Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA PENALE
AGGIORNATO AL 31 MAGGIO 2012
a cura di Cristina Cilla
Corte di Cassazione, sezioni unite, sent. 17 aprile 2012, n. 14484: non è confiscabile la vettura
condotta in stato di ebbrezza dall'autore del reato, utilizzatore del veicolo in base ad un contratto
di leasing, se il concedente, proprietario del mezzo, sia estraneo al reato.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte si pronuncia nuovamente in tema di confisca
obbligatoria del veicolo prevista dal codice della strada.
Stavolta però peculiare è il caso sottoposto all’attenzione della Corte.
Difatti, un uomo veniva fermato dalla Polizia stradale di Rimini e, a seguito dell’espletamento del
test alcolimetrico, risultava avere una concentrazione alcolemica per un valore superiore a 1,50 g/l
(grammi per litro). Appariva, dunque, configurabile nei suoi confronti la fattispecie di cui all’art.
186, comma 2, lett. c), C.d.S. a tenore della quale il conducente sorpreso alla guida in stato di
ebbrezza e' punito, ove il fatto non costituisca piu' grave reato, con l'ammenda da euro 1.500 a euro
6.000 e l'arresto da sei mesi ad un anno. Inoltre, tra le varie conseguenze del reato, tale disposizione
prevede che “con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle
parti, anche se e' stata applicata la sospensione condizionale della pena, e' sempre disposta la
confisca del veicolo con il quale e' stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a
persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224ter [Codice della Strada]”.
Pertanto, la “appartenenza” del mezzo a persona estranea al reato esclude l’applicabilità della
confisca, analogamente a quanto previsto, in generale, per la confisca amministrativa nell'art. 213,
comma 6, C.d.S.: in tale caso, quale sanzione afflittiva alternativa, il Codice della Strada prevede
per l'autore della contravvenzione il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida.
Nel caso di specie, poiché l'illecito contestato al conducente prevedeva la confisca obbligatoria
dell'auto utilizzata, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini ne chiedeva il
sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., considerato che l'autovettura, pur non intestata all'indagato,
doveva ritenersi nella sua disponibilità, in quanto oggetto di un contratto di locazione finanziaria.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini emetteva il decreto di sequestro
richiesto, ritenendo sussistenti sia il fumus boni iuris del reato che il periculum in mora e
sottolineando che il veicolo non potesse essere considerato appartenente ad un soggetto estraneo al
reato, "in quanto un bene detenuto in virtù di contratto di leasing appartiene al soggetto al quale è
stata attribuita la materiale disponibilità".
Per contro, la società di leasing, proprietaria dell'autovettura, proponeva richiesta di riesame ai sensi
dell’art. 324 c.p.p., rilevando che l’autovettura in questione fosse stata concessa in uso a terzi in
forza non già di un contratto di leasing finanziario, bensì di una diversa tipologia contrattuale
indicata come "noleggio senza conducente". In virtù di ciò, il Tribunale di Rimini, in sede di
riesame, annullava il decreto di sequestro preventivo, ritenendo che il mezzo appartenesse a
soggetto estraneo al reato, ipotesi che, a tenore dell'art. 186 cod. strada, esclude la possibilità di
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confisca. Successivamente, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini proponeva
ricorso per Cassazione, il quale veniva rimesso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p., al fine
di prevenire un contrasto giurisprudenziale.
La questione di diritto sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è la seguente: "se l'autovettura
condotta in stato di ebbrezza dall'indagato e da questo utilizzata in forza di un contratto di leasing
sia da ritenere cosa appartenente a persona estranea ai reato e se, pertanto, la società di leasing
concedente abbia titolo a chiedere la restituzione dell'autovettura sottoposta a sequestro in vista
della confisca".
In ordine alla suddetta quaestio iuris si dà atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale.
