Dieci nuovi farmaci l`anno Così si «disarma» il tumore

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Dieci nuovi farmaci l`anno Così si «disarma» il tumore
Cronache 25
Corriere della Sera Sabato 10 Novembre 2012
Airc Incontri tra ricercatori e ragazzi nella Giornata della ricerca sul cancro
Dieci nuovi farmaci l’anno
Così si «disarma» il tumore
Lo studio delle terapie che bloccano la malattia
Non esiste un tumore, ne
esistono tanti che colpiscono
lo stesso organo. Forse uno
per malato. Non si tratta di cellule impazzite, ma sono le nostre stesse cellule sane che trovano una sorta di immortalità
forse per difendersi da un ambiente malato. Poi però diventano il problema. E la cura parte dall’essere finalmente arrivati a comprenderne la complessità. Fino ad arrivare a ipotizzare che ogni malato deve
avere la propria cura. Personalizzata. Le molteplici armi del
cancro sono in realtà ciascuna
un’opportunità di cura. Dieci
sono le caratteristiche — o
meglio proprietà biologiche
comuni — di tutti i tipi di cancro e sono proprio le carte vincenti che la ricerca può giocare: l’instabilità genomica, la
proliferazione incontrollata,
l’angiogenesi, la resistenza all’apoptosi, l’immortalità, il
blocco dei geni oncosoppressori, le metastasi, l’infiammazione, il metabolismo e l’inibizione delle cellule immunitarie. L’Associazione per la ricerca sul cancro (Airc) è in campo su questa strada e grazie
agli studi che finanzia sta portando la scienza italiana a brillare. Con un concetto di oncologia a 360 gradi, dal laborato-
Domani
Corriere Salute
Tra gli uomini, fin dalla
giovane età, si registra un
incremento delle patologie
della sfera riproduttiva e
sessuale. Meno del 5% dei
ragazzi si sottopone a
controlli. All’argomento
Corriere Salute, in edicola
domani, dedica un ampio
dossier. Approfondimenti
su Corriere.it/salute
rio al letto del malato. Con diagnosi e cure mirate.
Su queste tematiche i ricercatori Airc sono impegnati
con un lavoro intenso e senza
tregua, che sta cambiando il
modo di fare diagnosi e di proporre le terapie, ma anche il
modo stesso di considerare la
medicina clinica. Ciò comporta un nuovo metodo, che potremmo chiamare medicina
personalizzata, dove le caratteristiche genetiche del singolo
tumore sono studiate in labo-
ratorio, in modo che sia la diagnosi sia la terapia siano mirate. Oggi almeno alcuni dei
complessi meccanismi molecolari dei tumori possono essere bloccati con farmaci mol-
to specifici, più efficaci e meno tossici delle terapie tradizionali. Oltre 50 di questi nuovi farmaci sono già in uso nel
mondo e un’altra decina viene
approvata ogni anno. Una nuova cultura che l’Airc l’altro ieri
ha divulgato nelle Aule Magne del politecnico di Torino
e delle università di Trieste,
Perugia e Catanzaro. Incontro
con i giovani. In campo i «fiori all’occhiello» dei ricercatori
Airc. Biologi, medici, genetisti, fisici, ingegneri, matemati-
L’intervista Stefano Piccolo
ci. Tutti al letto del paziente. Il
titolo della giornata: «Disarmare i tumori: una nuova stagione nella cura del cancro è
già cominciata». Un video e
un dibattito. A Torino, Paolo
Comoglio, dell’Istituto per la
ricerca e la cura del cancro di
Candiolo (Torino), ha affrontato il tema chiave della complessità della malattia tumore. Lui, pioniere della cultura
dell’oncologia a 360 gradi.
E ieri giornata di consacrazione al Quirinale. Piero Sierra, presidente di Airc, ha donato un particolare riconoscimento a Giorgio Napolitano
per il suo impegno nel «valorizzare i risultati della ricerca
sul cancro di oggi, e nel promuovere quella di domani».
Napolitano, a sua volta, ha
consegnato al ricercatore Stefano Piccolo il premio Firc
«Guido Venosta» 2012.
L’oncologo premiato
«Forbici molecolari
per distruggere
la corazza del male»
ho sognato a lungo prima di rinchiudere la
speranza in un angolo recondito
dell’anima. L’ho immaginato migliaia di
volte. E ora è realtà. Dopo undici anni di
paraplegia ho potuto rivivere l’ebbrezza di tornare
in piedi. Tre bip e l’esoscheletro (magiche gambe
bioniche), mi ha sollevato leggero, come se fosse
la cosa più naturale per un uomo. Normale per gli
altri, ma non per me. In piedi, chi non si ricordava
più come si sta in piedi. I miei organi hanno avuto
bisogno di capire la nuova situazione, mentre nel
cervello i pensieri si ingarbugliavano come accade
a un innamorato trovandosi di fronte all’amata al
primo appuntamento. Il merito è del Rewalk, due
gambe robotiche azionate da quattro motori
elettrici e controllate da un computer, posto sulla
schiena del paziente. Sì, sono uno degli undici
volontari che, per la prima volta in Italia, stanno
sperimentando l’apparecchio all’interno di un
progetto in corso presso il Centro riabilitativo
Villa Beretta di Costa Masnaga (Lc). Al primo
tentativo riuscito, chi mi stava di fronte ha potuto
leggere sul mio viso le emozioni straripanti: la
paura di essere in verticale, la sorpresa di quel
movimento leggero, la gioia di recuperare la mia
altezza e il peso del passato. Pochi secondi per
erigermi. Quegli stessi millesimi che anni fa mi
separarono dalla morte e mi regalarono «Una vita
a quattro ruote» (da cui il titolo del mio blog su
ok-salute.it). In questi anni ho cercato di
convivere con la disabilità, e anche grazie al mio
lavoro presso la testata Ok Salute e Benessere e al
poter raccontare l’emozione di chi è guarito da
una piccola o grande patologia, ci sono riuscito.
