutazione legato all’acqua con la giustificazione che “nel passato, il mancato riconoscimento del valore economico dell’acqua ha comportato sprechi e utilizzi che hanno danneggiato l’ambiente”21. Si afferma infatti che l’acqua deve essere considerata 20 Biswas Asit K., From Mar del Plata to Kyoto: an analysis of global water policy dialogues,2003,in http://www.doccentre.org/docsweb/water1/water biswas.htm 21Dichiarazione di Dublino,http://www.gdrc.org/uem/water/dublin statement.html Quattro sono i principi affermati nel corpo della Dichiarazione che devono essere rispettati nell’ambito di una azione concertata a livello locale, nazionale e internazionale ed è basandosi sui quattro principi guida che i partecipanti alla conferenza hanno elaborato delle raccomandazioni finalizzate ad aiutare i paesi nell’affrontare i problemi delle loro risorse di acqua. Nello specifico si punta l’attenzione sull'acqua di conservazione e di riutilizzo in quanto i modelli di utilizzo delle acque reflue esistenti comportano sprechi eccessivi. Possibilità di risparmio idrico in agricoltura si hanno utilizzando pratiche di irrigazione più efficienti ed il riciclo consente di ridurre il consumo di molte industrie e, unitamente, di ridurre l'inquinamento. L'applicazione del "chi inquina paga" inoltre rappresenta, in questa ottica, il principio base della tariffazione dei servizi idrici per la conservazione e il riutilizzo. In media, il 36% dell'acqua prodotta dalle società di servizi delle acque urbane nei paesi in via di sviluppo è "dispersa". Una migliore gestione potrebbe ridurre queste costose perdite. Maggiori risparmi possono venire da un uso multiplo delle acque nel rispetto delle norme di scarico basate su nuovi standard di tutela delle acque e ciò può consentire ai consumatori di riutilizzare l'acqua che attualmente è troppo contaminata dopo il primo uso. In tema di sviluppo urbano sostenibile poi si afferma come la sostenibilità della crescita urbana sia minacciata dalla riduzione delle forniture di acqua a buon mercato, a causa del depauperamento e del degrado causato dalla passata dissolutezza negli usi. Dopo una generazione o più di usi eccessivi dell'acqua e di scarichi sconsiderati di rifiuti urbani e industriali, la situazione nella maggior parte delle principali città del mondo è preoccupante e sta peggiorando. Le future forniture garantite devono essere basate su tariffe idriche adeguate e su 15 un bene economico con un suo valore di mercato che si calcola usando quali parametri di riferimento la necessità di remunerare il capitale investito e il costo di produzione. Nel corso della Conferenza di Bonn22 del dicembre 2001 e, nell’ambito della relativa Dichiarazione, per la prima volta gli Stati respingono controlli sugli scarichi. La contaminazione di terra ed acque non può più essere vista come un compromesso ragionevole per garantire l'occupazione e il benessere portato dalla crescita industriale. Si afferma inoltre, in merito al settore dell'agricoltura, che esso non deve solo fornire cibo per le popolazioni in crescita, ma anche il risparmio di acqua per altri usi. La sfida è quella di sviluppare e applicare tecnologie per il risparmio di acqua e di metodi di gestione e, attraverso il potenziamento delle loro capacità, consentire alle comunità di introdurre incentivi per le istituzioni e la popolazione rurale ad adottare nuovi approcci, sia per l'agricoltura pluviale che di irrigazione. Quale soggetto geografico più appropriato per la pianificazione e la gestione delle risorse idriche viene indicato il bacino idrografico, che comprende sia le acque superficiali che quelle sotterranee. La funzione essenziale del bacino quella di è conciliare e armonizzare gli interessi dei paesi rivieraschi, realizzare il monitoraggio quantitativo e qualitativo delle acque, garantire lo sviluppo dei programmi di azione concertata e lo scambio di informazioni e di far rispettare gli accordi. Nei decenni a venire la gestione dei bacini idrografici internazionali aumenterà notevolmente la sua importanza. Una priorità dovrebbe essere data alla preparazione e l'attuazione di piani di gestione integrata, approvati da tutti i governi interessati e supportate da accordi internazionali. Ai fini della misurazione delle componenti del ciclo dell'acqua, in quantità e qualità, e di altre caratteristiche che interessano l'ambiente acqua, base essenziale per un’efficace gestione delle acque, è lo scambio di dati sul ciclo idrologico su scala globale. Tutti i paesi devono partecipare e, se necessario, essere assistiti nel prendere parte al monitoraggio globale, nello studio degli effetti e nello sviluppo di strategie di intervento appropriate. I governi devono poi anche valutare la loro capacità, tramite specialisti della materia, di attuare l'intera gamma delle attività integrate per la gestione delle risorse idriche. Questo richiede un ambiente favorevole in termini di assetti istituzionali e giuridici, ivi compresi quelli necessari per una efficace gestione della domanda. L’attività di sensibilizzazione è una parte vitale di un approccio partecipativo alla gestione delle risorse idriche. La comunicazione deve infatti essere parte integrante del processo di sviluppo. 22 Nel 2001 si tiene la Conferenza Internazionale sull’Acqua di Bonn, nel contesto della quale si affrontano le tematiche dello sviluppo sostenibile, condivisione di buone pratiche e conoscenze, governance e risorse finanziarie. Segue nell’anno 2002 il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg, Sudafrica, in cui si richiamano i programmi di Agenda 21 e i principi del vertice di Rio de Janeiro quali obiettivi prioritari da raggiungere, unitamente alla riduzione, entro il 2015, della metà del numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile pulita e a strutture e servizi igienici ed alla messa a disposizione di tutti di acqua e servizi sanitari ed igienici entro il 2025. 16 esplicitamente la richiesta dei c.d. movimenti per l’acqua di inserire il “diritto all’acqua” nella dichiarazione finale. Successivamente, durante il vertice di Johannesburg del 2002 prevale il convincimento in base al quale l’investimento dei privati è il motore dello sviluppo sostenibile: il partenariato pubblico-privato nella gestione delle risorse idriche si afferma quindi come strumento più adeguato a promuovere la sostenibilità e soddisfare i bisogni come conseguenza dell’inettitudine dei Paesi industrializzati ad assicurare le risorse ai Paesi più poveri. A conferma di ciò, nel testo del documento finale23 dei lavori della conferenza intergovernativa si afferma testualmente che: “26. Riconosciamo che lo sviluppo sostenibile richiede una prospettiva a lungo termine ed una larga partecipazione nell'elaborazione politica, nei ruoli decisionali e nell'implementazione, a tutti i livelli. Come partner sociali, continueremo a lavorare per la costruzione di partnership stabili con tutti i grandi gruppi, rispettandone l'indipendenza e l'importanza del ruolo. 27. Riteniamo che le multinazionali, grandi e piccole, mentre perseguono le loro legittime attività, abbiano il dovere di contribuire all'evoluzione di comunità e società sostenibili ed eque”. A questa prima fase della c.d. cultura della “privatizzazione della gestione” dell’acqua segue un secondo stadio caratterizzato dall’agevolazione, attraverso i Forum Mondiali sull’Acqua, dell’ingresso nel mercato dell’acqua delle multinazionali. I Forum vengono organizzati ogni tre anni, al fine di elaborare le politiche mondiali sul tema, dietro sollecitazione della Banca Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e del Consiglio Mondiale dell’Acqua24. 23 24 La dichiarazione sullo sviluppo sostenibile viene adottata il 4 settembre 2002. Il Consiglio Mondiale dell'Acqua (nome ufficiale World Water Council, WWC) è un'organizzazione internazionale con sede a Marsiglia e la cui missione è "promuovere consapevolezza, costruire impegno politico e dare impulso ad azioni relativamente ai problemi critici di tutti livelli inerenti l'acqua". In particolare, l'organizzazione si propone di sostenere le pratiche di conservazione, protezione, sviluppo e gestione dell'acqua su basi sostenibili dal punto 17 Parallelamente si provvede alla creazione di strumenti per favorire la creazione di partenariati pubblico-privati come la Global Water Partnership25 e la Commissione Mondiale sull’Acqua26. Infine i risultati del processo sopra illustrato vengono cristallizzati nelle Dichiarazioni prodotte dai Forum stessi ed il quadro di sintesi che ne risulta è appunto il seguente: dopo il Secondo Forum de l’Aja27, nel 2000, l’accesso di vista ambientale. Il Consiglio dà vita ogni tre anni al più grande congresso internazionale sull'acqua, chiamato Forum Mondiale sull'Acqua (World Water Forum). Il Consiglio è finanziato principalmente attraverso i costi di iscrizione, fondi pubblici devoluti dalla città di Marsiglia, e donazioni da parte di governi, ONG e altre organizzazioni. 25 Il Global Water Partnership (GWP), è un network internazionale che fornisce informazioni in materia di gestione idrica sostenibile. Promuove e supporta attività che operano a livello nazionale e regionale di sviluppo. Oltre ad agenzie, il GWP comprende organizzazioni non governative e organizzazioni di ricerca scientifica. Enti e istituzioni di governo, compresa la Banca mondiale , la United Nations Development Program (UNDP) e la svedese per lo sviluppo internazionale (SIDA), hanno collaborato per creare il Global Water Partnership (GWP). Il GWP svolge essenzialmente il mandato operativo del Consiglio Mondiale dell'Acqua (WWC) e attua un "lavoro di partenariato tra tutti i soggetti coinvolti nella gestione dell'acqua: le agenzie governative, istituzioni pubbliche, imprese private, organizzazioni professionali, agenzie di sviluppo multilaterali ". 26 La Commissione mondiale per l'Acqua per il 21 ° secolo (WCW) è stato istituita in collaborazione con le Nazioni Unite e il Consiglio mondiale dell'acqua a seguito del 1 ° Forum mondiale dell'acqua a Marrakech (1997). Alla Commissione è stata affidata la responsabilità di sviluppare un documento di politica globale in materia di acque, di governance e di gestione, con lo scopo di costruire "un consenso tra i professionisti e le parti interessate". La Commissione ha presentato la sua relazione al 2 ° Forum mondiale dell'acqua marzo 2000 a L'Aia. 27 Nell’anno 2000 si tiene a l’Aja il Secondo Forum Mondiale sull’Acqua nell’ambito del quale l’attenzione viene incentrata sul rapporto tra acqua da un lato e, rispettivamente, natura, popoli e sovranità dall’altro e viene inoltre ribadito quanto già sancito nel quinto principio contenuto nella Dichiarazione Finale conseguente alla Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di Dublino del 1992 : “L'acqua ha un valore economico in tutti i suoi utilizzi e dovrà essere riconosciuta come bene economico”. L’acqua viene definita un bisogno e non un diritto. La differenza è enorme: il concetto di diritto implica che la collettività debba farsi carico di assicurare l’estensione a tutti di tale diritto, ovunque si trovino e indipendentemente dal fatto se possano o no pagarlo. Quando si parla di bisogno, invece, ci si riferisce implicitamente alla capacità del singolo di soddisfare tale bisogno. 18 all’acqua viene considerato un bisogno e nel corso del Forum del 2003 di Kyoto28 28 Il 2003 è l’Anno Internazionale dell’Acqua e a Kyoto viene presentato il Primo Rapporto Mondiale sullo Sviluppo Idrico. Questo documento è un dettagliato rapporto che fa da base al forum mondiale di Kyoto dove, da parte degli organizzatori viene dichiarata la volontà di tenere conto di tutti gli aspetti sociali, ambientali ed economici legati alla risorsa acqua. Per raggiungere dei risultati dovranno essere negoziati accordi con i delegati di tutto il mondo, comprese istituzioni internazionali legate alla Banca Mondiale e alle grandi multinazionali private dell'acqua. Il Rapporto si inserisce in un progetto di verifica del raggiungimento degli obiettivi enunciati a Rio de Janeiro nel 1992 e nella Dichiarazione del Millennio del 2000. Si afferma inoltre che i principi basilari di una efficace governance dell’acqua includono: la partecipazione di tutti i portatori di interessi (stakeholders), la trasparenza, l’equità, la coerenza e responsabilizzazione . Nei vari livelli di governo dell’acqua è necessario adottare l’approccio tipico delle imprese private, senza consultazioni con gli utenti della risorsa e senza meccanismi di partecipazione nelle decisioni. Diverse forme di partenariato pubblico-privato esistono ed il coinvolgimento del settore privato è destinato a crescere: per fare ciò è necessario aumentare le potenzialità nel settore dell’acqua delle compagnie private nazionali e locali nei Paesi in via di Sviluppo. Le riforme della governance dell’acqua spesso si avvantaggiano della sinergia della liberalizzazione politica ed economica. Il regime regolatorio deve permettere chiare e trasparenti transazioni tra i portatori di interessi unitamente alla loro responsabilità di salvaguardare la risorsa. Nel 2003 a conclusione del Terzo Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto viene approvata una Dichiarazione in cui si afferma che l’acqua è la chiave dello sviluppo delle Nazioni e che la gestione delle risorse idriche deve essere incoraggiata attraverso un approccio regionale al problema. Al fine di realizzare l’obiettivo di ridurre della metà il numero di persone prive di acqua potabile sicura e di adeguati servizi igienici viene ritenuto determinante l’apporto di notevoli investimenti necessari ad assicurare l’utilizzazione di tecnologie avanzate sia da parte dei privati che dalle pubbliche amministrazioni. Anche a Kyoto non viene raggiunto l’accordo per definire l’acqua un «diritto umano», nonostante questo fosse stato fatto il 26 novembre 2002 dall’Onu, in un documento che lo riconosce come «indispensabile per condurre una vita dignitosa dal punto di vista umano». (General Comment no. 15) L’altro punto controverso del Forum di Kyoto riguarda la privatizzazione dell’acqua e dei servizi ad essa legati o, come viene meglio detto, del partenariato pubblico-privato. La dichiarazione ministeriale approvata a Kyoto afferma che «tutte le fonti di finanziamento, sia pubbliche, sia private, nazionali e internazionali, devono essere mobilitate ed utilizzate nel modo più efficiente ed efficace. Dovremmo esplorare l’intero spettro dei piani finanziari, inclusa la partecipazione del settore privato, coerenti con le nostre politiche e priorità nazionali. Identificheremo e svilupperemo nuovi meccanismi di partnership tra pubblico e privato, a seconda dei vari attori coinvolti, assicurando contemporaneamente il necessario controllo pubblico e le strutture legali 19 il bene acqua diventa una risorsa alla base dello sviluppo sostenibile, per accedere alla quale è necessario pagare il giusto prezzo per quella che è appunto una merce in un mercato. La situazione resta immutata a seguito dei forum di Città del Messico (2006), in occasione del quale viene presentato il Secondo Rapporto delle Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua, responsabilità condivisa”, e di Istanbul (2009). A partire dal 2003 si sviluppa una tendenza opposta a quella della privatizzazione, rappresentata dal Comitato Internazionale dell’Acqua29 ed per tutelare gli interessi pubblici, con una particolare attenzione a proteggere gli interessi dei poveri». Nella Dichiarazione Ministeriale si legge che ogni fonte di finanziamento, sia pubblico che privato, nazionale ed internazionale, deve essere mobilizzata e usata nella maniera più efficiente ed efficace, prendendo nota del Rapporto del World Panel sul finanziamento delle infrastrutture idrauliche. Si manifesta pertanto l’intento di esplorare l’intera gamma dei modi di finanziamenti inclusa la partecipazione del settore privato in linea con le priorità e politiche nazionali e la volontà di individuare e sviluppare nuovi meccanismi di partenariati pubblici-privati per i differenti attori coinvolti, esercitando il controllo necessario a proteggere l’interesse pubblico, con particolare enfasi sulla protezione degli interessi dei poveri. 29 http://www.contrattoacqua.it/public/journal/index.php?v=139&argm=139&c=2 Il Comitato internazionale è composto da 20 personalità ed è presieduto da Mario Soares. Il Comitato Internazionale costituisce : > l' organo garante principi del Manifesto > la struttura gestionale dei mandati politici a livello internazionale > l'organo di interlocuzione nei forum mondiali > l'organo di promozione e coordinamento obiettivi e proposte Manifesto Acqua > la struttura di coordinamento delle azioni dei comitati nazionali a sostegno Manifesto La storia del Comitato Internazionale *Giugno 1998 A Lisbona, su iniziativa del Gruppo di Lisbona e della Fondazione Mario Soares, viene redatto e lanciato il "Manifesto dell'Acqua" Mario Soares viene nominato Presidente del Comitato internazionale e Riccardo Petrella coordinatore del Comitato. L’obiettivo che ci si propone è quello di lanciare una serie di campagne informative e di aumento della consapevolezza circa la lotta contro nuove fonti di inquinamento dell'acqua, la riforma strutturale dei sistemi di irrigazione nell'agricoltura intensiva ed industriale, la moratoria di 10/15 anni nella costruzione di nuove grandi dighe, la costituzione di un Osservatorio mondiale sui diritti umani dell'acqua. * 1999 Il Coordinatore del Comitato internazionale Riccardo Petrella avvia un ciclo di conferenze e di contatti per favorire la conoscenza dei contenuti del Contratto Mondiale dell'Acqua e 20 espressa nei Forum Alternativi sull’Acqua di Firenze30 (2003), Ginevra (2005), vengono identificati alcuni gruppi di appoggio che porteranno alla costituzione dei seguenti Comitati nazionali di appoggio: Quebec (Canada) - Francia - Belgio * Marzo 2000 Al Comitato internazionale viene offerta la possibilità di realizzare un worskhop di presentazione del Contratto mondiale dell'acqua nell'ambito della 2° Conferenza internazionale sull'acqua, promossa ed organizzata all'Aia dalla Commissione mondiale degli esperti presieduta dalla Banca Mondiale. Al workshop partecipano Mario Soares, Daniel Mitterand e Riccardo Petrella ed in quella occasione viene rilancio il Manifesto del Contratto mondiale dell'Acqua, contrastando la visione strategica proposta dalla Banca mondiale che propone di spendere 150-180 miliardi di dollari all'anno per stimolare i capitali privati ad investire del water management. * 25 marzo 2000 A Bruxelles, sotto il coordinamento di Riccardo Petrella si svolge, il 1° incontro di coordinamento dei vari Comitati nazionali di appoggio al Contratto Mondiale sull'Acqua. Alla riunione di Bruxelles erano presenti i rappresentanti dei seguenti comitati nazionali già costituiti o in fase di costituzione: Quebec (Paqrot) -Francia (D.Mitterand) -Usa ( Brubaker) -Belgio (Michiels) - Italia ( Lembo) Si decide che dopo la costituzione di Comitati a livello di Paesi o Regioni del Sud, si procederà alla costituzione di una struttura di coordinamento della Campagna internazionale e ad avviare la revisione della stessa composizione dell'attuale Comitato internazionale . Vengono inoltre definite le seguenti funzioni : a) conferimento a Riccardo Petrella della funzione di coordinatore e animatore dei Comitati nazionali; b) adozione del principio che ogni Comitato deve ricercare l'autofinanziamento delle proprie attività; c) adozione di un logo unico della Campagna (simbolo goccia, su mondo attraversato da righe) con slogan nelle tre lingue e creazione di un sito con il testo del Manifesto (accettazione della proposta italiana); d) verifica da parte di Riccardo Petrella presso il Comitato economico e sociale UE, Helvetas Commissione UE, Governo Belga, di fonti di cofinanziamento per l'avvio dell'Osservatorio; e) verifica presso i membri del Comitato internazionale della disponibilità a svolgere il ruolo di sponsor presso fondazioni per il reperimento di fondi a sostegno del Contratto mondiale dell'acqua. * 7-9 Giugno 2000 Il Comitato mondiale dell'acqua prende parte al Seminario dei 7 Paesi più poveri promosso a Bruxelles dal Gruppo dei Verdi ed in quella sede avanza la proposta di dedicare una sessione dei lavori alla presentazione del tema dell'acqua e di coinvolgere rappresentanti della società civile del Sud a livello di costituzione dei Comitati dell’acqua e di realizzare un momento di aggiornamento sulle attività a livello di comitati europei. 30 Nel 2003 a Firenze si tiene il Primo Forum Alternativo sull’Acqua organizzato dal Comitato Internazionale per il Contratto Mondiale dell’Acqua con lo scopo di escludere l’acqua dalle 21 politiche del WTO e creare un network di parlamentari europei che realizzino gli obiettivi contenuti nel Manifesto dell’Acqua, quali la tutela del bene comune acqua e la realizzazione di un sistema fiscale europeo redistributivo gestito da un Servizio Pubblico Europeo che garantisca a tutti l’accesso alle risorse idriche. Nel Manifesto si legge chiaramente che “L’acqua « fonte di vita » è un bene comune che appartiene a tutti gli abitanti della Terra. In quanto fonte di vita insostituibile per l’ecosistema, l’acqua è un bene vitale comune a tutti gli abitanti della Terra. A nessuno, individualmente o come gruppo, è concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata”. La proprietà privata dell’acqua è quindi esclusa dalla sua natura intrinseca legata alla sopravvivenza degli essere umani: tutti hanno il diritto di vivere e di conseguenza di accedervi al fine di sopravvivere. La salute dell’umanità ne dipende ed è pertanto patrimonio comune dell’umanità tutta. L’acqua si differenzia dalle altre risorse in quanto nessun’altra o nessun altro “bene” può assolvere alla funzione che essa svolge: non è sostituibile e soprattutto ciascun membro della collettività ha il diritto naturale di accedere ad acqua potabile pulita e disponibile nelle quantità indispensabili a vivere ed anche alle necessarie attività di tipo economico con cui l’essere umano si sostenta. “Non ci può essere produzione di ricchezza senza accesso all’acqua. L’acqua non è paragonabile a nessun’altra risorsa: non può essere oggetto di scambio commerciale di tipo lucrativo”. “Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile individuale e collettivo. L’acqua appartiene più all’economia dei beni comuni e della distribuzione della ricchezza che all’economia privata dell’accumulazione individuale ed altre forme di espropriazione della ricchezza”. Corresponsabilità e sussidiarietà sono i principi richiamati al fine di garantire l’accesso all’acqua per tutti come un diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo. L’acqua è « res publica ». Si sostiene inoltre una vera partnership pubblica/privata a livello locale/nazionale/mondiale, basata sul rispetto reciproco e non su conflitti e rivalità, per realizzare una gestione dell’acqua sostenibile nell’interesse generale. “Una partnership prevalentemente sottomessa, come accade attualmente, alla logica e agli interessi degli attori privati in continua competizione reciproca per conquistare il mercato non può che danneggiare l’obiettivo di assicurare l’accesso all’acqua conformemente alle regole di una “sostenibilità” globale integrata”. I costi relativi alla raccolta, produzione, deposito, distribuzione, uso, conservazione e riciclo dell’acqua, in vista della fornitura e della garanzia di accesso all’acqua nella quantità e nella qualità minime indispensabili, sono considerati costi sociali comuni che devono essere sostenuti dall’intera collettività. “I meccanismi di fissazione dei prezzi individuali, secondo un sistema di progressività, intervengono a partire da un livello di utilizzazione dell’acqua oltre il minimo vitale indispensabile. Oltre questo minimo vitale, è infatti corretto che i prezzi siano in funzione della quantità usata. Vi è però un limite all'uso: ogni eccesso deve essere considerato illegale”. La gestione dell’acqua integrata e sostenibile necessita della partecipazione dei cittadini: gli utenti devono avere un ruolo centrale nella gestione dell’acqua mediante scelte e modi di vita più 22 Caracas (2006) ed Istanbul (2009) ed illustrata nel Manifesto Mondiale dell’Acqua31, o Manifesto di Lisbona, il documento finale di una serie di incontri a ragionevoli, equi e responsabili necessari per assicurare la sostenibilità ambientale, economica e sociale e devono essere al centro del processo decisionale in un sistema di democrazia partecipativa per poter realizzare una gestione realmente decentralizzata e trasparente. Al Quarto Forum Mondiale dell’Acqua di Città del Messico del 2006 viene presentato il Secondo Rapporto delle Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua, responsabilità condivisa” 30 Il Secondo Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sulla valorizzazione delle risorse idriche prende atto di una crisi di governance: nel documento si legge che, nonostante siano ripartite in maniera diseguale, le risorse di acqua dolce sono lontane dall'essere deficitarie su scala del nostro pianeta. Malgrado ciò, a causa della cattiva gestione, di mezzi limitati e dei cambiamenti ambientali, quasi un abitante del pianeta su cinque non ha accesso all’acqua potabile ed il 40% della popolazione mondiale non dispone di un servizio di depurazione di base. Cattive pratiche di gestione, corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi a causa di collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei canali rappresentano le cause principali della crisi idrica attuale e al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione.In ogni caso la valutazione e risoluzione delle criticità evidenziate dipenderà in gran parte da una buona governance e da una buona gestione delle risorse disponibili. Una buona governance è essenziale alla gestione delle risorse d’acqua dolce che sono sempre più limitate ed anche se non è configurabile un modello standard in un contesto così complesso e variabile, una buona governance deve poggiare su delle istituzioni adeguate, a livello nazionale, regionale e locale, su dei quadri giuridici stabili ed efficaci e su delle risorse umane e finanziarie sufficienti. Ad Istanbul, in Turchia il 16 marzo 2009, si svolge il Quinto Forum Mondiale sull’Acqua. Anche durante questo Forum non avviene il riconoscimento dell’acqua come diritto. Sempre ad Istanbul si svolge contemporaneamente il 'Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua promosso da numerosi movimenti mondiali, che denuncia come il Forum ufficiale “sia "think-tank” privato strettamente legato alla Banca Mondiale, alle multinazionali dell’acqua e alle politiche dei governi più potenti del mondo”. Si riaffermano tutti i principi espressi nella Dichiarazione di Città del Messico del 2006: il riconoscimento dell’acqua come elemento basilare per la vita nel pianeta, come diritto umano fondamentale ed inalienabile; la garanzia della solidarietà tra le presenti e le future generazioni; il rigetto di qualsiasi forma di privatizzazione e l’affermazione di una gestione e un controllo dell’acqua pubblici, sociali, cooperativi, partecipativi, equitativi e non finalizzati al profitto: una gestione democratica e sostenibile è indispensabile al fine di preservare la risorsa e l’integrità del ciclo dell’acqua. 31 Redatto a Lisbona nel Settembre 1998 dal Comitato Internazionale dell’Acqua presieduto da Mario Soares e creato per iniziativa di Riccardo Petrella, il Manifesto Mondiale dell’Acqua risulta 23 livello mondiale tenutisi per studiare, risolvere e sensibilizzare sul tema dell’acqua. Il Manifesto prevede la nascita di nuove regole e nuovi mezzi di gestione dell’acqua, per un futuro solidale e sostenibile a livello di comunità locali, tra le generazioni, sulla base della cooperazione, della democrazia e della solidarietà in chiave di ripubblicizzazione della risorsa e soprattutto del riconoscimento ufficiale del “diritto” all’acqua come bene di tutta la collettività. 2.2 Quadro generale della normativa comunitaria in materia di acque a. La cornice internazionale del dibattito inerente la risorsa idrica, che muove i primi passi dagli anni ’70, si sviluppa parallelamente all’evolversi dell’attività della Comunità europea finalizzata a dare un inquadramento giuridico - concettuale all’acqua. Attualmente la normativa comunitaria rappresenta per gli Stati membri il punto di riferimento in materia di ambiente e non si può prescindere pertanto da una analisi dei risultati di tale attività, per i riflessi diretti che essa produce sugli ordinamenti interni e, per il nostro scopo, in particolare su quello italiano. In ambito comunitario l’iniziativa assunta dal Consiglio dell’allora Comunità Europea32 - ora Unione Europea - per una valida politica ecologica, viene collegata originariamente al preambolo del Trattato istitutivo della stessa33 e l’interesse essere il documento finale di una serie di incontri a livello mondiale tenutisi per studiare, risolvere e sensibilizzare sul tema dell’acqua. Il documento di Lisbona si propone come una delle risposte possibili affinché il problema della crisi idrica venga affrontato e trovi soluzione nelle sedi opportune e dai soggetti coinvolti. Il Manifesto prevede la nascita di nuove regole e nuovi mezzi di gestione dell’acqua, per un futuro solidale e sostenibile a livello di comunità locali, tra le generazioni, sulla base della cooperazione, della democrazia e della solidarietà. 32 http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ:C:2010:083:SOM:IT:HTML Versione consolidata del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 33 Alcune politiche erano previste formalmente dal trattato istitutivo della comunità Europea – ora modificato dal Trattato sull’Unione Europea - come la politica agricola comune, la politica commerciale comune e la politica comune dei trasporti . Altre potevano invece essere intraprese a seconda delle necessità, come previsto all'articolo 235, secondo cui "quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato l'Assemblea, prende le disposizioni del caso". Sin dal vertice di Parigi dell'ottobre 1972, il ricorso 24 specifico della Comunità nei confronti della questione idrica si manifesta per la prima volta in modo significativo nel 1968 con la promulgazione della Carta Europea dell’Acqua34. L’acqua viene considerata in questo documento come una a tale articolo ha permesso alla Comunità di sviluppare azioni nei settori della politica ambientale, regionale, sociale e industriale. http://europa.eu/legislation_summaries/institutional_affairs/treaties/treaties_eec_it.htm Attualmente invece il titolo XX del Trattato sull’unione Europea è espressamente dedicato all’ambiente e alla politica ambientale: Articolo 191 (ex articolo 174 del TCE) 1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: — salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, — protezione della salute umana, — utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, — promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga». In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione. IT C 83/132 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.3.2010 34 Carta Europea dell’Acqua - adottata dal Consiglio d’Europa (Strasburgo, 6 maggio 1968) 1. Non c'è vita senza acqua. L'acqua è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. L'acqua cade dall'atmosfera sulla terra dove arriva principalmente sotto forma di pioggia o di neve. Ruscelli, fiumi, laghi, ghiacciai sono le grandi vie attraverso le quali l'acqua raggiunge gli oceani. Durante il suo viaggio essa è trattenuta dal suolo, dalla vegetazione, dagli animali. L'acqua fa ritorno all'atmosfera principalmente per evaporazione e per traspirazione vegetale. Essa è per l'uomo, per gli animali e per le piante un elemento di prima necessità. Infatti l'acqua costituisce i due terzi del peso dell'uomo e fino ai nove decimi del peso dei vegetali. Essa è indispensabile all'uomo come bevanda e come alimento, per la sua igiene e come sorgente di energia, materia prima di produzione, via per i trasporti e base delle attività ricreative che la vita moderna richiede sempre di più. 25 2. Le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili. È indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle. In conseguenza dell'esplosione demografica e del rapido aumento delle necessità dell'agricoltura e dell'industria moderne, le risorse idriche formano oggetto di una richiesta crescente. Non potremo soddisfare questa richiesta, né elevare il livello di vita, se ciascuno di noi non imparerà a considerare l'acqua come un bene prezioso, che occorre preservare e razionalmente utilizzare. 3. Alterare la qualità dell'acqua significa nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono. L'acqua nella natura è un mezzo vitale che ospita organismi benefici i quali contribuiscono a mantenerne la qualità. Contaminandola, rischiamo di distruggere questi organismi, alterando così il processo di autodepurazione modificando in maniera sfavorevole e irreversibile il mezzo vitale. Le acque di superficie e le acque sotterranee devono essere preservate dalla contaminazione. Ogni scadimento importante della qualità o della quantità di un'acqua corrente o stagnante rischia di essere nocivo per l'uomo e per gli altri esseri viventi animali e vegetali. 4. La qualità dell'acqua deve essere mantenuta in modo da poter soddisfare le esigenze delle utilizzazioni previste, specialmente per i bisogni della salute pubblica. Queste norme di qualità possono variare a seconda delle diverse destinazioni dell'acqua, e cioè per l'alimentazione, per i bisogni domestici, agricoli e industriali, per la pesca e per le attività ricreative. Tuttavia, poiché la vita nei suoi infiniti diversi aspetti è condizionata dalle molteplici qualità delle acque, si dovrebbero prendere delle misure volte ad assicurare la conservazione delle proprietà naturali dell'acqua. 5. Quando l'acqua, dopo essere stata utilizzata, viene restituita all'ambiente naturale, deve essere in condizioni da non compromettere i possibili usi dell'ambiente, sia pubblici che privati. La contaminazione è una modifica, provocata generalmente dall'uomo, della qualità dell'acqua, tale da renderla inadatta o dannosa al consumo da parte dell'uomo, all'industria, all'agricoltura, alla pesca, alle attività ricreative, agli animali domestici e ai selvatici. Lo scarico dei residui di lavorazione o di acque usate, che provoca contaminazioni d'ordine fisico, chimico, organico, termico o radioattivo, non deve mettere in pericolo la salute pubblica e deve tener conto della capacità delle acque ad assimilare, per diluizione o per autodepurazione, i residui scaricati. Gli aspetti sociali ed economici dei metodi di trattamento delle acque rivestono a questo riguardo una grande importanza. 6. La conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale per la conservazione delle risorse idriche. È necessario mantenere la copertura vegetale, di preferenza forestale, oppure ricostituirla il più rapidamente possibile ogniqualvolta essa è stata distrutta. Salvaguardare la foresta costituisce un fattore di grande importanza per la stabilizzazione dei bacini di raccolta e per il loro regime idrologico. Le foreste sono d'altra parte utili sia per il loro valore economico che come luogo di ricreazione. 7. Le risorse idriche devono essere accuratamente inventariate. L'acqua dolce utilizzabile rappresenta meno dell'1 per cento della quantità d'acqua del nostro pianeta ed è molto inegualmente distribuita. È indispensabile conoscere le disponibilità di acqua di 26 risorsa, preziosa soprattutto in quanto esauribile e pertanto bisognosa di attenzione estrema ai fini della sua conservazione attraverso l’evoluzione scientifica e tecnologica, oltre che mediante l’emanazione di normative di tutela. La politica delle acque della Unione europea viene in primo luogo codificata in tre direttive: la direttiva sulle acque reflue urbane35 (91/271/CEE) del 21 maggio superficie e sotterranea, tenuto conto del ciclo dell'acqua, della sua qualità e della sua utilizzazione. Per inventario si intenderà il rilevamento e la valutazione quantitativa delle risorse idriche. 8. La buona gestione dell'acqua deve essere materia di pianificazione da parte delle autorità competenti. L'acqua è una risorsa preziosa che ha necessità di una razionale gestione secondo un piano che concili nello stesso tempo i bisogni a breve e a lungo termine. Una vera e propria politica si impone nel settore delle risorse idriche, che richiedono numerosi interventi in vista della loro conservazione, della loro regolamentazione e della loro distribuzione. La conservazione della qualità e della quantità dell'acqua richiede inoltre lo sviluppo e il perfezionamento delle tecniche di utilizzazione, di recupero e di depurazione. 9. La salvaguardia dell'acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione di specialisti e di informazione pubblica. La ricerca scientifica sull'acqua, dopo il suo uso, deve essere incoraggiata al massimo. I mezzi di informazione dovranno essere ampliati e gli scambi di notizie estesi a livello internazionale e facilitati dal momento che si impone una formazione tecnica e biologica di personale qualificato nelle diverse discipline interessate. 10. L'acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura. Ciascun individuo è un consumatore e un utilizzatore di acqua. In quanto tale egli ha una responsabilità verso gli altri consumatori. Usare l'acqua in maniera sconsiderata significa abusare del patrimonio naturale. 11. La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bilancio naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche. 12. L'acqua non ha frontiere. Essa è una risorsa comune la cui tutela richiede la cooperazione internazionale. I problemi internazionali che possono nascere dall'utilizzazione delle acque dovrebbero essere risolti di comune accordo fra gli Stati, al fine di salvaguardare l'acqua tanto nella sua qualità che nella sua quantità. 35 La presente direttiva del Consiglio sulle acque reflue urbane riguarda la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali. Il suo scopo è quello di proteggere l'ambiente dagli eventuali effetti negativi a causa dello scarico di tali acque. La direttiva consente inoltre la creazione di zone costiere meno sensibili, il cui trattamento primario sarebbe sufficiente, se si può dimostrare che non vi è alcun impatto negativo 27 1991, concernente gli scarichi urbani e di alcuni industriali delle acque reflue; la direttiva sulle acque potabili36 (98/83/CE) del 3 novembre 1998 in materia di sull'ambiente (art. 6).Gli Stati membri erano tenuti a stabilire un elenco delle aree sensibili. E' stato stimato che nel 2004 circa il 34 per cento del carico inquinante da acque reflue che rientri nel campo di applicazione della direttiva recapita in aree sensibili. La presente direttiva è stata modificata dalla direttiva 98/15/CE della Commissione. La Commissione europea ha pubblicato tre relazioni sull'attuazione della direttiva, l'ultima nel 2004. La relazione ha osservato che la situazione del trattamento delle acque reflue in Europa è ancora molto insoddisfacente e che nessuno dei termini è stato rispettato da tutti i paesi membri. Solo l'Austria, la Danimarca e la Germania pienamente conformata alla direttiva. Il rapporto osserva che BOD livelli nei fiumi europei sono stati ridotti del 20-30 per cento dopo l'entrata in vigore della direttiva, ma che gli altri parametri di inquinamento, quali i livelli di azoto è rimasta alta. La ragione è che gran parte dell'inquinamento azoto proviene da fonti diffuse in agricoltura, e la rimozione dei nutrienti ancora insufficienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue. L' eutrofizzazione del Mar Baltico , il Mare del Nord e di parti significative del Mediterraneo rimane quindi un "problema grave". Il rapporto rileva inoltre che si stima che oltre il 50 per cento degli scarichi in aree sensibili, non è stato trattato a sufficienza. Anche per le aree non sensibili, anche se la foto è stata meno triste, solo il 69% degli scarichi ricevuto il trattamento e la scadenza del 2000 non è stata rispettata dalla maggior parte dei paesi membri. 25 su 556 città dell'UE ancora non possiede un sistema di trattamento delle acque reflue a tutti.La direttiva ha innescato notevoli investimenti in attività di trattamento delle acque in tutta l'UE. Un aspetto controverso della direttiva è l'obbligo per tutti gli agglomerati con più di 2000 abitanti di avere un sistema di raccolta delle acque reflue, che è stato ampiamente interpretato nel senso che il collegamento ad un fogna sistema anche se esistente sito igiene sistemi su svolgere in modo adeguato. Il costo della connessione case nelle reti di fognatura in piccoli centri rurali con modelli di dispersione abitativa è spesso molto elevato e impone un onere finanziario per gli utenti. Secondo la Commissione europea, la direttiva rappresenta la più costosa la legislazione europea nel settore ambientale. Le stime dell'UE che 152 miliardi di euro sono stati investiti nel trattamento delle acque reflue 1990-2010 (sic!). L'UE fornisce il supporto per l'attuazione della direttiva in ordine di 5 miliardi di euro all'anno. 36 La direttiva mira a proteggere la salute umana, fissando requisiti di salubrità e di purezza che devono essere soddisfatte da acqua potabile all'interno della Comunità. Si applica a tutte le acque destinate al consumo umano, a parte le acque minerali naturali e le acque medicinali. Gli Stati membri assicurano che tale acqua potabile : non contenga alcuna concentrazione di micro-organismi , parassiti o altre sostanze che costituiscono un rischio per la salute umana potenziale; soddisfi i requisiti minimi (microbiologici e chimici i parametri e quelli relativi alla radioattività ) stabiliti dalla direttiva. 28 qualità dell'acqua potabile; la direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) del 23 ottobre 2000, concernente la gestione delle risorse d'acqua. Gli Stati membri dell'UE hanno adottato norme nazionali in conformità con queste direttive. L'organizzazione istituzionale di approvvigionamento idrico e igienico-sanitarie pubbliche non rientra nelle competenze della UE, ma rimane una prerogativa di ogni stato membro. La disciplina delle risorse idriche nella Comunità Europea trova definitivamente una completa collocazione soltanto con la Direttiva 2000/60/CE (c.d. Direttiva Acque)37, tuttora in stato di attuazione. La direttiva impone agli Stati membri di controllare regolarmente la qualità delle acque destinate al consumo umano, utilizzando i metodi di analisi stabiliti nella direttiva, o metodi equivalenti. Gli Stati membri dovranno pubblicare la qualità dell'acqua potabile di relazioni ogni tre anni e la Commissione europea pubblicherà una relazione di sintesi. Fino al 2006 la Commissione europea non ha pubblicato una relazione di sintesi sulla qualità dell'acqua potabile. Nessun paese dell'Unione europea raggiunto la piena conformità con la direttiva, soprattutto a causa della natura geologica del terreno e l'attività agricola, nel 2003 la Commissione europea ha avviato un ampio processo di consultazione per preparare una revisione della direttiva. 37 A. Capria, Direttive Ambientali CEE, stato di attuazione in Italia, in Quaderni della Rivista Giuridica dell’Ambiente, Giuffrè, 1988. Nel corso dei decenni precedenti alla c.d. Direttiva Acque l’Unione Europea emana altre direttive, non però di carattere generale, allo scopo di arginare la crisi delle risorse idriche. La direttiva 75/400/CE, sulla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, persegue il fine di far sì che le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile raggiungano standards predefiniti antecedentemente alla loro distribuzione al consumo e al tempo stesso di elevare la qualità delle acque di superficie destinate al consumo umano. Prima dell’attuazione della direttiva 400/75/CE, in Italia la materia delle acque superficiali destinate all’uso potabile non trova una disciplina, ad eccezione di una circolare del Ministero della Sanità del 1977 inerente il controllo sul rispetto di standards minimi da parte delle acque grezze da trattare allo scopo di renderle potabili. La direttiva viene recepita in Italia con un ritardo di cinque anni, a seguito della condanna della Corte di Giustizia Europea con la sentenza 30-34/1981, nella Legge delega 42/82 e conseguentemente nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 515/1982 con i quali per la prima volta in Italia si garantisce un controllo idoneo della qualità delle acque. Nel nostro Paese infatti la potabilizzazione delle acque superficiali rappresenta, fino agli anni ’70, un fenomeno raro ed affermatosi a causa del depauperamento graduale delle fonti naturali delle acque potabili e dal progresso tecnico- scientifico in materia di trattamento delle risorse idriche. Le due successive direttive, 74/464/CE e 79/869/CE, concernono, rispettivamente l’una, l’inquinamento provocato da alcune sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico e l’altra, la 29 Il carattere complessivo della normativa deriva dalla finalità della stessa di protezione delle acque superficiali interne, di transizione, costiere e sotterranee38. Nello specifico, molteplici sono gli obiettivi elencati nel corpo della direttiva e tra questi, in primis, quello di agevolare l’utilizzo idrico sostenibile e proteggere l’ambiente. In tale dimensione si collocano i doveri cui devono adempiere gli Stati membri nell’attuazione delle disposizioni come, ad esempio, provvedere affinché, attraverso le politiche dei prezzi dell’acqua, gli utenti siano indirizzati verso un uso più efficiente della stessa entro il 2010 e, nell’ambito dei piani di gestione di ogni distretto idrico, garantire l’equilibrio tra l’estrazione ed il rinnovo della risorsa. Nel primo enunciato del preambolo della direttiva si legge che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale” e, al punto 11, richiamando il vecchio articolo 174 del Trattato istitutivo della CEE39, si precisa come la politica ambientale comunitaria debba misura, le componenti e le analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile. Lo scopo di quest’ultima direttiva è quello di integrare la direttiva 75/440/CE in merito ai metodi di misura, campionamento ed analisi dei distinti parametri descrittivi dei caratteri fisici, chimici e microbiologici delle acque di superficie destinate al consumo umano. Gli effetti prodotti dalla direttiva restano però piuttosto limitati a causa del ritardo delle Regioni nella fase di classificazione dei corpi idrici e di preparazione dei programmi. Nel 1980 con la direttiva 778 la CE persegue la finalità di stabilire norme di qualità relativamente alle acque destinate all’consumo umano, ovvero “tutte le acque utilizzate a tal fine allo stato in cui si trovano o dopo trattamento, qualunque ne sia l’origine, sia che si tratti di acque fornite al consumo, sia che si tratti di acque utilizzate dall’industria alimentare”. La direttiva viene successivamente modificata dalla direttiva 98/83/CE attuata in Italia dal Decreto Legislativo 31/2001 e poi modificato ed integrato dal D. Lgs. 27/2002. Seguono poi diverse direttive aventi ad oggetto differenti aspetti delle risorse idriche: la 91/271/CE (modificata dalla 98/19/CE) sul trattamento delle acque reflue urbane ed industriali; la 91/676 sulla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati dell’agricoltura; la dir. 95/308/CE di approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione e utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri ed internazionali. 38La direttiva 2000/60 CE abroga, con decorrenza dal 22 dicembre 2007, le direttive770/40,77/795 e 79/869 e, con decorrenza dal 22 dicembre 2013, le direttive 78/659, 79/923 e 89/69. La Commissione Europea provvede a monitorare lo stato di attuazione della direttiva 2000/60 e pubblica una relazione entro dodici anni dalla sua entrata in vigore e, successivamente, ogni sei anni. 39 Articolo 174, Trattato Istitutivo della CEE 30 essere finalizzata ad assicurare “la salvaguardia, la tutela ed il miglioramento della qualità dell’ambiente, dell’utilizzazione accorta delle risorse naturali” e si connette la stessa ai principi di precauzione, dell’azione preventiva, di correzione dei danni alla fonte ed al “chi inquina paga”. Il punto 12 prosegue, nel richiamare anch’esso l’articolo 174 sopra menzionato, affermando che la Comunità, in materia di politica ambientale, deve trovare i suoi punti di riferimento nei dati scientifici e tecnici disponibili, nello sviluppo socio-economico della stessa interamente considerata e nella valutazione dei potenziali costi e vantaggi di una azione o di una mancata azione. Molteplici sono le considerazioni che si possono trarre da quanto sopra enunciato: l’acqua implicitamente viene indicata come prodotto commerciale sui generis. Si dice infatti che essa non è un prodotto commerciale al pari degli altri ma non la si esclude espressamente dal novero degli stessi. D’altronde la CEE nasce con finalità economiche e non può pertanto che prendere in considerazione “beni” in relazione ad un pubblico di consumatori - anche se già prima del 2000 c’è stata un’apertura della Comunità verso fini ulteriori e concorrenti rispetto al mercato, quali, tra gli altri, l’ambiente e i servizi d’interesse generale - . La connotazione successiva però, evidenzia grande attenzione alla peculiarità dell’oggetto che in questo caso si va a regolamentare: un patrimonio da tutelare come tale ed in quanto inserito nel contesto complessivo della politica ambientale comunitaria finalizzata ad un uso razionale delle risorse idriche. I principi di precauzione40, prevenzione, correzione dei danni alla fonte e “chi inquina paga” costituiscono i parametri di riferimento che consentono concretamente di valutare i rischi e prevenire gli eventuali danni conseguenti ad una azione o ad una non azione, e ciò in relazione ai dati scientifici ed alle migliori tecniche esistenti al momento della verifica da effettuare. La politica idrica comunitaria viene così saldata ad elementi oggettivi per una gestione accorta e razionale della risorsa nei singoli Paesi dell’Unione Europea. L’articolo 941 della Direttiva pone inoltre a carico degli Stati membri l’obbligo di adottare misure adeguate a fare in modo che i prezzi dell’acqua rispecchino il costo totale di tutti i 40 per uno studio approfondito del principio di precauzione: De Leonardis F., Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffrè, 2005 41 Articolo 9, Direttiva 2000/60 CE (poi modificata dalla direttiva 2001/2455/CE concernente la creazione di un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque) 31 servizi collegati all’uso della stessa, quali ad esempio la gestione, la manutenzione degli impianti, oltre ai costi per l’ambiente ed il depauperamento delle risorse. A questo scopo gli Stati dovranno imporre, nei diversi settori in cui l’acqua viene utilizzata, i costi dei servizi, tenendo conto del fondamentale principio “chi inquina paga” ed il risparmio idrico dovrà essere ottenuto attraverso l’elaborazione di piani tariffari che inducano i consumatori ad allinearsi alla politica comunitaria in materia42. b. Il recepimento della Direttiva Acque in Italia è avvenuto soltanto il 3 aprile 2006 con il Decreto Legislativo n. 152, adottato a seguito della Legge 15 dicembre 2004, n. 308 e ciò anche come conseguenza della condanna da parte della Corte di Giustizia europea del 12 gennaio 2006 per la mancata trasposizione nella legislazione nazionale del nostro paese della Direttiva 2000/60/CE entro i termini prescritti. Il recepimento però non è avvenuto in linea con quanto richiesto a livello comunitario, tanto che la Commissione Europea ha fatto pervenire al nostro Paese già nel dicembre 2006 una lettera di costituzione in mora in cui puntualizzava come fossero state recepite solo in parte le disposizioni che stabilivano le condizioni che gli Stati membri avrebbero dovuto soddisfare qualora intendessero derogare agli obiettivi ambientali e al calendario previsti dalla Direttiva. Poiché da allora la situazione non si è evoluta la Commissione, nel giugno 2007, ha provveduto ad inviare un parere motivato alle Autorità italiane ed ha, del resto, espresso a più riprese un giudizio negativo sulla modalità di procedere dell’Italia43: “Solo per l’Italia le responsabilità per la 42 La Direttiva 2000/60 è stata poi modificata dalla Direttiva 2008/105/CE che stabilisce gli standards di qualità ambientale (SQA) in materia di acque. Tali standards di qualità armonizzati mirano a contrastare l'inquinamento delle acque di superficie provocato da 33 sostanze chimiche prioritarie. La direttiva riguarda essenzialmente la revisione dell'elenco delle sostanze prioritarie e dei relativi SQA, i criteri di trasparenza per designare le zone dette «di mescolamento» all'interno delle quali gli standard possono essere superati nel rispetto di talune condizioni e l’elaborazione di un inventario delle emissioni, degli scarichi e delle perdite. Tale inventario servirà a preparare la relazione della Commissione destinata a verificare i progressi realizzati per ridurre o eliminare le emissioni delle sostanze inquinanti entro il 2018. 43 Gruppo 183 – WWF ITALIA, 2009 - Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE. I Piani di gestione di bacino idrografico 32 preparazione dei Piani di gestione di bacino idrografico non sono chiare. Ciò è confermato dal fatto che i resoconti previsti nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 5 sono documenti scoordinati tra le diverse autorità all’interno del distretto idrografico”. E ancora: “Solo per l’Italia il raggruppamento di bacini idrografici per distretti appare essere illogico e non necessariamente in linea con gli orientamenti della Direttiva quadro acque. I bacini idrografici che si affacciano sui mari Tirreno ed Adriatico sono stati raggruppati insieme. Questo è il caso dei distretti dell’Appennino settentrionale, centrale e meridionale”44. Giudizio ribadito anche più recentemente in occasione del secondo rapporto della Commissione Europea al Parlamento Europeo e al Consiglio, ai sensi dell’art. 183 della Direttiva 2000/60/CE45. L’attuazione della norma comunitaria sul nostro territorio è infatti tutt’ora molto deficitaria. Il primo passo richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE per gettare le basi della gestione sostenibile dell’acqua è una iniziale caratterizzazione e analisi delle acque superficiali, sotterranee, di transizione e costiere a scala di distretti/bacini idrografici. L’obiettivo consiste nel mettere a fuoco la situazione corrente, prevedere la sua evoluzione al 2015 e permettere, di conseguenza, una prima valutazione della possibilità di raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica a quella data (art. 5) 46. Questa prima fase di analisi e di approfondimento delle conoscenze è, dunque, concepita come un elemento fondamentale verso la gestione integrata di bacino, indispensabile per indirizzare la messa a punto di 44 Commissione Europea, 2007, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio “Verso una gestione sostenibile delle acque nell’Unione europea” – Prima fase nell’attuazione della Direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) - [SEC(2007) 362] [SEC(2007) 363] Bruxelles, 22.3.2007, COM 2007 128 Definitivo. 45 Sul punto: Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio a norma dell’articolo 18, paragrafo 3, della direttiva 2000/60/CE concernente i programmi di monitoraggio dello stato delle acque {SEC(2009)415} - COM/2009/0156 def. 46 A seguito dell’esperienza maturata sui bacini pilota, la Commissione Europea ha indicato tra i sei principi guida che debbono informare questa fase, quello secondo cui l’analisi preliminare del rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità non va confusa con la determinazione dello stato di qualità dei corpi idrici. L’attribuzione allo stato di qualità presuppone, infatti, la definizione di sistemi di classificazione nazionale, suffragati dagli esiti della intercalibrazione e del monitoraggio. E’ quindi necessario disporre di dati completi per tutti gli elementi di qualità richiesti dall’Allegato V e applicare a seconda del rischio diversi programmi di monitoraggio. 33 un piano di monitoraggio efficiente finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, oltre a costituire una componente basilare sia della redazione dei piani di gestione di bacino/distretto, sia dell’analisi costi-efficacia per la selezione delle misure che dovranno essere attuate entro il 2012. Tuttavia, le componenti sopra descritte difficilmente sono riscontrabili nei Piani di gestione di bacino idrografico la cui redazione il Governo italiano ha messo in capo alle Autorità di Bacino nazionali. Il legislatore comunitario ha previsto la pianificazione di bacino come strumento che ha una considerazione unitaria ed intersettoriale di ogni possibile destinazione d'uso delle risorse idriche. Ma in Italia esso è stato surrogato dal piano stralcio, un piano quindi settoriale e perciò stesso limitato.47 Solo di recente è stata avviata la redazione dei Piani di gestione dei distretti idrografici, previsti dalla Direttiva (art. 13), dopo un non facile recepimento avvenuto con il D.Lgs. 152/06. La Legge 27 febbraio 2009, n. 13 ha affidato infatti l’adozione e il coordinamento dei contenuti e degli obiettivi dei Piani di gestione di distretto idrografico alle Autorità di bacino di rilevo nazionale e alle Regioni, con il compito di pervenire all’adozione dei Piani di gestione entro il 22 dicembre 2009, onde evitare d’incorrere nelle sanzioni comunitarie. La preparazione dei Piani sarebbe dovuta iniziare fin dal 2004 con la caratterizzazione dei distretti, l’analisi dell’impatto delle attività antropiche sullo stato delle acque superficiali e sotterranee e l’analisi economica dell’utilizzazione delle risorse idriche e già nel 2006 avrebbe dovuto prendere avvio il processo di partecipazione pubblica (art.14). L’applicazione della Direttiva 2000/60/CE non si esaurisce comunque con i Piani di gestione di bacino idrografico, prevedendo un ampio ventaglio di azioni, con conseguenze fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi posti. Azioni che necessitano di un processo di attuazione coordinato e continuo nel tempo che allo stato attuale risulta assolutamente carente in Italia48. Nello specifico, la Direttiva 47 Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 48 La Direttiva, infatti, richiede che: - entro il 2009 venga definito un programma di misure che, tenendo conto dei risultati delle analisi, permetta il raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati; - entro il 2009 siano predisposti i piani di gestione dei bacini idrografici; 34 stabilisce che entro il 2010 si sarebbe dovuta definire una politica dei prezzi che tenga conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse e che entro il 2012 vi sia l’adozione di un programma di misure – base e supplementari – applicabile ai Distretti Idrografici identificati. Per quanto riguarda in particolare le tariffe idriche, La Commissione Europea ha stabilito49 che, in termini di costi, l’utenza debba sopportare - oltre ai costi di gestione del sevizio di distribuzione - anche i costi relativi ai servizi naturali. Di conseguenza la Commissione ha stabilito che le tariffe devono coprire anche i “costi ambientali” (legati all’alterazione dell’ecosistema) ed i “costi di risorsa” (cioè i costi di approvvigionamento derivanti dall’utilizzo dell’acqua da parte di altri utenti”. 50 c. I temi principali della direttiva 2000/60 CE sono due: il primo è rappresentato dalla tutela delle acque, inteso come riferito prevalentemente alla tutela qualitativa, con scarsa attenzione al problema delle acque sotterranee e a quello della tutela quantitativa. Il secondo concerne invece gli aspetti della gestione delle risorse idriche, affrontati senza norme dirette, ma con importanti legami con il tema più ampio del governo delle acque. Le carenze della direttiva sono state successivamente colmate da due direttive “figlie” e, in seguito, da ulteriori atti51: la 2006/118/CE, in materia di protezione - entro il 2010 venga definita di una politica dei prezzi che tenga conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse; - entro il 2012 vi sia l’adozione di un programma di misure – base e supplementari – applicabile ai Distretti Idrografici identificati; - entro il 2015 siano raggiunti gli obiettivi ambientali (art. 4) che contemplano la protezione, il miglioramento e il ripristino di tutti i corpi idrici superficiali al fine di raggiungere il buono stato delle acque. 49 Commissione Europea, 26 luglio 2000, COM (2000) 477 50 Bartolini A., Il servizio idrico integrato tra diritto europeo e Codice dell’ambiente, in Studi sul codice dell’ambiente, Atti del convegno a Palermo 23-24 maggio 2008, Chiti M.P. e Ursi R. (a cura di), Giappichelli . In tema di costi ambientali vedi Colarullo, Mocella e Putrucci, I costi ambientali e di risorsa nella direttiva 2000/60/CE, in Ambiente & Sicurezza, n.1/2008, 37 ss. 51 I successivi atti modificativi ed integrativi della direttiva Acque sono la Decisione n. 2455/2001/CE relativa all'istituzione di un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque; la Direttiva 2008/32/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, per 35 delle acque sotterranee, che appunto integra la 2000/60 sul tema degli obiettivi di qualità (caratterizzazione del buono stato chimico) con elementi tecnici e la direttiva 2007/60/CE sulla valutazione e gestione dei rischi delle alluvioni che si allaccia alla 2000/60 per gli elementi di pianificazione e gestione dei bacini idrografici, per gli aspetti relativi alle alluvioni. Gli scopi che la direttiva Acque persegue concernono la protezione degli ecosistemi acquatici, impedendo un ulteriore peggioramento e raggiungendo un obiettivo di qualità; la garanzia di un utilizzo idrico sostenibile, l’eliminazione delle sostanze pericolose, arrivando a concentrazioni, negli ecosistemi, vicine a quelle naturali, la mitigazione degli effetti delle inondazioni e delle siccità, la garanzia di una fornitura d’acqua sufficiente e di buona qualità ed infine il raggiungimento di un “buono stato di qualità” per tutti i corpi idrici entro il 2015. Nel contesto delle finalità così delineato un ruolo strategico viene assunto dall’analisi economica di sostenibilità degli usi della risorsa idrica: a tal riguardo la Direttiva 2000/60, all'art. 91, ha stabilito che gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere entro il 2010 ad un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga". La disposizione è stata recepita nell'ordinamento nazionale con l'art. 119 del D.Lgs. 152/2006 che disciplina il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici. L'analisi economica ha quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai diversi usi della risorsa idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e l'uso idroelettrico. Per quanto riguarda l'uso idropotabile, va rilevato che il valore dell'acqua per l'uso civile viene stimato a partire dalla considerazione che, nel caso del servizio idrico, servizio essenziale, la domanda non possa essere lasciata insoddisfatta ed in tale ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare gli usi meno efficienti quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione ed infine la Direttiva 2009/31/CE relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifica della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio. 36 e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi, valorizzare gli usi più efficienti e più necessari. La direttiva induce dunque a considerare la gestione delle acque in una logica più ampia di quella attuale52: cioè non nella logica della gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi civili, usi irrigui, zootecnici, piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti drenanti, invasi e condotte funzionali alla produzione energetica, impianti di dissalazione, ecc. …). Ed in una simile ottica lo strumento economico deve essere utilizzato come strumento per preservare la risorsa, piuttosto che come mero strumento per ripianare i costi del servizio idrico o per fare profitti, attraverso la revisione dei meccanismi economici - tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere i conti effettivi della gestione del servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e rendendoli trasparenti ai cittadini, sia cercando di internalizzarli. La gestione va inoltre considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. In tale prospettiva le azioni prioritarie da mettere in campo spaziano dalla pianificazione degli usi in base al bilancio idrico di bacino al miglioramento delle tecnologie produttive e delle tecniche irrigue, fino all’applicazione di buone pratiche soprattutto agricole. Sul tema del risparmio idrico la Commissione europea, che da anni esercita pressioni affinché gli Stati membri adottino politiche in questo campo, è tornata di recente rendendo pubblico un rapporto dei due volti più drammatici della risorsa idrica53. Si tratta del dossier ‘2012 Water Scarcity and Droughts – Policy Review’ dove si passano al setaccio le azioni adottate dagli Stati membri nella lotta alla carenza idrica e alla siccità e che conferma come, attualmente, in molte zone dell’Europa l’equilibrio tra domanda di acqua e risorse idriche disponibili ha raggiunto un punto critico. Secondo la Commissione serve un impegno più incisivo a cominciare da una efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure concordate di promozione dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste le condizioni che potranno permettere all’ Europa di disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le 52 Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008 53 http://www.informambiente.it 37 sfide poste dai cambiamenti climatici. 