Università degli Studi di Parma

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Università degli Studi di Parma
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Programmazione
e Gestione dei Servizi Sociali
Curriculum Organizzazione e Gestione dei Servizi
Sociali
Tesi di Laurea in
Diritto Commerciale dei Servizi Sociali
Il sistema delle
Case Famiglia per anziani:
L'esperienza nel Comune di Parma
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa
Silvia Magelli
Laureanda:
Simona Barardi
___________________________________________________________________________
Anno Accademico 2012-2013
INDICE
CAPITOLO PRIMO
ASSISTENZA
AGLI
ANZIANI:
NUOVI
BISOGNI
E
NUOVE
RISPOSTE. VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX
1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche
socio assistenziali ...................................................................................................... 1
1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni .............................. 3
1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e
mercato privato ......................................................................................................... 7
1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi .......... 9
1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato
liberale .................................................................................................................... 14
1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano .................................................... 15
1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo
successo? ........................................................................................................... 17
CAPITOLO SECONDO
L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA
SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE
2.1 Cenni sulla normativa nazionale ....................................................................... 20
2.2 Scelta della natura giuridica .............................................................................. 25
2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale .................... 26
2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale .................... 30
2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione ............................... 31
I
2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione .............. 33
CAPITOLO TERZO
L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA:
NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE
3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto ................................................................. 37
3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia ................................................ 39
3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA ........................................................... 41
3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma ................................................. 45
3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida ....... 47
3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio? ................... 52
3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia ...................................... 54
3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati ................................................... 57
Conclusioni ............................................................................................................ 66
Appendice ............................................................................................................... 71
Bibliografia............................................................................................................. 94
Sitografia ................................................................................................................ 96
II
CAPITOLO PRIMO
ASSISTENZA AGLI ANZIANI: NUOVI BISOGNI E NUOVE RISPOSTE.
VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX
1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche
socio assistenziali
Dopo decenni di successo1 le politiche sociali si sono trovate, negli ultimi anni,
ad affrontare una serie di problemi di ordine sia economico che politico, con i quali
i modelli esistenti devono fare i conti. L'analisi di questi problemi risulta molto
complessa, poiché molteplici ed eterogenei sono i fattori che incidono sulla
struttura delle politiche sociali: riguardano trasformazioni delle basi sociali, delle
basi economiche e di quelle politiche. Nonostante la natura complessa e dinamica
di questi problemi, possiamo identificare la modificazione della struttura sociodemografica della popolazione come il fenomeno che più ha prodotto dei
sostanziali cambiamenti nel sistema di welfare.
"Negli anni d'oro del welfare state, la popolazione dei paesi occidentali era in
media relativamente giovane e fertile, di conseguenza veniva garantito un
equilibrio tra le generazioni e una capacità degli individui e delle famiglie di
rispondere in modo relativamente o completamente autonomo ad una serie di
problemi, come la cura dei malati e l'accudimento dei minori"2.
Oggi, l'aumento della popolazione anziana, la diminuzione dei tassi di natalità e
l'allungamento della speranza di vita incidono enormemente sulla struttura sociodemografica, producendo un disequilibrio nei rapporti intergenerazionali e un
innalzamento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto tra popolazione bisognosa
1
In Italia, la fase di espansione delle politiche sociali coincide con la fine della Seconda Guerra
Mondiale (periodo durante il quale si assiste al primo potenziamento delle misure di protezione
sociale) e prosegue per tutti gli anni Sessanta.
2
C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, Franco Angeli, Milano 2005, p.148.
1
di assistenza e popolazione totale3. Questi stessi fattori nel corso degli anni hanno
generato due effetti di ordine economico e sociale:

un aumento della spesa sociale (dovuto ad una crescita delle uscite per
pensioni, sanità e assistenza);

un indebolimento delle funzioni di cura e di assistenza delle famiglie
che, nel momento in cui riducono il numero dei componenti, diventano
più instabili.
Venendo meno i servizi di cura e assistenza assicurati dalle famiglie, i costi a
carico del sistema istituzionale sono aumentati vertiginosamente, inoltre lo
squilibrio crescente tra domanda e offerta di servizi di welfare ha pesato
notevolmente sullo Stato che si era affermato, fino al quel momento, come
erogatore principale di servizi, ma che, dagli anni Settanta in poi, si è dovuto
confrontare con il problema del rallentamento della crescita economica non
riuscendo più a rispondere ai bisogni crescenti4.
Successivamente alla crisi economica di quegli anni, che ha palesato
l'insostenibilità delle politiche di welfare fino ad allora adottate, i principali
problemi con i quali si sono dovuti confrontare i sistemi di welfare,
condizionandone l'evoluzione, sono legati all'esigenza di:

riportare sotto controllo la crescita della spesa pubblica5;

aumentare l'efficienza e l'efficacia dei servizi;

ridefinire il ruolo e le funzioni dei singoli attori impegnati nella
produzione dei servizi di welfare;

ridimensionare il ruolo dello Stato come erogatore diretto di
prestazioni e decentrare le responsabilità in materia di welfare.
3
Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., p. 149.
4
Ivi, p.154.
5
Nei paesi della Comunità Europea si conferma un rallentamento dei trend di spesa a partire dal
1993. Fonte: European Commission, 2002.
2
Le politiche socio assistenziali in Italia, vengono così travolte da una serie di
riforme che introducono importanti strategie quali la restrizione dei target dei
beneficiari dei servizi attraverso l'introduzione di sistemi di accesso alle prestazioni
sulla base di criteri più selettivi, lo spostamento di parte dei costi a carico dei
beneficiari
dei
servizi
attraverso
l'introduzione
del
principio
della
compartecipazione alla spesa, la definizione di programmi di controllo in merito
alla qualità, ai costi e alla performance6.
Si è resa necessaria una ristrutturazione dei sistemi tradizionali di politica
sociale e l'adozione di strategie e di programmi di intervento finalizzati ad un loro
ammodernamento.
1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni
Un importante filone di riforme, avviato a partire dagli anni Novanta, ha
riguardato lo sviluppo di un'economia mista dei servizi volta a favorire nuove unità
di offerta, diverse da quelle tradizionali di Stato e famiglia. Nel settore della
protezione sociale diventa importante coinvolgere l'iniziativa privata, sia non profit
che for profit che "non sostituisce o elimina l'intervento pubblico, ma lo affianca"7.
Tale nuova configurazione valorizza i nessi tra i diversi attori sociali: il ruolo
dello Stato, ad esempio, da fornitore delle prestazioni, diviene progressivamente
quello di regolatore e di facilitatore dell'azione di altri soggetti, senza intaccare le
sue principali responsabilità nei confronti delle funzioni di programmazione e
controllo, di fondamentale importanza per i cittadini8.
Si avvia dunque, una fase di affermazione del carattere plurimo del welfare,
con lo sviluppo e l'introduzione di un sistema misto di offerta pubblico-privato. Da
questo
momento
in
poi,
concetti
come
pluralismo,
privatizzazione,
decentralizzazione, e welfare mix tendono ad essere utilizzati con sempre maggiore
frequenza all'interno dei dibattiti sulla riforma dei servizi sociali, soprattutto dopo
l'entrata in vigore della Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di
6
Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., pp.187-188.
7
Ivi, p.192.
8
Cfr. Breda M.G., Micucci D., Santanera F., La riforma dell'assistenza sociale e dei servizi
sociali, analisi della Legge 328/2000 e proposte attuative, UTET Libreria, Torino 2001, p.93.
3
interventi e servizi sociali n. 328 del 20009 che sancisce la piena legittimazione
normativa dell'economia mista di offerta di servizi socio assistenziali assegnando
un ruolo molto ampio al terzo settore.
La legge prevede, infatti, non solo che il terzo settore partecipi "alla gestione ed
all'offerta dei servizi in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella
realizzazione concertata degli interventi" (art.1, 5° comma), ma che gli Enti locali,
le Regioni e lo Stato sono tenuti a promuovere "azioni per il sostegno e la
qualificazione dei soggetto operanti nel terzo settore" (art.5, 1° comma).
Secondo Vincenzo Tondi della Mura10, ai fini della costruzione di un sistema di
protezione attivo, la legge 328/2000 dovrebbe "consentire una più ampia
partecipazione alle scelte da parte dei cittadini e delle loro organizzazioni"11.
Tale affermazione rimanda alla necessità di istituzionalizzare un nuovo sistema
di politica sociale, dove i diversi attori sono chiamati a svolgere un ruolo attivo
nella realizzazione delle politiche sociali.
Famiglia, terzo settore, Stato e mercato sono dunque ricollocati al centro del
dibattito sul welfare, e rivalorizzati allo scopo di rifondare su basi diverse una
solidarietà di cittadinanza cioè una solidarietà intesa come sinergia che coordini le
forze esistenti nella società e nel sistema pubblico.
La crisi del modello di welfare state non è solo frutto di una serie di "fallimenti"
da parte dello Stato o del mercato, ma è anche il risultato di un profondo
cambiamento della società civile che sceglie di non delegare le risposte ai propri
bisogni allo Stato o al mercato, ma di responsabilizzarsi in prima persona. Ciò non
significa che le responsabilità dello Stato o del mercato cessano, ma che si devono
modificare rispetto al passato, riorganizzandosi in una logica di sussidiarietà anche
rispetto all'emersione di istanze sociali e nuovi soggetti politici.
Basti pensare all'elevata visibilità sociale che il terzo settore ha ormai acquistato
soprattutto nell'ambito dei servizi alla persona e all'utilizzo che ne fanno Stato e
mercato, per "concorrere a risolvere la crisi del welfare state nella supposizione che
9
In Appendice A/1, p. 70.
10
Professore associato di Diritto Costituzionale, Facoltà
di Giurisprudenza, Università del
Salento.
11
V. Tondi della Mura, Le prospettive di sviluppo del terzo settore avviate dalle riforme della
XIII legislatura, in Non profit, 2001, fasc. 1, p.8.
4
l'uso del terzo settore significhi un risparmio di spese sociali"12 vista la complessità
dell' universo che sta dietro l'etichetta di terzo settore e la dimensione problematica
delle organizzazioni che a esso appartengono.
Queste
ultime,
infatti,
hanno
da
subito
rappresentato
una
risorsa
complementare, supplementare e talvolta eventuale rispetto alla funzione ricoperta
dall’ente pubblico, intervenendo laddove quest’ultimo non era in grado o non
ritenesse di dover intervenire13.
Il termine terzo settore viene spesso utilizzato per indicare "l'insieme dei
soggetti organizzativi di natura privata volti alla produzione e allocazione di beni e
servizi a valenza pubblica o collettiva"14. In realtà, esiste una grossa difficoltà ad
individuare con precisione una definizione di terzo settore, a causa della varietà di
istituzioni che lo compongono e alle molteplici sfaccettature e caratteristiche dei
soggetti organizzati operanti in esso. Esiste infatti una diversità terminologica
adottata per definirlo: terzo settore, privato sociale, terzo sistema, terza
dimensione15.
Nel nostro Paese, lo sviluppo del terzo settore avviene parallelamente ad una
serie di fenomeni realizzatesi negli ultimi anni:

le trasformazioni della domanda di servizi sempre più diversificati
e personalizzati;

la crisi dello Stato sociale;

la nascita di nuove soggettività sociali promotrici a livello locale di
azioni per il benessere dei cittadini (ad esempio le cooperative sociali).
Una miscela di fattori che hanno condotto a parlare di crisi del modello
istituzionale di welfare e a far largo all'idea di una diversa concezione della
composizione dei soggetti che concorrono alla elaborazione e gestione delle attività
per il benessere dei cittadini. Un processo che ha dato vita all'azione di numerosi
soggetti sociali autonomi e auto-organizzati che, a livello della comunità locale, si
12
P. Donati, Introduzione, in P. Donati (a cura di), Sociologia del terzo settore, Nuova Italia
Scientifica, Roma 1996, p. 20.
13
Unicredit Foundation, “Ricerca sul valore economico del Terzo settore in Italia”, 2012
14
I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, Carocci Faber, Roma 2003, p.42.
15
Ivi, p.54.
5
sono preoccupati di dare risposte innovative ai bisogni di cura di cittadini
svantaggiati.
Negli anni Novanta, il forte processo di terziarizzazione del sistema economico
sociale ha comportato un aumento e una trasformazione qualitativa della domanda
di servizi, in particolare è cresciuta la domanda di servizi sempre più diversificati e
personalizzati, dando un enorme impulso al diffondersi della cooperazione sociale
promuovendo una concezione maggiormente partecipativa e democratica
dell'organizzazione dei servizi e immettendo fattori innovativi nel sistema di
welfare e nel terzo settore.
L'idea di fondo che ispira tali realtà è costruire la modalità operativa con la
quale si realizza l'aiuto, su uno stile d'azione di tipo comunitario, improntato alla
piena condivisione delle situazioni di vita delle persone che si trovano in situazioni
di disagio o di bisogno (in conformità ai principi della gestione cooperativa).
Sulla scorta di tali esperienze è emerso un movimento di pressione politica
volto a far riconoscere a livello legislativo i tratti specifici di questa forma di
azione civica e di partecipazione all'emergente welfare mix, che porterà alla
definitiva istituzionalizzazione del fenomeno con l' introduzione di una legge16 che
definisce le cooperative sociali delle vere e proprie imprese poiché, danno un
indirizzo imprenditoriale alla loro azione solidaristica collocandosi, tra le varie
tipologie di organizzazioni di terzo settore, tra quelle più protese verso il mercato17.
Oggi la cooperazione sociale è divenuta il principale interlocutore delle
pubbliche amministrazioni per l'esternalizzazione dei servizi di cura, considerando
che i settori di intervento della cooperazione sociale riguardano soprattutto
l'assistenza sociale.
A queste forme di assistenza fornite da gruppi organizzati (cooperative sociali e
altre organizzazioni di terzo settore) radicati nel territorio, vanno aggiunte quelle
fornite dalle reti informali di supporto (familiari, amici, vicini di casa) e dai privati
a fini di lucro, quest'ultimi affermatesi nel momento in cui si è generata la
consapevolezza della impossibilità di espandere ulteriormente la spesa pubblica,
ma che la legge ancora oggi non disciplina in maniera chiara e uniforme.
16
Legge 8 novembre 1991, n.381 "Disciplina delle cooperative sociali".
17
Cfr. I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, cit., pp.138-145.
6
In una società che si evolve verso un welfare mix, al fine di migliorare l'offerta
di servizi di assistenza, alcuni soggetti di terzo settore, come vedremo nei prossimi
paragrafi, iniziano a collocarsi all’interno del mercato, entrando in competizione
con il settore profit e incrementando la propria cultura manageriale e la qualità dei
servizi offerti forse con il "rischio di farsi contaminare dalle leggi del mercato
estinguendo l'originale matrice solidaristica"18.
Il welfare mix nasce, dunque, dall’intuizione secondo cui, separando le funzioni
di finanziamento da quelle di gestione dei servizi, è possibile introdurre elementi di
mercato e quindi di competizione. Si è perciò incentivato l’ingresso di fornitori
privati nel campo assistenziale, ricorrendo all’allentamento dei vincoli che
impediscono l’accesso alle imprese private lucrative il cui contributo alla
realizzazione delle politiche di welfare ha assunto in via crescente e prevalente un
valore di tipo economico (Ascoli e Ranci, 2003).
1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e
mercato privato
Oggi, nonostante la crescita istituzionale di welfare e i profondi cambiamenti
strutturali e culturali intercorsi (rivoluzione sessuale, riforma del diritto di famiglia,
ridefinizione dei ruoli all’interno delle mura domestiche e nel mercato del lavoro),
la gran parte delle risposte ai bisogni di vita quotidiana dei soggetti deboli viene
dalle reti parentali, informali che hanno comunque, da sempre, costituito la
principale forma e fonte di supporto per i soggetti più deboli.
Queste reti però, sono fragili e oggi rischiano di diventarlo ancora di più per una
serie di cambiamenti importanti in atto: invecchiamento della popolazione,
maggior lavoro femminile, maggior fragilità delle famiglie.
Il nuovo sistema di protezione sociale mira ad un maggiore riconoscimento e
sostegno dell'aiuto prestato dalle famiglie, ma la situazione attuale pone un
complesso problema: di fronte all'aumento delle situazioni di non autosufficienza,
si deve aumentare la quantità di servizi da mettere a disposizione per sostenete il
lavoro di cura delle famiglie, ma come farlo senza aumentare la spesa sociale?
18
P. Donati, Sociologia del terzo settore, cit., p.84.
7
Il processo di invecchiamento della popolazione ha determinato notevoli
ripercussioni sulla domanda di servizi sociali e sanitari tali da destare l'interesse
non solo delle amministrazioni pubbliche, soprattutto quelle locali, ma anche di
molti studiosi (medici, sociologi, psicologi) che hanno posto la figura dell'anziano
al centro di un dibattito che copre diversi aspetti: dal rapporto tra bisogni e servizi,
al ruolo attribuito alla famiglia nel far fronte alle necessità.
"Di fronte all'aumento numerico, assoluto e relativo, della popolazione anziana
e di fronte alla crescita di bisogni che comporta, si tende a prevedere la semplice
moltiplicazione di quello che esiste (più ospedali, più case di riposo), generando
spesso una visione apocalittica del futuro per il peso economico dell'assistenza agli
anziani. Altre volte, invece, il rimedio a ciò diviene la negazione della reale
dimensione del problema, ipotizzando una diminuzione di domanda assistenziale
che non si è capito bene da che dovrebbe dipendere"19.
Tale citazione rappresenta perfettamente la complessità di un fenomeno che
spinge i vari soggetti del sistema (servizi sanitari, sociali, reti di supporto non
formali) a riflettere sui processi di trasformazione in atto e sulle dinamiche
dirompenti che tali cambiamenti producono sul sistema dei servizi sociali e
sanitari, tenendo conto di un dato non trascurabile: gli ultrasessantacinquenni
consumano più del cinquanta per cento delle risorse sociali e sanitarie erogate20.
Gli stessi soggetti sono, inoltre, chiamati a misurarsi nella costruzione di un
modello di intervento basato su una forte integrazione reciproca e su una visione
dell'anziano, non solo come portatore di bisogno, ma anche come risorsa sociale.
"La consapevolezza di trovarsi di fronte ad uno scenario in continuo e rapido
mutamento obbliga gli operatori e le istituzioni ad interrogarsi sull'evoluzione dei
bisogni della popolazione anziana e delle famiglie con anziani"21.
19
A. Guaita, Prefazione, in S. Casazza et al, Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte
innovative, Franco Angeli, Milano 2002, p. 13.
20
G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, Erickson, Firenze
2009, p.8
21
8
Ivi, p. 191.
Una necessità, questa, particolarmente forte in un contesto come quello italiano,
dove c'é stato uno sviluppo demografico unico22: nell'arco di un ventennio l'Italia si
è trasformata in uno dei Paesi europei con una maggiore percentuale di anziani23.
1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi
L'analisi dei bisogni sociali emergenti non può prescindere dal porre l'attenzione
sulle trasformazioni della struttura familiare in un sistema di welfare storicamente
caratterizzato da una forte centralità assegnata alle reti di solidarietà familiare (il
cosiddetto familismo italiano).
La famiglia, quale rete di protezione primaria dei singoli cittadini, da sempre
considerata il principale ammortizzatore sociale, svolgeva un ruolo centrale nella
cura e assistenza di un familiare parzialmente o totalmente non autosufficiente.
Oggi, la sua funzione è mutata, a causa di numerosi e profondi cambiamenti che
hanno trasformato la sua composizione e il suo ruolo, ponendo forti perplessità
circa la possibilità che all'interno di essa possa essere soddisfatta la crescente
domanda di servizi di cura.
Il prolungamento della vita rende più frequente la presenza di una famiglia
composta da diverse generazioni ma questo non significa un aumento degli anziani
che vivono con i figli, anzi si conferma una realtà dove il minor numero di figli e
l'aumentata propensione alla mobilità territoriale riducono la capacità di cura della
rete sociale dell'anziano.
Si assiste, infatti, ad una contrazione delle risorse familiari causata da una serie
di fattori che hanno man mano ridotto l'ampiezza della rete di protezione primaria
dei singoli individui: il crescente calo delle natalità, il progressivo calo dei
matrimoni e l'incremento dei divorzi, le trasformazioni culturali che hanno reso
possibile alle donne una più ampia partecipazione al mondo del lavoro, diminuendo
22
In base all'ultima rilevazione Istat (2011) su scala europea, l'Italia si colloca al secondo posto
per indice di vecchiaia (pari al 144%) seguito dalla Germania (153,3%). Inoltre, secondo le
ultime rilevazioni statistiche (Istat, 2010) l'indice di dipendenza, vale a dire il rapporto tra la
popolazione "attiva" e quella economicamente "dipendente" in Italia è passato dal 48% al 52% in
dieci anni, in funzione del peso crescente delle persone anziane. Al primo gennaio 2011, il
rapporto tra gli anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli, raggiungendo quota 144,5%.
23
C. Facchini, Anziani e famiglia: nuove reti, nuove solitudini in S. Casazza et al, Anziani. Tra
bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p. 41.
9
le risorse di tempo e di energie da dedicare ai compiti di cura delle generazioni
anziane in difficoltà, sono mutamenti importanti che hanno investito l'istituto della
famiglia, rendendolo più fragile rispetto al passato.
“Il persistere di queste tendenze porterà in un futuro prossimo ad uno squilibrio
tra le generazioni, in particolare tra quella più anziana e quella più giovane”24
Inoltre, i tempi di lavoro sempre più totalizzanti hanno portato ad una continua
riorganizzazione dei tempi di vita familiare e ad una progressiva delega delle
funzioni di cura a soggetti esterni alla famiglia25.
Governare tutti questi cambiamenti sociali non è sicuramente facile, essi
avvengono con una tale rapidità che non sempre il sistema di offerta dei servizi
sociali è cosi flessibile da adattarsi e rispondere adeguatamente ai bisogni della
collettività.
Varietà dei bisogni, sistemi di accesso alle prestazioni sulla base di criteri
sempre più selettivi, esigenza di soluzioni innovative: è questo lo scenario con il
quale le famiglie e le istituzioni devono fare i conti spingendo "verso la ricerca di
risposte innovative e pensate con fantasia per stare al passo con il mutare rapido e,
in alcuni casi, imprevedibile dei bisogni"26.
A spingere verso questo genere di impostazione vi è la consapevolezza che le
necessità della popolazione anziana richiedono degli interventi che possono essere
efficaci solo se inseriti in una rete di servizi, nella cui costruzione intervengono
diversi soggetti: Asl, Comuni, utenti e familiari, organizzazioni del privato sociale
profit e non profit. Ciascun attore concorre alla realizzazione di un sistema in grado
di garantire continuità nell'assistenza e integrazione fra le varie opportunità
presenti, attraverso modalità di intervento condivise.
La Legge Quadro di riforma del sistema di welfare ribadisce questa necessità di
creare un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che garantisca un aiuto
concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Il sistema integrato è da
24
G. Rossi, S. Meda, La cura agli anziani in Sociologia del Lavoro, Franco Angeli, 2010, p.119.
25
Cfr. F. Zulli, Badare al futuro: verso la costruzione di politiche di cura nella società italiana
del terzo millennio, Franco Angeli, Milano 2008, p.17.
26
S. Casazza et al., Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p.199.
10
intendersi sia come coordinamento degli interventi assistenziali con quelli sanitari,
sia come coinvolgimento del pubblico e del privato nella rete dei servizi.
La legge ha tra i suoi punti di forza proprio il coinvolgimento di soggetti
pubblici e privati nell'erogazione dei servizi sociali, essa prevede e promuove
attività socio-assistenziali da parte di associazioni di cittadini, quali le Onlus, le
cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, i quali possono offrire e
gestire dei sevizi alternativi a quelli degli enti pubblici e, nel rispetto del principio
di sussidiarietà27, definisce in maniera chiara obiettivi, ruoli e competenze: viene
affidata allo Stato la definizione di principi e obiettivi generali a carattere
universale, mentre alle Regioni viene delegato il compito di recepire e tradurre
questi principi in norme e criteri selettivi per il territorio di loro competenza
attraverso strumenti riconosciuti e condivisi28.
L'organizzazione dei servizi, all'interno del territorio nazionale, varia da regione
a regione mostrando talvolta profonde differenze che si manifestano non solo in
termini di scelte politiche adottate, ma anche nelle modalità di erogazioni dei
servizi. Talvolta a questo si aggiunge una distribuzione dei servizi a macchia di
leopardo, su tutto il territorio nazionale, a fronte della quale ci si domanda se i
servizi erogati grazie alle risorse del sistema del welfare istituzionale sono o
saranno mai sufficienti a soddisfare l'universo dei bisogni emergenti.
Una prima soluzione per le famiglie che hanno difficoltà a sviluppare una
relazione di aiuto capace di fare fronte a tutte le difficoltà, è ricorrere alle risorse
formali (servizi) del sistema di welfare che, in relazione alle trasformazioni del
modello di famiglia, ha sviluppato una fitta (ma disomogenea) rete di servizi
residenziali per gli anziani, ma le strutture di ricovero non sempre sono una
risposta adeguata perché molte persone rifiutano l'istituzionalizzazione e
preferiscono, anche in condizioni di precarietà fisica, continuare a vivere nella
propria casa e nel proprio ambiente di vita.
Alla luce dei cambiamenti nella struttura delle reti familiari analizzati finora,
sono emersi negli ultimi anni alcuni segnali di criticità relativamente alla capacità
27
Articolo 1, comma 3 della Legge 328 del 2000: "La programmazione e l'organizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni e allo Stato
secondo i principi di sussidiarietà (...)". In Appendice A/1, p. 70.
28
Piani di Zona e Piani Regionali previsti rispettivamente dagli articoli 19 e 8 della Legge Quadro
328 del 2000. In Appendice A/1, p. 70.
11
delle reti familiari di dare risposte all'aumento del lavoro di cura prodotto dal
processo di invecchiamento in atto, appare evidente che in molte zone del Paese,
ancora oggi, ad un incremento dei bisogni di cura delle persone anziane non ha
fatto riscontro un incremento delle risposte della rete pubblica dei servizi di
analoga intensità, tantomeno un incremento della disponibilità di cura delle
famiglie.
Molte famiglie italiane sono state costrette ad auto-organizzarsi per fronteggiare
la condizione di bisogni dei propri familiari, supplendo alla carenza di risposte
provenienti dal sistema di welfare istituzionale. Un numero sempre crescente di
famiglie si organizza come può, ricorrendo ad aiuti extra rete, per lo più remunerati
che consentano di ridurre parte del lavoro.
Nell'esperienza italiana recente, è emersa la figura dell'assistente familiare
(badante), tale fenomeno ha avviato lo sviluppo di un ampio mercato privato dei
servizi assistenziali assumendo proporzioni considerevoli, ma si tratta comunque di
un servizio molto precario, poiché richiede una grande rigidità organizzativa
(convivenza, lavoro su 24 ore), che spesso è resa possibile solo a causa delle
condizioni di precarietà nelle quali si trovano le badanti29.
In effetti, nell’ultimo decennio, si è costituito un mercato sociale dei servizi alla
persona alimentato, in misura sempre maggiore, da forme di lavoro sommerso di
cura, che offrono alla popolazione scarse garanzie nella qualità dei servizi prestati e
limitata protezione occupazionale ai prestatori di cura. Questa forma non regolata
del lavoro di cura impedisce lo sviluppo e la sostenibilità di un più ampio impianto
di protezione sociale, oltre ad esporre i soggetti coinvolti a forti livelli di
vulnerabilità. Questo perché, il più delle volte, manca un vincolo formale nel
raggiungimento degli accordi assunti solo verbalmente tra le parti, cui si associa
indeterminatezza della durata dei rapporti di lavoro. Tutto ciò comporta evidenti
ripercussioni sulla qualità dell’assistenza, che soffre di discontinuità temporale,
scarsa competenza tecnica e limitate possibilità di connessione con le altre risorse
di cura30 .
Tra coloro che invece non ricevono sostegno da parte della rete pubblica dei
servizi sociali o dalla rete di cure informali, stanno nascendo nuove forme di
29
Cfr. G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, cit., p.65.
30
Cfr. S. Pasquinelli, Badanti: tre nodi da sciogliere, in Prospettive sociali e sanitarie, Speciale
Anziani, lavoro di cura e politiche dei servizi, ANNO XXXIV n. 17-18, 1-15 ottobre 2004.
12
assistenza privata a pagamento (la retta è completamente a carico dell'utente) che
hanno dato vita al recente mercato privato delle Case Famiglia, organizzate in
forma di cooperative, srl, associazioni di volontariato o imprese individuali.
Scegliere una soluzione di questo tipo dipende da alcuni fattori in grado di
modificarne l'adozione o meno da parte delle famiglie: risorse a disposizione
dell'anziano, risorse a disposizione della rete familiare, presenza del coniuge
dell'anziano, cultura solidaristica della famiglia, condizioni di salute dell'anziano.
La Casa Famiglia è una struttura destinata all'accoglienza di anziani autosufficienti,
essa viene definita una "comunità di tipo familiare con sede nelle civili
abitazioni"31.
Le prime Case Famiglia per anziani risalgono a circa quindici anni fa quando in
alcune zone del Nord d'Italia nascono le prime sperimentazioni, sviluppandosi
successivamente su tutto il territorio nazionale. Trattandosi di servizi di recente
costituzione, non esiste a livello nazionale una mappatura generale sulla diffusione
di queste strutture in termini di dati quantitativi.
Nonostante la scarsità dei dati a disposizione, in molte realtà del nostro
territorio, il lavoro privato di queste strutture sta rappresentando un'importante
risposta ai bisogni di cura degli anziani. La Casa Famiglia sembra essere peraltro,
la soluzione ottimale e meno traumatica psicologicamente per alleviare il distacco
dell'anziano dai propri parenti, in quanto al suo interno viene ricostruito un
ambiente il più possibile familiare32.
Considerata
dalle
famiglie
come
una
misura
alternativa
alla
istituzionalizzazione dell'anziano o come una "struttura provvisoria" in attesa di
trovare una soluzione all'interno della rete istituzionale. Nella maggior parte dei
casi, però la Casa Famiglia rappresenta una valida soluzione alle difficoltà dei
familiari, soprattutto dei figli, nel conciliare il tempo necessario ad assistere
l'anziano con il tempo di cura dedicato al proprio nucleo familiare e i tempi di
lavoro.
31
Articolo 1, comma1 del Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001
n°308, in Appendice A/3, p. 87.
32
over-blog.com/Casefamigliaperanzianicosasonoecomefunzionalassistenza.
13
1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato
liberale
Nei precedenti paragrafi abbiamo visto come le tre sfere delle relazioni
informali, del sistema politico e del sistema economico, fortemente interrelate,
costituiscono l'assetto della società moderna. All'interno di questa articolazione,
dove vengono collocate le Case Famiglia?
Esse potrebbero essere collocate in quella che Bauer (1993) definisce "quarta
sfera" ossia all'interno del sistema delle organizzazioni intermediarie dal momento
che esse operano in equilibrio tra azione economica e responsabilità sociale
rispondendo alle esigenze della comunità e del mercato. Esse nascono prima di
tutto per un bisogno insito della persona umana di creare nuove sfere di
relazionalità, che danno origine a "movimenti sociali" sempre nuovi (Donati,
1993).
Per effetto di tutta una serie di fenomeni sociali (analizzati nei precedenti
paragrafi) oggi ci si muove verso nuove forme di solidarietà che fanno parlare di un
sistema di welfare delle "responsabilità condivise"33, che ha permesso alle Case
Famiglia per anziani di registrare una significativa espansione su tutto il territorio
nazionale, in particolar modo nelle regioni del Nord d'Italia.
Lo sviluppo del welfare mix, come abbiamo visto, ha abbassato i livelli di
impegno diretto dello Stato nel campo del welfare e lo sviluppo incrementale della
presenza di organizzazioni di terzo settore, riconoscendo largo spazio alla libera
iniziativa. Questo tende a favorire la capacità di scelta dei cittadini, che in questo
modo divengono i giudici ultimi delle performance delle varie agenzie pubbliche e
private, profit e non, operanti nel mercato sociale.
Le Case Famiglia non sono altro che il risultato dell'emergere di nuovi bisogni
sociali, il cui soddisfacimento avviene "in base a nuovi mix e nuove combinazioni
la cui scelta è affidata al cittadino, pienamente libero ed autonomo"34.
33
G.Pastori, Pubblico e privato nella sanità e nell'assistenza, in Sanità Pubblica e privata, Roma
2002, fasc.11-12, p. 1285.
34
G. Rossi, I settori della protezione sociale: la sanità e i servizi sociali, in P. Donato (a cura di),
Fondamenti di politica sociale. Teorie e modelli, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, vol.1,
p.111.
14
Esse sono il prodotto del grande momento di successo che il liberismo35 ha
avuto negli anni Ottanta, periodo durante il quale lo Stato, come abbiamo visto, è
stato costretto ad avviare politiche di restrizione della spesa pubblica.
Proprio con il diffondersi del liberismo (fondato sull'autonomia e su processi di
individualizzazione del soggetto) non solo in campo economico, ma in ogni campo
dell'esistenza umana, la libera iniziativa dei privati diventa sempre più presente,
anche nell'assistenza.
Tale libertà viene intesa come la possibilità offerta a ciascun individuo, che
abbia delle risorse a disposizione, di perseguire i propri fini senza che nessuno,
tantomeno lo Stato, ostacoli il libero esplicarsi delle scelte individuali36.
Nel caso delle Case Famiglia l'azione libera dell'individuo, coincide anche con
un interesse collettivo, perciò essa non può che realizzarsi in un contesto in cui
siano garantiti necessariamente i diritti dell'anziano.
Abbracciare la logica del mercato non significa negare la solidarietà e il rispetto
dei diritti di questa particolare fascia di popolazione. Tali diritti devono essere
sempre e comunque tutelati, evitando per chi gestisce queste strutture, di far
prevalere la dimensione dell'imprenditorialità privata e del business, con il rischio
di portare queste strutture a commercializzarsi e ad incrementare il raggiungimento
di interessi meramente personalistici.
1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano
Per definizione, le Case Famiglia nascono, su iniziativa privata, con lo scopo di
assicurare luoghi di tipo familiare che diano assistenza e ospitalità ad anziani
autosufficienti che, per età o mancanza di aiuti, non sono capaci di vivere
35
Dottrina economica, filosofica e politica nata in Inghilterra nel corso del XIX secolo in seguito
alla rivoluzione industriale e agli studi di Adam Smith e, ripresa negli ultimi anni del XX secolo,
che considera come condizione ottimale di funzionamento del sistema economico quella risultante
dalla libera iniziativa dei singoli individui, che nel perseguimento del proprio interesse non
devono essere condizionati né ostacolati da nessun vincolo esterno imposto dall'interferenza dello
Stato.
36
Gli articoli 38 e 118 della Costituzione sanciscono rispettivamente la libertà dell'assistenza
privata e la definizione del ruolo di Stato, Regioni, Province e Comuni nel favorire "l' autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla
base del principio di sussidiarietà".
15
autonomamente. Queste strutture sono generalmente ubicate in zone già
urbanizzate al fine di evitare ogni forma di isolamento sociale e accolgono un
numero limitato di ospiti (massimo sei).
La filosofia portante delle Case Famiglia si basa sulla centralità e sul sostegno
dell'anziano, che viene accolto e inserito in modo da mantenere integri i legami con
la sua famiglia d'origine. Una soluzione attraverso la quale riuscire a conciliare i
bisogni di autonomia e privacy con quelli di solidarietà agli anziani.
Invecchiare spesso significa sperimentare uno stato di profonda solitudine e
marginalità, e vivere in un ambiente "familiare" può aiutare l'anziano a non sentirsi
abbandonato o a modificare l'atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno.
L'opera delle Case Famiglia è finalizzata ad offrire una risposta globale ai
bisogni degli anziani attraverso la cura, la promozione, lo sviluppo delle
potenzialità e l'assistenza di ciascun ospite al fine di assicurare il benessere della
persona, ma soprattutto dare effettiva e concreta attuazione ai diritti fondamentali:
diritto alla salute (art.32 cost.) e diritto all'assistenza sociale (art.38 cost.).
Creare un clima familiare significa riuscire a preservare anche le capacità
fisiche e relazionali residue dell'anziano, in ambienti che garantiscano dignità,
rispetto della persona e umanità la cui piena realizzazione dipende dalla capacità di
ciascuna Casa Famiglia di erogare servizi sulla base dei seguenti principi:

