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Università degli Studi di Parma Dipartimento di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali Curriculum Organizzazione e Gestione dei Servizi Sociali Tesi di Laurea in Diritto Commerciale dei Servizi Sociali Il sistema delle Case Famiglia per anziani: L'esperienza nel Comune di Parma Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Silvia Magelli Laureanda: Simona Barardi ___________________________________________________________________________ Anno Accademico 2012-2013 INDICE CAPITOLO PRIMO ASSISTENZA AGLI ANZIANI: NUOVI BISOGNI E NUOVE RISPOSTE. VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX 1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche socio assistenziali ...................................................................................................... 1 1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni .............................. 3 1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e mercato privato ......................................................................................................... 7 1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi .......... 9 1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato liberale .................................................................................................................... 14 1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano .................................................... 15 1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo successo? ........................................................................................................... 17 CAPITOLO SECONDO L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE 2.1 Cenni sulla normativa nazionale ....................................................................... 20 2.2 Scelta della natura giuridica .............................................................................. 25 2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale .................... 26 2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale .................... 30 2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione ............................... 31 I 2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione .............. 33 CAPITOLO TERZO L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA: NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE 3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto ................................................................. 37 3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia ................................................ 39 3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA ........................................................... 41 3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma ................................................. 45 3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida ....... 47 3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio? ................... 52 3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia ...................................... 54 3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati ................................................... 57 Conclusioni ............................................................................................................ 66 Appendice ............................................................................................................... 71 Bibliografia............................................................................................................. 94 Sitografia ................................................................................................................ 96 II CAPITOLO PRIMO ASSISTENZA AGLI ANZIANI: NUOVI BISOGNI E NUOVE RISPOSTE. VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX 1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche socio assistenziali Dopo decenni di successo1 le politiche sociali si sono trovate, negli ultimi anni, ad affrontare una serie di problemi di ordine sia economico che politico, con i quali i modelli esistenti devono fare i conti. L'analisi di questi problemi risulta molto complessa, poiché molteplici ed eterogenei sono i fattori che incidono sulla struttura delle politiche sociali: riguardano trasformazioni delle basi sociali, delle basi economiche e di quelle politiche. Nonostante la natura complessa e dinamica di questi problemi, possiamo identificare la modificazione della struttura sociodemografica della popolazione come il fenomeno che più ha prodotto dei sostanziali cambiamenti nel sistema di welfare. "Negli anni d'oro del welfare state, la popolazione dei paesi occidentali era in media relativamente giovane e fertile, di conseguenza veniva garantito un equilibrio tra le generazioni e una capacità degli individui e delle famiglie di rispondere in modo relativamente o completamente autonomo ad una serie di problemi, come la cura dei malati e l'accudimento dei minori"2. Oggi, l'aumento della popolazione anziana, la diminuzione dei tassi di natalità e l'allungamento della speranza di vita incidono enormemente sulla struttura sociodemografica, producendo un disequilibrio nei rapporti intergenerazionali e un innalzamento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto tra popolazione bisognosa 1 In Italia, la fase di espansione delle politiche sociali coincide con la fine della Seconda Guerra Mondiale (periodo durante il quale si assiste al primo potenziamento delle misure di protezione sociale) e prosegue per tutti gli anni Sessanta. 2 C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, Franco Angeli, Milano 2005, p.148. 1 di assistenza e popolazione totale3. Questi stessi fattori nel corso degli anni hanno generato due effetti di ordine economico e sociale: un aumento della spesa sociale (dovuto ad una crescita delle uscite per pensioni, sanità e assistenza); un indebolimento delle funzioni di cura e di assistenza delle famiglie che, nel momento in cui riducono il numero dei componenti, diventano più instabili. Venendo meno i servizi di cura e assistenza assicurati dalle famiglie, i costi a carico del sistema istituzionale sono aumentati vertiginosamente, inoltre lo squilibrio crescente tra domanda e offerta di servizi di welfare ha pesato notevolmente sullo Stato che si era affermato, fino al quel momento, come erogatore principale di servizi, ma che, dagli anni Settanta in poi, si è dovuto confrontare con il problema del rallentamento della crescita economica non riuscendo più a rispondere ai bisogni crescenti4. Successivamente alla crisi economica di quegli anni, che ha palesato l'insostenibilità delle politiche di welfare fino ad allora adottate, i principali problemi con i quali si sono dovuti confrontare i sistemi di welfare, condizionandone l'evoluzione, sono legati all'esigenza di: riportare sotto controllo la crescita della spesa pubblica5; aumentare l'efficienza e l'efficacia dei servizi; ridefinire il ruolo e le funzioni dei singoli attori impegnati nella produzione dei servizi di welfare; ridimensionare il ruolo dello Stato come erogatore diretto di prestazioni e decentrare le responsabilità in materia di welfare. 3 Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., p. 149. 4 Ivi, p.154. 5 Nei paesi della Comunità Europea si conferma un rallentamento dei trend di spesa a partire dal 1993. Fonte: European Commission, 2002. 2 Le politiche socio assistenziali in Italia, vengono così travolte da una serie di riforme che introducono importanti strategie quali la restrizione dei target dei beneficiari dei servizi attraverso l'introduzione di sistemi di accesso alle prestazioni sulla base di criteri più selettivi, lo spostamento di parte dei costi a carico dei beneficiari dei servizi attraverso l'introduzione del principio della compartecipazione alla spesa, la definizione di programmi di controllo in merito alla qualità, ai costi e alla performance6. Si è resa necessaria una ristrutturazione dei sistemi tradizionali di politica sociale e l'adozione di strategie e di programmi di intervento finalizzati ad un loro ammodernamento. 1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni Un importante filone di riforme, avviato a partire dagli anni Novanta, ha riguardato lo sviluppo di un'economia mista dei servizi volta a favorire nuove unità di offerta, diverse da quelle tradizionali di Stato e famiglia. Nel settore della protezione sociale diventa importante coinvolgere l'iniziativa privata, sia non profit che for profit che "non sostituisce o elimina l'intervento pubblico, ma lo affianca"7. Tale nuova configurazione valorizza i nessi tra i diversi attori sociali: il ruolo dello Stato, ad esempio, da fornitore delle prestazioni, diviene progressivamente quello di regolatore e di facilitatore dell'azione di altri soggetti, senza intaccare le sue principali responsabilità nei confronti delle funzioni di programmazione e controllo, di fondamentale importanza per i cittadini8. Si avvia dunque, una fase di affermazione del carattere plurimo del welfare, con lo sviluppo e l'introduzione di un sistema misto di offerta pubblico-privato. Da questo momento in poi, concetti come pluralismo, privatizzazione, decentralizzazione, e welfare mix tendono ad essere utilizzati con sempre maggiore frequenza all'interno dei dibattiti sulla riforma dei servizi sociali, soprattutto dopo l'entrata in vigore della Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di 6 Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., pp.187-188. 7 Ivi, p.192. 8 Cfr. Breda M.G., Micucci D., Santanera F., La riforma dell'assistenza sociale e dei servizi sociali, analisi della Legge 328/2000 e proposte attuative, UTET Libreria, Torino 2001, p.93. 3 interventi e servizi sociali n. 328 del 20009 che sancisce la piena legittimazione normativa dell'economia mista di offerta di servizi socio assistenziali assegnando un ruolo molto ampio al terzo settore. La legge prevede, infatti, non solo che il terzo settore partecipi "alla gestione ed all'offerta dei servizi in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi" (art.1, 5° comma), ma che gli Enti locali, le Regioni e lo Stato sono tenuti a promuovere "azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetto operanti nel terzo settore" (art.5, 1° comma). Secondo Vincenzo Tondi della Mura10, ai fini della costruzione di un sistema di protezione attivo, la legge 328/2000 dovrebbe "consentire una più ampia partecipazione alle scelte da parte dei cittadini e delle loro organizzazioni"11. Tale affermazione rimanda alla necessità di istituzionalizzare un nuovo sistema di politica sociale, dove i diversi attori sono chiamati a svolgere un ruolo attivo nella realizzazione delle politiche sociali. Famiglia, terzo settore, Stato e mercato sono dunque ricollocati al centro del dibattito sul welfare, e rivalorizzati allo scopo di rifondare su basi diverse una solidarietà di cittadinanza cioè una solidarietà intesa come sinergia che coordini le forze esistenti nella società e nel sistema pubblico. La crisi del modello di welfare state non è solo frutto di una serie di "fallimenti" da parte dello Stato o del mercato, ma è anche il risultato di un profondo cambiamento della società civile che sceglie di non delegare le risposte ai propri bisogni allo Stato o al mercato, ma di responsabilizzarsi in prima persona. Ciò non significa che le responsabilità dello Stato o del mercato cessano, ma che si devono modificare rispetto al passato, riorganizzandosi in una logica di sussidiarietà anche rispetto all'emersione di istanze sociali e nuovi soggetti politici. Basti pensare all'elevata visibilità sociale che il terzo settore ha ormai acquistato soprattutto nell'ambito dei servizi alla persona e all'utilizzo che ne fanno Stato e mercato, per "concorrere a risolvere la crisi del welfare state nella supposizione che 9 In Appendice A/1, p. 70. 10 Professore associato di Diritto Costituzionale, Facoltà di Giurisprudenza, Università del Salento. 11 V. Tondi della Mura, Le prospettive di sviluppo del terzo settore avviate dalle riforme della XIII legislatura, in Non profit, 2001, fasc. 1, p.8. 4 l'uso del terzo settore significhi un risparmio di spese sociali"12 vista la complessità dell' universo che sta dietro l'etichetta di terzo settore e la dimensione problematica delle organizzazioni che a esso appartengono. Queste ultime, infatti, hanno da subito rappresentato una risorsa complementare, supplementare e talvolta eventuale rispetto alla funzione ricoperta dall’ente pubblico, intervenendo laddove quest’ultimo non era in grado o non ritenesse di dover intervenire13. Il termine terzo settore viene spesso utilizzato per indicare "l'insieme dei soggetti organizzativi di natura privata volti alla produzione e allocazione di beni e servizi a valenza pubblica o collettiva"14. In realtà, esiste una grossa difficoltà ad individuare con precisione una definizione di terzo settore, a causa della varietà di istituzioni che lo compongono e alle molteplici sfaccettature e caratteristiche dei soggetti organizzati operanti in esso. Esiste infatti una diversità terminologica adottata per definirlo: terzo settore, privato sociale, terzo sistema, terza dimensione15. Nel nostro Paese, lo sviluppo del terzo settore avviene parallelamente ad una serie di fenomeni realizzatesi negli ultimi anni: le trasformazioni della domanda di servizi sempre più diversificati e personalizzati; la crisi dello Stato sociale; la nascita di nuove soggettività sociali promotrici a livello locale di azioni per il benessere dei cittadini (ad esempio le cooperative sociali). Una miscela di fattori che hanno condotto a parlare di crisi del modello istituzionale di welfare e a far largo all'idea di una diversa concezione della composizione dei soggetti che concorrono alla elaborazione e gestione delle attività per il benessere dei cittadini. Un processo che ha dato vita all'azione di numerosi soggetti sociali autonomi e auto-organizzati che, a livello della comunità locale, si 12 P. Donati, Introduzione, in P. Donati (a cura di), Sociologia del terzo settore, Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p. 20. 13 Unicredit Foundation, “Ricerca sul valore economico del Terzo settore in Italia”, 2012 14 I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, Carocci Faber, Roma 2003, p.42. 15 Ivi, p.54. 5 sono preoccupati di dare risposte innovative ai bisogni di cura di cittadini svantaggiati. Negli anni Novanta, il forte processo di terziarizzazione del sistema economico sociale ha comportato un aumento e una trasformazione qualitativa della domanda di servizi, in particolare è cresciuta la domanda di servizi sempre più diversificati e personalizzati, dando un enorme impulso al diffondersi della cooperazione sociale promuovendo una concezione maggiormente partecipativa e democratica dell'organizzazione dei servizi e immettendo fattori innovativi nel sistema di welfare e nel terzo settore. L'idea di fondo che ispira tali realtà è costruire la modalità operativa con la quale si realizza l'aiuto, su uno stile d'azione di tipo comunitario, improntato alla piena condivisione delle situazioni di vita delle persone che si trovano in situazioni di disagio o di bisogno (in conformità ai principi della gestione cooperativa). Sulla scorta di tali esperienze è emerso un movimento di pressione politica volto a far riconoscere a livello legislativo i tratti specifici di questa forma di azione civica e di partecipazione all'emergente welfare mix, che porterà alla definitiva istituzionalizzazione del fenomeno con l' introduzione di una legge16 che definisce le cooperative sociali delle vere e proprie imprese poiché, danno un indirizzo imprenditoriale alla loro azione solidaristica collocandosi, tra le varie tipologie di organizzazioni di terzo settore, tra quelle più protese verso il mercato17. Oggi la cooperazione sociale è divenuta il principale interlocutore delle pubbliche amministrazioni per l'esternalizzazione dei servizi di cura, considerando che i settori di intervento della cooperazione sociale riguardano soprattutto l'assistenza sociale. A queste forme di assistenza fornite da gruppi organizzati (cooperative sociali e altre organizzazioni di terzo settore) radicati nel territorio, vanno aggiunte quelle fornite dalle reti informali di supporto (familiari, amici, vicini di casa) e dai privati a fini di lucro, quest'ultimi affermatesi nel momento in cui si è generata la consapevolezza della impossibilità di espandere ulteriormente la spesa pubblica, ma che la legge ancora oggi non disciplina in maniera chiara e uniforme. 16 Legge 8 novembre 1991, n.381 "Disciplina delle cooperative sociali". 17 Cfr. I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, cit., pp.138-145. 6 In una società che si evolve verso un welfare mix, al fine di migliorare l'offerta di servizi di assistenza, alcuni soggetti di terzo settore, come vedremo nei prossimi paragrafi, iniziano a collocarsi all’interno del mercato, entrando in competizione con il settore profit e incrementando la propria cultura manageriale e la qualità dei servizi offerti forse con il "rischio di farsi contaminare dalle leggi del mercato estinguendo l'originale matrice solidaristica"18. Il welfare mix nasce, dunque, dall’intuizione secondo cui, separando le funzioni di finanziamento da quelle di gestione dei servizi, è possibile introdurre elementi di mercato e quindi di competizione. Si è perciò incentivato l’ingresso di fornitori privati nel campo assistenziale, ricorrendo all’allentamento dei vincoli che impediscono l’accesso alle imprese private lucrative il cui contributo alla realizzazione delle politiche di welfare ha assunto in via crescente e prevalente un valore di tipo economico (Ascoli e Ranci, 2003). 1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e mercato privato Oggi, nonostante la crescita istituzionale di welfare e i profondi cambiamenti strutturali e culturali intercorsi (rivoluzione sessuale, riforma del diritto di famiglia, ridefinizione dei ruoli all’interno delle mura domestiche e nel mercato del lavoro), la gran parte delle risposte ai bisogni di vita quotidiana dei soggetti deboli viene dalle reti parentali, informali che hanno comunque, da sempre, costituito la principale forma e fonte di supporto per i soggetti più deboli. Queste reti però, sono fragili e oggi rischiano di diventarlo ancora di più per una serie di cambiamenti importanti in atto: invecchiamento della popolazione, maggior lavoro femminile, maggior fragilità delle famiglie. Il nuovo sistema di protezione sociale mira ad un maggiore riconoscimento e sostegno dell'aiuto prestato dalle famiglie, ma la situazione attuale pone un complesso problema: di fronte all'aumento delle situazioni di non autosufficienza, si deve aumentare la quantità di servizi da mettere a disposizione per sostenete il lavoro di cura delle famiglie, ma come farlo senza aumentare la spesa sociale? 18 P. Donati, Sociologia del terzo settore, cit., p.84. 7 Il processo di invecchiamento della popolazione ha determinato notevoli ripercussioni sulla domanda di servizi sociali e sanitari tali da destare l'interesse non solo delle amministrazioni pubbliche, soprattutto quelle locali, ma anche di molti studiosi (medici, sociologi, psicologi) che hanno posto la figura dell'anziano al centro di un dibattito che copre diversi aspetti: dal rapporto tra bisogni e servizi, al ruolo attribuito alla famiglia nel far fronte alle necessità. "Di fronte all'aumento numerico, assoluto e relativo, della popolazione anziana e di fronte alla crescita di bisogni che comporta, si tende a prevedere la semplice moltiplicazione di quello che esiste (più ospedali, più case di riposo), generando spesso una visione apocalittica del futuro per il peso economico dell'assistenza agli anziani. Altre volte, invece, il rimedio a ciò diviene la negazione della reale dimensione del problema, ipotizzando una diminuzione di domanda assistenziale che non si è capito bene da che dovrebbe dipendere"19. Tale citazione rappresenta perfettamente la complessità di un fenomeno che spinge i vari soggetti del sistema (servizi sanitari, sociali, reti di supporto non formali) a riflettere sui processi di trasformazione in atto e sulle dinamiche dirompenti che tali cambiamenti producono sul sistema dei servizi sociali e sanitari, tenendo conto di un dato non trascurabile: gli ultrasessantacinquenni consumano più del cinquanta per cento delle risorse sociali e sanitarie erogate20. Gli stessi soggetti sono, inoltre, chiamati a misurarsi nella costruzione di un modello di intervento basato su una forte integrazione reciproca e su una visione dell'anziano, non solo come portatore di bisogno, ma anche come risorsa sociale. "La consapevolezza di trovarsi di fronte ad uno scenario in continuo e rapido mutamento obbliga gli operatori e le istituzioni ad interrogarsi sull'evoluzione dei bisogni della popolazione anziana e delle famiglie con anziani"21. 19 A. Guaita, Prefazione, in S. Casazza et al, Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, Franco Angeli, Milano 2002, p. 13. 20 G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, Erickson, Firenze 2009, p.8 21 8 Ivi, p. 191. Una necessità, questa, particolarmente forte in un contesto come quello italiano, dove c'é stato uno sviluppo demografico unico22: nell'arco di un ventennio l'Italia si è trasformata in uno dei Paesi europei con una maggiore percentuale di anziani23. 1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi L'analisi dei bisogni sociali emergenti non può prescindere dal porre l'attenzione sulle trasformazioni della struttura familiare in un sistema di welfare storicamente caratterizzato da una forte centralità assegnata alle reti di solidarietà familiare (il cosiddetto familismo italiano). La famiglia, quale rete di protezione primaria dei singoli cittadini, da sempre considerata il principale ammortizzatore sociale, svolgeva un ruolo centrale nella cura e assistenza di un familiare parzialmente o totalmente non autosufficiente. Oggi, la sua funzione è mutata, a causa di numerosi e profondi cambiamenti che hanno trasformato la sua composizione e il suo ruolo, ponendo forti perplessità circa la possibilità che all'interno di essa possa essere soddisfatta la crescente domanda di servizi di cura. Il prolungamento della vita rende più frequente la presenza di una famiglia composta da diverse generazioni ma questo non significa un aumento degli anziani che vivono con i figli, anzi si conferma una realtà dove il minor numero di figli e l'aumentata propensione alla mobilità territoriale riducono la capacità di cura della rete sociale dell'anziano. Si assiste, infatti, ad una contrazione delle risorse familiari causata da una serie di fattori che hanno man mano ridotto l'ampiezza della rete di protezione primaria dei singoli individui: il crescente calo delle natalità, il progressivo calo dei matrimoni e l'incremento dei divorzi, le trasformazioni culturali che hanno reso possibile alle donne una più ampia partecipazione al mondo del lavoro, diminuendo 22 In base all'ultima rilevazione Istat (2011) su scala europea, l'Italia si colloca al secondo posto per indice di vecchiaia (pari al 144%) seguito dalla Germania (153,3%). Inoltre, secondo le ultime rilevazioni statistiche (Istat, 2010) l'indice di dipendenza, vale a dire il rapporto tra la popolazione "attiva" e quella economicamente "dipendente" in Italia è passato dal 48% al 52% in dieci anni, in funzione del peso crescente delle persone anziane. Al primo gennaio 2011, il rapporto tra gli anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli, raggiungendo quota 144,5%. 23 C. Facchini, Anziani e famiglia: nuove reti, nuove solitudini in S. Casazza et al, Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p. 41. 9 le risorse di tempo e di energie da dedicare ai compiti di cura delle generazioni anziane in difficoltà, sono mutamenti importanti che hanno investito l'istituto della famiglia, rendendolo più fragile rispetto al passato. “Il persistere di queste tendenze porterà in un futuro prossimo ad uno squilibrio tra le generazioni, in particolare tra quella più anziana e quella più giovane”24 Inoltre, i tempi di lavoro sempre più totalizzanti hanno portato ad una continua riorganizzazione dei tempi di vita familiare e ad una progressiva delega delle funzioni di cura a soggetti esterni alla famiglia25. Governare tutti questi cambiamenti sociali non è sicuramente facile, essi avvengono con una tale rapidità che non sempre il sistema di offerta dei servizi sociali è cosi flessibile da adattarsi e rispondere adeguatamente ai bisogni della collettività. Varietà dei bisogni, sistemi di accesso alle prestazioni sulla base di criteri sempre più selettivi, esigenza di soluzioni innovative: è questo lo scenario con il quale le famiglie e le istituzioni devono fare i conti spingendo "verso la ricerca di risposte innovative e pensate con fantasia per stare al passo con il mutare rapido e, in alcuni casi, imprevedibile dei bisogni"26. A spingere verso questo genere di impostazione vi è la consapevolezza che le necessità della popolazione anziana richiedono degli interventi che possono essere efficaci solo se inseriti in una rete di servizi, nella cui costruzione intervengono diversi soggetti: Asl, Comuni, utenti e familiari, organizzazioni del privato sociale profit e non profit. Ciascun attore concorre alla realizzazione di un sistema in grado di garantire continuità nell'assistenza e integrazione fra le varie opportunità presenti, attraverso modalità di intervento condivise. La Legge Quadro di riforma del sistema di welfare ribadisce questa necessità di creare un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che garantisca un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Il sistema integrato è da 24 G. Rossi, S. Meda, La cura agli anziani in Sociologia del Lavoro, Franco Angeli, 2010, p.119. 25 Cfr. F. Zulli, Badare al futuro: verso la costruzione di politiche di cura nella società italiana del terzo millennio, Franco Angeli, Milano 2008, p.17. 26 S. Casazza et al., Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p.199. 