2.3 basi formali del diritto all’acqua Diversi documenti conseguenti agli incontri che si sono susseguiti a livello internazionale, nonché vari atti compresi nel novero della produzione normativa comunitaria, rappresentano un punto di partenza da cui tentare di ricavare una base formale (a livello internazionale e comunitario) del diritto all’acqua, pur nelle varie declinazioni che esso può assumere in relazione a variabili geografiche, culturali e socio-economiche. Innanzitutto il Mar del Plata Action Plan: nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite di Mar del Plata (1977) si afferma il principio fondamentale secondo cui “Tutti hanno diritto di accedere all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali” . Successivamente, nel 1992 la Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di Dublino, introduce il concetto di acqua come bene economico, concetto che viene ribadito nuovamente nel corso del Secondo Forum Mondiale sull’Acqua dell’Aja nel marzo 2000: per la prima volta l’economia entra come parametro di valutazione legato all’acqua con la giustificazione che “nel passato, il mancato riconoscimento del valore economico dell’acqua ha comportato sprechi e utilizzi che hanno danneggiato l’ambiente”. Si afferma infatti che l’acqua deve essere considerata un bene economico con un suo valore di mercato che si calcola usando quali parametri di riferimento la necessità di remunerare il capitale investito e il costo di produzione. Infine l’acqua, per la prima volta, viene definita non più come un diritto, bensì come un bisogno. Il cambiamento culturale è notevole: a differenza di un diritto, che per definizione deve essere garantito dai pubblici poteri, un bisogno può, e non deve, essere soddisfatto dal mercato, limitandosi magari a chi può pagare il prezzo fissato, senza preoccuparsi di prendere in considerazione l’intera collettività. La maggior parte delle dichiarazioni frutto dei diversi eventi internazionali sull’acqua muovono sì dal principio in base al quale “tutti i popoli hanno diritto ad avere accesso all’acqua potabile nelle quantità e qualità necessarie per soddisfare i loro bisogni essenziali” ma, nei medesimi documenti, si ritrovano forti affermazioni che vanno nella direzione della c.d. “mercificazione” dell’acqua, rispetto alla quale ci si riferisce come risorsa dell’ecosistema, dunque un bene 38 economico, non più la res communis del diritto romano. Inoltre le affermazioni di principi quali lo sviluppo sostenibile, il “chi inquina paga”, prevenzione e precauzione non sembrano essere in grado di salvaguardare l’accesso all’acqua come diritto a livello mondiale. Infatti i principi sanciti in ambito internazionale valgono soltanto per gli Stati che sottoscrivono i documenti di impegno a rispettarli e le maggiori scuole di diritto internazionale considerano il “diritto all’acqua” come un principio di soft law, una prassi, non un diritto che, se tale, dovrebbe essere contemplato da una norma cogente e tutelato da un soggetto che abbia l’autorità per garantirne l’osservanza. Nel corso dell’ultimo decennio, nella cultura prevalente, l’acqua viene reputata alla stregua di un bisogno, una merce soggetta alle regole del mercato e dei suoi operatori (le imprese) ed in tale contesto i cittadini assumono la veste di consumatori o utenti. Il passaggio da una cultura dell’acqua come bene comune al concetto della stessa quale merce avente un mercato, avviene proprio in conseguenza del mancato riconoscimento di un “diritto all’acqua” da parte della comunità internazionale, unitamente alla crescita del numero di persone che non hanno la possibilità di accedere all’acqua potabile ed alla sua sempre più scarsa disponibilità. Laddove c’è un bisogno si creano automaticamente una domanda ed una offerta: un mercato di una merce. L’inquadramento giuridico ufficiale che, a livello di diritto internazionale, sembra dunque essere stato dato fin qui sul piano concettuale all’acqua, muove dunque dalla nozione di bene come bisogno, specificandosi poi in quella più circoscritta di merce ed infine in quella di servizio. Al Quarto Forum Mondiale dell’Acqua di Città del Messico del 2006 viene presentato il Secondo Rapporto delle Nazioni Unite sulle Acque, dal titolo “Acqua, responsabilità condivisa” in cui si prende atto di una crisi di governance: nel documento si infatti legge che, nonostante siano ripartite in maniera diseguale, le risorse di acqua dolce sono lontane dall'essere deficitarie su scala del nostro pianeta. Malgrado ciò, a causa della cattiva gestione, di mezzi limitati e dei cambiamenti ambientali, quasi un abitante del pianeta su cinque non ha accesso all’acqua potabile ed il 40% della popolazione mondiale non dispone di un servizio di depurazione di base. Cattive pratiche di gestione, corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi a causa di 39 collegamenti illegali e delle perdite nelle canalizzazioni e nei canali rappresentano le cause principali della crisi idrica attuale e al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione. In ogni caso la valutazione e risoluzione delle criticità evidenziate dipenderà in gran parte da una buona governance e da una buona gestione delle risorse disponibili. Una buona governance è essenziale alla gestione delle risorse d’acqua dolce che sono sempre più limitate ed anche se non è configurabile un modello standard in un contesto così complesso e variabile, una buona governance deve poggiare su delle istituzioni adeguate, a livello nazionale, regionale e locale, su dei quadri giuridici stabili ed efficaci e su delle risorse umane e finanziarie sufficienti. Dunque nel 1977 c’è l’affermazione di un diritto di accedere all’acqua per soddisfare i bisogni primari degli esseri viventi ma negli anni a seguire tale impostazione ufficiale sembra essere dimenticata e non viene seguita se non in enunciazione di principi, ma non in testi normativi interni ai singoli Stati. L’attenzione viene anzi focalizzata sul valore economico della risorsa quale strumento di difesa dagli sprechi e sul fallimento dei modelli esistenti di governo del bene. Oltre all’affermazione contenuta nel Mar del Plata Action Plan del diritto di tutti di accedere ad acqua potabile in misura corrispondente ai propri bisogni fondamentali, gli altri elementi finora emergenti dall’analisi dei documenti di livello internazionale sull’acqua sono dunque: il mancato riconoscimento del valore economico dell’acqua come fonte di sprechi della risorsa emergente nel corso della Conferenza di Dublino e del secondo forum mondiale dell’Aja; una crisi nella governance della risorsa che ha generato, nonostante la presenza di acqua nel pianeta, sia pur distribuita in maniera non uniforme, l’impossibilità di garantire un accesso generalizzato. Le cause di tale crisi sono identificate in cattive pratiche di gestione, corruzione, assenza di istituzioni appropriate, inerzia burocratica, debolezza degli investimenti nella sfera delle risorse umane e delle infrastrutture fisiche e sprechi a causa. Questi elementi sono però considerati al tempo stesso i fattori su cui lavorare al fine di porre un argine alla situazione. A livello comunitario la Carta Europea dell’Acqua - adottata dal Consiglio d’Europa prima della Conferenza di Mar del Plata (Strasburgo, 6 maggio 1968) esprime una chiara presa di posizione affermando che non c'è vita senza acqua e 40 che essa è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. L'acqua è quell’elemento naturale di prima necessità per l'uomo, per gli animali e per le piante. Essa è indispensabile all'uomo come bevanda e come alimento, per la sua igiene e come sorgente di energia, materia prima di produzione, via per i trasporti e base delle attività ricreative che la vita moderna richiede sempre di più. La premessa sul perché l’acqua costituisca un bene di primaria importanza è seguita dalla considerazione che le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili e che è dunque indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle. In conseguenza dell'esplosione demografica e del rapido aumento delle necessità dell'agricoltura e dell'industria moderne, le risorse idriche formano oggetto di una richiesta crescente. E al fine di soddisfare questa richiesta ed elevare il livello di vita ciascuno deve considerare l'acqua come un bene prezioso, che occorre preservare e razionalmente utilizzare. Innanzitutto deve essere assicurata la qualità dell'acqua per non nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono. L'acqua nella natura è infatti un mezzo vitale che ospita organismi benefici i quali contribuiscono a mantenerne la qualità. Contaminandola, rischiamo di distruggere questi organismi, alterando così il processo di auto-depurazione modificando in maniera sfavorevole e irreversibile il mezzo vitale. La qualità dell'acqua deve essere mantenuta principalmente in funzione delle esigenze delle utilizzazioni previste, specialmente per i bisogni della salute pubblica, adottando delle misure volte ad assicurare la conservazione delle proprietà naturali dell'acqua. Il documento sposta poi l’attenzione sulla pianificazione da parte delle autorità competenti di cui dovrebbe essere oggetto la buona gestione. L'acqua è una risorsa preziosa che ha necessità di una razionale gestione secondo un piano che concili nello stesso tempo i bisogni a breve e a lungo termine. Una vera e propria politica si impone nel settore delle risorse idriche, che richiedono numerosi interventi in vista della loro conservazione, della loro regolamentazione e della loro distribuzione. La conservazione della qualità e della quantità dell'acqua richiede inoltre lo sviluppo e il perfezionamento delle tecniche di utilizzazione, di recupero e di depurazione. La Carta aggiunge anche che l'acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura. Ciascun individuo viene definito come un 41 consumatore e un utilizzatore di acqua ed in quanto tale egli ha una responsabilità verso gli altri consumatori. Usare l'acqua in maniera sconsiderata significa abusare del patrimonio naturale. Infine la cooperazione per la tutela della stessa deve assumere veste internazionale in quanto l’acqua non ha frontiere ed è una risorsa comune. Dunque l’acqua viene definita come bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane, elemento naturale di prima necessità, risorsa preziosa un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ma non un diritto. Sempre a livello comunitario nel primo enunciato del preambolo della direttiva Acque si legge che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. E’ però nel documento General Comment no. 15)54 del 2002 approvato dalla Commissione delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali il 26 novembre, che - dopo il Mar del Plata Action Plan - viene nuovamente affermata l’esistenza giuridica di un diritto all’acqua, come «indispensabile per condurre una vita dignitosa dal punto di vista umano». Esso è considerato un prerequisito per la realizzazione di altri diritti umani, sulla base del quale gli Stati devono adottare misure di effettiva attuazione. Il documento ricostruisce le basi legali del diritto all’acqua (riconosciuto implicitamente) e ne chiarisce il contenuto normativo: “availability” ovvero quantità sufficiente, “quality” ovvero qualità adeguata, “accessibilità” ovvero accessibilità anche economica; individua gli obblighi per l’attuazione da parte dei singoli Stati, generali e specifici, in patria e a livello internazionale “to respect, to protect, to fulfil” rispettare e proteggere tale diritto; elencare possibili violazioni e i possibili strumenti attuativi, legislativi, politici, tecnici, scientifici. Questo documento non è un riconoscimento formale, solenne e universale; non ha né può avere sanzioni; attribuisce doveri solo ai singoli Stati; non contiene obiettivi quantificati, scadenzati e sanzionabili. Il diritto all’acqua resta implicito, quante siano le norme che implicitamente lo prevedano. 54 Commento Generale n. 15 (2002), Il diritto all'acqua (artt. 11 e 12 del Patto internazionale economici, sociali e culturali). Sul punto vedi: Calzolaio V., L’acqua: diritto umano e bene comune, 2008 42 Il dato comune che emerge dai documenti esaminati è la considerazione del diritto all’acqua come indubbiamente rientrante entro la categoria delle garanzie essenziali per un adeguato livello di vita, in modo decisivo in quanto esso rappresenta una delle fondamentali condizioni per sopravvivere. La stessa considerazioni rileva da una vasta gamma di documenti internazionali, inclusi trattati e dichiarazioni precedenti alla risoluzione Onu: la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, 1948: art. 3, diritto alla vita; art. 22, diritto alla sicurezza sociale; art. 25, diritto alla salute; il Patto sui diritti civili e politici, 1966; il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, 1966: art 1, diritto dei popoli alle risorse; art. 9, diritto alla sicurezza sociale; soprattutto artt. 11 e 12, diritti all’alimentazione e alla salute; l’articolo 14, paragrafo . 2 (h), della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne; nell’articolo 24, paragrafo 2 (c), della Convenzione dei diritti dei bambini ; articoli 20, 26, 29 and 46 della Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 1949; articoli 85, 89 e 127 della Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei civili in tempo di guerra, del 1949; gli articoli 54 and 55 del Primo Protocollo del 1977; articoli 5 e 14 del Secondo Protocollo del 1977; il preambolo del Mar Del Plata Action Plan; il paragrafo 18.47 di Agenda 21; il Rapporto sulla Conferenza di Rio de Janeiro (A/CONF.151/26/Rev.1 (Vol. I and Vol. I/Corr.1, Vol. II, Vol. III and Vol. III/Corr.1)) 1, La Dichiarazione seguente alla Conferenza Internazionale di Dublino su Acqua e Sviluppo Sostenibile (A/CONF.151/PC/112); Rapporto della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo, Cairo, 5-14 settembre 1994; i paragrafi 5 e 19 della Raccomandazione (2001) 14 del Consiglio dei Ministri agli Stati Membri sulla Carta Europea sulle Risorse Idriche; la Risoluzione 2002/6 della Sottocommissione delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione dei diritti umani e sulla promozione della realizzazione del diritto a bere acqua” . Il quadro di sintesi che risulta in base ai documenti esaminati è dunque caratterizzato dal fatto che non c’è mai stato un riconoscimento espresso e vincolante dell’acqua come diritto, nonostante esso sia considerato un fondamentale diritto umano - basilare e vitale più di diritti umani espressamente affermati - implicitamente supportato da leggi internazionali, dichiarazioni e pratiche interne agli Stati. L’esigenza di compiere un passo in avanti verso 43 l’ufficializzazione dell’esistenza di un diritto di accesso alla risorsa è evidenziata dalla Risoluzione Onu del 29 luglio 2010 in cui viene nuovamente affermato il diritto e dalla successiva Risoluzione Onu del 30 settembre 2010 che cerca di definirne parzialmente il contenuto in relazione a strumenti e meccanismi che gli Stati debbono attuare per consentire l’accesso di tutti all’acqua e ai servizi igienici. Interessante è anche il dibattito precedente la votazione sul testo della risoluzione tra i vari esponenti degli Stati partecipanti, portatori di vari punti di vista su come affrontare la questione del riconoscimento di un diritto all’acqua. L’assemblea ha adottato infatti la risoluzione non ad unanimità, bensì con 122 voti a favore e 41 astensioni. Ad esempio i rappresentanti della Bolivia, hanno evidenziato come il diritto fino a quel momento non sia stato pienamente riconosciuto nonostante esso fosse richiamato in vari strumenti internazionali, come la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne ed altri documenti. Essi hanno poi richiamato il dovere dei singoli Stati di proteggere e dichiarare il diritto. Il rappresentante degli Stati Uniti ha sottolineato invece come il testo della risoluzione descriva il diritto in un modo che non è riflesso nel diritto internazionale vigente poiché non esiste un “diritto all’acqua e ai servizi igienici” in senso giuridico internazionale come illustrato nel documento. Infatti né l’Assemblea né il processo di Ginevra hanno seriamente considerato pienamente, secondo tale punto di vista, le implicazioni che avrebbe il riconoscimento formale del diritto all’acqua. Nel senso del riconoscimento del diritto si è espresso invece il rappresentante del Brasile che afferma inoltre come il diritto sia intrinsecamente legato al diritto alla vita, al cibo e ad avere una adeguata abitazione. Il rappresentante dell’Olanda, d’altro canto, ha giustificato la propria astensione dal voto con la considerazione che, sebbene il suo paese riconosca l’esistenza del diritto, il testo della risoluzione pone insufficienti responsabilità a carico degli Stati e che l’adozione di una risoluzione non produce necessariamente implicazioni politiche a livello di singoli Stati. La rappresentante del Regno Unito ha motivato invece la propria astensione considerando l’inesistenza di sufficienti basi legali per dichiarare e riconoscere il diritto ed anche di evidenti elementi di una sua presenza nel diritto consuetudinario. Infine il rappresentante del Canada manifesta il proprio dissenso sull’adozione di una 44 simile risoluzione in assenza di un preventivo accordo internazionale sul tema. Molteplici punti di vista che hanno trovato un punto di congiunzione nel testo della risoluzione di luglio e in quella successiva del settembre 2010. Da una lettura unitaria delle stesse, innanzitutto si evince un richiamo alle precedenti risoluzioni del Consiglio, in materia di diritti umani e accesso all’acqua potabile ed ai servizi sanitari, in cui il diritto all’acqua è stato già affermato, in particolare la risoluzione 7/22 del 28 Marzo 2008 e la risoluzione 12/8 del primo ottobre 2009, oltre ai documenti internazionali (precedentemente elencati nel presente lavoro). La risoluzione di luglio in particolare richiama fortemente la responsabilità degli Stati, definita come primaria, di assicurare la piena realizzazione di tutti i diritti umani, garantendo l’accesso all’acqua e ai servizi igienici essenziali in maniera trasparente, non discriminatoria e responsabilmente. A tale fine gli Stati sono invitati a sviluppare strumenti e meccanismi adeguati, che possano includere legislazione, piani e strategie per il settore, per raggiungere l’obiettivo di soddisfare gli obblighi di garanzia del diritto, con attenzione ai gruppi di soggetti particolarmente vulnerabili assicurando l’equità e la non discriminazione; a integrare i diritti umani negli scenari esistenti attraverso la previsione di servizi appropriati e con trasparenza; ad adottare ed implementare effettivi quadri regolatori per tutti i gestori del servizio in linea con il diritto e permettere alle istituzioni di regolazione nazionale di avere una sufficiente capacità di monitorare e di rendere realmente effettive tali regolazioni; assicurare rimedi reali alle violazioni dei diritti umani realizzando meccanismi di responsabilità al livello appropriato. Il diritto all’acqua viene declinato inoltre facendo riferimento alla garanzia di una regolare fornitura di acqua potabile, accettabile, accessibile e ad alla portata di tutti, di buona qualità ed in quantità sufficiente. In conclusione, come elementi costitutivi di un potenziale “diritto all’acqua” risultanti dall’analisi del contesto internazionale e comunitario, emergono, innanzitutto, la caratterizzazione del Mar del Plata Action Plan in termini di accessibilità di tutti all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali, principio ripreso da numerosi testi successivi. In particolare il General Comment no. 15) del 2002 delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali ribadisce l’affermazione di un diritto all’acqua, come 45 «indispensabile per condurre una vita dignitosa dal punto di vista umano», prerequisito per la realizzazione di altri diritti umani, sulla base del quale gli Stati devono adottare misure di effettiva attuazione. Il documento fornisce anche una caratterizzazione del contenuto normativo del diritto in termini di quantità sufficiente, qualità adeguata e di accessibilità anche economica. Il dato comune ai documenti esaminati è la considerazione del diritto all’acqua come rientrante entro la categoria delle garanzie essenziali per un adeguato livello di vita, in modo decisivo, in quanto rappresenta una delle fondamentali condizioni per sopravvivere. La Carta Europea dell’Acqua a tale riguardo esprime una chiara presa di posizione affermando che non c'è vita senza acqua e che essa è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. Bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane, elemento naturale di prima necessità, risorsa preziosa un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ma non un diritto. Il quadro di sintesi che si può tracciare poggia sulla constatazione che non c’è mai stato un riconoscimento espresso e vincolante dell’acqua come diritto, nonostante esso sia considerato un fondamentale diritto umano - basilare e vitale più di diritti umani espressamente affermati implicitamente supportato da leggi internazionali, dichiarazioni e pratiche interne agli Stati. Alla luce di tale presa d’atto occorre di nuovo chiedersi quale valore assuma il la recente affermazione dell’acqua come diritto universale da parte dell’Assemblea generale dell’Onu. Pur non producendo effetti vincolanti a livello di diritto interno dei singoli Stati, ci si chiede cioè che funzione abbiano le affermazioni di principi universali a livello mondiale in termini di concretizzazione di tali principi e dei diritti cui essi si riferiscono. La dichiarazione del 2010, così come le precedenti risoluzioni Onu sul tema dell’acqua e la Carta Europea dell’Acqua, pur avendo valore simbolico, innanzitutto accrescono indubbiamente la tutela degli individui e la mobilitazione della società civile, rafforzano la realizzazione di altri diritti umani e in un certo qual modo richiamano gli Stati a precise responsabilità. Anche la Direttiva Europea in materia di acque afferma espressamente che l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. Il ruolo di simili enunciazioni è quello di richiamare gli Stati a specifiche responsabilità nei confronti della propria collettività, delle 46 comunità più svantaggiate e delle future generazioni. A livello mondiale ciò si riflette nella constatazioni di come oltre sessanta Costituzioni citino l’ambiente, anche se solo 16 citano il termine “acqua” e si parla esplicitamente di diritto umano solo in Uruguay, Uganda e Sudafrica. Il Sudafrica in particolare inserisce il diritto all’acqua tra i diritti universali: la sezione 27 del Bill of Rights (1996) è però l’unica dichiarazione costituzionale analoga a citare il diritto universale all’accesso a sufficienti cibo e acqua. Ma proprio il caso del Sudafrica dimostra come il livello di effettività dell’ordinamento55 non corrisponda necessariamente a quello formale. Nella sentenza della Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009, Mazibuko v. City of Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma infatti che, pur essendo riconosciuto nella Costituzione il diritto all’acqua, non esiste però un obbligo costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua gratuita.56 La Corte Costituzionale afferma cioè come la previsione del diritto non implica la fornitura di un minimo quantitativo di acqua cui lo Stato è obbligato ed il dettato costituzionale deve essere interpretato nel senso di un dovere alla progressiva realizzazione del diritto attraverso ragionevoli strumenti legislativi e per mezzo di successive revisioni. E quanto sancito dalla Corte Costituzionale Sudafricana dell’ottobre 2009 esprime un concetto analogo a quello contenuto nella successiva caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella risoluzione Onu del 30 settembre 2010. Quindi a fronte di una naturale diseguaglianza delle collettività derivante da una disomogenea distribuzione delle risorse idriche nel pianeta, parlare di “diritto” di accesso implica innanzitutto contestualizzare tale diritto nella realtà specifica in cui dovrebbe andare ad insistere. Al tempo stesso significa anche riconoscere che il diritto di accesso all’acqua, inteso come diritto umano all’acqua, può esercitarsi 55 sul punto vedi Romano S., L'ordinamento giuridico (1946), II ed., Firenze, Sansoni, 1977; ID., Frammenti di un dizionario giuridico (1947), Milano, Giuffrè, 1983. 56 Oggetto dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici prepagati per i consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia (corrispondenti a 25 litri di acqua al giorno per persona), finalizzata alla riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di primo grado e della Corte d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza56, consideravano l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre indicavano rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo base di acqua rispondente al diritto. 47 solo se l’acqua è sufficiente e, di conseguenza, esso è carente laddove non si caratterizza con qualità, quantità e gratuità minime. Differenti sono poi i mezzi che i legislatori nazionali scelgono per realizzare gli obiettivi di qualità, quantità e gratuità minime della risorsa. Parte II Il diritto italiano delle acque Capitolo secondo Il diritto all’acqua e la proprietà della risorsa 1. Emersione e sviluppo di una nozione di “diritto all’acqua” nell’ordinamento giuridico italiano L’esigenza di indagare l’esistenza o meno di un diritto inerente l’acqua e di capire come si connoti concretamente la situazione giuridica che si riferisce alla risorsa 48 idrica, ci conduce ora, come passo successivo all’analisi svolta sui documenti di diritto internazionale e comunitario, a volgere l’attenzione all’ordinamento giuridico italiano e all’evoluzione della normativa sulle acque. La conoscenza dell’inquadramento che a livello di diritto interno è stato dato alla res acqua è necessario per cercare di capire se l’affermazione di un diritto all’acqua a livello internazionale - quale quella che c’è stata con la risoluzione Onu del 29 luglio 2010 - e, un successivo riconoscimento formale, possa essere utile, necessario, realizzabile o comunque significativo nell’ordinamento di uno Stato ai fini di una riforma del servizio connesso alla risorsa in termini di accessibilità. Venendo dunque allo specifico della nostra trattazione e risalendo indietro nel tempo all’ordinamento giuridico italiano moderno, troviamo che il bene acqua è stato preso in considerazione per la prima volta a partire dal codice civile del 1865, che dedicava alle acque alcune norme di principio, e dalla Legge 20 marzo 1865 n. 2248 che faceva riferimento alle acque nell’allegato F (c.d. legge sui lavori pubblici). Alcuni autorevoli studiosi della materia (Varcasia, Scialoia, Petrocchi, Astuti)57 ritenevano che fosse l’articolo 544 c.c.58 a contenere il principio ispiratore della materia: “L’acqua è un bene di natura tale che il diritto non può lasciare all’arbitrio individuale l’utilizzazione di essa, ma deve per norma giuridica utilizzarsi l’acqua nel massimo modo possibile…”.59 Si riservava al giudice il potere di conciliare tutti gli interessi che potessero concorrere nell’utilizzazione delle acque. Ma in realtà il potere del giudice non fu mai utilizzato in modo così ampio e prevalse “una interpretazione giurisprudenziale orientata più verso la tutela dell’interesse individuale che non verso quella dell’interesse generale”.60 Era dunque il diritto di proprietà la formula giuridica a cui veniva riferita la risorsa idrica, nonostante il codice civile avesse introdotto un primo riferimento 57 Greco N., Le acque, Il mulino, 1983 58 L’articolo 544 c.c. prevedeva che “Sorgendo controversia tra i proprietari a cui l’acqua può essere utile, l’autorità giudiziaria deve conciliare l’interesse dell’agricoltura e dell’industria coi riguardi dovuti alla proprietà; ed in tutti i casi devono essere osservati i regolamenti particolari e locali sul corso e sull’uso delle acque”. 59 Scialoia V., La legislazione sulle Acque, in Il problema idraulico e la legislazione delle acque”, 1916. 60 Astuti G., voce Acque private, in “Enciclopedia del diritto”, I, Milano, Giuffrè, 1958 49 a principi di matrice “sociale” che però si affermarono soltanto in epoca successiva. Le acque all’epoca si dividevano genericamente in pubbliche e private. Ai sensi dell’articolo 427 del codice civile appartenevano al demanio idrico i fiumi e i torrenti mentre riguardo ai corsi d’acqua minori, quali rivi, fossati e colatoi pubblici, non inclusi nella previsione del codice civile, si dibatté per decenni circa la natura rispettivamente privatistica, demaniale o mista. La soluzione del problema aveva una dimensione sia giuridica che economico sociale. ”Così, ad esempio, la eventuale prevalenza della tesi demanialista negli indirizzi giurisprudenziali, comportando la dichiarazione di pubblicità per tutti i corsi minori, avrebbe coinvolto immediatamente gli interessi di un grandissimo numero di privati, che ormai consideravano l’uso dell’acqua come sostenuto da una sorta di diritto di proprietà e ciò sia nel settore agricolo sia in alcune nascenti attività manifatturiere”. 61 Tale querelle derivava a sua volta dalla disputa sulla equivalenza o meno tra acque pubbliche e acque demaniali, equivalenza poi riconosciuta dalla Corte di Cassazione con due sentenze del 1910 e del 19 dicembre 1916. Fu nel periodo di riforme tra il 1916 ed il 1919 che si affermò la nuova definizione di acque pubbliche trasfusa successivamente nel testo unico del 1933: si passò dalla nozione di proprietario alla nozione di utente e centrale divenne la nozione di “utilizzazione” invece di quella di “difesa”. “La considerazione dell’utilità dell’acqua doveva indirizzarsi a fare in modo che l’acqua andasse al mare nel più lungo tempo e nella minore quantità possibile”.62 In base al nuovo T.U. erano pubbliche tutte le acque sorgenti, fluviali e lacunari, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, che avessero o acquistassero “attitudine ad uso di pubblico generale interesse”. La proprietà privata veniva delimitata da una nozione negativa: in linea di massima erano private tutte le acque che non potevano considerarsi pubbliche. Restavano private le sorgenti a scarsa vena d’acqua che si esaurivano entro i confini del fondo privato o che comunque non si immettessero in modo significativo in un corso demaniale; i corsi artificiali alimentati da fontanili o da 61 Greco N., op. cit. 62 Omodeo A., Il problema idraulico e la legislazione sulle acque, 1916 50 derivazioni, gli stagni e i laghi di limitata estensione e non suscettibili di un uso apprezzabile di pubblico generale interesse63. Dunque fino al 1933 l’acqua era oggetto di un diritto di proprietà prevalentemente privatistico teso a realizzare il massimo sfruttamento del bene e la difesa dal bene stesso. Dal 1933 si affermò l’orientamento opposto finalizzato a consentire l’utilizzazione della risorsa alla collettività attraverso un inquadramento giuridico di natura pubblicista. La consacrazione del carattere pubblico di tutte le acque si è avuta successivamente con la legge 36 del 1994, c.d. Legge Galli che all’articolo 1 ha stabilito che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”: la pubblicità veniva quindi attribuita senza alcuna distinzione a tutte le acque. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il modo più opportuno per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque consistesse nel sottrarlo al potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne la sua cura soltanto alla pubblica amministrazione. La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è intervenuta in modo innovativo anche su un altro profilo centrale che caratterizza il c.d. statuto dell’acqua: quello della gestione. Essa infatti, in tema di gestione del servizio idrico, è stata espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Essa ha inoltre definito per la prima volta il c.d. “servizio idrico integrato” ed ha rappresentato il primo tentativo di conciliare la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità. Accanto al profilo proprietario della risorsa, che si è affermato come caratterizzato in senso esclusivamente pubblico, e a quello gestorio, che è stato sostanzialmente caratterizzato da una prevalenza di forme gestionali del servizio idrico di tipo pubblico, sulla base dell’idea tradizionale che solo una gestione 63 Guicciardi E., Il demanio, Milano, 1934 51 prevalentemente pubblica sia in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua, altri aspetti hanno connotato progressivamente nel tempo la qualificazione giuridica della stessa. La legge 319/76, c.d. legge Merli, ha introdotto infatti per la prima volta il profilo della tutela qualitativa dell’acqua. In una società come quella italiana caratterizzata fino al primo dopoguerra da un uso limitato delle risorse idriche e da consumi contenuti, le sostanze di scarico potevano essere assorbite senza eccessivi danni all’ambiente, negli anni a seguire la scorta di acqua è stata compressa da vari fattori64. Infatti i nuovi modelli di produzione e consumo, causa del depauperamento delle risorse, hanno costituito la spinta verso l’emanazione del primo provvedimento italiano in cui ha assunto rilievo centrale l’attività di protezione del bene-ambiente. I tradizionali servizi di acquedotto, fognatura e depurazione sono stati riconsiderati alla luce di tale nuova esigenza finalizzata ad organizzare e programmare una tutela globale del territorio in tutti i suoi aspetti, sulla base di ambiti territoriali ottimali, espressione del naturale regime delle acque, in quanto essi coincidevano con i bacini idrografici. La legge Merli si basava principalmente sulla regolamentazione delle concentrazioni di sostanze chimiche presenti negli scarichi industriali e civili. I valori di concentrazione per determinati parametri, contenuti nelle tabelle allegate alla legge, costituivano i limiti di accettabilità a cui attenersi. Si stabiliva che tutti gli scarichi dovevano essere autorizzati e veniva imposto il censimento di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei ai fini della redazione di un piano nazionale di risanamento. La rilevazione concerneva nello specifico le caratteristiche idrologiche, fisiche, chimiche e biologiche ed il loro andamento nel tempo e tutti gli usi diretti o indiretti in atto: utilizzazioni o derivazioni o scarichi. Nella normativa non erano però analizzati alcuni aspetti fondamentali per garantire la tutela della qualità delle acque, quali il carico complessivo dello scarico e la qualità del corpo idrico ricevente. Inoltre il provvedimento regolamentava le sorgenti puntuali d'inquinamento, ma non prendeva in considerazione l'inquinamento diffuso determinato, ad esempio, dall'agricoltura. Successivo alla legge 319/76 - in termini di tutela qualitativa dell’acqua - è stato il 64 Lovisetti M., I servizi idrici, Torino 1998 52 decreto legislativo 152/99 recante "Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole"65. 65 Il Decreto 152/99 recepisce una lunga serie di direttive comunitarie in materia di acque ed ha assunto immediatamente un ruolo di primaria importanza in quanto con la sua emanazione sono state abrogate le seguenti norme: • Legge 10 maggio 1976, n. 319; • Legge 8 ottobre 1976, n.690, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L.10 agosto 1976, n.544; • Legge 24 dicembre 1979, n.650; • Legge 5/03/82, n.62, di conversione in legge, con modif. del D.L 30/12/81, n.801; • Decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n.515; • Legge 25 luglio 1984, n.381 di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 maggio 1984, n.176; • gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71 di conversione in legge, con modif. del D.L. 5/0290, n.16; • Decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n.130; • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.131; • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.132; • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.133; • articolo 2, comma 1, della legge 6/12/93, n. 502, di conversione in legge, con modif. del D.L. 9/10/93, n. 408; • articolo 9-bis della legge 20/12/96, n. 642, di conversione in legge, con modificazione del D.L. 23/10/96, 552; • Legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 17/03/95, n.79. La nuova disciplina degli scarichi idrici si basa su due presupposti fondamentali: - tutti gli scarichi debbono essere autorizzati (art. 45 comma 1) (concetto presente anche nella vecchia normativa) - tutti gli scarichi devono rispettare valori limite di emissione stabiliti in funzione degli obiettivi di qualità dei corpi idrici (art. 28 comma 1) (concetto del tutto nuovo e sul quale sono incentrate una serie di iniziative volte a capire prima la qualità dei corpi idrici ed il loro uso e poi ad autorizzare eventuali scarichi in detti ricettori). Tale concetto, era stato in realtà già introdotto dalla Legge n° 183/89 e dal D Lgs n° 130/92, di fatto, non era stato mai applicato. 53 Una prospettiva più ampia, nella direzione di una generale “tutela delle acque”, era stata realmente delineata con la legge 183/89 sulla protezione del suolo che ha organizzato e programmato la tutela globale del territorio, in tutti i suoi aspetti, sulla base di ambiti territoriali ottimali, coincidenti di regola con i bacini idrografici, e quindi, in relazione al regime naturale delle acque66. Le finalità della legge 183/89 erano infatti quelle di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, l’utilizzazione razionale del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti ambientali connessi. Tali scopi venivano perseguiti attraverso attività di programmazione, pianificazione e attuazione degli interventi finalizzati a realizzare: la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici; la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua; la moderazione delle piene; la disciplina delle attività estrattive al fine di prevenire il dissesto del territorio; la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree instabili; il risanamento delle acque superficiali e sotterranee allo scopo di fermarne il degrado; la razionale utilizzazione delle risorse idriche con una efficiente rete idraulica; lo svolgimento dei servizi di polizia idraulica; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti; il riordino del vincolo idrogeologico; l’attività di prevenzione e di allerta. La legge attribuiva al piano di bacino valore di piano territoriale di settore e di strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale venivano pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato67. 66 Lovisetti M., I servizi idrici, Torino 1998 67 Quali soggetti competenti in materia venivano indicati, tra i c.d. soggetti centrali, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Comitato dei ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo, il Ministero dei lavori pubblici e del Ministero dell’ambiente ed il Comitato nazionale per la difesa del suolo. Le Regioni invece esercitavano le funzioni ad esse trasferite e delegate ed in particolare quelle di gestione delle risorse d’acqua e di terra e, tra l’altro: a) delimitavano i bacini idrografici di propria competenza; 54 Il piano di bacino contiene infatti, nello specifico, il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonché dei vincoli, relativi al bacino, la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause; le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli; l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione: dei pericoli di inondazione e della gravità ed estensione del dissesto e del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonché del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi; le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il bacino idrografico; le priorità degli interventi ed il loro organico nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto. I principi sanciti dalla L.183/89, dalla Legge Galli e dal d.lgs. 152/99 vengono successivamente trasfusi nel c.d. Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo b) collaboravano nel rilevamento e nell’elaborazione del progetto di piano dei bacini di rilievo nazionale secondo le direttive dei relativi comitati istituzionali, ed adottano gli atti di competenza; c) formulavano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti relativi ai bacini di rilievo nazionale; d) provvedevano alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani dei bacini idrografici di rilievo regionale nonché all’approvazione di quelli di rilievo interregionale; e) disponevano la redazione e provvedevano all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale; f) provvedevano, nei bacini di rilievo regionale ed in quelli di rilievo interregionale, per la parte di propria competenza, alla organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica, di piena e di pronto intervento idraulico ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni; g) provvedevano alla organizzazione e al funzionamento della navigazione interna; h) attivavano la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale; i) predisponevano annualmente la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico del territorio di competenza; l) assumevano ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela ed uso delle acque nei bacini idrografici di competenza. 55 152/06, nonché potenziati nel senso dell’affermazione della demanialità di tutte le acque, della subordinazione dell’utilizzazione delle stesse al principio dello sviluppo sostenibile e della “funzionalizzazione” della disciplina degli usi della risorsa alla razionalizzazione ed alla tutela sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. All’enunciazione della specifica disciplina di settore, l’articolo 52 premette le definizioni, tra le più rilevanti, di distretto idrografico e di difesa del suolo, quest’ultima intesa come “il complesso delle azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l’uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate”. Quanto alle finalità delle norme indicate nel codice, esse mirano ad “assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione”68. In ciascun distretto idrografico di cui all’articolo 64 è istituita l’Autorità di bacino distrettuale, c.d. Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in conformità ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità. Le Autorità di bacino provvedono all’elaborazione del Piano di bacino distrettuale69, ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi 68 articolo 53 d.lgs. 152/06 69 il Piano di bacino distrettuale (c.d. Piano di bacino) ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato . Il Piano di bacino è redatto dall’Autorità di bacino in base agli indirizzi, metodi e criteri precedentemente fissati. Il Piano di bacino, contiene: • il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonché dei vincoli, relativi al distretto, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; 56 • la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause; • le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli; • l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione dei pericoli di inondazione e della gravità ed estensione del dissesto; dei pericoli di siccità; dei pericoli di frane, smottamenti e simili; del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonché del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi; • la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive; • la individuazione delle prescrizioni, dei vincoli e delle opere idrauliche, idraulico-agrarie, idraulico-forestali, di forestazione, di bonifica idraulica, di stabilizzazione e consolidamento dei terreni e di ogni altra azione o norma d’uso o vincolo finalizzati alla conservazione del suolo ed alla tutela dell’ambiente; • il proseguimento ed il completamento delle opere indicate alla lettera f), qualora siano già state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali, da leggi ordinarie, oppure a seguito dell’approvazione dei relativi atti di programmazione; • le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il distretto idrografico; • i meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e boschive che attuano interventi idonei a prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico; • la valutazione preventiva, anche al fine di scegliere tra ipotesi di governo e gestione tra loro diverse, del rapporto costi-benefici, dell’impatto ambientale e delle risorse finanziarie per i principali interventi previsti; • la normativa e gli interventi rivolti a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale, lacuale e marittimo e le relative fasce di rispetto, specificatamente individuate in funzione del buon regime delle acque e della tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni e dei litorali; • l’indicazione delle zone da assoggettare a speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici; • le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza e di desertificazione, anche mediante programmi ed interventi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica ed il riuso della stessa; • il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri e delle portate; • il rilievo delle utilizzazioni diverse per la pesca, la navigazione od altre; • il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d’impiego e secondo le quantità; 57 del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche ed infine all’elaborazione di un’analisi delle caratteristiche del distretto, di un esame sull’impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonché di un’analisi economica dell’utilizzo idrico. Il codice dell’ambiente, riprendendo il percorso inaugurato dalla legge 183/89 e poi introdotto a livello comunitario dalla Direttiva Acque, cerca dunque di realizzare un approccio normativo integrato in materia di risorse idriche tra i vari settori che le stesse coinvolgono (protezione del suolo, pianificazione del territorio e lotta alla desertificazione), in cui l’acqua viene considerata non in quanto un elemento a se stante, ma come risorsa inserita in un contesto naturale in cui si combina e si relaziona con fattori che incidono sulla disponibilità e la preservazione della stessa. Recentemente la società è diventata più vulnerabile ai • le priorità degli interventi ed il loro organico sviluppo nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto; • l’indicazione delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente. Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato. In attesa dell’approvazione del Piano di bacino, le Autorità di bacino adottano misure di salvaguardia con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi d’acqua di fondo valle. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all’approvazione del Piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre anni. In caso di mancata attuazione o di inosservanza, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, delle misure di salvaguardia, e qualora da ciò possa derivare un grave danno al territorio, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro congruo termine da indicarsi nella diffida medesima, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche con efficacia inibitoria di opere, di lavori o di attività antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti. 58 rischi naturali a causa delle attività umane, come le alterazioni nei modelli di drenaggio dovute all’urbanizzazione, alle pratiche agricole e alla deforestazione che hanno notevolmente modificato la situazione nell’intero bacino fluviale. In generale, per una consapevole e razionale attività di preservazione delle risorse naturali come il suolo e l’acqua, contro l’impatto delle attività umane, è necessario cambiare gli utilizzi umani delle stesse in modo sostenibile, consentendo lo sviluppo dell’economia senza compromettere la natura. Ciò significa che le attività umane devono essere adattate alla natura, e non il contrario. È necessario un impatto umano sostenibile sulle risorse naturali ed un lavoro di prevenzione dei rischi che avrebbe dovuto essere fatto in un contesto globale: le politiche delle acque degli Stati debbono essere elaborate prendendo in considerazione eventuali rischi di siccità o di esondazioni che potrebbero derivarne, sia a livello interno sia in termini di impatto sugli altri Stati. Un’attività efficace di profonda conoscenza prima e conseguente gestione poi, muove inoltre dalla constatazione della impossibilità e soprattutto dell’inutilità di un unitario inquadramento della risorsa idrica in una sola categoria a cui applicare una disciplina giuridica esclusiva. Il tema dell'acqua è inscindibilmente connesso a quello della ripartizione del territorio nazionale in distretti idrografici e della protezione del suolo. Muovere da un approccio normativo integrato rappresenta la corretta procedura da seguire al fine di pervenire ad un comprensione reale e realistica della tematiche delle acque per poi elaborare strategie di prevenzione degli sprechi, riduzione delle perdite e difesa rispondenti alle reali esigenze. In ambito comunitario la direttiva Acque induce a considerare la gestione delle acque in una logica più ampia di quella attuale: cioè non nella logica della gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il complesso delle attività che dall’acqua dipendono. La gestione va inoltre considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. La direttiva successiva 2007/60 sulle Alluvioni introduce un modello di analisi prima, ed intervento poi, fondato su una nozione estesa di integrazione ambientale sia sotto il profilo politico che sul piano puramente “fisico/territoriale” della configurazione degli eventi alluvionali: essa infatti 59 richiede una pianificazione dello studio e dei successivi interventi su base integrata rispetto alla direttiva 2000/60, c.d. direttiva quadro in materia di acqua, incentrata sui concetti di bacino e distretto idrografici. La c.d. direttiva acque, pur introducendo l’obbligo per gli Stati di elaborare piani di gestione dei bacini idrografici per tutti i distretti idrografici, non contempla però il rischio di alluvioni, né considera gli impatti che i cambiamenti climatici possono produrre in termini di alluvioni. Alla luce della direttiva 2007/60 i rischi di tali eventi devono essere previsti e pianificati a livello di singoli bacini idrografici e nel contesto del complessivo distretto idrografico in cui essi rientrano. La pianificazione delle azioni deve essere predisposta sulla base delle “migliori pratiche disponibili” e delle “migliori tecnologie disponibili”. Un passo in avanti nel senso di una ulteriore caratterizzazione giuridica dell’acqua nell’ordinamento italiano è compiuto sempre dalla Legge Galli (poi ripresa dal d.lgs. 152/06) in termini di “valore” del bene, che si traduce nella tariffa del servizio idrico integrato. In linea con quanto emerso nel contesto internazionale, in Italia il corrispettivo per il servizio idrico integrato - ovvero il complesso delle attività che rendono materialmente possibile l’accesso della collettività - , servizio che si concretizza nella captazione, adduzione, depurazione e fognatura delle acque, viene individuato nella tariffa70 . La tariffa, al di fuori di una squisita connotazione economica, rappresenta il filtro oggettivo della valutazione che un ordinamento fa della considerazione che intende attribuire all’acqua in una accezione globale che ricomprende unitariamente il profilo etico, socio-culturale ed appunto economico. La tariffa è cioè lo strumento economico attraverso il quale l’ordinamento, in base ad una scelta politica, decide di “valorizzare” l’acqua, nel significato specifico di attribuire una data connotazione in termini di valore alla risorsa nei confronti della collettività. Dare valore all’acqua non significa dunque necessariamente considerarla una merce ma evitare gli sprechi gratuiti, contrastare gli usi esclusivi a prescindere dalle altre utilizzazioni e dal degrado, superare la cattiva frammentata gestione coerente con la mancata “difesa del suolo”. Il valore dell’acqua assume cioè connotazioni diverse a seconda della valutazione che uno Stato fa a monte della costruzione di un assetto normativo avente ad oggetto l’organizzazione del servizio pubblico che 70 sentenza Corte Costituzionale n. 335/2008 60 fa riferimento alla risorsa, nel nostro caso appunto il servizio idrico integrato. In tale prospettiva, strettamente connesso al profilo tariffario, è poi l’elemento regolatorio e la presenza di autorità di regolazione. La previsione di un soggetto terzo come garante costituisce cioè la base da cui muovere perché si realizzino in concreto le funzioni di garanzia della tutela e dell’uso delle risorse idriche, sostenibilità degli usi e diritti delle generazioni future, oltre alla finalità di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio. Nell’ordinamento giuridico italiano soltanto con il c.d. Decreto legge sviluppo 70/2011 si è cercato di ovviare alla carenza di un soggetto terzo garante delle acque attraverso l’istituzione di un’agenzia apposita per l’acqua: l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, come organo indipendente dal Governo che opera in piena autonomia. Da quanto sopra emerge come nello specifico all’ordinamento giuridico italiano gli elementi, costitutivi del diritto stesso sono costituti innanzitutto da una nozione pubblica (rectius - demaniale) della proprietà risorsa, come elemento-base del riconoscimento di un diritto di accesso proprio degli ordinamenti “democratici”; in secondo luogo una prevalenza di forme gestionali del servizio idrico di tipo pubblico, sulla base dell’idea tradizionale che solo una gestione prevalentemente pubblica sia in grado di assicurare il regime di accesso all’acqua in termini di quantità e qualità adeguate. In terzo luogo una tariffazione filtro del valore che la società e i suoi rappresentanti politici intendono riconoscere all’acqua e che si concretizza nel corrispondente servizio pubblico organizzato per “connettere” la collettività alla risorsa; in quarto luogo una autorità di regolazione come soggetto terzo garante delle acque; infine come cornice di fondo in cui si inseriscono gli elementi sopra indicati, una normativa sull’acqua integrata con aspetti relativi al suolo, al territorio ed ai cambiamenti climatici in una prospettiva di governance ambientale estesa. Nel presente lavoro si compie la scelta di concentrare l’indagine sugli elementi della proprietà pubblica e del sistema tariffario, mentre i profili gestionale e di regolazione verranno analizzati sullo sfondo degli altri due. a. proprietà pubblica In Italia - come d’altronde nella maggior parte degli ordinamenti democratici - la proprietà pubblica dell’acqua costituisce lo strumento eletto al fine di assicurare 61 la fruibilità della stessa a tutta la collettività e di escluderne forme di appropriazione individuali. La legge n.36 del 1994, specifica qualcosa in più rispetto alla disciplina precedente e semplifica le cose, sostenendo la pubblicità delle acque anche nel caso in cui le stesse vengano ancora a trovarsi nel sottosuolo. Una espressa dichiarazione di questo tipo diviene frutto di esigenze variate rispetto alle risultanze normative precedenti, dettate dalla notevole importanza acquisita delle falde acquifere, assieme alla constatazione della non inesauribilità delle riserve di acqua, nonostante il continuato rinnovo meteorico della risorsa acqua. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il modo più opportuno per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque consistesse nel sottrarlo al potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne la sua cura soltanto alla pubblica amministrazione. b. tariffa (come filtro di “valore” del diritto) Acqua e risorse idriche disponibili hanno raggiunto un punto critico. Secondo la Commissione Europea serve un impegno più incisivo a cominciare da una efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure concordate di promozione dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste le condizioni che potranno permettere all’ Europa di disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. Nello scenario internazionale, uno dei temi centrali è costituito, sin dopo la Conferenza del Mar del Plata, dal “valore economico dell'acqua”. Nel corso della Conferenza Internazionale su Acqua e Ambiente di Dublino, come si è già detto, viene rappresentato il concetto che “gestire l'acqua come un bene economico è un modo importante di conseguire un uso efficiente ed equo, e di favorire la conservazione e la tutela delle risorse idriche”, muovendo dal principio secondo il quale l'acqua ha un valore economico in tutti i suoi usi concorrenti e deve essere riconosciuta come un bene economico. Gli stessi fautori dei forum alternativi dell’acqua, a distanza di anni, riconoscono che ci possa essere un prezzo per l’acqua quando l’uso che se ne fa superi il minimo indispensabile alla vita e si ribadisce implicitamente il valore economico della stessa ma esclusivamente come strumento di protezione da eccessi e sprechi. La 62 direttiva Acque tra i molteplici obiettivi che annovera, ricomprende, in primis, quello di agevolare l’utilizzo idrico sostenibile e proteggere l’ambiente. Gli Stati membri sono chiamati a provvedere affinché, attraverso le politiche dei prezzi dell’acqua, gli utenti siano indirizzati verso un uso più efficiente della stessa e, nell’ambito dei piani di gestione di ogni distretto idrico, a garantire l’equilibrio tra l’estrazione ed il rinnovo della risorsa. Significativo in tal senso è il primo enunciato del preambolo della direttiva, in cui si legge che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale” e, al punto 11, richiamando il vecchio articolo 174 del Trattato istitutivo della CEE , si precisa come la politica ambientale comunitaria debba essere finalizzata ad assicurare “la salvaguardia, la tutela ed il miglioramento della qualità dell’ambiente, dell’utilizzazione accorta delle risorse naturali”. L’articolo 9 della Direttiva pone inoltre a carico degli Stati membri l’obbligo di adottare misure adeguate a fare in modo che i prezzi dell’acqua rispecchino il costo totale di tutti i servizi collegati all’uso della stessa, quali ad esempio la gestione, la manutenzione degli impianti, oltre ai costi per l’ambiente ed il depauperamento delle risorse. A questo scopo gli Stati dovranno imporre, nei diversi settori in cui l’acqua viene utilizzata, i costi dei servizi, tenendo conto del fondamentale principio “chi inquina paga” ed il risparmio idrico dovrà essere ottenuto attraverso l’elaborazione di piani tariffari che inducano i consumatori ad allinearsi alla politica comunitaria in materia. Nel contesto delle finalità così delineato un ruolo strategico viene assunto dall’analisi economica di sostenibilità degli usi della risorsa idrica: a tal riguardo la Direttiva 2000/60, all'art. 91, stabilisce che gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere entro il 2010 ad un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga". La disposizione è stata recepita nell'ordinamento nazionale con l'art. 119 del D.Lgs. 152/2006 che disciplina il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici. L'analisi economica ha quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai diversi usi della risorsa idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e l'uso idroelettrico. In tale ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare gli usi meno 63 efficienti e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi, valorizzare gli usi più efficienti e più necessari. La direttiva induce a considerare la gestione delle acque in una logica più ampia di quella attuale: cioè non nella logica della gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi civili, usi irrigui, zootecnici, piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti drenanti, invasi e condotte funzionali alla produzione energetica, impianti di dissalazione, ecc. …).Lo strumento economico deve essere utilizzato come strumento per preservare la risorsa, piuttosto che come mero strumento per ripianare i costi del servizio idrico o per fare profitti, attraverso la revisione dei meccanismi economici - tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere i conti effettivi della gestione del servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e rendendoli trasparenti ai cittadini, sia cercando di internalizzarli. La gestione va inoltre considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. Dalla premessa sopra richiamata emerge il ruolo decisivo che lo strumento economico può assumere in una politica di tutela della risorsa sotto tutti i suoi aspetti cardine (qualità, quantità e accessibilità). La tariffa è il filtro nella realtà concreta del valore che il legislatore - auspicabilmente rispondendo alla volontà della collettività - intende attribuire all’acqua. Si torna a ribadire come dare valore all’acqua non significa dunque necessariamente considerarla una merce ma evitare gli sprechi gratuiti, contrastare gli usi esclusivi a prescindere dalle altre utilizzazioni e dal degrado, superare la cattiva frammentata gestione coerente con la mancata “difesa del suolo”, in linea con quanto affermato dalla direttiva Acque. La tariffa trova nel servizio idrico il luogo naturale in cui assolvere alla funzione di incarnare il valore che la collettività - di un dato ordinamento, in un contesto geografico e socio-culturale determinato ed in un preciso periodo storico - ed i suoi rappresentanti, hanno inteso conferire all’acqua. Il servizio è cioè lo strumento principale per mezzo del quale l’ordinamento dovrebbe garantire che la collettività possa ricevere acqua in 64 qualità e quantità tali da assicurare generalmente livelli quanto meno essenziali di vita. 2. La proprietà pubblica dell’acqua come elemento-base del riconoscimento di un diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti “democratici” Dall’excursus storico-normativo svolto è dunque emerso come, pur non essendo riconosciuto formalmente in Italia un diritto all’acqua, l’ordinamento, attraverso le leggi di cui si è dotato, si indirizza - affinché il diritto sia attuale ed effettivo verso i pilastri della proprietà pubblica della risorsa - che in Italia è stata affiancata da una gestione prevalentemente pubblicistica del servizio idrico - , una tariffazione filtro del valore che la società e i suoi rappresentanti politici intendono riconoscere all’acqua (attraverso lo strumento del servizio idrico) alla quale si collega l’esigenza di previsione di autorità di regolazione - ed una normativa sull’acqua integrata con aspetti relativi al suolo, al territorio ed ai cambiamenti climatici. Il legislatore italiano - mutuando anche spunti forti di livello internazionale e comunitario - ha inteso cioè proteggere il diritto della collettività di accedere all’acqua indicando le basi - al tempo stesso - concettuali e concrete su cui esso dovrebbe poggiare. Muovendo dalla considerazione che un approccio normativo integrato costituisca la necessaria cornice generale entro la quale inserire i concetti più specifici e definiti di proprietà pubblica dell’acqua e tariffa idrica, il lavoro che si andrà ad illustrare si focalizzerà sul profilo proprietario, nel capitolo secondo e, sull’aspetto della tariffa così come inserita nel contesto del servizio idrico, nel terzo. In particolare il tema della proprietà pubblica dell’acqua, come elemento-base del riconoscimento di un diritto di accesso alla risorsa negli ordinamenti “democratici”, rappresenta oggetto di attenzione sia per la sua piuttosto recente definitiva affermazione, sia per le implicazioni e le ragioni socio - economiche e culturali, oltre che ovviamente squisitamente giuridiche - che hanno caratterizzato il processo di emersione del concetto di demanialità delle acque da un contesto in cui l’acqua veniva originariamente considerata bene di appropriazione individuale. Ciò rappresenta un passaggio necessario per poi testare il livello di garanzia che l’attuale sistema - concretizzato da quello che, per motivi di comodità, chiameremo “diritto delle acque” italiano - offre e i limiti che 65 esso incontra in termini di “accessibilità” diffusa della risorsa. 