Testo scaricabile - Piccole Suore della Sacra Famiglia

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Testo scaricabile - Piccole Suore della Sacra Famiglia
ALESSIO MARTINELLI
Un grande cuore
di Figlia e di Madre
MARIA DOMENICA MANTOVANI
Piccole Suore
della Sacra Famiglia
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UN GRANDE CUORE DI FIGLIA E DI MADRE
MARIA DOMENICA MANTOVANI
1
“Voi mi sarete testimoni”
(Atti 1,8)
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ALESSIO MARTINELLI, O.F.M.
UN GRANDE CUORE
DI FIGLIA E DI MADRE
MARIA DOMENICA MANTOVANI
Confondatrice
delle Piccole Suore della Sacra Famglia
(1862-1934)
PICCOLE SUORE DELLA SACRA FAMIGLIA
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Seconda edizione
Visto. Si stampi
+ Giuseppe Amari, Vesc. di Verona
Verona, 15 dicembre 1987
Casa Madre e Generalizia
Via G. Nascimbeni, 6
37010 Castelletto di Brenzone (VR)
Grafiche Dehoniane, Bologna. Gennaio 1988
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PRESENTAZIONE
A leggere le pagine che seguono si può rimanere sorpresi, e
domandarsi se è questa una biografia o una cronaca; Più facilmente,
magari, chiedersi che c'è poi di straordinario in questa vicenda, che
ha per scenario un bel paese sul Garda e per protagonisti un parroco zelante, alquanto personale in certi suoi atteggiamenti, e una
buona, brava ragazza, cui poi se ne aggiungono tant'altre ...
E diciamo pure che di fatto non è questa una biografia, né,
tanto meno, il profilo di una bella figura di anima generosa, quale fu
madre Maria Mantovani; direi meglio che, neppure a volerlo, potrebbe esserlo ... Perché la vita, anche la vita spirituale, della Mantovani è talmente legata alla vita spirituale del Fondatore, il Servo di
Dio mons. Giuseppe Nascimbeni; e non solo nell'opera esteriore, ma
tutto il processo spirituale dell'una e dell'altro sono così profondamente congiunti al sorgere e agli sviluppi dell'Istituto delle Piccole
Suore della Sacra Famiglia, che una biografia contenuta nei consueti canoni non può stendersi.
Occorre dunque leggere queste pagine così; come la storia di
una famiglia - una grande operosa famiglia - nata dallo zelo generoso e dal senso di profonda paternità e di delicata maternità di due
anime semplici e illuminate: e cresciuta ed educata ad opere molteplici e mirabili con mano ferma e cuore comprensivo da quel Padre
e da quella Madre.
Nel quadro della spiritualità di mons. Nascimbeni madre Maria Mantovani, pur conservando una sua personalità e un suo timbro, si plasma e si forma con docilità generosa, semplice e ad un
tempo consapevole, così da non detrarre mai alla sua fermezza e
all'autorevolezza del suo governo.
E con la sua vita interiore e l'impegno di santità, coltivati fin
dall'inizio nel clima pastorale di un'umile parrocchia, si fondono con
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la vita religiosa della Comunità e, lungi dal disperdersi, vi trovano
arricchimento concreto.
È forse questa meravigliosa assimilazione dell'attività esteriore nella vita interiore, che impedisce da un lato, o almeno vela,
straordinari itinerari spirituali, quali spesso scorgiamo, con nostro
ammirato gaudio, nelle anime Più elette; ma è ancora quella stessa
assimilazione ad offrire a tutti l'esempio di una vita cristiana, ordinaria nelle sue manifestazioni e pur solidamente ancorata in Dio e
tutta animata dal suo Spirito.
Aspetto profondo questo, che si riflette sullo spirito e gli atteggiamenti della Congregazione; la quale nasce e cresce così, come
una famiglia di buone figliole semplici e umili, pronte a tutti i lavori
e in tutti veramente brave, senza complicazioni di sorta, serene
nell'ubbidienza e ardite nelle opere, perché unite cordialmente al Signore.
Così, leggendo pagina per pagina il volume, si ha talvolta
l'impressione di un distendersi eccessivo su particolari modesti e
spesso simili, quasi di un ripetersi di Piccole cose ...
Ma giunti alla fine, si resta, da un lato, ammirati di fronte ad
una tanto vasta ed efficiente costruzione, realizzata con questi mezzi
apparentemente poveri; e, dall'altro, si è presi da incanto per il panorama di un'anima materna tanto ricca e tanto semplice, tanto operosa e tanto serena. E si è portati a pensare al Vangelo: alla semplicità incantevole e alla energia operante di quelle pagine.