uguaglianza ( i servizi devono essere erogati secondo regole uguali per
tutti);

imparzialità (gli operatori tenuti ad avere atteggiamenti di obiettività e
a trattamenti uniformi nei confronti degli ospiti);

diritto di scelta dell'anziano;

territorialità (devono essere favoriti legami e collegamenti con il
territorio in cui la casa famiglia è situata);

efficienza ed efficacia (servizi e prestazioni devono essere forniti
mediante l'adozione di misure idonee per soddisfare i bisogni dell'ospite
e promuoverne il benessere).
Inoltre, ciascun anziano ha il diritto di sviluppare e di conservare la propria
individualità e libertà evitando ogni forma di ghettizzazione che gli impedisca di
interagire con l'ambiente esterno e di essere salvaguardato da ogni forma di
16
violenza fisica e/o morale. Rispetto a quest'ultimo punto diviene particolarmente
importante il ruolo degli Enti pubblici ai quali spetta svolgere attività di
coordinamento, regolazione e controllo di questi soggetti privati. Obiettivo ultimo è
evitare il rischio di creare disparità di trattamento o incrementare disuguaglianze
sociali all'interno di un settore della società connotato dalla valenza solidaristica.
1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo
successo?
Oggi si assiste ad una crescente attenzione che si concentra attorno alle Case
Famiglia per anziani, un'esperienza che, ancora in molti contesti, è quasi del tutto
misconosciuta, sia a livello politico, sia nella ricerca empirica.
In Italia sono le Case Famiglia per minori ad avere una visibilità e una storia
assai più consistente, oltre che ad essere anche più diffuse e consolidate. La scarsa
visibilità che ha caratterizzato finora l'operato delle Case Famiglia per anziani è
probabilmente in parte riconducibile al carattere innovativo che le contraddistingue
e ad una debole legittimazione istituzionale.
Nell'attuale contesto sociale le famiglie sono maggiormente protese verso
l'utilizzo di queste nuove forme di assistenza per evitare un aumento della
solitudine e dell'esclusione sociale del proprio familiare anziano.
Ciò ha portato ad una maggiore diffusione di servizi alternativi e ad un aumento
di questo genere di richieste anche in Regioni (come l'Emilia Romagna, il Veneto,
la Lombardia) ricche di servizi e di opportunità di sostegno. Questo perché i recenti
tagli al fondo sociale e i ridotti trasferimenti finanziari agli Enti Locali hanno
segnato la fine di importanti politiche assistenziali, provocando tagli per i servizi
sociali e assistenziali territoriali37.
Sicuramente gli anziani assistiti risiedono prevalentemente nelle Case Famiglia
del Nord e in misura minore in quelle del Sud (non si conoscono le cifre). Questa
differenza territoriale è spiegabile in parte con la diversa struttura per età e
l'eterogenea diffusione del servizio che contraddistingue le diverse aree
geografiche nel nostro Paese, in parte dal differente modello culturale del ruolo
della famiglia nello svolgimento del lavoro di cura degli anziani (le famiglie del
37
G. De Robertis, A. Nappi (a cura di), Welfare come diritto. Scenari e sfide del Servizio Sociale
Professionale, La Meridiana, Bari 2013, p.30.
17
nord acquisiscono più facilmente la consapevolezza della necessità di un intervento
esterno) e dalla diversa rilevanza sociale assegnata agli interventi a sostegno dei
processi di invecchiamento38.
Si possono identificare alcuni più frequenti motivi per i quali le famiglie e/o gli
stessi anziani decidono di entrare in Casa Famiglia:

l'anziano, sulla base delle normative vigenti, non risulta essere destinatario
di altre tipologie di servizi (casa protetta, RSA), poiché mancano le
condizioni e i requisiti richiesti per l'inserimento in struttura, ad esempio
per un alto livello di autosufficienza. Tali requisiti e modalità di accesso
variano a seconda del comune di residenza;

manca l'effettivo possesso della residenza anagrafica nei comuni nei quali
si è avviata la richiesta di inserimento in struttura, mentre nelle Case
Famiglia vengono accolti anche anziani che hanno la residenza in altri
comuni;

non esiste una reale incapacità economica da parte dell'anziano e dei
parenti obbligati agli alimenti39 di provvedere agli oneri delle rette (la
condizione economica non rientra nei criteri applicativi dell'ISEE);

rifiuto da parte dell'anziano e/o dei familiari di ricorrere a forme di
assistenza privata a pagamento (badanti);

liste di attesa lunghe per l'inserimento in altre tipologie di strutture che
variano a seconda del numero di posti letto disponibili.
Esiste poi un canale informale (segnalazioni di amici e conoscenti, pubblicità),
che si rivela decisivo per orientarsi su questo tipo di servizio. Tali processi hanno
sicuramente spianato il terreno per la nascita e lo sviluppo di un numero sempre più
alto di Case Famiglia, specie in alcune città.
38
39
G. Bertin (a cura di), Invecchiamaneto e politiche per la non autosufficienza, cit., p.68.
Secondo l'articolo 433 del codice civile, all'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti
nell'ordine: il coniuge; i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, il loro mancanza i
discendenti prossimi, anche naturali; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche
naturali; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o
unilaterali con precedenza dei germani sugli unilaterali.
18
Il crescere del numero di simili strutture sul territorio nazionale implica il
diffondersi di una nuova cultura civile e di nuove reti di sociabilità e, sembra che
esse stiano lentamente affermando un proprio ruolo societario.
Insomma, si parla di fenomeno sociale emergente in crescente importanza per le
attività che svolge e in rapida diffusione (nella sola Provincia di Pavia, nel giro di
dieci anni, sono nate circa una ventina di Case Famiglia e a breve ne apriranno
delle altre)40.
I costi spesso elevati delle rette hanno fatto in modo che in questo mercato
entrassero sempre nuove strutture in concorrenza fra loro, con lo scopo di
migliorare la qualità e la quantità dei servizi offerti.
Purtroppo, ancora oggi, non esistono ancora dei dati, né a livello nazionale, né a
livello regionale, rispetto al numero di richieste e al numero di anziani ospiti in
queste strutture.
Sappiamo che le tipologie di presidio più diffuse sono le residenze socio
assistenziali (48,1%) e le residenze assistenziali (44,1%), mentre una piccolissima
porzione di anziani sono ospiti nelle comunità di tipo familiare (pari al 0,2%) nelle
quali non vengono considerate le sole Case Famiglia ma, tutte le strutture con
carattere comunitario e/o familiare. Registrano i numeri più alti tre regioni: il
Veneto, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna41.
In molti casi si tratta ancora di "sperimentazioni" che hanno trovato
applicazione in contesti territoriali limitati dove, queste particolari tipologie di
strutture rappresentano una efficace iniziativa locale per favorire l'incontro tra
domanda e offerta di servizi.
40
laprovinciapavese.gelocal.it
41
Fonte: Elaborazione Ageing Society su dati ISTAT
19
CAPITOLO SECONDO
L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA
SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE
2.1 Cenni sulla normativa nazionale
La crescente attenzione per le condizioni di vita delle persone ospiti di strutture,
l'esigenza di un'evoluzione delle politiche per gli anziani volta al superamento delle
strutture intese in modo tradizionale e la necessità di realizzare interventi articolati
e flessibili in grado di offrire risposte più personalizzate possibili hanno portato il
legislatore ad occuparsi della nascente realtà delle Case Famiglia, garantendo
attraverso alcuni importanti passaggi legislativi, l'adozione di programmi
innovativi da parte di molte amministrazioni locali e regionali, seppur tali
"sperimentazioni" si siano sviluppate in pochi contesti territoriali.
Un primo fondamentale passaggio necessario alla realizzazione di un nuovo
Welfare, come ampliamente discusso nel precedente capitolo, è rappresentato dalla
Legge Quadro sull'Assistenza n. 328 del 2000, la quale introduce una serie di
importanti cambiamenti che hanno investito anche i servizi per anziani, compresa
l'area della residenzialità, alla luce delle evidenti trasformazioni che hanno
investito e che tuttora investono questi servizi.
Essi un tempo accoglievano una popolazione relativamente giovane, oggi
invece, accolgono anziani che vengono istituzionalizzati in età sempre più avanzata
e con numeri sempre più elevati.
La Legge 328 del 2000 inserisce a pieno titolo le strutture residenziali e
semiresidenziali nel sistema integrato di servizi presso cui accogliere persone di
"elevata fragilità" o con limitata autonomia non assistibili a domicilio (art.22,
2°comma, lettera g).
In alcune di queste strutture vengono perfettamente rispettate norme e standard
qualitativi e organizzativi, altre, seppur autorizzate, non sono sottoposte a necessari
controlli di routine e le persone che vi risiedono spesso vivono in pessime
condizioni, tali da indurre le autorità alla chiusura della struttura. E' dunque
necessaria l'esigenza di prestare dovuta attenzione all'esistenza e alla conoscenza di
20
tali realtà e soprattutto alla vigilanza su di esse, tenendo conto dell'ampia
autonomia di cui godono.
Le Case Famiglia nascono su iniziativa di soggetti privati e la normativa
vigente non prevede per questa particolare tipologia di struttura né un obbligo di
preventiva autorizzazione al funzionamento, né alcuna forma di convenzione o
accordo con gli enti istituzionali per l'esercizio della loro attività.
Esse perciò, godono di un'autonomia tale da consentire ai soggetti gestori di
definire tariffe per i servizi erogati, standard qualitativi delle prestazioni e
condizioni di lavoro.
Nascono nel nostro Paese circa quindici anni fa per effetto di una forte esigenza
di sviluppare un sistema di cura più esteso. Tale necessità si sta tuttora traducendo
in innovazioni di un certo peso, ma stenta ancora a trovare un consenso
generalizzato, un'evidenza riconosciuta da tutti e un impegno legittimato a livello
nazionale42. Basti pensare che le poche leggi che disciplinano queste strutture si
limitano a menzionarle e regolamentarle in poche e semplici righe, lasciando ampi
vuoti normativi in merito.
Le Case Famiglia infatti, non rientrando nella disciplina dell'accreditamento43,
quale condizione essenziale per accedere al finanziamento pubblico, spesso
vengono "trascurate" o "dimenticate" dalle norme, rispetto ai molti altri servizi
residenziali per i quali i criteri dell'accreditamento valgono ai fini del rilascio dell'
autorizzazione al funzionamento.
Le poche norme esistenti hanno tutte l'obiettivo di rendere queste strutture più
umane, adeguate alle esigenze di coloro che vi abitano, flessibili, aperte alla
comunità e il più possibile integrate nella rete territoriale dei servizi.
42
Cfr., C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in
Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e
nuovo welfare: atti del convegno, Amministrazione Provinciale, 2002, p.22.
43
Secondo l'articolo 11 della Legge 328 del 2000: "I servizi e le strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati
dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale,
che recepisce ed integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati
ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale".
Inoltre, il medesimo articolo stabilisce che " le Regioni disciplinano le modalità per il rilascio da
parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi innovativi e sperimentali, per un
periodo massimo di tre anni". In Appendice A/1, p. 70.
21
In particolare, per le Case Famiglia che accolgono anziani autosufficienti o
parzialmente autosufficienti è necessaria una maggiore attenzione nel garantire ai
propri ospiti una vita altamente socializzante e attiva, ricca di nuovi stimoli e
interessi.
La Legge 328 del 2000 rappresenta sicuramente un primo importante
provvedimento al quale le Case Famiglia fanno riferimento.
Nonostante essa non preveda un obbligo di preventiva autorizzazione al
funzionamento, trattandosi di materia di stretta competenza regionale, ciascuna
regione ha poi disciplinato con modalità differenti prevedendo comunque, per le
Case Famiglia che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, l'obbligo di
comunicare l'avvio di tale attività al comune di competenza. Nello specifico la
Legge prevede che:

lo Stato fissi i requisiti minimi strutturali e organizzativi per
l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo
residenziale e semiresidenziale e preveda i requisiti specifici per le
comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni (articolo 9,
lettera c);

le Regioni recepiscano ed integrino, in relazione alle esigenze locali, i
requisiti minimi nazionali (articolo 11, comma 1);

ai
Comuni
spettino
funzioni
in
materia
di
autorizzazione,
accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo
residenziale e semiresidenziale (articolo 6, lettera c).
La Legge succitata ha fornito le prime indicazioni per l'applicazione di un
nuovo regolamento da parte del Ministro per la Solidarietà Sociale. A norma
dell'articolo 11 della Legge Quadro, il 21 maggio del 2001 viene emanato il
Decreto n. 308 concernente Requisiti minimi strutturali e organizzativi per
l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale44. Il regolamento adottato prevede dei "requisiti specifici per le
comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni" (articolo 1), rivolte ad
anziani per interventi socio assistenziali o socio sanitari, finalizzate al
44
In Appendice A/3 p. 87.
22
mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al
sostegno della famiglia, prevedendo altresì che le regioni recepiscano ed integrino,
in relazione alle esigenze locali, i requisiti fissati dal Decreto secondo quanto
stabilito nell'articolo 3: "le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con
funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un
massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per
i
quali
la
permanenza
nel
nucleo
familiare
sia
temporaneamente
o
permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono
possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione".
Gli articoli 5, 6 e 7 (a norma dell'articolo 9 della Legge n.328 del 2000)
regolamentano i seguenti requisiti strutturali e organizzativi:
Requisiti strutturali

possesso dei requisiti previsti per le civili abitazioni dalla normativa
vigente in materia edilizia, igienico sanitaria, di prevenzione incendi,
sulle
condizioni
di
sicurezza
degli
impianti,
sulle
barriere
architettoniche, sulla prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro;

ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili tali da permettere
agli ospiti di partecipare alla vita sociale del territorio e alle famiglie di
facilitare le loro visite;

dotazione di spazi destinati ad attività di socializzazione distinti dagli
spazi destinati alle camere da letto in modo da garantire l'autonomia
individuale e la privacy.
Nello specifico il decreto 308 del 2001 prevede che all'interno di ciascuna Casa
Famiglia sia presente una linea telefonica a disposizione degli ospiti e dei
campanelli di chiamata in ogni posto letto, che esse siano dotate di arredi e
attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti e in particolare che siano garantiti letti
articolati regolabili in altezza, materassi e cuscini antidecubito e un armadio
farmaceutico.
23
Requisiti organizzativi

presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in
relazione alla tipologia di servizio prestato e alle caratteristiche e
bisogni dell'utenza accolta;

individuazione di un coordinatore responsabile che ha l'onere generale
sia della struttura che del servizio prestato, a lui compete anche la
gestione del personale e la conduzione economica e patrimoniale; egli
non coincide con il rappresentante legale (il quale di solito è il
presidente della cooperativa) che gestisce la struttura;

adozione di un registro degli ospiti e predisposizione di piani
individuali di assistenza elaborati in base alle condizioni fisiche e
psicologiche dell'anziano, indicanti gli obiettivi da raggiungere, le
modalità di intervento e la valutazione dei risultati;