Oggi però tocca a me. Io non posso guarire, nel
mio caso la disabilità è una condizione non una
malattia, ma ho già provato a stare in piedi e, nel
giro di sei settimane, potrò lasciare per alcune ore
la carrozzina, camminare per cinque chilometri, e
chissà anche salire e scendere le scale. Una magia
e un percorso che racconterò sui blog di
ok-salute.it e su Invisibili di corriere.it.
Ippocrate descrisse diversi tipi di tumore. Chiamò i
benigni «oncos» e i maligni «carcinos». Celso tradusse il
greco «carcinos» nel latino «cancro», che significa anche
granchio o gambero. Oggi Stefano Piccolo si ricollega agli
antichi maestri greci per scoprire in laboratorio che
l’organizzazione cellulare di un tumore si differenzia dai
tessuti sani perché non ha uno scheletro, ma crea una
corazza al cui interno esprime la diversità maligna. E che
«rompendo» tale corazza si può riportare alla norma
qualcosa che finora è apparso come invincibile. Vincitore
del premio Firc «Guido Venosta» 2012, Stefano Piccolo,
padovano, classe 1967, dopo quattro anni all’Howard
Hughes Medical Institute dell’università della California a
Los Angeles, a Padova è tornato nel 1998 a portare avanti
le sue teorie e firmare successi scientifici con il suo team.
Prima come ricercatore, oggi come docente di Biologia
molecolare e oncologo sperimentale. «Le cellule dei nostri
tessuti sani non sono sospese nel vuoto, ma hanno tutta
una struttura di sostegno che le avvolge: altre cellule e
anche materiale di tipo fibroso, chiamato matrice
extracellulare — è la premessa di Piccolo —. Nel cancro
l’equilibrio si sbilancia, le cellule tumorali riempiono le
cavità, l’organo si destruttura in una architettura
aberrante, le cellule nutrici si superattivano e la matrice si
indurisce». Come la corazza del granchio. Continua
Piccolo: «Noi abbiamo scoperto che tutto questo converge
a mandare un segnale, una molecola del nucleo, chiamata
Yap o Taz, che rende le cellule del tumore resistenti alla
chemioterapia e le fa muovere in giro (metastasi)
generando un secondo tumore...
Quello che ci piacerebbe provare
è attaccare questi segnali da
fuori, rinormalizzando
l’ambiente intorno al tumore, per
esempio, con delle forbici
molecolari, rendere il tumore più
"morbido"». Aprire cioè la
corazza del granchio per colpirlo
nelle parti molli. Con
Michelangelo Cordenonsi e Sirio
Dupont (che firma come primo
Scienziato Stefano
nome il lavoro su Nature),
Piccolo, classe 1967,
Piccolo ha compreso che non ci
ha vinto il premio Firc
«Guido Venosta» 2012 sono solo fattori che viaggiano
da cellula a cellula, ma anche
altri segnali quali l’architettura dei tessuti: da qui partono
messaggi ai geni, si attivano staminali (tumorali se la
struttura è tumorale). Rinormalizzando l’architettura si
può bloccare il cancro e annullare la proliferazione delle
staminali malate. I ricercatori padovani sono partiti da
una semplice considerazione: le cellule sono immerse in
un ambiente tridimensionale in cui sono continuamente
sottoposte a stimoli di tipo meccanico. Solo rispettando le
caratteristiche biomeccaniche, come sofficità o durezza di
un certo tessuto, è possibile indirizzare lo sviluppo delle
cellule staminali verso un certo destino. Per esempio si
potrà ottenere nuovo osso solo in un ambiente duro,
mentre nuovo tessuto adiposo (grasso) si svilupperà solo
in un ambiente particolarmente morbido e così via. Ma
come fanno le cellule a trasformare un segnale meccanico
in un ordine da impartire nel linguaggio chimico e
molecolare? Grazie alla proteina (e quindi al gene)
chiamata Yap. A Padova sono riusciti a variare il processo
di differenziamento delle cellule staminali, abbassando o
aumentando i livelli di Yap. «Un tumore non è un nodulo
duro perché è maligno, semmai è vero il contrario: è
maligno perché è duro», ribadisce Piccolo. È l’ambiente,
l’architettura del tessuto nel suo insieme, a governare il
destino della malattia.