10 intendersi sia come coordinamento degli interventi assistenziali con quelli sanitari, sia come coinvolgimento del pubblico e del privato nella rete dei servizi. La legge ha tra i suoi punti di forza proprio il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati nell'erogazione dei servizi sociali, essa prevede e promuove attività socio-assistenziali da parte di associazioni di cittadini, quali le Onlus, le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, i quali possono offrire e gestire dei sevizi alternativi a quelli degli enti pubblici e, nel rispetto del principio di sussidiarietà27, definisce in maniera chiara obiettivi, ruoli e competenze: viene affidata allo Stato la definizione di principi e obiettivi generali a carattere universale, mentre alle Regioni viene delegato il compito di recepire e tradurre questi principi in norme e criteri selettivi per il territorio di loro competenza attraverso strumenti riconosciuti e condivisi28. L'organizzazione dei servizi, all'interno del territorio nazionale, varia da regione a regione mostrando talvolta profonde differenze che si manifestano non solo in termini di scelte politiche adottate, ma anche nelle modalità di erogazioni dei servizi. Talvolta a questo si aggiunge una distribuzione dei servizi a macchia di leopardo, su tutto il territorio nazionale, a fronte della quale ci si domanda se i servizi erogati grazie alle risorse del sistema del welfare istituzionale sono o saranno mai sufficienti a soddisfare l'universo dei bisogni emergenti. Una prima soluzione per le famiglie che hanno difficoltà a sviluppare una relazione di aiuto capace di fare fronte a tutte le difficoltà, è ricorrere alle risorse formali (servizi) del sistema di welfare che, in relazione alle trasformazioni del modello di famiglia, ha sviluppato una fitta (ma disomogenea) rete di servizi residenziali per gli anziani, ma le strutture di ricovero non sempre sono una risposta adeguata perché molte persone rifiutano l'istituzionalizzazione e preferiscono, anche in condizioni di precarietà fisica, continuare a vivere nella propria casa e nel proprio ambiente di vita. Alla luce dei cambiamenti nella struttura delle reti familiari analizzati finora, sono emersi negli ultimi anni alcuni segnali di criticità relativamente alla capacità 27 Articolo 1, comma 3 della Legge 328 del 2000: "La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni e allo Stato secondo i principi di sussidiarietà (...)". In Appendice A/1, p. 70. 28 Piani di Zona e Piani Regionali previsti rispettivamente dagli articoli 19 e 8 della Legge Quadro 328 del 2000. In Appendice A/1, p. 70. 11 delle reti familiari di dare risposte all'aumento del lavoro di cura prodotto dal processo di invecchiamento in atto, appare evidente che in molte zone del Paese, ancora oggi, ad un incremento dei bisogni di cura delle persone anziane non ha fatto riscontro un incremento delle risposte della rete pubblica dei servizi di analoga intensità, tantomeno un incremento della disponibilità di cura delle famiglie. Molte famiglie italiane sono state costrette ad auto-organizzarsi per fronteggiare la condizione di bisogni dei propri familiari, supplendo alla carenza di risposte provenienti dal sistema di welfare istituzionale. Un numero sempre crescente di famiglie si organizza come può, ricorrendo ad aiuti extra rete, per lo più remunerati che consentano di ridurre parte del lavoro. Nell'esperienza italiana recente, è emersa la figura dell'assistente familiare (badante), tale fenomeno ha avviato lo sviluppo di un ampio mercato privato dei servizi assistenziali assumendo proporzioni considerevoli, ma si tratta comunque di un servizio molto precario, poiché richiede una grande rigidità organizzativa (convivenza, lavoro su 24 ore), che spesso è resa possibile solo a causa delle condizioni di precarietà nelle quali si trovano le badanti29. In effetti, nell’ultimo decennio, si è costituito un mercato sociale dei servizi alla persona alimentato, in misura sempre maggiore, da forme di lavoro sommerso di cura, che offrono alla popolazione scarse garanzie nella qualità dei servizi prestati e limitata protezione occupazionale ai prestatori di cura. Questa forma non regolata del lavoro di cura impedisce lo sviluppo e la sostenibilità di un più ampio impianto di protezione sociale, oltre ad esporre i soggetti coinvolti a forti livelli di vulnerabilità. Questo perché, il più delle volte, manca un vincolo formale nel raggiungimento degli accordi assunti solo verbalmente tra le parti, cui si associa indeterminatezza della durata dei rapporti di lavoro. Tutto ciò comporta evidenti ripercussioni sulla qualità dell’assistenza, che soffre di discontinuità temporale, scarsa competenza tecnica e limitate possibilità di connessione con le altre risorse di cura30 . Tra coloro che invece non ricevono sostegno da parte della rete pubblica dei servizi sociali o dalla rete di cure informali, stanno nascendo nuove forme di 29 Cfr. G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, cit., p.65. 30 Cfr. S. Pasquinelli, Badanti: tre nodi da sciogliere, in Prospettive sociali e sanitarie, Speciale Anziani, lavoro di cura e politiche dei servizi, ANNO XXXIV n. 17-18, 1-15 ottobre 2004. 12 assistenza privata a pagamento (la retta è completamente a carico dell'utente) che hanno dato vita al recente mercato privato delle Case Famiglia, organizzate in forma di cooperative, srl, associazioni di volontariato o imprese individuali. Scegliere una soluzione di questo tipo dipende da alcuni fattori in grado di modificarne l'adozione o meno da parte delle famiglie: risorse a disposizione dell'anziano, risorse a disposizione della rete familiare, presenza del coniuge dell'anziano, cultura solidaristica della famiglia, condizioni di salute dell'anziano. La Casa Famiglia è una struttura destinata all'accoglienza di anziani autosufficienti, essa viene definita una "comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni"31. Le prime Case Famiglia per anziani risalgono a circa quindici anni fa quando in alcune zone del Nord d'Italia nascono le prime sperimentazioni, sviluppandosi successivamente su tutto il territorio nazionale. Trattandosi di servizi di recente costituzione, non esiste a livello nazionale una mappatura generale sulla diffusione di queste strutture in termini di dati quantitativi. Nonostante la scarsità dei dati a disposizione, in molte realtà del nostro territorio, il lavoro privato di queste strutture sta rappresentando un'importante risposta ai bisogni di cura degli anziani. La Casa Famiglia sembra essere peraltro, la soluzione ottimale e meno traumatica psicologicamente per alleviare il distacco dell'anziano dai propri parenti, in quanto al suo interno viene ricostruito un ambiente il più possibile familiare32. Considerata dalle famiglie come una misura alternativa alla istituzionalizzazione dell'anziano o come una "struttura provvisoria" in attesa di trovare una soluzione all'interno della rete istituzionale. Nella maggior parte dei casi, però la Casa Famiglia rappresenta una valida soluzione alle difficoltà dei familiari, soprattutto dei figli, nel conciliare il tempo necessario ad assistere l'anziano con il tempo di cura dedicato al proprio nucleo familiare e i tempi di lavoro. 31 Articolo 1, comma1 del Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001 n°308, in Appendice A/3, p. 87. 32 over-blog.com/Casefamigliaperanzianicosasonoecomefunzionalassistenza. 13 1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato liberale Nei precedenti paragrafi abbiamo visto come le tre sfere delle relazioni informali, del sistema politico e del sistema economico, fortemente interrelate, costituiscono l'assetto della società moderna. All'interno di questa articolazione, dove vengono collocate le Case Famiglia? Esse potrebbero essere collocate in quella che Bauer (1993) definisce "quarta sfera" ossia all'interno del sistema delle organizzazioni intermediarie dal momento che esse operano in equilibrio tra azione economica e responsabilità sociale rispondendo alle esigenze della comunità e del mercato. Esse nascono prima di tutto per un bisogno insito della persona umana di creare nuove sfere di relazionalità, che danno origine a "movimenti sociali" sempre nuovi (Donati, 1993). Per effetto di tutta una serie di fenomeni sociali (analizzati nei precedenti paragrafi) oggi ci si muove verso nuove forme di solidarietà che fanno parlare di un sistema di welfare delle "responsabilità condivise"33, che ha permesso alle Case Famiglia per anziani di registrare una significativa espansione su tutto il territorio nazionale, in particolar modo nelle regioni del Nord d'Italia. Lo sviluppo del welfare mix, come abbiamo visto, ha abbassato i livelli di impegno diretto dello Stato nel campo del welfare e lo sviluppo incrementale della presenza di organizzazioni di terzo settore, riconoscendo largo spazio alla libera iniziativa. Questo tende a favorire la capacità di scelta dei cittadini, che in questo modo divengono i giudici ultimi delle performance delle varie agenzie pubbliche e private, profit e non, operanti nel mercato sociale. Le Case Famiglia non sono altro che il risultato dell'emergere di nuovi bisogni sociali, il cui soddisfacimento avviene "in base a nuovi mix e nuove combinazioni la cui scelta è affidata al cittadino, pienamente libero ed autonomo"34. 33 G.Pastori, Pubblico e privato nella sanità e nell'assistenza, in Sanità Pubblica e privata, Roma 2002, fasc.11-12, p. 1285. 34 G. Rossi, I settori della protezione sociale: la sanità e i servizi sociali, in P. Donato (a cura di), Fondamenti di politica sociale. Teorie e modelli, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, vol.1, p.111. 14 Esse sono il prodotto del grande momento di successo che il liberismo35 ha avuto negli anni Ottanta, periodo durante il quale lo Stato, come abbiamo visto, è stato costretto ad avviare politiche di restrizione della spesa pubblica. Proprio con il diffondersi del liberismo (fondato sull'autonomia e su processi di individualizzazione del soggetto) non solo in campo economico, ma in ogni campo dell'esistenza umana, la libera iniziativa dei privati diventa sempre più presente, anche nell'assistenza. Tale libertà viene intesa come la possibilità offerta a ciascun individuo, che abbia delle risorse a disposizione, di perseguire i propri fini senza che nessuno, tantomeno lo Stato, ostacoli il libero esplicarsi delle scelte individuali36. Nel caso delle Case Famiglia l'azione libera dell'individuo, coincide anche con un interesse collettivo, perciò essa non può che realizzarsi in un contesto in cui siano garantiti necessariamente i diritti dell'anziano. Abbracciare la logica del mercato non significa negare la solidarietà e il rispetto dei diritti di questa particolare fascia di popolazione. Tali diritti devono essere sempre e comunque tutelati, evitando per chi gestisce queste strutture, di far prevalere la dimensione dell'imprenditorialità privata e del business, con il rischio di portare queste strutture a commercializzarsi e ad incrementare il raggiungimento di interessi meramente personalistici. 1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano Per definizione, le Case Famiglia nascono, su iniziativa privata, con lo scopo di assicurare luoghi di tipo familiare che diano assistenza e ospitalità ad anziani autosufficienti che, per età o mancanza di aiuti, non sono capaci di vivere 35 Dottrina economica, filosofica e politica nata in Inghilterra nel corso del XIX secolo in seguito alla rivoluzione industriale e agli studi di Adam Smith e, ripresa negli ultimi anni del XX secolo, che considera come condizione ottimale di funzionamento del sistema economico quella risultante dalla libera iniziativa dei singoli individui, che nel perseguimento del proprio interesse non devono essere condizionati né ostacolati da nessun vincolo esterno imposto dall'interferenza dello Stato. 36 Gli articoli 38 e 118 della Costituzione sanciscono rispettivamente la libertà dell'assistenza privata e la definizione del ruolo di Stato, Regioni, Province e Comuni nel favorire "l' autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". 15 autonomamente. Queste strutture sono generalmente ubicate in zone già urbanizzate al fine di evitare ogni forma di isolamento sociale e accolgono un numero limitato di ospiti (massimo sei). La filosofia portante delle Case Famiglia si basa sulla centralità e sul sostegno dell'anziano, che viene accolto e inserito in modo da mantenere integri i legami con la sua famiglia d'origine. Una soluzione attraverso la quale riuscire a conciliare i bisogni di autonomia e privacy con quelli di solidarietà agli anziani. Invecchiare spesso significa sperimentare uno stato di profonda solitudine e marginalità, e vivere in un ambiente "familiare" può aiutare l'anziano a non sentirsi abbandonato o a modificare l'atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno. L'opera delle Case Famiglia è finalizzata ad offrire una risposta globale ai bisogni degli anziani attraverso la cura, la promozione, lo sviluppo delle potenzialità e l'assistenza di ciascun ospite al fine di assicurare il benessere della persona, ma soprattutto dare effettiva e concreta attuazione ai diritti fondamentali: diritto alla salute (art.32 cost.) e diritto all'assistenza sociale (art.38 cost.). Creare un clima familiare significa riuscire a preservare anche le capacità fisiche e relazionali residue dell'anziano, in ambienti che garantiscano dignità, rispetto della persona e umanità la cui piena realizzazione dipende dalla capacità di ciascuna Casa Famiglia di erogare servizi sulla base dei seguenti principi: uguaglianza ( i servizi devono essere erogati secondo regole uguali per tutti); imparzialità (gli operatori tenuti ad avere atteggiamenti di obiettività e a trattamenti uniformi nei confronti degli ospiti); diritto di scelta dell'anziano; territorialità (devono essere favoriti legami e collegamenti con il territorio in cui la casa famiglia è situata); efficienza ed efficacia (servizi e prestazioni devono essere forniti mediante l'adozione di misure idonee per soddisfare i bisogni dell'ospite e promuoverne il benessere). Inoltre, ciascun anziano ha il diritto di sviluppare e di conservare la propria individualità e libertà evitando ogni forma di ghettizzazione che gli impedisca di interagire con l'ambiente esterno e di essere salvaguardato da ogni forma di 16 violenza fisica e/o morale. Rispetto a quest'ultimo punto diviene particolarmente importante il ruolo degli Enti pubblici ai quali spetta svolgere attività di coordinamento, regolazione e controllo di questi soggetti privati. Obiettivo ultimo è evitare il rischio di creare disparità di trattamento o incrementare disuguaglianze sociali all'interno di un settore della società connotato dalla valenza solidaristica. 1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo successo? Oggi si assiste ad una crescente attenzione che si concentra attorno alle Case Famiglia per anziani, un'esperienza che, ancora in molti contesti, è quasi del tutto misconosciuta, sia a livello politico, sia nella ricerca empirica. In Italia sono le Case Famiglia per minori ad avere una visibilità e una storia assai più consistente, oltre che ad essere anche più diffuse e consolidate. La scarsa visibilità che ha caratterizzato finora l'operato delle Case Famiglia per anziani è probabilmente in parte riconducibile al carattere innovativo che le contraddistingue e ad una debole legittimazione istituzionale. Nell'attuale contesto sociale le famiglie sono maggiormente protese verso l'utilizzo di queste nuove forme di assistenza per evitare un aumento della solitudine e dell'esclusione sociale del proprio familiare anziano. Ciò ha portato ad una maggiore diffusione di servizi alternativi e ad un aumento di questo genere di richieste anche in Regioni (come l'Emilia Romagna, il Veneto, la Lombardia) ricche di servizi e di opportunità di sostegno. Questo perché i recenti tagli al fondo sociale e i ridotti trasferimenti finanziari agli Enti Locali hanno segnato la fine di importanti politiche assistenziali, provocando tagli per i servizi sociali e assistenziali territoriali37. Sicuramente gli anziani assistiti risiedono prevalentemente nelle Case Famiglia del Nord e in misura minore in quelle del Sud (non si conoscono le cifre). Questa differenza territoriale è spiegabile in parte con la diversa struttura per età e l'eterogenea diffusione del servizio che contraddistingue le diverse aree geografiche nel nostro Paese, in parte dal differente modello culturale del ruolo della famiglia nello svolgimento del lavoro di cura degli anziani (le famiglie del 37 G. De Robertis, A. Nappi (a cura di), Welfare come diritto. Scenari e sfide del Servizio Sociale Professionale, La Meridiana, Bari 2013, p.30. 17 nord acquisiscono più facilmente la consapevolezza della necessità di un intervento esterno) e dalla diversa rilevanza sociale assegnata agli interventi a sostegno dei processi di invecchiamento38. Si possono identificare alcuni più frequenti motivi per i quali le famiglie e/o gli stessi anziani decidono di entrare in Casa Famiglia: l'anziano, sulla base delle normative vigenti, non risulta essere destinatario di altre tipologie di servizi (casa protetta, RSA), poiché mancano le condizioni e i requisiti richiesti per l'inserimento in struttura, ad esempio per un alto livello di autosufficienza. Tali requisiti e modalità di accesso variano a seconda del comune di residenza; manca l'effettivo possesso della residenza anagrafica nei comuni nei quali si è avviata la richiesta di inserimento in struttura, mentre nelle Case Famiglia vengono accolti anche anziani che hanno la residenza in altri comuni; non esiste una reale incapacità economica da parte dell'anziano e dei parenti obbligati agli alimenti39 di provvedere agli oneri delle rette (la condizione economica non rientra nei criteri applicativi dell'ISEE); rifiuto da parte dell'anziano e/o dei familiari di ricorrere a forme di assistenza privata a pagamento (badanti); liste di attesa lunghe per l'inserimento in altre tipologie di strutture che variano a seconda del numero di posti letto disponibili. Esiste poi un canale informale (segnalazioni di amici e conoscenti, pubblicità), che si rivela decisivo per orientarsi su questo tipo di servizio. Tali processi hanno sicuramente spianato il terreno per la nascita e lo sviluppo di un numero sempre più alto di Case Famiglia, specie in alcune città. 38 39 G. Bertin (a cura di), Invecchiamaneto e politiche per la non autosufficienza, cit., p.68. Secondo l'articolo 433 del codice civile, all'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti nell'ordine: il coniuge; i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, il loro mancanza i discendenti prossimi, anche naturali; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o unilaterali con precedenza dei germani sugli unilaterali. 18 Il crescere del numero di simili strutture sul territorio nazionale implica il diffondersi di una nuova cultura civile e di nuove reti di sociabilità e, sembra che esse stiano lentamente affermando un proprio ruolo societario. Insomma, si parla di fenomeno sociale emergente in crescente importanza per le attività che svolge e in rapida diffusione (nella sola Provincia di Pavia, nel giro di dieci anni, sono nate circa una ventina di Case Famiglia e a breve ne apriranno delle altre)40. I costi spesso elevati delle rette hanno fatto in modo che in questo mercato entrassero sempre nuove strutture in concorrenza fra loro, con lo scopo di migliorare la qualità e la quantità dei servizi offerti. Purtroppo, ancora oggi, non esistono ancora dei dati, né a livello nazionale, né a livello regionale, rispetto al numero di richieste e al numero di anziani ospiti in queste strutture. Sappiamo che le tipologie di presidio più diffuse sono le residenze socio assistenziali (48,1%) e le residenze assistenziali (44,1%), mentre una piccolissima porzione di anziani sono ospiti nelle comunità di tipo familiare (pari al 0,2%) nelle quali non vengono considerate le sole Case Famiglia ma, tutte le strutture con carattere comunitario e/o familiare. Registrano i numeri più alti tre regioni: il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna41. In molti casi si tratta ancora di "sperimentazioni" che hanno trovato applicazione in contesti territoriali limitati dove, queste particolari tipologie di strutture rappresentano una efficace iniziativa locale per favorire l'incontro tra domanda e offerta di servizi. 40 laprovinciapavese.gelocal.it 41 Fonte: Elaborazione Ageing Society su dati ISTAT 19 CAPITOLO SECONDO L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE 2.1 Cenni sulla normativa nazionale La crescente attenzione per le condizioni di vita delle persone ospiti di strutture, l'esigenza di un'evoluzione delle politiche per gli anziani volta al superamento delle strutture intese in modo tradizionale e la necessità di realizzare interventi articolati e flessibili in grado di offrire risposte più personalizzate possibili hanno portato il legislatore ad occuparsi della nascente realtà delle Case Famiglia, garantendo attraverso alcuni importanti passaggi legislativi, l'adozione di programmi innovativi da parte di molte amministrazioni locali e regionali, seppur tali "sperimentazioni" si siano sviluppate in pochi contesti territoriali. Un primo fondamentale passaggio necessario alla realizzazione di un nuovo Welfare, come ampliamente discusso nel precedente capitolo, è rappresentato dalla Legge Quadro sull'Assistenza n. 328 del 2000, la quale introduce una serie di importanti cambiamenti che hanno investito anche i servizi per anziani, compresa l'area della residenzialità, alla luce delle evidenti trasformazioni che hanno investito e che tuttora investono questi servizi. Essi un tempo accoglievano una popolazione relativamente giovane, oggi invece, accolgono anziani che vengono istituzionalizzati in età sempre più avanzata e con numeri sempre più elevati. La Legge 328 del 2000 inserisce a pieno titolo le strutture residenziali e semiresidenziali nel sistema integrato di servizi presso cui accogliere persone di "elevata fragilità" o con limitata autonomia non assistibili a domicilio (art.22, 2°comma, lettera g). In alcune di queste strutture vengono perfettamente rispettate norme e standard qualitativi e organizzativi, altre, seppur autorizzate, non sono sottoposte a necessari controlli di routine e le persone che vi risiedono spesso vivono in pessime condizioni, tali da indurre le autorità alla chiusura della struttura. E' dunque necessaria l'esigenza di prestare dovuta attenzione all'esistenza e alla conoscenza di 20 tali realtà e soprattutto alla vigilanza su di esse, tenendo conto dell'ampia autonomia di cui godono. Le Case Famiglia nascono su iniziativa di soggetti privati e la normativa vigente non prevede per questa particolare tipologia di struttura né un obbligo di preventiva autorizzazione al funzionamento, né alcuna forma di convenzione o accordo con gli enti istituzionali per l'esercizio della loro attività. Esse perciò, godono di un'autonomia tale da consentire ai soggetti gestori di definire tariffe per i servizi erogati, standard qualitativi delle prestazioni e condizioni di lavoro. Nascono nel nostro Paese circa quindici anni fa per effetto di una forte esigenza di sviluppare un sistema di cura più esteso. Tale necessità si sta tuttora traducendo in innovazioni di un certo peso, ma stenta ancora a trovare un consenso generalizzato, un'evidenza riconosciuta da tutti e un impegno legittimato a livello nazionale42. Basti pensare che le poche leggi che disciplinano queste strutture si limitano a menzionarle e regolamentarle in poche e semplici righe, lasciando ampi vuoti normativi in merito. Le Case Famiglia infatti, non rientrando nella disciplina dell'accreditamento43, quale condizione essenziale per accedere al finanziamento pubblico, spesso vengono "trascurate" o "dimenticate" dalle norme, rispetto ai molti altri servizi residenziali per i quali i criteri dell'accreditamento valgono ai fini del rilascio dell' autorizzazione al funzionamento. Le poche norme esistenti hanno tutte l'obiettivo di rendere queste strutture più umane, adeguate alle esigenze di coloro che vi abitano, flessibili, aperte alla comunità e il più possibile integrate nella rete territoriale dei servizi. 42 Cfr., C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e nuovo welfare: atti del convegno, Amministrazione Provinciale, 2002, p.22. 43 Secondo l'articolo 11 della Legge 328 del 2000: "I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale, che recepisce ed integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale". Inoltre, il medesimo articolo stabilisce che " le Regioni disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi innovativi e sperimentali, per un periodo massimo di tre anni". In Appendice A/1, p. 70. 21 In particolare, per le Case Famiglia che accolgono anziani autosufficienti o parzialmente autosufficienti è necessaria una maggiore attenzione nel garantire ai propri ospiti una vita altamente socializzante e attiva, ricca di nuovi stimoli e interessi. La Legge 328 del 2000 rappresenta sicuramente un primo importante provvedimento al quale le Case Famiglia fanno riferimento. Nonostante essa non preveda un obbligo di preventiva autorizzazione al funzionamento, trattandosi di materia di stretta competenza regionale, ciascuna regione ha poi disciplinato con modalità differenti prevedendo comunque, per le Case Famiglia che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, l'obbligo di comunicare l'avvio di tale attività al comune di competenza. Nello specifico la Legge prevede che: lo Stato fissi i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale e preveda i requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni (articolo 9, lettera c); le Regioni recepiscano ed integrino, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali (articolo 11, comma 1); ai Comuni spettino funzioni in materia di autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale (articolo 6, lettera c). La Legge succitata ha fornito le prime indicazioni per l'applicazione di un nuovo regolamento da parte del Ministro per la Solidarietà Sociale. A norma dell'articolo 11 della Legge Quadro, il 21 maggio del 2001 viene emanato il Decreto n. 308 concernente Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale44. Il regolamento adottato prevede dei "requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni" (articolo 1), rivolte ad anziani per interventi socio assistenziali o socio sanitari, finalizzate al 44 In Appendice A/3 p. 87. 