1 La vita di Gesù non si chiude con la sua morte
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1 La vita di Gesù non si chiude con la sua morte
SIGNIFICATO E SCOPO DELLA QUARTA SETTIMANA NEL CAMMINO DEGLI ESERCIZI Tratto da Giuseppe De Rosa,Camminate nella carità. Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, Cinisello 1994, 341-349 ________________________________________________________________________________________________ La vita di Gesù non si chiude con la sua morte come quella di tutti gli uomini. Se egli sprofonda nel baratro della morte, in una maniera così terribile e ignominiosa, non è per restare per sempre prigioniero di essa. Egli infatti ha vinto la morte ed è ritornato alla vita. Non però alla vita di prima, soggetta alla caducità, ma ad una vita nuova, segnata dalla pienezza di essere, di gloria e di potenza che è propria di Dio. Cioè in Gesù Crocifisso, risorto dai morti, la natura umana, è stata investita dalla potenza della divinità in tale maniera e con la forza che egli è divenuto il Signore di tutta la creazione e il Padre lo ha fatto sedere alla sua destra come Signore della storia. Così, facendo risorgere Gesù da morte, il Padre ha posto il suo sigillo sull’opera che il suo Figlio ha compiuto in mezzo agli uomini e che agli occhi di questi, con la crocifissione, è apparsa un fallimento: cioè, con la Risurrezione il Padre ha voluto mostrare, come già aveva detto al Battesimo e alla Trasfigurazione, che Gesù il suo Figlio prediletto, nel quale egli si è compiaciuto per aver portato a termine l’opera della salvezza degli uomini che egli gli aveva affidato. In tal modo, la Risurrezione di Gesù è la prova data dal Padre che quello che egli ha detto è verità e quello che egli ha fatto è bene e corrisponde alla sua volontà divina. Cioè, facendolo risorgere dai morti, il Padre ha approvato quello che Gesù ha detto e fatto e gli ha dato la testimonianza suprema che egli è venuto da Dio perché, come egli ha condiviso con essi il loro destino di peccato e di morte, così per i meriti della sua morte, gli uomini saranno chiamati a condividere con Gesù la sua vittoria sulla morte e quindi la sua Risurrezione. Egli, infatti, è risorto come «primogenito», che si porta dietro la sua Risurrezione i suoi fratelli, e come «primizia» dell’umanità redenta, chiamata a partecipare per Cristo, con Cristo al suo destino di Risorto. In altre parole, Gesù risorge da morte non solo per sé, ma per tutti gli uomini, e la sua vittoria sulla morte è la vittoria di tutti, a condizione che essi partecipino alla sua morte, sacramentalmente e misticamente, con il battesimo - il battesimo è «immersione» (baptsma) nella sua morte -, e praticamente, soffrendo con Cristo e morendo con lui, cioè unendo le proprie sofferenze e la propria morte alle sofferenze e alla morte di Cristo: «Se partecipiamo alle sofferenze di Cristo, partecipereremo anche alla sua gloria» (cf Rm 8,17). «Se moriamo con lui, vivremo anche con lui» (2Tm 2,11). La Risurrezione di Gesù è, dunque, la prova suprema che egli è per tutti gli uomini la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,6); che per gli uomini destinati alla morte, egli è la Risurrezione e la Vita (Gv 11,25); che per gli uomini che vivono nelle tenebre dell’errore, egli è la Luce del mondo (Gv 8,12); che egli solo ha parole di vita eterna (Gv 6,68). La Risurrezione di Gesù è poi la glorificazione di Gesù da parte del Padre in seguito alla sua obbedienza fino alla morte, secondo quanto afferma san Paolo: «Cristo si è fatto obbediente fino alla morte. Per questo il Padre lo ha esaltato», conferendogli il titolo di «Signore» (Kyrios) e facendolo sedere alla sua destra, e dunque dandogli il potere su tutta la creazione in quanto Figlio dell’uomo, quindi nella sua natura umana, vivificata dallo Spirito. la Risurrezione di Gesù è inoltre la prova suprema che egli è il Figlio di Dio fatto uomo ma glorificato nella sua umanità; che egli è per gli uomini l’unica Via di accesso a Dio - «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6) -; che egli è l’unico rivelatore di Dio, perché soltanto per suo mezzo noi possiamo conoscere la verità su Dio e sul nostro destino, ed è l’unico salvatore degli uomini, perché solo unendosi a lui con la fede e il Battesimo e col Pane di vita - l’Eucaristia - essi possono avere la vera Vita. Quello, però, che nel mistero della Risurrezione è ancora più importante è che essa è un mistero di salvezza: nella sua Risurrezione Gesù ha ricevuto, nella sua umanità, la pienezza dello Spirito Santo, fino a divenire «spirito datore di vita» (1Cor 15,45). Cioè, con la sua Risurrezione, Gesù comunica la pienezza dello Spirito Santo per mezzo della sua umanità ripiena dello Spirito di Dio. Ecco perché nella sua prima apparizione agli Apostoli, chiusi nel Cenacolo «per timore dei Giudei» Gesù, dopo aver alitato su di loro, dice: «Ricevete lo Spirito Santo. È il dono pasquale di Gesù ai suoi discepoli presenti nel Cenacolo e a tutti quelli che lungo i secoli futuri avrebbero creduto in lui. Indubbiamente, il dono dello Spirito Santo gli Apostoli lo riceveranno cinquanta giorni dopo, alla Pentecoste, quando Gesù, dopo aver completato l’istruzione degli Apostoli e