adozione, da parte del soggetto gestore, della Carta dei Servizi Sociali45
comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate e l'indicazione
delle prestazioni fornite.
Chiunque decida di aprire una Casa Famiglia per anziani è tenuto dunque, a
rispettare i criteri organizzativi e strutturali previsti dalla Legge 328 del 2000 e dal
45
Introdotta dall'articolo 13 della Legge n. 328 del 2000 che stabilisce: "al fine di tutelare le
posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per
la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di
riferimento della carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di
servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti. Nella
carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo
funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che
rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di
tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi
riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede
per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione
dei servizi".
24
Decreto 308 del 2001, oltre a fare riferimento alle relative normative regionali in
materia che, ad oggi, rappresentano gli unici riferimenti legislativi che
regolamentano solo alcuni aspetti di queste strutture tralasciandone altri.
Sulla base di suddetti requisiti le singole regioni hanno, in maniera differente,
rivolto la loro attenzione a questo nascente settore di attività, con l'obiettivo di
promuoverne lo sviluppo nel proprio territorio.
Il rapido sviluppo di queste realtà infatti, impone soprattutto a quelle regioni che
hanno assistito ad un notevole proliferarsi di Case Famiglia, la necessità di
riflettere su questo campo che vede coinvolta una fascia di popolazione
vulnerabile, composta da persone anziane che si collocano al di sopra dei criteri di
accesso ai servizi assistenziali pubblici e si rivolgono necessariamente alla rete
privata.
Diventa dunque, un dovere delle regioni e dei comuni porre la giusta attenzione
a questa platea di utenti "respinti" dal welfare pubblico che si rivolgono al nuovo
mercato privato delle Case Famiglia e al processo di commercializzazione che sta
investendo queste strutture.
Purtroppo fino ad oggi, a fronte del crescente sviluppo di Case Famiglia per
anziani la legislazione nazionale e regionale è rimasta sostanzialmente assente. Nel
panorama nazionale non esistono leggi specifiche in materia, ma solo norme
collocate all'interno di leggi regionali che hanno identificato tale realtà attraverso
definizioni e attribuzioni di definizioni e compiti diversi da regione a regione.
2.2 Scelta della natura giuridica
L'inizio dell'attività di una Casa Famiglia richiede necessariamente scelte
precise da parte dei gestori circa la forma giuridica da assumere, tenendo conto di
una serie di elementi che riguardano la responsabilità patrimoniale, la convenienza
fiscale e le prospettive economiche dell'attività. Una scelta fondamentale che
comporterà conseguenze sia giuridiche che economiche.
Queste strutture si sono costituite negli anni, attraverso una configurazione
giuridica precisa, di natura diversa a seconda del numero di soggetti coinvolti, del
capitale necessario, dei costi di costituzione e gestione, delle implicazioni fiscali e
del grado di responsabilità del gestore.
25
Solitamente la scelta della forma giuridica con cui operare ricade sulla
cooperativa sociale per lo scopo principale che la identifica, ossia perseguire
l'interesse generale della comunità e promuovere l'integrazione sociale dei cittadini
attraverso la gestione di servizi socio sanitari e socio assistenziali. Altri gestori
scelgono l'impresa individuale o recentemente si fa largo l'idea di utilizzare
l'associazione come forma giuridica alternativa.
La persona che intende aprire una Casa Famiglia è chiamata quindi, a decidere
e stabilire da subito se lavorare individualmente oppure associarsi con altre
persone, in altre parole è chiamato a decidere se costituire un'impresa individuale o
un'impresa collettiva, cioè una società. Tale scelta determinerà l'assetto
organizzativo, amministrativo, fiscale e contabile dell'attività, generando di
conseguenza differenti obblighi civili, amministrativi e fiscali per il gestore46.
La legge impone obblighi e assolvimenti spesso onerosi che conducono a scelte
operative diverse ma, in sede di scelta, ha una fondamentale importanza anche la
tipologia di servizio che si intende offrire. Trattandosi di servizi di natura socio
assistenziale sicuramente alcune forme giuridiche, per i principi ispiratori che le
caratterizzano, risultano essere più idonee rispetto ad altre.
Non sempre associazioni e cooperative nascono primariamente con lo scopo di
gestire delle residenze per anziani, spesso si tratta di organizzazioni sociali che già
operano sul territorio e decidono di aggiungere alle loro attività la gestione di
queste strutture in quanto conforme ai loro obiettivi e scopi sociali.
2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale
Le cooperative sociali sono "società che esercitano attività di impresa
perseguendo uno scopo mutualistico. Tale scopo si traduce, in concreto, nel fornire
beni e servizi o occasioni di lavoro direttamente ai soci a condizioni più
vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato"47.
46
www.businessplanvincente.com
47
www.informagiovani-italia.com
26
Allo scopo mutualistico può aggiungersi lo scopo di lucro che rimane tuttavia
secondario48. Attualmente sono l'unica forma di impresa privata a finalità sociale
consentita dalla normativa nazionale.
Esse sembrano essere la soluzione ottimale, oltre che la più diffusa tra i gestori
che intendono avviare una Casa Famiglia per anziani, in quanto questa forma
giuridica, proprio per lo scopo mutualistico che la caratterizza, favorisce sia i
propri soci garantendo sicurezza e vantaggi (la società svolge la propria attività in
favore dei soci creando nuove occasioni di lavoro per gli stessi o anche per altri
lavoratori rispettivamente sotto forma di rapporto di lavoro fra soci e società
oppure di rapporto di lavoro subordinato) e, al tempo stesso, soddisfa principi di
solidarietà socialmente utili alla comunità, avendo l'obiettivo di rispondere alle
esigenze dei cittadini più deboli e svantaggiati. Si realizza, in questo modo, una
convergenza di interessi tra l'ospite della struttura e il gestore che garantisce anche
un equilibrio di mercato tra il primo (che ne trae un profitto) e il secondo (che paga
la retta).
Trattandosi di cooperative che gestiscono servizi di natura socio assistenziale,
esse rientrano nella tipologia di cooperative di tipo A e, per le ridotte dimensioni
dell'impresa, richiedono un numero minimo di soci pari a tre49 (fino ad un massimo
di otto soci). Ogni socio ha l'obbligo di contribuire alla società attraverso il
conferimento di beni e servizi (beni in natura, denaro, prestazioni di lavoro) e tutti
partecipano in qualche modo, direttamente o indirettamente alla gestione delle
attività anche se solitamente è l'amministratore unico che si occupa della gestione
"pratica" della struttura assicurando una presenza costante presso la Casa Famiglia,
verificando le condizioni di salute e psicologiche degli ospiti, stabilendo contatti
con le famiglie e con tutto il personale in genere.
La cooperativa come forma giuridica di esercizio delle Case Famiglia per
anziani oltre ad essere tutelata dalla stessa Costituzione che ne promuove e
48
Se l'atto costitutivo lo prevede, esse possono svolgere anche attività con terzi (art.2521 c.c.)
finalizzata alla produzione di utili e quindi, può essere attività lucrativa. Incompatibile con lo
scopo mutualistico è e resta però l'integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti dalla
cooperativa.
49
Sono sufficienti tre soci persone fisiche se la società adotta le norme della società a
responsabilità limitata (art.2522 c.c.).
27
favorisce la diffusione e lo sviluppo50, viene particolarmente incentivata dalle
leggi, anche a carattere regionale, che riconoscono particolari agevolazioni.
I soci che intendono fondare una cooperativa finalizzata alla gestione di una o
più Case Famiglia devono, alla presenza di un notaio, redigere un atto costitutivo
pubblico ed uno statuto sociale al cui interno vengono specificati: la
denominazione, la sede e la durata, lo scopo e l'oggetto, diritti e obblighi dei soci, il
patrimonio sociale, gli organi, le clausole in merito allo scioglimento e alla
liquidazione della società. Lo statuto può prevedere diverse tipologie di soci:
lavoratori, ordinari, volontari, ai quali deve essere garantita parità di trattamento
seppure svolgono compiti differenti.
L'atto costitutivo e lo statuto saranno depositati presso la Camera di Commercio
della Provincia di appartenenza dove verrà formalizzata l'iscrizione al Registro
delle Imprese e all'Albo delle cooperative. Entro 30 giorni dalla costituzione, è
necessario chiedere l'attribuzione della Partita Iva e del codice fiscale all'ufficio
locale competente dell'Agenzia delle Entrate e iscriversi all'INPS e all'INAIL.
Nell'atto costitutivo i soci scelgono, per ragioni di capitale, la disciplina delle S.r.l.
(Società a responsabilità limitata) per la quale è prevista una quota inferiore di
capitale (10.000 euro) rispetto a quella prevista per le Società per azioni (120.000
euro).
Perché i gestori scelgono la cooperativa sociale come forma giuridica? Quali i
vantaggi?
La cooperativa sociale presenta una serie di aspetti vantaggiosi: semplicità
nella realizzazione, spese necessarie alla costituzione ridotte, capitale sociale non
elevato, agevolazioni fiscali e contributive.
Per i gestori di Case Famiglia la scelta della cooperativa è soprattutto legata all'
agevolazione di un favorevole regime IVA (imposta sul valore aggiunto). Esse
infatti, sono assoggettate all'aliquota IVA agevolata del 4%51 e ad altre
50
Articolo 45, 1° comma: "La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a
carattere di mutualità e senza fini da speculazione privata".
51
Come previsto dall'articolo 10 del DPR 633 del 1972 "Istituzione e disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto".
28
agevolazioni52 di natura fiscale che ne favoriscono la costituzione e che riguardano:
l'esenzione dall'IRES (imposta sul reddito della società) e la riduzione o, in alcuni
casi, l'esenzione dell'aliquota IRAP (imposta regionale sull'attività produttive).
Chi costituisce una cooperativa gode anche di un vantaggio patrimoniale in
quanto il rischio da parte del socio è circoscritto alla quota di capitale che viene
sottoscritta.
Ma chi gestisce una Case Famiglia, intese come entità operanti in un contesto
territoriale con il quale continuamente interagiscono, non può prescindere dal porre
una grande attenzione nei confronti di tutti i soggetti portatori di un qualsiasi
interesse verso la loro attività: soci, fornitori, utenti, istituzioni pubbliche, opinione
pubblica. Proprio per questo motivo, la scelta di costituire una cooperativa risponde
in maniera più adeguata a questa necessità in quanto essa permette la realizzazione
di una maggiore condivisione degli obiettivi dell'attività da parte dei soci, la
creazione di una partecipazione più consapevole alla vita sociale della cooperativa
e soprattutto una maggiore assunzione di nuove responsabilità.
Condividere il senso e l'obiettivo dell'attività è un elemento di facilitazione per
ciascuno socio, il quale non è un semplice addetto ma ricopre istituzionalmente una
responsabilità complessiva sull'adeguatezza del servizio reso all'utenza. Questo
vale sicuramente anche per i soggetti aderenti alle associazioni di cui parleremo
successivamente.
La costituzione, il deposito e l'iscrizione comportano comunque, per i soci, dei
costi. Per questo motivo, ci sono dei casi in cui lo stesso gestore ricorre ad un'altra
forma d'impresa, quella individuale che, rispetto alla cooperativa, è meno onerosa e
più semplice per la quale non è previsto l'obbligo di redigere nessun bilancio
sociale e minore è il controllo da parte dell'autorità giudiziaria53.
52
Le disposizioni di carattere agevolativo si applicano soltanto alle cooperative a mutualità
prevalente, come previsto dal Decreto Legislativo 6 del 2003 "Riforma organica della disciplina
delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della Legge 3 ottobre 2001, n. 366", a
condizione che introducano nei loro statuti le clausole fissate dall'articolo 2514 c.c.
53
Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell'autorità governativa (art.2545-
quaterdecies c.c.), finalizzata all'accertamento dei requisiti mutualistici e ad assicurare il regolare
funzionamento amministrativo e contabile delle stesse. La vigilanza spetta al Ministero dello
Sviluppo Economico ed è esercitata tramite revisioni e ispezioni straordinarie disposte ogni
qualvolta se ne ravvisa l'opportunità.
29
Le cooperative inoltre, non avendo per obiettivo il profitto, non possono avere
nel bilancio annuale un utile da ripartire tra i soci superiore ad una minima
percentuale del capitale sociale54.
2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale
L'impresa individuale è una forma giuridica sicuramente più semplice e meno
onerosa, richiede infatti, pochi adempimenti e una gestione più semplificata. Viene
scelta da chi vuole preservare la massima autonomia nella gestione dell'attività,
(non si hanno soci). Il soggetto titolare dell' impresa è obbligato alla semplice
iscrizione alla Camera di Commercio e a denunciare l'inizio dell'attività presso
l'Agenzia dell'Entrate al fine di farsi attribuire un numero di partita IVA. Anche per
l'impresa individuale bisogna provvedere a regolare una posizione presso l'INPS e
presso l'INAIL.
L'unico titolare è anche il solo responsabile dell'attività e ne risponde dinnanzi
alla legge (i rischi d'impresa e tutte le obbligazioni che nascono dall'attività
ricadono tutti su di lui) ed è anche l'unico promotore della sua attività. Il titolare,
nonché gestore della Casa Famiglia, rappresenta anche l'interlocutore principale
per le famiglie e per tutto il personale che opera all'interno della struttura.
In alcuni casi, la scelta dei gestori ricade sull'impresa individuale in quanto per
la sua costituzione non si impone una quantità minima di capitale iniziale da
investire, tale forma giuridica è infatti, preferita quando si devono svolgere attività
che non richiedono grandi investimenti e che comportano rischi abbastanza
limitati.
Oltre alla rapidità della tempistica per la sua costituzione e ai minori oneri
amministrativi, contabili e fiscali, l'impresa individuale comporta anche minori
costi di gestione, l'assenza di redigere il bilancio a fine anno (previsto invece per le
cooperative) e l'accentramento decisionale del titolare. Quest'ultimo aspetto
potrebbe risultare uno svantaggio in quanto l'assenza di soci potrebbe essere
considerata una mancata possibilità di confronto.
Seppur il peso delle responsabilità gravino su una sola persona, tale forma
giuridica viene preferita per i limitati vincoli sia per quanto riguarda le formalità da
54
Caratteristica peculiare delle cooperative è la variabilità del capitale in rapporto al variare del
numero dei soci.
30
espletare in fase di avvio, sia per quanto riguarda la massima libertà del titolare nel
prendere le decisioni più opportune55.
2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione
Negli ultimi anni i gestori delle Case Famiglie si stanno timidamente
indirizzando verso la scelta di una nuova forma giuridica per la cui costituzione è
previsto un iter burocratico celere e semplificato e dei costi ridotti per via di un
assetto organizzativo molto più indefinito e dei minori controlli da parte delle
autorità istituzionali.
L'associazionismo56 rappresenta ormai una valida alternativa per chi vuole
gestire attività, anche di tipo commerciale, indirizzate a particolari categorie di
soggetti a rischio di emarginazione sociale, come gli anziani.
Esistono differenti forme di associazioni: associazioni di volontariato, le quali si
avvalgono prevalentemente delle prestazioni volontarie e gratuite dei propri soci e
associazioni di promozione sociale, le quali svolgono attività di utilità sociale senza
finalità di lucro. Quest'ultime per la propria attività possono servirsi delle
prestazioni volontarie dei soci o rivolgersi a terzi riconoscendo dei compensi o
assumendo dei dipendenti.
Per costituire un'associazione è necessario redigere l'atto costitutivo contenente:
il nome dell'associazione, la sede, lo scopo sociale, i dati dei soci, del Presidente,
del vice Presidente e del Segretario. Mentre nello statuto viene regolata
l'organizzazione interna dell'associazione specificandone la finalità, le attività che
si intendono svolgere e gli organi, dati che verranno registrati presso l'Agenzia
delle Entrate territorialmente di competenza, dove verrà presentata anche domanda
di attribuzione delle partita IVA.
55
www.cna.it
56
La libertà di associazione è riconosciuta dall'articolo 18 della Costituzione, che stabilisce: "I
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati
ai singoli dalla legge penale". La forma delle associazioni è regolata all'interno del Titolo II del
Codice Civile (artt. 11-47) e dalle seguenti Leggi Nazionali: L. 266 del 1991 (Legge Quadro sul
volontariato) e L. 383 del 2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).
31
Anche se le associazioni non sono enti a scopo di lucro, possono svolgere tutte
le attività, anche di tipo commerciale, purché previste dallo statuto, compatibili con
lo scopo sociale e purché esse non siano prevalenti rispetto a quelle di volontariato.
Le associazioni che gestiscono una o più Case Famiglia perseguono
esclusivamente finalità di solidarietà sociale attraverso lo svolgimento di attività a
favore degli anziani al fine di migliorarne la qualità della vita e lo sviluppo
dell'autonomia. Per il perseguimento del proprio oggetto sociale, gli statuti
prevedono la possibilità per tali associazioni di:

fornire prestazioni di assistenza socio sanitaria, socio riabilitativa,
socio assistenziale domiciliare;

gestire autonomamente servizi di assistenza diretta alle persone;

acquisire o gestire strutture da destinare a residenze.
Per lo svolgimento di suddette attività è prevista la possibilità per l'associazione
di avvalersi sia di prestazioni retribuite che gratuite. L'attività degli aderenti, invece
non può essere retribuita in alcun modo, ogni forma di rapporto economico con
l'associazione derivante da lavoro dipendente o autonomo è incompatibile con la
qualità di socio. Oltre all'Assemblea dei soci (organo sovrano), sono organi
dell'associazione: il Consiglio direttivo e il Presidente che è anche il rappresentante
legale della Casa Famiglia e l'unico su cui ricade la responsabilità sia civile che
penale dell'associazione.
Perché i gestori scelgono l'associazione come forma giuridica? Quali i
vantaggi?
I motivi di questa scelta sono rinvenibili soprattutto nella necessità, da parte dei
gestori, di fornirsi di un gruppo con un obiettivo comune per la gestione di un
progetto innovativo come quello delle Case Famiglia per anziani.
La scelta di tale forma giuridica dipende anche dalla possibilità di trarre risorse
economiche per il funzionamento e lo svolgimento delle proprie attività dai
contributi, donazioni ed erogazioni liberali dei privati, dai fondi derivanti dal 5 per
mille (trattandosi di associazione che svolge attività in favore di anziani), oltre che
dalle entrate derivanti dall'attività commerciale.
32
Come previsto dall'articolo 8 della Legge Quadro n. 266 del 1991, "gli atti
costitutivi delle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente per fini di
solidarietà sociale e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti
dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro" (1° comma).
Per tale entità organizzativa inoltre, non c'è tassazione sulle somme ricavate
dalle attività effettuate nell'ambito dell'utilità sociale, sono previste esenzioni IVA
per le prestazioni ospedaliere e per le prestazioni socio sanitarie in genere.
L'unico vincolo per le associazioni è la redazione del bilancio annuale ma senza
l'obbligo di depositarlo in alcun ufficio, esso viene approvato dall'assemblea dei
soci e tenuto agli atti dell'organizzazione per essere liberamente consultato dai soci.
2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione
Al fine di snellire l'iter burocratico, evitando lunghe attese per i gestori
coerentemente con la logica della semplificazione, le Case Famiglie solitamente
rientrano tra quelle strutture non soggette all'obbligo di preventiva autorizzazione
al funzionamento. L'iter burocratico è simile a quello previsto per l'avviamento di
qualsiasi altra attività commerciale (ad esempio un bar). Il primo passo da
compiere è recarsi al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune di
residenza che serve come referente per tutte le pratiche amministrative e come
sportello informativo per i gestori.
Il legale rappresentante dell'impresa individuale, della cooperativa o
dell'associazione che intende aprire una Casa Famiglia è tenuto a fornire la sola
comunicazione dell'avvio dell'attività cui sarà allegata la documentazione prevista
secondo quanto disposto dai regolamenti e dalle leggi regionali, entro i termini
fissati. Sono obbligatori i seguenti documenti:
Comunicazione di avvio dell'attività
Essa sostituisce l'autorizzazione e viene compilata, su apposito modulo spesso
scaricabile dai siti internet dei Comuni, dal gestore in regime di autocertificazione,
per avviare la propria attività. Ai sensi dell'articolo 19 della Legge sul
33
procedimento amministrativo57 produce effetti immediati e deve essere corredata
delle autocertificazioni circa il possesso di requisiti soggettivi (morali e
professionali) e oggettivi (attinenti la conformità edilizia, igienico-sanitaria ecc.) Il
relativo modello deve essere compilato in ogni sua parte e deve contenere:

estremi anagrafici del rappresentante legale della società o del titolare
dell'impresa individuale o dell' Presidente dell'associazione;

estremi anagrafici del responsabile coordinatore della struttura;

denominazione o ragione sociale

indirizzo della sede legale, la quale non deve essere necessariamente
una sede fisica, si può indicare anche il domicilio di uno dei soci;

numero di codice fiscale o partita IVA;

data di avvio dell'attività;

numero massimo di utenti che possono essere ospitati nella sede;

caratteristiche dell'utenza ospitata;

numero e qualifiche del personale che opera nella Casa Famiglia;

modalità di accoglienza dell'utenza e la retta richiesta agli ospiti.
Tale comunicazione non prevede dei costi e deve pervenire al Comune entro 60
giorni dall'avvio dell'attività, in caso di omessa comunicazione al Comune entro i
termini indicati, si applicano le disposizioni delle rispettive norme regionali.
L'amministrazione di competenza, entro 60 giorni dal ricevimento, accerterà il
possesso e la veridicità dei requisisti dichiarati dando comunicazione dell'avvio del
procedimento (ai sensi degli articoli 7 e 8 della Legge 241 del 1990). Lo
svolgimento dell'attività in maniera difforme da quanto dichiarato può comportare
l'adozione, da parte degli organi competenti, di provvedimenti sanzionatori e
inibitori.
57
Secondo l'articolo 19 della Legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, "Ogni atto
di autorizzazione, licenza, [...], comprese le richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale o
commerciale [...] è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, per mezzo di
autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste [...] L'attività
può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all'amministrazione
competente".
34
Carta Dei Servizi
E' un documento elaborato nel rispetto della Legge n. 328 del 2000 che,
all'articolo 13 prevede: "ciascun ente erogatore di servizi adotta una Carta dei
Servizi Sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti".
Essa illustra i servizi offerti all'utenza ispirandosi ai principi di trasparenza,
uguaglianza, imparzialità, continuità, diritto di scelta, partecipazione, efficienza ed
efficacia ed è rivolta a chiunque voglia, a titolo personale, professionale o
istituzionale, conoscere la realtà della Casa Famiglia.
Uno strumento informativo che facilita il controllo della rispondenza dei servizi
effettivamente offerti a quelli promessi58.
La Carta dei Servizi intende essere il documento in cui vengono descritte e
aggiornate le caratteristiche delle prestazioni erogate e dove vengono esplicitate le
modalità secondo cui si definisce l'impegno di reciprocità nell'assunzione di doveri
precisi tra erogatore del servizio e fruitore.
Attraverso tale strumento il soggetto gestore che eroga il servizio si impegna a
rispettare determinati standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni con
l'intento di monitorarne e migliorarne le modalità di fornitura e somministrazione.
Nello specifico, la carta dei servizi contiene:

la descrizione della struttura;

le finalità del servizio;

i criteri e le modalità di accesso al servizio;

le tipologie di servizi offerti;

le figure professionali coinvolte;

i costi.
Essa è redatta tenendo conto dei diritti fondamentali dell'anziano, nonché delle
normative regionali in materia di assistenza, qualità e servizi preposti alla cura ed
assistenza dell'anziano.
58
C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in
Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e
nuovo welfare: atti del convegno, cit., p.33.
35
Altri documenti da allegare
Il soggetto gestore dovrà allegare alla documentazione sopra citata, la
planimetria dell'abitazione, la scheda tecnica di autocertificazione che attesti il
possesso dei requisiti strutturali e organizzativi, la dichiarazione antimafia che
certifichi (in caso di società) che nei confronti di ciascun socio non sussistono
misure di prevenzione59, curriculum del personale impiegato con copia dei relativi
contratti ed è inoltre, chiamato a presentare comunicazione di ogni altra variazione
(modifica della sede, del recapito telefonico, modifica della ragione sociale, ecc.) o
comunicazione di cessazione dell'attività.
Il Comune di competenza esamina la documentazione presentata ed
eventualmente richiede l'integrazione per i documenti incompleti o mancanti,
verifica il possesso dei requisiti minimi previsti dalle leggi regionali in vigore e
invia copia del provvedimento alla Provincia, che detiene un registro aggiornato
delle Case Famiglia, e ai Servizi Sociali del Comune di riferimento.
Inoltre, esercita attività di vigilanza e controllo, avvalendosi sei Servizi Sociali
Territoriali, dell'Azienda USL e della Polizia Municipale per accertare l'osservanza
di tutti gli adempimenti previsti dalla normativa vigente in materia di servizi socio
assistenziali attraverso visite periodiche. Nei casi di gravi e ripetute violazioni di
legge, il Comune può disporre la chiusura dell'attività.
59
L'autocertificazione in materia antimafia per le società cooperative deve essere rilasciata dal
rappresentante legale a dagli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione. Il socio è
chiamato a dichiarare che non sussistono nei propri confronti cause di divieto, di decadenza o di
sospensione di cui all'art.10 della Legge 31 maggio 1965 n.575 "Disposizioni contro la mafia".
36
CAPITOLO TERZO
L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA:
NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE
3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto
In linea con la tendenza registrata a livello nazionale, il fenomeno
dell'invecchiamento della popolazione rappresenta un trend rilevabile anche in
Emilia Romagna60.
L'Emilia Romagna pur collocandosi tra le regioni italiane con la più alta
capacità di copertura del bisogno tramite interventi residenziali, negli ultimi anni
ha assistito alla nascita di nuove soggettività sociali promotrici di azioni per il
benessere dei cittadini e alla diffusione di servizi sempre più diversificati e
personalizzati. Un processo che ha dato vita a numerosi soggetti sociali in grado di
dare risposte innovative ai nuovi bisogni emergenti tenendo conto dell'impossibilità
di espandere ulteriormente la spesa pubblica.
In un contesto di crisi economica e sociale, che vede un maggior contenimento
degli interventi pubblici statali, l'iniziativa dei privati profit che decidono di aprire
delle Case Famiglia rivolte non più solo ai minori ma anche agli anziani, si colloca
nell'ambito di valorizzazione di un diverso spazio di intervento ad esse attribuito,
perseguendo il rilancio dell'efficienza dei servizi collettivi per la costruzione di un
nuovo welfare.
Anche in Emilia Romagna si assiste dunque, ad una profonda innovazione
organizzativa e culturale del sistema assistenziale che vede lo sviluppo di una rete
di servizi alternativi il cui spazio di azione si colloca tra lo Stato (ossia il pubblico)
60
Secondo gli ultimi dati Istat (2012), in Emilia Romagna gli anziani sono aumentati di 17.605
unità (+ 1,8%), arrivando al 22,5% della popolazione. Parte di questo incremento si concentra sui
grandi anziani (di 80 anni e più), che sono aumentati nel corso dell'anno del 2%, arrivando al
7,2% della popolazione. Di questi circa 2 su 3 sono femmine. Fonte: www.regione.emiliaromagna.it
37
e il mercato61. Non si tratta però di un mercato finanziario inteso in senso
tradizionale, bensì di un "mercato civile"62 all'interno del quale vi è una maggiore
attenzione alla valorizzazione della qualità delle relazioni sociali.
Quando si parla di Case Famiglia ci si trova di fronte ad una realtà per certi
versi giovane e forse proprio per questo estremamente dinamica63. Nel Comune di
Parma, come vedremo, esse rappresentano un vero e proprio potenziale sociale per
il territorio, un settore in continua espansione che indica una direzione di
cambiamento nelle forme di erogazioni dei servizi assistenziali alternativi al
ricovero in istituto e segnano il passaggio progressivo da un sistema fondato sulla
dominanza della fornitura pubblica di servizi, ad un sistema misto che consente
maggiore competizione e pluralismo tra i diversi fornitori.
Colpisce la ricerca di soluzioni alternative da parte delle famiglie, un vero e
proprio rovesciamento storico rispetto alla cultura "familista" che ha sempre
caratterizzato il nostro Paese. Sicuramente il passaggio da un sistema in cui
prevalevano le cure familiari informali ad uno in cui sono sempre più rilevanti le
prestazioni rese da personale retribuito (siano operatrici delle Case Famiglia, siano
badanti), è rilevante in una Regione che registra il più alto tasso di occupazione
femminile d'Italia64.
Nel contesto emiliano-romagnolo è maggiore la domanda espressa di servizi
alla persona per via di una serie di fattori che forse sono più evidenti rispetto ad
altri territori: vi è da un lato una maggiore propensione individuale o familiare ad
avvicinarsi ai servizi, dall'altro vi è una maggiore disponibilità di servizi in grado
di rispondere, almeno parzialmente, alle esigenze dei cittadini.
E' pur vero che la realtà delle Case Famiglia per anziani si è concentrata, nella
Regione, in contesti territoriali molto limitati, rimanendo sconosciuta in molte altre
zone. Parma, ad esempio, è l'unica Provincia che ha registrato un vero e proprio
61
A.C. Giorio, Impresa sociale, crisi e sussidiarietà "Osservatorio Isfol", I (2011), n. 3-4, pp. 45-
55.
62
P. Donati, Introduzione. Alla ricerca di ciò che rende "civile" la società, in P. Donati, I.
Colozzi (a cura di), La cultura civile in Italia: tra Stato, mercato e privato sociale, Il Mulino,
Bologna 2002.
63
www.veniteallafesta.org
64
Nel 2011 il tasso di occupazione femminile in Emilia Romagna era pari a 50,9%,
posizionandosi al di sopra della media italiana (47,2%). Fonte ISTAT.
38
"boom" di Case Famiglia per anziani ed è anche l'unica ad avere dettato norme in
materia, mentre a Bologna, Modena e Piacenza queste strutture sono addirittura
poco o per nulla conosciute, esse vengono definite attraverso l'utilizzo di una
varietà terminologica che attribuisce loro significati divergenti. Spesso con il
termine "casa famiglia" si indicano strutture che, invece, hanno caratteristiche
simili ma non equivalenti a quelle di una Casa Famiglia vera e propria.
3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia
In Emilia Romagna i requisiti e le procedure per l'autorizzazione al
funzionamento dei servizi socio sanitari e sociali sono stati definiti con delibera
della Giunta Regionale n. 564 del 200065, così come previsto dall'articolo 35 della
Legge Regionale n. 2 del 2003 Norme per la promozione della cittadinanza sociale
e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi: "la Giunta
Regionale stabilisce con propria direttiva quali servizi e strutture sono soggetti
all'autorizzazione e quali sono soggetti alla comunicazione di avvio attività" (1°
comma), prevedendo altresì che lo stesso Consiglio Regionale stabilisca "con
propria direttiva le modalità di comunicazione di avvio attività per i servizi e gli
interventi non soggetti ad autorizzazione al funzionamento" (2° comma) tra i quali
rientrano le Case Famiglie.
Secondo il provvedimento regionale del 2000 le Case Famiglia, che accolgono
fino ad un massimo di sei ospiti, rientrano tra le strutture non soggette all'obbligo
di autorizzazione e per le quali il soggetto gestore è tenuto a comunicare il solo
avvio di tale attività (articolo 3), entro 60 giorni, al Comune del territorio
indicando, in conformità con quanto previsto dall'articolo 9 della delibera:

la denominazione e l'indirizzo esatto della sede in cui si svolge l'attività;

la denominazione, la natura giuridica e l'indirizzo del soggetto gestore;

il numero massimo (entro le sei unità) di utenti che possono essere
ospitati;