Già la stessa Suprema Corte si era espressa in alcune pronunce a favore della legittimità del
sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un veicolo il cui conducente, sorpreso alla guida in
stato di ebbrezza, ne aveva la disponibilità in forza di un contratto di leasing (cfr. Cass. pen., sez.
IV, 11/02/2010, n. 10688). All’uopo la Corte aveva motivato sul rilievo per cui la società di leasing,
per riottenere la materiale disponibilità del veicolo, avrebbe dovuto dimostrare la cessazione del
contratto de quo, da cui sarebbe derivata, di conseguenza, la configurazione del suo diritto alla
restituzione del bene.
Sulla stessa linea, un’altra pronuncia aveva disposto che, in caso di dissequestro di un bene oggetto
di contratto di leasing già sottoposto a sequestro preventivo, l’avente interesse alla restituzione non
fosse il proprietario concedente, bensì l’utilizzatore in quanto soggetto che si era assunto i rischi
connessi al deterioramento del bene e alla perdita della res (cfr. Cass. pen., sez. III, 12.12.2007, n.
4746).
Diversamente, un’altra decisione della Suprema Corte (Cass. pen., sez. III, 3.02.2011, n. 13118)
aveva ritenuto che la legittimazione a richiedere la restituzione di un bene, sottoposto a sequestro
preventivo e oggetto di un contratto di leasing, spettasse, oltre che al proprietario concedente, anche
all’utilizzatore, quale soggetto obbligato a corrispondere il canone mensile per il suo utilizzo. Tanto
in linea con la giurisprudenza civilistica secondo cui il contratto di leasing di per sé non trasferisce
immediatamente il diritto di proprietà, costituendo solo il meccanismo negoziale che autorizza
l’utilizzatore ad acquistare il bene ricevuto in godimento, all’atto del pagamento dell’ultimo canone
(patto d’opzione) (v. Cass. civ., sez. I, 14.06.1989, n. 11792).
In sede argomentativa si è altresì statuito che la nozione di “appartenenza” del veicolo a persona
estranea al reato richiesta al fine di escluderne la confiscabilità non va intesa in senso tecnico, come
proprietà o intestazione nei pubblici registri, ma quale effettivo e concreto dominio sulla cosa, che
può assumere la forma del possesso o della detenzione, purché non occasionali (così Cass. pen., sez.
IV, 26.02.2010, n. 20610). Un’altra pronuncia ha invece affermato che il bene detenuto in forza di
un contratto di leasing “appartiene” all’utilizzatore, cui è attribuita la materiale disponibilità del
bene stesso ed il diritto di goderne e disporne in base ad un titolo che esclude i terzi (così Cass.
pen., sez. I, 7.07.2011, n. 34722).
Preso atto dell’esistenza di tale contrasto giurisprudenziale, la Suprema Corte fa il punto sulla
natura giuridica della confisca e del contratto di leasing al fine di risolvere il quesito di diritto
sottoposto al suo esame.
Quanto al primo profilo, la Corte ripercorre l’evoluzione normativa dell’art. 186 C.d. S.
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Difatti, con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4, comma 1, lett. b), (come modificato dalla legge di
conversione 24 luglio 2008, n. 125), è stato introdotto nell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), il
seguente disposto: "con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle
parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la
confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, ai sensi dell'art. 240 c.p., comma 2,
salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato".
Successivamente, la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 45, ha ulteriormente modificato l'art.
186, comma 2, lett. c), sancendo, con riguardo alla nuova previsione della confisca dell'autovettura,
che se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è
raddoppiata. Evidente è la ratio legis di infliggere una sanzione amministrativa accessoria più grave
nel caso di mancata possibilità di confisca dell'automezzo, giacché appartenente a persona estranea
al reato.
Tali modifiche normative hanno inciso sulla natura della confisca in esame.