3. Evoluzione storica del concetto di proprietà delle risorse idriche dal 1865 al 2009 3.1.Acque pubbliche/demaniali e private dal codice civile del 1865 al T.U. n.1775 del 1933 La legislazione del nuovo Regno d’Italia di regolazione della materia delle acque pubbliche interne, si presentava decisamente frammentaria, inizialmente inserita nella legge sui lavori pubblici71 e, in una prima fase, come essenzialmente di “tutela del buon regime delle acque stesse e delle loro pertinenze”72. La Legge 20 marzo 1885, n. 2248, allegato F, nel terzo titolo definiva un sistema di interventi pubblici limitato alla costruzione ed al mantenimento di essenziali opere idrauliche necessarie a fronteggiare i pericoli connessi ai corsi d’acqua e finalizzato a garantire l’uso generale dell’acqua come patrimonio comune ed illimitato laddove la proprietà privata delle risorse idriche effettivamente utilizzata risultava prevalente73. I pubblici poteri dovevano pertanto garantire gli usi comunitari, e specialmente quelli di navigazione e fluitazione. Non assumevano comunque ancora alcuna rilevanza sociale le problematiche inerenti alle conflittualità tra gli usi e la destinazione del bene. E’ interessante rilevare, quanto al profilo proprietario delle risorse idriche, che il codice civile del 1865, all’art. 427, annoverava tra i beni appartenenti al demanio pubblico solamente i fiumi ed i torrenti, mentre il fatto che la normativa speciale delle acque pubbliche facesse riferimento anche a corsi naturali minori, come 71 legge 20 marzo 1865 n. 2248, legge sui lavori pubblici; leggi di razionalizzazione e risistemazione della materia delle acque: l. 10 agosto 1884, n. 2644 e il suo regolamento, il r.d. 26 novembre 1893, n. 710; d.lgt. 20 novembre 1916, n. 1664; d.l. 9 ottobre 1919, n. 2161, convertito in l. 18 dicembre 1927, n. 259 72 Cfr. infra 73 Greco N., Le acque, Il Mulino, 1983 66 fossati, rivi e colatori pubblici, fu fonte di non poche discussioni in dottrina circa la ravvisabilità di risorse idriche suscettibili di appropriazione privata74. Sul piano della gestione invece, con la legge 29 marzo 1903, n. 103 (c.d. Legge Giolitti), poi trasfusa nel R.D. 15 ottobre 1925, n. 257875 i servizi di acquedotto e fognatura, già storicamente rientranti nel novero delle più antiche prestazione rese dal settore pubblico ai privati (mentre la depurazione delle acque reflue è concetto ed attività molto più recente) e attività tipicamente e tradizionalmente assunte dagli enti locali - in dipendenza della stretta connessione tra gli stessi, il territorio e la comunità76 - venivano municipalizzati e si prevedeva che la costruzione di acquedotti e fontane fosse ricompresa tra i servizi principali dei quali i Comuni potessero assumere l’esercizio diretto77. Successivamente il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 - Testo Unico sulle leggi sanitarie - all’articolo 248 stabiliva che “i Comuni dovessero essere adeguatamente forniti, per uso potabile, di acqua pura e di buona qualità”, attribuendo pertanto all’assunzione del relativo servizio un carattere di doverosità. Tali attività indubbiamente evidenziano un diretto collegamento con bisogni primari, essenziali ed insopprimibili della collettività e dei singoli: l’approvvigionamento di acqua potabile e la raccolta degli scarichi, oltre che rispondere ad esigenze basilari per la sopravvivenza degli esseri viventi, costituiscono la base costitutiva di qualsiasi aggregato sociale78. Fondamentale, in tale direzione, è stato l’apporto dato dai servizi c.d. “municipalizzati” alla nascita dei grandi complessi industriale, all’inurbamento che ne è seguito - con accesso alle risorse a prezzi 74 Per un approfondimento della questione nel vigore del vecchio codice, vedi S. Masini, La “decadenza“ della proprietà privata delle acque con particolare riguardo agli usi irrigui, comunicazione presentata al Convegno di studi su “Tutela delle acque: direttive comunitarie e normativa nazionale”, Roma, 25 febbraio 1995, in Dir. e giur. agraria, 1995, pag. 667 ss.; e sui contrasti tra la legge dei lavori pubblici del 1865 e il contestuale codice civile: Lugaresi, cit., pag. 26 ss.Vedi anche Cerulli Irelli V., Acque pubbliche, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 10 ss. 75 Il R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 è anche noto come il Testo Unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province 76 Caia G., Approvvigionamento idrico e gestione degli acquedotti, in Sanità Pubblica, 1992, pag. 445 77 Lovisetti M., I servizi idrici, Giappichelli, 1997 78 Lovisetti M., op. citata 67 accessibili anche alle classi sociali più povere - ed allo sviluppo di un assetto urbano salubre altrimenti difficilmente realizzabile79. Un timido passo in avanti nel senso del configurarsi di una normativa specifica sulle risorse idriche era tra l’altro già stato fatto con l’emanazione del T.U. n. 523/1904, modificato poi nel 1911, concernente la disciplina delle opere idrauliche, attraverso il quale si conferiva alla Pubblica Amministrazione la suprema tutela delle acque pubbliche e l’ispezione dei relativi lavori e si specificavano i doveri di difesa e conservazione delle stesse. In una seconda fase la normativa in materia di acque pubbliche ha subito una evoluzione nella direzione di meglio delineare la natura giuridica dei diritti di utenza idrica, identificandoli e classificandoli in vari modi ed infine abolendone in via generale il carattere di gratuità. E’ stato esteso alle acque l’istituto della concessione amministrativa come istituto di diritto pubblico che consentiva l’utilizzazione delle fonti idriche in via temporanea e solo eccezionalmente perpetua, dietro corresponsione di un canone di natura tributaria. Restava comunque in discussione la natura pubblica dei corsi d’acqua che da alcuni, secondo le disposizioni previste dal codice civile dell’epoca, era limitata ai fiumi ed ai torrenti. Soltanto nel 1919 la materia ha ricevuto un’organica sistemazione con il D.L. n. 2161 e poi nel 1920 con il R.D. n.1285, che hanno disciplinato in modo più sistematico l’istituto della concessione in uso temporaneo ed escluso la concessione in proprietà. Successivamente, con il R.D.L. n. 425 del 1924 è stato disposto un aumento generalizzato delle entrate derivanti dall’utilizzo di beni del pubblico demanio, fra cui i corsi d’acqua pubblica, ed è stato affermato il carattere oneroso di tutte le derivazioni a partire dal primo luglio 1924. Significativo appare, a tale riguardo, il dibattito sviluppatosi tra i giuristi dell’epoca circa il problema dell’acqua che, a partire dal 1916, stava assumendo carattere nazionale: in dottrina iniziavano ad essere recepite in maniera definitiva le sollecitazioni dei tecnici ed in particolare della Società Italiana per il Progresso delle Scienze e si prendeva coscienza generale delle implicazioni giuridiche del dato tecnico80. Si poneva come centrale l’esigenza di passare da 79 Cavallo Perin R., Comuni e province nella gestione dei servizi pubblici, Napoli, 1993 80 Greco N., opera citata, pag. 109 ss. 68 una politica essenzialmente di sistemazione degli alvei e degli argini al fine precipuo di inviare al mare nel minor tempo possibile l’acqua dannosa, ad una politica opposta di rilascio in mare di acqua dannosa nella minore quantità possibile e nel più lungo tempo: da una politica definita di “difesa” a una di “utilizzazione”. Si tentava cioè di superare il confronto continuo con gli orientamenti giurisprudenziali, sviluppatisi sin dalle leggi del 1865, radicalmente conservatori e finalizzati a proteggere il principio della proprietà privata per il maggior numero possibile di acque; di affermare elaborazioni innovative fondate sul profilo della tutela idrogeologica e l’esigenza conseguente di una nuova gerarchizzazione degli usi dell’acqua che esplicitasse in modo più organico l’assetto degli interessi pubblici connesso alla proprietà demaniale delle acque. E’ da questo periodo in poi che inizia ad emergere la necessità della ridefinizione di una ottimale area funzionale per la gestione delle acque, attraverso una capacità statuale di direzione ed indirizzo che superasse particolarismi, un ripensamento della demanialità delle acque che tenesse conto della diversità degli usi, in un’ottica attiva di uso razionale della risorsa. Per i giuristi da un lato era centrale il problema di una riconfigurazione della demanialità idrica e della pubblicità delle acque che garantisse allo Stato un ruolo centrale di controllo di tutto il patrimonio idrico; dall’altro si poneva come assolutamente rilevante la questione della gestione del bene attraverso un assetto organizzativo adeguato al fine di realizzare obiettivi concreti. Il complesso normativo che vide la luce tra il ’16 ed il ’19 è stato poi riprodotto in maniera invariata nel T.U. n.1775 del 1933. D’altronde già nel 1910 la Corte di Cassazione81 con una importante sentenza si era pronunciata nel senso dell’equivalenza delle espressioni acque demaniali ed acque pubbliche, ribadendo tale assunto in una successiva sentenza82 del 1916, fatto che rafforzò e rassicurò su una tematica che implicava ingenti interessi fondiari ed Cfr. i discorsi di A. Omodeo, G. Valenti e V. Scialoia, in Il problema idraulico e la legislazione sulle acque “Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze”, VIII riunione, Roma, Tip. Nazionale di G. Bertero, 1916 81 Corte di Cassazione S.U. 21 dicembre 1910 82 Corte di Cassazione 19 dicembre 1916 69 economici, tanto che varie dottrine83 definirono la nuova concezione della demanialità idrica, che acquisì riconoscimento a livello di norma primaria, “una rivoluzione del concetto dei beni e nella configurazione dei diritti che. offende diritti antichi utili ai singoli individui, ai nuclei sociali ed all’intera nazione”, evidenziando la connessione sussistente tra proprietà del bene idrico, diritto di proprietà in generale e destinazione sociale dei beni84. “Il nuovo decreto ha abolito il nome di proprietà e proprietario in relazione alla nostra materia …, tutti i titolari sono utenti, il diritto sulle acque è un diritto d’uso, che non occorre per ora maggiormente qualificare…diritti antichi e secolari di cui si contesta semplicemente en passant la legittimità perché è sempre usato di deprimere ciò che si vuol violentemente sopprimere, sono abbattuti senza alcun indennizzo”85. Secondo le disposizioni del decreto del 1919 infatti non ci sarebbero più stati proprietari di acque ma utenti e le risorse idriche sarebbero state di fatto e di diritto sottratte alla disponibilità e a libere speculazioni di tanti soggetti privati e si sarebbe affermato un fortissimo potere gestorio dello Stato in materia. Questo fu l’avvio di una reale rivoluzione normativa che, però, quanto al profilo organizzativo ed attuativo, per un lungo periodo ha visto il ricorso ai consorzi, enti che sono stati fortemente influenzati dall’iniziativa dei soggetti privati e si sono configurati come bacino di confluenza di interessi imprenditoriali relativi all’affidamento in concessione della realizzazione delle opere pubbliche connesse, in quanto opere a carico dello Stato o dallo stesso finanziate. 3.2. Relatività della pubblicità delle acque nel T.U. n. 1775/1933 Alle predette fasi di definizione della disciplina riguardante l’utilizzazione delle fonti idriche interne, è seguito uno stadio riassuntivo di premessa alla tutela diretta, non solo degli interessi degli utenti ma, soprattutto, di quelli preminenti della collettività tutta e i precedenti provvedimenti sono stati quindi sostituiti dal T.U., R.D. n.1775 del 1933 che presentava carattere riepilogativo rispetto 83 Manes C., Le acque pubbliche nel diritto italiano vigente, Athenaeum, Roma 84 Greco N., opera citata, pag. 117 85 Bonfante P., Sulla nuova legge delle acque, in “Rivista di diritto commerciale” 1919, 1, pag. 461 ss. 70 alle scelte normative precedenti. Si riconfermava infatti il principio della natura pubblica delle acque e il ruolo centrale dello Stato a tutela dell’interesse pubblico. In base al nuovo T.U. erano pubbliche tutte le acque sorgenti, fluviali e lacunari, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, che avessero o acquistassero “attitudine ad uso di pubblico generale interesse”86. Le acque pubbliche venivano poi inscritte in specifici elenchi. La risorsa idrica veniva inoltre considerata come inesauribile e pertanto non vi era alcuna preoccupazione della tutela della stessa e dell’esigenza di una politica di risparmio idrico: prevaleva una scelta basata su un’ideologia “mercantilistica e produttivistica”, in linea con un sistema di amministrazione delle acque basato sul massimo sfruttamento delle stesse e su linee direttrici fissate prevalentemente dai privati. La concessione di acqua si caratterizzava infatti per un profilo decisamente convenzionale in cui gli interessi del concessionario venivano rapportati quasi esclusivamente con quelli propri della concorrenza e non con quelli generali. La querelle sulla proprietà statuale delle acque fu dunque lasciata cadere a fronte di ragioni pratiche di mercato e soprattutto di consolidamento di interessi settoriali: da questo momento storico in poi non è stato più messo in discussione il regime proprietario del bene, in quanto la definizione introdotta da T.U. del 1933 esprimeva comunque un concetto indeterminato e piuttosto variabile di pubblicità delle acque in relazione all’evolversi delle condizioni tecniche, economiche e sociali, che lasciava pertanto ancora notevole spazio di azione ai soggetti privati. Quali fossero infatti gli usi di pubblico generale interesse, cui la legge subordinava la dichiarazione di demanialità dell’acqua, non era né stabilito dalla stessa né 86 Il Testo Unico individuava il concetto giuridico di acqua pubblica, enunciandolo al primo comma dell’articolo 1: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente che per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiamo acquisito, od acquistino, attitudine ad usi di pubblico generale interesse”. Questa definizione veniva poi recepita pienamente dal codice civile del 1942 che, nell’articolo 822, comprende, nella categoria del demanio idrico, i fiumi, i torrenti, i laghi e, genericamente, le “altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia”, proprio quelle individuate dalla norma contenuta nel Testo Unico del 1933. 71 veniva fornito alcun criterio al riguardo. Accertato pertanto, di volta in volta, che un singolo corso d’acqua servisse o avesse attitudine a servire ad usi di pubblico generale interesse, seguiva una dichiarazione della p.a. e la successiva iscrizione negli elenchi che, assolvendo alla funzione di indicare le acque che secondo l’amministrazione presentassero i requisiti per essere considerate pubbliche, avevano carattere meramente dichiarativo87. Il R.D. del 1933 realizzava inoltre una operazione di scissione tra gestione amministrativa dello sfruttamento del bene ed impegno parziale alla sua conservazione che andava a coincidere con il proliferare di uffici e competenze a vari livelli ministeriali: primo fra tutti il Ministero dell’Agricoltura era chiamato a gestire gli impieghi irrigui dell’acqua in un quadro integrato di bonifiche ma in posizione di latente dipendenza dal Ministero dei Lavori Pubblici per quanto concerneva la realizzazione delle opere88. 3.3. La Legge 36/94 c.d. Legge Galli e la proclamazione della pubblicità di tutte le acque La consacrazione del carattere pubblico di tutte le acque si è avuta invece con la legge 36 del 1994, c.d. Legge Galli che all’articolo 1 prevedeva che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”: la pubblicità veniva quindi attribuita senza alcuna distinzione a tutte le acque. Non si è in presenza di una mera enunciazione programmatica, né di una semplice regolamentazione degli usi, ma di un vero e proprio atto di asservimento che esplica la volontà del legislatore di dar luogo ad una pubblicizzazione generalizzata delle risorse idriche89. Anche le acque non estratte dal sottosuolo sono pubbliche in quanto funzionalmente preordinate alla realizzazione di un servizio pubblico universale. Le acque pubbliche sono le acque oggetto di proprietà pubblica e perciò stesso elementi costitutivi del 87 In questo senso Pacelli, Ruini, Vitta e Zanobin, Acque pubbliche, in Enciclopedia del diritto, paragrafo 11, note 51 e 52 88 Greco N., opera citata, pag. 176 89 Cazzagon F., Le acque pubbliche nel codice dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’Ambiente, 2007 72 demanio pubblico90. Anche il codice civile del 1942 esprimeva lo stesso concetto giuridico, prevedendo infatti all’articolo 822, tuttora vigente, la collocazione delle acque pubbliche fra i beni demaniali: le acque rientrano nella categoria dei beni immobili e possono appartenere sia alla pubblica amministrazione sia ai privati. La acque pubbliche, essendo appunto oggetto di proprietà pubblica, costituiscono il c.d. demanio idrico, definito necessario, in quanto le risorse idriche in esso ricomprese non possono appartenere a soggetti diversi dalla pubblica amministrazione. Prima dell’entrata in vigore della legge Galli la p.a. avrebbe potuto essere titolare anche di acque private acquisite per atto inter vivos o mortis causa, senza che ciò implicasse il conferimento di natura pubblica a quell’acqua e la sua preordinazione ad un fine pubblico. Questo provvedimento è stato il punto di arrivo di un processo che ha trovato il proprio svolgimento in un lunghissimo arco di anni: la tendenza a pervenire ad una maggiore riduzione dell’ambito entro il quale i privati potessero esercitare diritti di appropriazione o comunque di utilizzazione delle acque, senza per questo dover necessariamente avere come intermediaria la p.a. in funzione di responsabile della tutela delle risorse idriche91. Tale evoluzione, che ha avuto un suo preciso riscontro sul piano normativo, ha portato dapprima ad un allargamento della categoria delle acque appartenenti al pubblico demanio, in seguito ha posto limiti sempre più estesi alla normale disponibilità e conservazione dei beni in oggetto. Ciò per motivi essenzialmente di controllo e di tutela degli interessi pubblici, ricollegati ad un bene che viene considerato prioritario per il soddisfacimento dei bisogni elementari e comunque ineludibili dell’uomo e del contesto sociale nel quale egli si trovi ad 90 Acque pubbliche in Digesto Italiano, pag. 51 91 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16 dicembre 1997 Sul punto vedi: Postiglione A., Tutela delle acque: il quadro giurisprudenziale, in Dir. e giur. agraria, 1995, pag. 133 ss.; Lugaresi N., Le acque pubbliche, profili dominicali, di tutela e di gestione, Milano, 1995, pag. 22. 73 agire92. Questa connotazione, come si è accennato, è stata il frutto del mutamento di prospettiva del legislatore, cambiamento che si è sempre accompagnato al differente risalto dato alle singole configurazioni con le quali veniva identificato l’interesse pubblico. La realizzazione di quest’ultimo viene pertanto ad un certo momento inscindibilmente correlata alla sottrazione ai privati della totale disposizione del demanio idrico, affinché di esso venisse fatto un utilizzo più conforme a fini di utilità sociale: obiettivo primario dell’ordinamento in materia era quello del maggiore e più completo sfruttamento del patrimonio nazionale delle acque nel perseguimento degli interessi economici e produttivi. In tale contesto veniva ad assumere un posto di rilievo la concessione di derivazione di acque pubbliche, in quanto costituiva lo strumento principale attraverso il quale realizzare gli obiettivi legati alla produzione agricola ed industriale. Del resto anche oggigiorno essa rimane “la forma giuridica principale per l’utilizzazione delle acque pubbliche”93. Il legislatore ha pertanto ritenuto che il modo più opportuno per evitare un indiscriminato utilizzo delle acque consistesse nel sottrarlo al potere di disposizione dei semplici privati, ed affidarne la sua cura alla pubblica amministrazione. In tal modo si verrebbe a giustificare l’integrale trasferimento di tutte le acque - e dei relativi terreni di contenimento, n.d.r. nell’ambito del pubblico demanio idrico94. 92 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16 dicembre 93 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, op. cit. 94 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, op. cit. Sulla nozione di “acque private” cfr. Albano R., Le limitazioni legali in tema d’acque (non pubbliche), in Tratt. di dir. priv., VII, diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, pag. 613; Tabet A., Ottolenghi E., Scaliti G., La proprietà, voce: Il regime delle acque non pubbliche, in Giur. sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1981, pag. 719 “La nozione di acque non pubbliche (o private) è essenzialmente negativa, in quanto comprende le acque che non sono pubbliche”. La disciplina concernente l’utilizzazione delle acque private, per meglio dire, delle acque non pubbliche, si riscontra essenzialmente nel codice civile, al libro terzo, titolo II, sezione IX, Delle acque, agli art. 909-921. Per quel che concerne più in generale gli art. che vanno dal 909 al 921, essi possono essere suddivisi grosso modo in tre gruppi. Il primo, art. 909-912 e 918-921, riguarda l’uso delle acque; 74 La demanialità non rappresenta l’unico modo di disciplinare l’uso dei beni in vista del soddisfacimento di esigenze collettive95, ma è la sola via che possa assicurare l’ininfluenza sulla stabilità dell’appartenenza e sulla gestione dei beni delle esigenze utilitaristiche connesse alla proprietà privata. Inoltre la demanialità delle acque risponde alla necessità di risolvere un problema di distribuzione dei beni, disponendo che gli stessi appartengono alla p.a., ma soprattutto destina le medesime acque ad una serie di utilizzazioni individuate specificatamente e controllate dalla stessa, operando una destinazione vincolata dei beni. Appartenenza e utilizzazione rappresentano i confini della tematica delle acque nell’evoluzione normativa italiana. Prima della legge Galli la distinzione tra acque pubbliche e private non era assoluta, in quanto promanava da un giudizio sul pubblico uso al quale esse erano singolarmente destinate. La Galli, all’articolo 1, comma primo, così recita: il secondo, art. 913 e 914, lo scolo e il prosciugamento dei terreni; il terzo, art. 915-917, la difesa contro le acque fluenti. Esaminando con maggior attenzione il primo, che è quello che più interessa al discorso che si sta svolgendo, osserviamo che l’art. 909 c.c. - Diritto sulle acque esistenti nel fondo - prevede al primo comma che “il proprietario del suolo ha diritto di utilizzare le acque in esso esistenti, salvo le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e sotterranee”. L’art. 910 c.c. dispone che “il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un’acqua non pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre, farne uso per l’irrigazione dei suoi terreni e per l’esercizio delle sue industrie [...]”. Il codice civile continua con il prevedere poi, all’art. 911, l’apertura di nuove sorgenti ed altre opere, nonché, all’art. 912, la conciliazione degli opposti interessi dei proprietari a cui un’acqua non pubblica possa essere utile. Gli art. 918-921 contengono inoltre disposizioni in ordine alla costituzione di consorzi per il migliore e più razionale sfruttamento delle acque. Per il loro funzionamento si applicano, in quanto compatibili, le norme della comunione, ove siano di natura volontaria (art. 920), e quelle dei consorzi di miglioramento fondiario, se coattivi (art. 921 e 863). Ulteriori disposizioni sono poi contenute agli art. 941-947 c.c., in tema di acquisti a titolo originario. E inoltre agli art. 1080-1099 c.c., con riferimento alle servitù di presa o di derivazioni di acqua e degli scoli e degli avanzi di acqua. E ancora, agli art. 1049-1050 c.c., in ordine alla somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo. 95 Acque pubbliche in Digesto Italiano, pag. 51 75 Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà. La distinzione tra pubblico e privato, viene mantenuta, in modo esiguo, facendo riferimento, all’art. 28, al criterio dell’uso effettivo96. La legge Galli esclude, come detto, la presenza, sia pur già residuale sotto l’egida del Testo Unico del 1933, di una qualsiasi categoria di acque private. Di abrogazione (implicita) dell’articolo 1 comma 1 del Testo Unico possiamo parlare, considerata la chiara incompatibilità con l’articolo 1 comma 1 della legge n. 36 del 1994. Invece difficile risulta accennare all’abrogazione delle norme contenute nel codice civile a causa della mancanza, proprio nella legge Galli, di una espressione previsione abrogativa. Non si fa infatti menzione alla parte del codice civile (libro III, titolo II, capo II, sezione IX, titolata “delle acque”) che si occupa specificamente di acque private, tramite gli articoli 909 e seguenti. Analizzando però i testi relativi ai lavori preparatori della legge Galli, sembrerebbe che tali disposizioni resterebbero valide sia pure in modo limitato. Infatti la legge esclude a priori la categoria delle acque private come disciplinate dal codice civile, ma non esclude le istanze del privato a proposito di acque superficiali e sotterranee. Si lascia cioè intatta la possibilità di “utilizzazione” di certi tipi di acque da parte dei privati anche al di fuori degli schemi concessori, con il dovuto rispetto dei principi e dei parametri indicati dalla legge. È il caso, già accennato, previsto dall’articolo 28 comma 3 che indica come “libera” la “raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici”; il quarto comma dello stesso articolo specifica poi che la raccolta del comma precedente non richiede licenza o concessione di derivazione di acque;la realizzazione dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali. 96 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, op. cit. 76 Il privato avrà, dunque, modo di utilizzare in piena libertà le acque sicuramente pubbliche, anche senza il tramite di un atto amministrativo di concessione, “nel rispetto del bilancio tra disponibilità delle risorse reperibili od attivabili nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, compatibilmente alle priorità individuate”. 97 Il legislatore compie un intervento diretto alla garanzia dello sfruttamento pieno delle risorse idriche: in assenza di più importanti esigenze di sfruttamento pubblicistico si consente l’uso dell’acqua senza provvedimenti di intermediazione da parte della Pubblica Amministrazione. Prima della vigente legge Galli si consentiva al privato la titolarità di diritti dominicali sulle acque, in specie su quella categoria di acque che non risultassero idonee ad utilizzi di pubblico e generale interesse e che fossero state inserite negli elenchi; il nuovo ordinamento, intervenuto in conseguenza della nuova legge, permette l’utilizzo, libero, di determinate categorie di acque, compatibilmente con le accresciute, ed espressamente menzionate esigenze di conservazione delle risorse idriche. Utilizzo libero nei casi espressamente determinati dalla legge. La creazione di una dimensione totalmente pubblica di sfruttamento delle risorse idriche, diretta per necessità, a fini generali e collettivi, non importa un cambiamento radicale per i soggetti fruitori del bene acqua, ma realizza una novità di carattere dogmatico: si privano i soggetti privati della titolarità di diritti reali sulle acque che, per la legislazione precedente, e nel residuo rispetto alla maggioranza, non rivestivano un immediato rilievo pubblico (ex lege, articolo 1 Testo Unico n. 1775 del 1933). Il privato resterà, eventualmente, titolare di un mero diritto di utilizzo di fatto a fronte di un bene ormai completamente pubblico (l’acqua), sempre sottoposto ad atto di autorizzazione, tranne che nei casi riferiti dall’articolo 28 commi 3 e 5, a proposito della raccolta delle “acque piovane” e dell’estrazione di “acque sotterranee” per usi domestici, sempre che questa utilizzazione non vada a contrastare con le esigenze della collettività e dei pubblici poteri e pur sempre nei limiti fissati dalla legge medesima (articolo 28 della legge n. 36, a proposito della raccolta delle acque piovane e degli usi domestici). Tali ipotesi pur 97 legge Galli articolo 28 77 marginali, sono espressamente consentite dall’ordinamento attuale. Tornando ora alla disamina del concetto di acque pubbliche, parte della dottrina, oltre alla tradizionale partizione dei beni pubblici in demaniali e patrimoniali (disponibili e non), con riferimento alla loro utilizzazione, distingue i beni pubblici in tre sottocategorie: beni riservati, beni a destinazione pubblica e beni collettivi98. Di tali categorie interessa la prima, in quanto è pacificamente ammessa l’inclusione delle acque pubbliche tra i beni riservati99. La riserva comporta che soggetti diversi da quello indicato dalla legge, sulla base di specifici requisiti legati di regola alla natura del bene, quale titolare e garante del bene, non possano acquistarne la proprietà100. Peraltro mentre ai sensi del testo unico sulle acque la riserva derivava dal controllo dei requisiti di idoneità al soddisfacimento del pubblico interesse, e da una valutazione della p.a. su di essi, invece l’introduzione della nuova normativa ad opera della legge n. 36 comporta che la riserva discenda direttamente dalla legge, senza che sia necessario procedere alla verifica della sussistenza di ulteriori requisiti101. La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è intervenuta in modo del tutto innovativo sul profilo della gestione del servizio idrico, ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Viene infatti definito per la prima volta il c.d. “servizio idrico integrato”, costituito “dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acque ad usi civili, di fognatura e depurazione di acque 98 Cfr. Cerulli Irelli V., voce Beni pubblici, in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, pag. 278 ss. 99 Cfr. Cerulli Irelli V., Beni pubblici, cit., pag. 283; e Caputi Jambrenghi V., voce Beni pubblici (uso dei), in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, pag. 304 ss. 100 La riserva peraltro non ha il fine, nei confronti dei beni che ne sono oggetto, di porre i pubblici poteri in una situazione di vantaggio rispetto ai singoli cittadini, quanto piuttosto di assicurare alla collettività godimento di tali beni attraverso il negare l’ammissibilità di singoli episodi di appropriazione. Vedi Lugaresi, cit., pag. 69; nonchè Cassese S., I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969, pag. 257 ss. 101 Sul punto, e sui delicati problemi in ordine al momento di inizio della demanialità, Lugaresi, cit., pag. 70 e ss. 78 reflue”102, realizzando una reductio ad unum dell’intero ciclo delle acque secondo criteri solidaristici e sostenibili dell’uso delle risorse idriche. Nell’articolo 1, comma 2, delle legge, si richiamano i diritti delle future generazioni all’utilizzazione di un patrimonio ambientale integro, salvaguardati da usi idrici finalizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. (art. 1 c.2) L'uso dell'acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano le qualità dell'acqua per il consumo umano. (art. 2 c.1) Eliminazione degli sprechi e salvaguardia del bene rappresentano il collante nell’unificazione della gestione e organizzazione del servizio, informato inoltre al principio di sussidiarietà, conferendo all’amministrazione centrale l’individuazione di linee programmatiche e delegando a regioni ed enti locali la definizione della normativa di dettaglio. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. (art.1 c.3) La legge Galli rappresenta il primo tentativo di conciliare la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità. La reductio ad unum dell’intero ciclo delle acque mira ad introdurre un sistema organizzativo accentrato e coordinato e per ciò stesso, almeno potenzialmente, più efficiente ed efficace103. Nella stessa visuale prospettica rientra anche la previsione degli ATO, ambiti territoriali 102 Legge 36/1994 articolo 4, comma 1, lettera f 103 De Nictolis R., Cameriero L., Le società pubbliche in house e miste, Giuffrè 2008 79 ottimali, quali elementi di accorpamento dei bacini idrografici relativi al territorio nazionale e, generalmente, coincidenti con una pluralità di comuni, associati in consorzio operanti a mezzo di convenzione e previo coordinamento dalla Provincia di riferimento, con funzioni di regolazione locale del servizio idrico, con il compito di definire il Piano d’Ambito, concernente l’individuazione degli obiettivi del servizio idrico integrato nonché la ricognizione ed il rafforzamento delle infrastrutture esistenti, la preparazione del piano finanziario conformemente alle finalità poste dalla legge e la determinazione delle tariffe. Gli ATO sono poi deputati ad individuare il soggetto gestore, nel rispetto del Piano d’Ambito, del servizio idrico integrato. La l. 36/94 prevede, preferibilmente, un solo gestore per ciascun ATO ma, al fine di salvaguardare le gestioni preesistenti, è inserita la deroga al principio di unitarietà della gestione, per cui c’è la possibilità che i comuni e le province gestiscano il servizio attraverso una pluralità di soggetti e di forme, dopo aver individuato un soggetto responsabile del coordinamento. La legge Galli inoltre prevede l’autoremunerazione della gestione, cioè la copertura dei costi con le tariffe: la riforma introdotta è finalizzata a favorire lo sviluppo dell’industria dei servizi idrici attraverso una gestione di tipo imprenditoriale che consenta di superare modelli ormai obsoleti e soprattutto di provvedere ai notevoli investimenti necessari per l’ammodernamento delle reti e del settore in genere e la presenza del privato, in questa prospettiva, deve rappresentare un “valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, auspicabilmente, degli utenti destinatari finali del servizio104”. Si inseriscono, in via immediata, nel quadro sopra delineato anche la legge quadro 18 maggio 1989, n. 183, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale del sottosuolo”; nonché, da ultimo, il d.p.c.m. 4 marzo 1996, “Disposizioni in materia di risorse idriche”, emanato in base a quanto disposto dall’art. 4 della l. 36/94. La l. 5 gennaio 1994, n. 36 si pone quindi nel solco di un’attività normativa volta a pianificare e, pertanto, a gestire nella maniera più ottimale le risorse idriche nazionali, intraprendendo in tal modo un tentativo di riorganizzazione unitaria 104 circolare del 6 dicembre 2004 del Ministero dell’Ambiente in materia di servizio idrico integrato citata in De Nictolis R., Cameriero L., Le società pubbliche in house e miste, Giuffrè 2008. 80 dei servizi idrici,105 che non si esaurisce solo nel territorio nazionale, ma che si coordina con altre iniziative del medesimo tenore, avviate in ambito comunitario ed internazionale. 3.4. L’affermazione della demanialità di tutte le acque nel d.lgs. 152/06 c.d. Testo Unico Ambientale I principi sanciti dalla Legge Galli vengono successivamente trasfusi nel c.d. Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo 152/06, nonché potenziati nel senso dell’affermazione della demanialità di tutte le acque, della subordinazione dell’utilizzazione delle stesse al principio dello sviluppo sostenibile e della “funzionalizzazione” della disciplina degli usi della risorsa alla razionalizzazione ed alla tutela106. I beni demaniali si caratterizzano, oltre che per la necessaria appartenenza allo Stato e ad enti pubblici territoriali, anche per la peculiarità del loro regime giuridico. I beni demaniali hanno la natura di res extra commercium, ossia di cose poste al di fuori della sfera dei rapporti patrimoniali privati. Di conseguenza, come stabilisce l’art. 823 c.c., “sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi”. Tale inalienabilità comporta che i beni demaniali non possono essere oggetto di negozi di diritto privato, diretti a trasferire la proprietà a persone diverse dallo Stato, o a costituire a favore delle medesime servitù o altri diritti reali. Il carattere di indisponibilità 105 De Nictolis R., Cameriero L., op. cit. 106 Decreto Legislativo 152/06, articolo 144 1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorche' non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato106. 2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso e' effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. 3. La disciplina degli usi delle acque e' finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. 4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità. 81 dei beni demaniali si presenta così intenso da comportarne una loro incommerciabilità assoluta, che determina una nullità radicale degli eventuali atti di disposizione che li concernono, per impossibilità giuridica dell’oggetto, come si ricava dall’esame coordinato dell’art. 823 e 1418 del codice civile107. E’ d’uopo soffermarsi sul dato significativo che, mentre la caratteristica costante che identifica il regime demaniale108 da una prospettiva privatistica è costituito dall’extracommercialità (art. 823 c.c.), il regime amministrativo, di contro, non è costante e la varietà dello stesso regime serve ad identificare un particolare significato della demanialità109 e conseguentemente la proprietà demaniale assume aspetti diversi, tant’è che si distingue quella in cui “si puntualizza e condensa un preciso interesse pubblico, esclusivo di ogni altro, e correlativo ad una funzione pubblica, anch’essa esclusiva, da quella nella quale la stessa funzione pubblica si realizza mediante la garanzia del miglior godimento della cosa da parte dei cittadini”110. Un generale regime amministrativo dei beni demaniali non è infatti configurabile, né tanto meno auspicabile, ma occorre far riferimento ai differenti regimi dettati per i diversi beni dalle leggi speciali. Due però sono gli elementi che permettono di considerare i beni demaniali ad uso collettivo, qui intesi come beni demaniali in senso stretto, come una categoria: da un lato il regime della riserva, e quindi della negazione del potere di escludere; dall’altro il particolare rapporto tra regime privatistico e regime amministrativo connotato dal dato che entrambi concorrono a garantire 107 In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16 dicembre 1997 108 Sul concetto di demanio cfr. Cassese, I beni pubblici, Circolazione e tutela, Milano, 1969; Cerulli Irelli V., Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, in Annuario A.I.P.D.A., 2003, Milano; Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963; Guicciardi E., Il demanio, Padova, 1934; Morbidelli G., Osservazioni sulla natura giuridica del canone di concessione di acque pubbliche, Nota a cass. sez. un. 20 gennaio 1970, n. 112; Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, 1897; Renna M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, Relazione al Convegno "I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno ed internazionale" Pisa, 20 dicembre 2007 109 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005 110 Pugliatti, La proprietà e le proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954 82 l’inappropriabilità del bene e l’accesso collettivo allo stesso. Questi due dati caratterizzanti i beni in questione, si scontrano però con un problema di distribuzione delle funzioni, fenomeno che consegue al moltiplicarsi dei soggetti che aspirano ad utilizzazioni economicamente vantaggiose del bene e che sono destinati ad aumentare con la privatizzazione del settore o di fasi dello stesso. La scelta dell’ordinamento di riconoscere a tutti il diritto al godimento del bene, implica prerogative quali il potere decisionale, i compiti di monitoraggio sugli usi, i compiti di manutenzione e tutto ciò che riguarda le funzioni dirette a garantire l’uso collettivo del bene111. Così come si definisce l’appartenenza pubblica del bene “appartenenza di protezione112”, allo stesso modo deve elaborarsi una nozione di organizzazione in capo ad un soggetto che escluda il rischio della non protezione dell’uso collettivo del bene: se un soggetto è maggiormente attrezzato per lo sfruttamento economico di un bene, ciò non garantisce affatto la tutela dell’utilità pubblica dello stesso. Se il mercato infatti è una istituzione alternativa113 e se un determinato soggetto è creato appositamente per perseguire fini di natura individuale, è probabilmente più opportuno che questi si occupi di raggiungere tali obiettivi entro i limiti posti dallo stesso mercato, senza che ciò comporti la considerazione della pubblica amministrazione come un soggetto incapace di scelte in linea con gli interessi comunitari. Il dato che caratterizza i beni demaniali è la carenza di legittimazione ad appropriarsi dei benefici della risorsa a titolo individuale, e ciò sia per i soggetti privati, sia per il soggetto pubblico e su questo dato fondante deve svilupparsi un’organizzazione di funzioni basata su una regolamentazione che conservi tale inappropriabilità. “Con la categoria giuridica della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità dei beni pubblici è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche non economiche. Ne scaturiscono poteri di regolazione e di polizia degli usi 111 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005 112 Gambaro, La proprietà, Milano, 1990 113 Olivi M., op.cit. 83 collettivi in capo all’ente pubblico114”. Ne consegue che il sistema così delineato sia quello che maggiormente consente la “compresenza di interessi dei singoli e generali ad un tempo nel regime concretamente applicabile a beni che si riconoscano significativi ed utili per l’intera comunità in dipendenza delle loro intrinseche caratteristiche strutturali stimate come idonee alla fruizione collettiva da parte del legislatore115”. 4. La “proprietà” dell’acqua strumento di tutela della risorsa Nel diritto antico si riscontrava la distinzione tra res in commercio e res extra commercium, con la quale si indicavano rispettivamente le cose che potevano o meno essere oggetto di scambio e di rapporti giuridici privati e patrimoniali.116 Tra le res extra commercium rientravano le res publicae, come cose che “servivano singolarmente a coloro che formavano parte del populus (mare litoraneo, lido, fonti, acque correnti)”.117 L’acqua “profluens”, cioè l’acqua corrente, si differenziava, in tale cornice, dal fiume in cui essa scorreva, in quanto “elemento essenzialmente labile” che per “sua stessa natura” era inappropriabile e costituiva appunto una res communis118. Con l’evoluzione della società industriale ed il conseguente crescente livello di utilizzazione delle res communis omnium è venuto in evidenza il dato della scarsità delle stesse e ciò ha comportato che alcune delle stesse venissero classificate dal diritto positivo con l’espressione “beni pubblici”119. In tale contesto demaniale rientrava l’acqua fluente bene-immobile, da considerarsi nella sua “massa perenne”, mentre poteva essere suscettibile di appropriazione 114 Caputi Jambrenghi V.,in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Police A. (a cura di), Giuffrè, 2008 115 Caputi Jambrenghi V., op.cit. 116 Gambino A.M., Beni extra mercato, Milano 2004 117 Besta E., I diritti sulle cose, Padova 1933 118 Scialoja V., Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma 1933 119 Gambino A.M., Beni extra mercato, Milano, 2004 84 privata, circoscritta e definita (in canali o serbatoi), il bene mobile-acqua derivata, da intendersi quest’ultima come entità “circoscritta in un determinato spazio”120. La possibilità teorica di una natura privata discendeva cioè dalla nozione giuridica dell’acqua fluente, bene destinato all’uso pubblico, che consentiva al privato l’uso personale e individuale rispetto a quelle modeste quantità appropriabili direttamente per occupazione121. L´attribuzione ex lege alla mano pubblica si è misurata con il postulato che l'acqua fosse un bene che, ove lasciato al libero incedere dei modelli circolatori dello ius privatum (i.e. del mercato), non fosse fruibile dal maggior numero dei consociati. Si è ritenuto che la riserva dell´attività produttiva e gestionale in "mano pubblica" ovvero il "monopolio naturale", avrebbe garantito equamente i bisogni vitali della collettività122 e che la scarsità e la preziosità dell’acqua fossero induttivamente gli elementi qualificanti della categoria dei c.d. beni “extra mercato”. La scarsità segna il limite alla disponibilità del bene; la preziosità ne indica la misura fruibile. 123 Secondo tale teoria le res extra mercatum sono fuori dal diritto pubblico ma neanche merce speciale; piuttosto, cosa scarsa e, quindi, preziosa, da preservare, non per l'accumulo, ma affinché ciascuno ne goda. Nella normativa italiana è con la legge Galli che emerge la volontà di coniugare la connotazione “sociale” del servizio idrico con la necessità di assicurarne una gestione di tipo imprenditoriale. Essa specifica qualcosa in più rispetto alla 120 Gambino A.M., op. cit. 121 Biondi B., I beni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1953 122 Gambino A.M., op. cit. 123 Gambino A.M., op. cit. . Secondo Gambino tali caratteri giustificano l’idoneità di tali beni ad avere una disciplina uniforme e derogatoria dal regime di circolazione ordinario. Ciò significa che la circolazione dei beni suscettibili di corrispondere ad interessi - vitali - dei consociati (qui sta la loro preziosità) segue sì modelli erogativi propri del diritto privato, ma la derivazione di questi beni da risorse limitate (qui sta la loro scarsità), implica una loro importanza strategica tale da consigliare al legislatore di disegnare forme circolatorie che disattendono gli schemi tipici del libero mercato; quest'ultimo, nella sua accezione di luogo dell'ordinario e regolare mercanteggiare, vi rimane estraneo. Pur essendo ovviamente possibile che il legislatore disattenda la percezione di una maggiore importanza (strategica) dei beni "vitali" per i bisogni dei consociati. E l'acqua, come bene universale, nella sua coloritura di "bene extra mercato", contempla una vicenda giuridica speciale ed autonoma. 85 disciplina precedente e semplifica le cose, sostenendo la pubblicità delle acque anche nel caso in cui le stesse vengano ancora a trovarsi nel sottosuolo. Una espressa dichiarazione di questo tipo diviene frutto di esigenze variate rispetto alle risultanze normative precedenti, dettate dalla notevole importanza acquisita delle falde acquifere, assieme alla constatazione della non inesauribilità delle riserve di acqua, nonostante il continuato rinnovo meteorico della risorsa acqua. 124 La “risorsa idrica” necessita di una tutela particolare. La pubblicità delle acque del sottosuolo non tocca l’ambito degli usi domestici delle stesse e non impedisce che i privati ne facciano un libero uso, una volta estratte, sempre che non sia compromesso il bilancio idrico complessivo. Attraverso la categoria giuridica della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità dei beni pubblici è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche non economiche. 125 La proprietà pubblica rafforza il legame tra una comunità ed un bene strategico.126 La demanializzazione dell’acqua e delle relative infrastrutture è posta a presidio di un valore fondamentale dell’uomo. Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha precisato che “L’acqua è un bene primario della vita dell’uomo” e, quindi “un diritto fondamentale dell’uomo e delle generazioni future”. 127 In tale contesto è chiara l’esigenza, a fronte della progressiva scarsità della risorsa, di una tutela integrata del diritto, che consideri l’intero ciclo delle acque. Il diritto positivo considera come oggetto della proprietà pubblica, oltre all’acqua, anche i mezzi e le infrastrutture, che permettono una utilizzazione razionale della stessa. Si è in presenza di una sorta di “proprietà integrata” o “demanio idrico integrato”. L’approdo ad una complessiva dimensione demaniale implica una precisa scelta di campo, in cui la logica del profitto e dell’interesse 125 Police A., I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano 2008 126 Police A., op.cit. 127 Corte Costituzionale, 19 luglio 1996 ,n. 259 86 individuale è subordinata alle esigenze di solidarietà.128 La legge 36/94 segue questa linea evidenziando l’essenziale rapporto sussistente tra l’uso razionale delle risorse idriche - tutela ambientale e la gestione dei pubblici servizi di acquedotto, fognatura e depurazione.129 In tale prospettiva si spiega come, il riconoscimento dell’acqua come un diritto fondamentale ed inviolabile dell’uomo, così come avvenuto con la risoluzione Onu del luglio 2010, ha importanza ed è utile in quanto il medesimo diritto si connota, in virtù di tale investitura ufficiale, dei caratteri propri di tutti i diritti inviolabili: assolutezza, inalienabilità, irrinunciabilità, indisponibilità, imprescrittibilità. 130 A rafforzare siffatta impostazione in dottrina si afferma inoltre che “l’onnipotenza del legislatore dovrebbe fermarsi davanti al dato naturale: se è la natura delle cose che determina la qualità pubblica del bene, di questo non può disporre il legislatore”131. La proprietà pubblica dunque rappresenta l’esito naturale di un processo di formalizzazione nell’ordinamento giuridico della situazione connessa all’acqua: è cioè la particolare natura del bene che necessariamente condiziona l’assetto organizzativo dei servizi inerenti lo stesso - e ciò diventa doveroso se il fine che si intende perseguire è quello di realizzare un sistema sostenibile in termini socio-economici ed ambientali. Dalle caratteristiche della risorsa è imprescindibile muovere nell’elaborazione di regole di utilizzazione, accesso e gestione dell’acqua. Il riconoscimento di un diritto di accesso all’acqua, o in generale, di un diritto all’acqua, pur nella sua rilevanza, parrebbe dunque, alla luce di quanto sopra, rappresentare un rafforzativo - di rilievo, certo - ma soltanto un rafforzativo, di una tutela giuridica che si attua innanzitutto attraverso lo strumento della pubblicità delle acque. Il vero ed effettivo riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia sembra essere già avvenuto 128 Bartolini A., Le acque tra beni pubblici e pubblici servizi, in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano 2008 129 130 Lovisetti M., op.cit. sul punto v. ad es. Cocozza F., Corso G., Le situazioni soggettive, in Amato G., Barbera A., Manuale di diritto pubblico, Bologna 1991 pag. 210. 131 Francario F., Privatizzazioni, dismissioni e destinazione “naturale” dei beni pubblici, in Annuario Aipda - 2003, Milano 87 con l’affermazione della pubblicità (rectius, demanialità) di tutte le acque, in una prospettiva di “proprietà integrata” come sopra specificato. Un riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto, rappresenta in tale prospettiva una mera enunciazione di principio priva di reale incisività. E la risoluzione dell’ Onu, al pari d’altronde di qualsiasi affermazione di principi universali, rappresenta il punto di arrivo di un processo culturale che nella sua cristallizzazione trova una conferma definitiva a livello formale. Ciò emerge dall’analisi del percorso attraverso il quale la tariffa idrica, per mezzo del servizio pubblico ad essa relativo, assurge a strumento filtro del “valore” effettivo del bene. La proprietà pubblica del bene unitamente ad un sistema tariffario specchio della scelta di “socialità” dell’ordinamento, realizza la sostanza di quello che potremmo chiamare “diritto di accesso” all’acqua. L’ufficializzazione di questa situazione di fatto, per il tramite di un riconoscimento espresso, aggiungerebbe un quid formale che, nel contempo si connota di un rilievo di natura sostanziale. Ed il substrato oggettivo a sua volta si cristallizza in un quadro formalmente definito. L’elemento di attualizzazione del legame sussistente tra l’acqua e la collettività dato oggettivo costituito da proprietà pubblica e tariffa equa - si stabilizza cioè nella cornice ufficiale del riconoscimento espresso del diritto. Ma vedremo più avanti anche come il riconoscimento di un diritto, addirittura ove si prescinda da una sua effettività, abbia un suo specifico ruolo che si aggiunge al corollario di tutele realizzato dagli elementi oggettivi di concretizzazione della relativa situazione giuridica. Un ruolo che consente all’interprete di compiere un passo ulteriore nell’indagine in corso: quello di verificare i limiti che il sistema attuale di “diritto delle acque” italiano incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di cercare soluzioni al di fuori delle tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato. 88 Capitolo terzo Segue. Il diritto all’acqua e la “gestione” della risorsa: il servizio idrico come filtro di “valore” della risorsa acqua 1. Premessa Di un implicito riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia sembra dunque finora potersi parlare nei termini dell’affermazione della pubblicità di tutte le acque, in una prospettiva di “proprietà integrata” come precedentemente specificato. Si è detto inoltre che un riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto, rappresenta una mera enunciazione di principio priva di reale incisività. Ciò non esclude però che ci si debba interrogare sull’utilità e/o necessità di una enunciazione formale, nella linea tracciata dalla Risoluzione del 29 luglio, a maggior ragione laddove un substrato oggettivo forte esiste. Torniamo dunque a chiederci cosa cambia in un ordinamento, nazionale o sovraordinato, attraverso l’affermazione ufficiale che esiste un diritto di accedere all’acqua. Innanzitutto va considerato l’ambito normativo in cui una siffatta affermazione è inserita. Differente è infatti il peso di una previsione costituzionale rispetto ad una legge ordinaria. Ma anche laddove esiste un riconoscimento costituzionale del diritto, come in Sudafrica non è necessariamente consequenziale la garanzia concreta dello stesso. La sezione 27 della Costituzione del Sudafrica stabilisce che “everyone has the right to sufficient water”. Ognuno ha dunque il diritto a sufficiente acqua. Nella sentenza della Corte Costituzionale sudafricana dell’8 ottobre 2009, Mazibuko v. City of Johannesburg (il c.d. “Phiri case”), si afferma però che non esiste un obbligo costituzionale di stabilire uno specifico ammontare di acqua gratuita. Oggetto dell’esame della Corte era la vicenda dell’installazione di contatori idrici prepagati per i consumi idrici superiori ai 6 kilolitri di acqua al mese per famiglia (corrispondenti a 25 litri di acqua al giorno per persona), finalizzata alla riduzione delle perdite. Le precedenti pronunce di primo grado e della Corte 89 d’Appello, in linea con la precedente giurisprudenza132, consideravano l’introduzioni di simili strumenti contraria al dettato costituzionale ed inoltre indicavano rispettivamente, in 50 e 42 litri al giorno per persona, il quantitativo base di acqua rispondente al diritto. La Corte Costituzionale invece affermava come la previsione del diritto non implica la fornitura di un minimo quantitativo di acqua cui lo Stato è obbligato; il dettato costituzionale deve essere interpretato nel senso di un dovere alla progressiva realizzazione del diritto attraverso ragionevoli strumenti legislativi e per mezzo di successive revisioni. E la scelta della città di Johannesburg di fornire acqua gratuita pari a 25 litri al giorno per persona appare ragionevole ed in linea con la Costituzione. 133 Il problema che si pone per il futuro è come la Corte risponderà di fronte a richieste di dimostrazione da parte dello Stato che esso ha adottato le misure legislative e gli strumenti necessari, entro la propria disponibilità di risorse, per raggiungere la progressiva realizzazione del diritto. 134 Quanto affermato dalla Corte Costituzionale Sudafricana dell’ottobre 2009 esprime un concetto analogo a quello contenuto nella successiva caratterizzazione del diritto all’acqua introdotta nella risoluzione Onu del 30 settembre 2010. La risoluzione infatti non fa riferimento ad un minimo quantitativo gratuito di acqua per persona, bensì richiama gli Stati a realizzare il diritto affermato attraverso strumenti e meccanismi che consentano l’accesso di tutti all’acqua e ai servizi igienici. Quanto sopra porta inevitabilmente a riflettere su come all’affermazione dell’esistenza di un diritto, anche a livello costituzionale, non consegua automaticamente la garanzia della concretizzazione del diritto stesso o meglio, un rispondente substrato oggettivo. 132 Soobramoney (1998),Grootboom (2001), Treatment Action Campaign (TAC) (2002), Modderklip (2005) e Olivia Road (2008). 133 Sul punto: Danchin P., A human right to water? The South African Constitutional Court’s Decision in the Mazibuko Case, in Journal of Law and Religion, the Jale Journal of International Law, Harvard International Law Journal. 134 vd. nota 127 90 Torniamo dunque al nostro interrogativo iniziale: perché e come allora rendere una “cosa” oggetto di una data situazione giuridica può avere un rilievo autonomo a prescindere dalla sua effettività? Nel tentare di trovare una risposta, un passo obbligato, successivo all’analisi del profilo proprietario dell’acqua, consiste ora, come anticipato, nel volgere l’attenzione al mezzo di cui l’ordinamento si è servito per veicolare il diritto - o presunto tale - direttamente alla collettività: il servizio idrico. 2. Evoluzione storica delle forme di gestione dell’acqua in Italia La caratteristica primaria dell’acqua, che è tra l’altro tipica di tutti i beni ad uso collettivo, è dunque “la carenza di legittimazione ad appropriarsi dei benefici della risorsa a titolo individuale, cioè in modo da escludere chiunque altro (si dice anche a titolo esclusivo), e vale tanto nei confronti di soggetti privati, quanto nei confronti del soggetto pubblico”135. Le forme organizzative della gestione del servizio di distribuzione della risorsa debbono pertanto muovere dal presupposto della carenza di esclusività nella fruizione dei benefici della stessa. Di nuovo ci accompagna la scelta di compiere un preliminare excursus di matrice storico - giuridica delle forme di gestione del servizio idrico in Italia. Essa nasce dall’esigenza di individuare i confini ed i conseguenti limiti dell’attuale sistema. E ciò soprattutto alla luce delle esigenze di rinnovamento che hanno dato origine alla riforma dei servizi pubblici locali ed alla conseguente reazione popolare che è sfociata nel referendum abrogativo che ha cancellato le disposizioni precedentemente introdotte dalla legge di riforma. a. Dalla Legge Giolitti 103/1903 al decreto legislativo 267/00: stabilità delle gestioni pubbliche La prima normativa in materia di servizi pubblici136 risale alla legge l.103/1903, successivamente modificata dal R.D.3074/1923 e dal R.D.2578/1925. 135 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005 136 in materia di servizio pubblico vedi: R. Alessi, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Milano, 1956, 37 ss.; F. Benvenuti, Evoluzione dello Stato moderno, in Jus, 1959; G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968,; G. Caia, Funzione pubblica e 91 “La legge poneva un freno alla tendenza in atto, da parte dei Comuni, a concedere gli impianti e l'esercizio di questi servizi a imprenditori privati, per sottrarsi agli investimenti notevoli, e difficilmente sopportabili dalle finanze comunali, che servizio pubblico, in AA.VV., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 1998; M. Cammelli, I servizi pubblici nell’amministrazione locale, in Le regioni, 1992, 3;F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.; ID., Corso di diritto amministrativo, 1911-14, Padova; S. Cattaneo, Servizi pubblici, in Enc. dir., Milano, 1990, ad vocem; R. Cavallo Perin, I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno e ordinamento europea, in Dir. amm., 2000; S.Cassese, Stato e mercato dopo privatizzazioni e deregulation, in Riv. trim, dir. pub., 1991; S.Cassese, La retorica del servizio universale, in Telecomunicazioni e servizio universale, a cura di S. Frova, Milano, 1999; ID., La crisi del servizio pubblico, in Radiodiffus. e inform., 1999; V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997; G. Corso, La gestione dei servizi locali tra pubblico e privato, in AA.VV. Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, 24 ss.; A. De Valles, in I servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo diretto da V.E. Orlando, Milano, 1930, vol. VI; E. Guicciardi, Concetti tradizionali e priincipi ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, II; ID., La giustizia amministrativa, Padova, 1957, III ed; G. Miele, Pubblica funzione e servizio pubblico, in Arch. giur., 1933; ID., Servizio pubblico, in Enc. it. Treccani, Roma, 1936; F. Merusi, voce Servizio pubblico, in Nov.ssimo Digesto Italiano, XVII, Torino, 1976, 217 ; F.Merusi, La nuova disciplina dei servizi pubblici, in Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti d’utenza, Padova, 2001; ID., Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005; M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966; V. E. Orlando, Introduzione al Primo trattato di diritto amministrativo, Milano, I, 1901; A. Pioggia, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio, in Quaderni del pluralismo, 1998, 175 ss.; U. Pototschnig, I pubblici servizi, Milano, 1964; O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; N.Rangone, I pubblici servizi, Bologna, 1999; A.Romano, Amministrazione, legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. ammin., 1999; ID., Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Il diritto amministrativo degli anni ’80, Milano, 1987; G. Rossi, Pubblico e privato nell’economia di fine secolo, in AA. VV. Le trasformazioni del diritto amministrativo, Milano, 1995, 223; F. Salvia, Il servizio pubblico, una particolare conformazione dell’impresa, in Dir. pubbl., 2000; A. M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano, 1959; ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1988; Santi Romano, Principi di diritto amministrativo, Milano, 1919; ID, Il diritto pubblico italiano, Milano, 1914; D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. Pubbl., 1999; E. Scotti, Il pubblico servizio, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003; R. Villata, Pubblici servizi, Milano, 2003; G. Zanobini, L’esercizio privato di funzioni e servizi pubblici, in Trattato Orlando, 1935, II; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958 92 l’erogazione dei servizi pubblici richiedeva soprattutto nelle grandi città”. 137La legge 103/1903 è poi confluita poi nel T.U. n. 2578 del 1925 che è rimasto in vigore fino al 1990. Ha introdotto cioè le c.d. aziende municipalizzate: la gestione diretta di servizi di primaria necessità come alternativa alla concessione all'industria privata. Essa ha elencato una lunga serie di servizi che i consigli comunali potevano deliberare di “municipalizzare”, ossia di assumere tra i compiti facoltativi del proprio ente, stabilendo poi se amministrarli in via diretta o darli in concessione a privati o ancora gestirli attraverso aziende speciali, prive di personalità giuridica autonoma, ma dotate di ampia autonomia amministrativa.138 In quanto servizio pubblico locale, il servizio idrico è stato ovviamente coinvolto dalle riforme che hanno riguardato i servizi pubblici locali nel loro complesso. La Legge Galli però, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è intervenuta in modo innovativo anche in tema di gestione del servizio, ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Essa ha definito per la prima volta il c.d. “servizio idrico integrato”, costituito “dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acque ad usi civili, di fognatura e depurazione di acque reflue” , realizzando una reductio ad unum dell’intero ciclo delle acque secondo criteri solidaristici e sostenibili dell’uso delle risorse idriche. Nell’articolo 1, comma 2, delle legge, si richiamavano i diritti delle future generazioni all’utilizzazione di un patrimonio ambientale integro, salvaguardati da usi idrici finalizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse. Eliminazione degli sprechi e salvaguardia del bene rappresentavano il collante nell’unificazione della gestione e organizzazione del servizio, informato inoltre al principio di sussidiarietà, conferendo all’amministrazione centrale l’individuazione di linee programmatiche e delegando a regioni ed enti locali la definizione della 137 Sandulli M.A., Affidamento e gestione dei servizi pubblici locali alla luce del regolamento attuativo - Il Servizio Idrico Integrato, Milano, 9 Febbraio 2011 138 vedi nota precedente 93 normativa di dettaglio. La legge Galli ha costituito il primo tentativo di conciliare la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità. La reductio ad unum dell’intero ciclo delle acque mirava ad introdurre un sistema organizzativo accentrato e coordinato e per ciò stesso, almeno potenzialmente, più efficiente ed efficace. Nella stessa visuale prospettica rientrava anche la previsione degli ATO, ambiti territoriali ottimali, quali elementi di accorpamento dei bacini idrografici relativi al territorio nazionale e, generalmente, coincidenti con una pluralità di comuni, associati in consorzio operanti a mezzo di convenzione e previo coordinamento dalla Provincia di riferimento, con funzioni di regolazione locale del servizio idrico, con il compito di definire il Piano d’Ambito, concernente l’individuazione degli obiettivi del servizio idrico integrato nonché la ricognizione ed il rafforzamento delle infrastrutture esistenti, la preparazione del piano finanziario conformemente alle finalità poste dalla legge e la determinazione delle tariffe. Gli ATO vengono poi deputati ad individuare il soggetto gestore, nel rispetto del Piano d’Ambito, del servizio idrico integrato. La L. 36/94 prevedeva, preferibilmente, un solo gestore per ciascun ATO ma, al fine di salvaguardare le gestioni preesistenti, è inserita la deroga al principio di unitarietà della gestione, per cui c’è la possibilità che i comuni e le province gestiscano il servizio attraverso una pluralità di soggetti e di forme, dopo aver individuato un soggetto responsabile del coordinamento. La Legge Galli inoltre prevedeva l’autoremunerazione della gestione, cioè la copertura dei costi con le tariffe: la riforma introdotta era finalizzata a favorire lo sviluppo dell’industria dei servizi idrici attraverso una gestione di tipo imprenditoriale che consenta di superare modelli ormai obsoleti e soprattutto di provvedere ai notevoli investimenti necessari per l’ammodernamento delle reti e del settore in genere e la presenza del privato, in questa prospettiva, doveva rappresentare un valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, auspicabilmente, degli utenti destinatari finali del servizio . In tema di modalità di affidamento del servizio idrico, la legge Galli rinviava comunque all’art. 22 L.142/90 come integrato dall’art. 12 L. 498/92 e succ. 94 modifiche ed integrazioni, che ha costituito la normativa di riferimento per la gestione dei servizi pubblici locali dopo la legge Giolitti 103/1903. In base all’art. 22 L.142/90 i servizi pubblici locali potevano essere gestiti a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non fosse opportuno costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando sussistessero ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora fosse opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati. L’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, recante "Interventi urgenti in materia di finanza pubblica”, prevedeva che le province e i comuni potessero, per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonché per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, costituire apposite società per azioni, senza il vincolo della proprietà maggioritaria di cui al comma 3, lettera e), dell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Gli enti interessati provvedevano alla scelta dei soci privati e all'eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica. Sostanzialmente dalla legge Giolitti 103/1903 fino all’emanazione del decreto legislativo 267/00 la gestione del servizio idrico si caratterizzava per una tendenziale stabilità delle gestioni pubbliche. b. cambiamento di tendenza e apertura al mercato: dal 2000 al 2008 In seguito, ai sensi dell’articolo 113 del decreto legislativo 267/00 (che nella sua versione originaria compatta la 142/90 e la 498/92), cd. Testo Unico sugli enti locali, i servizi pubblici locali venivano gestiti nelle seguenti forme: in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non fosse opportuno costituire una istituzione o una azienda; in concessione a terzi, quando sussistessero ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale ; a 95 mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale; a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora fosse opportuna, in relazione alla natura o all' ambito territoriale del servizio, la partecipazione di più soggetti pubblici o privati; a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria a norma dell'articolo 116. I modelli gestionali concretamente utilizzabili risultavano quindi essere principalmente l’azienda speciale, la concessione a terzi e la società mista. Successivamente l’art. 35 della Legge Finanziaria 448/2002 ha ridisegnato le forme di gestione dei servizi pubblici locali modificando l’art.113 del t.u. 267/00, poi abrogato, al comma 5, dal d.l. 269/03 (convertito in L. 326/03), che ha uniformato le modalità di gestione dei servizi pubblici locali. Il nuovo art. 113 t.u.e.l. prevedeva espressamente la forma dell’affidamento diretto a società a totale partecipazione pubblica, a condizione che “gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllavano”. La Legge Finanziaria 448/2002 ha poi introdotto la distinzione tra servizi pubblici locali <<di rilevanza industriale>> e <<privi di rilevanza industriale>> e ha sancito, in materia di reti e servizi, il principio di separazione della proprietà e dei regimi. Quanto invece alla gestione dei servizi veniva scelto, quale modello organizzativo esclusivo, quello dell’affidamento in gara a società di capitali, corredato dal principio della gara per l’affidamento del servizio, dal contratto di servizio come strumento di regolazione ed infine dall’inibizione dell’attività extraterritoriale dei gestori affidatari diretti. Nel 2003, per mezzo del d.l. 269 e della legge 350, gli articoli 112 e seguenti del TUEL hanno subito di nuovo notevoli modifiche. Quanto infatti alla gestione del servizio pubblico locale è stata introdotta una pluralità di modelli organizzativi, quali: l’affidamento in gara a società di capitali, ribadendo il principio della gara per l’affidamento del servizio; la gestione diretta attraverso il c.d. in house providing ed infine la società mista. Il d.l. 269/03 ha eliminato il riferimento ai servizi pubblici di rilevanza industriale ed ha utilizzato il solo 96 termine servizi pubblici a rilevanza economica, confermando la distinzione tra rete e servizio e specificando infine altre due modalità di affidamento dello stesso: la gestione diretta con l’affidamento c.d. in house e quella attraverso società mista con preventivo espletamento della gara per l’individuazione del socio privato. Risulta evidente l’inversione di tendenza rispetto alla previsione dell’art. 35, comma 5 della Legge Finanziaria 448/2002, relativa, nello specifico, all’imposizione alle società a capitale pubblico dirette affidatarie del servizio di aprirsi al mercato e ai privati entro due anni dalla stessa, a pena della perdita dell’affidamento. In direzione opposta muovevano invece le due circolari del 6 dicembre 2004 in materia di servizio idrico integrato con cui il Ministero dell’Ambiente139 rispettivamente, nella prima, dal titolo “Affidamento del servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato, ha affermato il carattere residuale dell’affidamento diretto del servizio a società a totale capitale pubblico, da ritenersi residuale e sussidiario rispetto ai modelli tradizionali di gestione, e nella seconda, titolata “Affidamento in house del servizio idrico integrato”, ha specificato i requisiti tecnici, gestionali e finanziari che devono essere in possesso del socio privato nel caso di affidamento del servizio a società miste pubblico-private. La partecipazione del privato non doveva essere minimale, in linea con la considerazione dello stesso come “valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, degli utenti destinatari finali del servizio”. Ciò che emerge da una analisi della disciplina del pubblico servizio, come proiezione diretta dell’applicazione dei principi comunitari, “è la più netta scissione dei ruoli pubblico e privato (il primo di controllo e il secondo di gestione) e l’esaltazione della funzione regolatoria dell’amministrazione intesa a garantire la più efficiente soddisfazione del bisogno pubblico attraverso la tutela, la promozione o la simulazione di un ambiente concorrenziale o attraverso 139 Nella GU- Serie Generale, n. 291 del 13 dicembre 2004, sono state pubblicate due Circolari a firma del Ministro Matteoli: la prima, dal titolo “Affidamento del servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato”; la seconda, titolata “Affidamento in house del servizio idrico integrato”. 