22 mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al sostegno della famiglia, prevedendo altresì che le regioni recepiscano ed integrino, in relazione alle esigenze locali, i requisiti fissati dal Decreto secondo quanto stabilito nell'articolo 3: "le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione". Gli articoli 5, 6 e 7 (a norma dell'articolo 9 della Legge n.328 del 2000) regolamentano i seguenti requisiti strutturali e organizzativi: Requisiti strutturali possesso dei requisiti previsti per le civili abitazioni dalla normativa vigente in materia edilizia, igienico sanitaria, di prevenzione incendi, sulle condizioni di sicurezza degli impianti, sulle barriere architettoniche, sulla prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro; ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili tali da permettere agli ospiti di partecipare alla vita sociale del territorio e alle famiglie di facilitare le loro visite; dotazione di spazi destinati ad attività di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto in modo da garantire l'autonomia individuale e la privacy. Nello specifico il decreto 308 del 2001 prevede che all'interno di ciascuna Casa Famiglia sia presente una linea telefonica a disposizione degli ospiti e dei campanelli di chiamata in ogni posto letto, che esse siano dotate di arredi e attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti e in particolare che siano garantiti letti articolati regolabili in altezza, materassi e cuscini antidecubito e un armadio farmaceutico. 23 Requisiti organizzativi presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in relazione alla tipologia di servizio prestato e alle caratteristiche e bisogni dell'utenza accolta; individuazione di un coordinatore responsabile che ha l'onere generale sia della struttura che del servizio prestato, a lui compete anche la gestione del personale e la conduzione economica e patrimoniale; egli non coincide con il rappresentante legale (il quale di solito è il presidente della cooperativa) che gestisce la struttura; adozione di un registro degli ospiti e predisposizione di piani individuali di assistenza elaborati in base alle condizioni fisiche e psicologiche dell'anziano, indicanti gli obiettivi da raggiungere, le modalità di intervento e la valutazione dei risultati; adozione, da parte del soggetto gestore, della Carta dei Servizi Sociali45 comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate e l'indicazione delle prestazioni fornite. Chiunque decida di aprire una Casa Famiglia per anziani è tenuto dunque, a rispettare i criteri organizzativi e strutturali previsti dalla Legge 328 del 2000 e dal 45 Introdotta dall'articolo 13 della Legge n. 328 del 2000 che stabilisce: "al fine di tutelare le posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di riferimento della carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi". 24 Decreto 308 del 2001, oltre a fare riferimento alle relative normative regionali in materia che, ad oggi, rappresentano gli unici riferimenti legislativi che regolamentano solo alcuni aspetti di queste strutture tralasciandone altri. Sulla base di suddetti requisiti le singole regioni hanno, in maniera differente, rivolto la loro attenzione a questo nascente settore di attività, con l'obiettivo di promuoverne lo sviluppo nel proprio territorio. Il rapido sviluppo di queste realtà infatti, impone soprattutto a quelle regioni che hanno assistito ad un notevole proliferarsi di Case Famiglia, la necessità di riflettere su questo campo che vede coinvolta una fascia di popolazione vulnerabile, composta da persone anziane che si collocano al di sopra dei criteri di accesso ai servizi assistenziali pubblici e si rivolgono necessariamente alla rete privata. Diventa dunque, un dovere delle regioni e dei comuni porre la giusta attenzione a questa platea di utenti "respinti" dal welfare pubblico che si rivolgono al nuovo mercato privato delle Case Famiglia e al processo di commercializzazione che sta investendo queste strutture. Purtroppo fino ad oggi, a fronte del crescente sviluppo di Case Famiglia per anziani la legislazione nazionale e regionale è rimasta sostanzialmente assente. Nel panorama nazionale non esistono leggi specifiche in materia, ma solo norme collocate all'interno di leggi regionali che hanno identificato tale realtà attraverso definizioni e attribuzioni di definizioni e compiti diversi da regione a regione. 2.2 Scelta della natura giuridica L'inizio dell'attività di una Casa Famiglia richiede necessariamente scelte precise da parte dei gestori circa la forma giuridica da assumere, tenendo conto di una serie di elementi che riguardano la responsabilità patrimoniale, la convenienza fiscale e le prospettive economiche dell'attività. Una scelta fondamentale che comporterà conseguenze sia giuridiche che economiche. Queste strutture si sono costituite negli anni, attraverso una configurazione giuridica precisa, di natura diversa a seconda del numero di soggetti coinvolti, del capitale necessario, dei costi di costituzione e gestione, delle implicazioni fiscali e del grado di responsabilità del gestore. 25 Solitamente la scelta della forma giuridica con cui operare ricade sulla cooperativa sociale per lo scopo principale che la identifica, ossia perseguire l'interesse generale della comunità e promuovere l'integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio sanitari e socio assistenziali. Altri gestori scelgono l'impresa individuale o recentemente si fa largo l'idea di utilizzare l'associazione come forma giuridica alternativa. La persona che intende aprire una Casa Famiglia è chiamata quindi, a decidere e stabilire da subito se lavorare individualmente oppure associarsi con altre persone, in altre parole è chiamato a decidere se costituire un'impresa individuale o un'impresa collettiva, cioè una società. Tale scelta determinerà l'assetto organizzativo, amministrativo, fiscale e contabile dell'attività, generando di conseguenza differenti obblighi civili, amministrativi e fiscali per il gestore46. La legge impone obblighi e assolvimenti spesso onerosi che conducono a scelte operative diverse ma, in sede di scelta, ha una fondamentale importanza anche la tipologia di servizio che si intende offrire. Trattandosi di servizi di natura socio assistenziale sicuramente alcune forme giuridiche, per i principi ispiratori che le caratterizzano, risultano essere più idonee rispetto ad altre. Non sempre associazioni e cooperative nascono primariamente con lo scopo di gestire delle residenze per anziani, spesso si tratta di organizzazioni sociali che già operano sul territorio e decidono di aggiungere alle loro attività la gestione di queste strutture in quanto conforme ai loro obiettivi e scopi sociali. 2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale Le cooperative sociali sono "società che esercitano attività di impresa perseguendo uno scopo mutualistico. Tale scopo si traduce, in concreto, nel fornire beni e servizi o occasioni di lavoro direttamente ai soci a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato"47. 46 www.businessplanvincente.com 47 www.informagiovani-italia.com 26 Allo scopo mutualistico può aggiungersi lo scopo di lucro che rimane tuttavia secondario48. Attualmente sono l'unica forma di impresa privata a finalità sociale consentita dalla normativa nazionale. Esse sembrano essere la soluzione ottimale, oltre che la più diffusa tra i gestori che intendono avviare una Casa Famiglia per anziani, in quanto questa forma giuridica, proprio per lo scopo mutualistico che la caratterizza, favorisce sia i propri soci garantendo sicurezza e vantaggi (la società svolge la propria attività in favore dei soci creando nuove occasioni di lavoro per gli stessi o anche per altri lavoratori rispettivamente sotto forma di rapporto di lavoro fra soci e società oppure di rapporto di lavoro subordinato) e, al tempo stesso, soddisfa principi di solidarietà socialmente utili alla comunità, avendo l'obiettivo di rispondere alle esigenze dei cittadini più deboli e svantaggiati. Si realizza, in questo modo, una convergenza di interessi tra l'ospite della struttura e il gestore che garantisce anche un equilibrio di mercato tra il primo (che ne trae un profitto) e il secondo (che paga la retta). Trattandosi di cooperative che gestiscono servizi di natura socio assistenziale, esse rientrano nella tipologia di cooperative di tipo A e, per le ridotte dimensioni dell'impresa, richiedono un numero minimo di soci pari a tre49 (fino ad un massimo di otto soci). Ogni socio ha l'obbligo di contribuire alla società attraverso il conferimento di beni e servizi (beni in natura, denaro, prestazioni di lavoro) e tutti partecipano in qualche modo, direttamente o indirettamente alla gestione delle attività anche se solitamente è l'amministratore unico che si occupa della gestione "pratica" della struttura assicurando una presenza costante presso la Casa Famiglia, verificando le condizioni di salute e psicologiche degli ospiti, stabilendo contatti con le famiglie e con tutto il personale in genere. La cooperativa come forma giuridica di esercizio delle Case Famiglia per anziani oltre ad essere tutelata dalla stessa Costituzione che ne promuove e 48 Se l'atto costitutivo lo prevede, esse possono svolgere anche attività con terzi (art.2521 c.c.) finalizzata alla produzione di utili e quindi, può essere attività lucrativa. Incompatibile con lo scopo mutualistico è e resta però l'integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti dalla cooperativa. 49 Sono sufficienti tre soci persone fisiche se la società adotta le norme della società a responsabilità limitata (art.2522 c.c.). 27 favorisce la diffusione e lo sviluppo50, viene particolarmente incentivata dalle leggi, anche a carattere regionale, che riconoscono particolari agevolazioni. I soci che intendono fondare una cooperativa finalizzata alla gestione di una o più Case Famiglia devono, alla presenza di un notaio, redigere un atto costitutivo pubblico ed uno statuto sociale al cui interno vengono specificati: la denominazione, la sede e la durata, lo scopo e l'oggetto, diritti e obblighi dei soci, il patrimonio sociale, gli organi, le clausole in merito allo scioglimento e alla liquidazione della società. Lo statuto può prevedere diverse tipologie di soci: lavoratori, ordinari, volontari, ai quali deve essere garantita parità di trattamento seppure svolgono compiti differenti. L'atto costitutivo e lo statuto saranno depositati presso la Camera di Commercio della Provincia di appartenenza dove verrà formalizzata l'iscrizione al Registro delle Imprese e all'Albo delle cooperative. Entro 30 giorni dalla costituzione, è necessario chiedere l'attribuzione della Partita Iva e del codice fiscale all'ufficio locale competente dell'Agenzia delle Entrate e iscriversi all'INPS e all'INAIL. Nell'atto costitutivo i soci scelgono, per ragioni di capitale, la disciplina delle S.r.l. (Società a responsabilità limitata) per la quale è prevista una quota inferiore di capitale (10.000 euro) rispetto a quella prevista per le Società per azioni (120.000 euro). Perché i gestori scelgono la cooperativa sociale come forma giuridica? Quali i vantaggi? La cooperativa sociale presenta una serie di aspetti vantaggiosi: semplicità nella realizzazione, spese necessarie alla costituzione ridotte, capitale sociale non elevato, agevolazioni fiscali e contributive. Per i gestori di Case Famiglia la scelta della cooperativa è soprattutto legata all' agevolazione di un favorevole regime IVA (imposta sul valore aggiunto). Esse infatti, sono assoggettate all'aliquota IVA agevolata del 4%51 e ad altre 50 Articolo 45, 1° comma: "La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini da speculazione privata". 51 Come previsto dall'articolo 10 del DPR 633 del 1972 "Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto". 28 agevolazioni52 di natura fiscale che ne favoriscono la costituzione e che riguardano: l'esenzione dall'IRES (imposta sul reddito della società) e la riduzione o, in alcuni casi, l'esenzione dell'aliquota IRAP (imposta regionale sull'attività produttive). Chi costituisce una cooperativa gode anche di un vantaggio patrimoniale in quanto il rischio da parte del socio è circoscritto alla quota di capitale che viene sottoscritta. Ma chi gestisce una Case Famiglia, intese come entità operanti in un contesto territoriale con il quale continuamente interagiscono, non può prescindere dal porre una grande attenzione nei confronti di tutti i soggetti portatori di un qualsiasi interesse verso la loro attività: soci, fornitori, utenti, istituzioni pubbliche, opinione pubblica. Proprio per questo motivo, la scelta di costituire una cooperativa risponde in maniera più adeguata a questa necessità in quanto essa permette la realizzazione di una maggiore condivisione degli obiettivi dell'attività da parte dei soci, la creazione di una partecipazione più consapevole alla vita sociale della cooperativa e soprattutto una maggiore assunzione di nuove responsabilità. Condividere il senso e l'obiettivo dell'attività è un elemento di facilitazione per ciascuno socio, il quale non è un semplice addetto ma ricopre istituzionalmente una responsabilità complessiva sull'adeguatezza del servizio reso all'utenza. Questo vale sicuramente anche per i soggetti aderenti alle associazioni di cui parleremo successivamente. La costituzione, il deposito e l'iscrizione comportano comunque, per i soci, dei costi. Per questo motivo, ci sono dei casi in cui lo stesso gestore ricorre ad un'altra forma d'impresa, quella individuale che, rispetto alla cooperativa, è meno onerosa e più semplice per la quale non è previsto l'obbligo di redigere nessun bilancio sociale e minore è il controllo da parte dell'autorità giudiziaria53. 52 Le disposizioni di carattere agevolativo si applicano soltanto alle cooperative a mutualità prevalente, come previsto dal Decreto Legislativo 6 del 2003 "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della Legge 3 ottobre 2001, n. 366", a condizione che introducano nei loro statuti le clausole fissate dall'articolo 2514 c.c. 53 Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell'autorità governativa (art.2545- quaterdecies c.c.), finalizzata all'accertamento dei requisiti mutualistici e ad assicurare il regolare funzionamento amministrativo e contabile delle stesse. La vigilanza spetta al Ministero dello Sviluppo Economico ed è esercitata tramite revisioni e ispezioni straordinarie disposte ogni qualvolta se ne ravvisa l'opportunità. 29 Le cooperative inoltre, non avendo per obiettivo il profitto, non possono avere nel bilancio annuale un utile da ripartire tra i soci superiore ad una minima percentuale del capitale sociale54. 2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale L'impresa individuale è una forma giuridica sicuramente più semplice e meno onerosa, richiede infatti, pochi adempimenti e una gestione più semplificata. Viene scelta da chi vuole preservare la massima autonomia nella gestione dell'attività, (non si hanno soci). Il soggetto titolare dell' impresa è obbligato alla semplice iscrizione alla Camera di Commercio e a denunciare l'inizio dell'attività presso l'Agenzia dell'Entrate al fine di farsi attribuire un numero di partita IVA. Anche per l'impresa individuale bisogna provvedere a regolare una posizione presso l'INPS e presso l'INAIL. L'unico titolare è anche il solo responsabile dell'attività e ne risponde dinnanzi alla legge (i rischi d'impresa e tutte le obbligazioni che nascono dall'attività ricadono tutti su di lui) ed è anche l'unico promotore della sua attività. Il titolare, nonché gestore della Casa Famiglia, rappresenta anche l'interlocutore principale per le famiglie e per tutto il personale che opera all'interno della struttura. In alcuni casi, la scelta dei gestori ricade sull'impresa individuale in quanto per la sua costituzione non si impone una quantità minima di capitale iniziale da investire, tale forma giuridica è infatti, preferita quando si devono svolgere attività che non richiedono grandi investimenti e che comportano rischi abbastanza limitati. Oltre alla rapidità della tempistica per la sua costituzione e ai minori oneri amministrativi, contabili e fiscali, l'impresa individuale comporta anche minori costi di gestione, l'assenza di redigere il bilancio a fine anno (previsto invece per le cooperative) e l'accentramento decisionale del titolare. Quest'ultimo aspetto potrebbe risultare uno svantaggio in quanto l'assenza di soci potrebbe essere considerata una mancata possibilità di confronto. Seppur il peso delle responsabilità gravino su una sola persona, tale forma giuridica viene preferita per i limitati vincoli sia per quanto riguarda le formalità da 54 Caratteristica peculiare delle cooperative è la variabilità del capitale in rapporto al variare del numero dei soci. 30 espletare in fase di avvio, sia per quanto riguarda la massima libertà del titolare nel prendere le decisioni più opportune55. 2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione Negli ultimi anni i gestori delle Case Famiglie si stanno timidamente indirizzando verso la scelta di una nuova forma giuridica per la cui costituzione è previsto un iter burocratico celere e semplificato e dei costi ridotti per via di un assetto organizzativo molto più indefinito e dei minori controlli da parte delle autorità istituzionali. L'associazionismo56 rappresenta ormai una valida alternativa per chi vuole gestire attività, anche di tipo commerciale, indirizzate a particolari categorie di soggetti a rischio di emarginazione sociale, come gli anziani. Esistono differenti forme di associazioni: associazioni di volontariato, le quali si avvalgono prevalentemente delle prestazioni volontarie e gratuite dei propri soci e associazioni di promozione sociale, le quali svolgono attività di utilità sociale senza finalità di lucro. Quest'ultime per la propria attività possono servirsi delle prestazioni volontarie dei soci o rivolgersi a terzi riconoscendo dei compensi o assumendo dei dipendenti. Per costituire un'associazione è necessario redigere l'atto costitutivo contenente: il nome dell'associazione, la sede, lo scopo sociale, i dati dei soci, del Presidente, del vice Presidente e del Segretario. Mentre nello statuto viene regolata l'organizzazione interna dell'associazione specificandone la finalità, le attività che si intendono svolgere e gli organi, dati che verranno registrati presso l'Agenzia delle Entrate territorialmente di competenza, dove verrà presentata anche domanda di attribuzione delle partita IVA. 55 www.cna.it 56 La libertà di associazione è riconosciuta dall'articolo 18 della Costituzione, che stabilisce: "I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale". La forma delle associazioni è regolata all'interno del Titolo II del Codice Civile (artt. 11-47) e dalle seguenti Leggi Nazionali: L. 266 del 1991 (Legge Quadro sul volontariato) e L. 383 del 2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale). 31 Anche se le associazioni non sono enti a scopo di lucro, possono svolgere tutte le attività, anche di tipo commerciale, purché previste dallo statuto, compatibili con lo scopo sociale e purché esse non siano prevalenti rispetto a quelle di volontariato. Le associazioni che gestiscono una o più Case Famiglia perseguono esclusivamente finalità di solidarietà sociale attraverso lo svolgimento di attività a favore degli anziani al fine di migliorarne la qualità della vita e lo sviluppo dell'autonomia. Per il perseguimento del proprio oggetto sociale, gli statuti prevedono la possibilità per tali associazioni di: fornire prestazioni di assistenza socio sanitaria, socio riabilitativa, socio assistenziale domiciliare; gestire autonomamente servizi di assistenza diretta alle persone; acquisire o gestire strutture da destinare a residenze. Per lo svolgimento di suddette attività è prevista la possibilità per l'associazione di avvalersi sia di prestazioni retribuite che gratuite. L'attività degli aderenti, invece non può essere retribuita in alcun modo, ogni forma di rapporto economico con l'associazione derivante da lavoro dipendente o autonomo è incompatibile con la qualità di socio. Oltre all'Assemblea dei soci (organo sovrano), sono organi dell'associazione: il Consiglio direttivo e il Presidente che è anche il rappresentante legale della Casa Famiglia e l'unico su cui ricade la responsabilità sia civile che penale dell'associazione. Perché i gestori scelgono l'associazione come forma giuridica? Quali i vantaggi? I motivi di questa scelta sono rinvenibili soprattutto nella necessità, da parte dei gestori, di fornirsi di un gruppo con un obiettivo comune per la gestione di un progetto innovativo come quello delle Case Famiglia per anziani. La scelta di tale forma giuridica dipende anche dalla possibilità di trarre risorse economiche per il funzionamento e lo svolgimento delle proprie attività dai contributi, donazioni ed erogazioni liberali dei privati, dai fondi derivanti dal 5 per mille (trattandosi di associazione che svolge attività in favore di anziani), oltre che dalle entrate derivanti dall'attività commerciale. 32 Come previsto dall'articolo 8 della Legge Quadro n. 266 del 1991, "gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente per fini di solidarietà sociale e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro" (1° comma). Per tale entità organizzativa inoltre, non c'è tassazione sulle somme ricavate dalle attività effettuate nell'ambito dell'utilità sociale, sono previste esenzioni IVA per le prestazioni ospedaliere e per le prestazioni socio sanitarie in genere. L'unico vincolo per le associazioni è la redazione del bilancio annuale ma senza l'obbligo di depositarlo in alcun ufficio, esso viene approvato dall'assemblea dei soci e tenuto agli atti dell'organizzazione per essere liberamente consultato dai soci. 2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione Al fine di snellire l'iter burocratico, evitando lunghe attese per i gestori coerentemente con la logica della semplificazione, le Case Famiglie solitamente rientrano tra quelle strutture non soggette all'obbligo di preventiva autorizzazione al funzionamento. L'iter burocratico è simile a quello previsto per l'avviamento di qualsiasi altra attività commerciale (ad esempio un bar). Il primo passo da compiere è recarsi al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune di residenza che serve come referente per tutte le pratiche amministrative e come sportello informativo per i gestori. Il legale rappresentante dell'impresa individuale, della cooperativa o dell'associazione che intende aprire una Casa Famiglia è tenuto a fornire la sola comunicazione dell'avvio dell'attività cui sarà allegata la documentazione prevista secondo quanto disposto dai regolamenti e dalle leggi regionali, entro i termini fissati. Sono obbligatori i seguenti documenti: Comunicazione di avvio dell'attività Essa sostituisce l'autorizzazione e viene compilata, su apposito modulo spesso scaricabile dai siti internet dei Comuni, dal gestore in regime di autocertificazione, per avviare la propria attività. Ai sensi dell'articolo 19 della Legge sul 33 procedimento amministrativo57 produce effetti immediati e deve essere corredata delle autocertificazioni circa il possesso di requisiti soggettivi (morali e professionali) e oggettivi (attinenti la conformità edilizia, igienico-sanitaria ecc.) Il relativo modello deve essere compilato in ogni sua parte e deve contenere: estremi anagrafici del rappresentante legale della società o del titolare dell'impresa individuale o dell' Presidente dell'associazione; estremi anagrafici del responsabile coordinatore della struttura; denominazione o ragione sociale indirizzo della sede legale, la quale non deve essere necessariamente una sede fisica, si può indicare anche il domicilio di uno dei soci; numero di codice fiscale o partita IVA; data di avvio dell'attività; numero massimo di utenti che possono essere ospitati nella sede; caratteristiche dell'utenza ospitata; numero e qualifiche del personale che opera nella Casa Famiglia; modalità di accoglienza dell'utenza e la retta richiesta agli ospiti. Tale comunicazione non prevede dei costi e deve pervenire al Comune entro 60 giorni dall'avvio dell'attività, in caso di omessa comunicazione al Comune entro i termini indicati, si applicano le disposizioni delle rispettive norme regionali. L'amministrazione di competenza, entro 60 giorni dal ricevimento, accerterà il possesso e la veridicità dei requisisti dichiarati dando comunicazione dell'avvio del procedimento (ai sensi degli articoli 7 e 8 della Legge 241 del 1990). Lo svolgimento dell'attività in maniera difforme da quanto dichiarato può comportare l'adozione, da parte degli organi competenti, di provvedimenti sanzionatori e inibitori. 57 Secondo l'articolo 19 della Legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, "Ogni atto di autorizzazione, licenza, [...], comprese le richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale o commerciale [...] è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste [...] L'attività può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente". 34 Carta Dei Servizi E' un documento elaborato nel rispetto della Legge n. 328 del 2000 che, all'articolo 13 prevede: "ciascun ente erogatore di servizi adotta una Carta dei Servizi Sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti". Essa illustra i servizi offerti all'utenza ispirandosi ai principi di trasparenza, uguaglianza, imparzialità, continuità, diritto di scelta, partecipazione, efficienza ed efficacia ed è rivolta a chiunque voglia, a titolo personale, professionale o istituzionale, conoscere la realtà della Casa Famiglia. Uno strumento informativo che facilita il controllo della rispondenza dei servizi effettivamente offerti a quelli promessi58. La Carta dei Servizi intende essere il documento in cui vengono descritte e aggiornate le caratteristiche delle prestazioni erogate e dove vengono esplicitate le modalità secondo cui si definisce l'impegno di reciprocità nell'assunzione di doveri precisi tra erogatore del servizio e fruitore. Attraverso tale strumento il soggetto gestore che eroga il servizio si impegna a rispettare determinati standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni con l'intento di monitorarne e migliorarne le modalità di fornitura e somministrazione. Nello specifico, la carta dei servizi contiene: la descrizione della struttura; le finalità del servizio; i criteri e le modalità di accesso al servizio; le tipologie di servizi offerti; le figure professionali coinvolte; i costi. Essa è redatta tenendo conto dei diritti fondamentali dell'anziano, nonché delle normative regionali in materia di assistenza, qualità e servizi preposti alla cura ed assistenza dell'anziano. 58 C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e nuovo welfare: atti del convegno, cit., p.33. 