Essa, soprattutto in ragione del richiamo dell’art. 186 C.d. S. all’art. 240, comma 2, c.p. (nella parte
in cui prevede la confisca obbligatoria) è stata originariamente qualificata dalla giurisprudenza
come misura di sicurezza patrimoniale, con conseguente possibilità di applicazione retroattiva ai
sensi degli artt. 200 e 236 c.p.
Successivamente, però la Corte Costituzionale, da un lato, e le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, dall’altro, hanno mutato avviso sul punto.
Difatti, la Corte Costituzionale, con sentenza del 4 giugno 2010, n. 196, ha escluso che la confisca
in esame rappresentasse una misura di sicurezza patrimoniale, asseverandone, invece, la natura
essenzialmente sanzionatoria e repressiva, con conseguente applicabilità della disciplina di cui
all’art. 2 c.p., specie nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva della stessa. Pertanto, al
fine di rendere compatibile il novellato testo dell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), con l'art. 7
CEDU e, di conseguenza, con l'art. 117, comma 1, Cost., la Consulta ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale, nell'ambito del citato comma dell'art. 186, delle parole "ai sensi dell'art. 240 c.p.,
comma 2", dalle quali derivava l'applicazione retroattiva della misura in questione.
Parimenti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 25.02.2010, n. 23428, hanno
evidenziato la funzione afflittiva assegnata dal legislatore alla confisca prevista dall'art. 186, in
ragione sia della ratio legis di conseguire strumenti sempre più efficaci ed adeguati a contenere il
fenomeno della guida in stato di ebbrezza, sia della complessiva strutturazione dell'istituto.
Pertanto, la confisca ivi prevista doveva essere qualificata come sanzione penale accessoria, con
conseguente applicazione dell'art. 2 c.p.
Diversamente, a seguito delle rilevanti modifiche introdotte dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, deve
ritenersi che la confisca abbia ora natura amministrativa (con connotazioni parimenti afflittive e
repressive). In tal senso depongono diversi indici normativi: il richiamo dell'art. 186 C.d.S. all'art.
224 ter C.d.S. che disciplina la confisca amministrativa ed il sequestro amministrativo; la natura di
norma generale dell'art. 224 ter C.d.S.; il fatto che per il sequestro del mezzo si proceda secondo le
modalità amministrative, di competenza dell'autorità amministrativa; la possibilità di proporre
ricorso al Prefetto avverso il provvedimento di sequestro ex art. 213, comma 3, C.d.S.
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In ragione delle superiori considerazioni la Suprema Corte ritiene che il legislatore abbia introdotto
solamente un mutamento di qualifica giuridica, sicché il fatto permane nella sua configurazione
come reato e muta soltanto la natura della sanzione accessoria (in precedenza penale, ora
amministrativa). Rimanendo, dunque, una stretta sostanziale contiguità di effetti delle due misure
accessorie, la Cassazione ritiene che vi sia anche contiguità normativa tra la confisca come sanzione
penale e la confisca come sanzione amministrativa.
Quanto alla disciplina transitoria applicabile, in mancanza di una normativa specifica, ai
procedimenti pendenti si applicano i principi del tempus regit actum e della perpetuatio
iurisdictionis, di talché le procedure di sequestro e di confisca dei mezzi eseguite prima dell'entrata
in vigore della L. n. 120 del 2010 sono legittime ed il relativo iter va esaurito. Detta misura deve
valutarsi ora secondo i requisiti sostanziali di natura amministrativa attualmente necessari per la sua
adozione ed in riferimento ai presupposti che legittimano la confisca amministrativa.
Dopo una ricognizione della natura della confisca, la Corte analizza le caratteristiche del contratto
atipico di leasing.
Come è noto, la prassi conosce due principali tipologie di leasing, quello c.d. finanziario e quello
c.d. traslativo.