97 <<sussidiarie>> misure di regolazione sociale, consistenti in limiti posti in vista di beni d’interesse generale (quali la tutela dei consumatori o dell’ambiente)”.140 Tuttavia, pur nel riconoscimento dell’importanza di una simile evoluzione, si ritiene che il ruolo dell’amministrazione nei servizi pubblici non possa essere mutato fino al punto di coincidere con la funzione di controllo e di regolazione.141 La prospettiva della regolazione142 potrebbe essere intesa in una accezione più ampia, comprensiva della regolazione sociale, tradotta in misure finalistiche e non soltanto condizionali, accanto alla regolazione economica.143 Successivamente nel 2008, con l’articolo 23 bis d.l. 112, si stabiliva che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avvenisse, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società, in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità. Si facevano salve però, in deroga alle modalità di affidamento ordinario, le situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato: in questo caso l’affidamento poteva avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria. Le finalità con cui il primo comma dell’articolo 23 140 Scotti E., Il servizio pubblico, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003 141 Scotti E., op. cit. 142 sul tema della regolazione vedi: Cassese S., La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità in Italia, L’industria, 1992; ID, Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici, in Rass. giur. en. el., 1998 pag. 233; ID., La nuova costituzione economica, Bari, 1999; De Lucia L., La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Giappichelli, 2002; Frego Luppi S.A., L’amministrazione regolatrice, Torino, 1999; Greco N., Costituzione e regolazione: interessi, norme e regole sullo sfruttamento delle risorse naturali , Bologna, Il mulino ; Roma , Arel, 2007; Marone E., La Spina A, Lo Stato regolatore, Riv. Trim. scienze amm., 1991, n.3; Renna M.,La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, Giuffrè, 2004; Rubini, Regolamentazione dei servizi pubblici: modelli teorici, in iter legis., 1993. 143 così Cassese S., La retorica del servizio universale, in Telecomunicazioni e servizio universale, a cura di Frova S., 1999 98 bis giustificava i cambiamenti introdotti in materia di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, erano riconducibile alla necessità, in applicazione della disciplina comunitaria, “di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni [...] si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”144. Successivamente l’articolo 15145 della legge 20 144 Decreto Legislativo 112/2008, articolo 23 bis, comma 1 145 ai sensi dell’articolo 15 della legge 20 novembre 166/2009 a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta ‘‘in house’’ cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2 ; b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano 99 novembre 166/2009 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (09G0180)", ha introdotto una vera e propria privatizzazione dei servizi pubblici locali prevedendo che tutte le gestione in house e gli affidamenti a società miste con partecipazione minoritaria del socio privato cessassero progressivamente e definitivamente, privilegiando quale forma esclusiva di gestione quella che vede il ruolo prevalente o esclusivo del privato nell’erogazione del servizio. Al comma 1 si stabiliva infatti che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avvenisse, in via ordinaria: a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità) e/o a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (nel rispetto dei principi predetti) le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifi ci compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. Il comma 1 ter sempre dell’articolo 15 prevedeva infine che: “Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015 e) le gestioni affi date che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. 100 pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio”. c. Tendenziale privatizzazione del servizio idrico (L.166/09) Fino al 10 settembre 2009 la gestione del servizio idrico integrato in Italia viene dunque disciplinata dall’ articolo 23bis della Legge 133/2008 che prevede, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori o società mediante il ricorso a gara. L’articolo enunciato resta invariato nella formulazione dei principi elencati ma subisce delle modifiche ad opera dell’articolo 15 della Legge di conversione 166/2009 in merito appunto al conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica: in sintesi alla luce del nuovo testo è possibile individuare tre modelli di gestione dei servizi pubblici locali, due ordinari e uno straordinario: a. concorrenziale aperto a soggetti pubblici e privati ; b. concorrenziale aperto a soggetti misti pubblico-privato, che è preceduta da una gara tra privati; c. non-concorrenziale fondato sull’affidamento diretto senza gara ad una società di capitali pubblica. Al comma 3 dell’articolo 15 è prevista la c.d. deroga “in house” per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato. In questo caso infatti l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. L'ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta di affidare “in house” il servizio, motivandola in base ad un'analisi del mercato, e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all‘AGCM per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla 101 ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole (silenzio assenso); l'AGCM, in forza dell'autonomia organizzativa e funzionale attribuita dalla L. 287/90, individua, con propria delibera, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere. Al di fuori di questa specifica previsione, gli affidamenti a società “in house”, in assenza di adeguata pubblicità, analisi di mercato e relativa relazione, nonché parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cessano improrogabilmente al 31.12.2011 ovvero alla scadenza del contratto di servizio a condizione che entro il 31.12.2011 le amministrazioni cedano almeno il 40% del capitale attraverso le modalità di cui all’art. 15, comma 2, lett. b; gli affidamenti a società miste pubblico-private, con socio privato non selezionato secondo il comma 2, lett. b, art. 15, cessano improrogabilmente al 31.12.2011; gli affidamenti a società miste il cui socio non sia scelto con gara e gli affidamenti in house non conformi ai principi comunitari, cessano improrogabilmente al 31.12.2010. Il dato saliente che si evince dalla lettura della previsione normativa in materia di gestione in house, analogo a quanto risulta da una considerazione complessiva dello stravolgimento attuato della configurazione della società mista, risulta caratterizzato dalla volontà del legislatore di ridurre notevolmente il ruolo e la presenza delle gestioni pubbliche dell’acqua, attraverso l’introduzione di forti limiti, sia di carattere sostanziale, sia sul piano della forma che la stessa società deve assumere. 146 Gli affidamenti a società miste pubblico-private di cui all’art. 15, comma 2, lett. b, e quelli a società “in house” coerenti con la nuova disciplina, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; gli affidamenti diretti a società 146 sul tema vedi Lucarelli A., I modelli di gestione dei servizi pubblici locali dopo il decreto Ronchi. Verso un governo pubblico partecipato dei beni comuni, in Analisi giuridica dell'economia, 2010, fasc. 1, pagg. 127-141; vedi anche Scognamiglio A., Concorrenza e coordinazione delle tutele nel diritto antitrust, La Regione, 2009 102 quotate in borsa al 01.10.2003 ed a quelle da esse controllate (ex art. 2359 c.c.) cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica, ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40% entro il 30.06.2013, e ad una quota non superiore al 30% entro il 31.12.2015; ove dette condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente, rispettivamente, alla data del 30.06.2013 e del 31.12.2015. Le società (le loro controllanti e controllate da una medesima controllante), anche non appartenenti a Stati della U.E., che, in Italia o all’estero, che gestiscono - di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero di un partenariato pubblico-privato, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto in questione non si applica però alle società quotate in mercati regolamentati e al socio privato di una società mista, selezionato all’esito di una gara di cui al comma 2, lett. b), art. 15. L’articolo 15 delle Legge 166/09 lascia invariato l’articolo 23 bis comma 5, in cui si afferma che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati e, con il comma 1-ter, prevede che “tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo 23 -bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio”. 103 d. nodi problematici dell’art. 15 della legge 20 novembre n.166 del 2009 e referendum abrogativo La legge 166/2009 ha fortemente incentivato il ricorso ad imprese private e ridotto di molto la possibilità di utilizzare aziende pubbliche in house, prevedendo la scadenza anticipata al 2011 dell’attività delle stesse in materia e subordinando nuovi affidamenti in house a norme molto rigide. Va tuttavia ricordato come, sempre secondo il c.d. decreto Ronchi, la gestione pubblica dell’acqua avrebbe potuto essere garantita sia da parte di una azienda interamente pubblica che partecipasse ad una gara e vincesse, sia attraverso la costituzione di una spa mista a maggioranza pubblica. In materia è intervenuta anche la Corte Costituzionale con l’importante ed articolata sentenza 325/10 in cui essa ha affermato il carattere “tendenzialmente” economico del servizio idrico.147 Si legge infatti che 147 Sette sono i nuclei tematici affrontati nella pronuncia della Corte. Il primo concerne la ricostruzione del rapporto tra la disciplina dei SPL ricavabile dall’ordinamento dell’Unione europea e dalla Carta europea del dell’autonomia locale e quella dettata con le disposizioni censurate. Il secondo nucleo tematico attiene all’individuazione della sfera di competenza in cui rientra, secondo il dettato costituzionale, la normativa denunciata. Il terzo nucleo tematico entra in questione qualora si riconosca la sussistenza della competenza esclusiva statale per la tutela della concorrenza e riguarda l'eventuale violazione del principio di ragionevolezza. Il quarto nucleo tematico attiene alla individuazione della competenza regionale o statale nella determinazione della rilevanza economica dei SPL. Il quinto nucleo concerne la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi; il sesto riguarda l'affermazione della diversità di disciplina fra il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali ed infine il settimo nucleo tematico attiene infine alla presunta violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali. Con riferimento, allo specifico settore del servizio idrico integrato, la Corte ha stabilito che “la normativa riguardante l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito e alla determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap (art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006) attiene all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), materie che hanno prevalenza su eventuali competenze regionali, che ne risultano così corrispondentemente limitate. Ciò in quanto tale disciplina, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed è quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato stesso (sentenze n. 142 e n. 104 “I commi 3, 4 e 4-bis, dell’art. 23-bis, possono essere interpretati soltanto nel senso che i servizi pubblici locali non cessano di avere «rilevanza economica» per il solo fatto che sia formulabile una prognosi di inefficacia o inutilità del semplice ricorso al mercato, con riferimento agli obiettivi pubblici perseguiti dall’ente locale. Evidentemente, anche per il legislatore nazionale, come per quello comunitario, la rilevanza economica sussiste pure quando, per superare le particolari difficoltà del contesto territoriale di riferimento e garantire prestazioni di qualità anche ad una platea di utenti in qualche modo svantaggiati, non sia sufficiente l’automaticità del mercato, ma sia necessario un pubblico intervento o finanziamento compensativo degli obblighi di servizio pubblico posti a carico del gestore, sempre che sia concretamente possibile creare un «mercato a monte», e cioè un mercato «in cui le imprese contrattano con le autorità pubbliche la fornitura di questi servizi» agli utenti (cosí – si è visto al punto 6.1. – si esprime la Commissione europea nel citato Libro verde al punto 44)”. e che “Dall’evidenziata portata oggettiva delle nozioni in esame e dalla indicata sufficienza di un mercato solo potenziale consegue l’erroneità delle interpretazioni volte a dare alle medesime nozioni un carattere meramente soggettivo e, in particolare, di quell’interpretazione – fatta propria da alcune ricorrenti – secondo cui si avrebbe rilevanza economica solo alla duplice condizione che un mercato del servizio sussista effettivamente e che l’ente locale decida a sua discrezione di finanziare il servizio con gli utili ricavati dall’esercizio di impresa in quel mercato”. 29 del 2010; n. 246 del 2009). Nella citata sentenza n. 246 del 2009 è stato ulteriormente precisato che la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso, disciplinate dall’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, sono da ricondurre alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, trattandosi di regole «dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima». In conclusione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica − ivi compreso il servizio idrico – ineriscono essenzialmente alla materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.”. 105 La reazione della collettività alla riforma è stata decisa ed ha condotto alla abrogazione in sede di referendum, dell’articolo 23 bis e del sistema da esso delineato. Più precisamente, i quesiti oggetto della raccolta firme erano tre148: 1. abrogazione dell’art. 23 bis (12 commi) della l. n. 133 del 2008 relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, così come modificato dall’art. 15 della legge di conversione n. 166 del 2009; 2. abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), relativo alla scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato; 3. abrogazione dell’art. 154 del d. lgs. n. 152 del 2006, limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale investito. Dal punto di vista normativo, all’abrogazione totale dell’art.23-bis contenuto nel c.d. decreto Ronchi, come esplicitato nella sentenza della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti (sent. n.24/2011), non è conseguita la «reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo». Questo significa che non si possono più riproporre almeno per l’immediato futuro norme identiche a quelle contenute nel 148 Primo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europee” convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166?» Secondo quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008 Terzo quesito: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?» 106 testo abrogato dal referendum. Alla cancellazione della norma in questione, inoltre, sempre secondo quanto dichiarato il 12 gennaio scorso dalla Consulta, segue «l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica».149 La normativa comunitaria, quindi, è da ritenersi applicata finché il Parlamento non legifererà nuovamente in materia con una legge che tenga conto sia del risultato referendario sia delle disposizioni europee. E’ bene però precisare come l’applicazione dei principi comunitari implichi in Italia la vigenza di un regime sostanzialmente analogo a quello delineato dalle norme abrogate dall’articolo 23 bis nonostante tali norme non rivivano formalmente. E quindi l’alternativa tra affidamento in gara, a società mista con socio scelto in gara, in house providing. L’excursus svolto sull’evoluzione delle forme gestorie del servizio idrico italiano, dalle origini al referendum del giugno 2011, evidenzia come il tema della gestione risulta essere da sempre punto di convergenza di molteplici interessi, in quanto strumento per mezzo del quale, da un lato, la pubblicità delle acque e la funzione ad essa connessa possono assumere una valenza concreta in termini di sostenibilità idrica, intesa globalmente nelle sue tre accezioni - sociale, economico ed ambientale - oppure, al contrario, le stesse possono essere vanificate da un tipo di organizzazione del servizio che funzionalmente non risponde allo scopo di garantire un uso dell’acqua compatibile con criteri di equità sociale e salvaguardia della risorsa. Muovendo perciò da tale premessa occorre ora interrogarci se e come, il servizio idrico, come servizio pubblico, soddisfi o, in prospettiva, possa soddisfare, i bisogni e l’utile della collettività e condurre al miglioramento dei rapporti sociali, intesi nell’accezione di ambiti di azione dello Stato preordinati al vantaggio dei cittadini tutti. E questo sempre seguendo l’intento originario del presente lavoro, che si ricorda di nuovo essere quello di verificare i limiti che il sistema attuale di “diritto delle acque” italiano incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di cercare soluzioni al di fuori delle tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato. 149 Per un approfondimento sul tema del servizio pubblico europeo vedi Scotti E., Il pubblico servizio, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003 107 3. Il “valore” della risorsa acqua nel servizio idrico Ai fini della nostra analisi sul ruolo e i limiti del servizio idrico come filtro di “valore” della risorsa acqua verso la collettività dei consociati, riteniamo fondamentale dapprima fare una premessa sul procedimento e la logica attraverso cui una res assume rilievo giuridico e come il significato che ad essa l’ordinamento attribuisce si concretizzi. Muoviamo dunque dall’oggetto del riconoscimento che a noi interessa: un diritto che dà rilevanza giuridica alla situazione relativa ad una cosa assurta a livello di “bene”. La scienza economica insegna che la metamorfosi delle cose in beni discende dalla loro idoneità a produrre utilità che corrispondono ad interessi umani.150 I beni perciò “si distribuiscono secondo i bisogni”.151 Il diritto ha dato rilevanza all’attitudine delle cose a soddisfare taluni specifici bisogni umani. 152La utilizzo e di tale determinazione il diritto si interessa. cosa determina il suo 153 E da ciò deriva il significato di funzione della cosa come attitudine riconosciuta dall’ordinamento ed idonea ad orientare i modi di godimento.154 Per il diritto le cose assumono rilevanza se si conformano ad un tipo normativo che ne fissa il significato giuridico. Di qui il concetto di beni quali ”cose che possono formare oggetto di diritto” (art. 810 cod. civ.). Le cose che possono formare oggetto di diritto sono state considerate quelle che per una loro limitazione in natura e per la possibilità 150 Gambino A.M., Beni extra mercato, Giuffrè, 2004 151 Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933 152 Si distinguono tradizionalmente più significati giuridici del termine “cosa”. Res - bona e causae - Res: cose presenti in natura, oggetto della signoria dell’individuo; bona: entità idonee a rappresentare un dato valore aziendale; causae: le utilità connesse al corpus (res). Besta E., I diritti sulle cose, Padova, 1933 Manca invece nelle definizioni dei classici (età romana classica) un richiamo al profilo teleologico; traccia del profilo funzionale della cosa si ha invece nella definizione di singole classi e categorie di cose. Astuti G., Cosa in senso giuridico. Diritto romano e intermedio, in Enc. dir., XI, Milano, 1962. 153 Gambino A.M., Teoria dei beni extra mercato, op.cit. 154 Bretone M., I fondamenti di diritto romano. Le cose e la natura, Roma-Bari, 1998 108 di essere possedute in parte hanno un valore economico. Si è tradizionalmente escluso che fossero “beni” le res communis omnium, entità caratterizzate da presenza abbondante, disponibilità illimitata e fruibilità libera. Cose che “per natura” non possono essere sottratte a nessuno, come l’aria, l’acqua fluente e il sole. Entità che offrono utilità e che sono indispensabili per la vita dell’uomo e, in origine, per la loro sovrabbondante disponibilità in natura, non avevano un valor economico di scambio. Beni “aperti iure naturali all’uso comune di tutti”.155 La scarsità è venuta in evidenza con l’evoluzione della società industriale. E si è posta l’esigenza di porre delle regole a garanzia delle migliore allocazione del bene e le cose rientranti tra le res communis omnium sono state classificate dal diritto con l’espressione “beni pubblici”. 156 Ne è conseguito che all’espressione res communis omnium sia stato assegnato il significato di categoria comprensiva di quelle risorse sulle quali lo Stato esercita la sovranità, in antitesi con il concetto di bene pubblico, come bene giuridico sul quale lo stato esercita poteri di controllo e di gestione.157 L’attuale sistema normativo italiano si incardina sugli artt. 822 ss. cod.civ.: le acque fanno parte del demanio pubblico a causa dell’incipiente interesse sociale atto a giustificare la dichiarazione di demanialità. Demaniale è l’acqua fluente - bene immobile da considerarsi nella sua massa perenne, mentre diviene acqua privata, circoscritta e definita in canali o serbatoi il bene mobile acqua derivata. 158 La possibilità teorica di una natura privata discende dalla funzione giuridica dell’acqua fluente, bene destinato all’uso pubblico, che consente al privato l’uso personale e individuale rispetto a quelle modeste entità appropriabili direttamente per occupazione: appropriazioni irrilevanti per lo ius publicum in quanto non menomano la massa d’acqua fluente che rende permanente la sua utilità. Allo ius publicum interessa la conservazione complessiva del bene: è la logica delle res extra commercium. La natura di bene pubblico destinato all’uso generale 155 Astuti, op. cit. 156 vedi sul punto Costantino - I beni in generale, in Tratt. di diritto privato diretto da Rescigno P., VII, Torino, 1982, 13; Messinetti - Oggetto dei diritti, Enc. del dir., XXIX, Milano, 1979; Pugliatti S., Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962 157 Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963 158 così Pugliatti e Biondi, op. cit. 109 consente la fruizione dell’utilità che da tale bene deriva, che si materializza nell’acqua derivata che, pur costituita dalla stessa materia del bene pubblico, non ne rappresenta però una pars. 159 La cosa necessita della predisposizione di un apparato strumentale che consente di dotare la materia grezza di un quid che la renderà utile per la fruizione. Nella fase della distribuzione della risorsa, perché si producano utilità in grado di soddisfare il bisogno del consociato, è necessaria la mediazione di una attività organizzativa che consenta l’accessibilità diffusa del bene, predisposta da un operatore, nei limiti apprezzabili di utilità. La scarsità delle risorse e la non economicità della produzione hanno storicamente comportato che lo Stato si sia reso monopolista erogatore per garantire una destinazione generale alla fruizione. La riserva della predisposizione di un apparato organizzativo è imposta dalla missione primaria volta all’approvvigionamento diffuso della collettività, che si renderebbe precario ove lasciato al gioco del libero mercato. Per lungo tempo si è così realizzata una stretta connessione tra il sistema di cautele, legato al compito generale dello Stato di soddisfare bisogni della collettività, con le ragioni di un effettivo assolvimento alle esigenze dell’utenza estraneo ad eventuali intenti lucrativi, che avrebbero potuto sacrificare le fasce sociali economicamente più deboli e le collettività dislocate in zone disagiate o economicamente non remunerative.160 Il servizio pubblico si sviluppa dunque in tale dimensione come “un’area rivolta agli interessi di tutta la collettività...; un’area nella quale il principio dominante è quello di legalità e funzionalità”. 161 Il servizio pubblico rappresenta dunque” il complesso degli scopi sociali che gli enti amministrativi debbono proporsi e costituisce il fine ultimo dell’intera attività amministrativa, che si appalesa in ogni ramo di essa”162. E ancora sul punto “Pubblico servizio in senso lato e suriettivo è il soddisfacimento di bisogni collettivi 159 Gambino A.M., Beni extra mercato, Giuffrè, 2004 160 Gambino A.M., op.cit. 161 Scotti E., op. cit. 162 Romano S., Principi di diritto amministrativo, Milano, 1919 110 mediante esplicazione dell’attività dello Stato”163 laddove “l’idea del pubblico servizio non precede, ma segue quella della pubblica amministrazione”164. Sul piano storico ciò significa che l’esigenza di una sua compiuta nozione giuridica è stata avvertita allorché lo Stato moderno si è assunto su larga scala il compito di intervenire nei rapporti sociali volgendo le proprie energie a favorirne il miglioramento. 165 In tale svolta - che sul piano istituzionale ha segnato il passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale - alle tradizionali attività svolte dai pubblici poteri per adempiere a funzioni essenzialmente conservative, si sono affiancati, com’è noto, nuovi ambiti di azione di tipo prevalentemente non autoritativo, preordinati all’utile dei singoli membri della collettività166. Il pubblico servizio è dunque il fine ultimo dell’intera attività amministrativa che consiste nel soddisfacimento di bisogni collettivi mediante esplicazione dell’attività dello Stato. Esso rappresenta lo strumento attraverso il quale la res informe assume concretezza nell’ordinamento e si dota di un corollario di cautele che ne declinano il valore che lo stesso ordinamento vi ha connesso. 4. Naturale idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni primari Il servizio pubblico si connota innanzitutto come attività il cui svolgimento è vincolato da una doverosità funzionale.167 E un gestore che abbia parimenti carattere pubblico, è quello che potrebbe al meglio assicurare l’adempimento dei relativi obblighi: quasi una simmetria. Un riflesso sul piano soggettivo dell’organizzazione, secondo una impostazione in cui ”la titolarità viene ora (rispetto alle dottrine precedenti) - considerata non più il fattore che determina la 163 Cammeo F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d. 164 Orlando V.E., Introduzione al Primo trattato di diritto amministrativo, Milano, I, 1901 165 Scotti E., op.cit. 166 Scotti E., op.cit. 167 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994 111 pubblicità obiettiva dell’istituto ma, secondo un processo inverso più vicino alla teoria francese del servic public, il suo necessario risvolto soggettivo”.168 E l’attribuzione ad un gestore pubblico dell’esercizio di un servizio pubblico fa diventare suo fine istituzionale, sia pure soltanto per quanto attiene alla gestione, la soddisfazione dell’interesse collettivo per il quale esso è stato istituito: “…per il quale l’offerta ai potenziali utenti è stata disciplinata come doverosa da parte dell’ordinamento generale; e lo fa diventare suo fine istituzionale, non solo per quel che attiene alla sua attività: anche già per quel che riguarda la sua stessa soggettività”.169 Nei limiti in cui non si cada in errore derivante dalla confusione tra istituiti diversi - chiarendo dunque dapprima i limiti dell’istituto cui ci si appresta a riferirsi parrebbe utile richiamarsi - al fine di meglio delineare i confini della dicotomia pubblico-privato nella gestione del servizio idrico - al paragone “secondo il quale la gestione di un servizio pubblico in concessione ad un soggetto privato, sia un mero succedaneo di una sua gestione da parte di un soggetto pubblico.” (Romano A.) Infatti gestore pubblico e gestore privato di un servizio pubblico agiscono con la medesima strumentalità rispetto all’amministrazione che del servizio è titolare. E come analoghi portatori di interessi diversi da quelli in questa soggettivati. E la concessione di un servizio pubblico ad un concessionario pur imprenditore privato opera una sovrapposizione alla sua soggettività, appunto privata, di una qualità intrinsecamente pubblica. In modo che il soggetto, sebbene privato, che esplichi un servizio pubblico, in forza di questa concessione viene ad assumere un ruolo oggettivamente pubblico. L’attuale tendenza a prediligere una gestione affidata in concessione a soggetti privati tendenza muove dalla considerazione delle degenerazioni cui la soluzione pubblicistica ha dato luogo, dall’assunto della superiore efficacia dell’azione condizionata dalle regole di mercato rispetto a quella disciplinata dalle norme giuridiche, ritenuto troppo facilmente trasgredibili, fino alla tesi della maggiore 168 Scotti E., op.cit. 169 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994 112 razionalità ed efficienza economica in termini soprattutto di abbattimento dei costi di una gestione privatistica. (Romano A.) Tuttavia deve sottolinearsi - con il Maestro Alberto Romano - come proprio “la gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalti il contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente pubblico, che di tale servizio è il titolare”.170 Il gestore privato generalmente è un normale imprenditore che opera secondo le regole del mercato. Ma opera se e fino a quando l’attività che svolge gli procura del profitto. Ciò corrisponde a dire che esso, di per sé, offrirebbe le prestazioni in cui si esplica il servizio, soltanto in quanto, in base alle regole di mercato, tale offerta gli fosse economicamente conveniente. Ma proprio la natura doverosa di tali prestazioni non può esimere il privato dal rispettare il programma di servizio cui si vincola nel momento in cui accetta la concessione della gestione: conseguentemente il soggetto necessariamente pubblico deve intervenire al fine di riequilibrare il bilancio dell’imprenditore concessionario che nel programma di servizio incontra una forzatura nella gestione, un irrigidimento nella sua libertà di impresa. 171 E’ pur vero, però che, nonostante una siffatta limitazione dell’autonomia del privato, il titolare del servizio pubblico, all’atto nel quale gliene concede l’esercizio, e per il solo fatto che glielo concede, gli mette a disposizione un mercato, una clientela172, e per tale motivo, sebbene doverosa, la gestione del servizio diventa per ciò più appetibile, unitamente alla possibilità di acquisire ulteriori utilità, quali ad esempio la concessione dell’uso di beni pubblici, che si traducono per lui in un vantaggio economicamente apprezzabile. Senza considerare infine come sarebbe irrealistico non riconoscere che anche il concessionario, nella concretezza delle esperienze pratiche, finisce col giocare spesso un ruolo rilevante nella determinazione del programma di servizio. In una simile prospettiva lungi dall’essere il privato un soggetto virtuoso naturalmente e funzionalmente predisposto ad assicurare l’efficacia gestionale di 170 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994, p.460 171 sul punto vedi Chirulli P., Autonomia pubblica e diritto privato nell'amministrazione. Dalla specialità del soggetto alla rilevanza della funzione,CEDAM, 2005 172 Cavallo Perin R., Riflessioni sull’oggetto e sugli effetti giuridici della concessione di servizio pubblico, Riv. dir. amm., 1994, 111 113 una qualsiasi attività: il fine del privato è e resta in ogni caso il perseguimento di utili in mercati economicamente appetibili e, nonostante possa trovarsi ad operare in contesti “vincolati”, non per questo si determina necessariamente una riduzione dell’appetibilità del settore, ciò che trova una perfetta rispondenza anche in materia di servizio idrico. “Se dunque la funzionalizzazione dell’attività è intrinseca pure nell’attività di soggetti pubblici che sia organizzata e prestata imprenditorialmente, una conclusione si impone: si deve affermare che quel che è intrinsecamente funzionalizzato e perciò ulteriormente normato, non è l’autonomia pubblica in contrapposizione a quella privata: è l’autonomia dei soggetti pubblici pure nei suoi profili di diritto comune. E questa prospettiva di una completa funzionalizzazione dell’attività dei soggetti pubblici, di quella che si estrinseca in negozi di diritto privato non meno di quella che si esplica in provvedimenti,viene a convergere con un’altra, ancora più radicale: con quella secondo la quale è la stessa loro personalità, è la stessa loro soggettività giuridica che ha carattere solo funzionale. Nel senso che essi sono venuti ad esistere solo per l’assolvimento di funzioni di interesse collettivo: esistono solo in quanto devono assolverle.” 173 “Si può anzi dire che tale ente - ente pubblico - in tanto esiste in quanto esercita una pubblica funzione, la quale è a considerarsi come la causa, il fondamento della sua stessa personalità”. 174 Anzi, da questo altro punto di vista, la funzionalizzazione della loro attività non sarebbe altro che una mera conseguenza della funzionalizzazione già della loro soggettività. E’ in questo quadro concettuale che sembra essere considerata la gestione di un servizio pubblico che sia soggettivamente del pari pubblica. Il tratto essenziale del servizio pubblico risiede nella sua oggettiva funzionalizzazione ad esigenze generali ritenute dall’ordinamento di necessaria soddisfazione e per questo soggettivizzate in un ente pubblico, garante, responsabile quindi titolare del servizio.175 D’altronde, in tema di bisogni primari e dei singoli individui e della collettività, 173 Romano A., op. cit. 174 Romano S., Il Comune, nel Trattato Orlando, 1934 175 . Scotti, op.cit. 114 “La forma fortemente e tradizionalmente pubblicistica della loro gestione pare corrispondere soprattutto alla convinzione per lungo tempo condivisa, e che neppure oggi si crede possa essere abbandonata, che è essa quella più coerente con tale vincolo funzionale176”. Ciò che distingue i pubblici servizi dalle prestazioni fornite come normali attività economiche, è dunque la loro “doverosità”177: la doverosità è il fattore che differenzia il servizio pubblico, il vero servizio pubblico, da un’attività anche oggettivamente analoga. “E se questa doverosità è così essenziale per l’istituto, diventa altrettanto indispensabile che ci sia un soggetto che la garantisca. E questo soggetto non può essere che pubblico”178. Alla base dell’istituzione di un servizio pubblico deve individuarsi una valutazione: la valutazione che tale attività debba essere posta a disposizione dei cittadini e che debba essere svolta con vincolo di continuità, costanza di dati quantitativi e qualitativi, ecc., che il mercato, di per sé, non può assicurare. La gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalta invece il contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente pubblico, che di tale servizio è il titolare. Tale contrasto, pur esistendo anche nell’ipotesi in cui il gestore sia soggettivamente pubblico, è qui addirittura radicalizzato: perché gli interessi contrapposti qui sono addirittura eterogenei. Lo sono, come riflesso di una eterogeneità che investe la natura medesima dei soggetti cui si riferiscono. 179 Si è detto che il gestore privato tendenzialmente è un normale imprenditore. Esso opera secondo le regole del mercato, se e finché e nei limiti dei quali questa sua attività gli procura profitto. “Ma l’inquadramento di tali prestazioni nella gestione di un servizio pubblico, l’impressione ad esse del 176 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994, p.460 177 Per un ordine di idee simili, v. Marino, Servizi pubblici e Cavallo Perin R., Comuni e province, cit. 178 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, op. cit. 179 Trimarchi, Profili organizzativi della concessione di pubblici servizi, 1967 115 marchio della loro”doverosità” che questa comporta, sbocca ad un risultato che è perfettamente antitetico: alla negazione che il concessionario di tale gestione possa essere lasciato libero di agire secondo i soli criteri di convenienza economica. O più esattamente: è in base a tali criteri che esso sceglierà se chiedere, o accettare, che la gestione medesima gli sia concessa. Ma una volta che glielo è stata, esso è vincolato alla sua esplicazione: così come i suoi elementi quantitativi e qualitativi sono stati prefissati nel “programma” di servizio. “180 Sviluppi naturali della “doverosità” della gestione dei servizi pubblici sono costituiti dall’impossibilità, almeno tendenziale, che i costi siano coperti dai ricavi: una “antieconomicità” oggettiva, derivante dalla scelta politica di considerare come necessaria l’offerta al pubblico di una data prestazione. L’esigenza cioè che tutti i potenziali beneficiari di un dato servizio ne possano usufruire, anche indipendentemente dalle loro possibilità economiche, può tradursi anche in una riduzione delle tariffe corrispondenti. E ciò deriva dalla “essenzialità” del servizio stesso: “…è evidente come la carenza di mezzi finanziari merita di essere ben diversamente considerata come ostacolo più giustificato o meno giustificato alla fruibilità delle prestazioni, secondo che si tratti, poniamo, dei servizi di telecomunicazioni o del servizio sanitario nazionale”181. In tale contesto assume dunque un ruolo fondamentale il concetto di “programma” del servizio182: il programma in cui si definiscono le caratteristiche del servizio, quali dati qualitativi e quantitativi delle prestazioni nelle quali si risolve, i loro ritmi, e così via. E di nuovo, intuitivamente, “solo un soggetto che sia parimenti pubblico”183 è legittimato a formularlo. E a tale soggetto dovrebbero spettare, almeno tendenzialmente, altri poteri ancora: quelli di revoca delle scelte gestionali qualora esse si rivelino essere non più ottimali per il perseguimento degli 180 Romano A., op. cit. 181 Romano A., Profili..,op.cit. 182 Cavallo Perin R., Comuni e province, op. cit., pagg. 74 ss., 84 ss. 183 Romano A., Profili..,op.cit. 116 interessi pubblici che il servizio deve garantire; quelli di controllo sull’operato del gestore; quelli eventualmente sanzionatori nei suoi confronti, etc. La riforma attuata in Italia con la legge 166/09 in siffatto contesto e in una prospettiva di comparazione, era decisamente in controtendenza rispetto a quanto stava avvenendo all’epoca a livello europeo in cui l’orientamento sempre più diffuso era (ed è) quello di una gestione pubblica dell’acqua e di un ritorno alla stessa laddove si è sperimentata quella dei privati. E ciò nonostante i richiami comunitari all’apertura del mercato. Ad esempio il parlamento tedesco ha approvato una risoluzione che respinge la liberalizzazione del servizio idrico per motivi ambientali, sanitari e di efficienza; in Spagna la gestione dell’adduzione è affidata alle regioni e la distribuzione è comunale; a Parigi, il consiglio comunale ha deciso di rimunicipalizzare il servizio idrico una volta scadute le concessioni in mano ai privati da 25 anni; in Belgio, il servizio idrico è gestito dalla pubblica Vivaqua; in Svizzera, la Costituzione prevede esplicitamente che la gestione dell’acqua rimanga di esclusiva competenza pubblica184. E di fatto il riallineamento dell’Italia nei termini di una tendenza europea che privilegia una gestione pubblica dell’acqua e/o di un ritorno alla stessa è avvenuto come esito del referendum popolare del giugno 2011, che ha abrogato la legge 166/09. Tale scelta sembra peraltro coerente con l’importanza del bene acqua e con il ruolo del gestore pubblico evidenziato da una parte della dottrina. “L’ente pubblico gestore di un servizio pubblico (per competenza propria) opera imprenditorialmente non solo come qualsiasi altro imprenditore pubblico: non solo per assicurare una presenza pubblica sul mercato; ossia per influenzarlo genericamente, sia pure per scopi pubblici, di politica economica, industriale, e così via: come lo potrebbe influenzare per scopi viceversa egoistici qualsiasi imprenditore privato. Ma per esplicare al meglio il servizio pubblico che gli pertiene di esercitare”. 185 E le conseguenze di ciò sono di notevole rilievo, nel senso che “l’attribuzione ad un siffatto gestore pubblico dell’esercizio di un servizio pubblico, fa diventare suo fine istituzionale, sia pure solo per quel che attiene alla gestione e non anche alla titolarità di tale servizio, la soddisfazione 184 Depedis R., op.cit. 185 Romano A., op. cit. 117 dell’interesse collettivo per il quale esso è stato istituito”. 186 La naturale idoneità funzionale del gestore pubblico rispetto ad un soggetto privato deriva dal dato significativo che “gli obblighi inerenti alla prestazione del servizio, anche se solo inerenti alla prestazione del servizio, se il gestore è pubblico, si fanno suoi doveri istituzionali.” (Romano A.) La funzione istituzionale del soggetto pubblico viene ad essere assolta da esso attraverso la soddisfazione degli interessi dell’utenza, mediante la prestazione dell’attività a ciò necessaria. E di conseguenza anche gli stessi provvedimenti e i negozi di diritto privato di un gestore pubblico siffatto, sono soggetti alla norme, se non alle disposizioni giuridiche funzionali che nell’adozione di essi deve osservare qualsiasi pubblica amministrazione. Parte II Il profilo teorico Capitolo quarto Le criticità del sistema di “beni comuni” 1. Premessa 186 Romano A., op. cit. 118 Un implicito riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia può dirsi avvenuto con l’affermazione della pubblicità di tutte le acque. Un riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto rappresenta tuttavia una mera enunciazione di principio priva di reale incisività. E il mezzo di cui l’ordinamento si è servito per veicolare il diritto direttamente alla collettività - al fianco della proprietà pubblica del’acqua - è il servizio idrico come servizio pubblico. E la forma gestionale che si è rivelata funzionalmente idonea al perseguimento ed alla soddisfazione degli interessi della collettività è emersa essere quella attuata a mezzo di soggetti altrettanto pubblici. Nella dicotomia tra pubblico e privato essi infatti in tanto esistono in quanto esercitano una pubblica funzione, “la quale è a considerarsi come la causa, il fondamento della sua stessa personalità”. (Romano A.) E’ la stessa loro personalità, è la stessa loro soggettività giuridica che ha carattere solo funzionale. Essi sono cioè venuti ad esistere solo per l’assolvimento di funzioni di interesse collettivo: “esistono solo in quanto devono assolverle.” La gestione di un servizio pubblico da parte di un gestore privatistico, esalta invece il contrasto dei suoi interessi, con quelli del soggetto necessariamente pubblico, che di tale servizio è il titolare. Tale contrasto, pur esistendo anche nell’ipotesi in cui il gestore sia soggettivamente pubblico, è qui addirittura radicalizzato: perché gli interessi contrapposti qui sono addirittura eterogenei. Delineata ora la cornice istituzionale in cui si colloca in Italia la tutela e l’amministrazione di quello che abbiamo per comodità definito “diritto all’acqua”, torniamo dunque all’interrogativo alla base della nostra indagine. Torniamo a cioè domandarci cosa cambi in un ordinamento attraverso l’affermazione ufficiale che esista un diritto di accedere all’acqua. Torniamo a chiederci perché e come rendere una “cosa” oggetto di una data situazione giuridica può avere un rilievo autonomo a prescindere dalla sua effettività nella realtà concreta dell’ordinamento giuridico. Per dare una risposta a tale interrogativo e procedere oltre nell’analisi ricostruttiva dei confini di un “diritto all’acqua” in cui il dato formale completi il quadro sostanziale realizzato da 119 proprietà e gestione pubbliche, ripercorriamo sinteticamente lo sviluppo lavoro svolto fin qui. 1) INQUADRAMENTO GENERALE - Abbiamo innanzitutto esaminato la situazione attuale: come cioè l'acqua si inquadra a livello internazionale, comunitario e nazionale italiano. Come risultato dell’analisi sul piano formale emerge il dato che non c’è stato mai a nessun livello il riconoscimento espresso di un diritto all’acqua (tranne l’eccezione del Sud Africa) - mentre esistono molti documenti che implicitamente prevedono il diritto - ma soltanto affermazioni di principi e la definizione che emerge è quella di diritto di tutti di avere acqua in quantità e qualità tali da assicurare la vita. Tutti: essere viventi umani e non umani. Esso si declina poi in un altro diritto: diritto alla conservazione della risorsa (in termini di quantità e qualità). E poi in un diritto di terzo livello: diritto alla utilizzazione. 2) PROPRIETA’ PUBBLICA - Finora la finalità di conservazione è stata ottenuta attraverso lo strumento della proprietà pubblica dell'acqua. 3) GESTIONE - In particolare in Italia anche la proprietà pubblica dell’acqua è stata affiancata da una gestione (prevalentemente) di altrettanta matrice pubblicistica. A questo punto compiamo un passo ulteriore: chiediamoci se tale sistema di “diritto dell’acqua” in Italia sia esente da criticità. Che cosa ha condotto ad una riforma radicale della modalità di gestione del servizio idrico introdotta attraverso la legge 166/09? Che cosa ha poi mosso la collettività a promuovere e successivamente votare un referendum popolare per mezzo del quale sono state cancellate le disposizioni introdotte? Ci chiediamo cioè quali sono i motivi oggettivi alla base da un lato, della decisione del legislatore di cambiare il sistema di gestione prevalentemente pubblicistico vigente da anni in Italia a favore una ampia apertura del settore idrico al mercato e ai soggetti privati; dall’altro indaghiamo il perché la società civile abbia manifestato chiaramente e decisamente la propria volontà nel senso del mantenimento del sistema previgente alla riforma. I due “movimenti” di tendenza contrapposti - quello alla privatizzazione della gestione del servizio idrico - e quello di conservazione della pubblicità gestionale, sono indubbiamente indice di una situazione non esente da criticità. Cioè, cosa spinge un Paese a dibattere e “scontrarsi” - con i mezzi istituzionali a 120 sua disposizione - su una tematica specifica? Perché soprattutto è stata avvertita dal legislatore la necessità di riformare il settore? Quali sono dunque i limiti del “sistema delle acque” in Italia sullo sfondo della costante dicotomica tra pubblico e privato? 2. Le criticità del “sistema pubblico” della disciplina delle acque assenza di controlli - sprechi di acqua La risorsa idrica diventa sempre più scarsa. E le responsabilità della carenza idrica in Italia sono riconducibili sia alla p.a. che alla collettività. La prima responsabilità (p.a.) riguarda il malfunzionamento della rete idrica; la seconda (collettività) gli sprechi. L’Istat, che a dicembre 2009 ha pubblicato un Censimento delle risorse idriche a uso civile relativo al 2008 in cui riferisce che dal 1999 al 2008 non è cambiato nulla. La percentuale di acqua che va perduta rispetto a quella prelevata dalla fonte e non erogata è rimasta uguale, il 39 per cento a livello nazionale. Con una punta del 49 per cento nel Mezzogiorno, molto lontana dal target europeo del 25 per cento fissato per il 2013. Secondo lo studio non c’è risparmio di acqua e la causa principale sta negli scarsi investimenti sulla rete. La dispersione di acqua dal 1999 a oggi non è cambiata: sulla quota di acqua dispersa, circa due terzi sono causati da perdite nelle condotte, alla mancanza di regolazione nel prelievo al variare periodico delle necessità e a prelievi non autorizzati, soprattutto per usi agricoli. La parte restante si deve alla necessità di garantire una continuità di afflusso alle condutture e alle adduzioni di acqua all’ingrosso concesse a imprese industriali, in genere alimentari. Infine, anche se sfugge alla statistica, va considerato che la dispersione di acqua è generata anche da problemi di tipo amministrativo: mancate fatturazioni, allacci abusivi, insolvenza nei pagamenti187. Gli sprechi e le inefficienze si concentrano maggiormente al Sud, nelle aree cosiddette sottoutilizzate. Secondo il Coviri - Commissione di vigilanza sulle risorse idriche - il rapporto tra investimenti effettivamente realizzati e 187 Depedis R., La riscossa del pubblico, dossier sull'acqua del settimanale Carta 121 investimenti programmati è nel Nord188 pari al 74,6 per cento, al Centro all’85,3 e al Sud al 23,6, con una media nazionale del 55,8189. Quanto alle regioni del Sud l’Acquedotto Pugliese recentemente è stato trasformato da spa ad azienda senza scopo di lucro190. Incombe sulle Regioni, ex art. 146 Codice dell’ambiente191, l’obbligo di garantire 188 La Lombardia è al 21 per cento come perdite di acqua immessa nella rete e non erogata, il Veneto al 22, l’Emilia al 24, mentre la Sardegna è al 46 per cento, Abruzzo e Molise al 44. E ancora Firenze [22], Bologna [25]. E tra le città più piccole [tra 100 mila e 200 mila abitanti], Piacenza [10 per cento], Vicenza [13], Bergamo [14], Trento [15], Bolzano [16], Brescia [18], Forlì [19] e Rimini [21], che detiene anche il primato della capacità ed efficienza di depurazione delle acque reflue. 189 Coviri stima che servano 60 miliardi in 30 anni, di cui 24,3 riguardano il Mezzogiorno 190 Il premio Manager dell’anno 2009 nel settore delle utility è andato all’amministratore unico dell’Acquedotto Pugliese: Ivo Monteforte. È stato assegnato da 91 autorevoli esperti del settore e motivato con «la politica d’interventi attuata», 600 milioni d’investimenti negli ultimi tre anni. Tra i principali risultati conseguiti: la riduzione delle perdite, il risparmio di 40 milioni di metri cubi d’acqua, la gestione più razionale grazie a innovativi sistemi di controllo in remoto dei flussi idrici, oltre a un’efficace politica di risanamento finanziario ed economico; un forte impulso alla semplificazione organizzativa e alla riqualificazione del personale. 191 articolo 146 Codice dell’Ambiente 1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni, sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti(*), nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottano norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare a: a) migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le perdite; b) prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua sia interni che esterni, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico; c) realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili; d) promuovere l'informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo; e) adottare sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione; f) installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori 122 il risparmio idrico, adottando norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare a migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le perdite. 192 In Italia oltre il 95% della popolazione è allacciata al servizio acquedotto. Solo l’84,7% è allacciata al servizio fognatura, e il 70,4% dispone di un impianto di depurazione193. Inoltre negli ultimi decenni si assiste ad una serie di cicli alternati che vedono periodi di intensa siccità seguiti a periodi di relative abbondanti piogge. Alcuni tra gli studiosi parlano già di sconvolgimento del clima che, con i fenomeni noti come “buco nell’ozono” degli emisferi del globo terrestre ed il cosiddetto “effetto serra antropico” dovuto alle eccessive emissione di idrocarburi (CO2), condizionano i cicli naturali a cui si assiste in questi ultimi anni con pesanti ed a volte tragiche ripercussioni sotto gli occhi di tutti. Inoltre, resta pur sempre comunque valido il principio che in periodi di abbondanti piogge, una rete più efficiente ed un sistema di captazione migliore favorisce e tutela contro periodi di siccità sempre “dietro l’angolo”194. differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano; g) realizzare nei nuovi insediamenti, quando economicamente e tecnicamente conveniente anche in relazione ai recapiti finali, sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le acque reflue e di prima pioggia; h) individuare aree di ricarica delle falde ed adottare misure di protezione e gestione atte a garantire un processo di ricarica quantitativamente e qualitativamente idoneo. 192 Giova ricordare che In Italia gli acquedotti sono demaniali, appartengono cioè al demanio e sono inalienabili (art 133 del D. Lgs 152/06 e art 822 e 823 del Codice Civile). Reti e impianti idrici in Italia non sono quindi vendibili, né privatizzabili. Gli impianti realizzati direttamente dai gestori sono restituiti gratuitamente agli enti locali a fine concessione. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 143 Codice dell’Ambiente - proprietà delle infrastrutture). 193 Vademecum ACQUA PUBBLICA, Confservizi Veneto 194 Scrocchia I.M., Bene pubblico locale e gestione del servizio idrico integrato Quaderno n. 8/2006, Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Università di Foggia. 123 L’Istat a dicembre 2009 ha pubblicato un Censimento delle risorse idriche a uso civile relativo al 2008, facendo riferimento alla platea di proprietari e gestori attuali, in maggioranza pubblici, in cui riferisce che dal 1999 al 2008 non è cambiato nulla. Secondo lo studio non c’è risparmio di acqua e la causa principale sta negli scarsi investimenti sulla rete. Sono le Autorità d’Ambito, composte dai Comuni nel Piano di Ambito, a decidere gli investimenti e attualmente gli investimenti nel servizio idrico sono stimati in 60-70 miliardi di Euro in Italia nei prossimi 30 anni. 195 Le alterazioni climatiche e i fenomeni di inquinamento rendono sempre più difficile disporre di acque idonee al consumo umano. La rete deve essere estesa alle nuove aree edificate. La dispersione di acqua dal 1999 a oggi non è cambiata: sulla quota di acqua dispersa, circa due terzi si devono a perdite nelle condotte, alla mancanza di regolazione nel prelievo al variare periodico delle necessità e a prelievi non autorizzati, soprattutto per usi agricoli196. Quando si parla di 195 In Italia devono essere completati la rete fognaria e gli impianti di depurazione, per garantire scarichi a norma in tutti i nuclei abitati entro il 2014, altrimenti si incorrerà in sanzioni dell’Unione Europea. Deve essere potenziato e interconnesso il sistema degli attingimenti di acqua, per garantire acqua a tutti sempre. 196 In tema di reti idriche vedi : ANGELETTI A., Privatizzazione ed Efficienza della Pubblica Amministrazione alla luce del Diritto Comunitario, Atti del Convegno, Giuffrè, Milano, 1996; ARCANGELI R., Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, II ed., Cedam, Padova, 2000; ARCHIBUGI A., PIZZETTI B., I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in ''L'Industria'', n. 2, 2001; BAGNETTI G., Il processo di Privatizzazione nell'attuale Contesto Internazionale, working paper n. 23 dicembre 2001, Dip. d'Economia Politica ed Aziendale, Università degli Studi di Milano, 2001; BARLOW M., L'acqua costa troppo?, in ''Toronto Globe and Mail'', Canada, 11 maggio 2000; BERNINI A., Intervento Statale e Privatizzazioni: un Panorama Comparativo, Cedam, Roma, 1996; BONACCORSI, Gli sprechi di una risorsa non sostituibile, in ''Attac Italia'', dicembre 2002; BUSCA M., Le acque nella legislazione italiana, in ''Studi di diritto e procedura civile'', Torino, 1962; Camera di Commercio, Analisi e linee guida per lo sviluppo energetico da fonti rinnovabili, Cuneo, gennaio 2003; CAIA G., Aspetti giuridici delle forme di organizzazione e gestione del sistema idrico integrato, in ''Atti del convegno H2 Obiettivo '90'', Bologna, 1994; CAPRIELLO A. e FRAQUELLI G., Il Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato: una proposta organizzativa, in ''Hermes Ricerche'', Novara, 2002; CAPUTI JAMBRENGHI V., voce Beni pubblici (uso dei), in ''Dig. disc. pubbl.'', vol. II, Torino, 1987; CESARI G., L'ambiente? Una questione sociale, in ''Apat'' n. 10, marzo 2005; CERULLI IRELLI V., voce Acque pubbliche, in 124 ''Enc. giur. Treccani'', Roma, 1988; CERULLI IRELLI V., voce Beni pubblici, in ''Dig. disc. pubbl.'', vol. II, Torino, 1987; CERVIGNI G., D'ANTONI M., Monopolio naturale, concorrenza, regolamentazione, Carocci, Bari 2001; Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2001, Roma, giugno 2002; Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2002, Roma, luglio 2003; DE ANGELIS, Vecchi e nuovi problemi del diritto delle acque, in ''Ambiente'', 1997; DE NARDIS S., Le privatizzazioni italiane, Ricerca del Centro Studi Confindustria, Il Mulino, Bologna, 2000; DELL'ANNO, Il regime delle acque tra tutela e gestione, in ''Dir. giur. agr. amb.'', 1995;DELL'ANNO P., Manuale di diritto ambientale, Cedam, Padova, 1995; DI BELMONTE T., Il contenuto giuridico della dichiarazione di pubblicità delle acque affermata dalla legge n. 36 del 1994, in ''Rass. Avv. Stato'', 1996; DI MAJO, Le risorse idriche nel vigente ordinamento, in ''Rass. giur. en. elett.'', 1996; DOSI C. and EASTER K. W., Water Scarcity: Economic Approaches to Improving Management, International Food and Agricoltural Policy WPOO-2, St. Paul, 2000; FABBRI P., FRAQUELLI G., Cost and structure of technology in the Italian water industry, Empirica, 2000; FANTINI E., Il Futuro dell'Acqua, tra Guerra e Mercato, in ''Aggiornamenti Sociali'', n. 6 giugno, 2003; FAULKNER J., Engaging the Private Sector through Public-Private Partnership, in ''Bridges to Sustainability, Yale Bulletin Series'', n. 101, Yale University, New Haven, Connecticut, 1997; GIAMPIETRO P., La Merli sfocia nella Galli, in ''Ambiente'', n. 6, 1995; GIAMPIETRO P., Una nuova gestione dell'acqua, in ''Ambiente'', n. 5, 1994; GIAVAZZI F., PENATI A., TABELLINI G., Liberalizzazione dei mercati e privatizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1998; GIBBS P., Privatization in Europe, in ''The Economist'', 29 giugno 2002; GUARNIERI F. e ROSCI A., In materia di risorse idriche. Considerazioni sulla legge 5 gennaio 1994, n. 36, con particolare riguardo alle forme di gestione dei servizi idrici, in ''Nuova rassegna di legislazione'', 1995; JONES S.L., MEGGISON W.L., NASH R.C. e NETTER J.M., Rapporto annuale sullo stato dell'Unione europea, Roma, 1999; KOMIVES K., Designing Pro-poor Water and Sewer Concession: Early Lessons from Bolivia, Water Policy, vol. 3, n. 1, 2001; LOVISETTI M., I servizi idrici, Giappichelli, Torino, 1997; LUDOVICI A. e AMBROGI L., Obiettivo Acqua, dossier sullo stato delle acque in Italia, 2003;LUGARESI N., Le acque pubbliche, profili dominicali di tutela e di gestione, Giuffrè, Milano, 1995; MACCHIATI A., Privatizzazioni, tra economia e politica, Donzelli Editore, Roma, 1996; MAHBOOBI L , Recent privatization trends in OECD countries, in ''Financial Market Trends'', n. 79, Parigi, 2001; MARE' M., Le Politiche di Privatizzazione: Effetti sull'Efficienza ed Aspetti Macroeconomici, in ''Ministero del Tesoro, Integrazione dei mercati e politica economica'', vol. II; MARTINO R., Water, an essential element for life, in ''Pontifical Council for Justice and Peace'', Vatican City, 2003; MASINI S., La decadenza della proprietà privata delle acque con particolare riguardo agli usi irrigui, in ''Dir. e giur. Agraria'', Roma, 1995; MASSARUTTO A., Servizi Idrici in Fondazione Rosselli, I servizi di pubblica utilità in Italia. Rapporto sullo stato e sulle condizioni di sviluppo, Milano, Guerini, 1999; MAZZEI B. L., E la Galli non ''libera'' l'acqua, in ''Il Sole 24 ore'', 20 giugno 1997; MEZZETTI L., Manuale di Diritto Ambientale, Cedam editore, Padova, 2001; MILANI F., Appunti introduttivi per uno studio 125 irrigazione, si deve distinguere la problematica relativa alla cosiddetta irrigazione “pubblica” e cioè quella derivante dalle grandi infrastrutture gestite normalmente dai Consorzi di bonifica, da quella della irrigazione “privata” e cioè quella ottenuta attraverso emungimento da pozzi. Sono infatti problematiche completamente differenti e rappresentano entrambe fenomeni molto consistenti. Ad esempio in Puglia si calcola che su 262.000 ettari complessivamente irrigati, 83.000 sono irrigati con le grandi infrastrutture e ben 179.000 da pozzi. Per quanto riguarda l’irrigazione privata la situazione è in un certo senso più delicata e complessa. In questo caso infatti si tratta di prelievi sotterranei d’acqua che sfuggono ad un controllo certo e che avvengono in particolare in zone ove manca l’irrigazione pubblica. Ciò comporta dunque spesso gravi problemi di abbassamento della falda freatica, processi di salinizzazione nelle zone costiere e fenomeni sempre più estesi di subsidenza. Poche Regioni allo stato attuale hanno provveduto con raziocinio ed efficienza a stabilire le procedure di semplificazione per la denuncia dei pozzi197. La situazione degli acquedotti e delle fognature cambia da regione a regione: in generale il Nord, con 2,4 chilometri di reti idriche per chilometro quadrato e 1,4 chilometri di fognature per chilometro quadrato, risulta meglio attrezzato rispetto al Centro e al Sud, entrambi sotto la media nazionale (1,8 chilometri per chilometro quadrato per gli acquedotti e 1 chilometro per chilometro quadrato per le fognature). Ma oltre alla copertura del territorio, c’è anche il problema degli sprechi. Secondo le stime di Legambiente198 il 42% in media del volume d’acqua erogato in Italia viene disperso: si tratta di 10.550 metri cubi al chilometro, corrispondente a un valore medio di circa un terzo di litro al secondo per chilometro, con punte minime nel Torinese in Piemonte 22%, fino a un massimo dell'utenza idrica, in ''Riv. di dir. Agrario'', 1972; PASSATELLI M., Struttura della regolamentazione economica in applicazione della legge 36/94, Paper n. 95/01, Roma, maggio 1995; QUADRO CURZIO A., FORTIS M., Le Liberalizzazioni e le Privatizzazioni dei Servizi Pubblici Locali, Il Mulino, Bologna, 2000; RESCIGNO P., Trattato di diritto privato, vol. VII, Torino, 1982. 197 Stolfi N., Agricoltura e gestione sostenibile delle risorse idriche, Relazione al Convegno Nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori, Catanzaro, 10 luglio 2001 198 Dossier Legambiente 2007 126 del 73% nel Lazio Meridionale e in Abruzzo. Le regioni più virtuose, con perdite inferiori al 30%, sono il Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Basilicata. Le perdite più elevate, superiori al 50%, invece, si riscontrano nelle reti di Abruzzo, Campania, Puglia e Calabria. Secondo i dati di Ecosistema urbano 2007 di Legambiente, a Cosenza va il primato dell’acqua persa con una percentuale del 70% rispetto a quella immessa in rete, seguita da Latina con il 66% e da Campobasso con il 65%.Il 43% delle 88 città capoluogo in classifica perde più del 30% dell’acqua che immette in rete. Sono 13 le città che perdono più della metà dell’acqua immessa in rete (8 del sud, 3 del centro e 2 del nord): Cosenza, Latina, Campobasso, Pescara, Vibo Valentia, Rieti, Bari, Siracusa, Nuoro, Agrigento, Sassari, Belluno e Gorizia. Le più virtuose di questa classifica sono Viterbo (con perdite pari al 4%), Bergamo (5%) e Vercelli (6%). 