35 Altri documenti da allegare Il soggetto gestore dovrà allegare alla documentazione sopra citata, la planimetria dell'abitazione, la scheda tecnica di autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti strutturali e organizzativi, la dichiarazione antimafia che certifichi (in caso di società) che nei confronti di ciascun socio non sussistono misure di prevenzione59, curriculum del personale impiegato con copia dei relativi contratti ed è inoltre, chiamato a presentare comunicazione di ogni altra variazione (modifica della sede, del recapito telefonico, modifica della ragione sociale, ecc.) o comunicazione di cessazione dell'attività. Il Comune di competenza esamina la documentazione presentata ed eventualmente richiede l'integrazione per i documenti incompleti o mancanti, verifica il possesso dei requisiti minimi previsti dalle leggi regionali in vigore e invia copia del provvedimento alla Provincia, che detiene un registro aggiornato delle Case Famiglia, e ai Servizi Sociali del Comune di riferimento. Inoltre, esercita attività di vigilanza e controllo, avvalendosi sei Servizi Sociali Territoriali, dell'Azienda USL e della Polizia Municipale per accertare l'osservanza di tutti gli adempimenti previsti dalla normativa vigente in materia di servizi socio assistenziali attraverso visite periodiche. Nei casi di gravi e ripetute violazioni di legge, il Comune può disporre la chiusura dell'attività. 59 L'autocertificazione in materia antimafia per le società cooperative deve essere rilasciata dal rappresentante legale a dagli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione. Il socio è chiamato a dichiarare che non sussistono nei propri confronti cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'art.10 della Legge 31 maggio 1965 n.575 "Disposizioni contro la mafia". 36 CAPITOLO TERZO L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA: NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE 3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto In linea con la tendenza registrata a livello nazionale, il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione rappresenta un trend rilevabile anche in Emilia Romagna60. L'Emilia Romagna pur collocandosi tra le regioni italiane con la più alta capacità di copertura del bisogno tramite interventi residenziali, negli ultimi anni ha assistito alla nascita di nuove soggettività sociali promotrici di azioni per il benessere dei cittadini e alla diffusione di servizi sempre più diversificati e personalizzati. Un processo che ha dato vita a numerosi soggetti sociali in grado di dare risposte innovative ai nuovi bisogni emergenti tenendo conto dell'impossibilità di espandere ulteriormente la spesa pubblica. In un contesto di crisi economica e sociale, che vede un maggior contenimento degli interventi pubblici statali, l'iniziativa dei privati profit che decidono di aprire delle Case Famiglia rivolte non più solo ai minori ma anche agli anziani, si colloca nell'ambito di valorizzazione di un diverso spazio di intervento ad esse attribuito, perseguendo il rilancio dell'efficienza dei servizi collettivi per la costruzione di un nuovo welfare. Anche in Emilia Romagna si assiste dunque, ad una profonda innovazione organizzativa e culturale del sistema assistenziale che vede lo sviluppo di una rete di servizi alternativi il cui spazio di azione si colloca tra lo Stato (ossia il pubblico) 60 Secondo gli ultimi dati Istat (2012), in Emilia Romagna gli anziani sono aumentati di 17.605 unità (+ 1,8%), arrivando al 22,5% della popolazione. Parte di questo incremento si concentra sui grandi anziani (di 80 anni e più), che sono aumentati nel corso dell'anno del 2%, arrivando al 7,2% della popolazione. Di questi circa 2 su 3 sono femmine. Fonte: www.regione.emiliaromagna.it 37 e il mercato61. Non si tratta però di un mercato finanziario inteso in senso tradizionale, bensì di un "mercato civile"62 all'interno del quale vi è una maggiore attenzione alla valorizzazione della qualità delle relazioni sociali. Quando si parla di Case Famiglia ci si trova di fronte ad una realtà per certi versi giovane e forse proprio per questo estremamente dinamica63. Nel Comune di Parma, come vedremo, esse rappresentano un vero e proprio potenziale sociale per il territorio, un settore in continua espansione che indica una direzione di cambiamento nelle forme di erogazioni dei servizi assistenziali alternativi al ricovero in istituto e segnano il passaggio progressivo da un sistema fondato sulla dominanza della fornitura pubblica di servizi, ad un sistema misto che consente maggiore competizione e pluralismo tra i diversi fornitori. Colpisce la ricerca di soluzioni alternative da parte delle famiglie, un vero e proprio rovesciamento storico rispetto alla cultura "familista" che ha sempre caratterizzato il nostro Paese. Sicuramente il passaggio da un sistema in cui prevalevano le cure familiari informali ad uno in cui sono sempre più rilevanti le prestazioni rese da personale retribuito (siano operatrici delle Case Famiglia, siano badanti), è rilevante in una Regione che registra il più alto tasso di occupazione femminile d'Italia64. Nel contesto emiliano-romagnolo è maggiore la domanda espressa di servizi alla persona per via di una serie di fattori che forse sono più evidenti rispetto ad altri territori: vi è da un lato una maggiore propensione individuale o familiare ad avvicinarsi ai servizi, dall'altro vi è una maggiore disponibilità di servizi in grado di rispondere, almeno parzialmente, alle esigenze dei cittadini. E' pur vero che la realtà delle Case Famiglia per anziani si è concentrata, nella Regione, in contesti territoriali molto limitati, rimanendo sconosciuta in molte altre zone. Parma, ad esempio, è l'unica Provincia che ha registrato un vero e proprio 61 A.C. Giorio, Impresa sociale, crisi e sussidiarietà "Osservatorio Isfol", I (2011), n. 3-4, pp. 45- 55. 62 P. Donati, Introduzione. Alla ricerca di ciò che rende "civile" la società, in P. Donati, I. Colozzi (a cura di), La cultura civile in Italia: tra Stato, mercato e privato sociale, Il Mulino, Bologna 2002. 63 www.veniteallafesta.org 64 Nel 2011 il tasso di occupazione femminile in Emilia Romagna era pari a 50,9%, posizionandosi al di sopra della media italiana (47,2%). Fonte ISTAT. 38 "boom" di Case Famiglia per anziani ed è anche l'unica ad avere dettato norme in materia, mentre a Bologna, Modena e Piacenza queste strutture sono addirittura poco o per nulla conosciute, esse vengono definite attraverso l'utilizzo di una varietà terminologica che attribuisce loro significati divergenti. Spesso con il termine "casa famiglia" si indicano strutture che, invece, hanno caratteristiche simili ma non equivalenti a quelle di una Casa Famiglia vera e propria. 3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia In Emilia Romagna i requisiti e le procedure per l'autorizzazione al funzionamento dei servizi socio sanitari e sociali sono stati definiti con delibera della Giunta Regionale n. 564 del 200065, così come previsto dall'articolo 35 della Legge Regionale n. 2 del 2003 Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi: "la Giunta Regionale stabilisce con propria direttiva quali servizi e strutture sono soggetti all'autorizzazione e quali sono soggetti alla comunicazione di avvio attività" (1° comma), prevedendo altresì che lo stesso Consiglio Regionale stabilisca "con propria direttiva le modalità di comunicazione di avvio attività per i servizi e gli interventi non soggetti ad autorizzazione al funzionamento" (2° comma) tra i quali rientrano le Case Famiglie. Secondo il provvedimento regionale del 2000 le Case Famiglia, che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, rientrano tra le strutture non soggette all'obbligo di autorizzazione e per le quali il soggetto gestore è tenuto a comunicare il solo avvio di tale attività (articolo 3), entro 60 giorni, al Comune del territorio indicando, in conformità con quanto previsto dall'articolo 9 della delibera: la denominazione e l'indirizzo esatto della sede in cui si svolge l'attività; la denominazione, la natura giuridica e l'indirizzo del soggetto gestore; il numero massimo (entro le sei unità) di utenti che possono essere ospitati; 65 caratteristiche dell'utenza; Direttiva Regionale per l'autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori, portatori di Handicap, anziani e malati di AIDS, in attuazione della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34. In Appendice A/2, p.78. 39 il numero e le qualifiche del personale che vi opera; le modalità di accoglienza dell'utenza; la retta richiesta agli ospiti o ai familiari. Nei casi di inosservanza di tale obbligo la legge prevede sanzioni amministrative per i gestori66, mentre nei casi in cui, "a seguito di verifica disposta dal Comune o dalla Regione, viene accertata l'assenza di uno o più requisiti minimi o il superamento della capacità recettiva autorizzata, il Comune diffida il legale rappresentante del soggetto gestore a provvedere al necessario adeguamento entro il termini stabilito nell'atto di diffida"67. I requisiti minimi funzionali e strutturali e i requisiti generali riguardanti il personale che opera all'interno di ciascuna Casa Famiglia sono i medesimi previsti dal Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale n. 308 del 2001, la Delibera Regionale 564 del 2000 ne stabilisce gli standard e le modalità. L'articolo 8 introduce inoltre, l'obbligo di istituire, presso ciascuna Amministrazione provinciale, un registro delle Case Famiglia, costantemente 66 Articolo 39, Legge n. 2 del 2003 prevede: "Chiunque apra, ampli, trasformi o gestisca una struttura socio assistenziale o socio sanitaria di cui all'articolo35, senza avere ottenuto la preventiva autorizzazione al funzionamento, è punito con la sanzione amministrativa da euro 2.000 ad euro 10.000. L'apertura, l'ampliamento, la trasformazione o la gestione di una struttura socio assistenziale o socio sanitaria, o l'erogazione di un servizio, senza l'acquisizione della prevista autorizzazione al funzionamento, comportano inoltre la chiusura dell'attività disposta con provvedimento del Comune competente, che adotta le misure necessarie per tutelare gli utenti" (1°comma). "Il gestore di struttura che, in possesso di autorizzazione al funzionamento, supera la capacità ricettiva massima autorizzata, è punito con la sanzione amministrativa di euro 2.000 per ogni posto che supera la capacità ricettiva autorizzata. In caso di violazione della capacità ricettiva il Comune inoltre diffida il gestore a rientrare nei limiti entro un termine fissato" (2°comma). "Il Comune può inoltre disporre la revoca o la sospensione dell'autorizzazione al funzionamento, in relazione alla gravità della violazione, qualora accerti il venire meno dei presupposti che hanno dato luogo al suo rilascio. Il provvedimento di revoca o sospensione deve indicare gli adempimenti da porre in essere e la documentazione da produrre per riprendere l'attività" (3°comma). "La decisione del gestore di interrompere o sospendere l'attività autorizzata deve essere preventivamente comunicata al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione. In caso di inosservanza si applica la sanzione amministrativa da euro 1.000 ad euro 3.000 (4°comma). "In caso di inosservanza dell'obbligo di denuncia di avvio di attività previsto all'articolo 37 si applica la sanzione amministrativa da euro 300 ad euro 1.300" (5°comma). 67 Articolo 9, DGR 564 del 2000, in Appendice A/2, p.78. 40 aggiornato in seguito a qualsiasi provvedimento adottato dai Comuni competenti, anche rispetto all'attività di vigilanza che quest'ultimi esercitano sulle singole strutture. Tale Delibera rappresenta l'unico strumento normativo prodotto dalla Regione Emilia Romagna che disciplina in poche e semplici righe alcuni degli aspetti legati alla materia. 3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA "Parma è stata una città che da sempre si è caratterizzata per le sue importanti scelte politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità classica". Così il dottor Fabio Cavicchi, Commissario UNEBA68 per la Regione Emilia Romagna, definisce la realtà all'avanguardia di questo Comune, che da anni rappresenta un esempio per molte province di Italia in materia di Case Famiglia per anziani. Il dottor Cavicchi è anche Direttore Generale della Fondazione Santa Clelia Barbieri e, dunque, conosce bene la dimensione dei servizi socio assistenziali del territorio. La Fondazione nasce a Vidiciatico, nell' Appennino Bolognese, e gestisce una pluralità di strutture che hanno come obiettivo quello di sostenere anziani e disabili che, per le loro condizioni fisiche, psichiche o socio relazionali, non possono rimanere nel loro ambiente familiare. Essa opera attraverso l'erogazione di servizi differenziati e personalizzati, secondo la tipologia di bisogno espresso: casa di riposo, casa protetta o centro diurno. Ma tra le strutture più innovative che rientrano in questa ampia idea progettuale vi è una residenza protetta rivolta ad anziani parzialmente autosufficienti che comprende vari appartamenti aggregati, una casa famiglia e un 68 Unione Nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale. Sorge nel 1950 ed opera in molte regioni d'Italia. Ad essa appartengono enti, istituzioni, associazioni, fondazioni, imprese sociali ed altre realtà operanti del campo sociale, socio-sanitario ed educativo. UNEBA promuove le libere iniziative assistenziali e la loro libera partecipazione alla programmazione in tutte le sue fasi; rappresenta e tutela le associazioni e le iniziative associate nei loro rapporti con gli organi legislativi, governativi ed amministrativi; approfondisce dei problemi sociali e promuove iniziative di formazione per gli operatori sociali. Fonte: www.uneba.org 41 gruppo appartamento (appartenenti entrambi alla medesima unità strutturale), ossia delle strutture socio assistenziali, di ridotte dimensioni, destinate ad anziani o disabili autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Esse consentono una maggiore autonomia dell'ospite che, comunque, viene supportato dalla struttura centrale. Insomma, si tratta di un progetto che vuole sperimentare ed affiancare alle strutture residenziali tradizionali, una serie di servizi innovativi all'interno del sistema di assistenza. Alla luce delle esperienze realizzate e delle sperimentazioni avviate nel settore dei servizi residenziali per anziani e/o disabili, da parte della Fondazione, nel corso dell'incontro con il dottor Cavicchi, sono emersi degli spunti operativi circa le direzioni da intraprendere per rispondere in maniera sempre più efficiente ed efficace alle nuove esigenze dell'attuale sistema socio assistenziale e socio economico, ma sono sorte anche delle riflessioni sulla scarsa visibilità sociale e legittimazione istituzionale di queste particolari tipologie di strutture dovuta, in parte, all'assenza di una normativa regionale specifica sull'argomento, prendendo atto che la Delibera Regionale n. 564 del 2000 non fornisce indicazioni dettagliate sulle modalità di gestione né delle case famiglia, né dei gruppi appartamento69. Quali sono i motivi per i quali le Case Famiglia per anziani si sono sviluppate, paradossalmente, in quelle regioni, come l'Emilia Romagna, che godono di un sistema di welfare efficiente e dove vi è un'offerta estesa di servizi tradizionali? "Il settore dei servizi socio-assistenziali è un settore particolare, dove non è la domanda (di servizi) che crea l'offerta ma succede esattamente il contrario: viene creata l'offerta e a quel punto nasce la domanda. Quindi, se in un determinato territorio si sviluppa la cultura di un servizio, questo viene offerto agli utenti generando , di conseguenza, la crescente domanda di quello stesso servizio. Creare dei servizi sempre più differenziati permette di cucire un vestito su misura per ognuno. Non può esistere solo il centro diurno, l'assistenza domiciliare 69 Viene soltanto specificato il numero di ospiti che possono essere accolti all'interno delle strutture (6), senza prevedere una chiara definizione dell'utenza ammissibile e dei livelli di autosufficienza consentiti. 42 o la casa protetta. Non può esistere un unico contenitore dove metterci di tutto. I servizi vanno differenziati e non eliminati. Le Case Famiglia, ad esempio, nascono per rispondere ai bisogni di un target molto particolare di persone che, per le loro condizioni, non necessitano di entrare in struttura ma non possono nemmeno restare in casa". Perché il Comune di Parma si è distinto fra tutti per aver introdotto delle Linee Guida per la disciplina delle Case Famiglia? "Il motivo è legato all'adozione di scelte politiche, da parte della classe dirigente, mirate a potenziare una rete di servizi alternativi alla residenzialità tradizionale che, da sempre, hanno caratterizzato questo Comune rispetto ad altri. A Bologna, ad esempio, forse è mancata una scelta politica in tal senso". Per quanto riguarda l'anziano in Casa Famiglia, egli può essere definito come un soggetto istituzionalizzato? "Dipende sicuramente dalle modalità con le quali queste strutture vengono gestite. Se l'anziano viene sottoposto a stimoli che favoriscono le interazioni sociali, la sua autonomia e indipendenza, aiutandolo a mantenersi il più attivo possibile, ad esempio consentendogli di muoversi liberamente anche fuori dalla struttura: fare una passeggiata, andare al bar ecc., allora non può essere considerato istituzionalizzato in quanto le attività svolte quotidianamente all'interno della struttura possono essere in parte assimilabili a quelle svolte nella propria residenza". Sarebbe opportuno, in futuro, pensare ad un possibile sistema di accreditamento per le Case Famiglia? "Sì, un possibile accreditamento delle Case Famiglia potrebbe essere conveniente per far rientrare queste strutture nel pieno della rete di servizi". Perché è così importante rientrare nella rete dei servizi? 43 "Essere in rete rafforza il valore del servizio quindi, per chi gestisce queste strutture è penalizzante dover essere considerati al di fuori. Da qui l'importanza, per queste strutture, di essere riconosciute a livello sociale ed istituzionale e quindi, disciplinate". La Regione ha mai pensato di prevedere una forma di accreditamento anche per questa particolare tipologia di struttura? "Sì, se ne parlava prima della crisi economica. La Regione aveva preso in considerazione l'ipotesi di prevedere il libero accreditamento per le Case Famiglia ma essa non si è mai concretizzata. Sicuramente, la realizzazione di un'idea simile consentirebbe ai comuni di esercitare al meglio le proprie funzioni di vigilanza e controllo". Oggi, soprattutto per le esperienze più evolute come quella di Parma o Bologna, quest'ultima conosciuta grazie alla testimonianza del dottor Cavicchi, diviene fondamentale misurarsi con la necessità di creare un sistema di servizi alla persona aperto alle trasformazioni richieste dai cambiamenti sociali ed economici in atto. Ma, di fronte alle sfide dei nuovi scenari economici tutto appare più complicato e salvaguardare ciò che i servizi socio assistenziali hanno saputo garantire finora è già tanto. La prospettiva futura di assorbire nel sistema di accreditamento regionale strutture come le case famiglia o i gruppi appartamento potrebbe essere fondamentale non solo per la qualità dell'assistenza, attraverso l'accertamento del possesso e del mantenimento di una serie di requisiti strutturali ed organizzativi, ma anche per garantire l'efficienza e la sostenibilità economica. E' perciò doveroso per le regioni intervenire per rispondere alla crisi economica, provando ad attribuire ai servizi socio assistenziali presenti sul territorio il giusto riconoscimento, non eliminandoli ma valorizzandoli e provare a rinsaldare il legame con le rispettive comunità. 44 3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma In molte città italiane le Case Famiglia per anziani rappresentano non solo una risposta concreta per il territorio, ma anche il risultato di una realtà sociale in continuo movimento. Una tematica che, a Parma, ha acquistato rilevanza crescente, ponendosi in misura sempre più insistente all'attenzione dei policy markers, a fronte dell'incremento di soggetti privati che decidono di avviare questo genere di attività. Nel giro di quindici anni, si sono costituite ben venti Case Famiglia, un vero e proprio record per il Comune parmigiano, dove il tema di una innovazione profonda del modello di servizi per gli anziani non è del tutto nuovo ma, da anni, impegna le diverse amministrazioni comunali, attraverso l'adozione di scelte politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità classica, tutte scelte guidate da un unico filo conduttore: la volontà di restituire dignità e diritti agli anziani anche quando perdono la loro autosufficienza. Si tratta di un processo che segna una nuova stagione delle politiche assistenziali territoriali, fondato sull'idea che le regole del mercato, una volta adattate ad un prodotto particolare quale è il servizio di cura, consentono un'espansione del sistema di assistenza senza un aggravio eccessivo di costi per l'amministrazione pubblica. Sollevare l'attenzione delle istituzioni sul tema delle Case Famiglia permette un miglioramento della qualità dell'assistenza da parte di chi lavora in questo settore che, nella sua complessità, comprende insieme la dimensione assistenziale e quella relazionale e, allo stesso tempo, consente lo sviluppo di azioni volte a migliorare la qualità di vita di chi riceve le cure. Nella città di Parma la domanda di questo tipo di servizio continua a crescere in seguito all'aumentare della popolazione anziana e alle trasformazioni in atto dei modelli familiari. Comprendere le ragioni e le prospettive della scelta di tante famiglie che si sono rivolte a delle Case Famiglia, assume un significato ed una dimensione assolutamente particolare in un comune come questo, ricco di servizi "tradizionali" e opportunità di sostegno. Se l'obiettivo di questi servizi alternativi è assicurare risposte più personalizzate e più flessibili, più aderenti agli stili di vita e alle aspettative degli anziani, colpisce ancora oggi, l'assenza di un'adeguata riflessione sulle condizioni degli anziani in 45 Casa Famiglia nel panorama politico nazionale e regionale. Al fine di colmare, in parte, questo vuoto normativo, nella convinzione che solo attraverso un investimento di risorse in questa direzione sia possibile perseguire obiettivi di qualità e di vero benessere per gli anziani, il Consiglio Comunale di Parma, nel 2008, ha definito con Delibera n. 84/15 delle Linee guida per la disciplina, la valorizzazione e la qualificazione delle Case Famiglia per anziani e per l'esercizio delle attività di vigilanza e controllo70 che ne regolano il funzionamento e declinano le funzioni amministrative e di vigilanza in capo all'Ente Pubblico Locale. Una normativa orientata a fornire ai gestori e, a chiunque voglia avviare un'attività di questo tipo, un quadro di riferimento che mira a garantire la qualità del servizio erogato. Dopotutto compito di un'amministrazione locale è proprio quello di leggere i bisogni emergenti e ricercare nuove soluzioni che si adattino ai cambiamenti sociali in atto, favorendo l'autonoma iniziativa dei privati, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Con l'introduzione delle Linee Guida viene definitivamente abolito il precedente Regolamento per la vigilanza nelle strutture residenziali per anziani con un numero di ospiti fino ad un massimo di sei denominate case famiglia del 2006. Sicuramente esso si caratterizzava per una più immediata e diretta applicabilità oltre che ad essere maggiormente vincolante ed incisivo rispetto alle attuali Linee Guida le quali lasciano maggiore arbitrio di decidere il modo con cui operare per adempiervi. Secondo quanto stabilito dalle Linee Guida, le Case Famiglia, nate su iniziativa privata, che operano sul Territorio Comunale di Parma, possono accogliere anziani autosufficienti e/o che necessitano di bassa intensità assistenziale, certificata dal Medico di Medicina Generale. Ma come stabilire esattamente il livello di autosufficienza di un anziano? Spiegare il concetto di autosufficienza risulta molto complesso poiché i criteri di definizione utilizzati dalle singole regioni, in assenza di indirizzi legislativi unitari a livello nazionale, sono molto eterogenei. In Emilia Romagna i parametri utilizzati per individuare una persona autosufficiente vengono determinati 70 In Appendice C, p. 91. 46 dall'UVG71 attraverso l'utilizzo della scala BINA (Breve Indice di Non Autosufficienza)72. Essere autosufficiente (o parzialmente) è dunque, condizione necessaria per essere accolti in Casa Famiglia, ma cosa succede se le condizioni dell'ospite non sono più compatibili con le caratteristiche proprie della struttura? Nei casi di variazione o perdita dell'autosufficienza viene attivato immediatamente il Medico Geriatra, secondo le modalità previste dalle Linee Guida e, laddove venga accertata la non compatibilità dell'anziano, "verrà assegnato alla Casa Famiglia un termine idoneo al trasferimento dell'ospite". Il Comune "in caso di comprovate gravi carenze che possano pregiudicare la sicurezza dell'ospite" può procedere alla diffida del legale rappresentante, invitandolo a "provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell'atto di diffida". 3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida Come ampliamente descritto nel capitolo secondo, per i soggetti privati che intendono aprire una Casa Famiglia per anziani, l'iter burocratico da seguire è simile a quello previsto per l'avviamento di una qualsiasi altra attività commerciale (ad esempio un bar). Il primo passo da compiere è recarsi al Settore Sportello Unico Impresa Edilizia del Comune di Parma, quale referente per tutte le pratiche amministrative e principale sportello informativo al quale comunicare l'avvio dell'attività (entro 60 71 Unità di Valutazione Geriatrica, un'equipe multiprofessionale, composta da un medico geriatra, un infermiere e un'assistente sociale, incaricata di valutare le condizioni di bisogno del soggetto, il suo livello di non autosufficienza e di elaborare un Programma Assistenziale Individualizzato (PAI). 72 BINA è una scala di disabilità che analizza 10 items, ognuno dei quali dotato di 4 modalità ordinate e di un punteggio, che indica la gravità della disabilità. Gli items sono: medicazioni, necessità di prestazioni sanitarie, controllo sfinterico, disturbi cognitivi e/o comportamentali, funzioni del linguaggio, deficit sensoriali, mobilità, attività della vita quotidiana, fattori abitativi e ambientali, stato della rete familiare e sociale. Il valore dell'indice corrisponde al punteggio totale riportato nella valutazione, tale valore va confrontato col valore soglia, pari a 230. Sono considerati non autosufficienti i soggetti con punteggio superiore a 230. 