Il "leasing finanziario" (anche detto di godimento) ha la precipua funzione di finanziamento,
giacché si sostanzia nella messa a disposizione di un bene in favore di un utilizzatore senza
erogazione del prezzo in un'unica soluzione, bensì a fronte della corresponsione di un canone
periodico; quest’ultimo costituisce il corrispettivo del godimento e dell'uso dei beni in relazione alla
loro durata tecnologica. La manutenzione ordinaria e straordinaria del bene ed i rischi di distruzione
e deterioramento della cosa sono a carico dell'utilizzatore, il quale è tenuto a versare i canoni
pattuiti anche se la cosa perisce; al concedente, invece, rimane solo il rischio del pagamento del
canone da parte dell'utilizzatore.
Diversamente, nel c.d. “leasing traslativo” i beni conservano alla scadenza un valore residuo
superiore al prezzo di opzione concordato per l'acquisto, donde il canone costituisce un'anticipata
corresponsione di una parte del prezzo per l'acquisto della proprietà del bene alla scadenza del
contratto: le rate pattuite hanno, quindi, la consistenza di corrispettivo del trasferimento.
In entrambe le suddette tipologie, tuttavia, il trasferimento della proprietà del bene dal concedente
all'utilizzatore ha luogo con il pagamento dell'ultima rata e del residuo prezzo di acquisto.
Proprio l’esistenza di un contratto di leasing nel caso di specie impone di verificare, in primo luogo,
se il bene possa dirsi “appartenente” alla società di leasing e, in secondo luogo, se tale società possa
considerarsi estranea al reato.
In ordine al primo punto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione precisano che la nozione di
appartenenza, che presenta un significato generico proprio nella pratica comune, assume nella
legislazione civile vigente un significato tecnico più specifico che a sua volta si riverbera in modo
essenzialmente ricognitivo in materia penale. L'orientamento giurisprudenziale consolidato fa
riferimento, in sede penale, ad una nozione di appartenenza di più ampia portata rispetto al solo
diritto di proprietà e ricomprendente altresì i diritti reali di godimento e di garanzia che i terzi hanno
sul bene.
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Per contro, la giurisprudenza prevalente ha escluso che la nozione di appartenenza ricomprenda
anche la semplice disponibilità giuridica qualificata del bene, sulla base di una fonte giuridica
legittima, come la mera utilizzazione libera, non occasionale e non temporanea, del bene.
Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che l'applicazione della confisca non determina l'estinzione
dei diritti reali di garanzia costituiti a favore di terzi sulle cose, né dei diritti reali di godimento (v.
Cass. pen., sez. II, 14.10.1992, n. 11173; Cass. pen., sez. un., 18.05.1994, n. 9; Cass. pen., sez. III,
24.03.1998, n. 5542; Cass. pen., sez. un., 28.04.1999, n. 9; Cass. pen., sez. I, 16.06.2009, n. 32648).
In ordine all’ulteriore condizione necessaria per escludere la confiscabilità del bene, ossia
l'estraneità al reato del soggetto cui appartiene il veicolo, è necessario che questi sia in buona fede,
cioè non deve avere in alcun modo partecipato al reato, richiedendosi la mancanza di ogni
collegamento diretto o indiretto con la consumazione del fatto di reato. Inoltre, egli non deve aver
ricavato consapevolmente vantaggi e utilità dal reato, né avere avuto comportamenti negligenti che
abbiano favorito l'uso indebito della cosa. In particolare, nell'ambito specifico della guida in stato di
ebbrezza, non potrebbe ritenersi "estraneo" al reato il soggetto che per difetto di vigilanza o per
altro comportamento colposo abbia agevolato la perpetrazione della fattispecie contravvenzionale,
come, ad esempio, nel caso del proprietario dell'autovettura che risulti a bordo con il trasgressore
(così Cass. pen., sez. un., 28.04.1999, n. 9; Cass. pen., sez. VI, 8.07.2004, n. 37888; Cass. pen., sez.
V, 15.11.2007, n. 46824; Cass. pen., sez. III, 27.11.2008, n. 2024; Cass. pen., sez. I, 7.07.2011, n.
34722).