65
caratteristiche dell'utenza;
Direttiva Regionale per l'autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e
semiresidenziali per minori, portatori di Handicap, anziani e malati di AIDS, in attuazione della
L.R. 12 ottobre 1998, n. 34. In Appendice A/2, p.78.
39

il numero e le qualifiche del personale che vi opera;

le modalità di accoglienza dell'utenza;

la retta richiesta agli ospiti o ai familiari.
Nei casi di inosservanza di tale obbligo la legge prevede sanzioni
amministrative per i gestori66, mentre nei casi in cui, "a seguito di verifica disposta
dal Comune o dalla Regione, viene accertata l'assenza di uno o più requisiti minimi
o il superamento della capacità recettiva autorizzata, il Comune diffida il legale
rappresentante del soggetto gestore a provvedere al necessario adeguamento entro
il termini stabilito nell'atto di diffida"67.
I requisiti minimi funzionali e strutturali e i requisiti generali riguardanti il
personale che opera all'interno di ciascuna Casa Famiglia sono i medesimi previsti
dal Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale n. 308 del 2001, la Delibera
Regionale 564 del 2000 ne stabilisce gli standard e le modalità.
L'articolo 8 introduce inoltre, l'obbligo di istituire, presso ciascuna
Amministrazione provinciale, un registro delle Case Famiglia, costantemente
66
Articolo 39, Legge n. 2 del 2003 prevede: "Chiunque apra, ampli, trasformi o gestisca una
struttura socio assistenziale o socio sanitaria di cui all'articolo35, senza avere ottenuto la
preventiva autorizzazione al funzionamento, è punito con la sanzione amministrativa da euro
2.000 ad euro 10.000. L'apertura, l'ampliamento, la trasformazione o la gestione di una struttura
socio assistenziale o socio sanitaria, o l'erogazione di un servizio, senza l'acquisizione della
prevista autorizzazione al funzionamento, comportano inoltre la chiusura dell'attività disposta con
provvedimento del Comune competente, che adotta le misure necessarie per tutelare gli utenti"
(1°comma). "Il gestore di struttura che, in possesso di autorizzazione al funzionamento, supera la
capacità ricettiva massima autorizzata, è punito con la sanzione amministrativa di euro 2.000 per
ogni posto che supera la capacità ricettiva autorizzata. In caso di violazione della capacità
ricettiva il Comune inoltre diffida il gestore a rientrare nei limiti entro un termine fissato"
(2°comma). "Il Comune può inoltre disporre la revoca o la sospensione dell'autorizzazione al
funzionamento, in relazione alla gravità della violazione, qualora accerti il venire meno dei
presupposti che hanno dato luogo al suo rilascio. Il provvedimento di revoca o sospensione deve
indicare gli adempimenti da porre in essere e la documentazione da produrre per riprendere
l'attività" (3°comma). "La decisione del gestore di interrompere o sospendere l'attività autorizzata
deve essere preventivamente comunicata al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione. In caso di
inosservanza si applica la sanzione amministrativa da euro 1.000 ad euro 3.000 (4°comma). "In
caso di inosservanza dell'obbligo di denuncia di avvio di attività previsto all'articolo 37 si applica
la sanzione amministrativa da euro 300 ad euro 1.300" (5°comma).
67
Articolo 9, DGR 564 del 2000, in Appendice A/2, p.78.
40
aggiornato in seguito a qualsiasi provvedimento adottato dai Comuni competenti,
anche rispetto all'attività di vigilanza che quest'ultimi esercitano sulle singole
strutture. Tale Delibera rappresenta l'unico strumento normativo prodotto dalla
Regione Emilia Romagna che disciplina in poche e semplici righe alcuni degli
aspetti legati alla materia.
3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA
"Parma è stata una città che da sempre si è caratterizzata per le sue importanti
scelte politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità
classica".
Così il dottor Fabio Cavicchi, Commissario UNEBA68 per la Regione Emilia
Romagna, definisce la realtà all'avanguardia di questo Comune, che da anni
rappresenta un esempio per molte province di Italia in materia di Case Famiglia per
anziani. Il dottor Cavicchi è anche Direttore Generale della Fondazione Santa
Clelia Barbieri e, dunque, conosce bene la dimensione dei servizi socio
assistenziali del territorio.
La Fondazione nasce a Vidiciatico, nell' Appennino Bolognese, e gestisce una
pluralità di strutture che hanno come obiettivo quello di sostenere anziani e disabili
che, per le loro condizioni fisiche, psichiche o socio relazionali, non possono
rimanere nel loro ambiente familiare.
Essa opera attraverso l'erogazione di servizi differenziati e personalizzati,
secondo la tipologia di bisogno espresso: casa di riposo, casa protetta o centro
diurno. Ma tra le strutture più innovative che rientrano in questa ampia idea
progettuale vi è una residenza protetta rivolta ad anziani parzialmente
autosufficienti che comprende vari appartamenti aggregati, una casa famiglia e un
68
Unione Nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale. Sorge nel 1950 ed opera in molte
regioni d'Italia. Ad essa appartengono enti, istituzioni, associazioni, fondazioni, imprese sociali ed
altre realtà operanti del campo sociale, socio-sanitario ed educativo. UNEBA promuove le libere
iniziative assistenziali e la loro libera partecipazione alla programmazione in tutte le sue fasi;
rappresenta e tutela le associazioni e le iniziative associate nei loro rapporti con gli organi
legislativi, governativi ed amministrativi; approfondisce dei problemi sociali e promuove
iniziative di formazione per gli operatori sociali. Fonte: www.uneba.org
41
gruppo appartamento (appartenenti entrambi alla medesima unità strutturale), ossia
delle strutture socio assistenziali, di ridotte dimensioni, destinate ad anziani o
disabili autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Esse consentono una
maggiore autonomia dell'ospite che, comunque, viene supportato dalla struttura
centrale.
Insomma, si tratta di un progetto che vuole sperimentare ed affiancare alle
strutture residenziali tradizionali, una serie di servizi innovativi all'interno del
sistema di assistenza.
Alla luce delle esperienze realizzate e delle sperimentazioni avviate nel settore
dei servizi residenziali per anziani e/o disabili, da parte della Fondazione, nel corso
dell'incontro con il dottor Cavicchi, sono emersi degli spunti operativi circa le
direzioni da intraprendere per rispondere in maniera sempre più efficiente ed
efficace alle nuove esigenze dell'attuale sistema socio assistenziale e socio
economico, ma sono sorte anche delle riflessioni sulla scarsa visibilità sociale e
legittimazione istituzionale di queste particolari tipologie di strutture dovuta, in
parte, all'assenza di una normativa regionale specifica sull'argomento, prendendo
atto che la Delibera Regionale n. 564 del 2000 non fornisce indicazioni dettagliate
sulle modalità di gestione né delle case famiglia, né dei gruppi appartamento69.
Quali sono i motivi per i quali le Case Famiglia per anziani si sono
sviluppate, paradossalmente, in quelle regioni, come l'Emilia Romagna, che
godono di un sistema di welfare efficiente e dove vi è un'offerta estesa di
servizi tradizionali?
"Il settore dei servizi socio-assistenziali è un settore particolare, dove non è la
domanda (di servizi) che crea l'offerta ma succede esattamente il contrario: viene
creata l'offerta e a quel punto nasce la domanda. Quindi, se in un determinato
territorio si sviluppa la cultura di un servizio, questo viene offerto agli utenti
generando , di conseguenza, la crescente domanda di quello stesso servizio.
Creare dei servizi sempre più differenziati permette di cucire un vestito su
misura per ognuno. Non può esistere solo il centro diurno, l'assistenza domiciliare
69
Viene soltanto specificato il numero di ospiti che possono essere accolti all'interno delle
strutture (6), senza prevedere una chiara definizione dell'utenza ammissibile e dei livelli di
autosufficienza consentiti.
42
o la casa protetta. Non può esistere un unico contenitore dove metterci di tutto. I
servizi vanno differenziati e non eliminati. Le Case Famiglia, ad esempio, nascono
per rispondere ai bisogni di un target molto particolare di persone che, per le loro
condizioni, non necessitano di entrare in struttura ma non possono nemmeno
restare in casa".
Perché il Comune di Parma si è distinto fra tutti per aver introdotto delle
Linee Guida per la disciplina delle Case Famiglia?
"Il motivo è legato all'adozione di scelte politiche, da parte della classe
dirigente, mirate a potenziare una rete di servizi alternativi alla residenzialità
tradizionale che, da sempre, hanno caratterizzato questo Comune rispetto ad altri.
A Bologna, ad esempio, forse è mancata una scelta politica in tal senso".
Per quanto riguarda l'anziano in Casa Famiglia, egli può essere definito
come un soggetto istituzionalizzato?
"Dipende sicuramente dalle modalità con le quali queste strutture vengono
gestite. Se l'anziano viene sottoposto a stimoli che favoriscono le interazioni
sociali, la sua autonomia e indipendenza, aiutandolo a mantenersi il più attivo
possibile, ad esempio consentendogli di muoversi liberamente anche fuori dalla
struttura: fare una passeggiata, andare al bar ecc., allora non può essere
considerato istituzionalizzato in quanto le attività svolte quotidianamente
all'interno della struttura possono essere in parte assimilabili a quelle svolte nella
propria residenza".
Sarebbe opportuno, in futuro, pensare ad un possibile sistema di
accreditamento per le Case Famiglia?
"Sì, un possibile accreditamento delle Case Famiglia potrebbe essere
conveniente per far rientrare queste strutture nel pieno della rete di servizi".
Perché è così importante rientrare nella rete dei servizi?
43
"Essere in rete rafforza il valore del servizio quindi, per chi gestisce queste
strutture è penalizzante dover essere considerati al di fuori. Da qui l'importanza,
per queste strutture, di essere riconosciute a livello sociale ed istituzionale e
quindi, disciplinate".
La Regione ha mai pensato di prevedere una forma di accreditamento
anche per questa particolare tipologia di struttura?
"Sì, se ne parlava prima della crisi economica. La Regione aveva preso in
considerazione l'ipotesi di prevedere il libero accreditamento
per le Case
Famiglia ma essa non si è mai concretizzata. Sicuramente, la realizzazione di
un'idea simile consentirebbe ai comuni di esercitare al meglio le proprie funzioni
di vigilanza e controllo".
Oggi, soprattutto per le esperienze più evolute come quella di Parma o Bologna,
quest'ultima conosciuta grazie alla testimonianza del dottor Cavicchi, diviene
fondamentale misurarsi con la necessità di creare un sistema di servizi alla persona
aperto alle trasformazioni richieste dai cambiamenti sociali ed economici in atto.
Ma, di fronte alle sfide dei nuovi scenari economici tutto appare più complicato e
salvaguardare ciò che i servizi socio assistenziali hanno saputo garantire finora è
già tanto.
La prospettiva futura di assorbire nel sistema di accreditamento regionale
strutture come le case famiglia o i gruppi appartamento potrebbe essere
fondamentale non solo per la qualità dell'assistenza, attraverso l'accertamento del
possesso e del mantenimento di una serie di requisiti strutturali ed organizzativi,
ma anche per garantire l'efficienza e la sostenibilità economica.
E' perciò doveroso per le regioni intervenire per rispondere alla crisi
economica, provando ad attribuire ai servizi socio assistenziali presenti sul
territorio il giusto riconoscimento, non eliminandoli ma valorizzandoli e provare a
rinsaldare il legame con le rispettive comunità.
44
3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma
In molte città italiane le Case Famiglia per anziani rappresentano non solo una
risposta concreta per il territorio, ma anche il risultato di una realtà sociale in
continuo movimento.
Una tematica che, a Parma, ha acquistato rilevanza crescente, ponendosi in
misura sempre più insistente all'attenzione dei policy markers, a fronte
dell'incremento di soggetti privati che decidono di avviare questo genere di attività.
Nel giro di quindici anni, si sono costituite ben venti Case Famiglia, un vero e
proprio record per il Comune parmigiano, dove il tema di una innovazione
profonda del modello di servizi per gli anziani non è del tutto nuovo ma, da anni,
impegna le diverse amministrazioni comunali, attraverso l'adozione di scelte
politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità classica,
tutte scelte guidate da un unico filo conduttore: la volontà di restituire dignità e
diritti agli anziani anche quando perdono la loro autosufficienza.
Si tratta di un processo che segna una nuova stagione delle politiche
assistenziali territoriali, fondato sull'idea che le regole del mercato, una volta
adattate ad un prodotto particolare quale è il servizio di cura, consentono
un'espansione del sistema di assistenza senza un aggravio eccessivo di costi per
l'amministrazione pubblica.
Sollevare l'attenzione delle istituzioni sul tema delle Case Famiglia permette un
miglioramento della qualità dell'assistenza da parte di chi lavora in questo settore
che, nella sua complessità, comprende insieme la dimensione assistenziale e quella
relazionale e, allo stesso tempo, consente lo sviluppo di azioni volte a migliorare la
qualità di vita di chi riceve le cure.
Nella città di Parma la domanda di questo tipo di servizio continua a crescere in
seguito all'aumentare della popolazione anziana e alle trasformazioni in atto dei
modelli familiari. Comprendere le ragioni e le prospettive della scelta di tante
famiglie che si sono rivolte a delle Case Famiglia, assume un significato ed una
dimensione assolutamente particolare in un comune come questo, ricco di servizi
"tradizionali" e opportunità di sostegno.
Se l'obiettivo di questi servizi alternativi è assicurare risposte più personalizzate
e più flessibili, più aderenti agli stili di vita e alle aspettative degli anziani, colpisce
ancora oggi, l'assenza di un'adeguata riflessione sulle condizioni degli anziani in
45
Casa Famiglia nel panorama politico nazionale e regionale. Al fine di colmare, in
parte, questo vuoto normativo, nella convinzione che solo attraverso un
investimento di risorse in questa direzione sia possibile perseguire obiettivi di
qualità e di vero benessere per gli anziani, il Consiglio Comunale di Parma, nel
2008, ha definito con Delibera n. 84/15 delle Linee guida per la disciplina, la
valorizzazione e la qualificazione delle Case Famiglia per anziani e per l'esercizio
delle attività di vigilanza e controllo70 che ne regolano il funzionamento e
declinano le funzioni amministrative e di vigilanza in capo all'Ente Pubblico
Locale.
Una normativa orientata a fornire ai gestori e, a chiunque voglia avviare
un'attività di questo tipo, un quadro di riferimento che mira a garantire la qualità
del servizio erogato. Dopotutto compito di un'amministrazione locale è proprio
quello di leggere i bisogni emergenti e ricercare nuove soluzioni che si adattino ai
cambiamenti sociali in atto, favorendo l'autonoma iniziativa dei privati, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Con l'introduzione delle Linee Guida viene definitivamente abolito il precedente
Regolamento per la vigilanza nelle strutture residenziali per anziani con un
numero di ospiti fino ad un massimo di sei denominate case famiglia del 2006.
Sicuramente esso si caratterizzava per una più immediata e diretta applicabilità
oltre che ad essere maggiormente vincolante ed incisivo rispetto alle attuali Linee
Guida le quali lasciano maggiore arbitrio di decidere il modo con cui operare per
adempiervi.
Secondo quanto stabilito dalle Linee Guida, le Case Famiglia, nate su iniziativa
privata, che operano sul Territorio Comunale di Parma, possono accogliere anziani
autosufficienti e/o che necessitano di bassa intensità assistenziale, certificata dal
Medico di Medicina Generale.
Ma come stabilire esattamente il livello di autosufficienza di un anziano?
Spiegare il concetto di autosufficienza risulta molto complesso poiché i criteri
di definizione utilizzati dalle singole regioni, in assenza di indirizzi legislativi
unitari a livello nazionale, sono molto eterogenei. In Emilia Romagna i parametri
utilizzati per individuare una persona autosufficiente vengono determinati
70
In Appendice C, p. 91.
46
dall'UVG71 attraverso l'utilizzo della scala BINA (Breve Indice di Non
Autosufficienza)72.
Essere autosufficiente (o parzialmente) è dunque, condizione necessaria per
essere accolti in Casa Famiglia, ma cosa succede se le condizioni dell'ospite non
sono più compatibili con le caratteristiche proprie della struttura?
Nei
casi
di
variazione o perdita dell'autosufficienza
viene attivato
immediatamente il Medico Geriatra, secondo le modalità previste dalle Linee
Guida e, laddove venga accertata la non compatibilità dell'anziano, "verrà
assegnato alla Casa Famiglia un termine idoneo al trasferimento dell'ospite". Il
Comune "in caso di comprovate gravi carenze che possano pregiudicare la
sicurezza dell'ospite" può procedere alla diffida del legale rappresentante,
invitandolo a "provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito
nell'atto di diffida".
3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida
Come ampliamente descritto nel capitolo secondo, per i soggetti privati che
intendono aprire una Casa Famiglia per anziani, l'iter burocratico da seguire è
simile a quello previsto per l'avviamento di una qualsiasi altra attività commerciale
(ad esempio un bar).
Il primo passo da compiere è recarsi al Settore Sportello Unico Impresa Edilizia
del Comune di Parma, quale referente per tutte le pratiche amministrative e
principale sportello informativo al quale comunicare l'avvio dell'attività (entro 60
71
Unità di Valutazione Geriatrica, un'equipe multiprofessionale, composta da un medico geriatra,
un infermiere e un'assistente sociale, incaricata di valutare le condizioni di bisogno del soggetto, il
suo livello di non autosufficienza e di elaborare un Programma Assistenziale Individualizzato
(PAI).
72
BINA è una scala di disabilità che analizza 10 items, ognuno dei quali dotato di 4 modalità
ordinate e di un punteggio, che indica la gravità della disabilità. Gli items sono: medicazioni,
necessità di prestazioni sanitarie, controllo sfinterico, disturbi cognitivi e/o comportamentali,
funzioni del linguaggio, deficit sensoriali, mobilità, attività della vita quotidiana, fattori abitativi e
ambientali, stato della rete familiare e sociale. Il valore dell'indice corrisponde al punteggio totale
riportato nella valutazione, tale valore va confrontato col valore soglia, pari a 230. Sono
considerati non autosufficienti i soggetti con punteggio superiore a 230.
47
giorni) e fornire tutti gli allegati previsti (scheda tecnica73, planimetria e carta dei
servizi), che provvederà a trasmettere la documentazione alla Struttura Operativa
Anziani, copia della Comunicazione di Inizio Attività verrà trasmessa ai Nas,
all'Ispettorato del Lavoro e all'Azienda USL. Ogni anno tutte le C.I.A. vengono
inviate alla Provincia, che detiene un registro delle case famiglia74 come da
adempimento normativo, tramite la compilazione di un apposito modello a ciò
predisposto75.
Per il Comune invece è previsto l'obbligo di tenere un elenco aggiornato delle
Case Famiglia attive contenente la denominazione della struttura, l'indirizzo, il
nominativo del legale rappresentante e le rispettive C.I.A., si tratta di un elenco
pubblico e quindi accessibile ad ogni cittadino che può richiederlo in qualsiasi
momento.
Una procedura dunque, molto snella e celere che sicuramente avvantaggia i
gestori la cui attività viene però sottoposta a regolare controllo e vigilanza, non
solo da parte dell'Ente Pubblico ma anche da parte dell'Azienda USL, dei Nas e
dell' Ispettorato del Lavoro.
Il Comune, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, è chiamato ad
effettuare, almeno due volte all'anno, delle verifiche a sorpresa presso le strutture
avvalendosi di un gruppo tecnico di sopralluogo, composto solitamente da
un'assistente sociale coordinatrice del Polo Territoriale di riferimento, una RAA76 e
un referente infermieristico dell'USL, che provvederà alla compilazione del
73
Il Comune di Parma ha predisposto un apposito modello di scheda tecnica da compilare in
regime di autocertificazione da parte dei soggetti gestori di attività socio assistenziale denominate
Case Famiglia. Tale strumento certifica i requisiti strutturali ed organizzativi, ossia la tipologia
dell'immobile, la capacità ricettiva complessiva, il rispetto delle norme contrattuali, assicurative e
previdenziali previste per la stipula dei contratti di lavoro dei dipendenti, la presenza del Medico
di Medicina Generale, la presenza di un coordinatore responsabile, l'adozione della carta dei
servizi e di un registro degli ospiti con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza e ogni
altro requisito previsto dal D.M. del 21 maggio 2001 n. 308.
74
Come previsto dall'articolo 8 della D.G.R. 564 del 2000.
75
Per le comunicazioni di avvio attività il modello è: "Mod.DEN1" allegato alla D.G.R. 564 del
2000. In Appendice B, p. 90.
76
Responsabile delle Attività Assistenziali la cui presenza è prevista dal DGR 1378 del 1999; il
DGR 564/2000 inoltre, inserisce la R.A.A. fra il personale addetto alle funzioni socioassistenziali, socio-sanitarie ed educative.
48
cosiddetto Modulo di Sopralluogo Congiunto, ossia un modello prestampato
all'interno del quale vengono trascritti tutti i dati riportati nel registro degli ospiti
(estremi anagrafici di ciascun ospite, recapito telefonico del familiare referente,
nominativo del Medico di Base, data di ingresso dell'ospite nella struttura e data di
dimissione, se presente). Tale modulo viene compilato in tutte le sue parti, in base
alle rispettive competenze, dai seguenti organi:

al Dipartimento Igiene Pubblica competono gli aspetti strutturali
(adeguatezza delle stanze e del bagno, modalità di preparazione e
conservazione degli alimenti, numero dei posti letto per ciascuna
camera, esistenza di barriere architettoniche, adeguatezza degli arredi,
pulizia degli ambienti);

al Dipartimento Cure Primarie dell'Azienda USL competono gli aspetti
medico infermieristici (esame della cartella infermieristica, del diario
clinico, della scheda terapica, della scheda dietetica);

alla Direzione Programma di Geriatria Territoriale competono gli
aspetti geriatrici (livello di autonomia, stato psichico, ecc.);

ai Servizi Sociali competono gli aspetti organizzativo/funzionali
(numero degli operatori e presenza di documentazione che ne attesti il
tipo di qualifica, presenza dell'infermiere professionale, presenza del
registro e delle schede informative degli ospiti, presenza dei Piani
Assistenziali Individualizzati) e gli aspetti socio assistenziali (presenza
di attività di socializzazione/animazione e di interventi finalizzati al
miglioramento della qualità della vita).
Il verbale di sopralluogo viene rimandato al Dirigente del Settore Welfare e
inviata una copia a tutti gli altri soggetti coinvolti.
Scopo dei sopralluoghi, oltre a rilevare eventuali elementi di positività o
criticità relativi all'attività assistenziale posta in essere dalla struttura, è verificare
lo stato di funzionamento dell'intera organizzazione, individuare eventuali
problematiche (espresse e non), assicurarsi che ogni gestore conservi in maniera
accurata tutta la documentazione cartacea predisposta per ciascun ospite, raccolta
in sede di accoglimento della domanda (vedi tabelle 1 e 2).
49
Tabella 1. Cartella infermieristica: principali elementi rilevati
Denominazione e indirizzo della Casa Famiglia
Caratteristiche dell'ospite:
1) dati anagrafici
2) data di ingresso e provenienza (domicilio o ospedale)
3) familiari di riferimento
4) uso di ausili, presidi antidecubito, mezzi di contenzione
5) modalità di alimentazione
6) tipo di dieta
7) eliminazione urinaria e fecale
Anamnesi:
1) familiare
2) patologica remota
3) patologica attuale
4) farmacologica
Diario clinico medico
Scheda di terapia
Diario di assistenza socio sanitaria integrata
La tabella 1 contiene i principali dati che vengono registrati all'interno della
cartella infermieristica,
uno strumento organizzativo imprescindibile
per
ottimizzare e sistematizzare le informazioni riguardanti l'intero processo
assistenziale, tenuto costantemente aggiornato in base alle condizioni cliniche
dell'ospite che col tempo possono modificarsi.
50
Tabella 2. Scheda informativa sull'attività di vita dell'ospite per il
mantenimento del suo benessere
Dati relativi all'ospite







estremi anagrafici
stato civile
attività lavorativa precedentemente svolta
medico curante (recapito telefonico, indirizzo ambulatorio)
generalità dei familiari di riferimento
certificazione dell'invalidità di accompagnamento
data di ingresso (temporaneo o a tempo prolungato)
Abitudini di vita dell'ospite