Infatti lo spirito e la vita di madre Maria Mantovani, come
quelli di mons. Nascimbeni, come lo spirito e la vita dell'Istituto delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia, non hanno altra ispirazione e
altro alimento che lo spirito di Gesù.
Bologna, 24 agosto 1963.
† GIACOMO LERCARO
Arcivescovo di Bologna
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Prefazione dell'Autore
Quando ricevetti l'incarico di preparare la vita di madre Maria
Mantovani, fui preso da un senso di incertezza, quasi di trepidazione.
La Mantovani era morta da oltre cinque lustri; molte delle consorelle,
che la conobbero da vicino, erano passate all'eternità; e le prime delle
viventi che interrogai, pur dimostrandosi ammiratissime di madre
Maria, riferivano identiche impressioni che potevano riempire tutt'al
più una decina di pagine. Iniziai nondimeno la consultazione delle
fonti e man mano che procedevo nell'indagine, la figura della Mantovani acquistava rilievo e s'ingrandiva.
La vita di madre Maria Mantovani - come lascia supporre il sottotitolo del volume - è intimamente legata alla vita del parroco e fondatore mons. Giuseppe Nascimbeni e s'inserisce nello spirito e nella vita dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, cui dettero
inizio e vigore queste due grandi anime. La parte che la Provvidenza
ha affidato alla Mantovani in questa mirabile storia è determinante,
sebbene venga svolta nascostamente, con naturalezza - come quella
di una buona madre accanto a figlie buone, che ella stessa guida lungo il nuovo meraviglioso cammino.
Percorrendo il ciclo dei primi quarant'anni dell'Istituto, che si
chiude appunto con la morte della Confondatrice, s'incontrano date,
persone e vicende, non sempre di rilievo, ma in realtà notevoli pur
esse, onde mettere in luce i tempi e gli ambienti nei quali visse la
Madre. E nel volerle riferire, il racconto si dilunga e lo scritto prende
quasi l'andatura del documentario. Ma appunto questo - m'è parso era il compito di chi, per primo, componeva un libro attorno alla
Confondatrice delle suore di Castelletto: raccogliere e ordinare
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i documenti prima che diventassero irreperibili, e su di essi ordire la
trama del racconto e riprodurre la fisionomia del personaggio, dando
sempre la preferenza alle testimonianze. Dal presente volume, coscienziosamente documentato, altri potranno scegliere e dire o scrivere più speditamente della Madre Confondatrice e dell'Istituto, secondo le circostanze e i propri gusti.
Una preoccupazione, sopra tutte, è stata presente nella stesura di
queste pagine: presentare, per quanto era dato, il volto, il vero volto
di madre Maria. E per raggiungere tale intento, l'esposizione cronologica dei fatti viene sospesa, e il lettore s'inoltra in panorami nuovi quasi altrettanti studi monografici - che mettono in rilievo i tratti caratteristici, inconfondibili, della protagonista. Ciò può aver nociuto
alla fluidità e al nesso della narrazione e forse ha dato luogo ad inevitabili ripetizioni. In compenso, il ritratto di madre Maria ne è uscito
più completo ed evidente.
La vita interiore della Mantovani non può essere descritta nella
sua interezza. Vediamo la Madre camminare spesso sulle vette dell'eroismo, ma ignoriamo i nascosti sentieri che ve l'hanno condotta. Ad
eccezione di due taccuini, ai quali per qualche anno affida i propositi
da sottoporre all'approvazione del Padre Fondatore, non restano di lei
altri scritti intimi che ne scandiscano le interiori ascensioni. Non abbiamo diari spirituali, scritti dalla Madre o dai suoi confessori o da
persone che la seguivano da vicino, come invece si hanno di altre
fondatrici; e manca pure un epistolario tra la Mantovani e il Nascimbeni, che la dirigeva anche nelle vie dello spirito: salvo qualche breve periodo, essi vissero sempre a Castelletto, l'uno vicino all'altra.
Eppure il mondo interiore di madre Maria doveva essere estremamente bello e ricco, se le esterne irradiazioni - a sentire i testimoni
erano tanto luminose e tanto edificanti.
Sostando per alcuni giorni a Castelletto sul Garda, presso la Casa
Madre dell'Istituto, e osservando la vita che si svolge
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negli attuali grandiosi edifici, dopo che si conoscono le modeste proporzioni e le vicende del primitivo convento, vien fatto di pensare ad
un'altra remota contrada e ad un'umile casetta ...