199 Sempre secondo lo studio di Legambiente i buchi negli acquedotti e le condotte fognarie che non funzionano costano circa 5 miliardi di euro l’anno. Circa la metà delle tubature e un terzo delle attuali fognature presenti in Italia devono essere sostituite entro i prossimi dieci anni. Le reti idriche e fognarie del nostro paese presentano le maggiori carenze infrastrutturali rispetto ai principali Paesi europei. Infatti, il tasso di perdita negli acquedotti italiani è di circa il 40% contro il 10% circa della Germania ed il 15% della Gran Bretagna, nonostante la densità per area geografica e pro-capite di quei paesi sia inferiore rispetto all’Italia. In base alle stime di affidabilità di tenuta delle tubature, circa il 50% degli attuali acquedotti, almeno 125.000 chilometri di rete idrica, e oltre il 30% delle attuali fognature, corrispondente a 46.000 chilometri di rete fognaria, devono essere sostituite entro il prossimo decennio, tanto più che sussiste una significativa presenza di reti contenenti amianto. La ricerca e l’innovazione nelle infrastrutture idriche costituirebbe una modalità efficace per adeguare la rete nazionale agli standard europei. Le reti idriche e fognarie rivestono peculiare importanza tra i sistemi a rete presenti in ambito urbano, sia per la loro notevole estensione che per i molteplici problemi di compatibilità ambientale e di integrazione con la realtà urbana. E’ quindi di notevole interesse, a livello comunitario, il miglioramento delle condizioni 199 Dossier Legambiente 2007 127 operative e gestionali delle reti idriche e fognarie, che attualmente risultano in Europa piuttosto variegate. Per quanto riguarda le reti di distribuzione, in alcune aree geografiche sistemi ben funzionanti rappresentano ancora un obiettivo da raggiungere, mentre altrove l’attenzione è focalizzata su di una gestione efficiente delle reti. Peraltro anche nei Paesi più avanzati l’età delle condotte è piuttosto elevata; di conseguenza, si sta verificando un’accelerazione del ritmo di deterioramento delle stesse; rotture, perdite idriche e lamentele riguardo alla qualità dell’acqua ed all’affidabilità del servizio sono in aumento200. Considerazioni similari possono essere svolte per le reti di drenaggio urbano; in molte realtà europee i sistemi di drenaggio urbano appaiono caratterizzati da insufficiente capacità di trasporto, degrado dei componenti e difetti di costruzione, tali da provocare cedimenti strutturali, allagamenti ed inquinamento dei corpi idrici ricettori. In Europa, come dimostrato dal rapporto finale del progetto europeo COST C3 “Urban Water Management”201, la politica di riabilitazione delle reti è tuttora prevalentemente basata su una azione di tipo reattivo: rari sono i piani di riabilitazione a lungo termine, comunque usualmente fondati sulla definizione di un tasso globale di intervento su tutta la rete, basato su criteri di scelta non tecnici; inoltre la scelta della rete su cui intervenire nel breve periodo è spesso dettata da criteri di opportunità o politici202. 200 A. Bizzarri, I. Di Federico, V. Di Federico, e S. Mazzacane, Affidabilità delle reti di distribuzione idrica urbana, Franco Angeli Editore, Milano, 2000; V. Di Federico, C. Grelli, M. Schiatti, A. Bizzarri, I. Di Federico, S. Mazzacane, e G. Bizzarri, Pipe break data analysis in Emilia-Romagna, Italy: a first step towards effective management of water distribution networks. In RISK Analysis II, Proceedings of Second International Conference on Computer Simulation in Risk Analysis and Hazard Mitigation, WIT Press,Southampton, 2000. 201 European Commission: Directorate General for Research, Diagnosis of urban water supply and wastewater infrastructure, Proceedings from COST C3 end of action workshop, Brussels, May 2000. 202 Di Federico V., Nuovi strumenti per la gestione e manutenzione integrata delle reti idriche e fognarie: care w e care s, Università di Bologna I progetti di ricerca CARE-W (Computer Aided Rehabilitation of Water Networks) e CARE-S, (Computer Aided Rehabilitation of Sewer networks) entrambi finanziati dalla U.E. nell’ambito del V Programma Quadro, hanno lo scopo di affrontare su scala europea il tema della gestione e manutenzione ottimale rispettivamente delle reti idriche e di quelle di drenaggio urbano. In 128 L’attuazione di politiche di efficienza idrica passa necessariamente attraverso la riabilitazione delle reti con interventi ed investimenti a lunga durata. In economia si afferma che se le inefficienze della produzione pubblica sono troppo elevate si può avviare una politica di privatizzazione, considerando i rischi che questo approccio comporta. Sempre secondo un approccio di tipo economico, le migliori possibilità per garantire il recupero di efficienza sono legate alla possibilità di creare un ambiente maggiormente concorrenziale. E importante è pertanto in tale ottica il concetto di mercato contendibile203. I mercati contendibili provocano una concorrenza per il mercato in grado di realizzare soluzioni ottimali, in presenza di determinate condizioni. 204 Tutti i casi delle entrambi in progetti vengono esaminati i problemi connessi all’invecchiamento delle reti, tra cui quelli inerenti ai cedimenti strutturali, con la codifica delle possibili cause e condizioni al contorno, alle insufficienze ed alle perdite, alla qualità dell’acqua, ai costi di manutenzione ed agli effetti sull’ambiente costruito. La filosofia di base è quella di fornire alle aziende di gestione un insieme completo di strumenti finalizzati al miglioramento della gestione delle reti, integrati in un sistema di supporto decisionale che consente di affrontare la gestione della rete con un approccio di tipo preventivo, tale da riabilitare la condotta (o collettore) giusta, al momento giusto ed utilizzando la tecnica più efficace, prima che si verifichi un disservizio, evitando disagi all’utenza e consentendo l’adozione di piani di manutenzione programmata, con le conseguenti ricadute positive di bilancio.Gli strumenti CARE-W e CARE-S sono stati sviluppati all’interno degli omonimi progetti di ricerca finanziati dalla U.E. nell’ambito del V programma Quadro, rispettivamente con i contratti EVK1-CT-2000-00053 ed EVK1-CT-2001- 00167; essi sono inoltre membri del CityNet Cluster. Ulteriori informazioni sono disponibili presso i siti http://carew.unife.it e http://care-s.unife.it . 203 Baumol, Panzer, Willing, Contestable markets and the theory of market striature, New York, Harcourt Brace Jovanovich, ed 1984. 204 Studio svolto da Scrocchia I.M.,Quaderno n. 8/2006, cit. a) mancata esistenza di costi fissi non recuperabili, c.d. sunk cost. Tale condizione permette alle nuove imprese di entrare e uscire dal mercato a costo zero. La minaccia di ingresso di nuove imprese costringe quelle già esistenti ad adottare un comportamento efficiente, e a praticare un prezzo pari al costo medio (soluzione di second best), poiché un prezzo superiore determinerebbe un extra-profitto, e quindi la possibilità di ingresso nel mercato di imprese rivali. b) Le imprese potenzialmente entranti dispongano della stessa tecnologia di quelle già operanti nel mercato; c) Le imprese esistenti non varino i prezzi in tempi inferiori a quelli necessari per le nuove imprese per raggiungere una produzione a pieno regime; 129 public utilities sono caratterizzati dall’assenza di tali condizioni. Quindi nel caso in cui la contendibilità non possa essere realizzata e la fornitura del servizio da parte di un soggetto pubblico sia particolarmente inefficiente, si ritiene si possano prendere in considerazione politiche per la concorrenza. Questo non comporterebbe una riduzione del ruolo dell’operatore pubblico ma piuttosto una sua modifica, con l’attribuzione di nuovi compiti sul piano della regolamentazione. 205 3. Conclusioni 4) CRITICITA’ - Il quadro di sintesi che emerge dall’excursus svolto denuncia come ci sia un problema di fondo da cui il “sistema delle acque” italiano non è esente: la risorsa idrica diventa sempre più scarsa. E le responsabilità della carenza idrica in Italia sono riconducibili sia alla p.a. che alla collettività. La prima responsabilità (p.a.) riguarda il malfunzionamento della rete idrica; la seconda(collettività) gli sprechi. Sotto il primo profilo - che chiameremo di natura economica - per risolvere il problema si è tentata la via della gestione del servizio idrico aperta ai privati e/o prevalentemente privata (art. 15 l. 166/09). A ciò è seguita la reazione di opposizione della collettività (sfociata in un referendum popolare abrogativo della legge sulla “privatizzazione” del servizio idrico integrato). Tale opposizione è stata motivata dal timore dell’ aumento delle tariffe idriche (in quanto il privato persegue per fine istituzionale il lucro) e dalla paura delle conseguente privatizzazione della proprietà dell'acqua e del diritto di accedere alla risorsa. Si è temuto che potesse accedere all'acqua solo chi potesse permetterselo economicamente. Quindi il problema ha riguardato il d) I consumatori abbiano la capacità e la disponibilità di variare immediatamente il proprio fornitore. 205 Questo nuovo approccio si estrinseca nelle due forme della concorrenza per il mercato e della concorrenza nel mercato. Nella concorrenza per il mercato le attività esercitate dallo stato sono affidate ai privati, nelle forme e nei modi da questo stabiliti, mediante aste pubbliche opportunamente organizzate. 130 mantenimento della possibilità di tutti di avere acqua. Addirittura si è detto che l'acqua non dovrebbe essere pagata ma essere un costo a carico dello Stato. Questo però non è più possibile a causa dell'attuale situazione del debito pubblico italiano e dei tagli agli enti locali. Lo Stato non dispone di adeguate risorse economiche e le reti necessitano di investimenti. Veniamo ora alla seconda responsabilità enunciata: quella della collettività per gli sprechi della risorsa. Sotto questo profilo - che definiremo di matrice sociale viene in questione il ruolo del profilo proprietario ed il connesso tema della responsabilità “sociale”. Ci troviamo cioè in un sistema in cui tutti e nessuno sono proprietari dell'acqua e la proprietà pubblica è stata funzionalizzata all'accesso collettivo attraverso il servizio pubblico. Si continua a riconoscere che la proprietà pubblica dell’acqua e la contemporanea gestione pubblica del relativo servizio siano la formula che finora meglio abbia realizzato gli interessi della collettività (in quanto il soggetto pubblico è funzionalmente più idoneo a soddisfare interessi generali rispetto ad un soggetto privato). Non può però ignorarsi come la proprietà pubblica, intesa nell’accezione di accesso generalizzato alla risorsa, abbia permesso a tutti, oltre che di avere l'acqua - attraverso un servizio "sociale" - allo stesso tempo ha consentito però a tutti di abusarne nell'uso e di ledere così il diritto globale di accesso alla risorsa. Il limite della proprietà pubblica è costituito dunque dal fatto che essa lascia spazio agli abusi della collettività così come la gestione pubblica lascia spazio agli abusi degli amministratori. 4. La tragedia dei beni comuni Si è anticipato in precedenza come il General Comment no. 15) del 2002 ricostruisca le basi legali del diritto all’acqua (riconosciuto implicitamente) e ne chiarisca il contenuto normativo. Tale contenuto comprende i concetti di “availability” ovvero quantità sufficiente, “quality” ovvero qualità adeguata, “affordability” ovvero accessibilità anche economica. Inoltre il documento individua gli obblighi per l’attuazione da parte dei singoli Stati, generali e specifici, in patria e a livello internazionale, indicandoli con i verbi “to respect, to protect, to fulfil”, nel significato di rispettare e proteggere tale diritto, elencare 131 possibili violazioni e i possibili strumenti attuativi, legislativi, politici, tecnici, scientifici. Allo Stato dunque sta il compito di assicurare che il diritto sia effettivo, attraverso strumenti ad ampio raggio d’azione. La principale argomentazione usata dagli economisti che giustificano l’intervento dello Stato sul mercato a protezione delle risorse senza prezzo da un uso indiscriminato è che non sia possibile concepire la proprietà individuale dell’aria o dell’acqua. Numerosi orientamenti dottrinali206 hanno sottolineato infatti come non sia sempre conveniente affidarsi al mercato per la protezione dell’ambiente. Altri economisti207 affermano però che se nessuno si sente proprietario delle risorse, nessuno avvertirà il bisogno della loro salvaguardia. “Ogni nuova recinzione della proprietà comune implica la violazione della libertà personale di qualcuno….Gli individui ancorati alla logica della proprietà comune sono liberi solo di preparare la rovina universale. Una volta compresa la necessità degli obblighi reciproci, essi divengono liberi di perseguire altri scopi. Penso che sia stato Hegel a dire: «La libertà è il riconoscimento della necessità»”.208 Hardin, nel noto e altrettanto discusso trattato sui “Beni comuni”, si focalizza innanzitutto su cosa si intenda per “bene” della collettività e su come debba orientarsi la scelta di un amministratore pubblico finalizzata alla realizzazione del “bene”. “Vogliamo il bene massimo per ogni persona, ma cosa è “bene”? Per qualcuno “bene” sono le aree selvagge, per qualcun altro sono gli impianti sciistici. Per qualcuno sono le foci dei fiumi per nutrire anatre da cacciare, per qualcun altro sono i terreni agricoli. Confrontare tra loro i beni, diciamo di solito, è impossibile dal momento che i beni non sono commensurabili. E ciò che è incommensurabile non è comparabile. In teoria, ciò può corrispondere al vero; ma nella vita reale le cose incommensurabili sono commensurabili. Tutto ciò che serve è un criterio di giudizio e un sistema di misurazione. In natura, quel criterio è la sopravvivenza.Il 206 sul punto così Malagnino C.D. , L’ambiente come sistema giuridico complesso, Cedam, 2007 207 sul punto vedi Hardin G., The tragedy of the commons, (1959); S. von Hoernor, Science 137, 18 (1962); J. D. Roslansky, Genetics and the Future of Man (Appleton-Century-Crofts, New York, 1966), p. 177; C. Frankel, The Case for Modern Man (Harper, New York, 1955), p. 203. 208 Hardin G., The tragedy of the commons, (1959) 132 compromesso raggiunto dipende dall’assegnazione naturale di pesi diversi ai valori delle variabili”. Secondo Hardin, in assenza di reali ed efficaci restrizioni al consumo di una risorsa, quali possono essere garantite unicamente da una chiara definizione dei diritti di proprietà, essa sarà inevitabilmente sottoposta a sovrasfruttamento, dal momento che: 1) i benefici dell'abuso della risorsa sono raccolti unicamente dal fruitore individuale, mentre i costi sono dispersi fra tutti gli utilizzatori; 2) coloro che volontariamente limitano il loro utilizzo delle risorse in un territorio comune e aperto a tutti sopportano tutti i costi della conservazione ma non ne hanno alcun vantaggio; 3) ciascun individuo ha un incentivo netto a prendersi quanto più possibile di una risorsa, prima che altri se ne approprino. 209 “Non c’è bisogno che un’alternativa alla proprietà comune sia perfettamente giusta o preferibile. L’alternativa che abbiamo scelto per i terreni e per altri beni materiali è l’istituzione della proprietà privata abbinata alla successione legale. Questo sistema è perfettamente giusto? [.…] Dobbiamo ammettere che il nostro sistema legale è ingiusto riguardo alla proprietà privata e alla successione — ma ce ne accontentiamo dal momento che non siamo convinti, attualmente, che qualcuno abbia ancora inventato un sistema migliore. L’alternativa della proprietà comune è troppo orribile per prenderla in considerazione. Un’ingiustizia è preferibile alla completa rovina. Una delle particolarità del conflitto tra riforme e status quo è quella di essere sconsideratamente governato da un doppio standard. Ogni qualvolta viene proposta una misura di riforma, essa viene spesso sconfitta non appena i suoi oppositori riescono trionfalmente a trovarvi una pecca. [.......] i sostenitori dello status quo a volte lasciano intendere che non sia possibile alcuna riforma senza un accordo unanime, un presupposto contrario ai fatti storici. Per quel che ne capisco, il rifiuto automatico delle riforme proposte è basato su uno tra due presupposti inconsci: (i) che lo status quo sia perfetto, oppure (ii) che ci si trova di fronte alla scelta tra riforma o inazione; se la riforma proposta è imperfetta, dovremmo presumibilmente non fare nulla nell’attesa della proposta perfetta”. 209 *Tratto da "Elefanti al guinzaglio", Leonardo Facco Editore 133 Dunque una scelta dello Stato che consenta di preservare una risorsa può non essere popolare né perfetta da un punto di vista di “giustizia sociale”. Ma se si considerano le variabile cui è soggetta la presenza di acqua - prima tra tutte la variabile geografica, ma non meno l’aspetto culturale - vi è una naturale ed originaria disuguaglianza dei popoli nell’avervi accesso. Laddove c’è una maggiore disponibilità di acqua si sta già implicitamente consumando un’ingiustizia rispetto alle collettività che ne dispongono in quantità scarsa. Così come la non condivisione del progresso tecnico che consente di realizzare infrastrutture di connessione alla rete idrica e sistemi di depurazione generano automaticamente disparità. Imperfezione ed ingiustizia sono dunque le costanti delle scelte dei governanti finalizzate a perseguire il “bene” della propria collettività e non della collettività tutta, intesa in senso globale. Qual è perciò il limite di misura che può definirsi accettabile in un ottica di responsabilità di un pubblico amministratore nei confronti del “bene”? Hardin parla di “riconoscimento della necessità”. “Forse il sunto più semplice di questa analisi dei problemi di popolazione dell’uomo è questo: la proprietà comune, se è giustificabile, è giustificabile solo in condizioni di bassa densità di popolazione. Quando la popolazione umana è cresciuta, in un modo o nell’altro si è dovuta abbandonare la pratica della proprietà comune”. Le risorse sono limitate e finite. Ed il numero di compone la collettività in continuo aumento. “Ma, per i problemi pratici che dovremo affrontare nelle generazioni più prossime e con la tecnologia prevedibile, è chiaro che daremo una forte spinta alla miseria umana se, nell’immediato futuro, non partiamo dal presupposto che il mondo a disposizione della popolazione umana della Terra è limitato. Lo “spazio” non costituisce una via di fuga”. Per Hardin «La libertà è il riconoscimento della necessità». La necessità di porsi dei limiti come collettività. Una volta compresa la necessità degli obblighi reciproci, i consociati allora divengono liberi di perseguire altri scopi. La condivisione di risorse finite implica l’assunzione di una responsabilità comune o, con le parole di Hardin, “coercizione reciproca concordata”. 134 “Se il termine “responsabilità” deve proprio essere usato, suggerisco che venga usato nel senso che gli attribuisce Charles Frankel. «La responsabilità», dice questo filosofo, «è il prodotto di un patto sociale definito». nell’ordinamento italiano la legge Galli ha introdotto il criterio della solidarietà (“l'acqua va gestita secondo criteri di solidarietà”) come variante dell'interesse nazionale. “Laddove infatti non esiste più in Costituzione l'interesse nazionale, è stato introdotto un surrogato, la variante etica, cioè la solidarietà, che però non può essere sempre imposta, in quanto gli imperativi etici, a differenza degli imperativi giuridici, non hanno strumenti di coazione, ma presuppongono la condivisione e l'adesione spontanea”. 210 Torniamo ora pertanto alle due criticità individuate e che affliggono il sistema delle acque italiano: l’esigenza di investire sulla rete idrica per ridurre/azzerare le perdite e la limitazione degli sprechi ad opera della collettività. Come coprire dunque gli investimenti di cui la rete necessita? Come ridurre gli sprechi d’acqua? Come controllare i controllori? Innanzitutto “limitando” l’ accesso generalizzato all’acqua: ponendo cioè, seguendo Hardin, limiti definiti e necessari al diritto di tutti di accedere alla risorsa. Il limite al diritto di tutti di usare la risorsa realizza paradossalmente in concreto l’accesso generalizzato all’acqua. Un primo limite è costituito dalla tariffa; un secondo dalla regolazione. Il sistema di tariffazione idrica e le esistenti autorità di regolazione in materia di acqua saranno oggetto dell’analisi condotta nella parte secondo del presente capitolo al fine di comprendere se esse realizzino in concreto le funzioni di garanzia della tutela e dell’uso delle risorse idriche, salvaguardia della vivibilità dell’ambiente e delle aspettative e diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale, oltre alla finalità di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio. In secondo luogo, oltre l’imposizione necessaria di limitazioni all’accesso generalizzato all’acqua, possibili soluzioni alle criticità del settore idrico italiano, 210 Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 135 possono essere mutuate, in una prospettiva di comparazione, da un’esperienza diversa - e notoriamente “virtuosa” - nella realizzazione e gestione del sistema che concretizza l’accesso alle risorse idriche, qual è quella dell’Olanda, paese storicamente associato alla gestione dell’acqua. Per sopravvivere, infatti, gli olandesi hanno dovuto sviluppare un metodo altamente sofisticato per convivere con essa. La prospettiva comparata con l’esperienza olandese ci consente di verificare la fattibilità in termini di “esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. Nel capitolo quinto del presente lavoro verrà al tal fine esaminato il quadro normativo olandese in materia di acqua e servizio idrico e le sue peculiarità. I profili che emergono come significativi e che verranno approfonditi in quanto maggiormente utili ai fini della nostra indagine riguardano, da un lato il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese; dall’altro il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti ed infine il sistema di copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali. Da una prospettiva di comparazione con l’esperienza olandese il contesto da cui si ritiene utile e possibile trarre degli spunti di esportazione è costituito dunque dal partenariato pubblico/privato sui generis, i water boards ed una tariffa idrica di matrice ambientale. Capitolo quinto Limiti necessari alla proprietà pubblica dell’acqua 1. Premessa Porre dei limiti necessitati alla proprietà pubblica dell’acqua rappresenta l’avvio del processo di superamento dell’imperfezione della stessa. Riconoscere il diritto all’acqua permette di compiere un passo ulteriore: pervenire ad un equilibrio tra valore economico e gestione non economica della stessa. Esso consente cioè di andare oltre rispetto all’attuale inquadramento 136 giuridico della risorsa idrica, rendendo possibile ed effettiva l’utilizzazione di una forma proprietaria diversa ed adeguata alla particolare categoria di beni costituita dalle risorse naturali. Soffermiamoci dunque dapprima sui limiti e, in un secondo momento, sul riconoscimento espresso del diritto. Muoviamo ora dal presupposto che il mondo a disposizione della popolazione umana della Terra sia limitato e che, nello specifico, le risorse idriche siano esauribili. Laddove esiste un bene indispensabile alla sopravvivenza di tutti, l’accesso generalizzato ad esso deve essere necessariamente garantito da limiti. Gli sprechi dell’acqua sono intesi in questa prospettiva come una conseguenza della “recinzione della proprietà comune”, nel senso che la stessa implica la violazione della libertà personale di qualcuno. La libertà di ciascuno può essere garantita attraverso il riconoscimento della necessità. La necessità di porre dei limiti all’uso dell’acqua. Limiti imposti o, preferibilmente, auto-imposti. “Il solo tipo di coercizione che raccomando è la coercizione reciproca, reciprocamente concordata dalla maggioranza delle persone che ne sono toccate.Dire che concordiamo reciprocamente sulla coercizione non significa dire che ci piace, né anche solo fingere che ci piaccia. A chi piacciono le tasse? Tutti ce ne lamentiamo. Ma accettiamo le tasse obbligatorie perché riconosciamo che la tassazione volontaria favorirebbe la mancanza di coscienza. Istituiamo e (col muso lungo) sopportiamo le tasse e altri mezzi coercitivi per sfuggire all’orrore della proprietà comune. Non c’è bisogno che un’alternativa alla proprietà comune sia perfettamente giusta o preferibile”. 211 211 Hardin T., op. cit. - Hardin spiega come nessun sistema sia perfetto ma che sia comunque necessario agire. Ciò che infatti è stato fatto per migliaia di anni è agire. “Il che produce anche dei danni. Una volta che siamo consapevoli che lo status quo è l’azione, possiamo confrontare i suoi vantaggi e svantaggi verificabili con i vantaggi e gli svantaggi previsti per le riforme proposte, cercando di cavarcela il meglio possibile di fronte alla nostra mancanza di esperienza. Sulla base di un simile confronto, possiamo prendere delle decisioni razionali che non comprendano il presupposto insuperabile che solo i sistemi perfetti siano tollerabili. - cfr. J. D. Roslansky, Genetics and the Future of Man (Appleton-Century-Crofts, New York, 1966), p. 177.” 137 2. La tariffa come limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa 2.1. Premessa Si è detto in precedenza che il pubblico servizio è dunque il fine ultimo dell’intera attività amministrativa che consiste nel soddisfacimento di bisogni collettivi mediante esplicazione dell’attività dello Stato. Esso rappresenta lo strumento attraverso il quale la res informe assume concretezza nell’ordinamento e si dota di un corollario di cautele che ne declinano il valore che lo stesso ordinamento vi ha connesso. Una di queste cautele è la tariffa. E la tariffa trova nel servizio il luogo naturale in cui assolvere alla funzione di incarnare il valore che la collettività ed i suoi rappresentanti hanno inteso conferire all’acqua. Essa è filtro di valore e al tempo stesso limite di responsabilità: limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa. Venendo poi allo specifico del sistema tariffario vigente in Italia, anche sulla scorta di quello che l’Unione Europea richiede in materia agli Stati membri, è necessario chiedersi dunque se esso rappresenti un disincentivo agli sprechi della risorsa e, in caso negativo, quali siano le criticità che non permettono alla tariffa di assolvere alla duplice funzione di filtro di valore e limite di responsabilità. Si procederà dapprima ad illustrare cosa dice la normativa comunitaria, per descrivere poi le modalità di determinazione della tariffa idrica in Italia e, successivamente, verranno evidenziati i tratti del sistema sui quali porre l’attenzione in una prospettiva di revisione, anche traendo spunto dalle iniziative intraprese da alcune Regioni. 2.2. Disposizioni comunitarie in materia di tariffa idrica La direttiva comunitaria 2000/60 non contiene previsioni in materia di tariffa idrica ma si occupa più genericamente del tema del “Recupero dei costi relativi ai servizi idrici” all’articolo 9, stabilendo, al comma 1, che gli Stati membri devono tener conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, inclusi i costi ambientali e relativi alle risorse, facendo riferimento all'analisi economica 138 effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio «chi inquina paga». Inoltre la direttiva ha fissato al 2010 il termine entro il quale gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua incentivanti per gli utenti ad usare le risorse idriche in modo efficiente, contribuendo così agli obiettivi ambientali della direttiva stessa; inoltre, sempre entro il termine indicato, gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere a realizzare un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sempre sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio «chi inquina paga». per quanto concerne quest’ultima previsione, gli Stati membri possono tener conto delle ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione in questione. In base al comma 2 dell’articolo 9, gli Stati membri devono poi riferire nei piani di gestione dei bacini idrografici circa i passi previsti per attuare quanto sopra, nonché circa il contributo dei vari settori di impiego dell'acqua al recupero dei costi dei servizi idrici. L’allegato III alla direttiva, in tema di analisi economica, dice che l’analisi economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate al fine di: “a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, di cui all'articolo 9, tenuto conto delle previsioni a lungo termine riguardo all'offerta e alla domanda di acqua nel distretto idrografico in questione e, se necessario: . stime del volume, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici, . stime dell'investimento corrispondente, con le relative previsioni; b) formarsi un'opinione circa la combinazione delle misure più redditizie, relativamente agli utilizzi idrici, da includere nel programma di misure di cui all'articolo 11 in base ad una stima dei potenziali costi di dette misure”. L'analisi economica ha quindi l'obiettivo di fornire indicazioni in relazione ai diversi usi della risorsa idrica: l'uso idropotabile; l'uso irriguo; l'uso industriale e l'uso idroelettrico. Per quanto riguarda l'uso idropotabile, va rilevato che il valore 139 dell'acqua per l'uso civile viene stimato a partire dalla considerazione che, nel caso del servizio idrico, servizio essenziale, la domanda non possa essere lasciata insoddisfatta ed in tale ottica lo strumento economico viene usato per scoraggiare gli usi meno efficienti e meno importanti, impedire gli usi impropri e gli sprechi, valorizzare gli usi più efficienti e più necessari. La direttiva induce dunque a considerare la gestione delle acque in una logica più ampia di quella attuale212: cioè non nella logica della gestione di un servizio ma in una logica di governo della risorsa, comprendente il complesso delle attività che dall’acqua dipendono (usi civili, usi irrigui, zootecnici, piscicultura, usi industriali, pozzi domestici, reti drenanti, invasi e condotte funzionali alla produzione energetica, impianti di dissalazione, ecc. …).Ed in una simile ottica lo strumento economico deve essere utilizzato come strumento per preservare la risorsa, piuttosto che come mero strumento per ripianare i costi del servizio idrico o per fare profitti, attraverso la revisione dei meccanismi economici - tariffe, canoni ed altro - e facendo emergere i conti effettivi della gestione del servizio idrico, sia contabilizzando tutti i costi e rendendoli trasparenti ai cittadini, sia cercando di internalizzarli. La gestione va inoltre considerata come unitaria: le acque superficiali, quelle sotterranee, quelle marine, devono essere viste come un unicum con lo scopo di assicurarne un uso sostenibile equilibrato ed equo, basato sull’intervento pubblico nell’economia idro-dipendente. In tale prospettiva le azioni prioritarie da mettere in campo spaziano dalla pianificazione degli usi in base al bilancio idrico di bacino al miglioramento delle tecnologie produttive e delle tecniche irrigue, fino all’applicazione di buone pratiche soprattutto agricole. La Commissione europea da anni esercita pressioni affinché gli Stati membri adottino politiche di risparmio idrico, e nel dossier ‘2012 Water Scarcity and Droughts – Policy Review’ essa passa al setaccio le azioni adottate dagli Stati membri nella lotta alla carenza idrica e alla siccità. Il dossier conferma come, attualmente, in molte zone dell’Europa l’equilibrio tra domanda di acqua e risorse idriche disponibili ha raggiunto un punto critico. Secondo la Commissione serve un impegno più incisivo a cominciare da una efficace politica di tariffazione dell’acqua, misure concordate di promozione dell’efficienza e del risparmio idrico. Sono queste, 212 Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008 140 secondo la Commissione, le condizioni che potranno permettere all’ Europa di disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. 2.3. Modalità di determinazione della tariffa idrica nell’ordinamento italiano a) Legge Galli e metodo normalizzato Prima di analizzare il recepimento a livello di diritto interno della normativa comunitaria, è necessario fare una premessa sull’origine del sistema tariffario italiano e risalire alla Legge Galli per la parte relativa alla tariffa idrica e al D.M. 1/08/1996 che ha introdotto il c.d. “metodo normalizzato” di determinazione della stessa. In materia di determinazione della tariffa occorre infatti risalire alla legge 36/94 che stabilisce in particolare che la determinazione della stessa doveva avvenire considerando i seguenti fattori: la qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, intesa sia con riferimento alle caratteristiche organolettiche dell’acqua, sia considerando l’efficienza e l’efficacia nella fornitura del servizio agli utenti; le opere e gli adeguamenti necessari, ovvero l’ammontare della spesa per investimenti necessari a conseguire gli obiettivi che sono stati predefiniti in sede di pianificazione da parte degli Ambiti; l’entità dei costi di gestione delle opere, in modo da considerare gli effetti tariffari derivanti dai costi operativi, oltre che dalla spesa per investimenti; l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, in modo da creare le condizioni per incentivare gli investimenti. In base alla Legge 36/94 la regolazione tariffaria si basa sulla distinzione tra: tariffa di Riferimento e tariffa reale e relativa articolazione tariffaria, calcolata quest’ultima attraverso specifiche formule e modalità previste da un “Metodo Normalizzato”. Tramite la tariffa di riferimento (o tariffa media) è possibile determinare le entrate complessive del gestore. “3. Il Ministro dei lavori pubblici, di intesa con il Ministro dell'ambiente, elabora un metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento. La tariffa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali, anche con riferimento a particolari situazioni idrogeologiche. 141 4. La tariffa di riferimento costituisce la base per la determinazione della tariffa nonché per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall'applicazione della presente legge. 5. La tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio idrico di cui all'articolo 11, comma 3”213. Per articolazione tariffaria, si intende l’insieme delle regole che, a parità di entrata economica per il gestore (ovvero a parità di tariffa media), consente di applicare tariffe diverse per utenti o usi diversi (ad esempio tariffe inferiori per i consumi più bassi e tariffe superiori per consumi più elevati)214. 213 214 articolo 13 legge 36/1994 La legge Galli ha rivoluzionato il sistema tariffario esistente ed in attesa della sua piena applicazione ha dato vita ad un regime transitorio che, dal 1995, prevede una Deliberazione CIPE annuale per la determinazione degli incrementi massimi ammissibili. Allo stato attuale le tariffe per uso domestico si articolano, in base al consumo (espresso in metri cubi) in: tariffa agevolata (si applica sulla quantità di acqua consumata nella prima fascia di consumo); tariffa base (si applica sulla quantità di acqua consumata eccedente rispetto alla prima fascia); tariffe eccedenza (da 1 a 3 scaglioni, si applicano ai consumi eccedenti rispetto alla seconda fascia). Il totale delle bolletta dell‘acqua che paghiamo è il risultato di più voci: •La quota fissa, calcolata generalmente su base annua; •La quota variabile, calcolata in base ai metri cubi di acqua consumati (suddivisi per scaglioni); •Canone di depurazione e canone di fognatura, variabili in base ai consumi (in genere la tariffa è unica e si riferisce all‘intero consumo) e al tipo di uso (civile o produttivo) che siamo tenuti a pagare anche in caso di assenza d‘impianto di depurazione o di sua inattività; •Iva la 10%, calcolata su tutte le precedenti voci (ad eccezione dell‘Ato pugliese che applica un‘iva al 20%). Con il pagamento della prima bolletta si versa, inoltre, un deposito cauzionale, fissato dall‘azienda, a garanzia del rispetto del contratto. La situazione prima della legge Galli Fino al 1974 le tariffe dell‘acqua erano determinate dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), senza alcun riferimento ai costi di gestione. A partire da quell‘anno il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) demandò la fissazione delle tariffe ai Comitati Provinciali Prezzi (CPP), maggiormente in grado di valutare l‘effettivo costo del servizio. L‘obiettivo era quello di eguagliare i ricavi di gestione ai relativi costi. I provvedimenti emanati dal CIP tra il 1974 e il 1975 (precisamente Provvedimenti 45 e 46 del 1974 e Provvedimento 26 142 Quindi, una volta determinata la Tariffa di Riferimento mediante il Metodo Normalizzato, sarà poi compito delle singole AATO determinare le Tariffe Reali (decise quindi al livello di regolazione periferico) che verranno effettivamente applicate all’utenza finale. Attualmente il metodo tariffario nazionale è stabilito nel D.M. L.L.P.P. 1° agosto 1996 "Metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento". In base all’allegato tecnico del decreto si stabilisce che “la tariffa di riferimento del servizio idrico integrato è lo strumento per consentire la realizzazione di adeguati livelli di servizio, per sostenere conseguenti programmi del 1975) individuarono i tratti fondamentali dell‘attuale sistema tariffario, quali l‘articolazione tariffaria per scaglioni di consumo ed il c.d. minimo garantito (ossia il quantitativo minimo d‘acqua corrispondente alle necessità domestiche fondamentali). Inoltre, il Provvedimento 26/1975 ha introdotto il c.d. minimo impegnato che consiste nel volume di acqua fatturato alle utenze indipendentemente dal consumo effettivo. In realtà la Delibera CIPE 52/01 ha previsto il superamento (mediante un percorso della durata di 4 anni) del minimo impegnato, relativamente ai consumi domestici, per tutte le tipologie di gestori. L‘obiettivo è rendere il costo dell‘acqua maggiormente correlato al consumo effettivo in modo da eliminare gli sprechi. In alternativa al minimo impegnato, la stessa Delibera CIPE ha previsto l‘estensione della quota fissa (o ex nolo contatore) a tutte le unità abitative. A partire dal 1984 gli adeguamenti della tariffa idrica furono assoggettati al limite dell‘inflazione programmata. Nella seconda metà degli anni ‘80 la situazione di grave deficit finanziario in cui versavano gli enti gestori del servizio spinse nella direzione di un allentamento dei vincoli alla crescita delle tariffe. Il cambiamento della politica tariffaria contribuì a rendere più complesso il quadro delle competenze istituzionali in materia di tariffe idriche (tra CPP ed enti locali). Un primo cenno di riforma della politica dell‘acqua è dovuto alla legge 183/89 la quale ha posto alcuni principi base: l‘individuazione degli ambiti territoriali di riferimento nel bacino idrografico; l‘istituzione delle Autorità di bacino, quali organismi specializzati esercitanti le competenze più rilevanti; l‘introduzione di uno strumento pianificatorio, il Piano di bacino. La mancanza di chiarezza sul quadro istituzionale fu accentuata dal D. Lgs 504/92 che attribuì agli enti in economia, gestori del servizio, la facoltà di variare le tariffe anche senza l‘approvazione del CPP. Così, a partire dal 1992, il corrispettivo del servizio idrico venne definito secondo diverse modalità: per le gestioni comunali dirette, gli enti locali stabilivano le tariffe in modo autonomo, mentre le aziende private di gestione rimanevano sottoposte alle autorizzazioni dei CPP. La vera rivoluzione del settore si ebbe nel 1994 con la soppressione del CIP e dei CPP e con l‘approvazione della legge Galli. 143 di investimento nell'equilibrio di bilancio, per ottenere il contenimento dei costi al consumo, il miglioramento dell'efficienza della gestione e la tutela dell'interesse dell'utenza”. “La tariffa di riferimento”, continua l’allegato, “collegata al metodo di controllo tariffario dei "limiti di prezzo”, in applicazione della deliberazione CIP n. 34 dei 18.12.91, rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni cui l'Ambito deve attenersi nello stabilire la tariffa reale media della gestione. La tariffa reale media è stabilita dall'Ambito in relazione al modello organizzativo della gestione, alla quantità e alla qualità della risorsa idrica e dal livello di qualità del servizio. La stessa è altresì fissata in funzione del piano finanziario di cui all'articolo 11, comma 3, della legge 36/94, tenuto conto dei costi reali, delle economie conseguenti al miglioramento di efficienza e al superamento della frammentazione delle attuali gestioni”. 215 La tariffa di riferimento viene determinata in base alla seguente formula: Tn = (C+A+R)n-1 (1+P +K) dove: Tn è la tariffa all'anno corrente C è la componente dei costi operativi A è la componente del costo di ammortamento R è la componente per la remunerazione del capitale investito P è il tasso di inflazione programmato per l'anno corrente K è il "limite di prezzo" Per quanto riguarda la componente dei costi operativi (c), è calcolata sulla base del confronto tra i valori modellati calcolati secondo formule indicate nell’allegato e quelli reali previsti nel piano finanziario, in modo da conseguire livelli progressivi di efficienza secondo le previsioni degli articoli 5 e 6 dello stesso allegato. Il calcolo della tariffa di riferimento all'anno iniziale (T1) è effettuato assumendo come tariffa all'anno zero ((T0) la tariffa media ponderata delle gestioni preesistenti come accorpate nella nuova gestione. 215 V. Santandrea R. (a cura di), Seminario riuso acque reflue : alcuni risultati dell’analisi economica, Bari , 25 settembre 2008 144 in sintesi, secondo il Metodo Normalizzato, i costi che le Autorità di Ambito (AATO) devono inserire nel calcolo della tariffa reale media, e che, quindi, devono essere coperti dai ricavi del servizio idrico integrato, sono dunque i costi operativi, gli ammortamenti e la remunerazione del capitale investito216. Rispetto a tali componenti, la tariffa può variare di anno in anno in risposta al tasso d'inflazione programmato per l'anno e ad un fattore K che rappresenta il limite di prezzo che può consentire alle tariffe di crescere o di diminuire in base agli obiettivi del regolatore. Per la definizione dei costi operativi, l'AATO determina, per il periodo dell'intera durata dell'affidamento, i costi operativi ottimali relativi alla gestione del servizio nel proprio territorio e, nello stesso tempo, sulla base di alcune grandezze tecniche, calcola i costi operativi di riferimento. Per i costi operativi, l’attuale metodo normalizzato prevede tre tipologie: acquedotto, fognatura, depurazione. 217 216 Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007 217 Per quanto riguarda la depurazione, i costi operativi sono definiti nell’ambito del Metodo Normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato: (2) CO = (Σn1α*(C)β * A*F) Dove: CO = costo operativo per trattamenti; C = carico inquinante trattato (Kg/g di COD) n = numero di impianti α = Coefficiente funzione classe di impianto β = Esponente funzione della classe di impianto A = Coefficiente per la difficoltà dei trattamenti – linea acque F = Coefficiente per la difficoltà dei trattamenti – linea fanghi La definizione dei costi riconosciuti in tariffa relativamente agli ammortamenti e alla remunerazione del capitale investito è legata all'eventuale ammontare del capitale investito iniziale e alla previsione annuale della spesa per investimenti. L'ammontare degli ammortamenti riconosciuti in tariffa è il risultato di una previsione che deve tenere conto della spesa, dell'entrata in esercizio dell'opera a cui la spesa si riferisce e dell'aliquota di ammortamento dei vari cespiti che compongono l'investimento. 145 b) recepimento della normativa comunitaria nel codice dell’ambiente La legge Galli è stata quasi interamente abrogata dal D.lgs. 152/06 TU Ambiente anche se la maggior parte delle sue disposizioni rivivono nello stesso. Il D.Lgs. 152/2006 recepisce inoltre l’articolo 9 della direttiva 2000/60 nell'art. 119 che disciplina il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici. Nell’articolo in questione, al comma 2, si stabilisce che “entro il 2010 le Autorità competenti provvedono ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua idonee ad incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente ed a contribuire al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE” e che “… dovranno comunque essere tenute in conto le ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero dei suddetti costi, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione. In particolare: a) i canoni di concessione per le derivazioni delle acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi all'utilizzo dell'acqua; b) le tariffe dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, quali quelli civile, industriale e agricolo, contribuiscono adeguatamente al recupero dei costi sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto”. L’articolo 154 del Codice dell’Ambiente disciplina nella specifico la tariffa idrica, prevedendo che “La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato La remunerazione del capitale investito, ottenuta moltiplicando il valore della previsione di capitale investito medio per un tasso del 7% (al lordo delle imposte), è destinata a far fronte ai costi del capitale di terzi e del capitale di rischio. 146 hanno natura di corrispettivo”. Al comma 2 del medesimo articolo si prevede che Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", definisca con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua e, al terzo, che “con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, siano stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate” al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale. Sempre in base alla citata normativa è l'Autorità d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1, lettera d),218 a determinare la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, assicurando, nella modulazione della tariffa, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e 218 L’articolo 149 del D.lgs. 152/06 stabilisce che l'Autorità d'ambito provvede alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito. E specifica che Il piano d'ambito è costituito dai seguenti atti: a) ricognizione delle infrastrutture; b) programma degli interventi; c) modello gestionale ed organizzativo; d) piano economico finanziario. 147 industriali. La tariffa viene poi applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare ed è riscossa dal gestore del servizio idrico integrato. Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati entro trenta giorni dalla riscossione. In tema di recupero dei costi, il sistema tariffario in vigore in Italia prima del referendum di giugno 2011, prevedeva inoltre la remunerazione del capitale investito dai soci pubblici o privati dei gestori individuati dagli Ambiti. Per attrarre capitali in questo settore e finanziare gli ingenti investimenti previsti in Italia la legge Galli e poi l’articolo 154 comma 1 del TU Ambiente, stabilivano che potesse essere considerata in tariffa, una remunerazione del capitale investito fino al massimo del 7 per cento. Con questa quota di tariffa i gestori avrebbero pagato gli oneri finanziari derivanti dai prestiti contratti per gli investimenti oppure i dividenti (utili) ai soci che hanno investito capitale proprio nell’azienda di gestione. In tema di tariffa del servizio idrico, a seguito dell’esito referendario c’è stata l’abrogazione dell’art. 154 del d. lgs. n. 152 del 2006, limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale investito. E’ stata cancellata la previsione dell’«adeguata remunerazione del capitale investito». Questo significa che i gestori, di qualunque natura essi siano (pubblici, privati o misti), non riceveranno più il 7% del capitale investito che veniva riversato sui costi della bolletta dell’acqua. Il quesito non cancella però le norme che stabiliscono come si calcola la tariffa, compresa la parte in cui si indica il 7% come tasso di remunerazione. Resta vigente anche un’altra norma, specchio di quella abrogata: l’art. 117 del Testo unico degli enti locali (DLgs 267/2000) che, al comma 1, prevede «l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato». Al riguardo la stessa Corte Costituzionale ha parlato di «incertezza dell’effetto giuridico in caso di esito positivo del referendum» (sent. 26/2011). c) La Corte Costituzionale in materia di tariffa idrica 148 In materia di tariffa per il servizio idrico integrato, è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, nella sentenza 29/2010, ha stabilito che la determinazione della stessa spetta allo Stato e non alla Regione, perché la "metodologia tariffaria" è finalizzata a tutelare in maniera uniforme su tutto il territorio italiano il bene giuridico. La pronuncia dichiara illegittima la legge regionale dell' Emilia Romagna che prevede l'individuazione della "tariffa di riferimento", costituente il corrispettivo del servizio idrico integrato, e che attribuisce alla regione il compito di redigere il relativo piano economico e il piano finanziario, in quanto contraria non solo alla competenza esclusiva attribuita allo Stato dalla Costituzione, così come riformata nel 2001, in materia sia di tutela ambientale, sia di concorrenza219 ma anche alle disposizioni in materia del Dlgs 152 /06. La Corte Costituzionale già con la sentenza n. 246 del 2009, affermava che attraverso la determinazione della tariffa nell’ambito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144, 145 e 146 del d.lgs. n. 152 del 2006. Nella medesima pronuncia si è altresì sottolineato che «la finalità della tutela dell’ambiente viene in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare», tra i quali il legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio “chi inquina paga”» (art. 154, comma 2). Sotto altro − ma connesso − proqilo, continua la Corte, nella determinazione della tariffa viene poi in rilievo la materia della tutela della concorrenza; ciò in quanto «alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’ambito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio220. Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap - ossia attraverso la fissazione di un tetto limite - (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario 219 art. 117 Cost. primo e secondo comma lettere e) e s) 220 art. 151, comma 2, lettere sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 n. 51 del 2008. c, d, e 149 unico abusi della sua posizione dominante.221 L'uniforme metodologia tariffaria, adottata con l'interposta legislazione statale, e la sua applicazione da parte delle Autorità d'ambito, è finalizzata a preservare il bene giuridico "ambiente" dai rischi derivanti da una tutela non uniforme e a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato. Tali finalità non potrebbero essere realizzate se dovesse trovare applicazione la normativa regionale, la quale prevede la determinazione di oneri tariffari ulteriori o diversi. Dunque la legge regionale, pur operando nell'ambito della normativa statale modificherebbe il processo di determinazione tariffaria puntualmente delineato dal legislatore statale. Essa incide, in particolare, sulle attribuzioni dei soggetti preposti al servizio idrico integrato. Garanzia della tutela e dell’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardia della vivibilità dell’ambiente e delle aspettative e diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale rappresentano pertanto gli scopi che, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, la determinazione tariffaria statale deve perseguire, oltre al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio, per evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante: preservazione del bene giuridico "ambiente" dai rischi derivanti da una tutela non uniforme e garanzia di uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato. La Corte Costituzionale, nella precedente sentenza n. 335/2008, aveva poi definito la tariffa idrica come “un corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova la sua fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza". La Corte affermava inoltre che: 221 sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 e n. 51 del 2008 150 "L'inestricabile connessione delle suddette componenti e' evidenziata, in particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura di servizi di fognatura e depurazione. (...). L'unitarietà' della tariffa impedisce infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea e, conseguentemente che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale. E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto servizio come un tutto unico, nell'ambito del quale la suddivisione in quote risponde solo all'esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare" . 2.4 Rilievi critici La prima considerazione che emerge dall’illustrazione del sistema tariffario vigente in Italia - risultante dal combinato disposto del codice dell’ambiente e del vigente D.M. 1/08/1996 - concerne la mancata concretizzazione di quanto previsto in materia di costi ambientali, pur riferendosi ad essi esplicitamente sia la Corte Costituzionale italiana sia la Direttiva Comunitaria sulle Acque. Nella parte del presente lavoro dedicata all’analisi comparata si vedrà come invece in Olanda (ma si potrebbe citare anche il caso degli Stati Uniti) una parte consistente della tariffa idrica è costituita da imposte a tutela dell’ambiente: si possono citare, a titolo esemplificativo, la tassa sull’inquinamento, l’imposta provinciale per la conservazione delle acque sotterranee e la tassa denominata “green tax” sulle acque sotterranee come risorse naturali. Un altro risultato delle compagnie idriche olandesi, in confronto ad altri paesi, è costituito dal fatto che l’acqua non contiene alcun additivo. In Italia non si fa menzione alcuna di tale valore aggiunto alla qualità della risorsa. Sempre in tema di costi, in Olanda è pacificamente accettato che il trenta per cento del costo di purificazione dell’acqua sia attributo all’acqua piovana, nel senso che il più importante fattore di costo è la capacità idraulica richiesta per pomparla dalla rete fognaria. Oltre a ciò, ogni consiglio distrettuale idrico (c.d. water boards) fissa il proprio prezzo per unità di 151 inquinamento. I costi per questa gestione della qualità delle acque vengono ripartiti su un numero di “unità di inquinamento equivalenti” attraverso la tassa sull’inquinamento, che di fatto crea una sorta di meccanismo di determinazione del prezzo. I costi per la qualità dell’acqua, oltre al numero delle unità di inquinamento che devono essere trattate, sono anche determinati dagli elevati standards di qualità richiesti. Nonostante il recepimento delle disposizioni comunitarie nel codice dell’ambiente italiano, il metodo normalizzato del 1996 nulla dice in merito a livelli di tutela ambientale e di qualità dell’acqua, risalendo appunto a prima della direttiva 60/2000 e non essendo mai stato ad oggi rivisto. Esso non consente pertanto di attuare una gestione sostenibile della risorsa in quanto esclude completamente il fattore “ambiente” dalla propria valutazione. Il metodo non muove dalla natura del bene ma esclusivamente da uno schema economico astratto non rispondente ad esigenze di razionale gestione della risorsa e privo di riscontri di tipo ambientale. Il D.Lgs. 152/2006 all’art. 154 prevede invece che il Ministro dell'Ambiente, su proposta del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, elabori con decreto un Metodo tariffario, in modo che sia assicurata la copertura dei costi di investimento e di esercizio e tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga". Il Metodo tariffario attualmente in vigore al punto 11 (D.M. 1/08/1996), stabilisce che il Comitato, con cadenza quinquennale, proponga al Ministro eventuali modifiche per tenere conto, tra l'altro, di nuove disposizioni normative, di evoluzioni tecnologiche, di variazioni finanziarie ovvero di cause straordinarie che afferiscano alla generalità del territorio nazionale. Nel maggio del 2002, il Comitato di Vigilanza sulle risorse idriche (Co.vi.ri.), dopo ampia consultazione di tutti i soggetti interessati, ha sottoposto all'allora Ministro dell'ambiente, una proposta di aggiornamento del Metodo normalizzato, che però non fu emanato222. Ad oggi dunque manca un raccordo concettuale e pratico tra le disposizioni di legge che recepiscono la normativa comunitaria in materia di tariffa idrica e il metodo vigente per la determinazione della stessa. Una seconda considerazione che può essere fatta in merito al metodo tariffario 222 Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007 152 attualmente applicato in Italia, concerne poi la mancata fissazione di obiettivi minimi di collegamento alla rete per i gestori. In genere, per i gestori sono i costi di distribuzione (la principale rete idrica) a costituire la parte maggiore del prezzo del servizio. Nei Paesi più all’avanguardia in materia di gestione idrica integrata, le compagnie garantiscono gli allacci alla rete proteggendo tali investimenti da eventuali rischi di aumento dei costi di fornitura dell’acqua - come detto i maggiormente rilevanti - attraverso il miglioramento continuo della qualità dell’acqua e investendo in tecnologie di purificazione o prevenendo la contaminazione delle risorse idriche. Nel nostro ordinamento al riguardo l’articolo 6 del D.M. 1 del 1996 introduce una previsione che può essere di ausilio: si stabilisce infatti che “nel determinare la tariffa reale media da applicare nel periodo della durata del piano, l'Ambito delibera un coefficiente di miglioramento dell'efficienza che il gestore, anche per effetto dei previsti investimenti, deve rispettare mediante riduzione della componente tariffaria relativa ai costi operativi”. Pertanto l’Ambito detiene il potere di stabilire di quanto debba incrementarsi l’efficienza della gestione in termini di abbattimento nel corpus della tariffa dei costi operativi. Inoltre, l’articolo 8 del citato Decreto Ministeriale, prevede che “l'Ambito, ferma restando la verifica triennale nell'applicazione della tariffa, può in qualsiasi momento intervenire nel caso di significativi scostamenti dalle previsioni del piano finanziario e gestionale in ordine a: a) raggiungimento dei livelli di servizio previsti dal piano anche a seguito dei relativi investimenti, valutando le variazioni al limite di prezzo "K" o le penalizzazioni, e i rimborsi secondo quanto previsto nella convenzione di gestione, specialmente in merito alle componenti "ammortamento" e "ritorno del capitale" sulla tariffa; b) corrispondenza tra l'incasso derivante dall'applicazione della struttura tariffaria e l'incasso previsto per effetto della tariffa media stabilita nella convenzione di gestione, al fine di apportare le conseguenti variazioni. Un’altra questione di rilievo riguarda infine la raccolta e pubblicazione di un quadro statistico completo sugli andamenti storici delle tariffe su tutto il 153 territorio nazionale al fine di recuperare le informazioni relative al passato, di stabilire idonee regole della tempistica di adozione dei provvedimenti sulle tariffe e di comunicazione al Comitato e di evitare che l’opinione pubblica si orienti sull’ argomento in base a informazioni che trovano larga diffusione ed udienza, anche se, a volte, prive della necessaria validazione. Quanto esposto sopra evidenzia l’urgenza di mettere mano ad un lavoro di modernizzazione del metodo vigente in materia di tariffa idrica, soprattutto al fine di garantire un accesso sostenibile alla risorsa, come tra l’altro espresso dal Co.vi.ri. in un recente Rapporto sul metodo Normalizzato in cui esso pone l’accento appunto sulla necessità di una revisione dell'attuale Metodo Tariffario, soprattutto in conseguenza delle variate condizioni economiche, ambientali e normative che hanno fatto emergere alcune necessità di modifica223. Innanzitutto, secondo quanto risulta dal Rapporto in esame, è necessario dare una più adeguata definizione delle attività che fanno parte del servizio idrico integrato per tutelare il consumatore dal rischio di finanziare attività ulteriori del gestore. Poi, per garantire un più rigoroso rispetto del disincentivo a vendere più acqua, rendere effettivo il trasferimento di parte del recupero di efficienza all'utente, bisogna legare in modo più diretto gli incrementi tariffari non solo alla realizzazione degli investimenti, ma anche al miglioramento delle prestazioni del gestore relativamente allo stato delle infrastrutture e ai livelli di servizio all'utente è necessaria una più adeguata definizione delle regole che presidiano la revisione tariffaria periodica. Al fine di rendere più efficace la tutela degli utenti e di riequilibrare le tariffe fra i vari usi (domestica e produttiva), anche in applicazione del principio "chi inquina paga", è necessaria la definizione di un nuovo sistema di articolazione della tariffa, che superi i vecchi provvedimenti CIP del 1974 e 1975, e introduca forme di tutela delle utenze deboli224. Allo 223 Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007 224 INDAGINE DI CITTADINANZATTIVA SUI COSTI DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO IN ITALIA Fonte: Cittadinanzattiva – Osservatorio prezzi e tariffe, 2007 Massa è la città in cui il servizio idrico integrato costa meno (99 € annui); tra le dieci città più care ben sette sono in Toscana: record ad Arezzo (355 €) e a Livorno (335 €), a testimonianza di una marcata disparità del costo dell’acqua fra le diverse province italiane, anche all’interno di una stessa Regione. 154 Nello studio realizzato dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, l’analisi a carattere nazionale del Servizio Idrico Integrato (acquedotto, canone di fognatura, canone di depurazione e quota fissa o ex nolo contatori) in termini di costo sopportato da una famiglia di tre persone che consuma all’anno 192 metri cubi di acqua, in linea con quanto calcolato dal Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche nell’ultima relazione al Parlamento. Complessivamente, in media, in un anno la nostra famiglia tipo sostiene una spesa di 215 € per il servizio idrico integrato, con un aumento del 5% rispetto alla spesa sostenuta nello scorso anno, come confermato anche da dati Istat che segnalano, inoltre, un incremento tariffario dell’acqua potabile, da gennaio 2000 ad oggi, del 23%. Caro acqua: in una provincia, il servizio idrico integrato può avere costi anche tre volte superiori rispetto ad un’altra provincia, e più che doppi tra province nell’ambito di una stessa regione. Ad esempio, in Toscana tra Arezzo e Massa la differenza di spesa annua per il servizio idrico è addirittura di 256 euro; in Piemonte, tra Asti e Cuneo intercorre una differenza di 171 €, e situazioni simili si riscontrano in Veneto, Sicilia, Emilia, Marche e Liguria. Marcata la differenza tariffaria tra le diverse regioni: le tariffe al di sopra della media nazionale si riscontrano, nell’ordine, in Puglia, Toscana, Emilia Romana, Marche, Umbria, Sicilia e Basilicata. Le 10 città in cui il servizio idrico integrato costa di più Le 10 città in cui il servizio idrico integrato costa di meno Città Spesa annua (2006) Città Spesa annua (2006) Arezzo € 355 Massa € 99 Livorno € 335 Milano € 106 Pesaro € 315 Cuneo € 110 Prato Isernia € 116 Pistoia € 309 Lecco € 119 Firenze € 309 Novara € 123 Ferrara € 308 Udine € 131 Urbino € 307 Pordenone € 131 Siena Lodi € 135 Verona € 146 € 309 € 306 Grosseto€ 306 L’indagine ha preso ad oggetto le tariffe del servizio idrico ad uso domestico applicate nel biennio 2005 e 2006 in tutti i capoluoghi di provincia delle venti regioni italiane, ed è stata realizzata da rilevatori civici di Cittadinanzattiva. I dati sono stati reperiti direttamente dagli Ato o dai gestori del servizio idrico nelle città interessate dalla rilevazione, e tutti i costi sono stati considerati comprensivi di Iva al 10%. Anno 2006: Spesa media annua per singole voci e per regioni, e variazioni 2005/2006 155 scopo di recepire i principi sanciti dalla direttiva comunitaria 2000/60 per il Regione Acquedotto-Depurazione-Fognatura-Quota fissa-Totale 2006-Totale 2005-Variazione Abruzzo € 91 € 62 € 22 €9 € 184 € 182 +1% Basilicata € 120 € 57 € 21 € 21 € 219 € 214 +2.3% Calabria € 95 € 58 € 20 € 11 € 184 € 180 +2.2% Campania € 108 € 56 € 20 €7 € 191 € 191 +0% Emilia R. € 155 € 71.5 € 26.5 € 10 € 263 € 249 +5.6% Friuli V.G. € 60.5 € 57 € 26.5 € 20 € 163 € 156 +5% Lazio € 101 € 60 € 20 € 15 € 197 € 193 +2% Liguria € 108 € 54 € 31 € 12 € 205 € 203 +1% Lombardia € 58 € 68 € 30 €8 € 164 € 162 +1.2% Marche € 142 € 64 € 29 € 15 € 250 € 228 +9.6% Molise € 64 € 56 € 12 €4 € 136 € 136 +0% Piemonte € 96 € 60.5 € 27.5 € 14 € 198 € 191 +3.7% Puglia € 176 € 71 € 25 € 28 € 299 € 294 +1.7% Sardegna € 113 € 60 € 24 € 17 € 214 € 214 +0% Sicilia € 138 € 56 € 20 € 10 € 224 € 224 +0% Toscana € 127 € 78 € 52 € 20 € 277 € 263 +5.3% Trentino € 57 € 89 € 28.5 € 4.5 € 179 € 170 +5.3% Umbria € 115 € 63 € 40 € 28 € 246 € 199 +24% Veneto € 75 € 65 € 38 € 14 € 192 € 187 +2.7% Valle d’Aosta € 68 € 55 € 18.5 € 5.5 € 147 € 144 +2% Italia € 108 € 65 € 29 € 215 € 204 +5% € 13 Le 10 città in cui si sono riscontrati i più rilevanti incrementi tariffari nel periodo 2005/2006 Macerata € 211 € 149 42,0% Terni € 272 € 194 40,0% Vibo V. € 190 € 149 28,1% Piacenza € 181 € 146 24,0% Gorizia € 164 € 133 23,0% Chieti € 150 € 130 15,4% Ascoli P. € 210 € 189 11,0% Perugia € 220 € 204 7,9% Padova € 211 € 196 7,8% Bolzano € 168 € 156 7,5% 156 raggiungimento nel SII degli obiettivi da essa stabiliti è necessario approntare una nuova politica tariffaria. Per rendere più efficace il miglioramento del servizio all'utente, il conseguimento degli obiettivi in materia ambientale e il miglioramento dello stato delle infrastrutture è necessario introdurre un meccanismo tariffario che risponda, con penalità e premi, al raggiungimento di prefissati livelli di qualità del servizio, da definirsi sulla base di un bench marking nazionale. Per evitare forme di ammortamento che comportano un incremento delle tariffe e un'iniquità intergenerazionale e per contribuire al contenimento delle tariffe all'utenza bisogna introdurre una diversa definizione degli ammortamenti per investimenti ammissibili in tariffa, escludendo forme di ammortamento più brevi rispetto alla vita utile dei beni. Altre finalità alla base della proposta di revisione del Metodo Normalizzato riguardano la possibilità di trasferire almeno una parte del miglioramento di efficienza all'utente, sotto forma di una riduzione o di un minor incremento della tariffa, attraverso una più precisa ed incisiva definizione dei meccanismi attraverso i quali si incentiva il gestore a raggiungere un livello di efficienza più elevato. L'adeguamento del Metodo normalizzato, prosegue il Rapporto del COVIRI, si rende ancora più urgente anche di fronte a iniziative regionali che, con l'introduzione di metodologie tariffarie proprie, finiscono per favorire alcuni operatori a discapito di altri e dell'utente, anche in violazione del principio comunitario di tutela della concorrenza. 