47 giorni) e fornire tutti gli allegati previsti (scheda tecnica73, planimetria e carta dei servizi), che provvederà a trasmettere la documentazione alla Struttura Operativa Anziani, copia della Comunicazione di Inizio Attività verrà trasmessa ai Nas, all'Ispettorato del Lavoro e all'Azienda USL. Ogni anno tutte le C.I.A. vengono inviate alla Provincia, che detiene un registro delle case famiglia74 come da adempimento normativo, tramite la compilazione di un apposito modello a ciò predisposto75. Per il Comune invece è previsto l'obbligo di tenere un elenco aggiornato delle Case Famiglia attive contenente la denominazione della struttura, l'indirizzo, il nominativo del legale rappresentante e le rispettive C.I.A., si tratta di un elenco pubblico e quindi accessibile ad ogni cittadino che può richiederlo in qualsiasi momento. Una procedura dunque, molto snella e celere che sicuramente avvantaggia i gestori la cui attività viene però sottoposta a regolare controllo e vigilanza, non solo da parte dell'Ente Pubblico ma anche da parte dell'Azienda USL, dei Nas e dell' Ispettorato del Lavoro. Il Comune, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, è chiamato ad effettuare, almeno due volte all'anno, delle verifiche a sorpresa presso le strutture avvalendosi di un gruppo tecnico di sopralluogo, composto solitamente da un'assistente sociale coordinatrice del Polo Territoriale di riferimento, una RAA76 e un referente infermieristico dell'USL, che provvederà alla compilazione del 73 Il Comune di Parma ha predisposto un apposito modello di scheda tecnica da compilare in regime di autocertificazione da parte dei soggetti gestori di attività socio assistenziale denominate Case Famiglia. Tale strumento certifica i requisiti strutturali ed organizzativi, ossia la tipologia dell'immobile, la capacità ricettiva complessiva, il rispetto delle norme contrattuali, assicurative e previdenziali previste per la stipula dei contratti di lavoro dei dipendenti, la presenza del Medico di Medicina Generale, la presenza di un coordinatore responsabile, l'adozione della carta dei servizi e di un registro degli ospiti con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza e ogni altro requisito previsto dal D.M. del 21 maggio 2001 n. 308. 74 Come previsto dall'articolo 8 della D.G.R. 564 del 2000. 75 Per le comunicazioni di avvio attività il modello è: "Mod.DEN1" allegato alla D.G.R. 564 del 2000. In Appendice B, p. 90. 76 Responsabile delle Attività Assistenziali la cui presenza è prevista dal DGR 1378 del 1999; il DGR 564/2000 inoltre, inserisce la R.A.A. fra il personale addetto alle funzioni socioassistenziali, socio-sanitarie ed educative. 48 cosiddetto Modulo di Sopralluogo Congiunto, ossia un modello prestampato all'interno del quale vengono trascritti tutti i dati riportati nel registro degli ospiti (estremi anagrafici di ciascun ospite, recapito telefonico del familiare referente, nominativo del Medico di Base, data di ingresso dell'ospite nella struttura e data di dimissione, se presente). Tale modulo viene compilato in tutte le sue parti, in base alle rispettive competenze, dai seguenti organi: al Dipartimento Igiene Pubblica competono gli aspetti strutturali (adeguatezza delle stanze e del bagno, modalità di preparazione e conservazione degli alimenti, numero dei posti letto per ciascuna camera, esistenza di barriere architettoniche, adeguatezza degli arredi, pulizia degli ambienti); al Dipartimento Cure Primarie dell'Azienda USL competono gli aspetti medico infermieristici (esame della cartella infermieristica, del diario clinico, della scheda terapica, della scheda dietetica); alla Direzione Programma di Geriatria Territoriale competono gli aspetti geriatrici (livello di autonomia, stato psichico, ecc.); ai Servizi Sociali competono gli aspetti organizzativo/funzionali (numero degli operatori e presenza di documentazione che ne attesti il tipo di qualifica, presenza dell'infermiere professionale, presenza del registro e delle schede informative degli ospiti, presenza dei Piani Assistenziali Individualizzati) e gli aspetti socio assistenziali (presenza di attività di socializzazione/animazione e di interventi finalizzati al miglioramento della qualità della vita). Il verbale di sopralluogo viene rimandato al Dirigente del Settore Welfare e inviata una copia a tutti gli altri soggetti coinvolti. Scopo dei sopralluoghi, oltre a rilevare eventuali elementi di positività o criticità relativi all'attività assistenziale posta in essere dalla struttura, è verificare lo stato di funzionamento dell'intera organizzazione, individuare eventuali problematiche (espresse e non), assicurarsi che ogni gestore conservi in maniera accurata tutta la documentazione cartacea predisposta per ciascun ospite, raccolta in sede di accoglimento della domanda (vedi tabelle 1 e 2). 49 Tabella 1. Cartella infermieristica: principali elementi rilevati Denominazione e indirizzo della Casa Famiglia Caratteristiche dell'ospite: 1) dati anagrafici 2) data di ingresso e provenienza (domicilio o ospedale) 3) familiari di riferimento 4) uso di ausili, presidi antidecubito, mezzi di contenzione 5) modalità di alimentazione 6) tipo di dieta 7) eliminazione urinaria e fecale Anamnesi: 1) familiare 2) patologica remota 3) patologica attuale 4) farmacologica Diario clinico medico Scheda di terapia Diario di assistenza socio sanitaria integrata La tabella 1 contiene i principali dati che vengono registrati all'interno della cartella infermieristica, uno strumento organizzativo imprescindibile per ottimizzare e sistematizzare le informazioni riguardanti l'intero processo assistenziale, tenuto costantemente aggiornato in base alle condizioni cliniche dell'ospite che col tempo possono modificarsi. 50 Tabella 2. Scheda informativa sull'attività di vita dell'ospite per il mantenimento del suo benessere Dati relativi all'ospite estremi anagrafici stato civile attività lavorativa precedentemente svolta medico curante (recapito telefonico, indirizzo ambulatorio) generalità dei familiari di riferimento certificazione dell'invalidità di accompagnamento data di ingresso (temporaneo o a tempo prolungato) Abitudini di vita dell'ospite orari attività della mattina e del pomeriggio attitudine a stare da solo o in compagnia capacità di esprimere i propri bisogni/necessità/preferenze principali argomenti di conversazione attività proposte poco gradite abitudini alimentari frequenza delle visite ricevute e/o uscite con familiari e/o amici Indicazioni dei familiari in caso di eventi urgenti o straordinari riguardanti lo stato di salute dell'ospite OBIETTIVI realistici che gli operatori della casa famiglia si propongono di raggiungere per il benessere dell'ospite I dati contenuti nella scheda illustrata nella tabella 2 rappresentano un'importante fonte informativa sia per il gestore, sia per le operatrici che forniscono l'assistenza, sia per il gruppo tecnico di sopralluogo in quanto, oltre alle classiche notizie anagrafiche, fornisce una serie di notizie sulla rete di relazioni familiari alla quale fare riferimento, ma soprattutto consente di attivare un processo di conoscenza dell'anziano: carattere, abitudini, gusti, legami familiari e sociali al fine di indirizzare le risorse interne alla casa famiglia al corretto mantenimento e 51 recupero dell'anziano nella sua interezza preservando e, se possibile, ripristinando le condizioni funzionali, cognitive e relazionali eventualmente compromesse. La cartella infermieristica e la scheda informativa vanno aggiornate in maniera continuativa e sistematica in modo da poter in ogni occasione, ricostruire il percorso dell'ospite per evitare eventuali anomalie (relative all'incompleta compilazione delle cartelle sanitarie o all'assenza dei piani assistenziali individualizzati). Determinante è dunque il ruolo dell'Ente Pubblico e dell'azienda USL nel monitorare i continui cambiamenti in atto in modo da garantire costantemente la tutela e la sicurezza dell'anziano e la qualità del servizio. 3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio? Parma da sempre si è distinta per aver svolto un ruolo di primo piano, nel panorama nazionale, nel proporre assetti territoriali di intervento nel settore delle Case Famiglia. Una tematica complessa, frutto di numerosi dibattiti nello scenario politico della città, ma anche così nuova e inesplorata, non tanto in termini di prestazioni erogate ma in termini di impatto sulla comunità locale. In passato non sono mancati episodi che hanno visto affiorare accuse pesanti nei confronti delle Case Famiglia. Un esempio è la dichiarazione resa dal Segretario Generale Cgil di Parma pubblicata sulle pagine di un giornale locale il 3 luglio dello scorso anno: "assistiamo alla crescita del fai da te nei servizi rivolti agli anziani [...] continuano a spuntare case famiglia con offerte, a detta dei nuovi imprenditori, pari alle "residenze assistite". Eppure noi sappiamo bene che queste strutture sono fuori dal sistema di assistenza, non hanno regole (tranne un timido regolamento del Comune di Parma). Insomma ancora una volta si è scoperto che gli anziani possono diventare un business anche facendo leva sull'attuale difficoltà delle famiglie a sostenere costi e a trovare risposte immediate"77. 77 www.gazzettadiparma.it 52 Una dura affermazione che fa ben comprendere quali siano ancora i nodi da sciogliere all'interno del dibattito nel panorama politico e sociale parmigiano sulle Case Famiglia considerate ancora fuori dal sistema di welfare. Eppure sono tanti i professionisti che con competenza agiscono nel controllo all'interno delle abitazioni che ospitano gli anziani, il lavoro del Comune è un lavoro costante come dimostra una dichiarazione resa nel 2008 dall'Assessore alle Politiche Sociali in occasione di un blitz da parte dei Nas che portò a disporre l'immediata cessazione dell'esercizio dell'attività socio assistenziale di una casa famiglia: "chiudere le strutture che non rispettano i criteri minimi imposti dalla legge per salvaguardare i soggetti che dovrebbero aiutare, serve anche a valorizzare la professionalità di tanti operatori del sociale, pubblici e privati, che fanno i salti mortali per dare un servizio adeguato ai bisogni delle persone. E sono tanti in città"78. Sono tante le persone che considerano queste strutture un'importante risorsa per la città, un vero potenziale sociale da valorizzare e sempre più numerosi anche i cittadini che usufruiscono di questo particolare servizio che, nonostante le critiche, è molto lontano dalla cultura del "fai da te", bensì si tratta di un'attività normata da leggi nazionali e delibere regionali in base alle quali il Comune esercita attività di vigilanza. Come poter trascurare o sottovalutare un aspetto così rilevante? Ciò non esclude l'opportunità di pensare a possibili percorsi evolutivi a livello normativo, a livello burocratico e a livello formativo che si possono tradurre in forme di sensibilizzazione o in azioni volte a favorire il radicamento sul territorio di un'effettiva cultura delle case famiglia, intese come strumento di arricchimento del tessuto sociale e come un'opportunità per accrescere il benessere della comunità. In quest'ottica pensare ad un business delle Case Famiglia per anziani non pregiudica la possibilità di offrire delle risposte concrete e di qualità ai bisogni emergenti. Un sistema mosso dalle logiche del mercato ma, in molti casi in grado di garantire efficacia in termini di benessere per chi riceve le cure e di soddisfazione 78 www.parma.repubblica.it 53 per l'utente. Una formula organizzativa che si inserisce nel pieno del mercato di servizi alla persona riuscendo a valorizzare anche l'autonoma iniziativa dei privati e a promuovere la diffusione di esperienze innovative per riformare il sistema dei servizi. Includere le Case Famiglia nella rete dei servizi, prevedendo in futuro l'ipotesi di un possibile accreditamento, potrebbe risultare un ulteriore passo verso modalità operative più dirette con l'Ente Pubblico e verso una nuova stagione di rapporti, di reciproco riconoscimento di ruoli e collaborazione tra le parti. 3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia La città di Parma, in linea con il trend registrato nel resto d'Italia, negli ultimi dieci anni ha assistito ad un aumento della popolazione anziana che, al 2012 contava 41.315 anziani con sessantacinque anni e più (di questi oltre la metà sono donne), su una popolazione totale di 175.842 residenti79. Parallelamente è cresciuta la domanda di servizi alla persona che si esprime solo limitatamente in contesti residenziali o semiresidenziali di natura privata, riscontrando una netta prevalenza di richieste di intervento pubblico. Dai dati istituzionali non emergono particolari informazioni circa le risposte ai bisogni di cura della popolazione anziana fornite dalle Case Famiglia, le quali, ancora oggi, restano escluse dalle rilevazioni e dalle documentazioni sui presidi socio assistenziali. Vi è una carenza di informazioni e dati quantitativi sul tema che non permette di avere un quadro sintetico e globale né a livello nazionale, né a livello regionale, sulla diffusione di queste strutture, sul loro utilizzo e sulla tipologia di ospiti accolti. La progressiva espansione di queste strutture necessiterebbe di un'analisi approfondita sul fenomeno con il proposito di raccogliere indicazioni utili ai fini della programmazione sociale e dati necessari per monitorare al meglio i bisogni dell'anziano in Casa Famiglia, in vista anche di un futuro possibile aumento della richiesta di questo servizio. Grazie alle informazioni raccolte dagli archivi del Comune di Parma- all'interno della Struttura Operativa Anziani- è stato possibile elaborare una serie di dati sulla 79 Dati Istat registrati al 1° Gennaio 2012. 54 composizione per sesso, età e luogo di provenienza di tutti gli ospiti accolti. Ciò ha consentito di formulare un quadro sintetico e generale sulle principali caratteristiche degli anziani assistiti nelle Case Famiglia di Parma, seppur in riferimento ad una dimensione territoriale molto ristretta rispetto al panorama nazionale. Al 22 aprile 2013 risultavano iscritte all'elenco comunale 20 Case Famiglia, la cui titolarità è interamente in carico a soggetti privati profit. Come si evince dalla tabella 3, la gestione delle strutture è affidata, nella quasi totalità dei casi, a cooperative sociali (80%), mentre per una porzione ristretta di gestori la scelta della forma giuridica da adottare ricade sull'associazione o sull'impresa individuale (vedi paragrafi 2.2.2 e 2.2.3). Tabella 3. Tipologie di forme giuridiche delle Case Famiglia Natura Natura Giuridica Giuridica della Casa Famiglia del Gestore Profit Cooperative Sociali 80% Associazioni 10% Imprese Individuali 10% All'interno di queste abitazioni vengono ospitati in tutto 101 anziani80, di cui 82 donne e 19 uomini. Molto sbilanciato il rapporto tra i generi: la componente femminile risulta prevale su quella maschile, costituendo oltre l'80% dell'intero collettivo (vedi grafico 1). Le donne vivono di fatto più a lungo e spesso hanno una rete familiare già rarefatta (per la morte del coniuge). Motivi questi, che facilitano la richiesta di un servizio residenziale. 80 Dato aggiornato al 31 aprile 2013. 55 Grafico 1 Anziani assistiti in Casa Famiglia per sesso 120 100 80 FEMMINE 60 MASCHI 40 TOTALE 20 Un altro elemento0analizzato per descrivere la composizione della popolazione Femmine ospitata in Casa Famiglia è l'età. Il Maschi primo datoTotale che emerge è l'esistenza di una porzione molto elevata di persone "molto anziane" (vedi grafico 2). Oltre l'80% degli anziani ha più di ottant'anni. L'età media calcolata, per entrambi i sessi, è pari a 88 anni. Dal grafico si desume che la maggiore età è indicatore della propensione all'ingresso in Casa Famiglia, si hanno infatti 24 anziani con età compresa tra 76 e 85 anni, 54 anziani compresi nella fascia d'età tra 86 e 95 anni (fascia d'età col più alto numero di anziani), ben 17 anziani hanno più di 96 anni, mentre un numero ridotto di anziani ha un' età relativamente più giovane, compresa tra 64 e 75 anni. Grafico 2 Anziani assistiti in Casa Famiglia per classe d'età 60 50 40 da 64 a 75 anni da 76 a 85 anni 30 da 86 a 95 anni 20 96 e più anni 10 0 Femmine 56 Maschi TOTALE Un ultimo aspetto di cui si è tenuto conto nel processo di elaborazione dei dati interessa il luogo di provenienza degli anziani che vivono stabilmente in Casa Famiglia. Come sappiamo, contrariamente a quanto avviene per le strutture gestite dagli Enti pubblici, dove la residenza nel comune di riferimento è requisito fondamentale per godere di un servizio, la Casa Famigli accoglie anche anziani non residenti. Ciò favorisce la domanda di assistenza da parte di quelle famiglie che vivono nei comuni limitrofi, consentendo loro di avere il proprio parente anziano vicino. Vi è infatti un buon 17,80% di ospiti non residenti a Parma. (vedi grafico 3). Grafico 3 Purtroppo i dati disponibili non contenevano informazioni sullo stato civile degli ospiti e sulla situazione familiare che ha preceduto l'ingresso in struttura (numero di figli, condizione lavorativa). L'unico dato certo è che gli ospiti delle Case Famiglia non sono anziani soli e quindi privi di appoggi familiari, ma sono anziani i cui familiari, pur essendo presenti, incontrano difficoltà logistiche, organizzative o di altro tipo che rendono troppo oneroso il compito di assistenza. Del resto il 90% delle richieste che arrivano ai gestori provengono dalle famiglie. 3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati Il paragrafo contiene i risultati di una serie di interviste realizzate presso sei Case Famiglia per anziani del Comune di Parma, e somministrate ai relativi gestori 57 o rappresentanti legali, con l'obiettivo di conoscere gli attuali scenari e il contesto in cui esse si collocano. La scelta dei gestori da intervistare è avvenuta in maniera casuale attingendo dall'elenco pubblico del Comune. I dati raccolti hanno consentito di delineare un quadro d'insieme dell'organizzazione e della gestione di queste strutture e conoscere a fondo il punto di vista di chi le gestisce. Risposte inevitabilmente legate al quadro di riferimento dell'intervistato, secondo la prospettiva dettata dal ruolo che egli ricopre. Tuttavia, alcuni temi comuni emergono con una certa chiarezza. L'idea di base è formulare delle metodiche assistenziali alternative attraverso un'adeguata lettura dei bisogni. Le interviste si sono incentrate su sei principali aree tematiche: Caratteristiche del gestore, la richiesta del servizio e il suo utilizzo, caratteristiche dell'ospite, personale coinvolto, prestazioni e servizi, informazione e pubblicità. 1. CARATTERISTICHE DEL GESTORE "È più facile aprire una casa famiglia che un bar; il procedimento burocratico è semplicissimo e veloce, l'idea è nata da una lunga esperienza nel settore dell'assistenza agli anziani" Ecco alcune delle espressioni utilizzate più frequentemente per spiegare i motivi che hanno spinto i vari gestori ad avviare le loro attività. Chi decide di aprire una Casa Famiglia ha già lavorato nel settore dell'assistenza, molte case famiglia nascono da anni di esperienza all'interno di cooperative sociali o associazioni di volontariato per poi arrivare a destinare parte del proprio lavoro alla gestione di locali (civili abitazioni nella maggior parte dei casi in affitto) idonei a svolgere attività di assistenza agli anziani. In altri casi, i soggetti intervistati hanno deciso di costituire delle associazioni o cooperative proprio con lo scopo di dare vita a delle case famiglia, determinando la scelta da parte dei soci di: "sporcarsi le mani in prima persona collaborando nella gestione pratica della struttura". 58 Secondo la normativa vigente, non sono previsti particolari requisiti o titoli per i soggetti che intendono avviare l'attività commerciale in essere, come affermano gli stessi gestori: "chiunque può aprire una casa famiglia". Un altro aspetto, questo, a vantaggio dei gestori che, nell'esercizio della loro attività, seppur non godono di nessun finanziamento o forma di convenzione con l'Ente pubblico, si trovano a dover affrontare un iter amministrativo e burocratico estremamente semplificato. 2. LA RICHIESTA DEL SERVIZIO E IL SUO UTILIZZO La richiesta di accesso in casa famiglia arriva dalle famiglie o dall'anziano in prima persona? A questa domanda gli intervistati hanno dato una risposta comune: "La decisione di ricorrere alla casa famiglia è in ogni caso una decisione condivisa con l'anziano, ma la richiesta viene sollecitata il più delle volte dalla famiglia della persona assistita. Raramente è l'anziano a contattare la struttura chiedendo informazioni specifiche sul servizio". La domanda nasce dalla presenza di un insieme di bisogni sociali e assistenziali a cui le famiglie non ritengono più di essere in grado di rispondere o che non intendono più sostenere. Secondo la percezione di molti gestori, i principali motivi che spingono le famiglia ad utilizzare il loro servizio, sono: "le famiglie non trovano un supporto nella rete pubblica dei servizi il cui accesso è sempre più selettivo, mancano i posti e le liste di attesa sono troppo lunghe", "l'anziano ha rifiutato più volte la presenza della badante in casa propria". "Negli ultimi due anni le famiglie si sono allontanate dall'uso delle badanti che faticavano a gestire e con le quali si hanno spesso esperienze negative, preferendo altre soluzioni". 59 In effetti la spesa media mensile sostenuta dalle famiglie che assumono una badante regolarmente è molto elevata. Inoltre, la presenza del riposo giornaliero e settimanale, la concessione di ferie e permessi spingono le famiglie a cercare soluzioni alternative che garantiscano una copertura completa, per tutto l'anno. Per queste ragioni la Casa Famiglia si pone come la giusta soluzione intermedia per accogliere anziani che, come emerge da una particolare affermazione: "non possono essere inseriti in struttura, ma non possono nemmeno stare a casa propria a causa del bisogno di assistenza continua" La Casa Famiglia, come è emerso dalle risposte date dai gestori, non sempre è la soluzione definitiva per l'anziano, essa può rappresentare anche una soluzione temporanea, ad esempio nei casi in cui l'anziano sia in attesa di entrare in una struttura residenziale pubblica. Le richieste di sistemazioni provvisorie sono più frequenti nei mesi estivi, mentre in nessun caso vengono accettate richieste di accoglienza diurna. Secondo il punto di vista di molti gestori: "la casa famiglia non dovrebbe essere un posto transitorio, sarebbe controproducente rompere gli equilibri creati". Per l'ospite che vive stabilmente nella Casa Famiglia, trattandosi di struttura privata (e non di domicilio privato), è prevista l'apertura della convivenza anagrafica81 che permette di conoscere le persone che convivono nell'abitazione, consentendo comunque, all'ospite di mantenere la residenza presso il Comune di riferimento. Un ultimo aspetto emerso dalle testimonianze dei gestori riguarda il costituirsi di liste di attesa per l'ingresso in Casa Famiglia. Un dato inaspettato per questa tipologia di struttura ma, a quanto pare, esistente: 81 L'articolo 5 del DPR 223/1989 stabilisce: agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune. 60 "è capitato di dover gestire delle liste di attesa, dover quindi, valutare diverse richieste giunte in casa famiglia. In ogni caso si predilige l'ordine di bisogno tenendo conto di criteri di priorità temporali solo se i casi sono paragonabili." 3. CARATTERISTICHE DELL'OSPITE Il livello di autosufficienza degli ospiti, quale condizione fondamentale per accedere in Casa Famiglia (riconosciuto dal servizio sanitario), è una delle caratteristiche più attentamente seguite in quanto la tipologia di autosufficienza determina lo sviluppo del lavoro e della proposta dei servizi della struttura che devono essere impostati in funzione delle caratteristiche degli ospiti. I parametri dei servizi forniti dalla Casa Famiglia non sono compatibili con la condizione di non autosufficienza perciò, se si dovesse valutare un peggioramento delle condizioni di salute dell'ospite, il gestore è tenuto ad informare i familiari, consigliando di rivolgersi ai Servizi Sociali Territoriali, al fine di procedere con le dimissioni dell'ospite e trovare una soluzione alternativa. Rispetto al tema dell'autosufficienza, molti gestori ritengono che vi sia: "una carenza nelle Linee Guida riguardo alla definizione del concetto di autonomia e autosufficienza". I rapporti familiari e con il contesto sociale più ampio sono un altro aspetto trattato all'interno dell'intervista e condiviso con i gestori. L'anziano in Casa Famiglia mantiene costanti i rapporti con i propri familiari, che possono andarlo a trovare in ogni momento della giornata (la struttura in alcuni casi suggerisce degli orari in modo da rispettare le esigenze organizzative tipiche di una struttura comunitaria), ma anche con il territorio attraverso uscite o passeggiate nel quartiere in totale autonomia . Rispetto a quest'ultimo punto qualche gestore aggiunge: "la nostra struttura prevede un'autorizzazione da parte dei familiari che si fanno carico di ogni responsabilità nei casi di uscite esterne dell'anziano". 61 Per quanto è possibile, i gestori fanno in modo che gli anziani mantengano all'interno della struttura le loro abitudini consentendo di avere il massimo dell'autonomia fisica e sociale. L'anziano è libero di muoversi entro e fuori dalla casa. Rimangono però rigidi gli orari dei pasti. Secondo i gestori, "assicurare un contesto che salvaguardi l'indipendenza dell'ospite, evitando l'isolamento e stimolando interessi, contribuisce a non far vivere all'anziano quel processo di spersonalizzazione tipico di quelle strutture che ospitano un numero elevato di utenti". e aggiungono: "confrontarsi con un numero ristretto di persone aiuta l'anziano a sentirsi come in una famiglia, mentre in un contesto più ampio l'anziano rischia di diventare un numero ed è anche maggiore il rischio di rapportarsi con la malattia". Proprio per la sua particolare organizzazione, la Casa Famiglia prevede lo svolgimento di attività quotidiane (di animazione, gioco, giardinaggio, collaborazione in cucina), nel rispetto delle abitudini di vita dell'ospite, tipiche di un contesto familiare. Emerge, invece una certa difficoltà da parte dei gestori, ad organizzare attività esterne, come passeggiate in gruppo, visite ai parchi o ai musei della città. Quando si è chiesto ai gestori di indicare eventuali attività esterne realizzate, in molti hanno risposto: "le uniche attività esterne vengono garantite grazie ad un servizio di trasporto che ci permette di accompagnare gli ospiti per soddisfare ogni tipo di necessità, possono essere accompagnati in chiesa, dal parrucchiere, in ospedale ecc.". 4. PERSONALE COINVOLTO All'interno della Casa Famiglia opera personale professionalmente preparato e formato attraverso esperienze lavorative maturate nel settore dell'assistenza o in possesso di specifiche qualifiche82. 82 Come previsto dall'articolo 5 della DGR 564/2000, in Appendice A/2, p.78. 