orari
attività della mattina e del pomeriggio
attitudine a stare da solo o in compagnia
capacità di esprimere i propri bisogni/necessità/preferenze
principali argomenti di conversazione
attività proposte poco gradite
abitudini alimentari
frequenza delle visite ricevute e/o uscite con familiari e/o amici
Indicazioni dei familiari in caso di eventi urgenti o straordinari
riguardanti lo stato di salute dell'ospite
OBIETTIVI realistici
che gli operatori della casa famiglia si propongono di
raggiungere per il benessere dell'ospite
I dati contenuti nella scheda illustrata nella tabella 2 rappresentano
un'importante fonte informativa sia per il gestore, sia per le operatrici che
forniscono l'assistenza, sia per il gruppo tecnico di sopralluogo in quanto, oltre alle
classiche notizie anagrafiche, fornisce una serie di notizie sulla rete di relazioni
familiari alla quale fare riferimento, ma soprattutto consente di attivare un processo
di conoscenza dell'anziano: carattere, abitudini, gusti, legami familiari e sociali al
fine di indirizzare le risorse interne alla casa famiglia al corretto mantenimento e
51
recupero dell'anziano nella sua interezza preservando e, se possibile, ripristinando
le condizioni funzionali, cognitive e relazionali eventualmente compromesse.
La cartella infermieristica e la scheda informativa vanno aggiornate in maniera
continuativa e sistematica in modo da poter in ogni occasione, ricostruire il
percorso dell'ospite per evitare eventuali anomalie (relative all'incompleta
compilazione delle cartelle sanitarie o all'assenza dei piani assistenziali
individualizzati).
Determinante è dunque il ruolo dell'Ente Pubblico e dell'azienda USL nel
monitorare i continui cambiamenti in atto in modo da garantire costantemente la
tutela e la sicurezza dell'anziano e la qualità del servizio.
3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio?
Parma da sempre si è distinta per aver svolto un ruolo di primo piano, nel
panorama nazionale, nel proporre assetti territoriali di intervento nel settore delle
Case Famiglia. Una tematica complessa, frutto di numerosi dibattiti nello scenario
politico della città, ma anche così nuova e inesplorata, non tanto in termini di
prestazioni erogate ma in termini di impatto sulla comunità locale.
In passato non sono mancati episodi che hanno visto affiorare accuse pesanti nei
confronti delle Case Famiglia. Un esempio è la dichiarazione resa dal Segretario
Generale Cgil di Parma pubblicata sulle pagine di un giornale locale il 3 luglio
dello scorso anno:
"assistiamo alla crescita del fai da te nei servizi rivolti agli anziani [...]
continuano a spuntare case famiglia con offerte, a detta dei nuovi imprenditori,
pari alle "residenze assistite". Eppure noi sappiamo bene che queste strutture sono
fuori dal sistema di assistenza, non hanno regole (tranne un timido regolamento
del Comune di Parma). Insomma ancora una volta si è scoperto che gli anziani
possono diventare un business anche facendo leva sull'attuale difficoltà delle
famiglie a sostenere costi e a trovare risposte immediate"77.
77
www.gazzettadiparma.it
52
Una dura affermazione che fa ben comprendere quali siano ancora i nodi da
sciogliere all'interno del dibattito nel panorama politico e sociale parmigiano sulle
Case Famiglia considerate ancora fuori dal sistema di welfare. Eppure sono tanti i
professionisti che con competenza agiscono nel controllo all'interno delle
abitazioni che ospitano gli anziani, il lavoro del Comune è un lavoro costante come
dimostra una dichiarazione resa nel 2008 dall'Assessore alle Politiche Sociali in
occasione di un blitz da parte dei Nas che portò a disporre l'immediata cessazione
dell'esercizio dell'attività socio assistenziale di una casa famiglia:
"chiudere le strutture che non rispettano i criteri minimi imposti dalla legge per
salvaguardare i soggetti che dovrebbero aiutare, serve anche a valorizzare la
professionalità di tanti operatori del sociale, pubblici e privati, che fanno i salti
mortali per dare un servizio adeguato ai bisogni delle persone. E sono tanti in
città"78.
Sono tante le persone che considerano queste strutture un'importante risorsa per
la città, un vero potenziale sociale da valorizzare e sempre più numerosi anche i
cittadini che usufruiscono di questo particolare servizio che, nonostante le critiche,
è molto lontano dalla cultura del "fai da te", bensì si tratta di un'attività normata da
leggi nazionali e delibere regionali in base alle quali il Comune esercita attività di
vigilanza. Come poter trascurare o sottovalutare un aspetto così rilevante?
Ciò non esclude l'opportunità di pensare a possibili percorsi evolutivi a livello
normativo, a livello burocratico e a livello formativo che si possono tradurre in
forme di sensibilizzazione o in azioni volte a favorire il radicamento sul territorio
di un'effettiva cultura delle case famiglia, intese come strumento di arricchimento
del tessuto sociale e come un'opportunità per accrescere il benessere della
comunità.
In quest'ottica pensare ad un business delle Case Famiglia per anziani non
pregiudica la possibilità di offrire delle risposte concrete e di qualità ai bisogni
emergenti.
Un sistema mosso dalle logiche del mercato ma, in molti casi in grado di
garantire efficacia in termini di benessere per chi riceve le cure e di soddisfazione
78
www.parma.repubblica.it
53
per l'utente. Una formula organizzativa che si inserisce nel pieno del mercato di
servizi alla persona riuscendo a valorizzare anche l'autonoma iniziativa dei privati e
a promuovere la diffusione di esperienze innovative per riformare il sistema dei
servizi. Includere le Case Famiglia nella rete dei servizi, prevedendo in futuro
l'ipotesi di un possibile accreditamento, potrebbe risultare un ulteriore passo verso
modalità operative più dirette con l'Ente Pubblico e verso una nuova stagione di
rapporti, di reciproco riconoscimento di ruoli e collaborazione tra le parti.
3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia
La città di Parma, in linea con il trend registrato nel resto d'Italia, negli ultimi
dieci anni ha assistito ad un aumento della popolazione anziana che, al 2012
contava 41.315 anziani con sessantacinque anni e più (di questi oltre la metà sono
donne), su una popolazione totale di 175.842 residenti79.
Parallelamente è cresciuta la domanda di servizi alla persona che si esprime
solo limitatamente in contesti residenziali o semiresidenziali di natura privata,
riscontrando una netta prevalenza di richieste di intervento pubblico.
Dai dati istituzionali non emergono particolari informazioni circa le risposte ai
bisogni di cura della popolazione anziana fornite dalle Case Famiglia, le quali,
ancora oggi, restano escluse dalle rilevazioni e dalle documentazioni sui presidi
socio assistenziali.
Vi è una carenza di informazioni e dati quantitativi sul tema che non permette di
avere un quadro sintetico e globale né a livello nazionale, né a livello regionale,
sulla diffusione di queste strutture, sul loro utilizzo e sulla tipologia di ospiti
accolti.
La progressiva espansione di queste strutture necessiterebbe di un'analisi
approfondita sul fenomeno con il proposito di raccogliere indicazioni utili ai fini
della programmazione sociale e dati necessari per monitorare al meglio i bisogni
dell'anziano in Casa Famiglia, in vista anche di un futuro possibile aumento della
richiesta di questo servizio.
Grazie alle informazioni raccolte dagli archivi del Comune di Parma- all'interno
della Struttura Operativa Anziani- è stato possibile elaborare una serie di dati sulla
79
Dati Istat registrati al 1° Gennaio 2012.
54
composizione per sesso, età e luogo di provenienza di tutti gli ospiti accolti. Ciò ha
consentito di formulare un quadro sintetico e generale sulle principali
caratteristiche degli anziani assistiti nelle Case Famiglia di Parma, seppur in
riferimento ad una dimensione territoriale molto ristretta rispetto al panorama
nazionale.
Al 22 aprile 2013 risultavano iscritte all'elenco comunale 20 Case Famiglia, la
cui titolarità è interamente in carico a soggetti privati profit. Come si evince dalla
tabella 3, la gestione delle strutture è affidata, nella quasi totalità dei casi, a
cooperative sociali (80%), mentre per una porzione ristretta di gestori la scelta
della forma giuridica da adottare ricade sull'associazione o sull'impresa individuale
(vedi paragrafi 2.2.2 e 2.2.3).
Tabella 3. Tipologie di forme giuridiche delle Case Famiglia
Natura
Natura Giuridica
Giuridica
della Casa Famiglia
del Gestore
Profit
Cooperative
Sociali
80%
Associazioni
10%
Imprese
Individuali
10%
All'interno di queste abitazioni vengono ospitati in tutto 101 anziani80, di cui 82
donne e 19 uomini. Molto sbilanciato il rapporto tra i generi: la componente
femminile risulta prevale su quella maschile, costituendo oltre l'80% dell'intero
collettivo (vedi grafico 1). Le donne vivono di fatto più a lungo e spesso hanno una
rete familiare già rarefatta (per la morte del coniuge). Motivi questi, che facilitano
la richiesta di un servizio residenziale.
80
Dato aggiornato al 31 aprile 2013.
55
Grafico 1 Anziani assistiti in Casa Famiglia per sesso
120
100
80
FEMMINE
60
MASCHI
40
TOTALE
20
Un altro elemento0analizzato per descrivere la composizione della popolazione
Femmine
ospitata in Casa Famiglia
è l'età. Il Maschi
primo datoTotale
che emerge è l'esistenza di una
porzione molto elevata di persone "molto anziane" (vedi grafico 2). Oltre l'80%
degli anziani ha più di ottant'anni. L'età media calcolata, per entrambi i sessi, è pari
a 88 anni. Dal grafico si desume che la maggiore età è indicatore della propensione
all'ingresso in Casa Famiglia, si hanno infatti 24 anziani con età compresa tra 76 e
85 anni, 54 anziani compresi nella fascia d'età tra 86 e 95 anni (fascia d'età col più
alto numero di anziani), ben 17 anziani hanno più di 96 anni, mentre un numero
ridotto di anziani ha un' età relativamente più giovane, compresa tra 64 e 75 anni.
Grafico 2 Anziani assistiti in Casa Famiglia per classe d'età
60
50
40
da 64 a 75 anni
da 76 a 85 anni
30
da 86 a 95 anni
20
96 e più anni
10
0
Femmine
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Maschi
TOTALE
Un ultimo aspetto di cui si è tenuto conto nel processo di elaborazione dei dati
interessa il luogo di provenienza degli anziani che vivono stabilmente in Casa
Famiglia. Come sappiamo, contrariamente a quanto avviene per le strutture gestite
dagli Enti pubblici, dove la residenza nel comune di riferimento è requisito
fondamentale per godere di un servizio, la Casa Famigli accoglie anche anziani non
residenti. Ciò favorisce la domanda di assistenza da parte di quelle famiglie che
vivono nei comuni limitrofi, consentendo loro di avere il proprio parente anziano
vicino. Vi è infatti un buon 17,80% di ospiti non residenti a Parma. (vedi grafico
3).
Grafico 3
Purtroppo i dati disponibili non contenevano informazioni sullo stato civile
degli ospiti e sulla situazione familiare che ha preceduto l'ingresso in struttura
(numero di figli, condizione lavorativa). L'unico dato certo è che gli ospiti delle
Case Famiglia non sono anziani soli e quindi privi di appoggi familiari, ma sono
anziani i cui familiari, pur essendo presenti, incontrano difficoltà logistiche,
organizzative o di altro tipo che rendono troppo oneroso il compito di assistenza.
Del resto il 90% delle richieste che arrivano ai gestori provengono dalle
famiglie.
3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati
Il paragrafo contiene i risultati di una serie di interviste realizzate presso sei
Case Famiglia per anziani del Comune di Parma, e somministrate ai relativi gestori
57
o rappresentanti legali, con l'obiettivo di conoscere gli attuali scenari e il contesto
in cui esse si collocano. La scelta dei gestori da intervistare è avvenuta in maniera
casuale attingendo dall'elenco pubblico del Comune. I dati raccolti hanno
consentito di delineare un quadro d'insieme dell'organizzazione e della gestione di
queste strutture e conoscere a fondo il punto di vista di chi le gestisce.
Risposte inevitabilmente legate al quadro di riferimento dell'intervistato,
secondo la prospettiva dettata dal ruolo che egli ricopre. Tuttavia, alcuni temi
comuni emergono con una certa chiarezza. L'idea di base è formulare delle
metodiche assistenziali alternative attraverso un'adeguata lettura dei bisogni.
Le interviste si sono incentrate su sei principali aree tematiche: Caratteristiche
del gestore, la richiesta del servizio e il suo utilizzo, caratteristiche dell'ospite,
personale coinvolto, prestazioni e servizi, informazione e pubblicità.
1.
CARATTERISTICHE DEL GESTORE
"È più facile aprire una casa famiglia che un bar; il procedimento burocratico
è semplicissimo e veloce, l'idea è nata da una lunga esperienza nel settore
dell'assistenza agli anziani"
Ecco alcune delle espressioni utilizzate più frequentemente per spiegare i motivi
che hanno spinto i vari gestori ad avviare le loro attività.
Chi decide di aprire una Casa Famiglia ha già lavorato nel settore
dell'assistenza, molte case famiglia nascono da anni di esperienza all'interno di
cooperative sociali o associazioni di volontariato per poi arrivare a destinare parte
del proprio lavoro alla gestione di locali (civili abitazioni nella maggior parte dei
casi in affitto) idonei a svolgere attività di assistenza agli anziani. In altri casi, i
soggetti intervistati hanno deciso di costituire delle associazioni o cooperative
proprio con lo scopo di dare vita a delle case famiglia, determinando la scelta da
parte dei soci di:
"sporcarsi le mani in prima persona collaborando nella gestione pratica della
struttura".
58
Secondo la normativa vigente, non sono previsti particolari requisiti o titoli per
i soggetti che intendono avviare l'attività commerciale in essere, come affermano
gli stessi gestori:
"chiunque può aprire una casa famiglia".
Un altro aspetto, questo, a vantaggio dei gestori che, nell'esercizio della loro
attività, seppur non godono di nessun finanziamento o forma di convenzione con
l'Ente pubblico, si trovano a dover affrontare un iter amministrativo e burocratico
estremamente semplificato.
2.
LA RICHIESTA DEL SERVIZIO E IL SUO UTILIZZO
La richiesta di accesso in casa famiglia arriva dalle famiglie o dall'anziano in
prima persona? A questa domanda gli intervistati hanno dato una risposta comune:
"La decisione di ricorrere alla casa famiglia è in ogni caso una decisione
condivisa con l'anziano, ma la richiesta viene sollecitata il più delle volte dalla
famiglia della persona assistita. Raramente è l'anziano a contattare la struttura
chiedendo informazioni specifiche sul servizio".
La domanda nasce dalla presenza di un insieme di bisogni sociali e assistenziali
a cui le famiglie non ritengono più di essere in grado di rispondere o che non
intendono più sostenere. Secondo la percezione di molti gestori, i principali motivi
che spingono le famiglia ad utilizzare il loro servizio, sono:
"le famiglie non trovano un supporto nella rete pubblica dei servizi il cui
accesso è sempre più selettivo, mancano i posti e le liste di attesa sono troppo
lunghe", "l'anziano ha rifiutato più volte la presenza della badante in casa
propria". "Negli ultimi due anni le famiglie si sono allontanate dall'uso delle
badanti che faticavano a gestire e con le quali si hanno spesso esperienze negative,
preferendo altre soluzioni".
59
In effetti la spesa media mensile sostenuta dalle famiglie che assumono una
badante regolarmente è molto elevata. Inoltre, la presenza del riposo giornaliero e
settimanale, la concessione di ferie e permessi spingono le famiglie a cercare
soluzioni alternative che garantiscano una copertura completa, per tutto l'anno.
Per queste ragioni la Casa Famiglia si pone come la giusta soluzione intermedia
per accogliere anziani che, come emerge da una particolare affermazione:
"non possono essere inseriti in struttura, ma non possono nemmeno stare a
casa propria a causa del bisogno di assistenza continua"
La Casa Famiglia, come è emerso dalle risposte date dai gestori, non sempre è
la soluzione definitiva per l'anziano, essa può rappresentare anche una soluzione
temporanea, ad esempio nei casi in cui l'anziano sia in attesa di entrare in una
struttura residenziale pubblica. Le richieste di sistemazioni provvisorie sono più
frequenti nei mesi estivi, mentre in nessun caso vengono accettate richieste di
accoglienza diurna. Secondo il punto di vista di molti gestori:
"la casa famiglia non dovrebbe essere un posto transitorio, sarebbe
controproducente rompere gli equilibri creati".
Per l'ospite che vive stabilmente nella Casa Famiglia, trattandosi di struttura
privata (e non di domicilio privato), è prevista l'apertura della convivenza
anagrafica81 che permette di conoscere le persone che convivono nell'abitazione,
consentendo comunque, all'ospite di mantenere la residenza presso il Comune di
riferimento.
Un ultimo aspetto emerso dalle testimonianze dei gestori riguarda il costituirsi
di liste di attesa per l'ingresso in Casa Famiglia. Un dato inaspettato per questa
tipologia di struttura ma, a quanto pare, esistente:
81
L'articolo 5 del DPR 223/1989 stabilisce: agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un
insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di
pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.
60
"è capitato di dover gestire delle liste di attesa, dover quindi, valutare diverse
richieste giunte in casa famiglia. In ogni caso si predilige l'ordine di bisogno
tenendo conto di criteri di priorità temporali solo se i casi sono paragonabili."
3.
CARATTERISTICHE DELL'OSPITE
Il livello di autosufficienza degli ospiti, quale condizione fondamentale per
accedere in Casa Famiglia (riconosciuto dal servizio sanitario), è una delle
caratteristiche più attentamente seguite in quanto la tipologia di autosufficienza
determina lo sviluppo del lavoro e della proposta dei servizi della struttura che
devono essere impostati in funzione delle caratteristiche degli ospiti.
I parametri dei servizi forniti dalla Casa Famiglia non sono compatibili con la
condizione di non autosufficienza perciò, se si dovesse valutare un peggioramento
delle condizioni di salute dell'ospite, il gestore è tenuto ad informare i familiari,
consigliando di rivolgersi ai Servizi Sociali Territoriali, al fine di procedere con le
dimissioni dell'ospite e trovare una soluzione alternativa. Rispetto al tema
dell'autosufficienza, molti gestori ritengono che vi sia:
"una carenza nelle Linee Guida riguardo alla definizione del concetto di
autonomia e autosufficienza".
I rapporti familiari e con il contesto sociale più ampio sono un altro aspetto
trattato all'interno dell'intervista e condiviso con i gestori.
L'anziano in Casa Famiglia mantiene costanti i rapporti con i propri familiari,
che possono andarlo a trovare in ogni momento della giornata (la struttura in alcuni
casi suggerisce degli orari in modo da rispettare le esigenze organizzative tipiche di
una struttura comunitaria), ma anche con il territorio attraverso uscite o passeggiate
nel quartiere in totale autonomia . Rispetto a quest'ultimo punto qualche gestore
aggiunge:
"la nostra struttura prevede un'autorizzazione da parte dei familiari che si
fanno carico di ogni responsabilità nei casi di uscite esterne dell'anziano".
61
Per quanto è possibile, i gestori fanno in modo che gli anziani mantengano
all'interno della struttura le loro abitudini consentendo di avere il massimo
dell'autonomia fisica e sociale. L'anziano è libero di muoversi entro e fuori dalla
casa. Rimangono però rigidi gli orari dei pasti. Secondo i gestori,
"assicurare un contesto che salvaguardi l'indipendenza dell'ospite, evitando
l'isolamento e stimolando interessi, contribuisce a non far vivere all'anziano quel
processo di spersonalizzazione tipico di quelle strutture che ospitano un numero
elevato di utenti".
e aggiungono:
"confrontarsi con un numero ristretto di persone aiuta l'anziano a sentirsi come
in una famiglia, mentre in un contesto più ampio l'anziano rischia di diventare un
numero ed è anche maggiore il rischio di rapportarsi con la malattia".
Proprio per la sua particolare organizzazione, la Casa Famiglia prevede lo
svolgimento
di
attività quotidiane
(di
animazione,
gioco,
giardinaggio,
collaborazione in cucina), nel rispetto delle abitudini di vita dell'ospite, tipiche di
un contesto familiare. Emerge, invece una certa difficoltà da parte dei gestori, ad
organizzare attività esterne, come passeggiate in gruppo, visite ai parchi o ai musei
della città. Quando si è chiesto ai gestori di indicare eventuali attività esterne
realizzate, in molti hanno risposto:
"le uniche attività esterne vengono garantite grazie ad un servizio di trasporto
che ci permette di accompagnare gli ospiti per soddisfare ogni tipo di necessità,
possono essere accompagnati in chiesa, dal parrucchiere, in ospedale ecc.".
4.
PERSONALE COINVOLTO
All'interno della Casa Famiglia opera personale professionalmente preparato e
formato attraverso esperienze lavorative maturate nel settore dell'assistenza o in
possesso di specifiche qualifiche82.
82
Come previsto dall'articolo 5 della DGR 564/2000, in Appendice A/2, p.78.
62
"Come previsto dalle stesse Linee Guida del Comune, tutto il personale ha una
lunga esperienza nell'assistenza agli anziani, come badante o altro" afferma un
gestore.
Solitamente viene impiegato un infermiere libero professionista che assicura
una presenza giornaliera nella preparazione e somministrazione della terapia e
collabora con il medico curante segnalandogli eventuali variazioni sullo stato di
salute di ciascun ospite. L'assistenza infermieristica ed eventuali altre prestazioni
fornite dalle diverse figure sanitarie di base (fisioterapista, tecnico della
riabilitazione), messe a disposizione dalla struttura sono comprese nella retta
mensile. Tutti gli ospiti sono sottoposti a visita specialistica geriatrica all'ingresso e
periodicamente, mentre l'assistenza medico generica è data ad ognuno dal proprio
medico di base che può partecipare alla stesura del piano assistenziale e
all'aggiornamento della cartella socio assistenziale. Per molti gestori questo è un
aspetto molto importante
"per il bene dell'anziano e in virtù del rapporto di fiducia creato negli anni con
il proprio medico".
Ma le figure più a diretto contatto con gli anziani, che si occupano
materialmente della soddisfazione delle loro necessità, sono le operatrici
assistenziali che assicurano una presenza continuativa nelle 24 ore (organizzata su
turni). Esse coordinano le attività e collaborano nella gestione della casa.
In molte Case Famiglia si tratta di semplici collaboratrici dal cui curriculum
professionale si evince un'esperienza pluriennale (la normativa prevede almeno un
anno di esperienza) nell'ambito dell'assistenza a persone anziane autosufficienti e
valutate anche in base alla capacità e attitudine a sostenere l'anziano.
Sono altrettanto numerose le Case Famiglia che si affidano a personale con
qualifica di OSS o di Assistente di Base. La loro attività è tesa ad assicurare il
soddisfacimento dei bisogni primari di assistenza e di igiene personale, collaborano
ad attività finalizzate al mantenimento delle capacità psicofisiche residue,
favoriscono l'autonomia del soggetto attraverso l'erogazione dell'aiuto domestico,
63
la fornitura dei pasti e della biancheria, l'aiuto nella deambulazione e nella
somministrazione dei farmaci.
Infine, ciascuna Casa Famiglia può avvalersi della disponibilità di volontari
occasionali e di una figura qualificata in attività di animazione al fine di favorire la
socializzazione e il mantenimento di capacità cognitive e manuali.
5.
SERVIZI E PRESTAZIONI
Tutte le prestazioni assistenziali, infermieristiche, sanitarie e di socializzazione
svolte all'interno del contesto comunitario della Casa Famiglia sono volte a
mantenere le capacità residue dell'anziano, a prevenire eventuali rischi e ad
alleviare lo stato di dipendenza. Ciascuna sceglie autonomamente la tipologia di
prestazioni o servizi che intende erogare e se attivare o meno delle prestazioni
extra, non comprese nella retta. Sono prestazioni comuni a tutte le case famiglia
che rientrano nelle attività di bassa intensità assistenziale previste per queste
strutture:

prestazioni di tipo domestico:aiuto nell'igiene personale, nella
vestizione;

prestazioni di tipo alberghiero: vitto, alloggio, servizi di biancheria e
lavanderia;

assistenza diurna e notturna;

assistenza
infermieristica professionale: interventi
infermieristici
tecnici, iniezioni e prelievi, medicazioni e altro;

attività di socializzazione e di stimolazione psicosociale;