Con specifico riguardo al contratto di leasing, in materia di responsabilità civile ex art. 2054,
comma 3, c.c., il locatario (rectius: l'utilizzatore), e non il concedente, risponde dei danni provocati
dalla circolazione del mezzo in solido con il conducente (v. art. 91, comma 2, C.d.S.), secondo un
trattamento analogo a quello previsto dalla suddetta norma per l'acquirente nella vendita con patto
di riservato dominio. Egualmente, l'art. 196 C.d.S. prescrive l'obbligazione solidale dell'utilizzatore
a titolo di locazione, e non del concedente, con l'autore della violazione per il pagamento di
sanzioni amministrative pecuniarie connesse alla circolazione. Tanto in ragione del fatto che è solo
l'utilizzatore del contratto di leasing ad avere la disponibilità giuridica ed il godimento del bene,
inclusa anche la possibilità di vietarne la circolazione.
Pertanto, posto che la nozione di "appartenenza" della cosa non ammette un'estensione illimitata di
essa a posizioni generiche di disponibilità e godimento del bene, ne consegue che, in mancanza di
un'espressa disposizione normativa, le previsioni di specialità del leasing vanno mantenute
nell'ambito delle relative ipotesi e non possono costituire il fondamento di più ampie
generalizzazioni ed, in specie, della compressione di posizioni di diritto reale.
Inoltre, assume altresì rilevanza, nel caso di specie, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo posto che, in ossequio all’art. 117, comma 1, Cost., il giudice nazionale, nell'applicare
una norma di diritto interno, è sempre tenuto ad interpretare la stessa in maniera non solo
costituzionalmente orientata, ma anche convenzionalmente orientata, a tal fine, considerando come
parametro di riferimento tanto la disposizione formalmente cristallizzata nell'articolato della
Convenzione Europea, quanto le norme come interpretate dalla Corte di Strasburgo nelle sue
sentenze.
In subiecta materia, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto alla confisca, anche se di natura
amministrativa secondo la configurazione di diritto interno, la qualifica di pena ai sensi dell'art. 7
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CEDU, in quanto non tendente alla riparazione pecuniaria di un danno, bensì ad impedire la
reiterazione dell'inosservanza di prescrizioni. Essa presenta caratteristiche ad un tempo preventive e
repressive; in virtù quest’ultimo profilo, alla stessa stregua delle sanzioni penali, essa è applicabile
solo in presenza di un illecito penale previsto dalla legge nel rispetto dei principi generali.
Inoltre, la Corte EDU applica il principio di cui all'art. 7 CEDU all'intera materia penale,
ricomprendendo in questa tutte le infrazioni e sanzioni che, a prescindere dalla denominazione
formale utilizzata da ciascun Stato membro, risultano caratterizzate da un contenuto
sostanzialmente punitivo e da una dimensione intrinsecamente afflittiva. Pertanto, l'illecito punitivo
amministrativo viene configurato come "un'entità diversa dal reato per grado, ma non per sostanza"
(v. Corte EDU, 08/06/1976, Engel c. Olanda; Corte EDU, 25/08/1987, Lutz c. Germania). Ne
consegue che l'art. 7 CEDU esige, per l'irrogazione di una pena, quindi anche della misura della
confisca, la ricorrenza di un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di
rilevare un elemento di responsabilità nella condotta del soggetto cui viene applicata una sanzione
sostanzialmente penale (v. Corte EDU, 9.02.1995, Welch e. Regno Unito; Corte EDU, 30/08/2007,
Sud Fondi srl e. Italia; Corte EDU, 20/01/2009, sud Fondi c. Italia; Corte EDU, 17/12/2009, M. c.
Germania).
Oltretutto, la Corte EDU, sempre in materia di confisca, ha evidenziato che l’art. 1 del Protocollo n.