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Mario Pappagallo
Cure personalizzate
Il futuro è nella
medicina personalizzata
che mira ad essere più
efficace e meno tossica
M. Pap.
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Gambe robotiche per tornare a camminare
«Così mi sono alzato dalla carrozzina»
di SIMONE FANTI
L’
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Il decreto La richiesta di rinviare di un anno l’adozione obbligatoria alle superiori. «Non c’è sicurezza sulla riduzione dei costi»
e mode potrebbe di fatto «mangiarsi» tutto il tetto. «Lo sviluppo indicato dal ministero — dice Giorgio Riva, direttore generale di Rcs education — va nella direzione giusta. È necessarottare una parte delle risorse rio però che i principi delineati
dai prodotti didattici alle tasse, vengano declinati operativaportando di fatto a nuovi tagli mente, valutando fattibilità e
coerenza, e tenendo imprescinall’istruzione.
E non è facile trovare una so- dibilmente conto della qualità
luzione perché Paesi che han- del processo formativo, basato
no tentato di cambiare le rego- in particolare su insegnanti e
contenuti dile per conto
dattici». Non
loro, come la
un no secco,
Francia che I tempi
ma un invito
applica l’Iva «Mancano solo dieci
a collaborare:
del 4% anche
«Gli editori e
ai prodotti di- mesi, troppo poco per
gitali puri, so- realizzare libri di qualità» l’Aie che li rappresenta —
no stati messi
dice ancora Risotto osservazione dall’Unione europea vi- va — possono essere un partsto che quella sul valore ag- ner fondamentale per il minigiunto è una tassa armonizza- stero in questo processo di
ta in tutto il territorio comuni- cambiamento».
Lorenzo Salvia
tario. Senza contare poi l’acquisto del tablet in quanto tale,
[email protected]
che tra progresso tecnologico
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I dubbi degli editori sui testi scolastici digitali
ROMA — Il futuro è ineluttabile e quindi in discussione
non c’è il passaggio al digitale,
peraltro ricco di nuove opportunità. Semmai è il come che
va analizzato a fondo, studiando i tempi e i modi dell’operazione, per evitare che la migrazione verso la scuola 2.0 crei
problemi agli studenti e alle famiglie. Non solo economici,
ma anche di contenuti. Per
questo l’Aie, l’Associazione italiana editori, chiede di modificare alcuni punti del decreto
Crescita approvato dal consiglio dei ministri e adesso in
Parlamento per la conversione
in legge. Un testo che prevede,
dal prossimo anno scolastico,
l’adozione obbligatoria del libro digitale o almeno misto,
cartaceo più digitale, nelle
scuole superiori, mentre per
elementari e medie si partirà
un anno dopo. Quali sono le richieste degli editori?
Prima di tutto il rinvio di un
anno della scadenza fissata per
le superiori: libri digitali obbligatori dal 2014-2015, come già
previsto per elementari e medie. La solita richiesta di rinvio
ogni volta che c’è un cambiamento? Una lettura troppo
semplice. La pianificazione didattica, cioè l’intero processo
necessario per confezionare
un volume scolastico di buona
qualità, richiede secondo gli
editori dai 18 ai 24 mesi. E invece il decreto interviene in corso d’opera, quando all’avvio
del nuovo anno scolastico
mancano ormai dieci mesi. Da
chiarire, poi, cosa voglia dire
che libri cartacei e libri digitali
debbano essere «accessibili o
acquistabili in rete anche in
modo disgiunto». Due editori
diversi per il formato tradizionale e quello in formato sof-
tware, d’accordo. Ma il testo digitale rientra tra quelli consigliabili, e quindi facoltativi, oppure tra quelli di testo e dunque obbligatori? Sembra una
questione puramente tecnica,
ma non lo è.
Come tutte le rivoluzioni tecnologiche pure il passaggio al
libro digitale può avere dei costi iniziali che, anche se ammortizzabili nel tempo, rischiano di bloccare l’intero processo. E in questo il decreto approvato dal governo è un po’ ambiguo. Dà per scontato che ci sarà una «riduzione dei costi»
perché con il digitale verrà diminuita la cosiddetta dotazione libraria, cioè il numero totale di pagine di tutti i libri di testo. Ma stampare meno pagine
non vuol dire per forza avere
meno costi, specie nell’immediato quando la transizione potrà avere bisogno di investimenti non trascurabili. Non solo. Il decreto dice che questo risparmio deve essere sfruttato
per far entrare anche i tablet e i
programmi digitali nel tetto oggi previsto per l’acquisto di tutti i libri, variabile a seconda
dell’anno di corso. Un’operazione scivolosa secondo gli editori perché, almeno nell’immediato, quel risparmio è tutto
da dimostrare. Anzi. L’Iva del
4% sui prodotti cartacei è applicabile ai prodotti digitali solo
se questi sono collegati ai libri.
Altrimenti si applica direttamente l’aliquota più alta, il
21%. L’acquisto disgiunto e l’inserimento nel tetto di software e tablet, quindi, potrebbe di-