servizio di ristorazione (nel rispetto di eventuali diete personalizzate).
A discrezione del gestore possono essere garantiti servizi aggiuntivi di
trasporto, di accompagnamento a visite specialistiche, di assistenza psicologica. Vi
sono Case Famiglia che, in casi particolari, prevedono interventi di assistenza
domiciliare83 organizzati dalle AUSL e attivati dal medico di base.
83
Vedi articolo 15, Legge 328 del 2000 in Appendice A/1, p.70.
64
Per garantire la qualità delle prestazioni e dei servizi sopra elencati è
indispensabile scegliere il posto adatto ossia un'abitazione dotata di locali disposti e
arredati in modo da favorire un facile utilizzo, un'ampia sala comune e servizi
igienici dotati di tutti gli ausili necessari per gli ospiti con difficoltà motorie. Gli
stessi gestori hanno definito le loro case famiglia "un nido", ossia un luogo
confortevole e sicuro.
Tutte le informazioni sull'accesso alle prestazioni e alle modalità di erogazione
sono contenute nella Carta dei Servizi in possesso della Casa Famiglia, strumento
imprescindibile per assicurare la qualità del servizio ma non solo. Essa è
un'occasione di coinvolgimento degli utenti in cui possono essere confrontati i
principi cui si ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli
strumenti in caso di mancato rispetto.
Le Carte dei Servizi illustrate dai soggetti intervistati dimostrano che non
sempre esse rispettano i requisiti previsti dalla Legge 328 del 2000, mancando di
alcuni contenuti fondamentali.
Diventa dunque, doveroso per le istituzioni far acquisire a chi gestisce queste
strutture la consapevolezza che la carta dei servizi non rappresenta un mero
adempimento normativo, ma uno strumento di crescita organizzativa e una
possibilità di miglioramento.
6.
INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ
Il canale informale, di segnalazioni di amici e conoscenti, si rivela decisivo per
orientarsi su questo particolare mercato ed anche più gratificante per i gestori le cui
strutture hanno sempre posti pieni. Dopotutto l'immagine della struttura dipende in
larga misura dal passaparola dei clienti e dei familiari.
Esiste poi un canale pubblicitario, ossia un'azione di informazione che le stesse
case famiglia conducono tramite manifesti, pubblicazioni sui giornali locali, attività
di volantinaggio per attirare l'utenza presso il proprio servizio.
Spesso sono i Servizi Sociali dell'ospedale o del quartiere ad informare l'utenza
sulla possibilità di adottare una simile soluzione nei casi di richieste urgenti per le
quali non si riescono a fornire delle risposte immediate.
65
Conclusioni
Le significative trasformazioni demografiche e i cambiamenti delle politiche
socio assistenziali nel rispondere alla nuova domanda di cura della popolazione
anziana, comportano inevitabilmente degli effetti sulla sfera economico sociale e
sulle scelte di natura istituzionale.
La riflessione sul tema delle Case Famiglia per anziani è scaturita proprio
dall'analisi dei più significativi fattori politici, finanziari ed organizzativi che hanno
accompagnato il processo di espansione del tradizionale sistema di cura e lo
sviluppo di servizi alternativi.
Il forte periodo di crisi delle politiche assistenziali infatti, non ha avuto come
esito la riduzione dei servizi esistenti, bensì la promozione di un sistema di offerta
privato in grado di rispondere ai bisogni emergenti senza gravare sulle spese delle
amministrazioni pubbliche e dando vita a servizi sempre più diversificati e
personalizzati.
Di fatto, se la popolazione cresce, crescono anche i bisogni e i modelli di
welfare devono necessariamente evolversi, non solo attraverso strategie di
intervento che potenzino i servizi esistenti, ma anche favorendo nuove forme di
assistenza e, le Case Famiglia ne sono un esempio concreto.
Per conoscere a fondo la realtà storica e sociale entro la quale si collocano le
Case Famiglia, si è posta l'attenzione sui comportamenti che hanno caratterizzato la
scelta di molte famiglie di affidare il proprio parente anziano ad una struttura
residenziale di questo tipo. Sicuramente la gran parte delle richieste si orienta,
ancora oggi, verso soluzioni residenziali classiche (casa protetta, RSA, ecc.)
soprattutto se si tratta di anziani non autosufficienti, ma con il nascere delle Case
Famiglia, le scelte vengono dirottate su soluzioni nuove, capaci di fornire un
sostegno concreto e rivolte ad anziani con un'età elevata, ma che conservano un
sufficiente livello di autonomia.
In quest'ottica si è visto come, soprattutto in alcune città, si sia posta l'
attenzione sulla necessità di sostenere l'avvio di queste azioni sperimentali e di
attivare iniziative volte ad una maggiore conoscenza del funzionamento di una
Casa Famiglia nonché alla sensibilizzazione dell'anziano verso le opportunità
presenti sul territorio.
66
Come più volte si è voluto sottolineare, le Case Famiglia per anziani si sono
sviluppate in contesti territoriali limitati, rimanendo in molte zone del Paese
completamente sconosciute. Parma si è distinta per essere stata la prima città
d'Italia ad aver introdotto, nel rispetto della normativa nazionale e regionale, delle
Linee Guida che disciplinano il funzionamento di queste particolari strutture e
stabiliscono gli standard per le funzioni di vigilanza da parte del Comune.
Scopo delle Linee Guida è tutelare gli anziani e le famiglie che intendono
avvalersi di tali servizi, valorizzare e promuovere la diversificazione dell'offerta
assistenziale e fornire ai soggetti interessati un utile strumento per il corretto
esercizio dell'attività di controllo. Una disciplina che per alcuni aspetti colma il
vuoto legislativo presente a livello nazionale e "rimedia" alla carenza di
informazioni in materia.
Visto il consistente numero di Case Famiglia, per il Comune di Parma è
risultato particolarmente utile e qualificante realizzare una politica sociale orientata
ad incentivare la crescita di queste strutture, attraverso l'adozione di scelte politiche
volte ad attribuire una certa rilevanza sociale a questi organismi, mentre in molte
zone d'Italia non si è ancora diffusa una vera e propria cultura della Casa Famiglia
per anziani. "Una realtà tutta parmigiana" potremmo dire.
Al fine di comprenderne meglio il funzionamento e l'organizzazione, in assenza
di ricerche empiriche sull'argomento, sono state raccolte una serie di informazioni
tratte dalle dichiarazioni dei gestori che hanno rappresentato un'occasione di
ulteriore conoscenza e riflessione sulla fattispecie.
Le considerazioni raccolte hanno permesso di formulare eventuali ipotesi di
sviluppo future e mettere in evidenza possibili elementi da potenziare, come ad
esempio, migliorare il grado di conoscenza dell'offerta di servizi proposta e pensare
ad una normativa che attribuisca a queste strutture maggiore legittimità
istituzionale.
Poiché la normativa in questo campo è abbastanza recente, le Case Famiglia
presentano articolazioni diversificate rispetto alle modalità organizzative, alla
tipologia di servizi erogati, alla formazione prevista per il personale.
Viene lasciata, ad esempio, ampia autonomia a ciascun gestore di adottare le
scelte ritenute più idonee in merito alla formazione del personale difatti, molte
operatrici sono delle semplici assistenti (con esperienza) e in pochi casi hanno delle
qualifiche specifiche. Assicurare la formazione professionale degli operatori
67
significa qualificare la struttura, non solo per esigenze di legge ma per le
responsabilità dell'organizzazione legate alle prestazioni erogate. Aggiornamento e
conoscenze sull'evoluzioni legislative nel settore dell'assistenza agli anziani sono
fondamentali per un operatore sociale perciò, sarebbe auspicabile che tale aspetto
venisse potenziato attraverso l'intervento delle istituzioni aventi il dovere di porre
maggiore attenzione nel progettare iniziative di formazione o sollecitare i gestori a
delineare un percorso formativo per il personale impiegato anche se questo richiede
tempo e fondi economici.
Allo stesso modo è importante per i gestori, sollecitare la previsione di incontri
d'equipe interni alla struttura in cui evidenziare eventuali problematiche sorte,
discutere su azioni di miglioramento e correttive, definire obiettivi, strumenti,
stabilire quali soggetti coinvolgere, quali gli interventi da realizzare al fine di
garantire l'efficacia e l'efficienza del servizio.
A questo aggiungerei la necessità di pensare a percorsi innovativi di formazione
congiunta con i soggetti istituzionali per delineare un percorso comune e condiviso
dal momento che spesso i diversi soggetti (gestori, AUSL, comune) perseguono
obiettivi diversi.
Se da un alto l'iniziativa dei privati e il loro coinvolgimento nella rete dei servizi
è fondamentale per uno sviluppo del welfare, dall'altro, se questa risulta
inadeguata, lo Stato e gli Enti territoriali hanno l'obbligo di intervenire, attraverso
controlli e verifiche rigorosi.
Per evitare che tali controlli vengano percepiti dai gestori come un "ostacolo"
alla loro attività è fondamentale che le politiche pubbliche tentino di promuovere
patti e contribuire alla mediazione affinché si crei un equilibrio tra responsabilità
pubbliche e responsabilità dei soggetti privati.
Sono gli stessi gestori che spesso denunciano l'assenza di un contesto
collaborativo con
le istituzioni
e la
mancata previsione
di
momenti
d'incontro/confronto tra tutte le Case Famiglia in grado di favorire lo sviluppo di un
lavoro condiviso.
Ecco per quale motivo, pensare alla possibilità di prevedere un sistema di
accreditamento per le Case Famiglia, così come è emerso nell'intervista al
Commissario UNEBA, porterebbe all'attribuzione di una maggiore rilevanza
sociale ed istituzionale di queste strutture e, a parer mio, sarebbe un'opportunità per
una piena affermazione di una cultura civica dell'accoglienza in Casa Famiglia.
68
Sarebbe opportuno sperimentare un percorso che tenti di arrivare ad un sistema
di valutazione condiviso tra i soggetti coinvolti, in grado di fornire riferimenti
rispetto alle caratteristiche che ogni Casa Famiglia deve avere. Ciò è possibile
agendo sulla formazione dei gestori e di tutti gli operatori in generale, attraverso lo
sviluppo delle competenze, sulla formulazione di valide Carte dei Servizi e su un
maggiore controllo rispetto alla fissazione delle tariffe da parte dei gestori.
L'accreditamento consentirebbe inoltre, di inserire pienamente nella rete dei
servizi le Case Famiglia quali soggetti attivi nella progettazione e realizzazione
concreta degli interventi ed evitare che esse vengano ancora descritte come "servizi
fai da te, fuori dal sistema di welfare".
La Casa Famiglia non può infatti, essere considerata come una risorsa per il
territorio fine a se stessa ma è una risorsa che va inserita all'interno di un circuito,
allo scopo di garantire unitarietà e integrazione agli interventi realizzati o che si
intendono realizzare.
Ci si può attendere che nei prossimi anni vi sia una maggiore diffusione di
questi servizi e un aumento delle richieste in vista delle future sfide da affrontare,
prima fra tutte la capacità di adattamento sociale, economico e culturale alle
modifiche strutturali che il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione
comporta.
69
70
Appendice
Appendice A
Questa appendice riporta alcuni
estratti delle disposizioni di legge di
maggiore interesse in tema di
strutture residenziali e sviluppo del
privato sociale. Sono state tralasciate
le parti non rilevanti delle normative.
1) Legge 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione
del sistema integrato di interventi e
servizi sociali
Capo I
PRINCÌPI GENERALI DEL
SISTEMA INTEGRATO DI
INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI
Art. 1. Principi generali e finalità
1. La Repubblica assicura alle
persone e alle famiglie un sistema
integrato di interventi e servizi sociali,
promuove interventi per garantire la
qualità della vita, pari opportunità, non
discriminazione e diritti di cittadinanza,
previene, elimina o riduce le condizioni
di disabilità, di bisogno e di disagio
individuale e familiare, derivanti da
inadeguatezza di reddito, difficoltà
sociali e condizioni di non autonomia, in
coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della
Costituzione.
3.
La
programmazione
e
l'organizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali compete agli
enti locali, alle regioni ed allo Stato ai
sensi del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, e della presente legge,
secondo i principi di sussidiarietà,
cooperazione, efficacia, efficienza ed
economicità, omogeneità, copertura
finanziaria e patrimoniale, responsabilità
ed
unicità
dell'amministrazione,
autonomia
organizzativa e regolamentare degli
enti locali.
4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato,
nell'ambito delle rispettive competenze,
riconoscono e agevolano il ruolo degli
organismi non lucrativi di utilità sociale,
degli organismi della cooperazione, delle
associazioni e degli enti di promozione
sociale, delle fondazioni e degli enti di
patronato, delle organizzazioni di
volontariato, degli enti riconosciuti delle
confessioni religiose con le quali lo Stato
ha stipulato patti, accordi o intese
operanti
nel
settore
nella
programmazione, nella organizzazione e
nella gestione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali.
5. Alla gestione ed all'offerta dei
servizi provvedono soggetti pubblici
nonché, in qualità di soggetti attivi nella
progettazione e nella realizzazione
concertata degli interventi, organismi
non lucrativi di utilità sociale, organismi
della cooperazione, organizzazioni di
volontariato, associazioni ed enti di
promozione sociale, fondazioni, enti di
patronato e altri soggetti privati. Il
sistema integrato di interventi e servizi
sociali ha tra gli scopi anche la
promozione della solidarietà sociale, con
la valorizzazione delle iniziative delle
persone, dei nuclei familiari, delle forme
di auto-aiuto e di reciprocità e della
solidarietà organizzata.
6. La presente legge promuove la
partecipazione attiva dei cittadini, il
contributo delle organizzazioni sindacali,
delle associazioni sociali e di tutela degli
utenti per il raggiungimento dei fini
istituzionali di cui al comma 1.
Art. 5. Ruolo del terzo settore
1. Per favorire l'attuazione del
principio di sussidiarietà, gli enti locali,
le regioni e lo Stato, nell'ambito delle
risorse disponibili in base ai piani di cui
agli articoli 18 e 19, promuovono azioni
per il sostegno e la qualificazione dei
soggetti operanti nel terzo settore anche
71
attraverso politiche formative ed
interventi per l'accesso agevolato al
credito ed ai fondi dell'Unione europea.
2. Ai fini dell'affidamento dei servizi
previsti dalla presente legge, gli enti
pubblici, fermo restando quanto stabilito
dall'articolo 11, promuovono azioni per
favorire
la
trasparenza
e
la
semplificazione amministrativa nonché il
ricorso a forme di aggiudicazione o
negoziali che consentano ai soggetti
operanti nel terzo settore la piena
espressione della propria progettualità,
avvalendosi di analisi e di verifiche che
tengano conto della qualità e delle
caratteristiche delle prestazioni offerte e
della qualificazione del personale.
3. Le regioni, secondo quanto
previsto dall'articolo 3, comma 4, e sulla
base di un atto di indirizzo e
coordinamento del Governo, ai sensi
dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997,
n. 59, da emanare entro centoventi giorni
dalla data di entrata in vigore della
presente legge, con le modalità previste
dall'articolo 8, comma 2, della presente
legge, adottano specifici indirizzi per
regolamentare i rapporti tra enti locali e
terzo settore, con particolare riferimento
ai sistemi di affidamento dei servizi alla
persona.
4. Le regioni disciplinano altresì,
sulla base dei principi della presente
legge e degli indirizzi assunti con le
modalità previste al comma 3, le
modalità per valorizzare l'apporto del
volontariato nell'erogazione dei servizi.
Capo II
ASSETTO ISTITUZIONALE E
ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA
INTEGRATO DI INTERVENTI E
SERVIZI SOCIALI
Art. 6. Funzioni dei comuni
1. I comuni sono titolari delle
funzioni amministrative concernenti gli
interventi sociali svolti a livello locale e
concorrono
alla
programmazione
regionale. Tali funzioni sono esercitate
dai comuni adottando sul piano
72
territoriale gli assetti più funzionali alla
gestione, alla spesa ed al rapporto con i
cittadini, secondo le modalità stabilite
dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, come
da ultimo modificata dalla legge 3 agosto
1999, n. 265.
2. Ai comuni, oltre ai compiti già
trasferiti a norma del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 616, ed alle funzioni attribuite ai
sensi dell'articolo 132, comma 1, del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, spetta, nell'ambito delle risorse
disponibili in base ai piani di cui agli
articoli 18 e 19 e secondo la disciplina
adottata dalle regioni, l'esercizio delle
seguenti attività:
a) programmazione, progettazione,
realizzazione del sistema locale dei
servizi sociali a rete, indicazione delle
priorità e dei settori di innovazione
attraverso la concertazione delle risorse
umane e finanziarie locali, con il
coinvolgimento dei soggetti di cui
all'articolo 1, comma 5;
b) erogazione dei servizi, delle
prestazioni economiche diverse da quelle
disciplinate dall'articolo 22, e dei titoli di
cui all'articolo 17, nonché delle attività
assistenziali già di competenza delle
province, con le modalità stabilite dalla
legge regionale di cui all'articolo 8,
comma 5;
c) autorizzazione, accreditamento e
vigilanza dei servizi sociali e delle
strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale a gestione pubblica o
dei soggetti di cui all'articolo 1, comma
5, secondo quanto stabilito ai sensi degli
articoli 8, comma 3, lettera f), e 9,
comma 1, lettera c);
d) partecipazione al procedimento per
l'individuazione degli ambiti territoriali,
di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a);
e) definizione dei parametri di
valutazione delle condizioni di cui
all'articolo 2, comma 3, ai fini della
determinazione dell'accesso prioritario
alle prestazioni e ai servizi.
3. Nell'esercizio delle funzioni di cui
ai commi 1 e 2 i comuni provvedono a:
a) promuovere, nell'ambito del
sistema locale dei servizi sociali a rete,
risorse delle collettività locali tramite
forme innovative di collaborazione per lo
sviluppo di interventi di auto-aiuto e per
favorire la reciprocità tra cittadini
nell'ambito della vita comunitaria;
b) coordinare programmi e attività
degli enti che operano nell'ambito di
competenza, secondo le modalità fissate
dalla regione, tramite collegamenti
operativi tra i servizi che realizzano
attività volte all'integrazione sociale ed
intese con le aziende unità sanitarie
locali per le attività socio-sanitarie e per i
piani di zona;
c) adottare strumenti per la
semplificazione amministrativa e per il
controllo di gestione atti a valutare
l'efficienza, l'efficacia ed i risultati delle
prestazioni, in base alla programmazione
di cui al comma 2, lettera a);
d) effettuare forme di consultazione
dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 5
e 6, per valutare la qualità e l'efficacia
dei servizi e formulare proposte ai fini
della predisposizione dei programmi;
e) garantire ai cittadini i diritti di
partecipazione al controllo di qualità dei
servizi, secondo le modalità previste
dagli statuti comunali.
4. Per i soggetti per i quali si renda
necessario il ricovero stabile presso
strutture residenziali, il comune nel quale
essi hanno la residenza prima del
ricovero, previamente informato, assume
gli obblighi connessi all'eventuale
integrazione economica.
Art. 8. Funzioni delle regioni
1. Le regioni esercitano le funzioni di
programmazione,
coordinamento
e
indirizzo degli interventi sociali nonché
di verifica della rispettiva attuazione a
livello
territoriale
e
disciplinano
l'integrazione degli interventi stessi, con
particolare
riferimento
all'attività
sanitaria e socio-sanitaria ad elevata
integrazione sanitaria di cui all'articolo 2,
comma 1, lettera n), della legge 30
novembre 1998, n. 419.
2. Allo scopo di garantire il costante
adeguamento
alle
esigenze
delle
comunità locali, le regioni programmano
gli interventi sociali secondo le
indicazioni di cui all'articolo 3, commi 2
e 5, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, promuovendo, nell'ambito
delle rispettive competenze, modalità di
collaborazione e azioni coordinate con
gli enti locali, adottando strumenti e
procedure di raccordo e di concertazione,
anche permanenti, per dare luogo a
forme di cooperazione. Le regioni
provvedono altresì alla consultazione dei
soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e
6, e 10 della presente legge.
3. Alle regioni, nel rispetto di quanto
previsto dal decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, spetta in particolare
l'esercizio delle seguenti funzioni:
a) determinazione, entro centottanta
giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, tramite le forme di
concertazione con gli enti locali
interessati, degli ambiti territoriali, delle
modalità e degli strumenti per la gestione
unitaria del sistema locale dei servizi
sociali a rete. Nella determinazione degli
ambiti territoriali, le regioni prevedono
incentivi a favore dell'esercizio associato
delle funzioni sociali in ambiti territoriali
di norma coincidenti con i distretti
sanitari già operanti per le prestazioni
sanitarie, destinando allo scopo una
quota delle complessive risorse regionali
destinate agli interventi previsti dalla
presente legge;
b) definizione di politiche integrate in
materia di interventi sociali, ambiente,
sanità, istituzioni scolastiche, avviamento
al lavoro e reinserimento nelle attività
lavorative, servizi del tempo libero,
trasporti e comunicazioni;
c) promozione e coordinamento delle
azioni di assistenza tecnica per la
istituzione e la gestione degli interventi
sociali da parte degli enti locali;
d) promozione della sperimentazione
di modelli innovativi di servizi in grado
di coordinare le risorse umane e
finanziarie presenti a livello locale e di
collegarsi
altresì
alle
esperienze
effettuate a livello europeo;
e) promozione di metodi e strumenti
per il controllo di gestione atti a valutare
73
l'efficacia e l'efficienza dei servizi ed i
risultati delle azioni previste;
f) definizione, sulla base dei requisiti
minimi fissati dallo Stato, dei criteri per
l'autorizzazione, l'accreditamento e la
vigilanza delle strutture e dei servizi a
gestione pubblica o dei soggetti di cui
all'articolo 1, commi 4 e 5;
g) istituzione, secondo le modalità
definite con legge regionale, sulla base di
indicatori oggettivi di qualità, di registri
dei soggetti autorizzati all'esercizio delle
attività disciplinate dalla presente legge;
h) definizione dei requisiti di qualità
per la gestione dei servizi e per la
erogazione delle prestazioni;
i) definizione dei criteri per la
concessione dei titoli di cui all'articolo
17 da parte dei comuni, secondo i criteri
generali adottati in sede nazionale;
l) definizione dei criteri per la
determinazione del concorso da parte
degli utenti al costo delle prestazioni,
sulla base dei criteri determinati ai sensi
dell'articolo 18, comma 3, lettera g);
m) predisposizione e finanziamento
dei piani per la formazione e
l'aggiornamento del personale addetto
alle attività sociali;
n) determinazione dei criteri per la
definizione delle tariffe che i comuni
sono tenuti a corrispondere ai soggetti
accreditati;
o) esercizio dei poteri sostitutivi,
secondo le modalità indicate dalla legge
regionale di cui all'articolo 3 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nei
confronti degli enti locali inadempienti
rispetto a quanto stabilito dagli articoli 6,
comma 2, lettere a), b) e c), e 19.
4. Fermi restando i principi di cui alla
legge 7 agosto 1990, n. 241, le regioni
disciplinano le procedure amministrative,
le modalità per la presentazione dei
reclami da parte degli utenti delle
prestazioni
sociali
e
l'eventuale
istituzione di uffici di tutela degli utenti
stessi che assicurino adeguate forme di
indipendenza nei confronti degli enti
erogatori.
74
Art. 9. Funzioni dello Stato
1. Allo Stato spetta l'esercizio delle
funzioni di cui all'articolo 129 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, nonché dei poteri di indirizzo e
coordinamento e di regolazione delle
politiche sociali per i seguenti aspetti:
a) determinazione dei principi e degli
obiettivi della politica sociale attraverso
il Piano nazionale degli interventi e dei
servizi sociali di cui all'articolo 18;
b) individuazione dei livelli essenziali
ed uniformi delle prestazioni, comprese
le funzioni in materia assistenziale,
svolte per minori ed adulti dal Ministero
della giustizia, all'interno del settore
penale;
c) fissazione dei requisiti minimi
strutturali
e
organizzativi
per
l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e
delle strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale; previsione di requisiti
specifici per le comunità di tipo familiare
con sede nelle civili abitazioni;
d) determinazione dei requisiti e dei
profili professionali in materia di
professioni sociali, nonché dei requisiti
di accesso e di durata dei percorsi
formativi;
e) esercizio dei poteri sostitutivi in
caso di riscontrata inadempienza delle
regioni, ai sensi dell'articolo 8 della legge
15 marzo 1997, n. 59, e dell'articolo 5 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112;
f) ripartizione delle risorse del Fondo
nazionale per le politiche sociali secondo
i criteri stabiliti dall'articolo 20, comma
7.
Art. 11. Autorizzazione e
accreditamento
1. I servizi e le strutture a ciclo
residenziale e semiresidenziale a
gestione pubblica o dei soggetti di cui
all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati
dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata
in conformità ai requisiti stabiliti dalla
legge regionale, che recepisce e integra,
in relazione alle esigenze locali, i
requisiti minimi nazionali determinati ai
sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c),
con decreto del Ministro per la
solidarietà sociale, sentiti i Ministri
interessati e la Conferenza unificata di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281.
2. I requisiti minimi nazionali trovano
immediata applicazione per servizi e
strutture di nuova istituzione; per i
servizi e le strutture operanti alla data di
entrata in vigore della presente legge, i
comuni provvedono a concedere
autorizzazioni provvisorie, prevedendo
l'adeguamento ai requisiti regionali e
nazionali nel termine stabilito da
ciascuna regione e in ogni caso non oltre
il termine di cinque anni.
3.
I
Comuni
provvedono
all'accreditamento, ai sensi dell'articolo
6, comma 2, lettera c), e corrispondono
ai soggetti accreditati tariffe per le
prestazioni erogate nell'ambito della
programmazione regionale e locale sulla
base delle determinazioni di cui
all'articolo 8, comma 3, lettera n).
4. Le regioni, nell'ambito degli
indirizzi definiti dal Piano nazionale ai
sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera
e), disciplinano le modalità per il rilascio
da parte dei comuni ai soggetti di cui
all'articolo
1,
comma
5,
delle
autorizzazioni alla erogazione di servizi
sperimentali e innovativi, per un periodo
massimo di tre anni, in deroga ai requisiti
di cui al comma 1. Le regioni, con il
medesimo provvedimento di cui al
comma 1, definiscono gli strumenti per
la verifica dei risultati.
Art. 13. Carta dei servizi sociali
1. Al fine di tutelare le posizioni
soggettive degli utenti, entro centottanta
giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la solidarietà
sociale, d'intesa con i Ministri interessati,
è adottato lo schema generale di
riferimento della carta dei servizi sociali.
Entro sei mesi dalla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del citato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri,
ciascun ente erogatore di servizi adotta
una carta dei servizi sociali ed è tenuto a
darne adeguata pubblicità agli utenti.
2. Nella carta dei servizi sociali sono
definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le
modalità del relativo funzionamento, le
condizioni per facilitarne le valutazioni
da parte degli utenti e dei soggetti che
rappresentano i loro diritti, nonché le
procedure per assicurare la tutela degli
utenti. Al fine di tutelare le posizioni
soggettive e di rendere immediatamente
esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la
carta dei servizi sociali, ferma restando la
tutela per via giurisdizionale, prevede per
gli utenti la possibilità di attivare ricorsi
nei confronti dei responsabili preposti
alla gestione dei servizi.
3. L'adozione della carta dei servizi
sociali da parte degli erogatori delle
prestazioni e dei servizi sociali
costituisce requisito necessario ai fini
dell'accreditamento.
Capo III
DISPOSIZIONI PER LA
REALIZZAZIONE DI PARTICOLARI
INTERVENTI DI INTEGRAZIONE E
SOSTEGNO SOCIALE
Art. 15. Sostegno domiciliare per le
persone anziane non autosufficienti
1. Ferme restando le competenze del
Servizio sanitario nazionale in materia di
prevenzione, cura e riabilitazione, per le
patologie
acute
e
croniche,
particolarmente per i soggetti non
autosufficienti, nell'ambito del Fondo
nazionale per le politiche sociali il
Ministro per la solidarietà sociale, con
proprio decreto, emanato di concerto con
i Ministri della sanità e per le pari
opportunità, sentita la Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
determina annualmente la quota da
riservare ai servizi a favore delle persone
anziane non autosufficienti, per favorirne
l'autonomia e sostenere il nucleo
familiare nell'assistenza domiciliare alle
persone anziane che ne fanno richiesta.
75
2. Il Ministro per la solidarietà
sociale, con il medesimo decreto di cui al
comma 1, stabilisce annualmente le
modalità di ripartizione dei finanziamenti
in base a criteri ponderati per quantità di
popolazione, classi di età e incidenza
degli anziani, valutando altresì la
posizione delle regioni e delle province
autonome in rapporto ad indicatori