1 della Convenzione consente una diminuzione del patrimonio del soggetto solo alle condizioni
previste dalla legge, per cui anche l'applicazione di una misura comportante un pregiudizio
patrimoniale, al di fuori delle previsioni normative, configura un'illecita ingerenza nella sfera
giuridica ed economica del singolo.
Pertanto, conformemente all’interpretazione della Convenzione proveniente dalla Corte di
Strasburgo, è da escludersi la legittimità della confisca dell'autovettura condotta da soggetto in stato
di ebbrezza per uso di alcool, se la stessa risulta concessa in leasing, quindi di proprietà del
concedente nel corso del contratto stesso, qualora il concedente sia pure estraneo al reato.
Una diversa interpretazione della normativa interna comporterebbe la violazione dell'art. 7 CEDU e
dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della medesima Convenzione.
In ragione delle considerazioni sopra svolte, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sanciscono
la non confiscabilità del veicolo di proprietà del concedente nel contratto di leasing se questi sia
estraneo al reato di guida in stato di ebbrezza commesso dall'utilizzatore, con la correlativa
applicazione all'indagato della previsione del raddoppio della durata della sospensione della patente
di guida ai sensi dell’art. 186, comma 2, C.d.S.
Corte di Cassazione, sezione VI penale, sent. 15 maggio 2012, n. 18531: in tema di confisca
facoltativa, l’espressione “cose che servirono a commettere il reato" deve essere intesa con
riferimento alle cose impiegate nella esplicazione dell'attività punibile, senza che siano richiesti
requisiti di indispensabilità.
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si pronuncia nuovamente in tema di confisca.
Stavolta, però, sottoposto al vaglio della Corte è l’ambito di applicazione della confisca facoltativa
di cui all’art. 240 c.p., nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, il giudice possa ordinare
la confisca delle cose che “servirono [omissis] a commettere il reato”.
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Il problema di definire la portata applicativa di tale norma si è posto molto spesso nei casi in cui lo
"strumento del reato", cioè la cosa che servì alla commissione del reato, sia stato un autoveicolo e lo
stesso sia stato impiegato per il trasporto dell'oggetto del reato.
Sul punto si sono formati due orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo indirizzo, nettamente prevalente, è necessaria la verifica, da parte del giudice del
merito, di una non episodica connessione strumentale tra il bene ed il reato, onde evitare una
eccessiva dilatazione applicativa della disposizione in esame. Si è, quindi, sostenuto che il sequestro
preventivo di una cosa, di cui è consentita la confisca, implichi l'esistenza di uno specifico, non
occasionale e strutturale nesso strumentale tra "res" e reato, in quanto, nel perseguimento dei fini di
difesa sociale, i diritti patrimoniali dei singoli non possono essere sacrificati in modo indiscriminato
attraverso la sottrazione di cose la cui disponibilità è di per sè lecita, a meno che queste non siano
oggettivamente e specificamente predisposte, anche attraverso modificazioni, per l'attività
criminosa.
In applicazione di tale principio la giurisprudenza di legittimità ha asserito che l'autovettura
utilizzata per l'esercizio della caccia, con il supporto illecito di un faro alogeno montato su di essa,
non è soggetta a confisca in quanto, priva del faro aggiuntivo, costituisce uno strumento destinato
principalmente ad un uso diverso ed in sè lecito (Cass. pen., sez. III, 9.06.2009, n. 35705).
Nel diverso caso di autovettura usata per il trasporto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio,
si è ritenuto non sufficiente il semplice impiego di tale bene, essendo invece necessario un
collegamento stabile con l'attività criminosa, che esprima con essa un rapporto funzionale (Cass.
pen., sez. VI, 1.03.2007, n. 24756; Cass. pen., sez. IV, 20.09.2005, n. 43937), e che sia desumibile
anche dall'impiego di manipolazioni, di particolari accorgimenti insidiosi o di modifiche strutturali
al mezzo, strumentali per l'occultamento o il trasporto di droga (Cass. pen., sez. IV, 30.01.2004, n.