2.5 Tariffa idrica: aspettative fallite e potenzialità attuali derivanti dell’esperienza regionale225 225 sul tema vedi Caroselli A., Brevi riflessioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in materia di servizio idrico, www.dirittodeiservizipubblici.it; Mancuso C., il servizio idrico integrato in Emilia Romagna: tra esigenze di aggregazione e nuovi municipalismi, in Le istituzioni del Federalismo 2.2006; Panero E.T., nota a sentenza Corte Costituzionale - Sentenza 335/08, L’illegittimità costituzionale del servizio idrico nella indebita richiesta di corresponsione della tariffa di un servizio [depurazione] non prestato; Tariffa Acqua Sintesi delle relazioni annuali Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna - Tratto da Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una politica sociale; Todarello F., La gestione del servizio idrico integrato in Lombardia: sbagliando s’impara, in Acqua e Territorio, 22 febbraio 2009 e inoltre le sentenze della Corte Costituzionale 335/2008, 246/2009, 307/2009, 157 Tariffa idrica come filtro di valore e al tempo stesso limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa. Queste erano le aspettative che la legge Galli riponeva nello strumento tariffario. Il sistema gestionale da un lato di carattere “economico” fondato sulla copertura dei costi con i ricavi e, dall’altro, finalizzato a realizzare criteri solidaristici di accessibilità alla risorsa, individuava nella tariffa lo strumento principale di attuazione. Allo stato attuale, ed alla luce delle considerazioni sopra svolte, il sistema così come organizzato esclusivamente sull’elemento della tariffa e strutturato secondo i dettami del metodo normalizzato, ha avuto una attuazione lenta e non ha raggiunto gli obiettivi fissati. Giova infine ricordare di nuovo come la stessa collettività si sia espressa, in sede di referendum, nel senso dell’abrogazione della disposizione che definiva la tariffa come il corrispettivo del servizio idrico integrato e che stabiliva che tale corrispettivo venisse determinato tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale investito. Lo strumento tariffario in genere rappresenta nel contesto del servizio idrico la chiave di volta in termini di garanzia di accessibilità ed universalità in tutto il territorio nazionale. A fronte della difficoltà di realizzare obiettivi di efficienza ed accesso generalizzato, alcune regioni, come l’Emilia Romagna e la Lombardia226, 29/2010, 142/2010 e 325/2010. Siti d’interesse: www.regione.emilia-romagna.it e http://www.ato-bo.it/procapite/tariffa_procapite.html 226 La regione Lombardia, così come l’Emilia Romagna, nel dare attuazione alla legge Galli, ha introdotto, in materia di tariffa, una variante al metodo normalizzato. il Metodo lombardo di determinazione della tariffa presenta criticità rilevanti rispetto al Metodo normalizzato, in quanto: 158 1. il livello di ricavo permesso oltre a non incentivare il gestore a massimizzare la produttività e ad adottare un comportamento efficiente, lo incentiva a incrementare le vendite in violazione del principio di un uso sostenibile della risorsa e di una politica di risparmio; 2. ammette costi in tariffa che non sono riconosciuti dal Metodo normalizzato e non prevede alcun sistema di efficientamento; 3. applica aliquote di ammortamento non conformi al Metodo e consente anche l’ammortamento finanziario; 4. raddoppia la voce relativa alla remunerazione, prevedendola sia sull’attività svolta dal soggetto erogatore che sugli investimenti realizzati dalla società patrimoniale; 5. non prevede un limite massimo di crescita annuale delle tariffe; In materia di SII in Lombardia è intervenuta a più riprese la Corte Costituzionale: con la sentenza 307/2009 (sulla l. 26/2003) e 142/10 (sulla legge 1/2009). La sentenza 307/2009 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1 della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 che stabiliva il principio della separazione obbligatoria dell’attività di gestione delle reti da quella di erogazione del servizio. Secondo la Corte la norma regionale violava la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni. Con la sentenza 142/10 la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 4, comma 1 della l.r. 1/2009 in quanto esso attribuiva la funzione di controllo sul piano d’ambito alla Giunta regionale, competenza propria del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle risorse Idriche (Coviri) ex D.lgs. 152/06. La Corte inoltre ha dichiarato l’incostituzionalità di altri articoli della l.r. 29/10 ; affermando, in materia di tariffa idrica, che “Le norme censurate recano una disciplina della tariffa del servizio idrico integrato, prevedendo che questa sia determinata sulla base delle prescrizioni dell’amministrazione regionale, mentre i citati parametri interposti dei commi 2 e 4 dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuiscono al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la definizione delle componenti di costo per la determinazione della «tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua» e all’Autorità d’àmbito la determinazione della tariffa di base”. La Consulta ha affermato poi che “la separazione della gestione delle reti dall’erogazione del servizio non giustificherebbe “un diverso sistema tariffario, neppure riferito al metodo, attribuito alla competenza esclusiva statale, in quanto anche in questo caso risulta applicabile il Metodo normalizzato di cui al D.M. 1 agosto 1996, visto che detto Metodo prevede una tariffa reale media costituita da tre componenti di cui due relativi agli investimenti (ammortamento e remunerazione) tra i quali possono rientrare le competenze del gestore delle reti”. La Regione Lombardia ha invece precisato che “la previsione di una competenza regionale nella procedura di determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato risponde all’esigenza di garantire un sistema tariffario adeguato alle esigenze delle realtà locali”. Essa ritiene inoltre “il metodo normalizzato fissato dalla normativa statale per la determinazione della tariffa ispirato a criteri inadeguati alla realtà lombarda, perché «determina aumenti tariffari ingenti ed illogici, che si ripercuotono in maniera insanabile a danno dei consumatori e degli utenti più deboli»”. 159 hanno sperimentato variazioni al sistema tariffario nazionale, incorrendo però talvolta in violazioni del dettato costituzionale. Appare utile ripercorre brevemente l’esperienza dell’Emilia Romagna per capire quali alternative possibili siano state elaborate e tentate per superare le criticità del sistema. a. Il metodo emiliano In applicazione della legge 36/94 (cd. legge Galli), tutte le regioni si sono dotate di una legge di attuazione in materia di servizio idrico integrato: per l’Emilia Romagna la legge n. 25 del 6 settembre 1999. (poi modificata ed integrata dalle leggi regionali n.27 del 21/10/2001, n.1 del 28/01/2003, n. 7 del 14/04/2004 e n. 10 del 30/06/2008). Essa presenta la peculiarità di accorpare in un unico testo normativo la disciplina del servizio idrico integrato e quella del servizio di gestione dei rifiuti urbani. L’Emilia Romagna ha inoltre provveduto (sempre ex lege Galli) ad istituire ambiti territoriali ottimali, punto di riferimento organizzativo per enti locali ai fini della concreta predisposizione del servizio. Questo con la legge 25/99 e altri atti: delibere di giunta n. 2680 del 3 dicembre 2001, n.1550 del 28 luglio 2003 e n.2679 del 3 dicembre 2001. 227 Nel territorio regionale sono delimitati, in corrispondenza con il territorio di ciascuna Provincia e con l'Area metropolitana di Bologna come determinata dalla L.R. 12 aprile 1995 n. 33, nove ambiti. 228 L’articolo 8ter della legge 25/99 assegna alle 227 Legge regionale del 06/09/1999 n. 25 Delimitazione degli Ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani ; Delibera della Giunta regionale del 03/12/2001 n. 2680 Indirizzi e linee guida per la prima attivazione del servizio idrico integrato ; Delibera della Giunta regionale del 03/12/2001 n. 2679 Approvazione della convenzione tipo per la regolazione dei rapporti tra le agenzie d'ambito e i soggetti gestori dei servizi idrici integrati; Delibera della Giunta regionale del 28/07/2003 n. 1550 Emanazione aggiornamento "Indirizzi e linee guida per l'organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato" e "Primi elementi di indirizzo e linee guida per l'organizzazione del servizio gestione rifiuti urbani" 228 1) Ambito territoriale ottimale di Piacenza 2) Ambito territoriale ottimale di Parma 3) Ambito territoriale ottimale di Reggio Emilia 4) Ambito territoriale ottimale di Modena 160 Autorità d’ambito - che in E.R. prendono il nome di Agenzie d’Ambiti per i servizi pubblici - il compito di procedere all’affidamento del servizio. Per la compiuta attuazione del servizio idrico integrato, l'Agenzia, approva il piano di ambito per l'organizzazione unitaria del servizio idrico integrato e l'applicazione di un'unica tariffa di riferimento in ciascun ambito. Il piano è predisposto nel rispetto del piano regionale di tutela, uso e risanamento delle acque,nonché sulla base della ricognizione delle opere di adduzione, di fognatura e di depurazione esistenti. Esso,in particolare,: a) stabilisce il modello gestionale e organizzativo; b) determina i livelli di servizio da assicurare all'utenza; c) determina il programma degli interventi con le relative priorità e il piano finanziario; d) determina la tariffa di riferimento unica per l'intero ambito. In tema di infrastrutture, la legge 25/99 (art. 8 bis) vieta espressamente la separazione tra gestione degli impianti ed erogazione del servizio. 229Altra differenza dal disposto della legge Galli in Emilia Romagna riguarda la mancata previsione dell’affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico (c.d. in house providing). Inoltre la norma regionale non contiene la previsione espressa che l’affidamento diretto a società mista possa avvenire solo nel caso in cui il socio privato sia stato scelto con gara. Altra peculiarità della legge 25/99 rispetto alla legge Galli riguarda la previsione di una c.d. clausola di salvaguardia come strumento per favorire il passaggio dalle vecchie alle nuove gestioni previste In materia di tariffa del SII la l.r.25/99, all’articolo 13 (modificato comma 2 da art. 28 L.R. 21 agosto 2001 n. 27; modificato comma 1 da art. 13 L.R. 28 gennaio 2003 n. 1), rubricato “Tariffa per il servizio idrico integrato”, stabilisce che 5) Ambito territoriale ottimale di Bologna 6) Ambito territoriale ottimale di Ferrara 7) Ambito territoriale ottimale di Ravenna 8) Ambito territoriale ottimale di Forlì-Cesena 9) Ambito territoriale ottimale di Rimini. 229 Art. 8 bis (articolo aggiunto da art. 7 L.R. 28 gennaio 2003 n. 1) Gestione delle reti ed impianti 1. Per il servizio idrico integrato e per il servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, così come definito all'articolo 15, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali destinati all'esercizio dei servizi non può essere disgiunta da quella di erogazione degli stessi. 161 1. L'Agenzia sulla base del metodo normalizzato per la tariffa di riferimento, di cui al decreto dei Ministero dei Lavori Pubblici 1 agosto 1996, determina la tariffa **à** che assicura la copertura integrale dei costi e delle remunerazioni indicate al comma 2 dell'art. 13 della legge n. 36 del 1994. 2. Al fine di salvaguardare esigenze sociali di riequilibro territoriale e per perseguire il razionale utilizzo dell'acqua l'Agenzia può articolare le tariffe per fasce territoriali, per tipologia d'utenza e per fasce di consumo. **In particolare, l'Agenzia articola opportunamente le tariffe, tenendo conto dell'esigenza di tutela degli interessi delle zone montane sulle sorgenti e sulle risorse idriche, in coerenza con le politiche di valorizzazione e di sostegno di detti territori.** La legge regionale del 14/04/2004 n. 7 modifica la legge 25/99 attraverso l’inserimento dell’articolo 25 ter. Esso prevede che con decreto del Presidente della Giunta regionale sia stabilito il metodo per definire la tariffa relativa al servizio idrico integrato ed alla gestione dei rifiuti, sentite le organizzazioni economiche, sociali e sindacali maggiormente rappresentative sul territorio regionale e previo parere della Commissione consiliare competente. Inoltre la legge stabilisce che il metodo deve essere determinato tenendo conto di meccanismi incentivanti il risparmio delle risorse ambientali per la sostenibilità dello sviluppo, della qualità del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari al servizio, dell'entità dei costi di gestione e dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito in modo che sia assicurata la copertura dei costi di investimento e di esercizio. Il metodo dovrà tenere conto degli oneri relativi alla tutela della risorsa idrica nel territorio montano al fine di favorire la riproducibilità della risorsa nel tempo e il conseguimento di un più elevato livello di qualità. Per le successive determinazioni della tariffa il metodo tiene conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Conseguente alla legge 7/2004 è la determinazione n.5749 del 16 aprile 2004 con cui è stato costituito il gruppo di lavoro regionale interistituzionale formato da funzionari della Regione Emilia Romagna, Agenzie d’ambito e tecnici indicati da Confservizi. Il gruppo è stato creato con il compito di formulare una proposta aggiornata di metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione 162 della tariffa di riferimento per il SII dell’E.R. Con decreto del presidente della giunta regionale 13 marzo 2006, n.49 (modificato successivamente dal DPGR n.274 del 13/12/2007), sulla base della proposta presentata dal gruppo di lavoro, è stato poi approvato il metodo tariffario per la regolazione e la determinazione della tariffa del Servizio idrico integrato. La peculiarità della tariffa emiliana è prevista dall’articolo 4 del decreto, che introduce il fattore di performance complessiva PCn. Esso consente il riconoscimento di un incentivo ai gestori che forniscono un servizio di elevata qualità ed in linea con i canoni di tutela dell’ambiente e della risorsa per mezzo di un incremento della tariffa. Di contro, gli utenti dei gestori che forniscono un servizio di livello inferiore beneficeranno di una riduzione della tariffa in modo da disincentivare il gestore a mantenersi su bassi livelli di qualità o a sfavorire politiche di tutela ambientale. L’articolo 10 stabilisce poi che le Agenzie d’ambito determinano l’articolazione tariffaria dell’Ambito sulla base del metodo normalizzato per la tariffa di riferimento, che assicura la copertura integrale dei costi e delle remunerazioni indicate al comma 2 dell'art. 13 della legge n. 36 del 1994. In estrema sintesi le principali novità introdotte in Emilia Romagna riguardano la promozione della qualità del servizio reso e del risparmio e conservazione della risorsa attraverso meccanismi di incentivazione o disincentivazione, una maggiore flessibilità del limite di prezzo “k”;, la possibilità di separazione tra tariffa di acquedotto e tariffa di fognatura-depurazione (distinzione dei costi, principio “chi inquina paga” per la depurazione); maggiore adeguatezza della remunerazione del capitale investito, aggiornamento e ridefinizione della tariffa relativa ai reflui produttivi, miglioramento del meccanismo dell’efficientamento della gestione; regolazione dei canoni antincendio; etc.230 Nel sistema delineato dalla legge Galli spetta allo Stato (Ministro dell’Ambiente) con proprio decreto la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa idrica e poi, è l’Autorità d’ambito a determinare 230 successivamente la tariffa di riferimento ai fini della Sintesi delle Relazioni sullo stato delle tariffe dei servizi idrici, Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna , Tariffa Acqua Sintesi delle relazioni annuali , Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna - Tratto da Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una politica sociale 163 predisposizione del relativo piano economico e finanziario. Il metodo tariffario per la determinazione della tariffa è invece determinato dal Comitato di vigilanza per le Risorse Idriche (CO.VI.RI.) L’articolo 2 della legge regionale E.R. 10/2008231, prevede invece che sia la Regione ad individuare la “tariffa di riferimento” e a redigere il relativo piano economico e finanziario.232 Inoltre il comma 7 della citata legge prevede l’introduzione di una struttura organizzativa peculiare233 - il cui costo di funzionamento è a carico della tariffa - per l’adempimento dei compiti di individuazione della tariffa di riferimento e redazione del piano economico e finanziario. 234 Sul punto è intervenuta di recente la Corte Costituzionale, con la sentenza 29/2010 che ha dichiarato 231 Legge regionale 30 giugno 2008, n. 10 Misure per il riordino territoriale, l'autoriforma dell'amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni 232 Art. 28 comma 2 “La Regione esercita le funzioni di regolazione economica e di regolazione dei servizi in raccordo con le Autonomie locali provvedendo, in particolare, alla redazione del piano economico e del piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 4 e all'articolo 203, comma 3 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché alla individuazione della tariffa di riferimento ai fini della proposizione ai soggetti partecipanti alla forma di cooperazione di cui all'articolo 30 della regolazione tariffaria. (1) Con direttiva della Giunta regionale sono ulteriormente specificate le attività connesse alle suddette funzioni e in particolare le modalità essenziali di partecipazione degli utenti.” 233 c.d. “Struttura di regolazione economica, valutazione e monitoraggio dei servizi pubblici ambientali”: struttura organizzativa prevista dall'allegato A della Deliberazione di Giunta Regionale n. 2302/2008 e di fatto istituita dalla Determinazione dirigenziale n. 2121/2011. La struttura ricopre le funzioni generali dell’attività di regolazione di cui all'art. 28 della L.R. n. 10/2008 raggruppate lungo alcune linee di attività fondamentali, quali: le Tariffe, i Servizi, la Vigilanza e Controllo, gli Affari legislativi e legali, le Informazioni e Tutela dei consumatori. La struttura svolge inoltre attività sinergiche con altre strutture della Direzione Generale Ambiente e Difesa del suolo e della costa, quali il Servizio Affari Generali Giuridici e Programmazione Finanziaria, l'Autorità regionale di vigilanza sui servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani, il Servizio Tutela e Risanamento Risorsa Acqua e il Servizio Rifiuti e Bonifica Siti. 234 Art. 28 comma 7 “Per l'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo, la Regione si avvale di una struttura organizzativa il cui costo di funzionamento è a carico delle tariffe dei servizi regolati nel limite di spesa fissato dalla Giunta regionale, sentita la Conferenza RegioneAutonomie locali, nonché di quanto introitato a titolo di sanzioni.” 164 incostituzionali i due articoli menzionati in quanto essi operano una sottrazione di competenze dallo Stato alla Regione.235 La Regione affermava invece di aver 235 La Regione E.R. ha affermato l’erroneità dell’identificazione, tra il “metodo tariffario”, quale disciplinato dall’art. 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, e la “tariffa di riferimento”, oggetto del censurato art. 28 della legge reg. Emilia-Romagna n. 10 del 2008. Secondo la Regione, infatti, il “metodo tariffario” e la “tariffa di riferimento” attengono a profili completamente diversi, perché il primo, predisposto dal CO.VI.RI, «rappresenta […] l’insieme dei criteri che consentono l’individuazione del costo complessivo del servizio» e ne individua le varie componenti (costi operativi, aliquote di ammortamento, etc.); la seconda esprime, invece, «il valore complessivo dei costi del servizio, calcolati in base ai criteri definiti nel metodo», valore che «costituisce la base per la determinazione della tariffa da applicare all’utenza, articolata per fasce di consumo e tipologia di utenze». In particolare, per la Regione, la “tariffa di riferimento” costituisce attuazione del “metodo tariffario” e definisce, a sua volta, la “tariffa reale” applicata dal gestore, quale risultante dalla tariffa di riferimento «divisa per i volumi di acqua che si prevede di erogare alle diverse tipologie di utenze».235 La Regione, cioè, afferma di aver emanato la norma oggetto di censura in forza della propria potestà primaria in materia di servizi pubblici, al fine di evitare una determinazione tariffaria «frammentata», ad opera delle diverse Autorità d’ambito territoriale ottimale (AATO), «accentrandola» a livello regionale. Per la Regione, il d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce allo Stato solo la competenza a determinare le “componenti di costo” ed il “metodo tariffario”, ma non anche la “tariffa di riferimento”. Inoltre la disposizione regionale censurata, proprio in quanto unifica a livello regionale le diverse tariffe di riferimento elaborate dalle varie Autorità d’àmbito, secondo la Regione assicura una positiva omogeneità della tariffa stessa a livello regionale. Quanto al secondo motivo di censura, per la Regione, la norma regionale – accentrando a livello regionale una parte delle funzioni in precedenza svolte a livello locale e, quindi, realizzando una maggiore uniformità ed un piú intenso coordinamento – avrebbe ottenuto vantaggi «in termini economici», derivanti dalla riduzione dei costi del sistema, ed avrebbe, perciò, rispettato la normativa statale, la quale stabilisce il principio secondo cui la tariffa deve coprire integralmente i costi delle funzioni pubbliche esercitate, compresi quelli di «funzionamento dell’assetto pubblico di regolazione». Pertanto - argomenta ancora la resistente , è del tutto legittimo, secondo i princípi della legislazione statale e del diritto comunitario, che i costi di regolazione del servizio siano inglobati nella tariffa. Secondo la Regione, dunque, la disciplina censurata si traduce non in un costo aggiuntivo, ma in un risparmio di risorse rispetto al passato, per effetto dell’individuazione di un’unica struttura organizzativa regionale. Di contro, la Corte costituzionale, in ordine alla censura riferita al comma 2 art. 28, afferma che dall’interpretazione degli artt. 154, 155 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Analoghe considerazioni vengono svolte 165 emanato la norma oggetto di censura al fine di evitare una determinazione tariffaria «frammentata», ad opera delle diverse Autorità d’ambito territoriale ottimale (AATO), «accentrandola» a livello regionale. Inoltre la disposizione regionale censurata, proprio in quanto unifica a livello regionale le diverse tariffe di riferimento elaborate dalle varie Autorità d’ambito, secondo la Regione avrebbe assicurato una positiva omogeneità della tariffa stessa a livello regionale. Con nota PG2010.0103608 del 13/04/2010 della Direzione generale Ambiente della regione Emilia Romagna viene comunque confermata la vigenza del metodo tariffario introdotto dal DPGR 49/2006 (e successive modificazioni). b. La tariffa sociale Il Piano di Tutela delle Acque (P.T.A.) dell’Emilia Romagna prevede politiche tariffarie economicamente incentivanti per il risparmio idrico. Il DPGR 49/2006 stabilisce che entro 5 anni dalla sua applicazione, coincidente con la prima revisione tariffaria successiva al 1/12/2007, l’articolazione per fasce di consumo debba tenere conto, su tutto il territorio dell’ambito, della composizione dei nuclei familiari (art. 10, comma 5). La c.d. tariffa pro capite è appunto la tariffa che prevede fasce di consumo idrico differenziate in base al numero dei soggetti che compongono il nucleo familiare. Con Delibera di Giunta regionale n. 560/2008 sono stati approvati gli "Indirizzi e linee guida per l’applicazione della tariffazione sociale e dell’articolazione tariffaria" . Essa prevede: dalla Corte in relazione alla censura inerente al comma 7 dell’art. 28 e riguardante il computo, nella tariffa, del costo di funzionamento della struttura organizzativa della quale deve avvalersi la Regione Emilia-Romagna per esercitare varie funzioni attinenti al servizio idrico integrato. L’articolo 28, comma 7, nel prevedere una specifica componente di costo che prescinde da quanto stabilito dal decreto ministeriale di fissazione del metodo, attribuisce alla tariffa del servizio idrico della sola Regione Emilia-Romagna una struttura del tutto peculiare, potenzialmente idonea ad influire sulla domanda del servizio stesso, così da porla in contrasto con la finalità di garantire la concorrenza anche attraverso l’uniforme individuazione su tutto il territorio dello Stato delle componenti di costo della tariffa. A seguito dell’abrogazione delle norme di cui sopra non spetta dunque alla Regione ma alle Agenzia d’Ambito determinare la tariffa di riferimento così come stabilito originariamente dalla l.r. 25/99. 166 la tariffa sociale applicata come un contributo di pari importo praticato a seconda di una scala parametrica associata ad una determinata soglia ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente); c’è un’unica soglia ISEE uguale per tutta la Regione, in corrispondenza delle situazioni di massimo disagio economico-sociale, ed un range entro il quale ciascun Ambito Territoriale Ottimale può fissare il valore territorialmente più adatto per una seconda fascia corrispondente a situazioni di disagio non estremo. Elementi vincolanti nell’applicazione della tariffazione sociale devono essere l’assoluta omogeneità applicativa all’interno del territorio dell’ATO evitando sperequazioni tra soggetti in condizioni consimili all’interno del territorio d’ambito ed il ruolo centrale dei Comuni o delle Unioni di Comuni nella destinazione dei contributi, ovvero nella ricezione delle domande di beneficio e nell’individuazione dei beneficiari; - l’istituzione di un apposito fondo, finanziato mediante l’applicazione di una quota aggiuntiva da applicare sulle tariffe ad uso domestico e non domestico in vigore, per ogni tipologia di utenza e fascia di consumo. Prevede cioè la possibilità per le Agenzie d’Ambito, i Comuni e gli enti di gestione del servizio, di aumentare la bolletta idrica fino ad un massimo dell’1% per devolvere poi il ricavato in favore degli utenti in condizione di disagio socio-economico, o attraverso gli stessi Comuni o attraverso uno sconto diretto sulla bolletta dell’acqua. - l’individuazione di due classi parametrate sui valori ISEE: Prima classe, composta dai nuclei familiari con valori ISEE da Euro 0,00 fino ad Euro 2.500,00 cui verrà devoluto il 60% del fondo istituito; Seconda classe, composta da nuclei familiari convalori ISEE superiori ad Euro 2.500,00 fino ad Euro 5.000,00 cui verrà devoluto il40% del fondo; - l’affidamento a ciascun ATO della scelta sulle modalità applicative più adatte al proprio territorio, nel rispetto dei principi stabiliti dalla deliberazione. c. Tariffa sociale negli ambiti di Bologna, Ferrara e Parma Il 28 maggio 2008 l’Assemblea di ATO 5 Bologna ha approvato all’unanimità la deliberazione n.3 con la quale è stata istituita la tariffa pro capite e applicata in via sperimentale in nove Comuni. Nel 2009 la nuova tariffa è stata estesa agli altri Comuni della provincia. La tariffa è applicata soltanto alle utenze 167 domestiche e tiene conto della composizione del nucleo familiare. Le tariffe pro capite definite da ATO 5 si articolano in cinque fasce: due agevolate, una base e due di eccedenza. L’Agenzia di Ferrara, con propria Delibera n.5 del 17 dicembre 2007 è stata la prima Agenzia ad applicare il nuovo metodo tariffario regionale. Per l’esercizio 2008 viene decisa l’applicazione di una quota aggiuntiva pari allo 0,5% della tariffa del Servizio Idrico Integrato, al netto delle imposte, da destinarsi alla costituzione di un fondo per la copertura dei contributi rivolti ai clienti in condizioni economiche disagiate, ad anziani e disabili. L’Autorità di Ambito Territoriale Ottimale di Parma con propria Deliberazione n.15 del 22/12/2009 ha approvato l’istituzione della tariffa sociale per il servizio idrico integrato, definendo la disciplina per l’applicazione della tariffa sociale con i caratteri della prima applicazione e della sperimentazione. I soggetti beneficiari dei contributi sono stati individuati in due categorie ISEE, la prima (limite ISEE fino a 2.500 euro) e la seconda classe (limite ISEE da 2.500 a 5.000 euro), il fondo andrà ripartito per il 60% sulla prima classe ed il restante 40% sulla seconda. d. Considerazioni Dall’analisi svolta emerge dunque che la regione Emilia Romagna, a fronte delle difficoltà applicative e dei risultati non ottimali realizzati attraverso il sistema tariffario previsto dalla legge Galli e dal c.d. metodo normalizzato, ha introdotto delle varianti allo schema base al fine di perseguire entrambe le finalità di economicità e solidarietà del servizio idrico integrato. Varianti in parte consentite, in parte dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. Il metodo regionale interviene sui due profili dell’economicità, da un lato, e della solidarietà, dall’altro, rispettivamente con il fattore di performance complessiva e con la tariffa sociale, nella variante della tariffa pro-capite. Da una parte viene riconosciuto un incentivo ai gestori che forniscono un servizio di elevata qualità attraverso un incremento della tariffa, mentre per gli utenti dei gestori meno virtuosi è prevista una riduzione della tariffa. Meccanismi di incentivazione o disincentivazione sono utilizzati come strumenti per promuovere la qualità del servizio ed il risparmio idrico. In termini di solidarietà invece viene utilizzata una tariffazione che prevede fasce di consumo idrico differenziate in base al numero dei soggetti che compongono il nucleo familiare. La c.d. tariffa pro capite 168 rientra nel contesto più ampio della tariffazione sociale che, in Emilia Romagna, viene applicata come un contributo di pari importo praticato in base ad un indicatore delle situazioni di disagio economico-sociale. E’ stata poi prevista l’istituzione di un apposito fondo, finanziato mediante l’applicazione di una quota aggiuntiva da applicare sulle tariffe ad uso domestico e non domestico in vigore. Tariffa pro capite, tariffazione sociale e fondo sociale sono gli strumenti che la regione Emilia Romagna ha individuati come varianti al sistema tariffario tradizionale al fine di garantire l’accessibilità alla risorsa anche delle fasce sociali economicamente più deboli. 3. Regolazione ( - Autorità ) e soggetti “Se l’interesse generale correlato alla demanialità coincide con l’interesse alla difesa del patrimonio idrico, di conseguenza la pubblicità non afferisce più soltanto ai profili statici del rapporto dominicale, bensì si estende anche agli aspetti dinamici della sua fruizione ed in quest’ottica muta la stessa posizione dello Stato: esso assume il ruolo di garante della salvaguardia della risorsa e di amministratore simile ad una authority con il compito di assicurare il miglior sfruttamento di un bene che non è dello Stato, ma che appartiene ed è necessario all’intera collettività ed i vari centri di competenza gestionale concorrono ad attuare gli strumenti finalizzati ad un uso razionale della risorsa”. 236 Un ulteriore limite di responsabilità alla proprietà pubblica dell’acqua può essere costituito, nell’ottica di “un patto di responsabilità” da un garante, sia esso lo Stato o un soggetto terzo. Anche nella teoria di Hardin viene in evidenza l’esigenza di un “controllore”che sia amministratore e al tempo stesso garante delle regole. “La legge amministrativa, che è giustamente temuta per un’antica ragione — Quis custodiet ipsos custodes? — «Chi controlla i controllori?». John Adams ha detto che dobbiamo avere “un governo di leggi e non di uomini”. Gli amministratori locali, nel cercare di valutare la moralità delle azioni in base al contesto, sono 236 Cazzagon F., Le acque pubbliche nel Codice dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb, 2007 169 individualmente soggetti a corruzione, producendo un governo degli uomini, non delle leggi”. 237 “.... La grande sfida che abbiamo di fronte oggi è l’ideazione dei sistemi di feedback correttivo che sono necessari per far sì che i custodi siano onesti. Dobbiamo trovare il modo di legittimare l’autorità necessaria tanto dei custodi quanto dei sistemi di feedback correttivo”. 238 Nell’ordinamento giuridico italiano il c.d. Decreto legge sviluppo 70/2011 all’articolo 10 commi 11 e seguenti aveva ovviato alla carenza di un soggetto terzo garante delle acque. Esso aveva previsto l’istituzione a partire dal 14 maggio 2011 di un’agenzia apposita per l’acqua: l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, come organo indipendente dal Governo che opera in piena autonomia. Essa principalmente avrebbe assolto alle funzioni di definire i livelli minimi di qualità del servizio idrico ed esercitato poteri di vigilanza al riguardo; definire le componenti di costo della tariffa relativa ai servizi idrici e predisporre il metodo tariffario per la determinazione della stessa; verificare la corretta redazione del piano d’ambito. Ad essa venivano attribuite le funzioni della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, soppressa dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. La nomina dell’Agenzia sarebbe dovuta avvenire entro 30 giorno dall’entrata in vigore della legge e fino a quel momento le funzioni di vigilanza avrebbero continuato ad essere esercitate dalla Commissione. Il decreto sviluppo è stato convertito con le legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106. Ma la legge n. 214 del 2011 (conversione del decreto legge n. 201 del 2011 - decreto cd "salva Italia") all’articolo 21 ha disposto la soppressione di vari enti, fra i quali l’ Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua e la Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse idriche. I compiti di regolazione e di vigilanza relativi ai servizi idrici sono attribuiti all’AEEG (Autorità per l’energia elettrica e il gas). Ciò premesso, un nodo cruciale su cui è necessario l’intervento di un soggetto garante della salvaguardia della risorsa, sia esso lo Stato al tempo stesso 237 Hardin T., op. cit. 238 Hardin T., op. cit. 170 amministratore e organo controllare analogo ad una authority, oppure una specifica autorità di settore con il compito di assicurare il miglior sfruttamento del bene acqua, concerne il rilievo che le ultime misurazioni sulle risorse idriche risalgono alla Conferenza sulle Acque del 1971 e i numeri usati e divulgati tuttora sono soltanto elaborazioni statistiche. A ciò si aggiunga la circostanza che il servizio idrico si occupa sostanzialmente solo degli usi civili, che coprono il 20 per cento dell’acqua consumata, quella potabile. Il resto delle risorse idriche è usato in agricoltura239 (50 per cento), industria (20) e per scopi energetici. 239 REGIONE del VENETO, Giunta Regionale, Piano di Sviluppo Rurale La centralità dei dati sulla situazione degli usi in agricoltura dell’acqua, nonché la conseguente rilevanza delle politiche agricole ai fini di una razionale utilizzazione e protezione delle risorse naturali, viene in evidenza, prendendo ad esempio sempre il caso del Veneto, esaminando un qualsiasi progetto di richiesta di fondi comunitari per l’attuazione del piano di Sviluppo Rurale della Regione. L'utilizzo razionale delle acque, anche in relazione agli usi plurimi delle stesse, e la regimazione delle acque in eccesso sono due problemi fondamentali del territorio veneto che, per le proprie peculiari caratteristiche territoriali, manifesta i due fenomeni con intensità e frequenze molto eterogenee ma sempre in modo particolarmente grave. Obiettivo globale di progetti per cui vengono richiesti finanziamenti comunitari è la salvaguardia e la razionale utilizzazione di una risorsa importante qual è quella idrica, anche a livello aziendale, per assicurare e migliorare le produzioni agricole, ed obiettivi specifici sono: la tutelare la risorsa idrica, in termini di qualità e di disponibilità; la razionalizzare dell’uso dell’acqua al fine del risparmio di risorse e riduzione dell’inquinamento anche da intrusione di acqua salata; assicurare la possibilità di diversificazione produttiva e l’economicità di gestione; mantenere l’acqua sul territorio come elemento fondamentale di supporto ad un assetto paesaggistico dove prato e seminativo si accompagnano alle siepi; assicurare l’adduzione anche di acqua di qualità non eccellente, idonea a soddisfare esigenze plurime. Obiettivi operativi invece sono rappresentati da: risparmio della risorsa idrica anche a livello aziendale; riduzione dei fenomeni di lisciviazione e percolamento; alimentare la ricarica della falda per garantire deflussi nei corsi d’acqua di risorgiva; riduzione dell’emungimento della falda freatica; adeguamento, ripristino, ottimizzazione delle condotte idriche obsolete e vulnerate dall’incontrollata urbanizzazione; mantenimento dei minimi flussi vitali anche nei corsi d’acqua di bonifica e di irrigazione; aumento della funzionalità e ammodernamento del servizio irriguo; assicurare sufficienti dotazioni irrigue nelle aree collinari. Gli impatti che si prevedono di ottenere concernono l'aspetto economico con un miglioramento del reddito delle imprese mediante una più razionale utilizzazione delle acque di irrigazione ed un miglioramento della qualità delle produzioni e l'aspetto ambientale in quanto i risparmi irrigui si traducono in una tesaurizzazione della risorsa acqua ed una migliore gestione della medesima da parte dei consorzi di bonifica, mentre, quali 171 Gli esperti del settore affermano che, di questo “restante” 80 per cento, non si occupa nessuno, sussistendo invece la necessità imprescindibile di un’analisi condotta a 360 gradi, sia perché esiste un equilibrio fra le parti, sia perché sussiste il rischio costante di conflitti fra i diversi usi, soprattutto quando la risorsa, come l’acqua, è carente. Né può essere dimenticata l’assenza cronica di conoscenza, pianificazione e controllo pubblico sulle acque in Italia, che riemerge puntualmente a ogni emergenza o disastro, per poi essere accantonata di nuovo240. Un ulteriore cambiamento inerente il settore delle acque nell’ordinamento italiano è stato introdotto dalla Legge 26 marzo 2010 n.42 che ha abolito le Autorità d’ambito, senza però che le funzioni delle stesse siano state trasferite a nuovi soggetti. Successivamente la soppressione delle Aato è stata rinviata dapprima al 31 dicembre 2011 e, di nuovo, al 31 dicembre 2012 da parte del decreto-legge c.d. "milleproroghe" approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 dicembre 2011. Nello specifico, la legge 26 marzo 2010, n. 42241 all’articolo 1-quinquies prevede che indicatori fisici di realizzazione dei progetti possono essere utilizzati il numero di progetti finanziari, i consorzi di bonifica interessati, il numero di aziende agricole coinvolte nei progetti, le superfici agricole interessate dalle iniziative ed infine i quantitativi di acqua oggetto di risparmio con la realizzazione delle iniziative. In questo senso il ruolo dei Consorzi di bonifica, Enti economici territoriali, appare estremamente qualificati ed importante sia come servizio diretto alle imprese agricole per le attività da esse svolte, sia in un'ottica più generale per i problemi di eliminazione delle acque dalle aree urbane e periurbane che interagiscono in maniera sempre più stretta con il resto del territorio regionale. Al fine di operare una programmazione concertata fra pubblico e privato delle iniziative sul territorio e delle problematiche emergenti ciascun Consorzio di bonifica si è dotato del Piano Generale di Bonifica e di Tutela del Territorio Rurale. 240 241 Pacilli A., Profitto fino all’ultima goccia, dossier sull'acqua del settimanale Carta "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo 2010 172 “All'articolo 2, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186, e' inserito il seguente: «186-bis. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorita' d'ambito territoriale e' da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n.152 del 2006 sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Il testo dell'art. 150, comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal DPR 168/2010 prevede invece che, in materia di “scelta della forma di gestione e procedure di affidamento”, “L'Autorita' d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarieta' della gestione per ciascun ambito, decide la forma di gestione”. Gli atti compiuti dagli Ato dopo la data indicata saranno da considerarsi nulli. Mentre entro quella data «le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dagli Ato». Pertanto rimane compito delle regioni non più definirne i confini ma attribuire le funzioni, sino ad ora svolte dagli Ato. L’art. 1, comma 1 quinquies, della Legge 42/2010, si pone in direzione opposta all’apposizioni di chiari limiti di responsabilità nel contesto del regime giuridico delle acque, lasciando molti problemi irrisolti: 1) Quali soggetti possono essere destinatari delle funzioni da parte delle Regioni, se gli Enti territoriali (Province e Comuni) oppure è lecito pensare a soggetti diversi (Enti Regionali) o a nuove forme di cooperazione; 173 2) Cosa accade in caso di inerzia delle Regioni che non provvedano entro il termine; chi subentrerà nei rapporti giuridici oggi facenti capo agli ATO, chi compirà i relativi atti. In merito al primo punto la ratio della norma non dovrebbe lasciare dubbi nel ritenere che la volontà del legislatore è quella di eliminare Enti intermedi tra Regioni, Province e Comuni, semplificando il sistema e riportando in capo agli Enti costituzionalmente riconosciuti tutte le competenze. Risulta pertanto chiaro che la volontà non può essere quella di creare nuovi consorzi tra Comuni – o altre forme di cooperazione – quando per legge, dal 2011, devono essere soppressi tutti quelli esistenti. La scelta razionale e obbligata appare quella di trasferire le funzioni alle Province: L’UPI, Unione Province d’Italia, subito dopo l’approvazione dell’emendamento alla legge di conversione del D. L. 2/2010, con la previsione dell’abolizione degli ATO, con una nota ufficiale del 19 febbraio scorso, ha sottolineato come le Province siano le istituzioni di area vasta che meglio possono assolvere a tali funzioni, così scongiurando la nascita di nuove agenzie regionali o enti strumentali che causerebbero un inutile aggravio di costi e che vanificherebbero l’obiettivo della norma che prevede la soppressione degli Enti. Le regioni però potrebbero anche optare per scelte diverse dalle province e addirittura farle rimanere competenza diretta delle amministrazioni regionali: potrebbe cioè essere la regione a svolgere le funzioni che sino ad ora sono state attribuite agli Ato. L'ambito territoriale ottimale è un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati, in particolare quello idrico e quello dei rifiuti, introdotti per i servizi idrici dalla L. 36/94 (legge Galli) e per i rifiuti dal Dlgs. 22/97 (decreto Ronchi) e confermati nel Testo unico ambientale (dlgs 152/2006). Gli Ato sono individuati dalle Regioni con apposita legge (nel caso del servizio idrico integrato con riferimento ai bacini idrografici e dei rifiuti principalmente alle province) e su di essi agiscono le Autorità d'Ambito, strutture dotate di personalità giuridica che hanno il compito di organizzare, affidare e controllano la gestione del servizio. Proprio le modalità di affidamento del servizio - più volte riviste in successive norme e regolamenti hanno determinato una inerzia nell'attività degli Ato. Qualsiasi saranno le scelte che le regioni faranno, resta il fatto che la previsione della soppressione delle funzioni sino ad ora svolte dalle autorità d'ambito porterà sicuramente una empasse nelle 174 loro attività. Con conseguenze facilmente immaginabili. Si pone infatti il tema di come gestire le gare per l'affidamento del gestore dei servizi, che in alcuni casi sono in fase avanzata e in altri prossime ad essere bandite. Per quanto invece concerne l’eventuale inerzia delle Regioni, se le Regioni non provvedono entro il termine del 27 marzo 2011, si determina un grave vuoto normativo con imprevedibili conseguenze, soprattutto nei casi di contratti di servizio già stipulati dagli ATO. La norma, sancendo la nullità di ogni atto compiuto dall’ATO dopo il termine del 27 marzo 2011, esclude in radice ogni possibilità di proroga implicita fino alle decisioni regionali. Si porrebbe un problema di corresponsabilità nella gestione delle funzioni da parte degli Enti Locali oggi costituenti gli ATO con complesse problematiche giuridico amministrative. Né sembrano ipotizzabili interventi sostitutivi o commissariamenti da parte dello Stato. La scelta è dunque affidata alle Regioni da cui ci si attendono rapide e razionali decisioni. PARTE III La prospettiva comparata Capitolo sesto Possibili soluzioni da una prospettiva comparata La tradizione pubblicistica dei Paesi Bassi nella gestione dell’acqua 1. Introduzione sull’utilità di uno spunto comparativo L’Olanda è un paese storicamente associato alla gestione dell’acqua. Per sopravvivere, infatti, gli olandesi hanno dovuto sviluppare un metodo altamente sofisticato per convivere con essa. L’alta densità di popolazione (465 persone per 175 metro quadrato), unitamente ad una economia fortemente connessa al settore dei trasporti, della navigazione e dei porti, determina una compressione della spazio e dell’ambiente che necessita di essere affrontata con grande cautela e lungimiranza. Per questo motivo nell’attività di pianificazione del territorio sono da sempre coinvolti tutti i portatori di interessi più rilevanti, al fine di disegnare un complesso di infrastrutture altamente sostenibile e il meno impattante possibile. L’inizio della storia della gestione dell’acqua in Olanda può collocarsi all'incirca intorno al nono secolo, connotata dalla continua difesa del territorio dalle ricorrenti inondazioni, attraverso la costruzione di dighe e l’introduzione, tra il 1250 e il 1600, dei mulini242. Il mantenimento delle costruzioni era però molto costoso e, al fine di sopperire alle spese, in ciascuna comunità, ogni agricoltore era responsabile di una parte determinata della diga. Successivamente i comitati per l’acqua hanno iniziato a mantenere da soli le strutture, al fine di garantire una certa qualità, e gli agricoltori sono stati assoggettati a tassazione. Con gli anni sono state affinate tecniche ingegneristiche sempre più sviluppate contro i rischi di alluvioni ma, il disastro del 1953, in cui sono morte 1800 persone e sono stati arrecati pesantissimi danni a case e proprietà, e il preoccupante aumento del livello dei fiumi a causa dei cambiamenti climatici negli anni 1993 e 1995, ha costretto i Paesi Bassi ad affrontare il problema cercando un nuovo approccio alla gestione delle acque, al fine di creare un maggiore spazio per questa risorsa. La prospettiva comparata con l’esperienza olandese ci consente di verificare la fattibilità in termini di “esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. Verrà al tal fine esaminato il quadro normativo olandese in materia di acqua e servizio idrico e le sue peculiarità. I profili che maggiormente interessano ai fini del presente lavoro riguardano il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese; un 242 Uitgeverij Matrijs, Parts from Man-made lowlands – History of water management and land reclamation in the Netherlands., 1993. 176 sistema di copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali ed infine il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti. 2. Quadro generale:sistema amministrativo e contesto generale dell’acqua 2.1. La gestione dell’acqua: innovazione e cooperazione Una gestione idrica integrata può essere identificata in un uso della risorsa, dal sottosuolo alla superficie, in termini di quantità, qualità e da un punto di vista ecologico, derivato a un punto di vista multidisciplinare, che non prescinde da doveri sociali di accessibilità. Centrale in questo approccio è la consapevolezza che un ciclo dell’acqua efficiente ed ecologicamente compatibile sia la base di un suo uso sostenibile : il c.d. “water system approach”243. Alla base di questo approccio c’è la constatazione di un uso eccessivo ed intensivo delle risorse naturali e la convinzione che ogni settore interessato dal ciclo idrico debba incentrarsi sul riuso delle materie prime, sull’impiego di diversi tipi di risorse, affinando le conoscenze e definendo in modo specifico le responsabilità e una politica di cooperazione. In particolare è la cooperazione che è stata posta alla base del “water management”: i ministri, le amministrazioni regionali e locali, i water boards (consigli dell’acqua) e le compagnie di fornitura di acqua potabile sono tutti coinvolti nel processo di gestione idrica. Il governo olandese ha dimostrato la ferma intenzione di garantire la sicurezza in materia creando una rete legale ed istituzionale nel settore e garantendo l’accesso generalizzato all’acqua potabile, la trasparenza della gestione del c.d. “water system” e la piena partecipazione di tutti i cittadini nel processo decisionale. In tale direzione I Paesi Bassi hanno sviluppato una infrastruttura cognitiva unica e coerente, che ricomprende centri di ricerca sia statali che privati, istituti tecnologici e di formazione (come ad es. Alterra, UNESCO-IHE, ITC, RIZA, WL|Delft Hydraulics) e parecchie università. In queste realtà viene sviluppata una vasta gamma di ricerche sui settori direttamente e indirettamente 243 Dutch Ministry of Transport, Public Works and Water Management 177 collegati all’acqua, dall’ingegneria idraulica alla gestione integrata. Gli istituti hanno inoltre creato delle connessioni con compagnie private che utilizzano le conoscenze in essi prodotte al fine di migliorare le proprie prestazioni. Molti sono gli investimenti pubblici nel campo della ricerca in materia, come conseguenza diretta dell’importanza primaria che il settore idrico riveste nell’economia del Paese, ricerche orientate all’innovazione e allo sviluppo di un Istituto di prima classe in materia di tecnologia idrica (Technological First Class Institute Water Technology) sotto il monitoraggio del ministero degli Affari Economici. Anche le organizzazioni non governative (NGO) hanno in Olanda una solida base istituzionale e finanziaria, alla stregua di un focus internazionale. Esse sono coinvolte nel processo decisionale in materia di acqua, e questo anche a livello internazionale, attraverso la partecipazione agli incontri più importanti. Nell’ultimo decennio le ONG olandesi sono state coinvolte in molti progetti internazionali, in materia di irrigazione, capacity building, danni da inondazioni, in cooperazione con il governo. Oltre a ciò viene incoraggiata la presenza stabile delle organizzazioni internazionali sul territorio dei Paesi Bassi: la loro presenza viene infatti ritenuta determinante al fine di migliorare l’interazione con i ministeri e gli istituiti di ricerca. Il settore idrico olandese offre quindi una combinazione unica tra soggetti pubblici, istituti di ricerca, organizzazioni non governative ed esperti del settore privato che lavorano in partnership per l’acqua. A livello istituzionale i soggetti che in Olanda si occupano della amministrazione del servizio idrico ( e delle acque in genere) sono: i w.b., il governo e le province (che realizzano il governo regionale e corrispondono dunque alle nostre regioni). La politica idrica viene formulata in delle linee giuda governative ed il governo centrale è responsabile per l’amministrazione dei corsi d’acqua nazionali e per le opere primarie di difesa delle alluvioni. Entro il quadro delineato dal governo nazionale le province definiscono la loro politica per i corsi d’acqua non nazionali (locali). I w.b. e i comuni si occupano della gestione idrica e delle politiche di implementazione. I Comuni hanno compiti di costruzione e mantenimento delle fogne nelle aree urbane mentre i w.b. esercitano le proprie funzioni sia in aree urbane che rurali. 178 A livello di governo centrale diversi sono, come anticipato, i ministeri che si occupano di acqua a seconda dello specifico settore di competenza: il ministero dei Trasporti, Lavori Pubblici e Gestione Idrica si occupa di garantire la protezione del Paese contro l’acqua; il ministro dell’Ambiente e della Pianificazione invece coordina le politiche ambientali a livello governativo ed il ministro dell’Agricoltura quelle agricole. Inoltre il ministro degli Affari Economici gioca un ruolo decisivo in materia di innovazione nel settore idrico: l’acqua è indicata come una delle quattro aree chiave per l’innovazione in Olanda. Infine il ministro degli Esteri supporta i paesi in via di sviluppo nella costruzione di impianti per l’acqua potabile e servizi igienici e nell’attuazione di sistemi di gestione integrata, aiutandoli a promuovere le riforme necessarie nel settore idrico e ad aumentare le proprie conoscenze in materia. Il soggetto responsabile del mantenimento di un sistema idrico sostenibile ad un costo accettabile per la società è il Direttorato Generale per gli Affari Idrici, che funge da nesso tra soggetti pubblici e privati: ciò che la società considera accettabile, in termini di benefici e costi, determina cosa può e deve accadere. Responsabili della qualità e quantità dell’acqua a livello regionale in Olanda, insieme con il Dipartimento per i lavori Pubblici e delle Risorse Idriche, sono i “water boards” (comitati/consigli per l’acqua). Essi si occupano di monitorare i livelli fisici dell’acqua nella loro regione e, se necessario, delle acque di scarico, oltre ad essere competenti in materia di trattamento delle acque reflue, controllo della qualità delle acque superficiali e del mantenimento di corsi d'acqua e canali. L'organizzazione che riunisce i water boards è l’Unie van Waterschappen. 2.2 Unificazione normativa nel Nuovo General Water Act (2008) Il 2008 è stato un anno importante per tutti i soggetti coinvolti nel processo della filiera idrica: il governo ha appunto redatto l’ “Act”, un nuovo Water Act, di carattere generale, successivamente rivisto dal Parlamento, che ha consolidato e sostituito gli otto atti già esistenti ed ha introdotto nuove misure di protezione dell’acqua 244. 244 Bulletin of Acts and Decrees 1009, 490. Per questo atto vedi Water Act Guide, edito da H.J.M. Havekes and P.J. de Putter, Kluwer, Alphen aan den Rijn, 2009 179 “Un nuovo Atto sulla gestione dell’acqua: l’Olanda mira con esso a realizzare un sistema integrato e a centrare gli obiettivi comunitari in materia”245. Fino all’emanazione di questo atto la legislazione olandese in materia era piuttosto frammentaria: esistevano infatti normative separate per ogni segmento della gestione idrica. Tutte queste leggi avevano inoltre la propria pesante struttura con propri strumenti, procedure e sistemi di ricorsi. Questa frammentazione può essere spiegata da un punto di vista storico: una nuova legge di solito veniva emanata come risultato di un “disastro” (ad esempio, siccità prolungata o imminente inondazione) ma essa ostacolava la pratica riuscita e fattibilità e, spesso, ignorava la coesione intrinseca con la gestione della acque. Il governo olandese ha poi compreso questo fatto e, in parte grazie anche l’insistenza della Camera Olandese dei Rappresentanti (Dutch House of Representatives), ha integrato con successo le varie leggi con l’aspetto primario del controllo idrico. La direttiva quadro sulle acque, che prevede l’integrazione di molte linee guida sull’acqua a livello europeo, è anche in linea con questa iniziativa. Il Water Act è stato accettato dal Parlamento ed è appunto entrato in vigore il 22 dicembre 2009. Esso integra: • la legge sull’inquinamento delle acque di superficie (Pollution of Surface Waters Act); • la legge sull’inquinamento marino(Marine Pollution Act); • la legge sulle acque del sottosuolo (Groundwater Act); • la legge sulla gestione dell’acqua (Water Management Act); • la legge sulle difese dalle inondazioni (Flood Defences Act); • la legge sulla bonifica dei terreni e sugli argini (Land Reclamation and Dykes Act); • la legge sulle opere pubbliche del 1900 relativamente alla previsione in essa contenuta sulla gestione dell’acqua (Management of Engineering Structures Act) . 245 Netherlands: New Dutch Water Legislation, Articolo di Clifford Chance, Gruppo mondiale per l'ambiente, 21 August 2008 180 Anche la normativa per i letti inquinati, contenuta nella legge sulla protezione del suolo (Soil Protection Act ), è stata integrata. Il Water Act è stato successivamente rielaborato nel Decreto sull’Acqua (Water Decree) nella Water Regulation e nelle leggi emanate dalle province e dalle water authorities regionali (di cui si dirà nel paragrafo 4) . L’obiettivo più importante del Water Act è quello di facilitare il governo integrato delle acque e alla base c’è la convinzione che ciò sia maggiormente perseguibile con una sola legge piuttosto che con otto differenti normative. Un’altra ragione alla base dell’”integrazione” è quella di ridurre la pressione amministrativa sulla comunità economica: anziché richiede sei diversi permessi la nuova legge prevede un unico permesso per le attività correlate in qualche modo alla gestione idrica. Il Water Act mira inoltre a realizzare una semplificazione dell’implementazione della normativa europea in materia di acqua: oltre ad essere molto più trasparente, attualmente quasi tutta la regolamentazione olandese sull’acqua è fusa in un unico atto. Tuttavia la normativa sulle water authorities è ancora contenuta nel Water Board Act, la gestione (municipale) delle acque di scarico è disciplinata dal Environmental Management Act ed il Drinking Water Act si occupa della fornitura di acqua da bere. Infine, sebbene il Water Act derivi da otto differenti atti, prevede anche un numero di nuovi elementi che permettono a chi gestisce l’acqua di meglio provvedere ai propri compiti, compreso il rafforzamento della relazione tra il governo delle acque e la pianificazione dello spazio territoriale, l’obbligo di registrazione delle strutture di controllo dell’acqua, gli standards relativi al rischio di inondazione, l’ampio uso di una procedura progettuale, l’obbligo di tolleranza delle riserve d’acqua, il ruolo decisivo delle r.w.a. nella gestione delle acque del sottosuolo e l’obbligo di coordinamento con tra le r.w.a. e i comuni. Quanto agli obiettivi specifici dell’Atto, essi sono identificabili con la prevenzione delle inondazioni e della scarsità di acqua così come con la protezione ed il miglioramento della qualità chimica ed ecologica del c.d. water system : in pratica raggiungere un sistema di gestione idrica integrata ad opera delle autorità pubbliche. Ci sono tre aree principali in cui l’Act modifica la legislazione esistente: innanzitutto viene previsto, come sopra menzionato, un solo permesso per tutte 181 le attività idriche impattanti sull’ambiente. Precedentemente, invece, esistevano sei permessi separati rispettivamente per: il drenaggio delle sostanze inquinanti; il drenaggio di acqua pulita; l’estrazione di acqua dal suolo; le infiltrazioni nel sottosuolo; le attività nelle acque comuni (es. attività ricreative) e infine lo scarico in mare e la realizzazione di opere pubbliche. Inoltre, la legge olandese, prima della riforma, consentiva agli individui e alle imprese di chiedere il risarcimento dei danni causati da decisioni politiche da parte delle autorità pubbliche (come i comuni, le aziende idriche della zona e Province), che sono responsabili della gestione delle acque in relazione alle persone e alle imprese. A titolo di esempio, il risarcimento operava quando il danno era stato causato al materiale elettrico in un seminterrato da una decisione delle autorità a non intervenire per alleviare il rischio di alluvione. A seguito delle riforme previste dalla legge, gli indennizzi per tali danni sono limitati. Il danno è risarcibile soltanto se è '"sproporzionato", cioè il danno non copre il rischio cosiddetto ‘sociale’ (questo concetto riflette il principio che gli individui devono assumersi la responsabilità ordinaria di rischi ogni giorno); un aspetto importante nel determinare il ‘rischio sociale’è la misura in cui il danno è stato previsto (ad esempio, un danno irreparabile alle apparecchiature elettriche a causa di imprevedibili circostanze straordinarie sarebbe ancora risarcibile). Infine, in termini di attuazione della Direttiva c.d. Acque, l’Act rappresenta un significativo volano per una nuova politica idrica in Olanda e con esso il Paese mira a realizzare gli standards di potenza ecologica previsti dalla normativa europea per tutti i corpi idrici entro il 2015. 3. Sistema di gestione 3.1 Nozione di gestione idrica Il concetto di “gestione idrica” può essere descritto come quella parte dei compiti pubblici che riguardano la protezione dalle inondazioni, il regime delle acque 182 (acque di superficie e del sottosuolo dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo) e i corsi d’acqua.246 Esso è focalizzato sulla abitabilità e utilizzabilità della terra e sulla protezione ed il miglioramento dell’ambiente vitale. L’articolo 21 della Costituzione Olandese così recita: “L’attenzione del governo è rivolta all’abitabilità del paese e alla protezione e miglioramento dell’ambiente”. (‘Government care is aimed at the habitability of the country and the protection and improvement of the environment’). L’importanza di una buona gestione delle acque si è accresciuta come risultato dell’aumento del livello del mare, dei cambiamenti climatici, l’abbassarsi delle terre e l’urbanizzazione. La gestione delle acque viene realizzata attraverso delle opere infrastrutturali (dighe, opere di contenimento dei corsi d’acqua, ponti, argini etc.). Questi lavori sono di importanza cruciale per rendere i Paesi Bassi abitabili e le autorità regionali si occupano di salvaguardare il corretto mantenimento e funzionamento di queste strutture. Ad esempio è assolutamente vietato iniziare attività quali costruzioni, scavi e serre senza il loro permesso. Il codice penale olandese considera punibile la condotta di chi deliberatamente danneggi le opere infrastrutturali: ciò a conferma dell’importanza vitale di tali lavori per l’Olanda. Sei autorità regionali sono competenti anche in materia di gestione delle strade: sebbene infatti questa funzione non sia strettamente correlata alla gestione delle acque, essa ricade nel concetto di “Lavori pubblici e Gestione Idrica”. Sebbene la gestione dell’acqua sia un settore separato dalla responsabilità del governo nazionale, ha molto in comune con altri diversi campi di attività della politica nazionale, come la pianificazione dello spazio, la protezione dell’ambiente e la conservazione della natura. E’ pertanto vitale adattare le decisioni relative a queste politiche a quelle adottate negli altri settori connessi. 246 Herman Havekes, Martin Koster, Wijnand Dekking, Cathelijn Peters, Rafaël Lazaroms ,Rob Uijterlinde, Ron Walkier (NWB Bank), Water governance, The Dutch regional water authority model, Edition Unie van Waterschappen, , 2010 183 Il concetto di “gestione integrata dell’acqua” è spesso usato proprio nel rispetto di quanto appena detto: esso cioè non tiene soltanto conto delle relazioni con l’attività di gestione in sè (quantità e qualità delle acque di superficiali e del sottosuolo), ma anche delle politiche settoriali precedentemente elencate. Questo è esemplificato dal fatto che la legge stabilisce che i piani provinciali e comunali, nel campo appunto della pianificazione territoriale, devono indicare le conseguenze che essi comportano in termini di gestione dell’acqua. L’obiettivo di questa disposizione è quello di prevenire la costruzione di nuove aree urbane o industriali in zone che sono considerate non utilizzabili dal punto di vista della gestione idrica. Il fatto che, riguardo agli aspetti territoriali, il recente Water Act indichi il Piano Idrico Nazionale ed i piani regionali delle province come “concetti strutturali” entro il significato dello Spatial Planning Act, deve essere considerato nel suddetto contesto di stretta interdipendenza tra la pianificazione dello spazio fisico e la gestione idrica. 3.2 Evoluzione delle water companies olandesi In Olanda l’estrazione, la produzione e la distribuzione dell’acqua sono principalmente in mano alle compagnie mentre la raccolta delle acque di scarico rientra nei compiti dei comuni. Il trattamento delle stesse, pur essendo di competenza delle province (Pollution of Surface Waters Act del 1970), molto spesso viene da esse delegato ai water boards (paragrafo 4). Le compagnie idriche olandesi - Public Water PLC (government-owned public limited company - sono a metà tra utilities di proprietà pubblica e una società privata: esse sono società pubbliche ma incorporate come compagnie private e dunque sono anche soggette alla regolamentazione e alle regole in materia di commercio e affari.247 La maggior parte delle quote sono comunque detenute dal governo provinciale. Sono state originariamente create dalle autorità pubbliche che apprezzavano i benefici per la collettività derivanti dalla loro istituzione. La prima water supply company fu creata dai comuni urbani mentre, per le realtà rurali e gli insediamenti più piccoli, le compagnie idriche furono istituite 247 Blokland, M., O. Braadbaardt, K. Schwartz (eds.), Private Business, Public Owners. Government Shareholdings in Water Enterprises, study sponsored by the Dutch Ministry of VROM and the Water Supply and Sanitation Collaborative Council, Den Haag, 1999. 