62 "Come previsto dalle stesse Linee Guida del Comune, tutto il personale ha una lunga esperienza nell'assistenza agli anziani, come badante o altro" afferma un gestore. Solitamente viene impiegato un infermiere libero professionista che assicura una presenza giornaliera nella preparazione e somministrazione della terapia e collabora con il medico curante segnalandogli eventuali variazioni sullo stato di salute di ciascun ospite. L'assistenza infermieristica ed eventuali altre prestazioni fornite dalle diverse figure sanitarie di base (fisioterapista, tecnico della riabilitazione), messe a disposizione dalla struttura sono comprese nella retta mensile. Tutti gli ospiti sono sottoposti a visita specialistica geriatrica all'ingresso e periodicamente, mentre l'assistenza medico generica è data ad ognuno dal proprio medico di base che può partecipare alla stesura del piano assistenziale e all'aggiornamento della cartella socio assistenziale. Per molti gestori questo è un aspetto molto importante "per il bene dell'anziano e in virtù del rapporto di fiducia creato negli anni con il proprio medico". Ma le figure più a diretto contatto con gli anziani, che si occupano materialmente della soddisfazione delle loro necessità, sono le operatrici assistenziali che assicurano una presenza continuativa nelle 24 ore (organizzata su turni). Esse coordinano le attività e collaborano nella gestione della casa. In molte Case Famiglia si tratta di semplici collaboratrici dal cui curriculum professionale si evince un'esperienza pluriennale (la normativa prevede almeno un anno di esperienza) nell'ambito dell'assistenza a persone anziane autosufficienti e valutate anche in base alla capacità e attitudine a sostenere l'anziano. Sono altrettanto numerose le Case Famiglia che si affidano a personale con qualifica di OSS o di Assistente di Base. La loro attività è tesa ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni primari di assistenza e di igiene personale, collaborano ad attività finalizzate al mantenimento delle capacità psicofisiche residue, favoriscono l'autonomia del soggetto attraverso l'erogazione dell'aiuto domestico, 63 la fornitura dei pasti e della biancheria, l'aiuto nella deambulazione e nella somministrazione dei farmaci. Infine, ciascuna Casa Famiglia può avvalersi della disponibilità di volontari occasionali e di una figura qualificata in attività di animazione al fine di favorire la socializzazione e il mantenimento di capacità cognitive e manuali. 5. SERVIZI E PRESTAZIONI Tutte le prestazioni assistenziali, infermieristiche, sanitarie e di socializzazione svolte all'interno del contesto comunitario della Casa Famiglia sono volte a mantenere le capacità residue dell'anziano, a prevenire eventuali rischi e ad alleviare lo stato di dipendenza. Ciascuna sceglie autonomamente la tipologia di prestazioni o servizi che intende erogare e se attivare o meno delle prestazioni extra, non comprese nella retta. Sono prestazioni comuni a tutte le case famiglia che rientrano nelle attività di bassa intensità assistenziale previste per queste strutture: prestazioni di tipo domestico:aiuto nell'igiene personale, nella vestizione; prestazioni di tipo alberghiero: vitto, alloggio, servizi di biancheria e lavanderia; assistenza diurna e notturna; assistenza infermieristica professionale: interventi infermieristici tecnici, iniezioni e prelievi, medicazioni e altro; attività di socializzazione e di stimolazione psicosociale; servizio di ristorazione (nel rispetto di eventuali diete personalizzate). A discrezione del gestore possono essere garantiti servizi aggiuntivi di trasporto, di accompagnamento a visite specialistiche, di assistenza psicologica. Vi sono Case Famiglia che, in casi particolari, prevedono interventi di assistenza domiciliare83 organizzati dalle AUSL e attivati dal medico di base. 83 Vedi articolo 15, Legge 328 del 2000 in Appendice A/1, p.70. 64 Per garantire la qualità delle prestazioni e dei servizi sopra elencati è indispensabile scegliere il posto adatto ossia un'abitazione dotata di locali disposti e arredati in modo da favorire un facile utilizzo, un'ampia sala comune e servizi igienici dotati di tutti gli ausili necessari per gli ospiti con difficoltà motorie. Gli stessi gestori hanno definito le loro case famiglia "un nido", ossia un luogo confortevole e sicuro. Tutte le informazioni sull'accesso alle prestazioni e alle modalità di erogazione sono contenute nella Carta dei Servizi in possesso della Casa Famiglia, strumento imprescindibile per assicurare la qualità del servizio ma non solo. Essa è un'occasione di coinvolgimento degli utenti in cui possono essere confrontati i principi cui si ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli strumenti in caso di mancato rispetto. Le Carte dei Servizi illustrate dai soggetti intervistati dimostrano che non sempre esse rispettano i requisiti previsti dalla Legge 328 del 2000, mancando di alcuni contenuti fondamentali. Diventa dunque, doveroso per le istituzioni far acquisire a chi gestisce queste strutture la consapevolezza che la carta dei servizi non rappresenta un mero adempimento normativo, ma uno strumento di crescita organizzativa e una possibilità di miglioramento. 6. INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ Il canale informale, di segnalazioni di amici e conoscenti, si rivela decisivo per orientarsi su questo particolare mercato ed anche più gratificante per i gestori le cui strutture hanno sempre posti pieni. Dopotutto l'immagine della struttura dipende in larga misura dal passaparola dei clienti e dei familiari. Esiste poi un canale pubblicitario, ossia un'azione di informazione che le stesse case famiglia conducono tramite manifesti, pubblicazioni sui giornali locali, attività di volantinaggio per attirare l'utenza presso il proprio servizio. Spesso sono i Servizi Sociali dell'ospedale o del quartiere ad informare l'utenza sulla possibilità di adottare una simile soluzione nei casi di richieste urgenti per le quali non si riescono a fornire delle risposte immediate. 65 Conclusioni Le significative trasformazioni demografiche e i cambiamenti delle politiche socio assistenziali nel rispondere alla nuova domanda di cura della popolazione anziana, comportano inevitabilmente degli effetti sulla sfera economico sociale e sulle scelte di natura istituzionale. La riflessione sul tema delle Case Famiglia per anziani è scaturita proprio dall'analisi dei più significativi fattori politici, finanziari ed organizzativi che hanno accompagnato il processo di espansione del tradizionale sistema di cura e lo sviluppo di servizi alternativi. Il forte periodo di crisi delle politiche assistenziali infatti, non ha avuto come esito la riduzione dei servizi esistenti, bensì la promozione di un sistema di offerta privato in grado di rispondere ai bisogni emergenti senza gravare sulle spese delle amministrazioni pubbliche e dando vita a servizi sempre più diversificati e personalizzati. Di fatto, se la popolazione cresce, crescono anche i bisogni e i modelli di welfare devono necessariamente evolversi, non solo attraverso strategie di intervento che potenzino i servizi esistenti, ma anche favorendo nuove forme di assistenza e, le Case Famiglia ne sono un esempio concreto. Per conoscere a fondo la realtà storica e sociale entro la quale si collocano le Case Famiglia, si è posta l'attenzione sui comportamenti che hanno caratterizzato la scelta di molte famiglie di affidare il proprio parente anziano ad una struttura residenziale di questo tipo. Sicuramente la gran parte delle richieste si orienta, ancora oggi, verso soluzioni residenziali classiche (casa protetta, RSA, ecc.) soprattutto se si tratta di anziani non autosufficienti, ma con il nascere delle Case Famiglia, le scelte vengono dirottate su soluzioni nuove, capaci di fornire un sostegno concreto e rivolte ad anziani con un'età elevata, ma che conservano un sufficiente livello di autonomia. In quest'ottica si è visto come, soprattutto in alcune città, si sia posta l' attenzione sulla necessità di sostenere l'avvio di queste azioni sperimentali e di attivare iniziative volte ad una maggiore conoscenza del funzionamento di una Casa Famiglia nonché alla sensibilizzazione dell'anziano verso le opportunità presenti sul territorio. 66 Come più volte si è voluto sottolineare, le Case Famiglia per anziani si sono sviluppate in contesti territoriali limitati, rimanendo in molte zone del Paese completamente sconosciute. Parma si è distinta per essere stata la prima città d'Italia ad aver introdotto, nel rispetto della normativa nazionale e regionale, delle Linee Guida che disciplinano il funzionamento di queste particolari strutture e stabiliscono gli standard per le funzioni di vigilanza da parte del Comune. Scopo delle Linee Guida è tutelare gli anziani e le famiglie che intendono avvalersi di tali servizi, valorizzare e promuovere la diversificazione dell'offerta assistenziale e fornire ai soggetti interessati un utile strumento per il corretto esercizio dell'attività di controllo. Una disciplina che per alcuni aspetti colma il vuoto legislativo presente a livello nazionale e "rimedia" alla carenza di informazioni in materia. Visto il consistente numero di Case Famiglia, per il Comune di Parma è risultato particolarmente utile e qualificante realizzare una politica sociale orientata ad incentivare la crescita di queste strutture, attraverso l'adozione di scelte politiche volte ad attribuire una certa rilevanza sociale a questi organismi, mentre in molte zone d'Italia non si è ancora diffusa una vera e propria cultura della Casa Famiglia per anziani. "Una realtà tutta parmigiana" potremmo dire. Al fine di comprenderne meglio il funzionamento e l'organizzazione, in assenza di ricerche empiriche sull'argomento, sono state raccolte una serie di informazioni tratte dalle dichiarazioni dei gestori che hanno rappresentato un'occasione di ulteriore conoscenza e riflessione sulla fattispecie. Le considerazioni raccolte hanno permesso di formulare eventuali ipotesi di sviluppo future e mettere in evidenza possibili elementi da potenziare, come ad esempio, migliorare il grado di conoscenza dell'offerta di servizi proposta e pensare ad una normativa che attribuisca a queste strutture maggiore legittimità istituzionale. Poiché la normativa in questo campo è abbastanza recente, le Case Famiglia presentano articolazioni diversificate rispetto alle modalità organizzative, alla tipologia di servizi erogati, alla formazione prevista per il personale. Viene lasciata, ad esempio, ampia autonomia a ciascun gestore di adottare le scelte ritenute più idonee in merito alla formazione del personale difatti, molte operatrici sono delle semplici assistenti (con esperienza) e in pochi casi hanno delle qualifiche specifiche. Assicurare la formazione professionale degli operatori 67 significa qualificare la struttura, non solo per esigenze di legge ma per le responsabilità dell'organizzazione legate alle prestazioni erogate. Aggiornamento e conoscenze sull'evoluzioni legislative nel settore dell'assistenza agli anziani sono fondamentali per un operatore sociale perciò, sarebbe auspicabile che tale aspetto venisse potenziato attraverso l'intervento delle istituzioni aventi il dovere di porre maggiore attenzione nel progettare iniziative di formazione o sollecitare i gestori a delineare un percorso formativo per il personale impiegato anche se questo richiede tempo e fondi economici. Allo stesso modo è importante per i gestori, sollecitare la previsione di incontri d'equipe interni alla struttura in cui evidenziare eventuali problematiche sorte, discutere su azioni di miglioramento e correttive, definire obiettivi, strumenti, stabilire quali soggetti coinvolgere, quali gli interventi da realizzare al fine di garantire l'efficacia e l'efficienza del servizio. A questo aggiungerei la necessità di pensare a percorsi innovativi di formazione congiunta con i soggetti istituzionali per delineare un percorso comune e condiviso dal momento che spesso i diversi soggetti (gestori, AUSL, comune) perseguono obiettivi diversi. Se da un alto l'iniziativa dei privati e il loro coinvolgimento nella rete dei servizi è fondamentale per uno sviluppo del welfare, dall'altro, se questa risulta inadeguata, lo Stato e gli Enti territoriali hanno l'obbligo di intervenire, attraverso controlli e verifiche rigorosi. Per evitare che tali controlli vengano percepiti dai gestori come un "ostacolo" alla loro attività è fondamentale che le politiche pubbliche tentino di promuovere patti e contribuire alla mediazione affinché si crei un equilibrio tra responsabilità pubbliche e responsabilità dei soggetti privati. Sono gli stessi gestori che spesso denunciano l'assenza di un contesto collaborativo con le istituzioni e la mancata previsione di momenti d'incontro/confronto tra tutte le Case Famiglia in grado di favorire lo sviluppo di un lavoro condiviso. Ecco per quale motivo, pensare alla possibilità di prevedere un sistema di accreditamento per le Case Famiglia, così come è emerso nell'intervista al Commissario UNEBA, porterebbe all'attribuzione di una maggiore rilevanza sociale ed istituzionale di queste strutture e, a parer mio, sarebbe un'opportunità per una piena affermazione di una cultura civica dell'accoglienza in Casa Famiglia. 68 Sarebbe opportuno sperimentare un percorso che tenti di arrivare ad un sistema di valutazione condiviso tra i soggetti coinvolti, in grado di fornire riferimenti rispetto alle caratteristiche che ogni Casa Famiglia deve avere. Ciò è possibile agendo sulla formazione dei gestori e di tutti gli operatori in generale, attraverso lo sviluppo delle competenze, sulla formulazione di valide Carte dei Servizi e su un maggiore controllo rispetto alla fissazione delle tariffe da parte dei gestori. L'accreditamento consentirebbe inoltre, di inserire pienamente nella rete dei servizi le Case Famiglia quali soggetti attivi nella progettazione e realizzazione concreta degli interventi ed evitare che esse vengano ancora descritte come "servizi fai da te, fuori dal sistema di welfare". La Casa Famiglia non può infatti, essere considerata come una risorsa per il territorio fine a se stessa ma è una risorsa che va inserita all'interno di un circuito, allo scopo di garantire unitarietà e integrazione agli interventi realizzati o che si intendono realizzare. Ci si può attendere che nei prossimi anni vi sia una maggiore diffusione di questi servizi e un aumento delle richieste in vista delle future sfide da affrontare, prima fra tutte la capacità di adattamento sociale, economico e culturale alle modifiche strutturali che il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione comporta. 69 70 Appendice Appendice A Questa appendice riporta alcuni estratti delle disposizioni di legge di maggiore interesse in tema di strutture residenziali e sviluppo del privato sociale. Sono state tralasciate le parti non rilevanti delle normative. 1) Legge 8 novembre 2000, n. 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali Capo I PRINCÌPI GENERALI DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Art. 1. Principi generali e finalità 1. La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. 3. La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali. 4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. 5. Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata. 6. La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1. Art. 5. Ruolo del terzo settore 1. Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche 71 attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai fondi dell'Unione europea. 2. Ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla presente legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 11, promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale. 3. Le regioni, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 4, e sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità previste dall'articolo 8, comma 2, della presente legge, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. 4. Le regioni disciplinano altresì, sulla base dei principi della presente legge e degli indirizzi assunti con le modalità previste al comma 3, le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi. Capo II ASSETTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Art. 6. Funzioni dei comuni 1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano 72 territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, secondo le modalità stabilite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, come da ultimo modificata dalla legge 3 agosto 1999, n. 265. 2. Ai comuni, oltre ai compiti già trasferiti a norma del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, ed alle funzioni attribuite ai sensi dell'articolo 132, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, spetta, nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19 e secondo la disciplina adottata dalle regioni, l'esercizio delle seguenti attività: a) programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali, con il coinvolgimento dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5; b) erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche diverse da quelle disciplinate dall'articolo 22, e dei titoli di cui all'articolo 17, nonché delle attività assistenziali già di competenza delle province, con le modalità stabilite dalla legge regionale di cui all'articolo 8, comma 5; c) autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, secondo quanto stabilito ai sensi degli articoli 8, comma 3, lettera f), e 9, comma 1, lettera c); d) partecipazione al procedimento per l'individuazione degli ambiti territoriali, di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a); e) definizione dei parametri di valutazione delle condizioni di cui all'articolo 2, comma 3, ai fini della determinazione dell'accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi. 3. Nell'esercizio delle funzioni di cui ai commi 1 e 2 i comuni provvedono a: a) promuovere, nell'ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell'ambito della vita comunitaria; b) coordinare programmi e attività degli enti che operano nell'ambito di competenza, secondo le modalità fissate dalla regione, tramite collegamenti operativi tra i servizi che realizzano attività volte all'integrazione sociale ed intese con le aziende unità sanitarie locali per le attività socio-sanitarie e per i piani di zona; c) adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare l'efficienza, l'efficacia ed i risultati delle prestazioni, in base alla programmazione di cui al comma 2, lettera a); d) effettuare forme di consultazione dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 5 e 6, per valutare la qualità e l'efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi; e) garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste dagli statuti comunali. 4. Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica. Art. 8. Funzioni delle regioni 1. Le regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l'integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all'attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria di cui all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419. 2. Allo scopo di garantire il costante adeguamento alle esigenze delle comunità locali, le regioni programmano gli interventi sociali secondo le indicazioni di cui all'articolo 3, commi 2 e 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, promuovendo, nell'ambito delle rispettive competenze, modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione. Le regioni provvedono altresì alla consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, e 10 della presente legge. 3. Alle regioni, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, spetta in particolare l'esercizio delle seguenti funzioni: a) determinazione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tramite le forme di concertazione con gli enti locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Nella determinazione degli ambiti territoriali, le regioni prevedono incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie, destinando allo scopo una quota delle complessive risorse regionali destinate agli interventi previsti dalla presente legge; b) definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni; c) promozione e coordinamento delle azioni di assistenza tecnica per la istituzione e la gestione degli interventi sociali da parte degli enti locali; d) promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo; e) promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare 73 l'efficacia e l'efficienza dei servizi ed i risultati delle azioni previste; f) definizione, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, dei criteri per l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 4 e 5; g) istituzione, secondo le modalità definite con legge regionale, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, di registri dei soggetti autorizzati all'esercizio delle attività disciplinate dalla presente legge; h) definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per la erogazione delle prestazioni; i) definizione dei criteri per la concessione dei titoli di cui all'articolo 17 da parte dei comuni, secondo i criteri generali adottati in sede nazionale; l) definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, sulla base dei criteri determinati ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera g); m) predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto alle attività sociali; n) determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; o) esercizio dei poteri sostitutivi, secondo le modalità indicate dalla legge regionale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nei confronti degli enti locali inadempienti rispetto a quanto stabilito dagli articoli 6, comma 2, lettere a), b) e c), e 19. 4. Fermi restando i principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le regioni disciplinano le procedure amministrative, le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali e l'eventuale istituzione di uffici di tutela degli utenti stessi che assicurino adeguate forme di indipendenza nei confronti degli enti erogatori. 74 Art. 9. Funzioni dello Stato 1. Allo Stato spetta l'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti aspetti: a) determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali di cui all'articolo 18; b) individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia assistenziale, svolte per minori ed adulti dal Ministero della giustizia, all'interno del settore penale; c) fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni; d) determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali, nonché dei requisiti di accesso e di durata dei percorsi formativi; e) esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle regioni, ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dell'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; f) ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali secondo i criteri stabiliti dall'articolo 20, comma 7. Art. 11. Autorizzazione e accreditamento 1. I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 2. I requisiti minimi nazionali trovano immediata applicazione per servizi e strutture di nuova istituzione; per i servizi e le strutture operanti alla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni provvedono a concedere autorizzazioni provvisorie, prevedendo l'adeguamento ai requisiti regionali e nazionali nel termine stabilito da ciascuna regione e in ogni caso non oltre il termine di cinque anni. 3. I Comuni provvedono all'accreditamento, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera c), e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell'ambito della programmazione regionale e locale sulla base delle determinazioni di cui all'articolo 8, comma 3, lettera n). 4. Le regioni, nell'ambito degli indirizzi definiti dal Piano nazionale ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera e), disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei comuni ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi, per un periodo massimo di tre anni, in deroga ai requisiti di cui al comma 1. Le regioni, con il medesimo provvedimento di cui al comma 1, definiscono gli strumenti per la verifica dei risultati. Art. 13. Carta dei servizi sociali 1. Al fine di tutelare le posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di riferimento della carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti. 2. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi. 3. L'adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali costituisce requisito necessario ai fini dell'accreditamento. Capo III DISPOSIZIONI PER LA REALIZZAZIONE DI PARTICOLARI INTERVENTI DI INTEGRAZIONE E SOSTEGNO SOCIALE Art. 15. Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti 1. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, per le patologie acute e croniche, particolarmente per i soggetti non autosufficienti, nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della sanità e per le pari opportunità, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, determina annualmente la quota da riservare ai servizi a favore delle persone anziane non autosufficienti, per favorirne l'autonomia e sostenere il nucleo familiare nell'assistenza domiciliare alle persone anziane che ne fanno richiesta. 75 2. Il Ministro per la solidarietà sociale, con il medesimo decreto di cui al comma 1, stabilisce annualmente le modalità di ripartizione dei finanziamenti in base a criteri ponderati per quantità di popolazione, classi di età e incidenza degli anziani, valutando altresì la posizione delle regioni e delle province autonome in rapporto ad indicatori nazionali di non autosufficienza e di reddito. In sede di prima applicazione della presente legge, il decreto di cui al comma 1 è emanato entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. 3. Una quota dei finanziamenti di cui al comma 1 è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a favorire l'autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell'ambiente familiare secondo gli indirizzi indicati dalla presente legge. In sede di prima applicazione della presente legge le risorse individuate ai sensi del comma 1 sono finalizzate al potenziamento delle attività di assistenza domiciliare integrata. 4. Entro il 30 giugno di ogni anno le regioni destinatarie dei finanziamenti di cui al comma 1 trasmettono una relazione al Ministro per la solidarietà sociale e al Ministro della sanità in cui espongono lo stato di attuazione degli interventi e gli obiettivi conseguiti nelle attività svolte ai sensi del presente articolo, formulando anche eventuali proposte per interventi innovativi. Qualora una o più regioni non provvedano all'impegno contabile delle quote di competenza entro i tempi indicati nel riparto di cui al comma 2, il Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede alla rideterminazione dei finanziamenti alle regioni. 