13298; Cass. pen., sez. VI, 6.07.2003, n. 34088; Cass. pen., sez. IV, 29.02.2000, n. 9937; Cass.
pen., sez. VI, 29.10.1996, n. 3334); non rileva in tal caso l'eventualità che tali oggetti conservino
anche la funzionalità originaria e restino utilizzabili per finalità non delittuose (Cass. pen., sez. VI,
8.07.2004, n. 1158).
Per contro, un minoritario indirizzo sostiene che, ai fini della confiscabilità facoltativa di un bene
strumentale, non sia necessaria la presenza di eventuali modifiche oggettive dello stesso, ma sia
sufficiente una prognosi positiva circa la commissione in futuro di altri reati mediante la cosa in
questione. Donde, secondo tale impostazione, non deve guardarsi alla pericolosità obiettiva della
cosa, bensì a quella soggettiva del reo, data dalla relazione tra l'attività criminosa e il bene
confiscando, nel senso che quello specifico bene sia tale da agevolare o ampliare il pericolo di
reiterazione del reato. Pertanto, eccetto il trasporto di quantità minime di sostanze stupefacenti,
nell'ambito di un'attività del tutto occasionale e non organizzata, deve ritenersi che l'autovettura
utilizzata per detto trasporto costituisca un bene strumentale indispensabile in qualsiasi attività di
spaccio di sostanze stupefacenti, perfettamente compatibile, oltretutto, con il notevole valore
economico dell'illecita attività esercitata; il valore aggiunto di pericolosità sociale dato
dall’autovettura dello spacciatore può considerarsi, quindi, in re ipsa (Cass. pen., sez. IV,
17.06.2004, n. 34365; Cass. pen., sez. II, 3.12.2003, n. 838; Cass. pen., sez. VI, 1.03.1989, n.
11183).
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Con la pronuncia in commento la Suprema Corte non accoglie in toto nessuna delle due suddette
impostazioni, ma opta per una soluzione intermedia: supera così l'idea che sia sempre necessario un
nesso di indispensabilità tra la cosa ed il reato, ritenendo, invece, sufficiente l'esito positivo del
controllo sulla esistenza di una strumentalità in concreto tra il bene ed il reato, in ragione delle
specifiche caratteristiche del primo ovvero delle modalità e circostanze di commissione del
secondo. Dunque, il nesso di strumentalità tra la cosa ed il reato - sufficiente a legittimare
l'adozione del provvedimento applicativo della misura di sicurezza reale - va ricercato in concreto,
considerando il ruolo rivestito dalla cosa nella realizzazione dell'illecito per il quale vi è sentenza di
condanna o di applicazione di pena su richiesta, cioè il modo di commissione dello stesso.
Di conseguenza, “in tema di confisca, per “cose che servirono a commettere il reato", ai sensi
dell'art. 240, comma 1, cod. pen., devono intendersi quelle impiegate nella esplicazione dell'attività
punibile, senza che siano richiesti requisiti di "indispensabilità", ossia senza che debba sussistere
un rapporto causale diretto e immediato tra la cosa e il reato nel senso che la prima debba
apparire come indispensabile per l'esecuzione del secondo” (in tal senso cfr. anche Cass. pen., sez.
V, 7.03.2006, n. 14307; Cass. pen., sez. V, 4.06.1993, n. 2158).
In tal senso si è detto che la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il
reato tende a prevenire la consumazione di futuri reati mediante l'esproprio di cose che, essendo
collegate all'esecuzione di illeciti penali, manterrebbero, se lasciate nella disponibilità del reo, viva
l'idea e l'attrattiva del reato. Ne deriva che la confisca in esame implica un rapporto di
"asservimento" tra cosa e reato, nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata al
secondo da uno stretto nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi
di un'attività punibile, non essendo invece sufficiente un rapporto di mera occasionalità (Cass. pen.,
sez. VI, 10.02.1994, n. 444).