184 successivamente per mano delle autorità provinciali e con il tempo hanno assunto dimensioni tali da rifornire un’intera provincia. I motivi del ruolo principale delle province nel guidare il loro sviluppo sono sostanzialmente due: innanzitutto la volontà di assicurare ai cittadini la fornitura di acqua da bere di buona qualità ad un prezzo ragionevole - 100.000 collegamenti alla rete erano considerati un requisito minimo per le compagnie - ; secondariamente i loro compiti strategici in materia di gestione delle acque del sottosuolo, in particolare il potere di permettere o vietare l’estrazione delle stesse per la produzione di acqua da bere. Nel 1945 il settore idrico olandese era fortemente frammentato con più di 200 compagnie. Il loro numero è poi gradualmente sceso a dieci nei cinque decenni seguenti. Una delle ragioni principali è stato lo spostamento dell’attenzione dalle acque di sottosuolo a quelle di superficie, unitamente alla necessità di realizzare un complesso sistema di trattamento che ha richiesto la cooperazione delle municipalità. Un altro motivo è costituito dalla tendenza, assunta dal governo nazionale, ad incoraggiare la creazione di compagnie controllate più ampie attraverso una legge del 1975248. Tale tendenza contrastava però con la volontà delle compagnie di realizzare economia di scala e di essere competitive in un mercato europeo liberalizzato. Dal 1997 le compagnie iniziarono ad esercitare la pratica del benchmarking249, in modo da migliorare l’efficienza ed incrementare la trasparenza. Il benchmarking olandese copre quattro aree: la qualità dell’acqua, il servizio, la protezione dell’ambiente e 248 Vewin Presentation 2006 http://www.iwahq.org/uploads/iwa%20hq/website%20files/utilities/benchmarking_amsterda m_06/IWA%20conference%20on%20benchmarking%202006_04_Theo%20Schmitz.pdf 249 Con benchmark o, più spesso e coerentemente con la voce inglese "benchmarking” in economia si intende una metodologia basata sul confronto sistematico che permette alle aziende che lo applicano di compararsi con le migliori e soprattutto di apprendere da queste per migliorare. Sul tema vedi: Roberto Centazzo, Il Benchamrking nelle PMI.Applicazioni della metodologia del benchmarking nei distretti industriali, nei sistemi territoriali e nelle reti di piccole e medie imprese italiane., F. Angeli editore, 2002; Landi, Il marketing di acquisto, Angeli editore, 1979; R. Camp, Benchmarking. Come analizzare le prassi delle aziende migliori per diventare i primi, Itaca, 1991; U. Bocchino, Il benchmarking, uno strumento innovativo per la pianificazione ed il controllo strategico, Giufré editore, 1994; U. Bocchino, Manuale di benchmarking, Giuffré editore, 1994; P. Ceccarelli; Calia G., Vincere con il benchmarking. La gestione aziendale attraverso il confronto, Sperling & Kupfer, 1979. 185 l’efficienza. Quello olandese è stato il primo esercizio di tale pratica nel settore della fornitura idrica nell’Europa continentale250 ed ha ispirato paesi come Danimarca, Finlandia, Norvegia e Germania. Il Waterleidingwet del 2004 rappresenta un atto significativo nella storia olandese della gestione pubblica dell’acqua: con esso si introduce infatti il divieto per le compagne private di fornire acqua al pubblico. Essa rappresenta lo sviluppo di un progetto del governo in cui si esprime chiaramente la volontà di accordare le concessioni per la fornitura di acqua soltanto alle compagnie pubbliche. Considerato comunque che la maggior parte delle compagnie idriche olandesi erano già pubbliche, ciò, a livello interno, non ha prodotto rilevanti cambiamenti, mentre ha impedito di fatto l’ingresso di soggetti esterni di natura privatistica. Attualmente in Olanda dieci public regional water companies sono responsabili della fornitura di acqua potabile: esse lavorano in sinergia tra loro e sono unitariamente rappresentate dall’associazione Vewin, che le supporta nel raggiungimento dei loro risultati strategici. Molti dei loro servizi, come le relazioni con i clienti e le riparazioni dei guasti, vengono da esse affidati a soggetti privati. Fino al 2011 esisteva soltanto una piccola compagnia idrica privata olandese - NV Bronwaterleiding Doorn - che forniva acqua potabile nel comune di Doorn e che nel 2011 è stata acquisita dalla più vicina public company, Vitens, in base a quanto stabilito al Water Drinking Act. Se si vuol dunque parlare di settore privato dell’acqua in Olanda, bisogna riferirsi a numerose compagnie che vengono coinvolte nell’ingegneria idraulica, nella progettazione e realizzazione di progetti, aziende di consulenza e banche. Molte di queste compagnie hanno un focus internazionale, soprattutto quelle interessate dallo sviluppo tecnologico e dall’implementazione nell’area dell’ingegneria idraulica, fornitura e depurazione di acqua. Ad esempio il 250 Vewin Presentation 2006 http://www.iwahq.org/uploads/iwa%20hq/website%20files/utilities/benchmarking_amsterda m_06/ WA%20conference%20on%20benchmarking%202006_04_Theo%20Schmitz.pdf 186 processo della desalinizzazione e purificazione è ben conosciuto e alcune compagnie olandesi sono all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie innovative per l’ingegneria civile idraulica. In Olanda attualmente la garanzia di un sufficiente apporto di acqua potabile è affidata a diversi soggetti che cooperano tra loro: oltre alle società di distribuzione idrica, un ruolo chiave è assolto dal governo nazionale e dalle province. Ciascuna parte ha il proprio compito. In una simile organizzazione ogni parte ha il suo ruolo ben preciso e proprio questa divisione dei compiti, in un sistema integrato, voluto e largamente condiviso da tutti gli attori, sta la forza della “gestione” in senso lato del settore idrico olandese. Nessun soggetto potrebbe infatti operare senza il supporto degli altri: è la rete che garantisce la buona riuscita di ciascuno nel proprio ambito di competenza. Le dieci compagnie idriche esistenti assicurano che acqua da bere sicura sgorghi dal rubinetto 24 ore su 24: la fornitura idrica è costantemente garantita. Esse estraggono acqua dal suolo, fiumi, canali e laghi, la depurano e la rendono sicura per i consumatori e sono responsabili della manutenzione e qualità di tutte le condutture che arrivano al contatore dell’acqua. I proprietari delle abitazioni invece sono responsabili delle linee idriche all’interno dell’abitazione. Questo sistema integrato permette di verificare continuamente lo stato degli impianti e di affermare che la rete di distribuzione del settore dell’acqua potabile olandese è in uno stato eccellente. Le perdite sono infatti intorno al 6% mentre in altri Paesi europei è spesso al 12% o più. 3.3 Sistema di copertura dei costi I costi dell’estrazione, produzione e distribuzione di acqua potabile sono espressi nel prezzo che i consumatori pagano per metro cubo. I costi di distribuzione costituiscono la parte maggiore del prezzo. Le compagnie fronteggiano eventuali rischi di aumento dei costi migliorando continuamente la qualità dell’acqua e investendo in tecnologie di purificazione o prevenendo la contaminazione delle risorse idriche. Ogni compagnia fissa il proprio prezzo. Il prezzo medio per metro cubo di acqua potabile in Olanda rappresenta la terza tariffa più alta tra quelle di 187 undici paesi europei, compresi Germania e Danimarca 251. In questo prezzo sono però incluse l’imposta provinciale per la conservazione delle acque sotterranee (circa due centesimi per metro cubo) e la tassa nazionale (circa 34 centesimi per metro cubo) denominata “green tax” sulle acque sotterranee come risorse naturali. Un importante risultato delle compagnie idriche olandesi, in confronto ad altri paesi, è costituito dal fatto che l’acqua non contiene alcun additivo. I comuni invece, dal loro canto, possono evocare a sé tutti i costi di mantenimento della rete fognaria oppure, come spesso accade, li includono nella tassa sulla proprietà, che per loro rappresenta la fonte generale di entrata. Sempre in tema di costi, in Olanda è pacificamente accettato che il trenta per cento del costo di purificazione dell’acqua può essere attributo all’acqua piovana, nel senso che il più importante fattore di costo è la capacità idraulica richiesta per pomparla dalla rete fognaria. Oltre a ciò, ogni water board (paragrafo 4) fissa il proprio prezzo per unità di inquinamento. In Olanda il prezzo medio per il trattamento dell’acqua per abitazione (3 pollution units) è di circa Euro 136.00 all’anno (NLG 300.00). I costi per questa gestione della qualità delle acque sono distribuiti su un numero di “unità di inquinamento equivalenti” attraverso la tassa sull’inquinamento, che di fatto crea una sorta di meccanismo di determinazione del prezzo. I costi per la qualità dell’acqua, oltre al numero delle unità di inquinamento che devono essere trattate, sono anche determinati dagli elevati standards di qualità richiesti. Complessivamente il prezzo dell’acqua potabile è costituito da tre elementi: il prezzo stabilito dalla water company per il servizio di fornitura; la tassa fissata dagli w.b. per il trattamento delle acque reflue e le imposte municipali di fognatura: una somma per la costruzione ed il mantenimento della rete fognaria. 3.4 Divieto di fornitura privata di acqua (Waterleidingwet 2004) Venendo allo specifico del Drinking Water Act del 2004, esso innanzitutto modernizza le leggi esistenti in materia di gestione idrica ed inoltre sostituisce 251 TIRET A.,Présentation des services publics de l’eau et de l’assainissement en France, Symposium de Cannes 25 juin 2008 188 diversi Atti ormai parzialmente obsoleti: il Water Resources Management Act, i Pollution of Surface Water Act e Pollution of Sea Water Act, il Groundwater Act, l’ Act on Reclamation and Embankment, il Flood Defences Act, l’ Act on Water Works e il Water State Act 1900. Gli Atti menzionati sono abrogati dalla nuova legislazione, ad eccezione degli ultimi due. Il Waterleidingwet del 2004 affonda le sue radici in un progetto di legge del 2000 presentato dal Ministro dell’Ambiente olandese, Jan Pronk, per impedire alle compagnie private di occuparsi della fornitura dell’acqua al fine di conservare, in capo alle compagnie pubbliche, diritti esclusivi di produzione e distribuzione di acqua potabile nelle zone di loro competenza252. Nel 2001 una legge di questo tipo è stata abbozzata ma poi accantonata nel 2002, dopo le dimissioni del governo allora in carica e l’insediamento del successivo. La proposta di legge può essere considerata come il seguito di un documento del governo del 1997 con il quale si affermava esplicitamente che le concessioni per la fornitura di acqua potabile sarebbero state date soltanto a compagnie di proprietà dello Stato253. a. Forma legale di proibizione della fornitura privata di acqua potabile La nuova legge sull’acqua da bere (Drinking Water Act) del 2004 riguarda appunto soltanto l’acqua potabile e non il trattamento delle acque reflue. Essa254 stabilisce che i servizi di fornitura di acqua potabile ai consumatori possono essere gestiti soltanto da “gekwalificeerde rechtspersoon” ovvero persone legalmente qualificate. Secondo la legge sono persone legalmente qualificate quelle entità al 100% pubbliche o di proprietà pubblica. L’articolo 1f specifica i soggetti rientranti nella categoria: 1. “publiekrechtelijke rechtspersoon”, (persone legalmente qualificate), come 252 WaterForum Online, 7 Sep 2001 253 Blokland, Maarten; Braadbaart, Okke; and Schwartz, Klaas (eds 1999), Private Business, Public Owners: Government Shareholdings in Water Companies, International Institute for Infrastructural, Hydraulic and Environmental Engineering (IHE), p39 254 Eerste Kamer der Staten-Generaal (2003), 28 339: Wijziging van de Waterleidingwet (eigendom waterleidingbedrijven), 9 December 2003 189 stato, province, municipalità e comitati idrici; 2. “naamloze or besloten vennootschap” (compagnie pubbliche o private a responsabilità limitata) alle seguenti condizioni: i. lo statuto prevede che tutto il capitale della compagnia è detenuto direttamente o indirettamente da persone giuridiche pubbliche; ii. i poteri di controllo della compagnia non possono essere ceduti né condivisi con soggetti diversi da persone giuridiche pubbliche o altre compagnie così come definite in questo articolo. 3. “coöperatie” (joint venture) i cui membri rispondono alle condizioni di cui al punto 2. L’articolo 1g aggiunge: “bestaand waterleidingbedrijf” (compagnie per l’acqua esistenti), che alla data del primo settembre 2000 si occupavano della fornitura di acqua potabile, così come il loro legale successore, purchè questo sia persona giuridica qualificata. La forma giuridica del divieto previsto dall’articolo 3i è la proibizione di tutta la produzione e la fornitura di acqua da bere ai consumatori: Articolo 3i “E’ vietato a) produrre acqua da bere per i consumatori o b) fornire acqua da bere ai consumatori”. L’articolo 3j poi elimina il divieto per alcune organizzazioni e solo in determinate circostanze: le compagnie per l’acqua controllate da “persone legalmente qualificate” (“qualified legal persons”). Articolo 3j “1. Il divieto di cui all’articolo 3i, nel rispetto della parte a, non si applica: alle compagnie per l’acqua esistenti sotto l’esclusivo controllo di persone legalmente qualificate. 190 Gli articoli successivi prevedono alcuni specifici chiarimenti per assicurare che il divieto non venga aggirato: Articolo 3m: “ E’ proibito creare una transazione legale il cui risultato sia che, direttamente o indirettamente, solo o insieme con altre parti, qualcuno guadagni il controllo o la gestione di una compagnia per l’acqua o parte di essa”. Le responsabilità per e del controllo di questo servizio possono comunque essere passate ad un’altra compagnia per l’acqua a condizione che questa sia esclusivamente controllata da persone legalmente qualificate (Art 3k). L’articolo 3n specifica poi un numero di azioni che cadono sotto la previsione dell’articolo 3m: “a: i cambiamenti in termini statutari di una compagnia, come la concessione a terze parti, non persone legalmente qualificate, di diventare co-proprietari; b: il trasferimento di parti del capitale sociale di una compagnia per l’acqua a terze parti come nella previsione di cui alla lettera a; c: il trasferimento a terze parti della proprietà delle opere di trattamento delle acque o delle opere necessarie alla produzione dell’acqua da bere all’interno di una compagnia per l’acqua”. b. Il rapporto tra le legge sull’acqua olandese e la legislazione europea Il Parlamento olandese, all’epoca dell’emanazione del Drinking Water Act, era consapevole che questa legislazione sulle operazioni “fuori legge” dei privati in materia di servizi idrici non fosse in contrasto con la normativa europea: si considerava infatti il settore di libera regolazione da parte degli Stati membri fino a quando non fossero intervenute misure europee255. Si riteneva che non ci 255 Tweede Kamer der Staten-Generaal 2 Vergaderjaar 2001–2002 28 339 Wijziging van de Waterleidingwet (eigendomwaterleidingbedrijven) Nr. 3 MEMORIE VAN TOELICHTING. Summary per Jan Willem Goudriaan. 191 fosse alcuna direttiva europea che impedisse agli Stati membri di dichiarare illegale la privatizzazione dell’acqua, sia per mezzo della vendita che per delega o concessione. All’epoca non esisteva infatti una direttiva che imponesse una qualche forma di liberalizzazione nel settore delle acque. La Comunità Europea propose di considerare una previsione di questo tipo nel 2003, ma la vicenda è stata molto controversa e la proposta è stata specificamente respinta da una risoluzione del Parlamento europeo nel marzo 2004: "47. respinge i tentativi di rendere i servizi idrici e di smaltimento dei rifiuti oggetto di direttive settoriali del mercato unico, ritiene che la liberalizzazione dell'approvvigionamento idrico (compreso lo smaltimento delle acque reflue) non dovrebbe essere effettuata in considerazione delle peculiarità regionali del settore e della responsabilità locale per la fornitura di acqua potabile, nonché di varie altre condizioni relative all'acqua potabile; chiede tuttavia che, senza giungere alla liberalizzazione la fornitura di acqua potabile sia 'modernizzata' con i principi economici in conformità con la qualità e della tutela ambientale e le esigenze di efficienza; 48. È del parere che l'acqua e i servizi di rifiuti non dovrebbero essere oggetto di direttive comunitarie settoriali, ma sottolinea il fatto che l'Unione dovrebbe mantenere la sua piena responsabilità per questi settori in termini di qualità e di tutela ambientale "256. Il successivo libro bianco dell’Unione Europea sui servizi di interesse generale evidenziava come "sono espresse opinioni divergenti sulla questione come se fosse auspicabile, a livello comunitario, un preciso quadro regolatorio ... Nessun accordo esiste per quanto riguarda l'apertura del settore delle acque a livello comunitario", e afferma soltanto che: " Per quanto riguarda il settore idrico, la Commissione pubblicherà entro la fine dell'anno i risultati della valutazione sulla quale si è impegnata "257. 256 European Parliament Texts Adopted by Parliament Provisional Edition : 14/01/2004 Services of general interest P5_TA-PROV(2004)0018 A5-0484/2003 European Parliament resolution on the Green Paper on services of general interest (COM(2003) 270 - 2003/2152(INI)) 257 COM(2004) 374 White Paper on services of general interest Section 4. 192 Il libro bianco dell’UE sui servizi di interesse generale nel 2004 affermava poi espressamente che la proposta di direttiva non imponeva alcun obbligo di ristrutturare il settore idrico: "in questa proposta, determinate attività che possono essere considerate da parte degli Stati membri come servizi di interesse economico generale, sono escluse dall'ambito di applicazione della proposta, come i trasporti, o sono soggette a deroghe del paese d'origine principale, come i servizi postali e di elettricità, gas e servizi di distribuzione dell'acqua. Più importante, la proposta non fa obbligo agli Stati membri di aprire i servizi di interesse economico generale alla concorrenza, né interferisce con il modo in cui essi sono finanziati o organizzati "258. La direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva Servizi 2006/123/UE) è stata adottata dal Consiglio europeo nel 2006. 4. Ruolo dei “water boards” 4.1 Premessa Il modello regionale delle autorità per l’acqua olandesi è molto ammirato nel contesto internazionale come un sistema “confezionato su misura” per adempiere ai propri doveri, finanziariamente autosufficiente e, come dimostrato dalla sua storia di più di 800 anni, ampiamente sostenibile. Infatti l’organizzazione e il sistema finanziario alla base della gestione decentralizzata olandese dell’acqua, sono temi molto ricorrenti al centro delle relazioni internazionali, in particolare per lo scrupoloso rispetto di vari aspetti richiesto dal sofisticato sistema delle water authorities regionali259. 258 COM(2004) 374 White Paper on services of general interest Section 3.7 and Annexe 2 259 Sul punto vedi: Uijterlinde, R., Janssen, A., Figueres, C. (red.): Success factors in self financing local water management,GBS prepress, Rijswijk, 2003, ISBN 90 6904 114 6; Ven, G.P. van de (red.): Leefbaar laagland, vijfde geheel herziene druk, Uitgeverij Matrijs, Utrecht 2003,ISBN 90 5345 190 0; Kramer, T. de, Rijswick, H.F.M.W. van, Minderhoud, F., Berns, J.: Europagids, Handleiding Europees rechtvoor waterschappen, STOWA, Utrecht 2004; Havekes, H.J.M., Koemans, A.M.H.Th., Lazaroms, R.J., Uijterlinde, R.: Water Governance. The Dutch waterboard model, GBS prepress, Rijswijk 2004; Rijswick, H.F.M.W.(red), Freriks, A.A., Backes, CH.W., Groothuijse, F.A.G., Keessen, A.M., Kempen, J.J.H. van, Widdershoven, R.J.G.M.: EG-recht en de praktijk van het waterbeheer, STOWA-rapportnummer 2008-02, ISBN 978 90 5773 377 2; Havekes, H.J.M., Jongmans, H.C., Knoops, J.J.M., Strijen, A.van: Het waterschap in kort bestek 2008- 193 Innanzitutto il cinquanta per cento del territorio olandese sarebbe coperto dall’acqua se la gestione idrica non fosse perfettamente rispondente agli standards fissati e, se le autorità idriche cessassero di svolgere il loro lavoro anche solo per un giorno, la parte inferiore dei Paesi Bassi sarebbe seriamente in difficoltà. La politica idrica olandese da tempo mira a prevenire ed anticipare i cambiamenti climatici e ad implementare completamente la propria normativa con la politica europea, così come espressa nelle Direttiva 2000/60 sull’acqua e 2007/60 sulla gestione dei rischi di alluvioni. Nel realizzare quanto sopra le autorità idriche regionali hanno un ruolo cruciale con i loro compiti in materia di protezione dalle inondazioni, gestione di qualità e quantità dell’acqua e trattamento delle acque di scarico. Nel 2008 i cambiamenti richiesti sono stati ottenuti come risultato dell’introduzione di un nuovo Water Boards Act che è entrato ufficialmente in vigore il 22 dicembre 2009. 4.2 Origine Responsabili della qualità e quantità dell’acqua a livello regionale in Olanda, insieme con il Dipartimento per i lavori Pubblici e delle Risorse Idriche, sono appunto i “water boards” (“Waterschappen” o comitati/consigli per l’acqua): enti pubblici per la gestione delle risorse idriche. Essi rappresentano la più antica forma di governo democratico in Olanda. Le prime si sono sviluppate nel tredicesimo secolo, e sono proliferate a livello locale fino al punto di arrivare al numero di 2500 nel 1950. In seguito, per rendere più efficiente il loro funzionamento, sono state progressivamente accorpate fino ad arrivare all’attuale numero di 27. 4.3 Competenze I Water Boards si occupano degli aspetti essenziali della gestione regionale delle acque: dalla protezione dalle inondazioni, alla gestione integrata dell’acqua sia 2009; Reed Business/Unie van Waterschappen, Den Haag 2008, ISBN 978 90 352 4240 1; Havekes, H.J.M.: Functioneel decentraal waterbestuur : borging, bescherming en beweging; De institutionele omwenteling van het waterschap in de afgelopen vijftig jaar (diss.), SDU Den Haag 2009; Ministerie van Verkeer en Waterstaat : Water in Beeld 2009. Voortgangsrapportage over het waterbeheer inNederland, Den Haag 2009, www.waterinbeeld.nl; Havekes, H.J.M., Putter, P.J. de (red): Wegwijzer Waterwet. Kluwer, Alphen aan den Rijn 2009, ISBN 978 90 13 07127 6. 194 dal punto di vista della quantità (drenaggio e irrigazione, controllo del livello dei fiumi e della falda acquifera) sia dal punto di vista della qualità (controllo dell’inquinamento, miglioramento della qualità delle acque superficiali, trattamento delle acque di scarico, rilascio di permessi di scarico, gestione e manutenzione di impianti di depurazione). I principi cardine su cui queste pubbliche autorità si fondano sono i seguenti: • il Governo dell’Acqua deve essere effettuato in maniera efficiente; • deve essere effettuato a livello locale dove possibile; • la realizzazione di tale governo deve avvenire dopo aver pesato e valutato gli interessi di tutti coloro che ne sono coinvolti. Per realizzare i tre principi suddetti, è stato dato alle Water Board la struttura di organi governativi ad amministrazione decentralizzata, autonomi sia dal punto di vista politico che finanziario (si finanziano attraverso tassazione diretta). 260 4.4 Forma istituzionale Le autorità idriche servono per monitorare i livelli fisici dell’acqua nella loro regione e, se necessario, delle acque di scarico, oltre ad essere competenti in materia di trattamento delle acque reflue, controllo della qualità delle acque superficiali e del mantenimento di corsi d'acqua e canali. L'organizzazione che riunisce i water boards è l’Unie van Waterschappen. La gestione delle risorse idriche locali e regionali nei Paesi Bassi è, come detto, ampiamente decentrata. I w.b. hanno un ruolo chiave in questo come autorità di governo decentrato funzionale. Essi possono concentrarsi completamente sul governo dell'acqua, che viene così reso immune dall’influenza della politica. I distretti olandesi tengono il passo con l'evoluzione della società ma, anche se le strutture organizzative, quelle finanziarie e il quadro legislativo, sono adeguati e aggiornati continuamente, gli elementi ei principi di base rimangono intatti. Essi 260 Le Water Board nei Paesi Bassi: un’istituzione democratica, http://www.finisterrae- onlus.org/Documenti%20tradotti/Documenti/waterboard.pdf. Altre informazioni sul sito Web dell’Associazione http://www.uvw.nl/ (in olandese e inglese) 195 delle Water Board Olandesi: sono individuabili nell'esistenza di una struttura democratica che permette l'ingresso e la partecipazione dei soggetti interessati e che subordina il pagamento delle tasse all’effettiva rappresentanza - mantenendo così l’equilibrio tra denaro e i mezzi a disposizione a livello locale - e l’indipendenza finanziaria e affidabilità garantite dalla presenza di una propria area di fiscalità decentrata. Il water board è un corpo funzionale amministrativo decentralizzato con personale e finanza autonomi, istituito al fine di adempiere ai compiti concernenti il settore della governance delle acque. Da un punto di vista gerarchico esso hanno lo stesso status dei comuni. Come detto nel sopramenzionato articolo della Costituzione, le province giocano un ruolo importante con riguardo all’organizzazione delle autorità idriche regionali, soprattutto in termini di elaborazione di regole e di supervisione della loro attività. Attualmente in Olanda ci sono 27 water authorities regionali, 12 province e 430 comuni. In tema di struttura e doveri dei w.b. (come regional water authorities) il nuovo Water Boards Act, all’articolo 1, caratterizza le stesse come corpi pubblici con l’obiettivo della governance idrica in un particolare distretto. Questa definizione consta di tre elementi: prima di tutto la norma chiarisce che le r.w.a. sono parte della pubblica amministrazione e, in quanto tali, parte dell’organizzazione del governo olandese. Come conseguenza di ciò esse prendono decisioni che sono vincolanti per i cittadini e, ad esempio, redigono leggi locali con previsioni obbligatorie e divieti, concedono e rifiutano permessi e impongono tasse. Se necessario esse possono rafforzare la garanzia del rispetto di questa regolamentazione attraverso coercizioni e sanzioni. Il secondo elemento riguarda i limiti territoriale delle r.w.a.: esse infatti hanno ognuna un distretto entro il quale eseguire i propri compiti. Conseguentemente, esse sono parte della c.d. amministrazione decentrata, così come lo sono le province e i comuni. I confini dei distretti delle r.w.a. non sono disegnati arbitrariamente, ma sono determinati da ragioni che concernono la gestione idrica (bacini imbriferi, rete delle fognature e il raccordo degli argini). Come risultato di ciò, essi deviano dai limiti provinciali e municipali quasi per definizione. 196 Il terzo elemento, concerne la considerazione che la sopra-menzionata definizione implica: i compiti delle r.w.a. riguardano esclusivamente il settore della governance idrica (o il più ampio concetto di “opere pubbliche e gestione idrica”). Tali funzioni sono pertanto fissate sin dall’inizio in questo unico ambito, a differenza, ad esempio, di un comune che è investito di una molteplicità di compiti nei settori più diversi. Essendo fermo in Olanda che tutte le autorità nazionali e locali sono coinvolte nella gestione dell’acqua, le r.w.a. pertanto non lavorano isolate bensì esistono molti strumenti di coordinamento e raccordo che possono essere suddivisi in due categorie: i “normali” metodi di supervisione e di governance da un lato, e le specifiche regole contenute nel Water Act dall’altro. La prima categoria tratta primariamente l’attività di controllo e repressione condotta dalle autorità maggiori su quelle inferiori. La regolamentazione in materia prevista dal Water Boards Act può esservi ricompresa. Per quanto riguarda invece la seconda categoria, i piani di gestione delle r.w.a. devono essere approvati in conformità al Water Act. I poteri di supervisione, di relativa vasta portata, in capo a province e governo centrale, indicati nel terzo paragrafo del capitolo tre del Water Act, devono essere menzionati in questo contesto. La base di tale regolamentazione è costituita dalla volontà di promuovere una politica coerente ed efficace del regime delle acque. L’obbligo dei comuni di coinvolgere le r.w.a. nella preparazione del piano comunale della rete fognaria rientra in questa categoria e comunque, pur in assenza di queste previsioni legislative, ci sarebbero in ogni caso buone consultazioni tra i vari attori del processo decisionale. A livello nazionale ciò si verifica infatti nel Nationaal Water Overleg (NWO, national water consultation), in cui il governo nazionale, le province, i comuni e le r.w.a. sono rappresentati e si riuniscono sotto la presidenza del Segretario di Stato dei Trasporti, Lavori Pubblici e Gestione delle Acque. 4.5 Composizione I w.b. sono istituzioni democratiche e una delle prime forme di ente pubblico in cui le decisioni si basano sul consenso. Gli organi di governo sono l’Assemblea del Water Board, l’Assemblea Esecutiva, e il Presidente.L’assemblea è costituita da rappresentanti delle diverse categorie di portatori di interesse dell’area di 197 competenza. L’idea di base è che chiunque abbia un interesse alla gestione dell’acqua nell’area si fa carico di un costo proporzionale a tale interesse ed ha dunque un potere decisionale altrettanto proporzionale al proprio interesse ed al costo relativo. Nei w.b. si fa distinzione tra interessi di tipo generale e interessi di tipo specifico. Gli interessi generali sono quelli che riguardano gli abitanti dell’area indistintamente. Gli interessi specifici sono quelli relativi alle diverse attività dell’area. I portatori d’interesse che devono essere rappresentati nei distretti idrici sono elencati, anche se non a titolo esaustivo, nell’articolo 12 del Dutch Water Boards Act. Essi sono: i residenti, gli agricoltori, i proprietari di aree naturali e gli imprenditori, i proprietari terrieri, i proprietari di appartamenti o edifici, gli utenti di strutture in cui si realizzano attività economiche, in rappresentanza di aziende che scaricano acque industriali, i rappresentanti di coloro che hanno interessi generali e gli inquilini. L’assemblea generale delle Water Board elegge (di solito) l’Assemblea Esecutiva. Normalmente i membri di tale assemblea sono scelti sulla base della loro esperienza settoriale, in quanto sono coloro che decidono le politiche e gli indirizzi generali. Il presidente viene eletto direttamente dai regnanti, e fa parte integrante dell’assemblea esecutiva.261 La caratteristica democratica delle w.b. risiede nel fatto che i rappresentanti dell’assemblea sono eletti dagli abitanti dell’area, e tale assemblea ha potere di voto sulle direttive dell’assemblea esecutiva. Il presidente non ha diritto di voto. 4.6 Autonomia finanziaria Per quanto concerne invece l’aspetto finanziario dell’attività dei water boards, va innanzitutto ribadito come la gestione dell’acqua in Olanda sia interamente nelle mani del governo. Tutti i compiti inerenti il settore ricadono sotto leggi dello Stato e sono eseguiti da governo centrale, province, comuni e autorità idriche regionali. Esse sono finanziate dai fondi generali del governo centrale o attraverso la riscossione di diverse tasse decentralizzate. L’unica eccezione a quanto appena detto è rappresentata dalla fornitura dell’acqua potabile: questa funzione viene infatti assolta dalle compagnie per 261 E’ interessante notare che il potere decisionale di questo rappresentante è a un livello superiore rispetto alle municipalità, su cui ha dunque potere di veto. 198 l’acqua ed i costi sono recuperati dai cittadini attraverso fatturazioni che ricadono sotto leggi di diritto privato. Le compagnie sono però largamente controllate dal governo nazionale secondo quanto disciplinato espressamente dal Drinking Water Act. Le province e i comuni sono ampiamente dipendenti, sotto il profilo finanziario, dal supporto del governo centrale (attraverso sovvenzioni al fondo provinciale e al fondo per le municipalità); invece le autorità idriche regionali sono in larga misura finanziariamente indipendenti. Questa indipendenza è il risultato del fatto che esse hanno la propria ampia area di tassazione. Le loro attività possono essere finanziate indipendentemente grazie alla riscossione diretta di tasse. Infatti il governo centrale dà soltanto un contributo sostanziale ai compiti di protezione dalle inondazioni. 5. Conclusioni sull’esperienza olandese Come indicato nella premessa del presente capitolo, l’analisi dell’esperienza olandese ci consente di riflettere sulla fattibilità in termini di possibile “esportazione” delle soluzioni attuate con successo in Olanda e la loro potenziale attitudine a risolvere o attenuare le criticità del sistema idrico italiano. I profili che maggiormente sono emersi, e che costituiscono uno spunto in prospettiva comparata, riguardano dunque: il coinvolgimento dei privati nel servizio idrico non in termini di gestione ed il particolare partenariato pubblico privato che si è consolidato nel Paese; un sistema di copertura dei costi che prevede anche l’introduzione di una tariffa idrica strutturata su componenti c.d. ambientali ed infine il ruolo chiave dei “water boards”, autorità idriche corrispondenti alle nostre autorità di bacino ma con caratteristiche differenti. 1) approccio integrato e coinvolgimento dei privati L’esperienza olandese si caratterizza fondamentalmente per la logica posta alla base del “water system”: essa muove dalla considerazione del settore idrico come differente dagli altri settori di utilità, come ad esempio l’energia, i rifiuti e le telecomunicazione. L’acqua è cioè considerata una risorsa il cui uso non può essere separato dal sistema regionale di estrazione della stessa in un approccio normativo integrato. Il servizio idrico rappresenta un’eccezione nella disciplina dei servizi pubblici in quanto avente ad oggetto una risorsa vitale ed esauribile e, 199 come tale, solo muovendo da tale assunto, lo si può comprendere e disciplinare appieno in modo che possa realmente funzionare. Esso non è un servizio pubblico come gli altri. Tale consapevolezza deriva dall’esperienza di un Paese per il quale da secoli l’acqua ha costituito, come in nessun’altra realtà, un elemento decisivo per la vita e la morte dei suoi abitanti e del suo territorio. In una simile realtà, è stato vitale creare un sistema integrato sia tra i diversi attori, sia tra i vari settori toccati in modo diverso dal ciclo idrico sia infine tra il sistema delle acque (inteso appunto come insieme dei corsi d’acqua) e la catena dell’acqua (ossia il complesso delle attività che concernono l’acqua: estrazione, produzione, purificazione e distribuzione: in breve, la gestione in senso lato).L’Olanda, forte di tale esperienza concreta, ha costruito nei secoli un modello unico, incentrato su un partenariato pubblico-privato sui generis, in cui cioè le potenzialità degli operatori privati vengono sfruttate da soggetti che hanno un’origine pubblica. Come si è visto infatti le water companies pubbliche affidano a soggetti privati molti dei loro servizi, come le relazioni con i clienti e le riparazioni dei guasti. Esse coinvolgono numerose compagnie nell’ingegneria idraulica, nella progettazione e realizzazione di progetti e nella consulenza. E ciò anche a dimostrazione del fatto che “la privatizzazione non conduce automaticamente a miglioramenti nell’efficienza delle prestazioni e una compagnia di fornitura idrica in mani pubbliche può anche essere competitiva in termini di efficienza della prestazione”. 262 2)sistema di copertura dei costi con componenti ambientali La tariffa idrica olandese si compone di voci di costo che corrispondono alle varie fasi della catena idrica ed tale composizione, in cui assume un ruolo significativo il dato ambientale, rispecchia l’approccio integrato del water system di una gestione integrata e complessiva dell’acqua, sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo. Il prezzo che i consumatori olandesi pagano per l’acqua è fissato per metro cubo e i costi del servizio idrico comprendono infatti: i costi 262 Stefan M.M. Kuks, The privatisation debate on water services in the Netherlands. An examination of the public duty of the Dutch water sector and the implications of market forces and water chain cooperation, University of Twente, Centre for Clean Technology and Environmental Policy (CSTM), 2000 200 dell’estrazione, produzione e distribuzione; questi ultimi costituiscono la parte maggiore del prezzo. Ogni compagnia fissa il proprio prezzo. In questo prezzo sono incluse l’imposta provinciale per la conservazione delle acque sotterranee (circa due centesimi per metro cubo) e la tassa nazionale (circa 34 centesimi per metro cubo) denominata “green tax” sulle acque sotterranee come risorse naturali. Ma è la tassa sull’inquinamento (riscossa dai w.b.) che di fatto crea una sorta di meccanismo di determinazione del prezzo, in quanto esso viene fissato in base al numero delle unità di inquinamento che devono essere trattate. I comuni invece, dal loro canto, possono evocare a sé tutti i costi di mantenimento della rete fognaria oppure, come spesso accade, li includono nella tassa sulla proprietà, che per loro rappresenta la fonte generale di entrata. Altro costo riguarda la purificazione dell’acqua il cui 30% è attributo all’acqua piovana, nel senso che il più importante fattore di costo è la capacità idraulica richiesta per pomparla dalla rete fognaria. 3) ruolo dei w.b. E’ stato inoltre creato un soggetto per il governo delle acque unico nelle sue caratteristiche e nelle sue funzioni: il water board. Esso si presenta infatti come un ente dedicato esclusivamente alle risorse idriche, con autonomia finanziaria derivante da una specifica tassazione. Nonostante in Olanda si sia molto discusso se aprire al mercato il settore idrico e sia in corso il dibattito sulla fusione dei water boards all’interno delle province (per eliminarne il costo e migliorare l’efficienza della gestione idrica), quasi a ritenere la provincia (che corrisponde in Italia alle regioni) la panacea di tutti i mali, muovendo da una prospettiva storica non può non darsi atto della “sostenibilità” e indispensabilità di tale originale strumento che, dal Medio Evo ad oggi, ha garantito la sopravvivenza del Paese. Una così antica istituzione va sicuramente potenziata e migliorata nelle caratteristiche, se non altro in ragione dell’evolversi della società e delle esigenze; ma non può disconoscersi come essa soltanto incarni appieno la concezione alla base del ciclo idrico e della catena idrica: solo un organismo esclusivamente preposto alla cura delle acque nella sua accezione più lata, può assicurare che il servizio idrico conservi il carattere eccezionale che ad esso deriva dal bene che ne forma oggetto e che impedisce che esso sia assoggettato alle regole vigenti per il servizio pubblico in genere. 201 Parte IV Considerazioni conclusive e proposte ricostruttive Capitolo settimo Proprietà ambientale e finalità di conservazione 1. Considerazioni conclusive Finora sono state esplorate le possibili vie attraverso le quali porre rimedio alle due criticità individuate e che affliggono il sistema delle acque italiano: l’esigenza di investire sulla rete idrica per ridurre/azzerare le perdite e la limitazione degli sprechi ad opera della collettività. Come coprire dunque gli investimenti di cui la rete necessita. Come ridurre gli sprechi d’acqua. Come controllare i controllori. Una prima soluzione a questi interrogativi è stata individuata nella “limitazione” 202 del diritto di proprietà: ponendo cioè, limiti definiti e necessari al diritto di tutti di accedere alla risorsa. Si è detto che il limite al diritto di tutti di usare la risorsa realizza paradossalmente in concreto l’accesso generalizzato all’acqua. Un primo limite è costituito dalla tariffa. Un secondo limite è costituito dalla regolazione. Porre dei limiti necessitati alla proprietà pubblica dell’acqua, nella sua accezione di accesso generalizzato, rappresenta dunque l’avvio del processo di superamento dell’imperfezione della stessa. Laddove esiste un bene indispensabile alla sopravvivenza di tutti, l’accesso generalizzato ad esso deve essere necessariamente garantito da limiti e gli sprechi dell’acqua sono intesi in questa prospettiva come una conseguenza della “recinzione della proprietà comune”. Si è detto in precedenza che il pubblico servizio è il fine ultimo dell’intera attività amministrativa, che consiste nel soddisfacimento di bisogni collettivi mediante esplicazione dell’attività dello Stato. Esso rappresenta lo strumento attraverso il quale la res informe assume concretezza nell’ordinamento e si dota di un corollario di cautele che ne declinano il valore che lo stesso ordinamento vi ha connesso. Una di queste cautele è la tariffa. E la tariffa trova nel servizio il luogo naturale in cui assolvere alla funzione di incarnare il valore che la collettività ed i suoi rappresentanti hanno inteso conferire all’acqua. Essa è filtro di valore e al tempo stesso limite di responsabilità: limite necessario ad un accesso “irresponsabile” alla risorsa. Come si è visto, il metodo tariffario vigente in Italia non è però esente da criticità, sia in termini di modernizzazione del metodo normalizzato, sia in tema di livelli di tutela ambientale e di qualità dell’acqua, sia per le connessione alle reti. Un ulteriore limite di responsabilità alla proprietà pubblica dell’acqua può essere costituito, nell’ottica di “un patto di responsabilità” da un garante, sia esso lo Stato o un soggetto terzo. Nell’ordinamento giuridico italiano, dapprima il c.d. Decreto legge sviluppo 70 del 13 maggio 2011 all’articolo 10 commi 11 e seguenti aveva ovviato alla carenza di un soggetto terzo garante delle acque con la previsione dell’istituzione dell’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, come organo indipendente dal Governo che operasse in piena autonomia. Successivamente, prima che la Commissione fosse diventata operativa, la legge n. 214 del dicembre 2011 ne ha disposto la soppressione, unitamente a quella della Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse 203 idriche e i compiti di regolazione e di vigilanza relativi ai servizi idrici sono stati attribuiti all’AEEG. Sempre nei termini della ricerca di soluzioni al problema di come ovviare agli investimenti di cui necessita la rete idrica per ridurre/azzerare le perdite e all’esigenza di limitare degli sprechi ad opera della collettività, nel corso del presente lavoro si è poi tentata la via della riflessione in una prospettiva di comparazione con l’esperienza olandese. E dall’analisi svolta sono emerse altre due interessanti soluzioni potenzialmente esportabili in Italia: il coinvolgimento dei privati e/o la tassazione strutturata con componenti ambientali. Nel presente capitolo si passerà a verificare infine la praticabilità di un’altra via, ulteriore rispetto a quella delle limitazioni del diritto di accesso all’acqua attraverso lo strumento tariffario e la regolazione e il possibile coinvolgimento nel servizio idrico non in termini di gestione. Una via alternativa alla proprietà pubblica, affiancata da una gestione altrettanto pubblica, che consenta di realizzare un equilibrio tra il profilo economico - investimenti sulle reti - ed il profilo sociale - evitare gli sprechi - dell’accesso all’acqua diversa dalla privatizzazione della gestione servizio idrico. Si esaminerà dapprima la soluzione della proprietà collettiva ed i suoi limiti - (tale soluzione sembra infatti fallire laddove fallisce la proprietà pubblica - abuso dei consociati nell’uso e nell’appropriazione). E si studierà l’opzione dell’alienazione di diritti di proprietà individuali sull’acqua, che tuttavia presenta anch’essa limiti analoghi alla proprietà collettiva. Si valuterà dunque un’ulteriore via data da una quinta forma proprietaria: la c.d. proprietà ambientale. Si verificherà se tale soluzione consenta di dare una risposta non solo alle criticità del sistema ma anche all’interrogativo da cui muove tutto il nostro discorso: cosa cambia a seguito della risoluzione Onu sul piano internazionale e a livello di diritto interno dei singoli Stati? Che cambiamento cioè determina un riconoscimento formale del diritto all’acqua a livello globale e nei singoli Stati? L’ipotesi oggetto di studio è che il riconoscimento del diritto avente ad oggetto una risorsa naturale assicura l’equilibrio tra il profilo economico e il profilo sociale del bene, dando spazio al valore “ideale” della risorsa stessa. E cioè che tale riconoscimento innanzitutto funga da ago della bilancia tra il mercato e la gestione non economica del bene. In secondo luogo il riconoscimento di un diritto all’acqua aprirebbe la strada allo sviluppo di strumenti effettivi di 204 conservazione delle risorse naturali che superino le tradizionali forme di inquadramento della titolarità e gestione del bene. Un esempio in tal senso potrebbe appunto essere costituito dalla proprietà ambientale: una forma proprietaria in cui risulta centrale il valore “ideale” del bene ambientale e che potrebbe realizzare appieno la propria funzione laddove si rafforzassero i vincoli da essa derivanti. 2. Considerazioni sulle soluzioni prospettate in precedenza e potenzialità ulteriore offerta dal “riconoscimento” del diritto Attraverso la categoria giuridica della proprietà pubblica, in Italia la pubblicità dei beni (pubblici) è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche non economiche. La proprietà pubblica rafforza dunque il legame tra una comunità ed un bene strategico. La demanializzazione dell’acqua e delle relative infrastrutture è posta a presidio di un valore fondamentale dell’uomo. Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha precisato che “L’acqua è un bene primario della vita dell’uomo” e, quindi “un diritto fondamentale dell’uomo e delle generazioni future”. 263 La proprietà pubblica rappresenta l’esito naturale di un processo di formalizzazione nell’ordinamento giuridico della situazione connessa all’acqua: è cioè la particolare natura del bene che necessariamente condiziona l’assetto organizzativo dei servizi inerenti lo stesso. Dalle caratteristiche della risorsa è imprescindibile muovere nell’elaborazione di regole di utilizzazione, accesso e gestione dell’acqua. Il riconoscimento di un diritto di accesso all’acqua, o in generale, di un diritto all’acqua, pur nella sua rilevanza, parrebbe però, alla luce di quanto sopra, rappresentare un rafforzativo - di rilievo, certo - ma soltanto un rafforzativo, di una tutela giuridica che si attua innanzitutto attraverso lo strumento della pubblicità delle acque. Il vero ed effettivo riconoscimento del diritto di tutti di accedere alle risorse idriche in Italia sembra essere già avvenuto infatti con l’affermazione della pubblicità (rectius, demanialità) di tutte le acque, in una prospettiva di “proprietà integrata” come sopra specificato. Accanto al profilo proprietario della risorsa, il problema della garanzia 263 sentenza n.259/1996 205 dell’accessibilità della stessa viene poi concretamente affrontato attraverso gli elementi della gestione del servizio idrico, il sistema di tariffazione e la presenza di autorità di regolazione. In particolare, lo strumento della tariffa idrica, per mezzo del servizio pubblico ad essa relativo, assurge, pur con tutte le sue criticità, a strumento filtro del “valore” effettivo del bene. La proprietà pubblica del bene unitamente ad un sistema tariffario specchio della scelta di “socialità” dell’ordinamento, in una cornice gestionale di matrice pubblicistica, in cui recentemente è stato potenziato anche l’elemento regolatorio - sia pur ancora a livello formale -, in Italia realizzano la sostanza di quello che potremmo chiamare “diritto di accesso” all’acqua. Un riconoscimento ufficiale, in assenza di un substrato oggettivo calibrato sulle caratteristiche proprie del bene oggetto del diritto, rappresenterebbe dunque in tale prospettiva una mera enunciazione di principio priva di reale incisività. E la risoluzione dell’ Onu, al pari d’altronde di qualsiasi affermazione di principi universali, costituisce il punto di arrivo di un processo culturale che nella sua cristallizzazione trova una conferma definitiva a livello formale. L’ufficializzazione di una situazione di fatto, per il tramite di un riconoscimento espresso, aggiunge un quid formale che, nel contempo si connota di un rilievo di natura sostanziale. Ed il substrato oggettivo a sua volta si cristallizza in un quadro formalmente definito. L’elemento di attualizzazione del legame sussistente tra l’acqua e la collettività - dato oggettivo costituito da proprietà pubblica e tariffa equa - si stabilizza cioè nella cornice ufficiale del riconoscimento espresso del diritto. Riconoscere il diritto all’acqua permette però di compiere un passo ulteriore rispetto a quanto appena detto e rispetto anche alla fissazione di limiti alla proprietà pubblica: consente di pervenire ad un equilibrio tra valore economico dell’acqua e gestione non economica della stessa. Abbiamo visto264 come anche laddove esiste un riconoscimento costituzionale del diritto, come in Sudafrica non è necessariamente consequenziale la garanzia concreta dello stesso, o meglio un sostrato oggetto rispondente alle aspettative della collettività. E’ anche vero però che, richiamando di nuovo quanto affermato 264 premessa al capitolo 3 206 da Hardin, non sempre le scelte dei governanti sono popolari ma, ciononostante, sono necessarie per proteggere i c.d. beni comuni dagli abusi della loro utilizzazione. Il problema che dunque emerge dalla vicenda sudafricana, non riguarda tanto se e quale sia il quantitativo minimo d’acqua gratuita che deve essere garantito; bensì la dimostrazione da parte degli Stati di aver adottato le misure legislative e gli strumenti necessari, entro la propria disponibilità di risorse, per raggiungere la progressiva realizzazione del diritto. 265 L’inciso presente nella sentenza della Corte Costituzionale Sudafricana, “entro la propria disponibilità di risorse”, si ricollega alla logica alla base dell’esigenza di porre un limite all’utilizzazione dei beni comuni. Per risorse infatti debbono intendersi sia i mezzi economici dello Stato, sia le riserve di acqua esistenti. E la garanzia di un effettivo diritto di accesso in una dimensione globale, implica lo spostamento dell’attenzione dal soggetto alla risorsa naturale e le sue caratteristiche, tra cui, in primis, l’esauribilità e la non omogenea distribuzione. Si vuol cioè affermare che il diritto di tutti di avere acqua per vivere, e poi vivere dignitosamente, si calibra sulla domanda globale e sulla disponibilità complessiva di acqua. Attraverso la conservazione della risorsa si realizza la concreta possibilità per tutti di accedervi anche se non in misura corrispondente alla proprie aspettative. Riconoscere ufficialmente l’esistenza di un diritto all’acqua, in una simile prospettiva, permette inoltre di superare l’attuale inquadramento giuridico della risorsa idrica, rendendo possibile ed effettiva l’utilizzazione di una forma proprietaria diversa e soprattutto adeguata alla particolare categoria di beni costituita dalle risorse naturali, in quanto beni extra mercato. E consente all’interprete di superare i limiti che il sistema attuale di “diritto delle acque” incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di trovare una soluzione al di fuori delle tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato, ed anche oltre le più moderne teorie rispettivamente della gestione civica del bene attraverso istituzioni di autogoverno e dei diritti individuali di proprietà sull’acqua. 265 vd. nota 127 207 3. Inadeguatezza della “terza” e “quarta” via. a. Una terza via per gestire le risorse comuni: la gestione civica del bene attraverso istituzioni di autogoverno Accanto ai modelli tradizionali di proprietà e gestione dei beni comuni in genere e, in particolare, delle risorse naturali, espressi dalla dicotomia pubblico-privato, è stata prospettata una terza via: la via della gestione civica del bene attraverso istituzioni di autogoverno. Tale teoria si inserisce nel solco della concezione della democrazia partecipativa e deliberativa, definite più o meno concordemente dalla maggioranza degli studiosi facendo riferimento a due elementi distintivi: 1) tutte le forme di democrazia partecipativa danno vita a tecniche dirette a permettere che tutti coloro che sono interessati da una decisione pubblica siano consultati ed esprimano una propria posizione; 2) l’effetto della partecipazione non è quello di trasferire il potere decisionale finale in capo ai partecipanti. 266 266 Bifulco R., DEMOCRAZIA DELIBERATIVA E DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA: relazione al Convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, Firenze, 23 aprile 2009. Per approfondimenti sul punto vedi anche: U.ALLEGRETTI, Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia: alcuni orientamenti, in Democrazia e diritto, 2006; V.ATRIPALDI, Contributo alla definizione del concetto di partecipazione nell’art.3 Cost., in AA.VV., Strutture di potere, democrazia e partecipazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 1974, 11; A.BALDASSARRE, Il retrobottega della democrazia, in Laboratorio politico, 1982, 78; S.BENETULLIERE, Démocratie participative et citoyenneté, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris, L’Harmattan, 2007, 59; J.R.BESSETTE, Deliberative Democracy : The Majority Principle in Republican Government, in R.Goldwin, W.A Schambra (a cura di), How Democratic is the Constitution ?, Washington, American Enterpreise Institute, 1980, 102; L.BOBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 4, 2006, 11 ; J.BOHMAN, Institutional Reform and Democratic Legitimacy. Deliberative Democracy and Transnational Constitutionalism, in S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, 215 S.BOSSON, J.L.MARTÍ, Introduction, in IIDD. (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, XIII L.CATALDI, Promesse e limiti della democrazia deliberative: un’alternativa alla democrazia del voto?, in Working Paper-LPF n.3, 2008 ; J.CHEVALLIER, Synthèse, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris, L’Harmattan, 2007, 211 D.CURTIN, Framing Public Deliberation and Democratic Legitimacy in the European Union, in S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, 208 La via della gestione civica del bene comune attraverso istituzioni di autogoverno è stata sostenuta dal premio nobel Elinor Ostrom267 che, sulla base delle rilevazioni empiriche risultanti dalle proprie indagini, ha affermato che né lo Stato, né tanto meno il mercato sono in grado di garantire una sostenibilità di lungo periodo e un uso produttivo delle risorse naturali. La terza via della Ostrom si basa su istituzioni nuove, appositamente create e amministrate direttamente dagli stessi cittadini, aventi il compito di gestire i cosiddetti beni comuni. Dopo una critica alle teorie utilizzate dalla economia e dalla scienza politica classica per analizzare e risolvere il problema dei beni comuni, 268 in particolare quella di Hardin, vengono esaminati vari case studies rispettivamente di gestione virtuosa o fallimentare dei beni comuni. Sulla base di questi esempi lo studio mira a cercare di comprendere nuovi possibili metodi di risoluzione del problema allo scopo di elaborare una migliore teoria dell’azione collettiva. La Ostrom utilizza per il proprio studio il metodo dei biologi:si prendono in considerazione organismi semplificati e se ne studiano i processi al loro interno (ad esempio casi di villaggi di pescatori, zone di pascolo, bacini idrografici, sistemi di irrigazione, foreste comunali, e simili). E muovendo dai dati ricavati, si formulano delle congetture razionali su come e perché alcuni gruppi di individui siano in grado di organizzarsi perfettamente e per un tempo considerevole in forme di auto-governo, mentre altri non ne sono capaci. Si tenta poi di definire le Ashgate, 2006, 133 ; J.ELSTER (a cura di), Deliberative Democracy, Cambridge, Harvard University Press, 1998 267 Elinor Ostrom ha ricevuto il premio Nobel per l’economia, per i suoi studi in materia di governance economica, con particolare riferimento alla gestione dei beni comuni. La teoria della Ostrom è contenuta nel suo lavoro “Governing the commons. The evolutions of institutions for collective actions”, pubblicato nel 1988. Il problema al centro dello studio riguarda come un gruppo di soggetti, nel testo definiti “principals”, interdipendenti tra di loro, possano autoorganizzarsi e autogovernarsi al fine di ottenere benefici collettivi di lungo periodo, superando la tentazione di comportamenti di tipo opportunistico. 268 "La tragedia dei beni comuni" di Garrett Hardin; “Il dilemma del prigioniero, concettualizzato come un gioco non cooperativo in cui tutti i partecipanti hanno completa informazione”; “La logica dell’azione collettiva" di Mancur Olson (The logic of collective action: Public Goods and the Theory of Groups, Mancur Olson, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1965). 209 caratteristiche delle istituzioni che hanno avuto successo e di individuare quali sono gli incentivi che inducono i partecipanti ad impiegare tempo ed energia nell’intento di governare e gestire il loro patrimonio comune. Le situazioni di successo e quelle di insuccesso vengono dunque messe a confronto e successivamente si cerca di identificare i fattori, interni ed esterni, che possono essere d’ostacolo all’emersione delle capacità degli individui di autogovernarsi. Esempio virtuoso di gestione del servizio idrico attraverso una società municipalizzata partecipata dal basso della città spagnola di Cordoba. Attraverso l’Impresa Municipale di Acque di Cordoba (EMACSA), è stato infatti attuato un modello partecipativo nella gestione dell’acqua. Cordoba è stato uno dei primi municipi spagnoli che hanno scelto di dotarsi di una organizzazione autonoma per la gestione dell’acqua.269 Nel 1891 è stata fondata la Compagnia di Acque Potabili di Cordoba e nel 1938 il Comune l’ha acquisita, dando inizio ad un servizio idrico municipalizzato. Nel 1955 la qualità delle acque è stata incrementata grazie alla costruzione della stazione di trattamento di Villa Azul ed infine, nel 1969, è stata creata EMACSA ed il servizio idrico è stato trasformato in impresa pubblica. Nel 1979 nel funzionamento di EMACSA è stato introdotto un modello partecipativo che consentiva ai rappresentanti di associazioni cittadine, sindacati e partiti politici di concorrere nell’adozione delle decisioni da parte dell’ente. La compagnia fornisce sevizi di buona qualità agli utenti a prezzi bassi . Essa è soprattutto impegnata nel migliorare la propria prestazione da un punto di vista “ecologico”: vengono infatti fatti grandi investimenti annuali per il potenziamento della rete in modo da ridurre le perdite e, attraverso campagne di sensibilizzazione, EMACSA ha contribuito con successo ad una sostanziale riduzione del consumo idrico. 269 La gestione dell’acqua in Spagna coinvolge i tre livelli di governo: statale, autonomo e municipale. I compiti di approvvigionamento di acqua potabile, scarico e depurazione sono di competenza dei circa 8000 municipi spagnoli, singoli o associati. I principi vigenti in materia di gestione delle risorse idriche sono contenuti nella Legge delle Acque del 1985: l’unicità del ciclo delle acque, il carattere pubblico della stessa e la progettazione idrica. Ci sono però anche acque private: le acque minerali sottoposta alla legislazione mineraria e, nelle isole Canarie, l’acqua sotterranea, per effetto di una specifica legislazione. Inoltre nella riforma della Legge delle Acque del 1999 sono stati introdotti diversi tipi di mercato dell’acqua. 210 Una responsabile pianificazione della raccolta delle acque e la predisposizione di infrastrutture di colletta mento aiutano la città a contrastare le notevoli variazioni stagionali nell’uso dell’acqua. Così Cordoba è stata la sola città in Andalusia a non aver ridotto la fornitura durante una grave siccità nel 1995. Da evidenziare è senza dubbio la struttura gestionale della compagnia. Dal 1979, essa ha sviluppato un’organizzazione di co-partecipazione nella gestione largamente accettata e ben funzionante . Il Comitato dei Direttori è responsabile per tutte le decisioni più rilevanti e si compone di membri di natura eterogenea; indipendentemente dalle elezioni comunali e dalle maggioranze, ognuno dei tre gruppi politici presenti nel consiglio nomina due membri del Comitato. Le due maggiori camere di commercio nominano ciascuna due componenti aggiuntivi, e uno è designato da un consiglio di movimenti della società civili (le associazioni di quartiere, che organizzano circa il 13% della cittadinanza, giocano un ruolo primario) Il manager di EMACSA, così come il segretario generale e il controllore della finanza generale del consiglio della città, prendono parte alle riunioni del Comitato senza diritto di voto. Questa struttura di partecipazione è caratterizzata da un’ampia trasparenza che permette ai cittadini che non sono delegati di seguire il processo decisionale e di intervenire, ad esempio portando soluzioni alternative. La compagnia è stata ufficialmente riconosciuta dall’Associazione dei Consumatori andalusa Facua nel marzo 2008 per il suo sistema e la pratica della partecipazione. Il caso si Cordoba si inserisce nel contesto generale spagnolo in cui il fenomeno della privatizzazione ha iniziato però ad interessare complessivamente il Paese partendo dal settore della costruzione delle opere idrauliche e con l’esternalizzazione delle funzioni delle pubbliche amministrazioni. Il soggetto di privatizzazione più tradizionale resta però la gestione dei sistemi di approvvigionamento e depurazione delle città. Dal 1998 al 2002 la gestione privatizzata ha avuto un aumento dell’ 8%. Dall’analisi condotta dall’Osservatorio dei Servizi Pubblici dell’ERL-UCM, in Spagna esistono due grandi gruppi multiservizi, Aguas de Barcelona (AGBAR) e Fomento de Constructiones Y Contratas (FCC): considerate unitamente controllano l’80% 211 della gestione privata in Spagna. Lo studio dell’Osservatorio indica da un lato, l’esistenza di difficoltà di controlli pubblici sull’esecuzione del contratto, un rialzo notevole delle tariffe idriche e l’impossibilità per i cittadini di attuare forme di partecipazione nella gestione dell’acqua; dall’altro rileva che ci sono servizi pubblici ben gestiti, come il Canal de Isabel II (Madrid), Zaragona, Consorzio del Gran Bilbao, EMASESA (Siviglia), EMACSA (Cordoba), EMAYA (Palma de Mallorca), Aguas de Gijon, Aguas de Santa Cruz de Tenerife, etc.. Altre imprese e servizi municipali non funzionano in maniera ottimale a causa della mancanza di volontà politica e dell’incapacità di individuare e i risolvere i problemi tecnici del servizio idrico. 270 b. Diritti di proprietà individuali sull’acqua Permettere alla gente di controllare la propria acqua. Il miglior modo di sviluppare un diritto umano all'acqua è dare agli esseri umani abbastanza soldi per comprare l'acqua in un mercato competitivo. E la via meno costoso per dare soldi ad ogni cittadino è permettere che il cittadino benefici del valore della sua parte del patrimonio idrico nazionale. La soluzione dei diritti di proprietà presso ciascun cittadino e nei mercati sostituisce i burocrati e i politici nell'allocazione delle risorse idriche. 271 La più recente soluzione al problema della crisi idrica sperimentata in alcune parti degli Stati Uniti (ad es. California) ed in Australia muove dalla verifica dell’inefficacia del riconoscimento costituzionale di un diritto all’acqua laddove questo non sia supportato da un governo trasparente e da risorse finanziare adeguate. 272 270 Per maggiori informazioni vedi: Observatorio de los Servicios Públicos, Cordoba. Watertime Case Study, 2005, http://www.watertime.net/docs/WP2/D17_Cordoba.doc, Enrique Ortega de Miguel and Andrés Sanz Mulas, Water Management in Córdoba (Spain): A Participative, Efficient and Effective Public Model, 2005, http://www.tni.org/books/waterspain.pdf. 271 Zetland D.,The End of Abundance. economic solutions to water scarcity, Aguanomics Press,Amsterdam, Mission Viejo 2011 272 A livello mondiale oltre sessanta Costituzioni citano l’ambiente, anche se solo 16 citano il termine “acqua” e si parla esplicitamente di diritto umano solo in Uruguay, Uganda e Sudafrica. Il Sudafrica in particolare inserisce il diritto all’acqua tra i diritti universali: la sezione 212 La tabella che segue riporta i Paesi in cui è costituzionalmente previsto un diritto all’acqua, l’anno di entrata in vigore del diritto, la percentuale di popolazione con accesso all’approvvigionamento idrico nell’anno base e nell’anno 2006, il grado dell’Indice dello Sviluppo Umano (HDI - Human Development Index) nel 2007 ed il grado di efficacia del governo nel 2008. I Paesi con “*” non hanno dati completi per l’analisi. Year of right Base Access 2006 Access HDI Governance Colombia 89 93 77 85 Congo* 45 46 176 210 80 95 80 180 13 42 171 128 Gambia 1996 85 86 168 163 Guatemala 79 96 122 133 Iran 1989 92 95 88 160 Kenya 2005 51 57 147 144 Nigeria 1999 50 47 158 184 Panama 1999 92 92 60 84 Philippines 83 93 105 96 South Africa 83 93 129 53 100 15 43 1991 DR 2007 Ecuador 1998 Ethiopia* 1994 1985 1987 1996 Spain* 100 (regions) 27 del Bill of Rights (1996) è però l’unica dichiarazione costituzionale analoga a citare il diritto universale all’accesso a sufficienti cibo e acqua. 213 2006 Uganda 1995 49 64 167 136 Uruguay* 100 100 50 67 90 n/a 58 176 53 58 164 150 2004 Venezuela* 1999 Zambia 1996 L’accesso all’acqua (inteso nel solo significato di accesso all’acqua pulita) richiede più che diritti; esso richiede soldi ed un governo funzionante. Infatti molti dei Paesi inclusi nella tabella hanno un indice basso di Sviluppo Umano e di governance. I Paesi con un indice basso hanno cittadini malati, non istruiti e poveri. Un basso indice di governance significa corruzione. Una delle prime criticità nel settore delle risorse idriche è la corruzione. Un’alternativa a questa disfunzione del sistema di garanzia del diritto all’acqua viene individuata nel ricorso al mercato e ai diritti di proprietà: il primo passo consiste nell’attribuire a ogni cittadino un diritto di proprietà sulla ricchezza idrica della sua nazione; il passo successivo è permettere che alcuni diritti siano trasferiti in cambio di denaro che può essere usato per pagare il costo del servizio idrico. L’articolo 17 della Dichiarazione Universale sui diritti dell’uomo stabilisce che “Ognuno ha il diritto della sua proprietà, singolarmente o in unione con altri”. Zetland, nella sua opera “The End of Abundance. economic solutions to water scarcity”, fa notare come la dichiarazione usi il termine “the right to own property” e non “the right to property”, riferendosi dunque specificamente ad un diritto ad una propria proprietà, e non ad un generico diritto di proprietà. I diritti di proprietà sono differenti dai diritti umani per due aspetti: soltanto i diritti di proprietà possono essere alienati; i governi devono proteggere i diritti di proprietà ma devono sviluppare i diritti umani. Riguardo all’acqua, se noi conveniamo sul fatto che un diritto di proprietà sull’acqua rappresenta una parte permanente di acqua rinnovabile che trae origine in un luogo o una temporanea quantità di acqua che può essere mossa altrove, possiamo vedere che le persone potrebbero avere la propria acqua in un 214 posto ma anche “affittare”il flusso dell’acqua ad altri, in piccoli mercati per la concessione annuale di “scorrimento”(“selling water”) . La fine dell’abbondanza significa che le allocazioni da parte dello Stato sono meno vicine a soddisfare i bisogni delle persone. E ciò implica che i cittadini sono più propensi ad esercitare i loro diritti di proprietari e a concedere quote di acqua agli agricoltori, pescatori, ambientalisti e imprese che li utilizzeranno per produrre valore. Ma, a tale proposito è necessario e fondamentale distinguere la proprietà in “diritti vitali” che sono inalienabili, pari a 135 litri per ogni persona, e “diritti commerciabili” che variano con la fornitura d’acqua e si adattano ai cambiamenti nella popolazione. Tramite questo sistema si ritiene che il commercio aumenterà il valore dell’acqua in uso, in quanto nella maggior parte del mondo i prezzi dell’acqua riflettono il costo della fornitura e non il reale valore dell’acqua in uso. Si afferma inoltre come attraverso i diritti di proprietà sull’acqua verranno eliminati gli squilibri tra domanda e offerta e i cittadini potranno scegliere come allocare la propria acqua. In questo modo i diritti di proprietà ed il mercato potranno essere strumenti di per eliminare la povertà dei servizi rispetto a miliardi di persone. c. Criticità della “terza e quarta via” “Nelle nostre società si afferma una tendenza quasi violenta nel trasformare tutto quanto è pubblico, comune, condiviso, in bene appropriato, privatizzato...Ma le società per persistere e non sfaldarsi rapidamente in modo entropico hanno bisogno di un legante condiviso.