76 Capo IV STRUMENTI PER FAVORIRE IL RIORDINO DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Art. 19. Piano di zona 1. I comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, ai sensi dell'articolo 4, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale di cui all'articolo 18, comma 6, a definire il piano di zona, che individua: a) gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione; b) le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità in relazione alle disposizioni regionali adottate ai sensi dell'articolo 8, comma 3, lettera h); c) le forme di rilevazione dei dati nell'ambito del sistema informativo di cui all'articolo 21; d) le modalità per garantire l'integrazione tra servizi e prestazioni; e) le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia; f) le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell'ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità; g) le forme di concertazione con l'azienda unità sanitaria locale e con i soggetti di cui all'articolo 1, comma 4. 2. Il piano di zona, di norma adottato attraverso accordo di programma, ai sensi dell'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, è volto a: a) favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi; b) qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione di cui al comma 1, lettera g); c) definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie locali e degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di particolari obiettivi; d) prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di sviluppo dei servizi. 3. All'accordo di programma di cui al comma 2, per assicurare l'adeguato coordinamento delle risorse umane e finanziarie, partecipano i soggetti pubblici di cui al comma 1 nonché i soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, e all'articolo 10, che attraverso l'accreditamento o specifiche forme di concertazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel piano. Capo V INTERVENTI, SERVIZI ED EMOLUMENTI ECONOMICI DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Art. 22. Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali 1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte. 2. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché le disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale: a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora; b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza; d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative; f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell'articolo 14; realizzazione, per i 77 soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei centri socio-riabilitativi e delle comunitàalloggio di cui all'articolo 10 della citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie; g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio; h) prestazioni integrate di tipo socioeducativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale; i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto. 3. Gli interventi del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui al comma 2, lettera c), sono realizzati, in particolare, secondo le finalità delle leggi 4 maggio 1983, n. 184, 27 maggio 1991, n. 176, 15 febbraio 1996, n. 66, 28 agosto 1997, n. 285, 23 dicembre 1997, n. 451, 3 agosto 1998, n. 296, 31 dicembre 1998, n. 476, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, approvate con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, nonché della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per i minori disabili. Ai fini di cui all'articolo 11 e per favorire la deistituzionalizzazione, i servizi e le strutture a ciclo residenziale destinati all'accoglienza dei minori devono essere organizzati esclusivamente nella forma di strutture comunitarie di tipo familiare. 4. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i 78 modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l'erogazione delle seguenti prestazioni: a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;c) assistenza domiciliare; d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario. 2) DGR 2000 n. 564 Direttiva Regionale per l'autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori, portatori di handicap, anziani e malati di AIDS, in attuazione della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 PARTE I. DISPOSIZIONI GENERALI 1. AMBITO DI APPLICAZIONE La presente direttiva si applica alle strutture che, indipendentemente dalla denominazione dichiarata, offrono servizi rivolti a cittadini che si trovano in difficoltà a maturare, recuperare e mantenere la propria autonomia psicofisica e relazionale, perseguendo la finalità di favorire processi di emancipazione da situazioni di privazione/esclusione. 2. STRUTTURE SOGGETTE ALL'OBBLIGO DI AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO L'obbligo di autorizzazione al funzionamento previsto dall'art. 1 della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 riguarda le strutture già funzionanti alla data di entrata in vigore della presente direttiva e quelle di nuova istituzione, gestite sia da soggetti pubblici che privati che: hanno sede nel territorio regionale; offrono ospitalità di tipo residenziale e semiresidenziale e - indipendentemente dalla denominazione dichiarata rientrano nelle tipologie specifiche indicate nella parte II della presente direttiva ed offrono servizi rivolti a: minori per interventi socio-assistenziali integrativi o sostitutivi della famiglia; cittadini portatori di handicap per interventi socio-assistenziali o sociosanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia della persona e sostegno della famiglia; anziani per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona ed al sostegno della famiglia;cittadini malati di AIDS o con infezione da HIV che necessitano di assistenza continua e risultano privi del necessario supporto familiare, o per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale. 3. STRUTTURE NON SOGGETTE ALL'OBBLIGO DI AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO Non sono soggette all'obbligo di autorizzazione al funzionamento: le strutture con finalità prettamente abitative; le strutture che offrono ospitalità ai soli fini della frequenza a corsi scolastici o di istruzione; le strutture con finalità formative o di inserimento lavorativo; le strutture di cui L.R. 25 ottobre 1997, n. 34 "Delega ai Comuni delle funzioni di controllo e vigilanza sui soggiorni di vacanza per minori"; le strutture con finalità diverse da quelle socio-assistenziali anche se al loro interno sono ospitati soggetti deboli o a rischio di emarginazione; gli appartamenti protetti ed i gruppi appartamento per anziani e disabili, le case famiglia, che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti. Il soggetto gestore di queste strutture è comunque tenuto a comunicare l'avvio di tali attività con le modalità di cui al successivo paragrafo 9.1. Tali strutture, se ospitano minori oggetto di intervento educativoassistenziale collocati fuori dalla famiglia d'origine, devono rispettare i requisiti funzionali. 5. REQUISITI MINIMI FUNZIONALI E STRUTTURALI DI CARATTERE GENERALE Tutte le strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali devono possedere i requisiti minimi funzionali e strutturali previsti dal presente paragrafo e dai paragrafi 5.1 e 5.2. Tali requisiti attengono alla sicurezza degli utenti e degli operatori, nonché alla qualità minima delle prestazioni erogate. Tutte le strutture devono essere in possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza, previsti per le singole tipologie indicate nella II parte della presente direttiva, in relazione alle loro caratteristiche. Tutte le strutture esercitano la propria attività nel rispetto dei principi di cui all'articolo 4 della L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 e di cui all'articolo 188 della L.R. 21 aprile 1999, n. 3. 5.1 REQUISITI COMUNI A TUTTE LE STRUTTURE DAL PUNTO DI VISTA STRUTTURALE Organizzazione degli spazi interni (camere, sale, servizi igienici, ecc.) tale da garantire agli ospiti il massimo di fruibilità e di privacy, con particolare riferimento al mantenimento e sviluppo 79 dei livelli di autonomia individuale;laddove, nei requisiti strutturali minimi indicati nella parte II della presente direttiva, si fa riferimento a locali "adeguati alle modalità organizzative adottate per il servizio", l'adeguatezza va valutata anche tenuto conto delle modalità che il gestore intende adottare per l'erogazione di alcuni servizi, quali ad esempio la lavanderia e la preparazione pasti, per i quali può essere previsto il ricorso a soggetti esterni o comunque con organizzazione esterna alla struttura; adozione di soluzioni architettoniche e suddivisione degli spazi interni che tengano conto delle caratteristiche dell'utenza a cui è destinata la struttura, al fine di garantire la funzionalità delle attività che vi vengono svolte; ubicazione in luoghi abitati e comunque facilmente raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici; ciò al fine di permettere la partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio, nonché la facilità per i visitatori di raggiungere gli ospiti della struttura; per le case di riposo e case protette/RSA: sistema di riscaldamento invernale e di rinfrescamento estivo con possibilità di regolazione differenziata della temperatura per ambiente e di controllo per l'umidità e il ricambio di aria; impianto di luci di sicurezza; per le strutture residenziali: impianto di illuminazione notturna; impianto TV nelle camere; presenza di almeno un telefono pubblico negli spazi comuni. 5.2 REQUISITI COMUNI A TUTTE LE STRUTTURE DAL PUNTO DI VISTA ORGANIZZATIVOFUNZIONALE Deve essere presente un registro degli ospiti costantemente aggiornato; tale registro deve essere mostrato su richiesta ai soggetti che effettuano la vigilanza nonché alle altre autorità competenti; l'utenza ospitata deve presentare caratteristiche omogenee rispetto ai bisogni assistenziali espressi; in caso contrario le necessità assistenziali devono comunque essere tra loro 80 compatibili, anche in relazione alle finalità della struttura ed alle caratteristiche della stessa; la qualità e quantità degli arredi deve essere conforme a quanto in uso nelle civili abitazioni; gli arredi, le attrezzature e gli utensili devono essere curati, esteticamente gradevoli, nonché permettere una idonea funzionalità d'uso e fruibilità in relazione alle caratteristiche dell'utenza ospitata; deve essere garantita agli utenti la possibilità di utilizzare arredi e suppellettili personali, in particolare nelle strutture a carattere residenziale; tale possibilità deve essere esplicitata nella Carta dei Servizi di cui al successivo paragrafo 6.1, con l'indicazione delle relative modalità e limiti; deve essere predisposto per ogni utente un piano individualizzato di assistenza; per le strutture per minori: deve essere predisposto per ogni utente un progetto educativo individuale; le attività devono essere organizzate nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti; deve essere garantita la possibilità - in relazione alle eventuali specifiche esigenze dietetiche degli ospiti - di somministrare pasti personalizzati; deve essere adottato un regolamento o Carta dei servizi della struttura da consegnare a ciascun utente e/o familiare al momento dell'ingresso in struttura; devono essere informati gli utenti e/o parenti - al momento dell'ingresso in struttura - di quanto previsto dalla deliberazione di Giunta regionale n. 477 del 12/04/1999 "Criteri per l'individuazione dei costi per l'assistenza medica generica e per l'assistenza specifica nei servizi semiresidenziali e residenziali per anziani e disabili in possesso dell'autorizzazione al funzionamento prevista dalle norme regionali"; deve essere garantita la possibilità per parenti e conoscenti di effettuare visite agli ospiti della struttura, anche sollecitandone la partecipazione e l'apporto per il miglioramento del servizio; le modalità di visita agli ospiti della struttura, ove si intenda disciplinarle, devono essere contenute nel regolamento o Carta dei servizi di cui al punto precedente; deve essere favorito l'apporto del volontariato presente sul territorio; in ogni struttura deve essere previsto un coordinatore responsabile ed un responsabile delle attività sanitarie ove previste; devono essere rispettati gli obblighi informativi verso Regione e Province relativi all'aggiornamento annuale della banca dati delle strutture di cui al successivo paragrafo 10. 5.2.1 REQUISITI COMUNI RIGUARDANTI IL PERSONALE In considerazione delle modifiche in corso nella normativa nazionale sui profili professionali in area sociale e socio-sanitaria e sui relativi percorsi formativi, le indicazioni espresse su tali ambiti dalla presente direttiva saranno oggetto di successivi aggiornamenti e integrazioni. All'interno di ogni struttura deve operare - in relazione a quanto previsto dalle disposizioni specifiche della Parte II - personale socioassistenziale, socio-sanitario ed educativo, in possesso di adeguata qualificazione ottenuta tramite la frequenza a corsi teorico-pratici, come previsto dalle direttive regionali della formazione in materia e dal presente provvedimento. Nel caso in cui il personale sia sprovvisto di specifica qualificazione deve essere in possesso di un curriculum professionale e formativo adeguato alle funzioni da svolgere, comprensivo di esperienza lavorativa specifica almeno biennale; deve avere inoltre partecipato ad attività formative mirate, salvo quanto previsto nella Parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2.1. Se il personale è sprovvisto di qualifica, al soggetto gestore, ad eccezione dei gestori di strutture per minori, è rilasciata autorizzazione provvisoria al funzionamento con le modalità di cui al successivo paragrafo 6. Il personale addetto alle funzioni socio-assistenziali, socio-sanitarie ed educative è di norma il seguente: educatore professionale in possesso di attestato di abilitazione rilasciato ai sensi del D.M. Sanità 10 febbraio 1984; educatore professionale ai sensi della Direttiva Comunitaria 51/1992, in possesso dell'attestato regionale di qualifica rilasciato al termine di Corso di formazione attuato nell'ambito del progetto APRIS; educatore in possesso di diploma di laurea in Scienze dell'Educazione o in Scienze della Formazione, indirizzo "Educatore professionale extrascolastico"; addetto all'assistenza di base in possesso dell'attestato regionale di qualifica; animatore in possesso dell'attestato regionale di qualifica; responsabile di attività assistenziali in possesso di certificato regionale di specializzazione o di attestato regionale di frequenza; coordinatore responsabile di struttura in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale valutabile dal curriculum posseduto; istruttore per specifiche attività. L'organizzazione del lavoro deve prevedere momenti di lavoro in équipe, programmi annuali di formazione e aggiornamento del personale con indicazione del responsabile, nonché azioni di supervisione da attuare con l'impiego di professionisti esperti. Il personale deve portare ben visibile (ad eccezione di quello delle strutture per minori) un tesserino identificativo rilasciato dal gestore della struttura dove devono essere indicati il nome e la qualifica rivestita. L'utilizzo di volontari ed obiettori di coscienza deve essere preceduto ed accompagnato dalle attività formative ed informative necessarie ad un proficuo inserimento nella struttura, nell'ambito dei progetti d'intervento riferiti ai piani individuali di assistenza o, nel caso di strutture per minori, ai progetti educativi; anche per i volontari e gli obiettori di coscienza vale l'obbligo del tesserino identificativo previsto al capoverso precedente (ad eccezione delle strutture per minori), rilasciato dal gestore della struttura o dall'organizzazione di volontariato se esiste un accordo di collaborazione tra questa e il soggetto gestore. 81 6. PROCEDURA PER IL RILASCIO DELLA AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO L'autorizzazione al funzionamento di cui alla presente direttiva deve essere acquisita prima dell'inizio dell'attività della struttura. A tal fine il legale rappresentante del soggetto gestore presenta apposita domanda al Comune nel cui territorio è ubicata la struttura, secondo il modello a ciò predisposto dalla Regione ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della L.R. n. 34/98, ed allegato alla presente direttiva (allegato 1). Sono altresì soggette a preventiva autorizzazione al funzionamento, secondo le modalità di cui alla presente direttiva, tutte le trasformazioni e/o gli ampliamenti di strutture già autorizzate ai sensi della presente direttiva e delle direttive regionali di cui alle deliberazioni del Consiglio regionale n. 560 del 11/07/1991, n. 2134 del 28/09/1994 e n. 779 del 10/12/1997, che comportino il rilascio di concessione edilizia o che modifichino la capacità ricettiva autorizzata. Sono inoltre soggette a preventiva autorizzazione al funzionamento secondo le modalità sopra indicate, le trasformazioni consistenti nella modifica di tipologia di struttura tra quelle previste nella parte II. Ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della L.R. n. 34/98, per l'attività istruttoria delle domande oggetto della presente direttiva, il Comune si avvale della Commissione di cui al successivo paragrafo 6.2. Il Comune, acquisiti i risultati dell'attività istruttoria e preso atto del parere formulato dalla Commissione di cui al paragrafo 6.2, rilascia l'autorizzazione al funzionamento; in caso di parere negativo, sulla base degli elementi forniti dalla Commissione, indica gli adeguamenti da porre in essere prima dell'inizio dell'attività della struttura. A seguito della comunicazione del legale rappresentante della struttura di avere ottemperato a quanto richiesto, il Comune provvede - attraverso la Commissione alla verifica. In caso di 82 riscontro positivo provvede al rilascio dell'autorizzazione al funzionamento. In casi eccezionali e straordinari, da indicare espressamente nell'atto di autorizzazione, il Comune può autorizzare provvisoriamente una struttura fatto salvo eventuali prescrizioni di interventi edilizi di lieve entità, da effettuarsi entro il termine massimo di 18 mesi non prorogabili, previa acquisizione del parere della Commissione in ordine al fatto che gli interventi prescritti non pregiudicano la sicurezza o l'incolumità degli ospiti o degli operatori, nonché la funzionalità della struttura al servizio per il quale è destinata. I requisiti funzionali ed organizzativi vengono dichiarati nella domanda di autorizzazione al funzionamento nei modi e con le modalità indicate al successivo paragrafo 6.1 "Domanda per il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento". In sede di prima istruttoria - per quanto riguarda i requisiti funzionali ed organizzativi - si effettua il riscontro di quanto dichiarato con quanto previsto dalla presente direttiva; successivamente al rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, e comunque entro e non oltre 90 giorni dal rilascio, il Comune provvede mediante l'apposita Commissione - al sopralluogo per la verifica. In nessun caso possono essere concesse autorizzazioni provvisorie per quanto attiene ai requisiti funzionali ed organizzativi, salvo il caso di oggettiva carenza di personale educativo od addetto all'assistenza di base in possesso dei titoli ed attestati di cui al precedente paragrafo 5.2.1, attestata dalla Amministrazione provinciale competente; in questi casi occorre che per il personale privo di qualifica sia verificato almeno il possesso della necessaria esperienza e capacità professionale, maturata in strutture della stessa od analoga tipologia di quella oggetto di autorizzazione al funzionamento, valutabile dal curriculum posseduto. L'Amministrazione provinciale, nell'attestazione di cui al precedente capoverso, indica i tempi previsti per l'attuazione delle attività formative specifiche, nell'ambito della propria programmazione e tenuto conto della durata dei diversi percorsi formativi. Sulla base dell'attestazione provinciale il Comune fissa i termini dell'autorizzazione provvisoria, previa acquisizione della dichiarazione del legale rappresentante della struttura di impegno ad avviare a formazione o riqualificazione gli operatori interessati nei termini indicati. Per il personale operante nelle strutture per minori valgono le disposizioni specifiche di cui alla Parte II, paragrafo 4.2.1. 6.1 DOMANDA PER IL RILASCIO DELL'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO Alla domanda per il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, compilata sul modello a ciò predisposto dalla Regione ed inoltrata al Comune nel cui territorio è ubicata la struttura, deve essere allegata la seguente documentazione: planimetria quotata dei locali della struttura, con l'indicazione della destinazione d'uso dei singoli ambienti; dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà ai sensi del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403 e della L. 4 gennaio 1968, n. 15, del legale rappresentante del soggetto gestore, attestante che la struttura rispetta la normativa vigente in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza; nella dichiarazione sostitutiva devono essere indicate la data del rilascio e l'autorità emanante dei certificati e degli altri atti amministrativi; si richiama quanto previsto all'art. 26 della L. n. 15 del 1968 in materia di sanzioni, e quanto previsto all'art. 11 del D.P.R. n. 403 del 1998 in materia di controlli sul contenuto delle dichiarazioni sostitutive; per le strutture per minori: copia del progetto educativo generale della struttura che espliciti le metodologie educative che si intendono adottare, il tipo di utenza che si intende ospitare e la fascia d'età a cui ci si rivolge (Parte II "Disposizioni specifiche", paragrafo 4.2); copia del modello di cartella personale in uso presso la struttura; dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante le qualifiche ed il numero del personale previsto per la struttura a regime; la verifica del rispetto di quanto dichiarato sarà effettuata successivamente all'inizio dell'attività con le modalità indicate al precedente paragrafo 6.; dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante il nominativo del coordinatore responsabile e del responsabile delle attività sanitarie ove previste, specificando per quest'ultimo il possesso dei titoli posseduti richiesti dalla legge; nel caso di cambiamenti dei soggetti sopra indicati, è fatto obbligo al legale rappresentante di darne tempestiva comunicazione al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione al funzionamento ed alla Amministrazione provinciale competente, ai fini della tenuta del Registro di cui al successivo paragrafo 8.; dichiarazione a firma del legale rappresentante del soggetto gestore indicante il nominativo del responsabile del servizio protezione e prevenzione ai sensi del D.lgs. 626/94; per le strutture residenziali: copia del regolamento o Carta dei Servizi adottata dalla struttura in cui devono essere indicate: la retta totale richiesta all'ospite o al soggetto che provvede al pagamento; nel caso di stipula di convenzione con l'Azienda USL per il rimborso degli oneri a rilievo sanitario ai sensi delle direttive regionali vigenti, la Carta dei Servizi andrà integrata con l'indicazione della quota portata in detrazione perché oggetto di rimborso al gestore; le attività ed i servizi erogati ricompresi nella retta di cui sopra; le attività ed i servizi garantiti a richiesta non ricompresi nella retta, con l'indicazione delle relative tariffe; le modalità - se soggette a restrizione di orari o di altro genere - di accesso di soggetti esterni alla struttura (parenti, volontari, ecc.); gli orari di presenza in struttura del personale sanitario ove previsto; le modalità con cui vengono effettuate le ammissioni e le dimissioni; le regole di vita comunitaria; 83 le modalità ed i limiti per l'utilizzo di arredi e suppellettili personali di cui al precedente paragrafo 5.2. 6.2 ATTIVITA' ISTRUTTORIA Il Comune, per l'accertamento dei requisiti minimi previsti dalla presente direttiva, si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 della L.R. n. 34 del 1998. Ogni Commissione dovrà essere composta da almeno 7 esperti, oltre al Presidente, con documentate competenze ed esperienze in materia di: a) edilizia socio-sanitaria; b) impiantistica generale; c) organizzazione e sicurezza del lavoro; d) organizzazione e gestione di servizi sociali; e) neuropsichiatria e riabilitazione; f) geriatria; g) assistenza ai minori. Gli esperti di cui alle precedenti lettere a), b), c) sono gli stessi già individuati ai sensi della deliberazione di Giunta regionale dell'8 febbraio 1999, n. 125. Il Responsabile del Dipartimento di prevenzione attiva di volta in volta, nell'ambito della suddetta Commissione, un gruppo ispettivo correlato e commisurato alla tipologia e alle dimensioni della struttura per la quale è stata richiesta l'autorizzazione al funzionamento. Gli esperti di cui alle precedenti lettere a), b), c) sono nominati dal Direttore Generale dell'Azienda USL. Gli esperti di cui alle precedenti lettere d), e), f), g) sono nominati dal Direttore Generale dell'Azienda USL su designazione della Conferenza sanitaria territoriale. La Commissione dura in carica 5 anni. Qualora durante i 5 anni si dovesse procedere alla sostituzione di uno o più componenti, l'individuazione avviene con le modalità di cui al precedente capoverso. La Commissione si configura quale organo tecnico consultivo di tutti i Comuni del territorio di riferimento dell'Azienda USL, per l'esercizio della funzione di autorizzazione al funzionamento delle strutture oggetto della presente direttiva. 84 Il Responsabile del Dipartimento di Prevenzione dell'Azienda USL, nella sua qualità di Presidente della Commissione, assicura la tenuta di apposito registro di verbalizzazione dell'attività e dei pareri della Commissione stessa, nonché l'archiviazione della documentazione allegata alle domande. La Commissione, al fine di permettere al Comune di adottare gli atti di propria competenza, trasmette una relazione contenente le conclusioni ed il parere sulla domanda oggetto dell'istruttoria. Il Comune provvede ad inviare il provvedimento di autorizzazione al funzionamento al legale rappresentante del soggetto gestore; contestualmente provvede ad effettuare le previste comunicazioni alla Provincia, con le modalità di cui al successivo paragrafo 8. 