Ne consegue la legittimità della confisca di una autovettura in ipotesi di detenzione illecita di
stupefacenti, laddove la sostanza trasportata sia di quantitativo tale da rendere "indispensabile"
l'automezzo (cfr. Cass. pen., sez. IV, 21.06.1996, n. 1598); ovvero, in ipotesi di furto, se la merce
sottratta sia talmente voluminosa da renderne "impossibile il trasporto a braccia".
Corte di Cassazione, sezione VI penale, sent. 25 maggio 2012: l’elusione di un provvedimento del
giudice per la cessazione dell’ attività di concorrenza sleale non integra il reato di cui all'art. 388
c.p.
L’art. 388 c.p. prevede come reato la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.
Tra le fattispecie previste dalla disposizione de qua, quella di cui al comma 2 incrimina l’elusione
di un provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di minori o di altre persone
incapaci ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte si pronuncia sull’ambito di applicazione di detta
norma, onde verificare se l’elusione di un provvedimento cautelare emesso dal giudice civile in un
procedimento inibitorio per concorrenza sleale sia riconducibile ad una delle ipotesi tipiche della
difesa della proprietà, del possesso o del credito.
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All’uopo la Corte di Cassazione esamina l’interesse tutelato ed i presupposti di applicazione
dell’art. 388 c.p.
Riprendendo quanto affermato dalle Sezioni Unite (con sentenza del 27.09.2007, n. 36692),
l'interesse tutelato dall'art. 388 c.p., commi 1 e 2, non è l'autorità in sè delle decisioni
giurisdizionali, bensì l'esigenza costituzionale di effettività di giurisdizione; donde, la sanzione non
consegue ad una mera trasgressione all'ordine del giudice, ma ai casi di ostacolo all'effettiva
possibilità di una sua esecuzione.
Inoltre, la Suprema Corte ribadisce che il provvedimento del giudice civile costituisce un
presupposto della condotta criminosa. Tra le misure cautelari è pacifico che rientrano anche i
provvedimenti di urgenza emessi dall'art. 700 c.p.c., ma a condizione che tali provvedimenti
attengano tassativamente alla difesa della proprietà, del possesso e del credito.
Ciò posto, la Corte ritiene che l’ordine emesso dal tribunale civile di astenersi dal compiere atti di
concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 c.c. non può essere ricondotto ad alcuna delle tre tassative
categorie elencate dalla norma in commento, giacché le norme sulla concorrenza illecita
rappresentano un'applicazione specifica del dovere generico di non cagionare ad altri un danno
ingiusto ex art. 2043 c.c. Difatti, all'atto di concorrenza sleale si applicano le norme generali
sull'illecito civile di cui agli artt. 2043 e ss., salva l'integrazione della disciplina desumibile dagli
artt. 2598 c.c. e ss.
Pertanto, l'azione di concorrenza sleale proposta dal denunciante in sede civile trova ragione non già
nella cessazione del rapporto, codificata dalle parti, con specifica pattuizione, secondo il principio
della autonomia negoziale, bensì nel principio del "neminem laedere", che è azione
extracontrattuale. Ne consegue che, in mancanza di un patto contrattuale di non concorrenza, il
sorgere di un obbligo al risarcimento dei danni in capo al responsabile, ove eventualmente
sussistente, non si fonda su di un diritto di credito, donde nell’ipotesi in esame si è al di fuori
dell'ambito di applicazione della norma incriminatrice di cui all'art. 388, comma 2, c.p.
Di conseguenza, la Suprema Corte con la pronuncia in commento ribadisce il principio già
affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non integra il reato di cui all'art. 388,
comma 2, c.p. l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice per la cessazione di
attività di concorrenza sleale (cc. 2598), in quanto tale pronuncia non rientra tra le tipologie di
provvedimenti del giudice civile a difesa della proprietà, possesso e credito, alle quali la norma
appresta tutela penale.
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