averli inviati in missione, salirà al Cielo e «dall’alto» invierà sulla sua Chiesa il dono dello Spirito. Tuttavia, quello che Gesù vuol mettere in rilievo la 1 sera stessa di Pasqua è che il frutto essenziale della sua morte e della sua Risurrezione è il dono dello Spirito Santo. Colui che fa gli Esercizi ha vissuto il dramma della Passione di Gesù, e, come i discepoli, ne ha sentito lo «scandalo»: la sua fede in Gesù, di fronte al fallimento della sua opera, messo in luce dalla morte sulla croce, è stata messa a dura prova. Chiamato a soffrire e a morire con Cristo, egli può aver trovato troppo duro per lui seguire Gesù nel suo destino di sofferenza e di morte. Ha, dunque, bisogno di essere confortato e consolato nella sua sequela di Cristo, e, perciò, come ha avuto bisogno di fare l’esperienza di soffrire con Cristo, per essere suo vero discepolo, così ha bisogno di fare l’esperienza della gioia con Cristo, e in tal modo essere incoraggiato a seguire Gesù sulla difficile via della Croce, sapendo che essa porta alla Risurrezione. Così lo scopo che si propone la Quarta Settimana degli Esercizi Spirituali è quello di portare l’esercitante ad «allietarsi e gioire intensamente per la grande gloria e gioia di Cristo nostro Signore». In tal modo, egli si rafforza nella sequela di Cristo crocifisso e compie il suo doloroso cammino insieme con Cristo «nella gioia» della Risurrezione, cioè affrontando gioiosamente le difficoltà che la sequela di Gesù crocifisso comporta, perché sa che Gesù crocifisso è risorto e la partecipazione alle sue sofferenze si chiuderà con la partecipazione alla gioia di Gesù risorto. Per questo la grazia che sant’Ignazio fa chiedere nelle contemplazioni della Quarta Settimana è di «allietarmi e gioire intensamente per la grande gloria e gioia di Cristo nostro Signore» [EE 221]. In tal modo, al termine dell’itinerario ignaziano, come del resto al termine dell’itinerario cristiano, c’è la gioia: le tenebre del Venerdì Santo sono rischiarate e diradate dalla luce della Pasqua. La partecipazione alle sofferenze di Cristo ha come suo termine e scopo la partecipazione alla sua consolazione (cf 2Cor 1,7). Il frutto proprio della Quarta Settimana è perciò quello di «gioire con Cristo risorto», come il frutto proprio della Terza era quello di «soffrire con Cristo». È importante sottolineare la preposizione «con» nella Terza e nella Quarta Settimana: essa ha un particolare valore «unitivo». Ciò fa sì che le due ultime Settimane degli Esercizi Spirituali entrino in quella che gli autori spirituali chiamano «via unitiva». Esse rappresentano un passo avanti rispetto alla Seconda Settimana, che ha come scopo e frutto quello di conoscere intimamente Gesù per maggiormente amarlo e per meglio imitarlo, e quindi si avvicina maggiormente alla «via illuminativa»: Cristo è Luce che, facendosi conoscere intimamente all’esercitante, illumina il suo cammino spirituale, ed è l’Esempio che l’esercitante deve seguire ed imitare. Egli è già «con Cristo», per cui anche la Seconda Settimana entra in certa misura nella Via unitiva. Ma non lo è ancora nella misura piena e perfetta della Terza e Quarta Settimana. La «gioia» della Quarta Settimana è doppia: è gioia con Cristo risorto ed è gioia per Cristo risorto. L’esercitante, cioè, chiede la grazia di gioire «con Cristo risorto». «»I discepoli gioirono nel vedere il Signore, rileva il vangelo di Giovanni quando descrive la prima apparizione di Gesù a tutti i discepoli riuniti nel Cenacolo (Gv 20,20). A sua volta, il vangelo di Luca rileva la «grande gioia» che provano i discepoli quando Gesù si è fatto riconoscere da essi, mostrando loro le mani e i piedi (Lc 24,40-41). Anche il vangelo di Matteo nota che le donne, andate al sepolcro all’alba del sabato, avendo udito dagli angeli che Gesù era risuscitato dai morti, «abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a dare l’annunzio ai discepoli» (Mt 28,8). Ma la fede e la gioia, in realtà, non sono che l’effetto che provoca nei discepoli di Gesù il dono che il Risorto fa ad essi: il dono dello Spirito Santo. In virtù di tale dono i discepoli sono trasformati in uomini di fede, di gioia, di forza e di coraggio. Ecco perché solo dopo la Risurrezione essi possono essere inviati da Gesù nel mondo intero a predicare il Vangelo. Solo, infatti, il dono dello Spirito li abilita a tale compito, che supera tutte le forze umane. Anch’io, come i discepoli di Gesù, sono inviato nel mondo a predicare il Vangelo. Anch’io, nella mia spaventosa debolezza, ho bisogno di avere una fede forte e una grande gioia per compiere la mia missione. Chiederò, perciò, con grande insistenza, invocando l’intercessione di Maria, che per prima ha assaporato la gioia della Risurrezione, poiché a lei, prima che a tutti gli altri, è apparso Gesù risorto, che il Signore Gesù colui che è il «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28)- mi conceda in maniera abbondante, il dono del suo Spirito. Veni, sancte Spiritus! Fuoco consumatore, Spirito d’amore, discendi su di me perché si faccia nell’anima mia quasi un’incarnazione del Verbo! Che io gli sia un prolungamento di umanità, in cui egli possa rinnovare tutto il suo Mistero (S. Elisabetta della Trinità). j.m.j