[…] I beni comuni sono un insieme di beni necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistemi di cui è parte. Sono condivisi in quanto...essi stanno meglio e forniscono le loro migliori qualità quando siano trattati e quindi anche governati e regolati come beni “in comune”, a tutti accessibili almeno in via di principio”. 273 273 Donolo C., I beni comuni. Un nuovo punto di vista, in www.labsus.org, 19 ottobre 2010 Sui beni comuni vedi anche S. Rodotà e a. (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, Il Mulino, Bologna, 2007; Id., I beni pubblici. Dal governo democratico 215 Proponendo una nuova lettura dell’articolo 810 del codice civile, si afferma274 che i c.d. beni comuni “possono essere oggetto di diritti di custodia, sia da parte di soggetti pubblici sia da parte di soggetti privati. Se infatti i beni comuni sono beni che permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistema di cui è parte, l’unico atteggiamento che noi possiamo avere nei loro confronti è quello di chi li ha in custodia, non di chi li possiede. Noi siamo i custodi, non i proprietari, dei beni comuni. Possiamo goderne, ma non fino al punto da rendere impossibile un uguale godimento di tali beni da parte del resto dell’umanità e delle generazioni future”. “In questa prospettiva i beni comuni rientrano nella definizione dell’articolo 810 c.c. purché si qualifichino i diritti di cui possono essere oggetto partendo dall’assunto secondo il quale i titolari di tali diritti sono i custodi dei beni, il proprietario essendo la comunità intesa nel senso più ampio del termine: comunità territoriale, comunità nazionale, umanità presente e futura”. 275 La Commissione Rodotà nel 2008 propose di distinguere i beni in beni comuni, beni pubblici e beni privati. E definì i beni comuni “le cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”. 276 Secondo questa definizione i beni comuni, pertanto, sono cose (materiali ed immateriali) che possono essere oggetto dell’esercizio dei diritti fondamentali dell’uomo e degli altri diritti funzionali al libero e pieno sviluppo della persona umana. Tutti, cittadini e non cittadini, possono esercitare tali diritti nei confronti dei beni comuni, in quanto i beni comuni sono indispensabili per una qualità della vita degna di un essere umano. Secondo ciò che affermava Hardin, in assenza di reali ed efficaci restrizioni al consumo di una risorsa, quali possono essere garantite unicamente da una chiara dell'economia alla riforma del codice civile, Accademia nazionale dei Lincei, 2010. Ma anche M. Renna, I "beni comuni" e la commissione Rodotà, in www. labsus.org. Inoltre Corte di Cassazione, S.U., 16 febbraio 2011 n. 3811; In proposito cfr 274 Donolo C., op. cit. 275 Donolo C., op. cit. 276 I "beni comuni" e la commissione Rodotà, in www. labsus.org. 216 definizione dei diritti di proprietà, essa sarà inevitabilmente sottoposta a sovrasfruttamento, dal momento che: 1) i benefici dell'abuso della risorsa sono raccolti unicamente dal fruitore individuale, mentre i costi sono dispersi fra tutti gli utilizzatori; 2) coloro che volontariamente limitano il loro utilizzo delle risorse in un territorio comune e aperto a tutti sopportano tutti i costi della conservazione ma non ne hanno alcun vantaggio; 3) ciascun individuo ha un incentivo netto a prendersi quanto più possibile di una risorsa, prima che altri se ne approprino. In una prospettiva di garanzia della custodia del bene comune attraverso l’introduzione di restrizioni al consumo dell’acqua, in entrambe le teorie delle istituzioni di autogoverno e delle quote individuali manca una specifica attenzione all’elemento naturale delle risorse considerate: manca la destinazione della proprietà (e della gestione) alla finalità di conservazione della risorsa. Destinazione che opera come restrizione all’uso generalizzato della risorsa. Nelle due forme proprietarie considerate, la conservazione dell’acqua è invece nelle mani o della collettività intera o dei singoli cittadini e non invece insita nella proprietà stessa e, nello specifico, in un organismo appositamente esistente per la preservazione della risorsa. La finalità di conservazione è dunque soggetta a variabili discrezionali, dipendenti dalla collettività, sia pur organizzata, o dai singoli individui. La proprietà comune dell’acqua o l’autogestione delle quote di valore non rappresentano cioè una garanzia certa e durevole della conservazione del bene. Mentre la facoltà di godimento del proprietario del bene altro non dovrebbe essere che il potere di conservazione del bene. Per realizzare pienamente la custodia dei beni c.d. comuni è necessario compiere un passo ulteriore: sottrarre la custodia ai consociati ed aggregarla in un organismo autonomo. 4. La “quinta via” della proprietà ambientale “Occorrerebbe cominciare a rilevare che la locuzione <<difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale>>, dal punto di vista scientifico è impropria, perché l’uomo, in ogni momento, crea, modifica, distrugge il proprio ambiente, il proprio patrimonio culturale, il proprio patrimonio naturale: la sua opera è 217 continua creazione così come è continua distruzione. La locuzione può invece avere un significato se inserita in un quadro temporale di politica delle istituzioni. [...] In altre parole, mentre in precedenti periodi storici c’è stato un equilibrio tra il fatto creativo e il fatto distruttivo dell’uomo [...], oggi questo equilibrio si è rotto e prevale l’elemento negativo: le forze distruttive sono maggiori delle forze costruttive”.277 Le risorse naturali necessitano dunque di strumenti di preservazione, e ciò non soltanto in una prospettiva di utilizzazione. “..il cambiamento a cui stiamo assistendo consiste appunto nel fatto che il lago sta divenendo bene collettivo anche in relazione al suo essere tutelabile come patrimonio naturale, e non più solo come cosa idonea a rendere taluni godimenti alla collettività”. 278 Attraverso la categoria giuridica della proprietà collettiva pubblica, la pubblicità dei beni pubblici è diventata il più naturale degli assetti normativi, in quanto il suo tratto saliente non è nell’appartenenza ma nel godimento collettivo della cosa, delle sue utilità, anche non economiche. La proprietà pubblica rafforza il legame tra una comunità ed un bene strategico. “Il regime della demanialità implica la sottrazione al diritto comune dei beni delle categorie che vi sono sottoposte....E questa sottrazione segnala un dato prezioso: il fatto che i beni demaniali stessi, non potendo spettare ad un solo soggetto dell’ordinamento e, in particolare non potendo essere di proprietà di uno solo di noi, appartengono a tutti noi: alla nostra società e a noi in quanto ne facciamo parte. Il regime demaniale sottolinea che questa interposizione è solo strumentale: in quanto mezzo necessario per garantire l’effettività di questa appartenenza collettiva, e quindi di una generale utilizzazione”. 279 La demanialità in quanto categoria strumentale tra il bene e la collettività, ai fini dell’utilizzazione, trova origine nell’impossibilità di una proprietà individuale del bene stesso. Da siffatta impossibilità deriva l’esigenza di uno strumento di 277 Giannini M.S., Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 3, 1971 278 Giannini M.S., op. cit. 279 Romano A., Demanialità e patrimonialità: a proposito dei beni culturali, in La cultura e i suoi beni giuridici, a cura di Caputi Jambrenghi V., Milano 1999, 402. 218 intermediazione. Ma, aldilà dell’utilizzazione, nel diritto ambientale in particolare, è primaria l’esigenza della conservazione del bene. “La finalità di conservazione delle risorse naturali riguarda l'intreccio esistente in un dato territorio tra evoluzione naturale e storia umana e cioè tra l'elemento naturale, l'elemento culturale e il paesaggio in un rapporto indissolubile tra contenuto e forma. Questo intreccio impone all'idea di conservazione una visione non più statica, come era nella concezione originaria, bensì dinamica, nel senso di una forte connessione con la questione dello sviluppo poiché non è possibile realizzare una vera politica di conservazione senza realizzare nel contempo un'adeguata politica di sviluppo. Proprio questa connessione è alla base dell'idea dello sviluppo sostenibile (o, come dicono i francesi, durevole)”. 280 La demanialità in Italia è stato lo strumento che ha consentito di realizzare in parte la conservazione dell’acqua. Si è detto in precedenza che la demanialità non rappresenta l’unico modo di disciplinare l’uso dei beni in vista del soddisfacimento di esigenze collettive, ma è la sola via che possa assicurare l’ininfluenza sulla stabilità dell’appartenenza e sulla gestione dei beni delle esigenze utilitaristiche connesse alla proprietà privata. Inoltre la demanialità delle acque risponde alla necessità di risolvere un problema di distribuzione dei beni, disponendo che gli stessi appartengono alla p.a., ma soprattutto destina le medesime acque ad una serie di utilizzazioni individuate specificatamente e controllate dalla stessa, operando una destinazione vincolata dei beni. La Legge Galli, oltre ad aver sancito il principio della pubblicità di tutte le acque, è intervenuta in modo del tutto innovativo sul profilo della gestione del servizio idrico, ponendosi come espressione di una politica finalizzata al risparmio ed alla tutela dell’acqua, non più ritenuta una risorsa inesauribile, bensì un bene scarso da salvaguardare, nella quantità e nella qualità, attraverso il rispetto di criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Nell’articolo 1, comma 2, delle legge, si richiamano inoltre i diritti delle future generazioni all’utilizzazione di un patrimonio ambientale integro, salvaguardati da usi idrici finalizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse. La legge 36/94 rappresenta il primo tentativo di 280 Desideri C. e Imparato E., Beni ambientali e proprietà, Giuffrè, 2005 219 conciliare la necessità di arginare la scarsità della risorsa con l’esigenza di una gestione di tipo imprenditoriale del servizio, secondo criteri solidaristici finalizzati ad assicurare la fruizione di un servizio pubblico di primaria necessità. I principi sanciti dalla Legge Galli vengono successivamente trasfusi nel c.d. Codice dell’Ambiente, il Decreto Legislativo 152/06, nonché potenziati nel senso dell’affermazione della demanialità di tutte le acque, della subordinazione dell’utilizzazione delle stesse al principio dello sviluppo sostenibile e della “funzionalizzazione” della disciplina degli usi della risorsa alla razionalizzazione ed alla tutela . Tuttavia, “Il problema, che riguarda tanto la proprietà pubblica che quella privata, è di vedere se il diritto di proprietà, che nella sua definizione tradizionale è diritto individuale di godimento e di disposizione (art. 832 c.c.) possa oggi rappresentare uno strumento di gestione per perseguire obiettivi di tutela dell'ambiente che sono obiettivi di interesse generale. Sotto il profilo soggettivo, cioè della titolarità, il fenomeno coinvolge tutti i possibili proprietari (perché si riferisce a qualsiasi categoria di beni: pubblici, privati, collettivi, individuali). Sotto il profilo oggettivo occorre far riferimento a quei beni che hanno una destinazione ambientale: dedotta dalla natura del bene, da atto autoritativo o da atto di autonomia privata”. 281 Quale può essere dunque il ruolo del diritto di proprietà nelle politiche di tutela dell'ambiente? O meglio, quale forma proprietaria meglio si presta alla finalità di conservazione delle risorse naturali? Se infatti la proprietà viene finalizzata alla tutela, e il potere di godimento è esclusivamente il potere di conservazione del bene, il potere di disposizione non può che essere strumentale al godimento: la facoltà di disporre finisce con l'essere il potere di gestire il bene al fine di permettere che venga goduto. In quanto i beni per essere conservati devono essere gestiti. 282 Questa forma proprietaria “dedicata” è la c.d. proprietà ambientale, quinta esplicazione del diritto proprietario, che si pone accanto alla proprietà pubblica, privata, collettiva ed individuale per quote. 281 Desideri C. e Imparato E., Beni ambientali e proprietà, Giuffrè, 2005 282 Desideri C. e Imparato E., op.cit. 220 Il fenomeno chiamato "proprietà ambientale", in cui si esprime la rilevanza giuridica di valori ideali, segna dunque l'irrompere dell'istituto proprietario in una sfera irriducibile all'economia. La proprietà ambientale non può essere interpretata solo in termini economicistici (come è dimostrato dalla sua complessità indicati dagli elementi di: connessione tra conservazione e sviluppo sostenibile; situazioni giuridiche che comunque si inseriscono in rapporti di carattere economico; concessione;utilità economiche).283 Essa è una proprietà "destinata": destinata alla conservazione proprio per la natura del bene e la proprietà stessa, in quanto ambientale, realizza sola la finalità di conservazione. Ne è un esempio il National Trust inglese.284 Quando il National Trust diventa proprietario di un bene, con ciò stesso realizza la tutela del bene: l'esercizio del suo potere è la tutela di quel bene, è la sua conservazione. In questa luce vanno viste le facoltà di godere e di disporre quando si configura un caso di proprietà ambientale. La facoltà di godimento del proprietario del bene altro non è che il potere di conservazione del bene. Inevitabile corollario di questa impostazione è l'inalienabilità del bene e cioè la sua sottrazione al mercato o meglio la sua irriducibilità a bene economico. Essa può derivare sia dalla natura del bene (es. bene demaniale) sia da una apposita previsione legislativa. Tuttavia anche se in economia i valori potenziali hanno una loro rilevanza attuale, quel bene fino a quando resta oggetto di proprietà ambientale è preso in 283 284 Desideri C. e Imparato E., op.cit. National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty: soggetto dedicato alla conservazione di un patrimonio inalienabile. L'attività dell'ente è la gestione del bene. Il National Trust è stato fondato nel 1895 da Octavia Hill, Sir Robert Hunter e Canon Hardwicke Rawnsley quale istituzione che fornisce consulenza allo Stato nell'acquisto e la salvaguardia di zone costiere, paesaggi naturali ed edifici a rischio. Attualmente il National Trust tutela oltre 248.000 ettari di paesaggi in Inghilterra, nel Galles e nell'Irlanda del Nord, oltre 1.100 chilometri di coste e circa 250 edifici e giardini di particolare interesse e importanza storica. Il National Trust è una fondazione registrata completamente indipendente dal governo. 221 considerazione dall'ordinamento giuridico non come bene economico ma come bene dotato di un valore ideale. 285 E’ interessante poi osservare come il Trust, pur essendo un soggetto privato, sia dedicato ad una finalità tradizionalmente pubblica quale quello del riequilibrio territoriale. Un esempio italiano, anche se di dimensioni più ridotte rispetto al National Trust, è costituito dagli usi civici. Per quel che riguarda gli enti l’unica esperienza associabile a quella della proprietà ambientale è invece quella degli enti parco ai quali viene riconosciuta dal legislatore la possibilità di esercitare un diritto di prelazione sulle aree presenti all’interno dei confini del parco e anche l’espropriazione. Ma nulla vieta che il fenomeno, nato originariamente per le terre e i beni paesaggistici, non possa essere mutuato anche per i corsi d'acqua e le fonti di approvvigionamento idrico in genere. Certo la destinazione ambientale è sempre un elemento fluttuante: ad es. i beni demaniali possono essere sdemanializzati ma la gestione è sottratta all'influenza di fattori esterni, come mutamenti di indirizzo politico o amministrativo. 286 Ciò che ai nostri scopi interessa non è la struttura e/o la natura dell’ente preposto, bensì il fine che, nella formula proprietaria invocata, viene direttamente connesso alla proprietà che fa capo ad un ente: il fine espresso di conservazione di un bene ambientale. L’istituto proprietario di conseguenza viene condizionato, nelle sue esplicazioni e nei poteri che vi si connettono, dalla finalità di garantire la preservazione di un dato bene, sia esso una terra o, a nostro avviso, anche un corso d’acqua. Per comprendere come in presenza di un bene ambientale il confine nella proprietà tra pubblico e privato si attenui progressivamente è indicativo l’esempio della proprietà forestale. “La proprietà cosiddetta forestale è caratterizzata da un minore iato tra proprietà privata e proprietà pubblica, e ciò in quanto al bene forestale privato è assegnata una funzione di utilità generale così intensa e pregnante da imporne la sottoposizione ad una penetrante disciplina pubblicistica. Beni costituenti oggetto di proprietà silvana privata e beni forestali pubblici presentano dunque 285 Desideri C. e Imparato E., op.cit. 286 Desideri C. e Imparato E., op. cit. 222 una disciplina sostanzialmente unitaria, che prescinde dalla situazione di appartenenza e tiene conto dell’intrinseca attitudine dei primi a soddisfare, al pari dei secondi, prioritarie esigenze di ordine sociale”. 287 Particolarmente accentuato è dunque, in riferimento ai beni forestali, il processo di socializzazione dei diritti privati, che induce ormai ad accogliere senza difficoltà la categoria dei beni privati di interesse pubblico [..] alla quale la dottrina ha ricondotto i beni forestali privati. 288 Riguardo a tali beni viene in evidenza come l’intrinseca attitudine degli stessi a soddisfare prioritarie esigenze di ordine sociale condiziona il regime proprietario e la relativa disciplina. La caratteristica dell’elemento naturale trova cioè espressione nella finalità ricollegata al bene e, attraverso tale finalità, determina l’emergere di un assetto normativo risultante dalla compresenza di elementi privatistici e pubblicistici. “Convergono quindi sui beni forestali privati precisi e preminenti interessi pubblici, sì che il proprietario conserva il potere di disporne, ma deve far salvo il vincolo di destinazione; conserva la facoltà di godimento, ma nei limiti stabiliti dalla pubblica autorità; può imprimere al bene una finalizzazione imprenditoriale, ma sottoponendosi ai controlli ed alla vigilanza delle autorità forestali”. 289 E ciò in linea con quanto affermato più volte nel presente lavoro, secondo cui, in una prospettiva di sostenibilità nell’utilizzazione delle risorse naturali, è la caratteristica naturale del bene che ne condiziona la funzione e determina il conseguente assetto organizzativo che si sviluppa intorno al bene stesso. Più confacente all’esperienza italiana, rispetto al National Trust, è l’esempio della Conservatoire du Littoral francese: essa è più vicina all'esperienza italiana sotto il 287 voce proprietà forestale in Digesto delle discipline privatistiche pag.535 Sul tema della proprietà forestale: Abrami, La disciplina normativa dei terreni forestali, Milano, 1987; Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983; Romagnoli, Pubblico e privato nel regime giuridico dei boschi e dei pascoli montani, RDA, 1980;Tamponi, Profilo odierno della proprietà forestale, RDA 1984. Sul tema delle problematiche ambientali connesse alle tematiche dello sfruttamento del suolo: Francario, Le destinazioni della proprietà a tutela del paesaggio, Napoli, 1986; Capizzano, Per un diritto agrario ambientale, RDA, 1987. 288 289 Tamponi, Una proprietà speciale (lo statuto dei beni forestali), Padova, 1983 voce proprietà forestale in Digesto delle discipline privatistiche cit. 223 profilo giuridico e istituzionale, per la priorità dell'intervento pubblico per l'ambiente e la cornice di diritto amministrativo in cui si inserisce tale intervento. La Conservatoire du Littoral, il cui nome ufficiale è Conservatoire de l'espace littoral et des rivages lacustres è un'istituzione pubblica francese, creata nel 1975, con l'obiettivo di tutelare in modo permanente le aree naturali di particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale situate sulle coste, le rive dei laghi e le distese d'acqua con una estensione di almeno dieci chilometri quadrati. 290 Essa è un établissement public a carattere amministrativo posto sotto la sorveglianza del Ministero dell’Ambiente, gestito da un organo di governo a struttura mista composto da membri scelti dal Parlamento, da rappresentanti ministeriali, delle associazioni ambientaliste, delle regioni e degli enti locali. 291 Interessanti ed utili ai fini di una trasposizione dell’istituto della proprietà ambientale alle acque, sono i principali criteri a cui si attiene il Conservatoire per la scelta delle aree da acquisire. Essi sono infatti costituiti da: a) la presenza di forti minacce rispetto a un sito; b) la necessità di recuperare una zona in via di degrado; c) la volontà di aprire al pubblico un sito prima dell’acquisizione inaccessibile. Minacce (o spesso esperienze attuali) di depauperamento di corsi d’acqua e la necessità di recuperarli, possono essere alla base della creazione di un soggetto giuridico - anche nell’indifferenza della sua natura pubblicistica o privatistica, pur valendo in una simile prospettiva l’impostazione seguita nel presente lavoro in termini di maggiore idoneità funzionale del pubblico alla gestione di beni primari - che abbia come destinazione la conservazione della risorsa idrica. E ciò si pone in linea anche con un’ottica di utilizzazione: una utilizzazione che per essere diffusa deve innanzitutto essere regolata. E un riconoscimento espresso dell’esistenza di un diritto all’acqua, autonomo ed indipendente rispetto al diritto alla salute e ad altri diritti in genere, consente all’interprete di superare i limiti 290 La Conservatoria è membro dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). La conservatoria acquisisce annualmente da venti a trenta chilometri quadrati di terreno e, al 31 dicembre 2007, risultavano sotto la sua tutela 113000 ettari di territorio comprensivi di circa 900 chilometri di litorale marino. La Conservatoire du Littoral ha firmato un accordo di partenariato con la Conservatoria delle Coste della Sardegna e con il National Trust inglese. 291 Desideri C. e Imparato E., op. cit. 224 che il sistema attuale di “diritto delle acque” italiano incontra in termini di accessibilità alla risorsa e di trovare una soluzione al di fuori delle tradizionali categorie giuridiche della proprietà/gestione nella dicotomia pubblico-privato. E ciò anche oltre le più moderne teorie rispettivamente della gestione civica del bene attraverso istituzioni di autogoverno e dei diritti individuali di proprietà sull’acqua. Consente cioè di legittimare l’utilizzazione di una proprietà espressamente dedicata ai beni naturali, creata al fine unico della conservazione di tali beni, in quanto beni extra mercato. Beni cioè che richiedono un inquadramento giuridico proprietario e gestionale differente rispetto agli altri beni e indirizzato dalla primaria esigenza di garanzia degli stessi oltre l’utilizzazione generalizzata. La specifica ed esclusiva destinazione dell’ente alla conservazione non implica, come specificato sopra, una chiusura del bene all’utilizzazione: al contrario è la stessa conservazione a rendere possibile l’uso di corsi d’acqua rigenerati o, nei termini di regolazione del fattore di stress idrico, sottoposti a pressioni antropiche notevoli.292 Utilizzazione che però 292 Sui beni comuni: AA.VV., Gestire l'ambiente o abitare la terra. Dall'ecologia all'ecosofia, in Interculture, n. 15-16, dicembre 2009-aprile 2010., AA.VV. Giù le mani dai beni comuni!, Malatempora, Roma, 2005, AMODIO L., Beni comuni e servizi per i cittadini, Cuen Editore, 2006.BERSANI M., Acqua in movimento. Ripubblicizzare un bene comune, Edizioni Alegre, Roma 2007, BRATTI A., VACCARI A., Gestire i beni comuni: manuale per lo sviluppo sostenibile locale, Ambiente Editore, 2006, CACCIARI P.,La società dei beni comuni, Diesse, Roma, 2010, CASSANO F., Homo civicus, Dedalo, 2004, CERERE A.M., Governo dei beni comuni, tutela dei diritti e attività di pianificazione, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 39 – 55, DALISA G., Beni comuni versus beni pubblici, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 23 – 38, DONOLO C., Il distretto sostenibile. Governare i beni comuni per lo sviluppo, Franco Angeli, 2003, DONOLO C. (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, Mondadori, 2005, DONOLO C., Sostenere lo sviluppo, Mondadori, 2007, FIACCAVENTO M. e MORO L., Usi civici: opportunità o vincoli?., Atti del convegno di Marano Lagunare(30 ottobre 2004), Formez, 2005, HESS C., La conoscenza come bene comune, Bruno Mondadori, Milano, 2009, LUCARELLI A., Introduzione: verso una teoria giuridica dei beni comuni, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 3 – 10, LUCARELLI A., Note minime per una teoria giuridica dei beni comuni, in Quale Stato, 2007, 3 ss., MANCINI R., Idee eretiche. 33 percorsi verso un'economia delle relazioni, della cura e del bene comune, Altraeconomia, Milano, 2010, MARINELLI F., Gli usi civici, Giuffrè, Milano, 2003, MAROTTA S., Beni comuni, diritti sociali e prassi normative: il caso del servizio idrico integrato, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2006, fasc. 2 pag. 29 – 50, MATTEI U., REVIGLIO E., RODOTA' S., I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, 225 rientra concettualmente nella nozione di “servizio naturale”, inteso come insieme di prestazioni che l’ambiente produce nei rispetto all’uomo, nella prospettiva volta a far emergere, nell’analisi del diritto ambientale, la logica ecologica sottostante alla disciplina giuridica dell’ambiente293. “La moderna impostazione, facendo riferimento alle più accreditate concezioni provenienti dagli studi ecologici, ha messo in evidenza che lo studio dell’ambiente, anche sotto il profilo giuridico, non può prescindere dalla figura del <<servizio naturale>> (o ecosistema) che indica <<una multiforme gamma di prestazioni che l’ambiente procura a vantaggio del genere umano>>, definito, oggi giuridicamente come una funzione svolta da <<una risorsa a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico>>. 294 5. L’esempio della Conservatoria delle Coste della Sardegna Nell’esperienza italiana, a nostro avviso, un compromesso a metà strada tra l’istituto del Trust e la Conservatoria francese è costituito dalla Conservatoria delle Coste della Sardegna. Essa è un'agenzia regionale istituita con legge Roma, Scienze e Lettere, Accademia nazionale dei Lincei, 2010, OSTROM E., Governare i beni collettivi, Marsilio, 2007, PETRELLA R., Beni comuni e risorse private. Le principali sfide della globalizzazione, in Quale Stato, 2001, 2 ss, PETRELLA R., Il bene comune. Elogio della solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia, 1996, RENNA M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in G. Colombini(a cura di), I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. profili di diritto interno e internazionale, Jovene, Napoli, 2009, REVIGLIO E., Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà, in Politica del diritto, 2008, fasc. 3, pag. 531 – 536, RICOVERI G., Beni comuni fra tradizione e futuro, Emi Editore, 2005, RICOVERI G., Beni comuni vs merci, Jaca Book, Milano, 2010, RODOTA' S., Linee guida per un nuovo codice dei beni pubblici, in Ugo Mattei, Edoardo Reviglio, Stefano Rodotà (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, il Mulino, Bologna 2007, TAMINO G., Il bivio genetico, Edizioni Ambiente, Milano 2001. 293 vedi sul punto Cafagno M., Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso, adattivo, comune, in Scoca, Roversi Monaco, Morbidelli (diretto da), Tratt. dir. Amm. it., Torino, 2007 294 Bartolini A., Il servizio idrico integrato tra diritto europeo e Codice dell’ambiente, in Studi sul codice dell’ambiente, Atti del convegno a Palermo 23-24 maggio 2008, Chiti M.P. e Ursi R. (a cura di), Giappichelli 226 regionale n° 2 del 29 maggio 2007 (articolo 16) “con l’obiettivo di avviare un processo dinamico di tutela, gestione e valorizzazione che tenga conto sia della fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri della Sardegna, sia della diversità delle attività e degli usi, delle loro interazioni e dei loro impatti”. I compiti istituzionali dell'Agenzia sono di salvaguardia, tutela e valorizzazione degli ecosistemi costieri e di gestione integrata delle aree costiere di particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale, sia di proprietà regionale o messe a disposizione da soggetti pubblici o privati. Le funzioni di competenza della Conservatoria vanno dal coordinamento delle iniziative regionali in materia di gestione integrata delle zone costiere nei rapporti con le altre regioni italiane e con le autorità locali dei paesi rivieraschi del Mediterraneo alla promozione e diffusione delle tematiche relative alla tutela ambientale e paesaggistica ed allo sviluppo sostenibile delle aree costiere. Essa inoltre esercita il diritto di prelazione sugli atti di vendita di terreni ed immobili derivanti da assegnazioni pubbliche, che ricadono nella fascia costiera dei due chilometri dal mare e opera l'esproprio e/o l'acquisto delle aree e dei beni immobili la cui qualità ambientale, paesaggistica e culturale è tale da ritenere necessaria la loro conservazione e salvaguardia. Inoltre esercita le competenze regionali in materia di demanio marittimo e costiero nelle aree demaniali immediatamente prospicienti le aree di conservazione costiera e sui singoli beni ad esso affidati.295 Dal punto di vista istituzionale, la Conservatoria è un’agenzia dotata di autonomia regolamentare, finanziaria, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e gestionale ed è sottoposta ai poteri di indirizzo, vigilanza e controllo esercitati dalla Giunta regionale. I suoi organi sono: il Comitato scientifico, il Direttore esecutivo ed il Collegio dei revisori. La Conservatoria delle Coste si ispira al National Trust inglese ma, soprattutto, al Conservatoire du Littoral francese col quale, nel dicembre del 2008, ha firmato un accordo di partenariato. La Conservatoria delle Coste è un’Agenzia tecnico-operativa della Regione, con personalità giuridica di diritto pubblico, ed è stata concepita con lo scopo di 295 articolo 3, legge regionale n. 2 del 29 maggio 2007 227 completare l’azione di protezione degli strumenti di programmazione e di regolamentazione svolgendo compiti di gestione integrata di quelle aree costiere di particolare rilevanza paesaggistica ed ambientale, di proprietà regionale o poste a sua disposizione da parte di soggetti pubblici o privati e che quindi assumono la qualità di aree di conservazione costiera. L’obiettivo è quello di avviare un processo dinamico di tutela, gestione e valorizzazione che tenga conto sia della fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri, sia della diversità delle attività e degli usi, delle loro interazioni e dei loro impatti. L'Agenzia nasce dunque quale strumento per l'attivazione di queste politiche: la formula è quella già proposta per rispondere a temi non riconducibili all'ordinaria organizzazione dell'amministrazione regionale. In base a quanto disposto dalla deliberazione di Giunta regionale istitutiva, la Conservatoria potrà agire su più livelli: gestire i beni immobili costieri di rilevante interesse paesaggistico e ambientale facenti già parte del patrimonio e del demanio regionale; acquisire i territori costieri dall’equilibrio ecologico più fragile o a rischio di degrado e compromissione sia attraverso accordi con Amministrazioni statali o locali o Enti pubblici, sia mediante donazioni, acquisti attraverso sottoscrizioni pubbliche, permute con privati. Successivamente all’acquisizione, la Conservatoria potrà attuare i lavori di ripristino naturale delle aree denominate “Aree di Conservazione Costiera” e poi predisporre i piani di gestione: la cura delle attività gestionali potrà essere successivamente affidata ad Enti locali, a cooperative, società di servizi o associazioni ambientaliste che dovranno, comunque, assicurare l’accesso al pubblico. 296 296 Attualmente l’Agenzia ha già in gestione 6300 ettari di territori costieri, in parte di proprietà della Regione o di altri enti pubblici, in parte di privati che li hanno ceduti alla Conservatoria. Eccezionalmente la Conservatoria acquisisce aree costiere anche per acquisto diretto. Una volta entrata in possesso delle aree, la Conservatoria opera attività di ripristino ambientale e in seguito decide se gestirle direttamente o darle in gestione ad altri soggetti pubblici o privati. Definisce inoltre gli usi, in particolare agricoli e turistici, compatibili con gli ecosistemi costieri ripristinati, tenendo conto della normativa nazionale e regionale, seguendo le linee-guida del Piano Paesaggistico Regionale (PPR). 228 Questo nuovo istituto è visto quale uno dei “tasselli” fondamentali della nuova politica di tutela e di corretta valorizzazione del territorio costiero sardo. 297 297 Deliperi S., La Conservatoria delle coste della Sardegna, in Rivista Giuridica dell’ambiente, 5/2005 229 Bibliografia primo capitolo Astuti, Acque, in Enciclopedia del diritto I, pag. 346 Biswas Asit K., From Mar del Plata to Kyoto: an analysis of global water policy dialogues,2003,in http://www.doccentre.org/docsweb/water1/water biswas.htm Brundtland G.H. e altri , "Il futuro di noi tutti. Rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo", Milano, Bompiani, 1988 Calzolaio V., L’acqua: diritto umano e bene comune, 2008 Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 Greco N., Le acque, Il mulino, 1983 La Camera F., Lo sviluppo sostenibile, Editori Riuniti, 2005 Marchisio S., Aspetti giuridici del partenariato Mediterraneo, pag.3, Giuffrè, 2001 Murolo A., Aspetti economici dello sviluppo sostenibile, pag.4, Giappichelli, 2007 Perrucci U., Le acque pubbliche nella legislazione italiana, Zanichelli, 1981, pag. 151 Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008 Rogers, P. (1997). Preparing for the future. Hydroeconomics: Getting water into national economic planning. Proceedings of Mar del Plata 20 years anniversary seminar. Stockholm, Stockholm International Water Institute Romano S., L'ordinamento giuridico (1946), II ed., Firenze, Sansoni, 1977 Romano S., Frammenti di un dizionario giuridico (1947), Milano, Giuffrè, 1983 Documenti Commento Generale n. 15 (2002), Il diritto all'acqua (artt. 11 e 12 del Patto internazionale economici, sociali e culturali). Commissione Europea, 2007, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio “Verso una gestione sostenibile delle acque nell’Unione europea” – Prima fase nell’attuazione della Direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) - [SEC(2007) 362] [SEC(2007) 363] Bruxelles, 22.3.2007, COM 2007 128 Definitivo. Dichiarazione di Dublino,http://www.gdrc.org/uem/water/dublin statement.html Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio a norma dell’articolo 18, paragrafo 3, della direttiva 2000/60/CE concernente i programmi di monitoraggio dello stato delle acque {SEC(2009)415} COM/2009/0156 def. Rapporto Brundtland, 42/187. Report of the World Commission on Environment and Development,http://www.un.org/documents/ga/res/42/ares42 -187.htm Sitografia http://www.mofa.go.jp/policy/environment/wwf/declaration.html www.ecoprogetti.com/downloads/acqua/documentofinale_F_Acqua.pdf associazioni.comune.firenze.it/legambiente/programma.pdf http://www.unesco.org/water/wwap/wwdr/wwdr2/ http://www.iisd.ca/ymb/water/worldwater5/html/ymbvol82num23e.html http://www.iwlearn.net/abt_iwlearn/events/iwc5/5th-world-water-forum ministerial-statement http://www.asud.net/images/doc/000dich_istanbul_acqua.pdf http://www.contrattoacqua.it/public/journal/index.php?v=139&argm=139&c= 2 http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ:C:2010:083:SOM:IT:HTML http://europa.eu/legislation_summaries/institutional_affairs/treaties/treaties_e ec_it.htm IT C 83/132 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.3.2010 Gruppo 183 – WWF ITALIA, 2009 - Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE. I Piani di gestione di bacino idrografico http://www.informambiente.it Bibliografia secondo capitolo Albano R., Le limitazioni legali in tema d’acque (non pubbliche), in Tratt. di dir. priv., VII, diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, pag. 613; Astuti G., voce Acque private, in “Enciclopedia del diritto”, I, Milano, Giuffrè, 1958 Bartolini A., Le acque tra beni pubblici e pubblici servizi, in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano 2008 Besta E., I diritti sulle cose, Padova 1933 Biondi B., I beni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1953 Bonfante P., Sulla nuova legge delle acque, in “Rivista di diritto commerciale” 1919, 1, pag. 461 ss. Caia G., Approvvigionamento idrico e gestione degli acquedotti, in Sanità Pubblica, 1992, pag. 445 Caputi Jambrenghi V.,in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Police A. (a cura di), Giuffrè, 2008 Cassese S., I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969, pag. 257 ss. Cavallo Perin R., Comuni e province nella gestione dei servizi pubblici, Napoli, 1993 Cazzagon F., Le acque pubbliche nel codice dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’Ambiente, 2007 Cerulli Irelli V., voce Beni pubblici, in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, pag. 278 ss. Cerulli Irelli V., Acque pubbliche, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 10 ss. In tema di acque pubbliche e private a seguito della riforma operata dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, scritto approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 16 dicembre 1997 Cerulli Irelli V., Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, in Annuario A.I.P.D.A., 2003, Milano Cocozza F., Corso G., Le situazioni soggettive, in Amato G., Barbera A., Manuale di diritto pubblico, Bologna 1991 pag. 210. De Nictolis R., Cameriero L., Le società pubbliche in house e miste, Giuffrè 2008 Francario F., Privatizzazioni, dismissioni e destinazione “naturale” dei beni pubblici, in Annuario Aipda - 2003, Milano Gambaro, La proprietà, Milano, 1990 Gambino A.M., Beni extra mercato, Milano 2004 Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963 Greco N., Le acque, Il mulino, 1983 Guicciardi E., Il demanio, Padova, 1934 Lovisetti M., I servizi idrici, Torino 1998 Lugaresi N., Le acque pubbliche, profili dominicali, di tutela e di gestione, Milano, 1995, pag. 22. Manes C., Le acque pubbliche nel diritto italiano vigente, Athenaeum, Roma Masini S., La “decadenza“ della proprietà privata delle acque con particolare riguardo agli usi irrigui, comunicazione presentata al Convegno di studi su “Tutela delle acque: direttive comunitarie e normativa nazionale”, Roma, 25 febbraio 1995, in Dir. e giur. agraria, 1995, pag. 667 ss. Morbidelli G., Osservazioni sulla natura giuridica del canone di concessione di acque pubbliche, Nota a cass. sez. un. 20 gennaio 1970, n. 112 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005 Omodeo A., Valenti G. e Scialoia V., in Il problema idraulico e la legislazione sulle acque “Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze”, VIII riunione, Roma, Tip. Nazionale di G. Bertero, 1916 Police A., I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano 2008 Postiglione A., Tutela delle acque: il quadro giurisprudenziale, in Dir. e giur. agraria, 1995, pag. 133 ss. Pugliatti, La proprietà e le proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954 Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, 1897; Renna M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, Relazione al Convegno "I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno ed internazionale" Pisa, 20 dicembre 2007 Scialoia V., La legislazione sulle Acque, in Il problema idraulico e la legislazione delle acque”, 1916. Scialoja V., Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma 1933 Tabet A., Ottolenghi E., Scaliti G., La proprietà, voce: Il regime delle acque non pubbliche, in Giur. sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1981, pag. 719 Documenti Acque pubbliche in Digesto Italiano, pag. 51 circolare del 6 dicembre 2004 del Ministero dell’Ambiente in materia di servizio idrico integrato Corte di Cassazione S.U. 21 dicembre 1910 Corte di Cassazione 19 dicembre 1916 Corte Costituzionale, 19 luglio 1996 ,n. 259 Corte Costituzionale n. 335/2008 legge 20 marzo 1865 n. 2248, legge sui lavori pubblici; leggi di razionalizzazione e risistemazione della materia delle acque: l. 10 agosto 1884, n. 2644 e il suo regolamento, il r.d. 26 novembre 1893, n. 710; d.lgt. 20 novembre 1916, n. 1664; d.l. 9 ottobre 1919, n. 2161, convertito in l. 18 dicembre 1927, n. 259 R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 è anche noto come il Testo Unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province Bibliografia terzo capitolo Astuti G., Cosa in senso giuridico. Diritto romano e intermedio, in Enc. dir., XI, Milano, 1962 Besta E., I diritti sulle cose, Padova, 1933 Biondi B., I beni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1953 Bretone M., I fondamenti di diritto romano. Le cose e la natura, Roma-Bari, 1998 Cammeo F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d. Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933 Cavallo Perin R., Riflessioni sull’oggetto e sugli effetti giuridici della concessione di servizio pubblico, Riv. dir. amm., 1994, 111 Chirulli P., Autonomia pubblica e diritto privato nell'amministrazione. Dalla specialità del soggetto alla rilevanza della funzione,CEDAM, 2005 Costantino, I beni in generale, in Tratt. di diritto privato diretto da P.Rescigno, VII, Torino, 1982, 13 Danchin P., A human right to water? The South African Constitutional Court’s Decision in the Mazibuko Case, in Journal of Law and Religion, the Jale Journal of International Law, Harvard International Law Journal. Gambino A.M., Beni extra mercato, Giuffrè, 2004 Giannini M.S., I beni pubblici, Roma, 1963 Messinetti, Oggetto dei diritti, Enc. del dir., XXIX, Milano, 1979 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo, Cedam, 2005 Orlando V.E., Introduzione al Primo trattato di diritto amministrativo, Milano, I, 1901 S. Pugliatti, Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962 Romano A., Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994 Romano S., Principi di diritto amministrativo, Milano, 1919 Romano S., Il Comune, nel Trattato Orlando, 1934 Scognamiglio A., Concorrenza e coordinazione delle tutele nel diritto antitrust, La Regione, 2009 Scotti E., Il servizio pubblico, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003 Trimarchi, Profili organizzativi della concessione di pubblici servizi, 1967 in materia di servizio pubblico: R. Alessi, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Milano, 1956, 37 ss.; F. Benvenuti, Evoluzione dello Stato moderno, in Jus, 1959; G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968,; G. Caia, Funzione pubblica e servizio pubblico, in AA.VV., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 1998; M. Cammelli, I servizi pubblici nell’amministrazione locale, in Le regioni, 1992, 3;F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.; ID., Corso di diritto amministrativo, 1911-14, Padova; S. Cattaneo, Servizi pubblici, in Enc. dir., Milano, 1990, ad vocem; R. Cavallo Perin, I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno e ordinamento europea, in Dir. amm., 2000; S.Cassese, Stato e mercato dopo privatizzazioni e deregulation, in Riv. trim, dir. pub., 1991; S.Cassese, La retorica del servizio universale, in Telecomunicazioni e servizio universale, a cura di S. Frova, Milano, 1999; ID., La crisi del servizio pubblico, in Radiodiffus. e inform., 1999; V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997; G. Corso, La gestione dei servizi locali tra pubblico e privato, in AA.VV. Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, 24 ss.; A. De Valles, in I servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo diretto da V.E. Orlando, Milano, 1930, vol. VI; E. Guicciardi, Concetti tradizionali e priincipi ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, II; ID., La giustizia amministrativa, Padova, 1957, III ed; G. Miele, Pubblica funzione e servizio pubblico, in Arch. giur., 1933; ID., Servizio pubblico, in Enc. it. Treccani, Roma, 1936; F. Merusi, voce Servizio pubblico, in Nov.ssimo Digesto Italiano, XVII, Torino, 1976, 217 ; F.Merusi, La nuova disciplina dei servizi pubblici, in Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti d’utenza, Padova, 2001; ID., Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005; M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966; V. E. Orlando, Introduzione al Primo trattato di diritto amministrativo, Milano, I, 1901; A. Pioggia, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio, in Quaderni del pluralismo, 1998, 175 ss.; U. Pototschnig, I pubblici servizi, Milano, 1964; O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; N.Rangone, I pubblici servizi, Bologna, 1999; A.Romano, Amministrazione, legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. ammin., 1999; ID., Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Il diritto amministrativo degli anni ’80, Milano, 1987; G. Rossi, Pubblico e privato nell’economia di fine secolo, in AA. VV. Le trasformazioni del diritto amministrativo, Milano, 1995, 223; F. Salvia, Il servizio pubblico, una particolare conformazione dell’impresa, in Dir. pubbl., 2000; A. M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano, 1959; ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1988; Santi Romano, Principi di diritto amministrativo, Milano, 1919; ID, Il diritto pubblico italiano, Milano, 1914; D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. Pubbl., 1999; E. Scotti, Il pubblico servizio, tra tradizione nazionale e prospettive europee, Cedam, 2003; R. Villata, Pubblici servizi, Milano, 2003; G. Zanobini, L’esercizio privato di funzioni e servizi pubblici, in Trattato Orlando, 1935, II; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958 Bibliografia quarto capitolo Baumol, Panzer, Willing, Contestable markets and the theory of market striature, New York, Harcourt Brace Jovanovich, ed 1984. Bizzarri A., di Federico I. e Mazzacane S., Affidabilità delle reti di distribuzione idrica urbana, Franco Angeli Editore, Milano, 2000 Bizzarri A., di Federico I., di Federico I., e Mazzacane S., Pipe break data analysis in Emilia-Romagna, Italy: a first step towards effective management of water distribution networks. In RISK Analysis II, Proceedings of Second International Conference on Computer Simulation in Risk Analysis and Hazard Mitigation, WIT Press,Southampton, 2000. Caroselli A., Brevi riflessioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in materia di servizio idrico, www.dirittodeiservizipubblici.it Cassese S., La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità in Italia, L’industria, 1992 Cassese S., La nuova costituzione economica, Bari,1999 Cazzagon F., Le acque pubbliche nel Codice dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb, 2007 Dell’Anno P., in Le risorse preziose: lo sguardo del giurista. Atti del V incontro del club dei giuristi dell'ambiente, a cura di Graziani C.A., Giuffrè, 2003 De Lucia L, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Giappichelli, 2002 Depedis R., La riscossa del pubblico, dossier sull'acqua del settimanale Carta Frankel C., The Case for Modern Man (Harper, New York, 1955), p. 203. Greco N., Costituzione e regolazione : interessi, norme e regole sullo sfruttamento delle risorse naturali , Bologna, Il mulino ; Roma , Arel, 2007 Hardin G., The tragedy of the commons, (1959) Malagnino C.D. , L’ambiente come sistema giuridico complesso, Cedam, 2007 Mancuso C., il servizio idrico integrato in Emilia Romagna: tra esigenze di aggregazione e nuovi municipalismi, in Le istituzioni del Federalismo 2.2006 Marone E., La Spina A, Lo Stato regolatore, Riv. Trim. scienze amm., 1991, n.3 Pacilli A., Profitto fino all’ultima goccia, dossier sull'acqua del settimanale Carta Panero E.T., nota a sentenza Corte Costituzionale - Sentenza 335/08, L’illegittimità costituzionale del servizio idrico nella indebita richiesta di corresponsione della tariffa di un servizio [depurazione] non prestato Renna M.,La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, Giuffrè, 2004. Rifici R., La tutela delle acque e la disciplina dell’uso della risorsa, Aprilia 22 novembre 2008 Roslansky J.D., Genetics and the Future of Man (Appleton-Century-Crofts, New York, 1966), p. 177 Rubini, Regolamentazione dei servizi pubblici: modelli teorici, in iter legis., 1993 Santandrea R. (a cura di), Seminario riuso acque reflue: alcuni risultati dell’analisi economica, Bari , 25 settembre 2008 Scrocchia I.M., Bene pubblico locale e gestione del servizio idrico integrato Quaderno n. 8/2006, Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Università di Foggia. Stolfi N., Agricoltura e gestione sostenibile delle risorse idriche, Relazione al Convegno Nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori, Catanzaro, 10 luglio 2001 Todarello F., La gestione del servizio idrico integrato in Lombardia: sbagliando s’impara, in Acqua e Territorio, 22 febbraio 2009 Bibliografia quinto capitolo In tema di reti idriche: ANGELETTI A., Privatizzazione ed Efficienza della Pubblica Amministrazione alla luce del Diritto Comunitario, Atti del Convegno, Giuffrè, Milano, 1996; ARCANGELI R., Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, II ed., Cedam, Padova, 2000; ARCHIBUGI A., PIZZETTI B., I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in ''L'Industria'', n. 2, 2001; BAGNETTI G., Il processo di Privatizzazione nell'attuale Contesto Internazionale, working paper n. 23 dicembre 2001, Dip. d'Economia Politica ed Aziendale, Università degli Studi di Milano, 2001; BARLOW M., L'acqua costa troppo?, in ''Toronto Globe and Mail'', Canada, 11 maggio 2000; BERNINI A., Intervento Statale e Privatizzazioni: un Panorama Comparativo, Cedam, Roma, 1996; BONACCORSI, Gli sprechi di una risorsa non sostituibile, in ''Attac Italia'', dicembre 2002; BUSCA M., Le acque nella legislazione italiana, in ''Studi di diritto e procedura civile'', Torino, 1962; Camera di Commercio, Analisi e linee guida per lo sviluppo energetico da fonti rinnovabili, Cuneo, gennaio 2003; CAIA G., Aspetti giuridici delle forme di organizzazione e gestione del sistema idrico integrato, in ''Atti del convegno H2 Obiettivo '90'', Bologna, 1994; CAPRIELLO A. e FRAQUELLI G., Il Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato: una proposta organizzativa, in ''Hermes Ricerche'', Novara, 2002; CAPUTI JAMBRENGHI V., voce Beni pubblici (uso dei), in ''Dig. disc. pubbl.'', vol. II, Torino, 1987; CESARI G., L'ambiente? Una questione sociale, in ''Apat'' n. 10, marzo 2005; CERULLI IRELLI V., voce Acque pubbliche, in ''Enc. giur. Treccani'', Roma, 1988; CERULLI IRELLI V., voce Beni pubblici, in ''Dig. disc. pubbl.'', vol. II, Torino, 1987; CERVIGNI G., D'ANTONI M., Monopolio naturale, concorrenza, regolamentazione, Carocci, Bari 2001; Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2001, Roma, giugno 2002; Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2002, Roma, luglio 2003; DE ANGELIS, Vecchi e nuovi problemi del diritto delle acque, in ''Ambiente'', 1997; DE NARDIS S., Le privatizzazioni italiane, Ricerca del Centro Studi Confindustria, Il Mulino, Bologna, 2000; DELL'ANNO, Il regime delle acque tra tutela e gestione, in ''Dir. giur. agr. amb.'', 1995;DELL'ANNO P., Manuale di diritto ambientale, Cedam, Padova, 1995; DI BELMONTE T., Il contenuto giuridico della dichiarazione di pubblicità delle acque affermata dalla legge n. 36 del 1994, in ''Rass. Avv. Stato'', 1996; DI MAJO, Le risorse idriche nel vigente ordinamento, in ''Rass. giur. en. elett.'', 1996; DOSI C. and EASTER K. W., Water Scarcity: Economic Approaches to Improving Management, International Food and Agricoltural Policy WPOO-2, St. Paul, 2000; FABBRI P., FRAQUELLI G., Cost and structure of technology in the Italian water industry, Empirica, 2000; FANTINI E., Il Futuro dell'Acqua, tra Guerra e Mercato, in ''Aggiornamenti Sociali'', n. 6 giugno, 2003; FAULKNER J., Engaging the Private Sector through Public-Private Partnership, in ''Bridges to Sustainability, Yale Bulletin Series'', n. 101, Yale University, New Haven, Connecticut, 1997; GIAMPIETRO P., La Merli sfocia nella Galli, in ''Ambiente'', n. 6, 1995; GIAMPIETRO P., Una nuova gestione dell'acqua, in ''Ambiente'', n. 5, 1994; GIAVAZZI F., PENATI A., TABELLINI G., Liberalizzazione dei mercati e privatizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1998; GIBBS P., Privatization in Europe, in ''The Economist'', 29 giugno 2002; GUARNIERI F. e ROSCI A., In materia di risorse idriche. Considerazioni sulla legge 5 gennaio 1994, n. 36, con particolare riguardo alle forme di gestione dei servizi idrici, in ''Nuova rassegna di legislazione'', 1995; JONES S.L., MEGGISON W.L., NASH R.C. e NETTER J.M., Rapporto annuale sullo stato dell'Unione europea, Roma, 1999; KOMIVES K., Designing Pro-poor Water and Sewer Concession: Early Lessons from Bolivia, Water Policy, vol. 3, n. 1, 2001; LOVISETTI M., I servizi idrici, Giappichelli, Torino, 1997; LUDOVICI A. e AMBROGI L., Obiettivo Acqua, dossier sullo stato delle acque in Italia, 2003;LUGARESI N., Le acque pubbliche, profili dominicali di tutela e di gestione, Giuffrè, Milano, 1995; MACCHIATI A., Privatizzazioni, tra economia e politica, Donzelli Editore, Roma, 1996; MAHBOOBI L , Recent privatization trends in OECD countries, in ''Financial Market Trends'', n. 79, Parigi, 2001; MARE' M., Le Politiche di Privatizzazione: Effetti sull'Efficienza ed Aspetti Macroeconomici, in ''Ministero del Tesoro, Integrazione dei mercati e politica economica'', vol. II; MARTINO R., Water, an essential element for life, in ''Pontifical Council for Justice and Peace'', Vatican City, 2003; MASINI S., La decadenza della proprietà privata delle acque con particolare riguardo agli usi irrigui, in ''Dir. e giur. Agraria'', Roma, 1995; MASSARUTTO A., Servizi Idrici in Fondazione Rosselli, I servizi di pubblica utilità in Italia. Rapporto sullo stato e sulle condizioni di sviluppo, Milano, Guerini, 1999; MAZZEI B. L., E la Galli non ''libera'' l'acqua, in ''Il Sole 24 ore'', 20 giugno 1997; MEZZETTI L., Manuale di Diritto Ambientale, Cedam editore, Padova, 2001; MILANI F., Appunti introduttivi per uno studio dell'utenza idrica, in ''Riv. di dir. Agrario'', 1972; PASSATELLI M., Struttura della regolamentazione economica in applicazione della legge 36/94, Paper n. 95/01, Roma, maggio 1995; QUADRO CURZIO A., FORTIS M., Le Liberalizzazioni e le Privatizzazioni dei Servizi Pubblici Locali, Il Mulino, Bologna, 2000; RESCIGNO P., Trattato di diritto privato, vol. VII, Torino, 1982. Documenti Co.vi.ri., Appunto sull'aggiornamento del Metodo normalizzato, ROMA, 25 Gennaio 2007 Dossier Legambiente 2007 European Commission: Directorate General for Research, Diagnosis of urban water supply and wastewater infrastructure, Proceedings from COST C3 end of action workshop, Brussels, May 2000. European Parliament Texts Adopted by Parliament Provisional Edition : 14/01/2004 Services of general interest P5_TA-PROV(2004)0018 A50484/2003 European Parliament resolution on the Green Paper on services of general interest (COM(2003) 270 - 2003/2152(INI)) INDAGINE DI CITTADINANZATTIVA SUI COSTI DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO IN ITALIA Fonte: Cittadinanzattiva – Osservatorio prezzi e tariffe, 2007 Piano di Sviluppo Rurale, REGIONE del VENETO, Giunta Regionale Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una politica sociale Sintesi Relazioni sullo stato delle tariffe dei servizi idrici, Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna- Tariffa Acqua Sintesi delle relazioni annuali - Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani- Regione Emilia Romagna - Tratto da Rapporto 2007 - Il tema tariffario, verso una politica sociale Tariffa Acqua Sintesi delle relazioni annuali Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani Regione Emilia Romagna - Tratto da Vademecum ACQUA PUBBLICA, Confservizi Veneto Sitografia www.regione.emilia-romagna.it http://www.ato-bo.it/procapite/tariffa_procapite.html http://care-w.unife.it e http://care-s.unife.it Bibliografia sesto capitolo Blokland, M., O. Braadbaardt, K. Schwartz (eds.), Private Business, Public Owners. Government Shareholdings in Water Enterprises, study sponsored by the Dutch Ministry of VROM and the Water Supply and Sanitation Collaborative Council, Den Haag, 1999. Blokland, Maarten; Braadbaart, Okke; and Schwartz, Klaas (eds 1999), Private Business, Public Owners: Government Shareholdings in Water Companies, International Institute for Infrastructural, Hydraulic and Environmental Engineering (IHE), p.39 Chance C. , New Dutch Water Legislation, Gruppo mondiale per l'ambiente, 21 August 2008 Folmer H., Reinhard S., Water Policy in the Netherlands. Integrated Management in a Densely Populated Delta, RFF Press, 2009 Havekes, H.J.M., Koemans, A.M.H.Th., Lazaroms, R.J., Uijterlinde, R.: Water Governance. The Dutch waterboard model, GBS prepress, Rijswijk 2004. Havekes H.J.M. and P.J. de Putter, Kluwer, Alphen aan den Rijn, Water Act Guide, 2009 Herman Havekes, Martin Koster, Wijnand Dekking, Cathelijn Peters, Rafaël Lazaroms,Rob Uijterlinde, Ron Walkier (NWB Bank), Water governance, The Dutch regional water authority model, Edition Unie van Waterschappen, , 2010 Uitgeverij Matrijs, Parts from Man-made lowlands – History of water management and land reclamation in the Netherlands., 1993. Kramer, T. de, Rijswick, H.F.M.W. van, Minderhoud, F., Berns, J.: Europagids, Handleiding Europees rechtvoor waterschappen, STOWA, Utrecht 2004. Kuks Stefan M.M., The privatisation debate on water services in the Netherlands. An examination of the public duty of the Dutch water sector and the implications of market forces and water chain cooperation, University of Twente, Centre for Clean Technology and Environmental Policy (CSTM), 2000 Tiret A.,Présentation des services publics de l’eau et de l’assainissement en France, Symposium de Cannes 25 juin 2008 in tema di benchmarking: Bocchino U., Il benchmarking, uno strumento innovativo per la pianificazione ed il controllo strategico, Giufré editore, 1994; Bocchino U., Manuale di benchmarking, Giuffré editore, 1994; Camp R., Benchmarking. Come analizzare le prassi delle aziende migliori per diventare i primi, Itaca, 1991 ; Ceccarelli P., Calia G., Vincere con il benchmarking. La gestione aziendale attraverso il confronto, Sperling & Kupfer, 1979; Centazzo R., Il Benchamrking nelle PMI. Applicazioni della metodologia del benchmarking nei distretti industriali, nei sistemi territoriali e nelle reti di piccole e medie imprese italiane., F. Angeli editore, 2002 ; Landi, Il marketing di acquisto, Angeli editore, 1979 Documenti Bulletin of Acts and Decrees 1009, 490 Le Water Boards nei Paesi Bassi: un’istituzione democratica, http://www.finisterraeonlus.org/Documenti%20tradotti/Documenti/waterboard.pdf. Vewin Presentation 2006 http://www.iwahq.org/uploads/iwa%20hq/website%20files/utilities/benchma rking_amsterdam_06/IWA%20conference%20on%20benchmarking%202006_0 4_Theo%20Schmitz.pdf Sitografia sito Web dell’Associazione delle Water Boards Olandesi: http://www.uvw.nl/ Bibliografia settimo capitolo Bifulco R., DEMOCRAZIA DELIBERATIVA E DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA Relazione al Convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, Firenze, 2-3 aprile 2009 Desideri C. e Imparato E., Beni ambientali e proprietà, Giuffrè, 2005 Donolo C., I beni comuni. Un nuovo punto di vista, in www.labsus.org, 19 ottobre 2010 Renna M., I "beni comuni" e la commissione Rodotà, in www. labsus.org. Rodotà S. e a. (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, Il Mulino, Bologna, 2007; Id., I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, Accademia nazionale dei Lincei, 2010. Romano A., Demanialità e patrimonialità: a proposito dei beni culturali, in La cultura e i suoi beni giuridici, a cura di Caputi Jambrenghi V., Milano 1999, 402. Observatorio de los Servicios Públicos, Cordoba. Watertime Case Study,2005, http://www.watertime.net/docs/WP2/D17_Cordoba.doc. Enrique Ortega de Miguel and Andrés Sanz Mulas, Water Management in Córdoba (Spain): A Participative, Efficient and Effective Public Model,2005, http://www.tni.org/books/waterspain.pdf. Olson M., Public Goods and the Theory of Groups, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1965. Zetland D.,The End of Abundance. economic solutions to water scarcity, Aguanomics Press,Amsterdam, Mission Viejo 2011 sulla democrazia partecipativa: ALLEGRETTI U., Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia: alcuni orientamenti, in Democrazia e diritto, 2006; ATRIPALDI V., Contributo alla definizione del concetto di partecipazione nell’art.3 Cost., in AA.VV., Strutture di potere, democrazia e partecipazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 1974, 11; A.BALDASSARRE, Il retrobottega della democrazia, in Laboratorio politico, 1982, 78; S.BENETULLIERE, Démocratie participative et citoyenneté, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris, L’Harmattan, 2007, 59; J.R.BESSETTE, Deliberative Democracy : The Majority Principle in Republican Government, in R.Goldwin, W.A Schambra (a cura di), How Democratic is the Constitution ?, Washington, American Enterpreise Institute, 1980, 102; L.BOBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 4, 2006, 11 ; J.BOHMAN, Institutional Reform and Democratic Legitimacy. Deliberative Democracy and Transnational Constitutionalism, in S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, 215 S.BOSSON, J.L.MARTÍ, Introduction, in IIDD. (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, XIII L.CATALDI, Promesse e limiti della democrazia deliberative: un’alternativa alla democrazia del voto?, in Working Paper-LPF n.3, 2008 ; J.CHEVALLIER, Synthèse, in F.Robbe (a cura di), La démocratie participative, Paris, L’Harmattan, 2007, 211 D.CURTIN, Framing Public Deliberation and Democratic Legitimacy in the European Union, in S.Bosson, J.LMartì (a cura di), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, Ashgate, 2006, 133 ;J.ELSTER (a cura di), Deliberative Democracy, Cambridge, Harvard University Press, 1998 sui beni comuni: AA.VV., Gestire l'ambiente o abitare la terra. Dall'ecologia all'ecosofia, in Interculture, n. 15-16, dicembre 2009-aprile 2010., AA.VV. Giù le mani dai beni comuni!, Malatempora, Roma, 2005, AMODIO L., Beni comuni e servizi per i cittadini, Cuen Editore, 2006.BERSANI M., Acqua in movimento. Ripubblicizzare un bene comune, Edizioni Alegre, Roma 2007, BRATTI A., VACCARI A., Gestire i beni comuni: manuale per lo sviluppo sostenibile locale, Ambiente Editore, 2006, CACCIARI P.,La società dei beni comuni, Diesse, Roma, 2010, CASSANO F., Homo civicus, Dedalo, 2004, CERERE A.M., Governo dei beni comuni, tutela dei diritti e attività di pianificazione, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 39 – 55, DALISA G., Beni comuni versus beni pubblici, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 23 – 38, DONOLO C., Il distretto sostenibile. Governare i beni comuni per lo sviluppo, Franco Angeli, 2003, DONOLO C. (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, Mondadori, 2005, DONOLO C., Sostenere lo sviluppo, Mondadori, 2007, FIACCAVENTO M. e MORO L., Usi civici: opportunità o vincoli?., Atti del convegno di Marano Lagunare(30 ottobre 2004), Formez, 2005, HESS C., La conoscenza come bene comune, Bruno Mondadori, Milano, 2009, LUCARELLI A., Introduzione: verso una teoria giuridica dei beni comuni, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, fasc. 2 pag. 3 – 10, LUCARELLI A., Note minime per una teoria giuridica dei beni comuni, in Quale Stato, 2007, 3 ss., MANCINI R., Idee eretiche. 33 percorsi verso un'economia delle relazioni, della cura e del bene comune, Altraeconomia, Milano, 2010, MARINELLI F., Gli usi civici, Giuffrè, Milano, 2003, MAROTTA S., Beni comuni, diritti sociali e prassi normative: il caso del servizio idrico integrato, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2006, fasc. 2 pag. 29 – 50, MATTEI U., REVIGLIO E., RODOTA' S., I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, Roma, Scienze e Lettere, Accademia nazionale dei Lincei, 2010, OSTROM E., Governare i beni collettivi, Marsilio, 2007, PETRELLA R., Beni comuni e risorse private. Le principali sfide della globalizzazione, in Quale Stato, 2001, 2 ss, PETRELLA R., Il bene comune. Elogio della solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia, 1996, RENNA M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in G. Colombini(a cura di), I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. profili di diritto interno e internazionale, Jovene, Napoli, 2009, REVIGLIO E., Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà, in Politica del diritto, 2008, fasc. 3, pag. 531 – 536, RICOVERI G., Beni comuni fra tradizione e futuro, Emi Editore, 2005, RICOVERI G., Beni comuni vs merci, Jaca Book, Milano, 2010, RODOTA' S., Linee guida per un nuovo codice dei beni pubblici, in Ugo Mattei, Edoardo Reviglio, Stefano Rodotà (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, il Mulino, Bologna 2007, TAMINO G., Il bivio genetico, Edizioni Ambiente, Milano 2001.