nazionali di non autosufficienza e di
reddito. In sede di prima applicazione
della presente legge, il decreto di cui al
comma 1 è emanato entro novanta giorni
dalla data della sua entrata in vigore.
3. Una quota dei finanziamenti di cui
al comma 1 è riservata ad investimenti e
progetti integrati tra assistenza e sanità,
realizzati in rete con azioni e programmi
coordinati tra soggetti pubblici e privati,
volti a sostenere e a favorire l'autonomia
delle persone anziane e la loro
permanenza nell'ambiente familiare
secondo gli indirizzi indicati dalla
presente legge. In sede di prima
applicazione della presente legge le
risorse individuate ai sensi del comma 1
sono finalizzate al potenziamento delle
attività
di
assistenza
domiciliare
integrata.
4. Entro il 30 giugno di ogni anno le
regioni destinatarie dei finanziamenti di
cui al comma 1 trasmettono una
relazione al Ministro per la solidarietà
sociale e al Ministro della sanità in cui
espongono lo stato di attuazione degli
interventi e gli obiettivi conseguiti nelle
attività svolte ai sensi del presente
articolo, formulando anche eventuali
proposte per interventi innovativi.
Qualora una o più regioni non
provvedano all'impegno contabile delle
quote di competenza entro i tempi
indicati nel riparto di cui al comma 2, il
Ministro per la solidarietà sociale, di
concerto con il Ministro della sanità,
sentita la Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, provvede alla
rideterminazione dei finanziamenti alle
regioni.
76
Capo IV
STRUMENTI PER FAVORIRE IL
RIORDINO DEL SISTEMA
INTEGRATO DI INTERVENTI E
SERVIZI SOCIALI
Art. 19. Piano di zona
1. I comuni associati, negli ambiti
territoriali di cui all'articolo 8, comma 3,
lettera a), a tutela dei diritti della
popolazione, d'intesa con le aziende unità
sanitarie locali, provvedono, nell'ambito
delle risorse disponibili, ai sensi
dell'articolo 4, per gli interventi sociali e
socio-sanitari, secondo le indicazioni del
piano regionale di cui all'articolo 18,
comma 6, a definire il piano di zona, che
individua:
a) gli obiettivi strategici e le priorità
di intervento nonché gli strumenti e i
mezzi per la relativa realizzazione;
b) le modalità organizzative dei
servizi, le risorse finanziarie, strutturali e
professionali, i requisiti di qualità in
relazione alle disposizioni regionali
adottate ai sensi dell'articolo 8, comma 3,
lettera h);
c) le forme di rilevazione dei dati
nell'ambito del sistema informativo di cui
all'articolo 21;
d) le modalità per garantire
l'integrazione tra servizi e prestazioni;
e) le modalità per realizzare il
coordinamento con gli organi periferici
delle amministrazioni statali, con
particolare
riferimento
all'amministrazione penitenziaria e della
giustizia;
f) le modalità per la collaborazione
dei servizi territoriali con i soggetti
operanti nell'ambito della solidarietà
sociale a livello locale e con le altre
risorse della comunità;
g) le forme di concertazione con
l'azienda unità sanitaria locale e con i
soggetti di cui all'articolo 1, comma 4.
2. Il piano di zona, di norma adottato
attraverso accordo di programma, ai
sensi dell'articolo 27 della legge 8 giugno
1990, n. 142, e successive modificazioni,
è volto a:
a) favorire la formazione di sistemi
locali di intervento fondati su servizi e
prestazioni complementari e flessibili,
stimolando in particolare le risorse locali
di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a
responsabilizzare i cittadini nella
programmazione e nella verifica dei
servizi;
b) qualificare la spesa, attivando
risorse, anche finanziarie, derivate dalle
forme di concertazione di cui al comma
1, lettera g);
c) definire criteri di ripartizione della
spesa a carico di ciascun comune, delle
aziende unità sanitarie locali e degli altri
soggetti
firmatari
dell'accordo,
prevedendo anche risorse vincolate per il
raggiungimento di particolari obiettivi;
d) prevedere iniziative di formazione
e di aggiornamento degli operatori
finalizzate a realizzare progetti di
sviluppo dei servizi.
3. All'accordo di programma di cui al
comma 2, per assicurare l'adeguato
coordinamento delle risorse umane e
finanziarie, partecipano i soggetti
pubblici di cui al comma 1 nonché i
soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, e
all'articolo
10,
che
attraverso
l'accreditamento o specifiche forme di
concertazione concorrono, anche con
proprie risorse, alla realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi
sociali previsto nel piano.
Capo V
INTERVENTI, SERVIZI ED
EMOLUMENTI ECONOMICI DEL
SISTEMA INTEGRATO DI
INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI
Art. 22. Definizione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali
1. Il sistema integrato di interventi e
servizi sociali si realizza mediante
politiche e prestazioni coordinate nei
diversi settori della vita sociale,
integrando servizi alla persona e al
nucleo familiare con eventuali misure
economiche, e la definizione di percorsi
attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle
risorse, impedire sovrapposizioni di
competenze e settorializzazione delle
risposte.
2. Ferme restando le competenze del
Servizio sanitario nazionale in materia di
prevenzione, cura e riabilitazione,
nonché le disposizioni in materia di
integrazione socio-sanitaria di cui al
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502, e successive modificazioni, gli
interventi
di
seguito
indicati
costituiscono il livello essenziale delle
prestazioni sociali erogabili sotto forma
di beni e servizi secondo le
caratteristiche ed i requisiti fissati dalla
pianificazione nazionale, regionale e
zonale, nei limiti delle risorse del Fondo
nazionale per le politiche sociali, tenuto
conto delle risorse ordinarie già destinate
dagli enti locali alla spesa sociale:
a) misure di contrasto della povertà e
di sostegno al reddito e servizi di
accompagnamento,
con
particolare
riferimento alle persone senza fissa
dimora;
b) misure economiche per favorire la
vita autonoma e la permanenza a
domicilio
di
persone
totalmente
dipendenti o incapaci di compiere gli atti
propri della vita quotidiana;
c) interventi di sostegno per i minori
in situazioni di disagio tramite il
sostegno al nucleo familiare di origine e
l'inserimento presso famiglie, persone e
strutture comunitarie di accoglienza di
tipo familiare e per la promozione dei
diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
d) misure per il sostegno delle
responsabilità
familiari,
ai
sensi
dell'articolo
16,
per
favorire
l'armonizzazione del tempo di lavoro e di
cura familiare;
e) misure di sostegno alle donne in
difficoltà per assicurare i benefici
disposti dal regio decreto-legge 8 maggio
1927, n. 798, convertito dalla legge 6
dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10
dicembre 1925, n. 2277, e loro
successive modificazioni, integrazioni e
norme attuative;
f) interventi per la piena integrazione
delle persone disabili ai sensi
dell'articolo 14; realizzazione, per i
77
soggetti di cui all'articolo 3, comma 3,
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei
centri socio-riabilitativi e delle comunitàalloggio di cui all'articolo 10 della citata
legge n. 104 del 1992, e dei servizi di
comunità e di accoglienza per quelli privi
di sostegno familiare, nonché erogazione
delle
prestazioni
di
sostituzione
temporanea delle famiglie;
g) interventi per le persone anziane e
disabili per favorire la permanenza a
domicilio, per l'inserimento presso
famiglie, persone e strutture comunitarie
di accoglienza di tipo familiare, nonché
per l'accoglienza e la socializzazione
presso
strutture
residenziali
e
semiresidenziali per coloro che, in
ragione della elevata fragilità personale o
di limitazione dell'autonomia, non siano
assistibili a domicilio;
h) prestazioni integrate di tipo socioeducativo per contrastare dipendenze da
droghe, alcol e farmaci, favorendo
interventi di natura preventiva, di
recupero e reinserimento sociale;
i) informazione e consulenza alle
persone e alle famiglie per favorire la
fruizione dei servizi e per promuovere
iniziative di auto-aiuto.
3. Gli interventi del sistema integrato
di interventi e servizi sociali di cui al
comma 2, lettera c), sono realizzati, in
particolare, secondo le finalità delle leggi
4 maggio 1983, n. 184, 27 maggio 1991,
n. 176, 15 febbraio 1996, n. 66, 28
agosto 1997, n. 285, 23 dicembre 1997,
n. 451, 3 agosto 1998, n. 296, 31
dicembre 1998, n. 476, del testo unico di
cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, e delle disposizioni sul processo
penale a carico di imputati minorenni,
approvate con decreto del Presidente
della Repubblica 22 settembre 1988, n.
448, nonché della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, per i minori disabili. Ai fini di cui
all'articolo 11 e per favorire la
deistituzionalizzazione, i servizi e le
strutture a ciclo residenziale destinati
all'accoglienza dei minori devono essere
organizzati esclusivamente nella forma
di strutture comunitarie di tipo familiare.
4. In relazione a quanto indicato al
comma 2, le leggi regionali, secondo i
78
modelli organizzativi adottati, prevedono
per ogni ambito territoriale di cui
all'articolo 8, comma 3, lettera a),
tenendo conto anche delle diverse
esigenze delle aree urbane e rurali,
comunque l'erogazione delle seguenti
prestazioni:
a) servizio sociale professionale e
segretariato sociale per informazione e
consulenza al singolo e ai nuclei
familiari;
b) servizio di pronto intervento
sociale per le situazioni di emergenza
personali e familiari;c) assistenza
domiciliare;
d)
strutture
residenziali
e
semiresidenziali per soggetti con fragilità
sociali;
e) centri di accoglienza residenziali o
diurni a carattere comunitario.
2) DGR 2000 n. 564
Direttiva Regionale per
l'autorizzazione al funzionamento
delle strutture residenziali e
semiresidenziali per minori, portatori
di handicap, anziani e malati di AIDS,
in attuazione della L.R. 12 ottobre
1998, n. 34
PARTE I.
DISPOSIZIONI GENERALI
1. AMBITO DI APPLICAZIONE
La presente direttiva si applica alle
strutture che, indipendentemente dalla
denominazione
dichiarata,
offrono
servizi rivolti a cittadini che si trovano in
difficoltà a maturare, recuperare e
mantenere la propria autonomia psicofisica e relazionale, perseguendo la
finalità di favorire processi di
emancipazione
da
situazioni
di
privazione/esclusione.
2. STRUTTURE SOGGETTE
ALL'OBBLIGO DI
AUTORIZZAZIONE AL
FUNZIONAMENTO
L'obbligo di autorizzazione al
funzionamento previsto dall'art. 1 della
L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 riguarda le
strutture già funzionanti alla data di
entrata in vigore della presente direttiva e
quelle di nuova istituzione, gestite sia da
soggetti pubblici che privati che: hanno
sede nel territorio regionale; offrono
ospitalità di tipo residenziale e
semiresidenziale e - indipendentemente
dalla denominazione dichiarata rientrano nelle tipologie specifiche
indicate nella parte II della presente
direttiva ed offrono servizi rivolti a:
minori per interventi socio-assistenziali
integrativi o sostitutivi della famiglia;
cittadini portatori di handicap per
interventi socio-assistenziali o sociosanitari finalizzati al mantenimento e al
recupero dei livelli di autonomia della
persona e sostegno della famiglia;
anziani per interventi socio-assistenziali
o
socio-sanitari
finalizzati
al
mantenimento e al recupero delle residue
capacità di autonomia della persona ed al
sostegno della famiglia;cittadini malati di
AIDS o con infezione da HIV che
necessitano di assistenza continua e
risultano privi del necessario supporto
familiare, o per i quali la permanenza nel
nucleo familiare sia temporaneamente o
definitivamente
impossibile
o
contrastante con il progetto individuale.
3. STRUTTURE NON SOGGETTE
ALL'OBBLIGO DI
AUTORIZZAZIONE AL
FUNZIONAMENTO
Non sono soggette all'obbligo di
autorizzazione al funzionamento: le
strutture con finalità prettamente
abitative; le strutture che offrono
ospitalità ai soli fini della frequenza a
corsi scolastici o di istruzione; le
strutture con finalità formative o di
inserimento lavorativo; le strutture di cui
L.R. 25 ottobre 1997, n. 34 "Delega ai
Comuni delle funzioni di controllo e
vigilanza sui soggiorni di vacanza per
minori"; le strutture con finalità diverse
da quelle socio-assistenziali anche se al
loro interno sono ospitati soggetti deboli
o a rischio di emarginazione; gli
appartamenti protetti ed i gruppi
appartamento per anziani e disabili, le
case famiglia, che accolgono fino ad un
massimo di sei ospiti. Il soggetto gestore
di queste strutture è comunque tenuto a
comunicare l'avvio di tali attività con le
modalità di cui al successivo paragrafo
9.1. Tali strutture, se ospitano minori
oggetto
di
intervento
educativoassistenziale collocati fuori dalla
famiglia d'origine, devono rispettare i
requisiti funzionali.
5. REQUISITI MINIMI
FUNZIONALI E STRUTTURALI DI
CARATTERE GENERALE
Tutte le strutture socio-assistenziali e
socio-sanitarie
residenziali
e
semiresidenziali devono possedere i
requisiti minimi funzionali e strutturali
previsti dal presente paragrafo e dai
paragrafi 5.1 e 5.2. Tali requisiti
attengono alla sicurezza degli utenti e
degli operatori, nonché alla qualità
minima delle prestazioni erogate. Tutte
le strutture devono essere in possesso dei
requisiti previsti dalle norme vigenti in
materia urbanistica, edilizia, prevenzione
incendi, igiene e sicurezza, previsti per le
singole tipologie indicate nella II parte
della presente direttiva, in relazione alle
loro caratteristiche. Tutte le strutture
esercitano la propria attività nel rispetto
dei principi di cui all'articolo 4 della L.R.
12 gennaio 1985, n. 2 e di cui all'articolo
188 della L.R. 21 aprile 1999, n. 3.
5.1 REQUISITI COMUNI A TUTTE
LE STRUTTURE DAL PUNTO DI
VISTA STRUTTURALE
Organizzazione degli spazi interni
(camere, sale, servizi igienici, ecc.) tale
da garantire agli ospiti il massimo di
fruibilità e di privacy, con particolare
riferimento al mantenimento e sviluppo
79
dei
livelli
di
autonomia
individuale;laddove,
nei
requisiti
strutturali minimi indicati nella parte II
della presente direttiva, si fa riferimento
a locali "adeguati alle modalità
organizzative adottate per il servizio",
l'adeguatezza va valutata anche tenuto
conto delle modalità che il gestore
intende adottare per l'erogazione di
alcuni servizi, quali ad esempio la
lavanderia e la preparazione pasti, per i
quali può essere previsto il ricorso a
soggetti esterni o comunque con
organizzazione esterna alla struttura;
adozione di soluzioni architettoniche e
suddivisione degli spazi interni che
tengano conto delle caratteristiche
dell'utenza a cui è destinata la struttura,
al fine di garantire la funzionalità delle
attività che vi vengono svolte; ubicazione
in luoghi abitati e comunque facilmente
raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici;
ciò al fine di permettere la partecipazione
degli utenti alla vita sociale del territorio,
nonché la facilità per i visitatori di
raggiungere gli ospiti della struttura; per
le case di riposo e case protette/RSA:
sistema di riscaldamento invernale e di
rinfrescamento estivo con possibilità di
regolazione
differenziata
della
temperatura per ambiente e di controllo
per l'umidità e il ricambio di aria;
impianto di luci di sicurezza; per le
strutture residenziali: impianto di
illuminazione notturna; impianto TV
nelle camere; presenza di almeno un
telefono pubblico negli spazi comuni.
5.2 REQUISITI COMUNI A TUTTE
LE STRUTTURE DAL PUNTO DI
VISTA ORGANIZZATIVOFUNZIONALE
Deve essere presente un registro degli
ospiti costantemente aggiornato; tale
registro deve essere mostrato su richiesta
ai soggetti che effettuano la vigilanza
nonché alle altre autorità competenti;
l'utenza ospitata
deve
presentare
caratteristiche omogenee rispetto ai
bisogni assistenziali espressi; in caso
contrario le necessità assistenziali
devono comunque essere tra loro
80
compatibili, anche in relazione alle
finalità
della
struttura
ed
alle
caratteristiche della stessa; la qualità e
quantità degli arredi deve essere
conforme a quanto in uso nelle civili
abitazioni; gli arredi, le attrezzature e gli
utensili
devono
essere
curati,
esteticamente
gradevoli,
nonché
permettere una idonea funzionalità d'uso
e
fruibilità
in
relazione
alle
caratteristiche dell'utenza ospitata; deve
essere garantita agli utenti la possibilità
di utilizzare arredi e suppellettili
personali, in particolare nelle strutture a
carattere residenziale; tale possibilità
deve essere esplicitata nella Carta dei
Servizi di cui al successivo paragrafo
6.1, con l'indicazione delle relative
modalità e limiti; deve essere predisposto
per ogni utente un piano individualizzato
di assistenza; per le strutture per minori:
deve essere predisposto per ogni utente
un progetto educativo individuale; le
attività devono essere organizzate nel
rispetto dei normali ritmi di vita degli
ospiti; deve essere garantita la possibilità
- in relazione alle eventuali specifiche
esigenze dietetiche degli ospiti - di
somministrare pasti personalizzati; deve
essere adottato un regolamento o Carta
dei servizi della struttura da consegnare a
ciascun utente e/o familiare al momento
dell'ingresso in struttura; devono essere
informati gli utenti e/o parenti - al
momento dell'ingresso in struttura - di
quanto previsto dalla deliberazione di
Giunta regionale n. 477 del 12/04/1999
"Criteri per l'individuazione dei costi per
l'assistenza medica generica e per
l'assistenza
specifica
nei
servizi
semiresidenziali e residenziali per
anziani
e
disabili
in
possesso
dell'autorizzazione al funzionamento
prevista dalle norme regionali"; deve
essere garantita la possibilità per parenti
e conoscenti di effettuare visite agli
ospiti
della
struttura,
anche
sollecitandone la partecipazione e
l'apporto per il miglioramento del
servizio; le modalità di visita agli ospiti
della
struttura,
ove
si
intenda
disciplinarle, devono essere contenute
nel regolamento o Carta dei servizi di cui
al punto precedente; deve essere favorito
l'apporto del volontariato presente sul
territorio; in ogni struttura deve essere
previsto un coordinatore responsabile ed
un responsabile delle attività sanitarie
ove previste; devono essere rispettati gli
obblighi informativi verso Regione e
Province
relativi
all'aggiornamento
annuale della banca dati delle strutture di
cui al successivo paragrafo 10.
5.2.1 REQUISITI COMUNI
RIGUARDANTI IL PERSONALE
In considerazione delle modifiche in
corso nella normativa nazionale sui
profili professionali in area sociale e
socio-sanitaria e sui relativi percorsi
formativi, le indicazioni espresse su tali
ambiti dalla presente direttiva saranno
oggetto di successivi aggiornamenti e
integrazioni. All'interno di ogni struttura
deve operare - in relazione a quanto
previsto dalle disposizioni specifiche
della Parte II - personale socioassistenziale,
socio-sanitario
ed
educativo, in possesso di adeguata
qualificazione ottenuta tramite la
frequenza a corsi teorico-pratici, come
previsto dalle direttive regionali della
formazione in materia e dal presente
provvedimento. Nel caso in cui il
personale sia sprovvisto di specifica
qualificazione deve essere in possesso di
un curriculum professionale e formativo
adeguato alle funzioni da svolgere,
comprensivo di esperienza lavorativa
specifica almeno biennale; deve avere
inoltre partecipato ad attività formative
mirate, salvo quanto previsto nella Parte
II "Disposizioni specifiche", paragrafo
4.2.1. Se il personale è sprovvisto di
qualifica, al soggetto gestore, ad
eccezione dei gestori di strutture per
minori, è rilasciata autorizzazione
provvisoria al funzionamento con le
modalità di cui al successivo paragrafo 6.
Il personale addetto alle funzioni
socio-assistenziali, socio-sanitarie ed
educative è di norma il seguente:
educatore professionale in possesso di
attestato di abilitazione rilasciato ai sensi
del D.M. Sanità 10 febbraio 1984;
educatore professionale ai sensi della
Direttiva Comunitaria 51/1992, in
possesso dell'attestato regionale di
qualifica rilasciato al termine di Corso di
formazione attuato nell'ambito del
progetto APRIS; educatore in possesso di
diploma
di
laurea
in
Scienze
dell'Educazione o in Scienze della
Formazione,
indirizzo
"Educatore
professionale extrascolastico"; addetto
all'assistenza di base in possesso
dell'attestato regionale di qualifica;
animatore in possesso dell'attestato
regionale di qualifica; responsabile di
attività assistenziali in possesso di
certificato regionale di specializzazione o
di attestato regionale di frequenza;
coordinatore responsabile di struttura in
possesso di adeguata formazione ed
esperienza professionale valutabile dal
curriculum posseduto; istruttore per
specifiche attività.
L'organizzazione del lavoro deve
prevedere momenti di lavoro in équipe,
programmi annuali di formazione e
aggiornamento del personale con
indicazione del responsabile, nonché
azioni di supervisione da attuare con
l'impiego di professionisti esperti. Il
personale deve portare ben visibile (ad
eccezione di quello delle strutture per
minori) un tesserino identificativo
rilasciato dal gestore della struttura dove
devono essere indicati il nome e la
qualifica rivestita. L'utilizzo di volontari
ed obiettori di coscienza deve essere
preceduto ed accompagnato dalle attività
formative ed informative necessarie ad
un proficuo inserimento nella struttura,
nell'ambito dei progetti d'intervento
riferiti ai piani individuali di assistenza o,
nel caso di strutture per minori, ai
progetti educativi; anche per i volontari e
gli obiettori di coscienza vale l'obbligo
del tesserino identificativo previsto al
capoverso precedente (ad eccezione delle
strutture per minori), rilasciato dal
gestore
della
struttura
o
dall'organizzazione di volontariato se
esiste un accordo di collaborazione tra
questa e il soggetto gestore.
81
6. PROCEDURA PER IL RILASCIO
DELLA AUTORIZZAZIONE AL
FUNZIONAMENTO
L'autorizzazione al funzionamento di
cui alla presente direttiva deve essere
acquisita prima dell'inizio dell'attività
della struttura. A tal fine il legale
rappresentante del soggetto gestore
presenta apposita domanda al Comune
nel cui territorio è ubicata la struttura,
secondo il modello a ciò predisposto
dalla Regione ai sensi dell'articolo 3,
comma 3 della L.R. n. 34/98, ed allegato
alla presente direttiva (allegato 1). Sono
altresì
soggette
a
preventiva
autorizzazione
al
funzionamento,
secondo le modalità di cui alla presente
direttiva, tutte le trasformazioni e/o gli
ampliamenti di strutture già autorizzate
ai sensi della presente direttiva e delle
direttive
regionali
di
cui
alle
deliberazioni del Consiglio regionale n.
560 del 11/07/1991, n. 2134 del
28/09/1994 e n. 779 del 10/12/1997, che
comportino il rilascio di concessione
edilizia o che modifichino la capacità
ricettiva autorizzata. Sono inoltre
soggette a preventiva autorizzazione al
funzionamento secondo le modalità
sopra
indicate,
le
trasformazioni
consistenti nella modifica di tipologia di
struttura tra quelle previste nella parte II.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della
L.R. n. 34/98, per l'attività istruttoria
delle domande oggetto della presente
direttiva, il Comune si avvale della
Commissione di cui al successivo
paragrafo 6.2. Il Comune, acquisiti i
risultati dell'attività istruttoria e preso
atto del parere formulato dalla
Commissione di cui al paragrafo 6.2,
rilascia
l'autorizzazione
al
funzionamento; in caso di parere
negativo, sulla base degli elementi forniti
dalla
Commissione,
indica
gli
adeguamenti da porre in essere prima
dell'inizio dell'attività della struttura. A
seguito della comunicazione del legale
rappresentante della struttura di avere
ottemperato a quanto richiesto, il
Comune provvede - attraverso la
Commissione alla verifica. In caso di
82
riscontro positivo provvede al rilascio
dell'autorizzazione al funzionamento. In
casi eccezionali e straordinari, da
indicare espressamente nell'atto di
autorizzazione,
il
Comune
può
autorizzare
provvisoriamente
una
struttura
fatto
salvo
eventuali
prescrizioni di interventi edilizi di lieve
entità, da effettuarsi entro il termine
massimo di 18 mesi non prorogabili,
previa acquisizione del parere della
Commissione in ordine al fatto che gli
interventi prescritti non pregiudicano la
sicurezza o l'incolumità degli ospiti o
degli operatori, nonché la funzionalità
della struttura al servizio per il quale è
destinata. I requisiti funzionali ed
organizzativi vengono dichiarati nella
domanda
di
autorizzazione
al
funzionamento nei modi e con le
modalità indicate al successivo paragrafo
6.1
"Domanda
per
il
rilascio
dell'autorizzazione al funzionamento". In
sede di prima istruttoria - per quanto
riguarda i requisiti funzionali ed
organizzativi - si effettua il riscontro di
quanto dichiarato con quanto previsto
dalla presente direttiva; successivamente
al
rilascio
dell'autorizzazione
al
funzionamento, e comunque entro e non
oltre 90 giorni dal rilascio, il Comune
provvede
mediante
l'apposita
Commissione - al sopralluogo per la
verifica. In nessun caso possono essere
concesse autorizzazioni provvisorie per
quanto attiene ai requisiti funzionali ed
organizzativi, salvo il caso di oggettiva
carenza di personale educativo od
addetto all'assistenza di base in possesso
dei titoli ed attestati di cui al precedente
paragrafo
5.2.1,
attestata
dalla
Amministrazione
provinciale
competente; in questi casi occorre che
per il personale privo di qualifica sia
verificato almeno il possesso della
necessaria
esperienza
e
capacità
professionale, maturata in strutture della
stessa od analoga tipologia di quella
oggetto
di
autorizzazione
al
funzionamento, valutabile dal curriculum
posseduto.
L'Amministrazione
provinciale, nell'attestazione di cui al
precedente capoverso, indica i tempi
previsti per l'attuazione delle attività
formative specifiche, nell'ambito della
propria programmazione e tenuto conto
della durata dei diversi percorsi
formativi. Sulla base dell'attestazione
provinciale il Comune fissa i termini
dell'autorizzazione provvisoria, previa
acquisizione della dichiarazione del
legale rappresentante della struttura di
impegno ad avviare a formazione o
riqualificazione gli operatori interessati
nei termini indicati. Per il personale
operante nelle strutture per minori
valgono le disposizioni specifiche di cui
alla Parte II, paragrafo 4.2.1.
6.1 DOMANDA PER IL RILASCIO
DELL'AUTORIZZAZIONE AL
FUNZIONAMENTO
Alla domanda per il rilascio
dell'autorizzazione al funzionamento,
compilata sul modello a ciò predisposto
dalla Regione ed inoltrata al Comune nel
cui territorio è ubicata la struttura, deve
essere
allegata
la
seguente
documentazione: planimetria quotata dei
locali della struttura, con l'indicazione
della destinazione d'uso dei singoli
ambienti;
dichiarazione
sostitutiva
dell'atto di notorietà ai sensi del D.P.R.
20 ottobre 1998, n. 403 e della L. 4
gennaio 1968, n. 15, del legale
rappresentante del soggetto gestore,
attestante che la struttura rispetta la
normativa vigente in materia urbanistica,
edilizia, prevenzione incendi, igiene e
sicurezza; nella dichiarazione sostitutiva
devono essere indicate la data del rilascio
e l'autorità emanante dei certificati e
degli altri atti amministrativi; si richiama
quanto previsto all'art. 26 della L. n. 15
del 1968 in materia di sanzioni, e quanto
previsto all'art. 11 del D.P.R. n. 403 del
1998 in materia di controlli sul contenuto
delle dichiarazioni sostitutive; per le
strutture per minori: copia del progetto
educativo generale della struttura che
espliciti le metodologie educative che si
intendono adottare, il tipo di utenza che
si intende ospitare e la fascia d'età a cui
ci si rivolge (Parte II "Disposizioni
specifiche", paragrafo 4.2); copia del
modello di cartella personale in uso
presso la struttura; dichiarazione a firma
del legale rappresentante del soggetto
gestore indicante le qualifiche ed il
numero del personale previsto per la
struttura a regime; la verifica del rispetto
di quanto dichiarato sarà effettuata
successivamente all'inizio dell'attività
con le modalità indicate al precedente
paragrafo 6.; dichiarazione a firma del
legale rappresentante del soggetto
gestore indicante il nominativo del
coordinatore
responsabile
e
del
responsabile delle attività sanitarie ove
previste, specificando per quest'ultimo il
possesso dei titoli posseduti richiesti
dalla legge; nel caso di cambiamenti dei
soggetti sopra indicati, è fatto obbligo al
legale rappresentante di darne tempestiva
comunicazione al Comune che ha
rilasciato
l'autorizzazione
al
funzionamento ed alla Amministrazione
provinciale competente, ai fini della
tenuta del Registro di cui al successivo
paragrafo 8.; dichiarazione a firma del
legale rappresentante del soggetto
gestore indicante il nominativo del
responsabile del servizio protezione e
prevenzione ai sensi del D.lgs. 626/94;
per le strutture residenziali: copia del
regolamento o Carta dei Servizi adottata
dalla struttura in cui devono essere
indicate: la retta totale richiesta all'ospite
o al soggetto che provvede al pagamento;
nel caso di stipula di convenzione con
l'Azienda USL per il rimborso degli
oneri a rilievo sanitario ai sensi delle
direttive regionali vigenti, la Carta dei
Servizi andrà integrata con l'indicazione
della quota portata in detrazione perché
oggetto di rimborso al gestore; le attività
ed i servizi erogati ricompresi nella retta
di cui sopra; le attività ed i servizi
garantiti a richiesta non ricompresi nella
retta, con l'indicazione delle relative
tariffe; le modalità - se soggette a
restrizione di orari o di altro genere - di
accesso di soggetti esterni alla struttura
(parenti, volontari, ecc.); gli orari di
presenza in struttura del personale
sanitario ove previsto; le modalità con
cui vengono effettuate le ammissioni e le
dimissioni; le regole di vita comunitaria;
83
le modalità ed i limiti per l'utilizzo di
arredi e suppellettili personali di cui al
precedente paragrafo 5.2.
6.2 ATTIVITA' ISTRUTTORIA
Il Comune, per l'accertamento dei
requisiti minimi previsti dalla presente
direttiva, si avvale della Commissione di
cui all'articolo 4 della L.R. n. 34 del
1998. Ogni Commissione dovrà essere
composta da almeno 7 esperti, oltre al