6.3 ELEMENTI DELL'AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO L'autorizzazione rilasciata dal Comune deve indicare: a) l'esatta denominazione del soggetto gestore, la natura giuridica e l'indirizzo; b) l'esatta denominazione della struttura e la sua ubicazione; c) la tipologia della struttura, tra quelle previste nella parte II della presente direttiva; d) la capacità ricettiva autorizzata; e) la eventuale condivisione di locali ammessa per le tipologie di strutture di cui ai successivi paragrafi 1.1 e 2.1 della Parte II "Disposizioni specifiche" e la struttura con cui vengono condivisi; f) il nominativo del coordinatore responsabile e del responsabile delle attività sanitarie se previste; g) la data del rilascio dell'autorizzazione; da tale data decorrono i termini di cui al successivo paragrafo 9. 8. REGISTRO PROVINCIALE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE E' istituito presso ciascuna Amministrazione provinciale il Registro delle strutture residenziali e semiresi- denziali pubbliche e private che svolgono attività socio-sanitaria e socioassistenziale, autorizzate al funzionamento ai sensi della L.R. 12 ottobre 1998, n. 34, artt. 1, co. 1 e 3, co. 2. Le Amministrazioni provinciali devono essere tempestivamente informate, contestualmente alle comunicazioni effettuate al legale rappresentante del soggetto gestore, dei provvedimenti adottati dalle Amministrazioni comunali competenti sulle singole strutture, anche nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, affinchè provvedano ad annotarle nel Registro. Al fine della istituzione, tenuta ed aggiornamento del Registro, i Comuni comunicano alla Provincia i provvedimenti adottati tramite la compilazione degli appositi modelli a ciò predisposti ed allegati alla presente direttiva. Per le autorizzazioni di cui ai precedenti paragrafi 6.2 e 7.2 si dovrà utilizzare il modello "Mod. AUT1"; lo stesso modello deve essere utilizzato per le autorizzazioni di cui al precedente paragrafo 7.1, precisando se l'autorizzazione è stata rilasciata sulla base dei requisiti strutturali previsti dalle direttive precedenti o dalla presente. Per le strutture di cui al precedente paragrafo 7.3 i Comuni, per le previste comunicazioni alla Provincia, utilizzano il modello "Mod. PROVV". I Comuni provvedono altresì a dare comunicazione alla Provincia dell'esito e della data del sopralluogo di verifica dei requisiti funzionali ed organizzativi dichiarati, di cui al precedente paragrafo 6., per quanto attiene all'istruttoria delle domande di autorizzazione al funzionamento presentate sulla base della disciplina di cui alla L.R. 34/98 e della presente direttiva. La Provincia annota nel Registro la data e l'esito del sopralluogo di verifica. La Provincia provvede ad informatizzare, nell'apposita procedura del Sistema informativo regionale, i modelli "Mod. AUT1" e "Mod. PROVV", ricevuti dai Comuni e le annotazioni relative alla data ed esito del sopralluogo di verifica dei requisiti di cui al precedente paragrafo 6.. Nel Registro è tenuta una apposita sezione destinata alla annotazione delle comunicazioni di avvio attività di cui al successivo paragrafo 9.1. La Provincia provvede ad informatizzare nella apposita procedura del sistema informativo regionale i modelli "Mod. DEN1" ricevuti dai Comuni. 9. VERIFICHE E CONTROLLI La permanenza dei requisiti minimi sulla base dei quali è stata rilasciata l'autorizzazione al funzionamento è verificata di norma ogni quattro anni, mediante autocertificazione sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto gestore, trasmessa al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione al funzionamento. L'autocertificazione deve essere conforme al modello predisposto dalla Giunta regionale con propria deliberazione. Il Comune può comunque procedere in qualsiasi momento a verifiche ispettive anche avvalendosi della Commissione di cui al paragrafo 6.2. La Regione può disporre controlli e verifiche sulle strutture autorizzate, dandone comunicazione al Comune ed avvalendosi della Commissione di cui al precedente paragrafo 6.2. L'esito dei controlli e verifiche effettuate deve essere tempestivamente comunicato al legale rappresentante del soggetto gestore, alla Provincia ed al Comune nel caso di controlli e verifiche disposti dalla Regione. Alla Provincia deve essere altresì trasmessa - a cura del Comune copia della autocertificazione sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto gestore di cui al primo capoverso del presente paragrafo, ai fini dell'annotazione nel Registro provinciale delle strutture autorizzate. Qualora, a seguito di verifica disposta dal Comune o dalla Regione, venga accertata l'assenza di uno o più requisiti minimi o il superamento della capacità 85 ricettiva autorizzata, il Comune diffida il legale rappresentante del soggetto gestore a provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell'atto di diffida. Tale termine può essere eccezionalmente prorogato, con atto motivato, una sola volta. Il mancato adeguamento nel termine stabilito, ovvero l'accertamento di comprovate gravi carenze che possono pregiudicare la sicurezza degli assistiti o degli operatori, comporta l'adozione di un provvedimento di sospensione - anche parziale - dell'attività. Con tale provvedimento il Comune indica la decorrenza della sospensione dell'attività nonché gli adempimenti da porre in essere per permetterne la ripresa. Ove il legale rappresentante del soggetto gestore non richieda al Comune - entro un anno dalla data del provvedimento di sospensione - la verifica circa il superamento delle carenze riscontrate, l'autorizzazione al funzionamento si intende decaduta. In questo caso l'attività può essere nuovamente esercitata solo a seguito di presentazione di nuova domanda con le modalità di cui ai precedenti paragrafi 6. e 6.1. A seguito della comunicazione del legale rappresentante del soggetto gestore di cui al precedente capoverso, il Comune provvede entro 30 giorni alla prevista verifica; decorsi i 30 giorni senza che il Comune abbia provveduto alla verifica, il gestore può riprendere l'attività oggetto di sospensione. L'eventuale mancato esercizio dell'attività protratto per più di 12 mesi comporta la revoca dell'autorizzazione al funzionamento. Nel caso di verifiche e controlli disposti dal Comune o dalla Regione a seguito dei quali venga adottato un provvedimento, il Comune deve darne comunicazione alla Provincia utilizzando il modello a ciò predisposto allegato alla presente direttiva "Mod. VER1". 9.1 COMUNICAZIONE DI AVVIO DI ATTIVITA' Il legale rappresentante del soggetto gestore di appartamenti protetti e gruppi 86 appartamento per anziani e disabili, di case famiglia, che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, deve comunicare l'avvio di tali attività al Sindaco del Comune del territorio. La comunicazione - finalizzata all'esercizio dell'attività di vigilanza deve essere effettuata entro 60 giorni dall'avvio dell'attività e deve indicare: la denominazione e l'indirizzo esatto della sede in cui si svolge l'attività; la denominazione, la natura giuridica e l'indirizzo del soggetto gestore; il numero massimo (entro le sei unità) di utenti che possono essere ospitati nella sede; il numero e le caratteristiche dell'utenza presente (esempio: minori, anziani, disabili, ecc.); il numero e le qualifiche del personale che vi opera; le modalità di accoglienza dell'utenza (convenzione con enti pubblici, rapporto diretto con gli utenti, ecc.); la retta richiesta agli ospiti e/o ai familiari e l'eventuale partecipazione alla spesa di soggetti pubblici. Per le attività di cui al presente paragrafo, già avviate alla data di entrata in vigore della presente direttiva, la comunicazione deve essere effettuata entro 60 giorni dall'entrata in vigore. Il Comune provvede a dare comunicazione alla Provincia, al fine della tenuta dell'apposita sezione del Registro, delle comunicazioni di avvio di attività ricevute, utilizzando l'apposito modello a ciò predisposto ed allegato alla presente direttiva "Mod. DEN1". 10. SISTEMA INFORMATIVO La Regione, ai sensi dell'articolo 14 della L.R. n. 3 del 1999, nell'ambito delle linee di indirizzo per lo sviluppo telematico dell'Emilia-Romagna, promuove il coordinamento delle informazioni e la comunicazione istituzionale con il sistema delle autonomie locali. Nell'ambito del più complessivo sistema informativo regionale si colloca quello delle politiche sociali, la cui gestione territoriale è affidata alle Province ai sensi dell'art. 190 della L.R. n. 3 del 1999. Il sistema informativo delle politiche sociali - realizzato con procedure informatiche gestite in rete tra la Regione e le Province - comprende, tra l'altro, la banca dati delle strutture socioassistenziali e socio-sanitarie del territorio regionale. La banca dati è costituita dall'anagrafe delle strutture - la cui implementazione avviene, per le strutture oggetto della presente direttiva, attraverso i Registri di cui al precedente paragrafo 8. - e da aggiornamenti annuali effettuati attraverso le apposite rilevazioni rivolte ai soggetti gestori. Gli aggiornamenti annuali riguardano: l'organizzazione del presidio, l'utenza, il personale, gli aspetti economici. L'anagrafe delle strutture oggetto della presente direttiva viene alimentata e modificata in modo continuo dalle Province, a seguito dell'invio da parte dei Comuni dei modelli a ciò predisposti ("Mod. AUT1", "Mod. PROVV", "Mod. DEN1", "Mod. VER1"). Gli aggiornamenti annuali vengono effettuati attraverso i modelli di rilevazione "ISTAT/Regione" per le strutture residenziali e i modelli "Regione" per le strutture semiresidenziali. I modelli vengono inviati dalle Province agli enti gestori che provvedono alla compilazione e restituzione alle Province per la relativa informatizzazione. Il sistema così delineato crea a livello provinciale un punto di accesso unificato alle informazioni sulle strutture socioassistenziali e socio-sanitarie, individuando nelle Province il punto di riferimento privilegiato per i soggetti del rispettivo ambito territoriale. A livello regionale fornisce elementi per l'esercizio delle funzioni di programmazione, coordinamento ed indirizzo. 3) DECRETO 21 maggio 2201, n.308 Regolamento concernente "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328" Art. 1. Oggetto e finalità 1. Il presente decreto fissa i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale di cui alla legge n. 328 del 2000, con previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni. 2. Ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge n. 328 del 2000, le regioni recepiscono e integrano, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi fissati dal presente decreto, individuando, se del caso, le condizioni in base alle quali le strutture sono considerate di nuova istituzione e le modalità e i termini entro cui prevedere, anche in regime di deroga, l'adeguamento ai requisiti per le strutture già operanti. Art. 2. Strutture e servizi soggetti ai requisiti minimi per l'autorizzazione 1. I requisiti minimi per l'autorizzazione al funzionamento di cui alla legge n. 328 del 2000 riguardano le strutture e i servizi già operanti e quelli di nuova istituzione, gestiti dai soggetti pubblici o dai soggetti di cui all'articolo 1, commi 4 e 5 della legge n. 328 del 2000 che, indipendentemente dalla denominazione dichiarata, sono rivolti a: a) minori per interventi socioassistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia; b) disabili per interventi socioassistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia della persona e al sostegno della famiglia; 87 c) anziani per interventi socioassistenziali o socio-sanitari, finalizzati al mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al sostegno della famiglia; d) persone affette da AIDS che necessitano di assistenza continua, e risultano prive del necessario supporto familiare, o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale; e) persone con problematiche psicosociali che necessitano di assistenza continua e risultano prive del necessario supporto familiare, o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale. 2. Per le strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992, come modificato dal decreto legislativo n. 229 del 1999, l'autorizzazione di cui al comma 1, lettere b), c), d) ed e), e' rilasciata comunque in conformità a quanto previsto dall'articolo 8-ter dello stesso decreto legislativo. 3. Restano ferme le disposizioni adottate in attuazione della legge 18 febbraio 1999, n. 45, in materia di strutture e servizi destinati al recupero e alla riabilitazione della tossicodipendenza. Art. 3. Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza di minori 1. Le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile 88 abitazione. Per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti dalle regioni. Art. 5. Requisiti comuni delle strutture a ciclo diurno e residenziale 1. Fermo restando il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi, le strutture devono possedere i seguenti requisiti minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della legge n. 328 del 2000: a) ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici, comunque tale da permettere la partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio e facilitare le visite agli ospiti delle strutture; b) dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto, organizzati in modo da garantire l'autonomia individuale, la fruibilità e la privacy; c) presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in relazione alle caratteristiche ed ai bisogni dell'utenza ospitata, così come disciplinato dalla regione; d) presenza di un coordinatore responsabile della struttura; e) adozione di un registro degli ospiti e predisposizione per gli stessi di un piano individualizzato di assistenza e, per i minori, di un progetto educativo individuale; il piano individualizzato ed il progetto educativo individuale devono indicare in particolare: gli obiettivi da raggiungere, i contenuti e le modalità dell'intervento, il piano delle verifiche; f) organizzazione delle attività nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti; g) adozione, da parte del soggetto gestore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000, comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con indicazione delle prestazioni ricomprese. Art. 6. Requisiti comuni ai servizi 1. Ferma restando l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi, il soggetto erogatore di servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 deve garantire il rispetto delle seguenti condizioni organizzative, che costituiscono requisiti minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della medesima legge: a) presenza di figure professionali qualificate in relazione alla tipologia di servizio erogato, secondo standard definiti dalle regioni; b) presenza di un coordinatore responsabile del servizio; c) adozione, da parte del soggetto erogatore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000 comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con indicazione delle prestazioni ricomprese; d) adozione di un registro degli utenti del servizio con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza. Art. 7. Requisiti specifici delle strutture 1. Ai fini della individuazione dei requisiti minimi delle strutture si considerano: a) strutture a carattere comunitario; b) strutture a prevalente accoglienza alberghiera; c) strutture protette; d) strutture a ciclo diurno. 2. Le strutture a carattere comunitario sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, bassa e media complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza con limitata autonomia personale, priva del necessario supporto familiare o per la quale la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente contrastante con il piano individualizzato di assistenza. 3. Le strutture a prevalente accoglienza alberghiera sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa in relazione al numero di persone ospitate, destinate ad accogliere anziani autosufficienti o parzialmente non autosufficienti. 4. Le strutture protette sono caratterizzate da media intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza non autosufficiente. 5. Le strutture a ciclo diurno sono caratterizzate da diverso grado di intensità assistenziale in relazione ai bisogni dell'utenza ospitata e possono trovare collocazione all'interno o in collegamento con una delle tipologie di strutture di cui ai commi precedenti. 89 Appendice B Questo appendice riporta lo schema del modulo allegato alla DGR 564/2000. Il modulo viene compilato dai Comuni ed inviato alla Provincia di riferimento al fine di registrare gli aggiornamenti annuali relativi alle strutture oggetto della delibera. Mod. DEN1 REGISTRO PROVINCIALE DELLE COMUNICAZIONI DI AVVIO ATTIVITA' L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34 DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N.___ DEL ___ PARTE I, PARAGRAFO 9.1 COMUNE DI __________ PROVINCIA DI ________ SOGGETTO GESTORE _________ (denominazione, natura giuridica ed indirizzo) STRUTTURA _____________ (denominazione, indirizzo) NUMERO MASSIMO DI UTENTI CHE POSSONO ESSERE OSPITATI NELLA STRUTTURA _________ CARATTERISTICHE DELL'UTENZA OSPITATA ________ (esempio: minori, anziani, disabili, ecc.) NUMERO E QUALIFICHE DEL PERSONALE CHE OPERA NELLA STRUTTURA__________________________ MODALITA' DI ACCOGLIENZA DELL'UTENZA ______________________ (convenzione con enti pubblici, rapporto diretto con gli utenti, ecc.) RETTA RICHIESTA AGLI OSPITI E/O AI FAMILIARI ED EVENTUALE PARTECIPAZIONE ALLA SPESA DI SOGGETTI PUBBLICI_____________________ DATA IN CUI E' STATA PRESENTATA AL COMUNE LA COMUNICAZIONE DI AVVIO ATTIVITÀ ____________________________ 90 Appendice C Questa appendice riporta il testo - attività di socializzazione integrale delle Linee Guida approvate e quant’altro può contribuire al benessere dell’anziano e al mantenimento delle sue capacità residue. in data 08/07/2008 dal Consiglio comunale di Parma con delibera n. 85/15. Linee Guida per la disciplina, la valorizzazione e la qualificazione delle Case Famiglia per anziani e per l'esercizio delle attività di vigilanza e controllo. Case Famiglia Le Case Famiglia nascono, su iniziativa privata, per dare una risposta al crescete bisogno di luoghi di tipo familiare, che diano assistenza e ospitalità a persone di terza età. La filosofia portante delle Case Famiglia e della organizzazione deve basarsi sulla centralità e sul sostegno dell’anziano che viene accolto e inserito in modo da mantenere integri i legami con la sua famiglia, la sua casa, i suoi amici. Le stesse devono farsi carico dell’anziano nella globalità e, oltre a garantire un soggiorno e un’assistenza di base di ottimo livello, devono promuovere le potenzialità di salute, di benessere, di affettività e di vita relazionale degli assistiti. Le Case Famiglia che operano sul Territorio Comunale di Parma, possono accogliere anziani autosufficienti e/o che necessitano di bassa intensità assistenziale, certificata dal Medico di Medicina Generale. Per bassa intensità assistenziale si intende il livello di cura che il singolo anziano richiede per svolgere le attività di vita quotidiana e si caratterizza in prestazioni quali: - aiuto per l’igiene personale e il bagno; - aiuto nella vestizione; - aiuto nella preparazione dei pasti; -accompagnamento per disbrigo pratiche; - accompagnamento ai presidi sanitari; A) Percorsi procedurali concentrati tra il Settore Sportello Unico Impresa Edilizia-Cittadino e i Servizi Sociali 1. Il soggetto gestore che intende avviare una “Casa Famiglia”, ove possono essere accolti fino ad un massimo di sei ospiti, è tenuto a dare comunicazione dell’avvio di tale attività al Settore Sportello Unico del Comune di Parma entro 60 giorni. Tale dichiarazione deve contenere tutte le informazioni elencate al Punto 9.1 della Delibera di Giunta Regionale n. 564/00, oltre a quelle di cui alla Scheda Tecnica approvata con Provvedimento Dirigenziale. 2. Il Settore Sportello Unico del Comune di Parma dovrà provvedere a trasmettere tempestivamente le Comunicazioni di Avvio Attività all’Assessorato Politiche Sociali e di Parità- Struttura Operativa Anziani per le successive azioni di verifica e controllo, come stabilito dalla Deliberazione di Giunta Regionale 564/00. 3. La Struttura Operativa Anziani provvederà quindi a trasmettere le Comunicazioni di avvio attività agli organismi competenti, ovvero NAS, Nucleo Carabinieri ISP DEL LAVORO e Azienda USL – Distretto di Parma – Dipartimento di Sanità Pubblica. 4. Presso la Struttura Operativa Anziani è tenuto un apposito elenco delle Case Famiglia, contenente la denominazione della struttura, l’indirizzo e il nominativo del legale rappresentante, nonché la data di presentazione delle Comunicazioni di Avvio Attività. Tale elenco viene periodicamente aggiornato ogni qualvolta pervengono alla Struttura Operativa Anziani nuove comunicazioni di avvio attività o cessazioni si attività 91 già in essere e in caso di provvedimenti di chiusura emessi dagli organismi competenti 5. Il Settore Sportello Unico, entro il mese di dicembre di ogni anno, al fine della tenuta dell’apposita sezione del Registro, provvederà a trasmettere alla Provincia le comunicazioni di avvio di attività ricevute, utilizzando l’apposito modello “Mod.DEN1”, allegato alla Deliberazione di Giunta Regionale n.564/00. B) Comunicazione per l’avvio e la gestione delle Case Famiglia 1. Ai fini dell’esercizio dell’attività di vigilanza e controllo, la comunicazione di avvio dell’attività deve contenere, sulla base dei modelli allegati che i Dirigenti competenti potranno eventualmente modificare: - Planimetria della Casa possibilmente in scala 1:100 e individuazione del numero dei posti letto; - Carta dei servizi Sociali (ai sensi dell’art. 13 della legge n.328/2000); - Dichiarazione Antimafia (in caso di società); - Scheda Tecnica, da cui risulti il possesso dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi previsti dalle norme di legge e dai Regolamenti Comunali vigenti. C) Valorizzazione e qualificazione dell’attività delle Case Famiglia 1. Il Soggetto Gestore può fornire alla Struttura Operativa Anziani – in fase di avvio o in momenti successivi – qualunque elemento che ritiene utile al fine di qualificare l’attività svolta, anche in un’ottica di diversificazione dell’offerta assistenziale, progettualità innovativa, messa in campo di risorse aggiuntive, promozione di interventi finalizzati a migliorare la qualità di vita e a favorire una condizione di benessere complessivo degli ospiti. 2. Parimenti i Soggetti Gestori di Casa Famiglia possono sperimentare modalità di gestione associata di alcune 92 professionalità (esempio: Infermiere Professionale), raccordandosi tra loro o con gli altri servizi del territorio per la condivisione di attività o momenti comuni, favorire la partecipazione egli ospiti agli eventi del territorio anche con il coinvolgimento dei familiari. 3. E’ altresì da considerarsi elemento qualificante la partecipazione delle persone impegnate nell’assistenza – siano essi dipendenti, collaboratori o volontari a momenti o cicli di formazione/aggiornamento organizzati dalla Struttura Operativa Anziani o da altri soggetti, così come è da favorire da parte dei gestori la graduale qualificazione del personale che già opera nelle Case Famiglia qualora si dimostri predisposizione e attitudine al lavoro di cura. 4. Fermo restando che il referente sanitario degli ospiti è il Medico di Medicina Generale e il Responsabile del Piano Assistenziale è il Familiare Referente, i professionisti del Settore sociale e dell’Azienda USL si pongono come possibili interlocutori per migliorare l qualità del servizio erogato all’interno della Casa Famiglia, anche proponendo strumenti di lavoro efficaci e innovativi utili alla organizzazione delle attività. D) Vigilanza, Controllo e Sanzioni 1. Il Comune esercita l’attività di vigilanza e controllo, avvalendosi del Servizio Sociale, della Polizia Municipale, de Servizi dell’Azienda USL, nonché di altri organi deputati alle funzioni di vigilanza e controllo, ciascuno per la propria competenza. 2. Qualora venga accertata l’assenza di uno o più requisiti o il superamento del numero di ospiti consentito, il Comune diffida il legale rappresentante della Casa Famiglia a provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell’atto di diffida. Tale termine può essere eccezionalmente prorogato, con apposito motivato atto, una sola volta. Il mancato adeguamento entro il termine stabilito, ovvero l’accertamento di comprovate gravi carenze che possano pregiudicare la sicurezza degli ospiti, comportano la sospensione immediata, anche parziale, dell’attività. Con tale provvedimento il Comune indica la decorrenza della sospensione dell’attività, nonché gli adempimenti da porre in essere per permettere la ripresa. L’attività comunque sospesa può essere nuovamente esercitata soltanto previo accertamento del possesso dei requisiti. 3. L’attività di vigilanza e controllo deve essere esercitata almeno due volte, nel corso dell’anno. 4. Nel caso in cui, durante la verifica sorgano dubbi rispetto alla compatibilità dello stato di salute dell’ospite con le prestazioni erogabili all’interno della Casa Famiglia, dovrà essere acquisito immediatamente ovvero al massimo entro cinque giorni, apposito parere da un Medico Geriatra dell’Azienda USL. Nel caso in cui il Medico Geriatra accerti la non compatibilità dell’ospite, verrà assegnato alla Casa Famiglia un termine idoneo al trasferimento dell’ospite stesso, fermo restando il potere del Comune, in caso di comprovate gravi carenze che possano pregiudicare la sicurezza dell’ospite, di procedere ai sensi del precedente comma 2. 5. In caso di mancata comunicazione dell’avvio dell’attività, viene applicata la sanzione di cui all’articolo 39 della legge regionale n. 2/2003. E) Fase Transitoria 1. Fermo restando che per le Case Famiglia già esistenti valgono i requisiti di civile abitazione relativi all’anno di comunicazione di avvio dell’attività, viene concesso un termine di 180 giorni a tutte le Case famiglie già esistenti per la presentazione della Scheda Tecnica e, nel caso di società, la Dichiarazione Antimafia di cui alla precedente lettera B. Decorso inutilmente tale termine, il Comune provvederà secondo quanto previsto al precedente punto D. 93 Bibliografia Ascoli U., Ranci C., Introduzione, in U. Ascoli, C. Ranci, Il welfare mix in Europa, Carocci, Roma 2003. Barbanotti G., De cecco G., Rossi G., Strutture per anziani: gestire la qualità dei servizi, Carocci, Roma 2001. Bertin G. (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, Erickson, Firenze 2009. 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