Presidente, con documentate competenze
ed esperienze in materia di: a) edilizia
socio-sanitaria; b) impiantistica generale;
c) organizzazione e sicurezza del lavoro;
d) organizzazione e gestione di servizi
sociali;
e)
neuropsichiatria
e
riabilitazione; f) geriatria; g) assistenza ai
minori.
Gli esperti di cui alle precedenti
lettere a), b), c) sono gli stessi già
individuati ai sensi della deliberazione di
Giunta regionale dell'8 febbraio 1999, n.
125. Il Responsabile del Dipartimento di
prevenzione attiva di volta in volta,
nell'ambito della suddetta Commissione,
un gruppo ispettivo correlato e
commisurato alla tipologia e alle
dimensioni della struttura per la quale è
stata richiesta l'autorizzazione al
funzionamento.
Gli esperti di cui alle precedenti
lettere a), b), c) sono nominati dal
Direttore Generale dell'Azienda USL. Gli
esperti di cui alle precedenti lettere d), e),
f), g) sono nominati dal Direttore
Generale
dell'Azienda
USL
su
designazione della Conferenza sanitaria
territoriale.
La Commissione dura in carica 5
anni. Qualora durante i 5 anni si dovesse
procedere alla sostituzione di uno o più
componenti, l'individuazione avviene
con le modalità di cui al precedente
capoverso.
La Commissione si configura quale
organo tecnico consultivo di tutti i
Comuni del territorio di riferimento
dell'Azienda USL, per l'esercizio della
funzione
di
autorizzazione
al
funzionamento delle strutture oggetto
della presente direttiva.
84
Il Responsabile del Dipartimento di
Prevenzione dell'Azienda USL, nella sua
qualità di Presidente della Commissione,
assicura la tenuta di apposito registro di
verbalizzazione dell'attività e dei pareri
della Commissione stessa, nonché
l'archiviazione della documentazione
allegata alle domande.
La Commissione, al fine di
permettere al Comune di adottare gli atti
di propria competenza, trasmette una
relazione contenente le conclusioni ed il
parere
sulla
domanda
oggetto
dell'istruttoria.
Il Comune provvede ad inviare il
provvedimento di autorizzazione al
funzionamento al legale rappresentante
del soggetto gestore; contestualmente
provvede ad effettuare le previste
comunicazioni alla Provincia, con le
modalità di cui al successivo paragrafo 8.
6.3 ELEMENTI
DELL'AUTORIZZAZIONE AL
FUNZIONAMENTO
L'autorizzazione
rilasciata
dal
Comune deve indicare: a) l'esatta
denominazione del soggetto gestore, la
natura giuridica e l'indirizzo; b) l'esatta
denominazione della struttura e la sua
ubicazione; c) la tipologia della struttura,
tra quelle previste nella parte II della
presente direttiva; d) la capacità ricettiva
autorizzata; e) la eventuale condivisione
di locali ammessa per le tipologie di
strutture di cui ai successivi paragrafi 1.1
e 2.1 della Parte II "Disposizioni
specifiche" e la struttura con cui vengono
condivisi; f) il nominativo del
coordinatore
responsabile
e
del
responsabile delle attività sanitarie se
previste; g) la data del rilascio
dell'autorizzazione;
da
tale
data
decorrono i termini di cui al successivo
paragrafo 9.
8. REGISTRO PROVINCIALE
DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE
E'
istituito
presso
ciascuna
Amministrazione provinciale il Registro
delle strutture residenziali e semiresi-
denziali pubbliche e private che svolgono
attività
socio-sanitaria
e
socioassistenziale,
autorizzate
al
funzionamento ai sensi della L.R. 12
ottobre 1998, n. 34, artt. 1, co. 1 e 3, co.
2.
Le
Amministrazioni
provinciali
devono
essere
tempestivamente
informate,
contestualmente
alle
comunicazioni effettuate al legale
rappresentante del soggetto gestore, dei
provvedimenti
adottati
dalle
Amministrazioni comunali competenti
sulle
singole
strutture,
anche
nell'esercizio delle funzioni di vigilanza,
affinchè provvedano ad annotarle nel
Registro.
Al fine della istituzione, tenuta ed
aggiornamento del Registro, i Comuni
comunicano
alla
Provincia
i
provvedimenti adottati tramite la
compilazione degli appositi modelli a ciò
predisposti ed allegati alla presente
direttiva.
Per le autorizzazioni di cui ai
precedenti paragrafi 6.2 e 7.2 si dovrà
utilizzare il modello "Mod. AUT1"; lo
stesso modello deve essere utilizzato per
le autorizzazioni di cui al precedente
paragrafo
7.1,
precisando
se
l'autorizzazione è stata rilasciata sulla
base dei requisiti strutturali previsti dalle
direttive precedenti o dalla presente.
Per le strutture di cui al precedente
paragrafo 7.3 i Comuni, per le previste
comunicazioni alla Provincia, utilizzano
il modello "Mod. PROVV".
I Comuni provvedono altresì a dare
comunicazione alla Provincia dell'esito e
della data del sopralluogo di verifica dei
requisiti funzionali ed organizzativi
dichiarati, di cui al precedente paragrafo
6., per quanto attiene all'istruttoria delle
domande
di
autorizzazione
al
funzionamento presentate sulla base
della disciplina di cui alla L.R. 34/98 e
della presente direttiva. La Provincia
annota nel Registro la data e l'esito del
sopralluogo di verifica.
La
Provincia
provvede
ad
informatizzare, nell'apposita procedura
del Sistema informativo regionale, i
modelli "Mod. AUT1" e "Mod.
PROVV", ricevuti dai Comuni e le
annotazioni relative alla data ed esito del
sopralluogo di verifica dei requisiti di cui
al precedente paragrafo 6..
Nel Registro è tenuta una apposita
sezione destinata alla annotazione delle
comunicazioni di avvio attività di cui al
successivo paragrafo 9.1. La Provincia
provvede ad informatizzare nella
apposita
procedura
del
sistema
informativo regionale i modelli "Mod.
DEN1" ricevuti dai Comuni.
9. VERIFICHE E CONTROLLI
La permanenza dei requisiti minimi
sulla base dei quali è stata rilasciata
l'autorizzazione al funzionamento è
verificata di norma ogni quattro anni,
mediante autocertificazione sottoscritta
dal legale rappresentante del soggetto
gestore, trasmessa al Comune che ha
rilasciato
l'autorizzazione
al
funzionamento. L'autocertificazione deve
essere conforme al modello predisposto
dalla Giunta regionale con propria
deliberazione. Il Comune può comunque
procedere in qualsiasi momento a
verifiche ispettive anche avvalendosi
della Commissione di cui al paragrafo
6.2.
La Regione può disporre controlli e
verifiche sulle strutture autorizzate,
dandone comunicazione al Comune ed
avvalendosi della Commissione di cui al
precedente paragrafo 6.2. L'esito dei
controlli e verifiche effettuate deve
essere tempestivamente comunicato al
legale rappresentante del soggetto
gestore, alla Provincia ed al Comune nel
caso di controlli e verifiche disposti dalla
Regione. Alla Provincia deve essere
altresì trasmessa - a cura del Comune copia della autocertificazione sottoscritta
dal legale rappresentante del soggetto
gestore di cui al primo capoverso del
presente
paragrafo,
ai
fini
dell'annotazione nel Registro provinciale
delle strutture autorizzate.
Qualora, a seguito di verifica disposta
dal Comune o dalla Regione, venga
accertata l'assenza di uno o più requisiti
minimi o il superamento della capacità
85
ricettiva autorizzata, il Comune diffida il
legale rappresentante del soggetto
gestore a provvedere al necessario
adeguamento entro il termine stabilito
nell'atto di diffida. Tale termine può
essere eccezionalmente prorogato, con
atto motivato, una sola volta. Il mancato
adeguamento nel termine stabilito,
ovvero l'accertamento di comprovate
gravi carenze che possono pregiudicare
la sicurezza degli assistiti o degli
operatori, comporta l'adozione di un
provvedimento di sospensione - anche
parziale - dell'attività. Con tale
provvedimento il Comune indica la
decorrenza della sospensione dell'attività
nonché gli adempimenti da porre in
essere per permetterne la ripresa. Ove il
legale rappresentante del soggetto
gestore non richieda al Comune - entro
un anno dalla data del provvedimento di
sospensione - la verifica circa il
superamento delle carenze riscontrate,
l'autorizzazione al funzionamento si
intende decaduta. In questo caso l'attività
può essere nuovamente esercitata solo a
seguito di presentazione di nuova
domanda con le modalità di cui ai
precedenti paragrafi 6. e 6.1. A seguito
della
comunicazione
del
legale
rappresentante del soggetto gestore di cui
al precedente capoverso, il Comune
provvede entro 30 giorni alla prevista
verifica; decorsi i 30 giorni senza che il
Comune abbia provveduto alla verifica,
il gestore può riprendere l'attività oggetto
di sospensione. L'eventuale mancato
esercizio dell'attività protratto per più di
12
mesi
comporta
la
revoca
dell'autorizzazione al funzionamento.
Nel caso di verifiche e controlli disposti
dal Comune o dalla Regione a seguito
dei
quali
venga
adottato
un
provvedimento, il Comune deve darne
comunicazione alla Provincia utilizzando
il modello a ciò predisposto allegato alla
presente direttiva "Mod. VER1".
9.1 COMUNICAZIONE DI AVVIO
DI ATTIVITA'
Il legale rappresentante del soggetto
gestore di appartamenti protetti e gruppi
86
appartamento per anziani e disabili, di
case famiglia, che accolgono fino ad un
massimo di sei ospiti, deve comunicare
l'avvio di tali attività al Sindaco del
Comune del territorio.
La comunicazione - finalizzata
all'esercizio dell'attività di vigilanza deve essere effettuata entro 60 giorni
dall'avvio dell'attività e deve indicare: la
denominazione e l'indirizzo esatto della
sede in cui si svolge l'attività; la
denominazione, la natura giuridica e
l'indirizzo del soggetto gestore; il numero
massimo (entro le sei unità) di utenti che
possono essere ospitati nella sede; il
numero e le caratteristiche dell'utenza
presente (esempio: minori, anziani,
disabili, ecc.); il numero e le qualifiche
del personale che vi opera; le modalità di
accoglienza dell'utenza (convenzione con
enti pubblici, rapporto diretto con gli
utenti, ecc.); la retta richiesta agli ospiti
e/o
ai
familiari
e
l'eventuale
partecipazione alla spesa di soggetti
pubblici.
Per le attività di cui al presente
paragrafo, già avviate alla data di entrata
in vigore della presente direttiva, la
comunicazione deve essere effettuata
entro 60 giorni dall'entrata in vigore. Il
Comune provvede a dare comunicazione
alla Provincia, al fine della tenuta
dell'apposita sezione del Registro, delle
comunicazioni di avvio di attività
ricevute, utilizzando l'apposito modello a
ciò predisposto ed allegato alla presente
direttiva "Mod. DEN1".
10. SISTEMA INFORMATIVO
La Regione, ai sensi dell'articolo 14
della L.R. n. 3 del 1999, nell'ambito delle
linee di indirizzo per lo sviluppo
telematico
dell'Emilia-Romagna,
promuove il coordinamento delle
informazioni e la comunicazione
istituzionale con il sistema delle
autonomie locali. Nell'ambito del più
complessivo
sistema
informativo
regionale si colloca quello delle politiche
sociali, la cui gestione territoriale è
affidata alle Province ai sensi dell'art.
190 della L.R. n. 3 del 1999.
Il sistema informativo delle politiche
sociali - realizzato con procedure
informatiche gestite in rete tra la Regione
e le Province - comprende, tra l'altro, la
banca dati delle strutture socioassistenziali e socio-sanitarie del
territorio regionale. La banca dati è
costituita dall'anagrafe delle strutture - la
cui implementazione avviene, per le
strutture oggetto della presente direttiva,
attraverso i Registri di cui al precedente
paragrafo 8. - e da aggiornamenti annuali
effettuati
attraverso
le
apposite
rilevazioni rivolte ai soggetti gestori. Gli
aggiornamenti
annuali
riguardano:
l'organizzazione del presidio, l'utenza, il
personale,
gli
aspetti
economici.
L'anagrafe delle strutture oggetto della
presente direttiva viene alimentata e
modificata in modo continuo dalle
Province, a seguito dell'invio da parte dei
Comuni dei modelli a ciò predisposti
("Mod. AUT1", "Mod. PROVV", "Mod.
DEN1",
"Mod.
VER1").
Gli
aggiornamenti annuali vengono effettuati
attraverso i modelli di rilevazione
"ISTAT/Regione" per le strutture
residenziali e i modelli "Regione" per le
strutture semiresidenziali. I modelli
vengono inviati dalle Province agli enti
gestori
che
provvedono
alla
compilazione e restituzione alle Province
per la relativa informatizzazione. Il
sistema così delineato crea a livello
provinciale un punto di accesso unificato
alle informazioni sulle strutture socioassistenziali
e
socio-sanitarie,
individuando nelle Province il punto di
riferimento privilegiato per i soggetti del
rispettivo ambito territoriale. A livello
regionale
fornisce
elementi
per
l'esercizio
delle
funzioni
di
programmazione, coordinamento ed
indirizzo.
3) DECRETO 21 maggio 2201, n.308
Regolamento concernente
"Requisiti minimi strutturali e
organizzativi per l'autorizzazione
all'esercizio dei servizi e delle strutture
a ciclo residenziale e semiresidenziale,
a norma dell'articolo 11 della legge 8
novembre 2000, n. 328"
Art. 1. Oggetto e finalità
1. Il presente decreto fissa i requisiti
minimi strutturali e organizzativi per
l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e
delle strutture a ciclo diurno e
residenziale di cui alla legge n. 328 del
2000, con previsione di requisiti specifici
per le comunità di tipo familiare con sede
nelle civili abitazioni.
2. Ai sensi dell'articolo 11, comma 2,
della legge n. 328 del 2000, le regioni
recepiscono e integrano, in relazione alle
esigenze locali, i requisiti minimi fissati
dal presente decreto, individuando, se del
caso, le condizioni in base alle quali le
strutture sono considerate di nuova
istituzione e le modalità e i termini entro
cui prevedere, anche in regime di deroga,
l'adeguamento ai requisiti per le strutture
già operanti.
Art. 2. Strutture e servizi soggetti ai
requisiti minimi per l'autorizzazione
1.
I
requisiti
minimi
per
l'autorizzazione al funzionamento di cui
alla legge n. 328 del 2000 riguardano le
strutture e i servizi già operanti e quelli
di nuova istituzione, gestiti dai soggetti
pubblici o dai soggetti di cui all'articolo
1, commi 4 e 5 della legge n. 328 del
2000 che, indipendentemente dalla
denominazione dichiarata, sono rivolti a:
a) minori per interventi socioassistenziali ed educativi integrativi o
sostitutivi della famiglia;
b) disabili per interventi socioassistenziali o socio-sanitari finalizzati al
mantenimento e al recupero dei livelli di
autonomia della persona e al sostegno
della famiglia;
87
c) anziani per interventi socioassistenziali o socio-sanitari, finalizzati
al mantenimento e al recupero delle
residue capacità di autonomia della
persona e al sostegno della famiglia;
d) persone affette da AIDS che
necessitano di assistenza continua, e
risultano prive del necessario supporto
familiare, o per le quali la permanenza
nel
nucleo
familiare
sia
temporaneamente o definitivamente
impossibile o contrastante con il progetto
individuale;
e) persone con problematiche psicosociali che necessitano di assistenza
continua e risultano prive del necessario
supporto familiare, o per le quali la
permanenza nel nucleo familiare sia
temporaneamente o definitivamente
impossibile o contrastante con il progetto
individuale.
2. Per le strutture che erogano
prestazioni socio-sanitarie di cui
all'articolo 8-ter del decreto legislativo n.
502 del 1992, come modificato dal
decreto legislativo n. 229 del 1999,
l'autorizzazione di cui al comma 1,
lettere b), c), d) ed e), e' rilasciata
comunque in conformità a quanto
previsto dall'articolo 8-ter dello stesso
decreto legislativo.
3. Restano ferme le disposizioni
adottate in attuazione della legge 18
febbraio 1999, n. 45, in materia di
strutture e servizi destinati al recupero e
alla
riabilitazione
della
tossicodipendenza.
Art. 3. Strutture di tipo familiare e
comunità di accoglienza di minori
1. Le comunità di tipo familiare e i
gruppi appartamento con funzioni di
accoglienza
e
bassa
intensità
assistenziale, che accolgono, fino ad un
massimo di sei utenti, anziani, disabili,
minori o adolescenti, adulti in difficoltà
per i quali la permanenza nel nucleo
familiare sia temporaneamente o
permanentemente
impossibile
o
contrastante con il progetto individuale,
devono possedere i requisiti strutturali
previsti per gli alloggi destinati a civile
88
abitazione. Per le comunità che
accolgono minori, gli specifici requisiti
organizzativi, adeguati alle necessità
educativo-assistenziali dei bambini e
degli adolescenti, sono stabiliti dalle
regioni.
Art. 5. Requisiti comuni delle
strutture a ciclo diurno e residenziale
1. Fermo restando il possesso dei
requisiti previsti dalle norme vigenti in
materia urbanistica, edilizia, prevenzione
incendi,
igiene
e
sicurezza
e
l'applicazione dei contratti di lavoro e dei
relativi accordi integrativi, le strutture
devono possedere i seguenti requisiti
minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1,
lettera c), della legge n. 328 del 2000:
a) ubicazione in luoghi abitati
facilmente raggiungibili con l'uso di
mezzi pubblici, comunque tale da
permettere la partecipazione degli utenti
alla vita sociale del territorio e facilitare
le visite agli ospiti delle strutture;
b) dotazione di spazi destinati ad
attività collettive e di socializzazione
distinti dagli spazi destinati alle camere
da letto, organizzati in modo da garantire
l'autonomia individuale, la fruibilità e la
privacy;
c) presenza di figure professionali
sociali e sanitarie qualificate, in relazione
alle caratteristiche ed ai bisogni
dell'utenza
ospitata,
così
come
disciplinato dalla regione;
d) presenza di un coordinatore
responsabile della struttura;
e) adozione di un registro degli ospiti
e predisposizione per gli stessi di un
piano individualizzato di assistenza e,
per i minori, di un progetto educativo
individuale; il piano individualizzato ed
il progetto educativo individuale devono
indicare in particolare: gli obiettivi da
raggiungere, i contenuti e le modalità
dell'intervento, il piano delle verifiche;
f) organizzazione delle attività nel
rispetto dei normali ritmi di vita degli
ospiti;
g) adozione, da parte del soggetto
gestore, di una Carta dei servizi sociali
secondo quanto previsto dall'articolo 13
della legge n. 328 del 2000,
comprendente la pubblicizzazione delle
tariffe praticate con indicazione delle
prestazioni ricomprese.
Art. 6. Requisiti comuni ai servizi
1. Ferma restando l'applicazione dei
contratti di lavoro e dei relativi accordi
integrativi, il soggetto erogatore di
servizi alla persona di cui alla legge n.
328 del 2000 deve garantire il rispetto
delle seguenti condizioni organizzative,
che costituiscono requisiti minimi ai
sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c),
della medesima legge:
a) presenza di figure professionali
qualificate in relazione alla tipologia di
servizio erogato, secondo standard
definiti dalle regioni;
b) presenza di un coordinatore
responsabile del servizio;
c) adozione, da parte del soggetto
erogatore, di una Carta dei servizi sociali
secondo quanto previsto dall'articolo 13
della legge n. 328 del 2000
comprendente la pubblicizzazione delle
tariffe praticate con indicazione delle
prestazioni ricomprese;
d) adozione di un registro degli utenti
del servizio con l'indicazione dei piani
individualizzati di assistenza.
Art. 7. Requisiti specifici delle
strutture
1. Ai fini della individuazione dei
requisiti minimi delle strutture si
considerano:
a) strutture a carattere comunitario;
b) strutture a prevalente accoglienza
alberghiera;
c) strutture protette;
d) strutture a ciclo diurno.
2. Le strutture a carattere comunitario
sono caratterizzate da bassa intensità
assistenziale, bassa e media complessità
organizzativa, destinate ad accogliere
utenza con limitata autonomia personale,
priva del necessario supporto familiare o
per la quale la permanenza nel nucleo
familiare sia temporaneamente o
definitivamente contrastante con il piano
individualizzato di assistenza.
3. Le strutture a prevalente
accoglienza
alberghiera
sono
caratterizzate
da
bassa
intensità
assistenziale, media e alta complessità
organizzativa in relazione al numero di
persone ospitate, destinate ad accogliere
anziani autosufficienti o parzialmente
non autosufficienti.
4. Le strutture protette sono
caratterizzate
da
media
intensità
assistenziale, media e alta complessità
organizzativa, destinate ad accogliere
utenza non autosufficiente.
5. Le strutture a ciclo diurno sono
caratterizzate da diverso grado di
intensità assistenziale in relazione ai
bisogni dell'utenza ospitata e possono
trovare collocazione all'interno o in
collegamento con una delle tipologie di
strutture di cui ai commi precedenti.
89
Appendice B
Questo appendice riporta lo schema del modulo allegato alla DGR 564/2000. Il
modulo viene compilato dai Comuni ed inviato alla Provincia di riferimento al fine
di registrare gli aggiornamenti annuali relativi alle strutture oggetto della delibera.
Mod. DEN1
REGISTRO PROVINCIALE DELLE COMUNICAZIONI DI AVVIO ATTIVITA'
L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N.___ DEL ___
PARTE I, PARAGRAFO 9.1
COMUNE DI __________
PROVINCIA DI ________
SOGGETTO GESTORE _________
(denominazione, natura giuridica ed indirizzo)
STRUTTURA _____________ (denominazione, indirizzo)
NUMERO MASSIMO DI UTENTI CHE POSSONO ESSERE OSPITATI NELLA
STRUTTURA _________
CARATTERISTICHE DELL'UTENZA OSPITATA ________
(esempio: minori, anziani, disabili, ecc.)
NUMERO
E
QUALIFICHE
DEL
PERSONALE
CHE
OPERA
NELLA
STRUTTURA__________________________
MODALITA' DI ACCOGLIENZA DELL'UTENZA ______________________
(convenzione con enti pubblici, rapporto diretto con gli utenti, ecc.)
RETTA RICHIESTA AGLI OSPITI E/O AI FAMILIARI ED EVENTUALE
PARTECIPAZIONE ALLA SPESA DI SOGGETTI PUBBLICI_____________________
DATA IN CUI E' STATA PRESENTATA AL COMUNE LA COMUNICAZIONE DI
AVVIO ATTIVITÀ ____________________________
90
Appendice C
Questa appendice riporta il testo
- attività di socializzazione
integrale delle Linee Guida approvate
e quant’altro può contribuire al benessere
dell’anziano e al mantenimento delle sue
capacità residue.
in data 08/07/2008 dal Consiglio
comunale di Parma con delibera n.
85/15.
Linee Guida per la disciplina, la
valorizzazione e la qualificazione delle
Case Famiglia per anziani e per
l'esercizio delle attività di vigilanza e
controllo.
Case Famiglia
Le Case Famiglia nascono, su iniziativa
privata, per dare una risposta al crescete
bisogno di luoghi di tipo familiare, che
diano assistenza e ospitalità a persone di
terza età.
La filosofia portante delle Case Famiglia
e della organizzazione deve basarsi sulla
centralità e sul sostegno dell’anziano che
viene accolto e inserito in modo da
mantenere integri i legami con la sua
famiglia, la sua casa, i suoi amici. Le
stesse devono farsi carico dell’anziano
nella globalità e, oltre a garantire un
soggiorno e un’assistenza di base di
ottimo livello, devono promuovere le
potenzialità di salute, di benessere, di
affettività e di vita relazionale degli
assistiti.
Le Case Famiglia che operano sul
Territorio Comunale di Parma, possono
accogliere anziani autosufficienti e/o che
necessitano
di
bassa
intensità
assistenziale, certificata dal Medico di
Medicina Generale. Per bassa intensità
assistenziale si intende il livello di cura
che il singolo anziano richiede per
svolgere le attività di vita quotidiana e si
caratterizza in prestazioni quali:
- aiuto per l’igiene personale e il bagno;
- aiuto nella vestizione;
- aiuto nella preparazione dei pasti;
-accompagnamento per disbrigo pratiche;
- accompagnamento ai presidi sanitari;
A)
Percorsi
procedurali
concentrati tra il Settore Sportello
Unico Impresa Edilizia-Cittadino e i
Servizi Sociali
1.
Il soggetto gestore che intende
avviare una “Casa Famiglia”, ove
possono essere accolti fino ad un
massimo di sei ospiti, è tenuto a dare
comunicazione dell’avvio di tale attività
al Settore Sportello Unico del Comune di
Parma
entro
60
giorni.
Tale
dichiarazione deve contenere tutte le
informazioni elencate al Punto 9.1 della
Delibera di Giunta Regionale n. 564/00,
oltre a quelle di cui alla Scheda Tecnica
approvata
con
Provvedimento
Dirigenziale.
2.
Il Settore Sportello Unico del
Comune di Parma dovrà provvedere a
trasmettere
tempestivamente
le
Comunicazioni di Avvio Attività
all’Assessorato Politiche Sociali e di
Parità- Struttura Operativa Anziani per le
successive azioni di verifica e controllo,
come stabilito dalla Deliberazione di
Giunta Regionale 564/00.
3.
La Struttura Operativa Anziani
provvederà quindi a trasmettere le
Comunicazioni di avvio attività agli
organismi competenti, ovvero NAS,
Nucleo Carabinieri ISP DEL LAVORO e
Azienda USL – Distretto di Parma –
Dipartimento di Sanità Pubblica.
4.
Presso la Struttura Operativa
Anziani è tenuto un apposito elenco delle
Case
Famiglia,
contenente
la
denominazione della struttura, l’indirizzo
e il nominativo del legale rappresentante,
nonché la data di presentazione delle
Comunicazioni di Avvio Attività. Tale
elenco viene periodicamente aggiornato
ogni qualvolta pervengono alla Struttura
Operativa Anziani nuove comunicazioni
di avvio attività o cessazioni si attività
91
già in essere e in caso di provvedimenti
di chiusura emessi dagli organismi
competenti
5.
Il Settore Sportello Unico, entro
il mese di dicembre di ogni anno, al fine
della tenuta dell’apposita sezione del
Registro, provvederà a trasmettere alla
Provincia le comunicazioni di avvio di
attività ricevute, utilizzando l’apposito
modello “Mod.DEN1”, allegato alla
Deliberazione di Giunta Regionale
n.564/00.
B) Comunicazione per l’avvio e la
gestione delle Case Famiglia
1. Ai fini dell’esercizio dell’attività di
vigilanza e controllo, la comunicazione
di avvio dell’attività deve contenere,
sulla base dei modelli allegati che i
Dirigenti
competenti
potranno
eventualmente modificare:
- Planimetria della Casa possibilmente in
scala 1:100 e individuazione del numero
dei posti letto;
- Carta dei servizi Sociali (ai sensi
dell’art. 13 della legge n.328/2000);
- Dichiarazione Antimafia (in caso di
società);
- Scheda Tecnica, da cui risulti il
possesso dei requisiti minimi strutturali
ed organizzativi previsti dalle norme di
legge e dai Regolamenti Comunali
vigenti.
C) Valorizzazione e qualificazione
dell’attività delle Case Famiglia
1. Il Soggetto Gestore può fornire alla
Struttura Operativa Anziani – in fase di
avvio o in momenti successivi –
qualunque elemento che ritiene utile al
fine di qualificare l’attività svolta, anche
in
un’ottica
di
diversificazione
dell’offerta assistenziale, progettualità
innovativa, messa in campo di risorse
aggiuntive, promozione di interventi
finalizzati a migliorare la qualità di vita e
a favorire una condizione di benessere
complessivo degli ospiti.
2. Parimenti i Soggetti Gestori di Casa
Famiglia possono sperimentare modalità
di gestione associata di alcune
92
professionalità (esempio: Infermiere
Professionale), raccordandosi tra loro o
con gli altri servizi del territorio per la
condivisione di attività o momenti
comuni, favorire la partecipazione egli
ospiti agli eventi del territorio anche con
il coinvolgimento dei familiari.
3. E’ altresì da considerarsi elemento
qualificante la partecipazione delle
persone impegnate nell’assistenza –
siano essi dipendenti, collaboratori o
volontari a momenti o cicli di
formazione/aggiornamento organizzati
dalla Struttura Operativa Anziani o da
altri soggetti, così come è da favorire da
parte
dei
gestori
la
graduale
qualificazione del personale che già
opera nelle Case Famiglia qualora si
dimostri predisposizione e attitudine al
lavoro di cura.
4. Fermo restando che il referente
sanitario degli ospiti è il Medico di
Medicina Generale e il Responsabile del
Piano Assistenziale è il Familiare
Referente, i professionisti del Settore
sociale e dell’Azienda USL si pongono
come
possibili
interlocutori
per
migliorare l qualità del servizio erogato
all’interno della Casa Famiglia, anche
proponendo strumenti di lavoro efficaci e
innovativi utili alla organizzazione delle
attività.
D) Vigilanza, Controllo e Sanzioni
1. Il Comune esercita l’attività di
vigilanza e controllo, avvalendosi del
Servizio
Sociale,
della
Polizia
Municipale, de Servizi dell’Azienda
USL, nonché di altri organi deputati alle
funzioni di vigilanza e controllo,
ciascuno per la propria competenza.
2. Qualora venga accertata l’assenza di
uno o più requisiti o il superamento del
numero di ospiti consentito, il Comune
diffida il legale rappresentante della Casa
Famiglia a provvedere al necessario
adeguamento entro il termine stabilito
nell’atto di diffida. Tale termine può
essere eccezionalmente prorogato, con
apposito motivato atto, una sola volta. Il
mancato adeguamento entro il termine
stabilito, ovvero l’accertamento di
comprovate gravi carenze che possano
pregiudicare la sicurezza degli ospiti,
comportano la sospensione immediata,
anche parziale, dell’attività. Con tale
provvedimento il Comune indica la
decorrenza
della
sospensione
dell’attività, nonché gli adempimenti da
porre in essere per permettere la ripresa.
L’attività comunque sospesa può essere
nuovamente esercitata soltanto previo
accertamento del possesso dei requisiti.
3. L’attività di vigilanza e controllo deve
essere esercitata almeno due volte, nel
corso dell’anno.
4. Nel caso in cui, durante la verifica
sorgano dubbi rispetto alla compatibilità
dello stato di salute dell’ospite con le
prestazioni erogabili all’interno della
Casa Famiglia, dovrà essere acquisito
immediatamente ovvero al massimo
entro cinque giorni, apposito parere da
un Medico Geriatra dell’Azienda USL.
Nel caso in cui il Medico Geriatra accerti
la non compatibilità dell’ospite, verrà
assegnato alla Casa Famiglia un termine
idoneo al trasferimento dell’ospite stesso,
fermo restando il potere del Comune, in
caso di comprovate gravi carenze che
possano pregiudicare la sicurezza
dell’ospite, di procedere ai sensi del
precedente comma 2.
5. In caso di mancata comunicazione
dell’avvio dell’attività, viene applicata la
sanzione di cui all’articolo 39 della legge
regionale n. 2/2003.
E) Fase Transitoria
1. Fermo restando che per le Case
Famiglia già esistenti valgono i requisiti
di civile abitazione relativi all’anno di
comunicazione di avvio dell’attività,
viene concesso un termine di 180 giorni
a tutte le Case famiglie già esistenti per
la presentazione della Scheda Tecnica e,
nel caso di società, la Dichiarazione
Antimafia di cui alla precedente lettera
B. Decorso inutilmente tale termine, il
Comune provvederà secondo quanto
previsto al precedente punto D.
93
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96