Il richiamo alla Famiglia di Nazareth non è suggerito soltanto dalla denominazione propria delle Piccole Suore ovvero dalle raffigurazioni, artistiche o semplicemente devozionali, sparse un po' ovunque
negli ambienti della Casa Madre... Ma i nomi di Gesù, Giuseppe,
Maria vengono ripetuti più volte al giorno nelle preghiere, scandite a
voce alta in chiesa, nei corridoi e nei cortili e soprattutto si ha l'impressione che, a Castelletto, la Sacra Famiglia sia presente col suo
spirito di lavoro sereno e di continua preghiera. Questa è l'impronta
caratteristica, essenziale, che mons. Giuseppe Nascimbeni e madre
Maria Mantovani - anche i nomi ricalcano l'analogia - hanno inteso
dare al loro Istituto.
E a vedere questa vita semplice ed operosa, intensamente nutrita
di soprannaturale, viene nell'animo un desiderio, che sale sul labbro
come un augurio, quasi una preghiera: che le figlie siano sempre degne del Padre e della Madre; che la fiaccola, accesa dai Fondatori e
trasmessa sino al presente, si mantenga vigorosa anche in futuro.
Castelletto sul Garda, 4 agosto 1963.
A.M.
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Avvertenza per la seconda edizione
Questa seconda edizione, salvo qualche leggero ritocco, conserva
l'impronta e l'andatura della prima, perché intende mantenerne intatte
le motivazioni e le modalità: narrare cioè le vicende «quotidiane» di
un rigoglioso Istituto di vita consacrata, mettendone in luce il Padre
fondatore e in primo luogo la Madre confondatrice.
Da questa storia «feriale», narrata con tono dimesso ma attento,
giungono indicazioni e stimoli per una vita evangelicamente ispirata,
fedele ai valori del passato e aperta alle istanze dei tempi nuovi.
La recente apertura del Processo Cognizionale diocesano (10 febbraio 1987), in vista della beatificazione e canonizzazione di madre
Maria Domenica Mantovani, oltre a insignirla del titolo ufficiale di
Serva di Dio, rende opportuna la riproposta dei suoi esempi e delle
sue virtù a edificazione di tutta la Chiesa.
Bologna, 8 dicembre 1987.
A.M.
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INTRODUZIONE
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PRELIMINARI
Nel firmamento della santità «un astro è differente da un altro astro» (1 Cor 15,41); ogni santo ha la «sua» nicchia. Dio, creando,
non si ripete mai. Ciascun uomo, che viene in questo mondo, incarna
un'idea eterna, perfetta, unica, che Dio ha concepito in un movimento
d'infinito amore. Ogni santo ha, dunque, una fisionomia interiore tutta propria e riceve una particolare missione da svolgere sulla terra.
Compito principale del biografo è di mettere in luce questi aspetti
caratteristici del personaggio, del quale intraprende a narrare la storia. Il tempo e i luoghi nei quali il protagonista è vissuto, le opere da
lui compiute, gli scritti lasciati, le testimonianze di quanti lo conobbero; aiutano a scoprirne il vero volto, il «suo»: quello che lo contraddistingue da tutti gli altri.
L'agiografia s'inserisce tra due eternità. Dietro la scorta delle fonti,
lo scrittore deve intuire i disegni di Dio e descrivere il cammino percorso dal santo per realizzarli.
Il «volto» della Mantovani
Madre Maria Domenica Mantovani dell'Immacolata di Lourdes
(1862-1934) fu data da Dio in aiuto a mons. Giuseppe Nascimbeni
(1851-1922), parroco di Castelletto sul Garda e fondatore di un Istituto religioso femminile. Dai quindici sino al settantunesimo anno, la
sua vita s'inserisce sempre più perfettamente nella vita e nell’attività
del Servo di Dio.1 Ella
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Il Servo di Dio Giuseppe Nascimbeni sarà «beatificato» prossimamente, il 17 aprile
dell'anno 1988.
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collabora con lui nelle molteplici attività parrocchiali, anticipando
pagine insigni di cooperazione laicale all'apostolato gerarchico. Assieme a lui fonda e dirige uno degli istituti più fiorenti, che la Provvidenza ha fatto sorgere in Italia nella seconda metà del secolo XIX.
Sono due astri, il Nascimbeni e la Mantovani, spuntati l'uno a pochi chilometri dall'altro; e per più anni salirono all'orizzonte, l'uno
ignorando l'altro. Nel giorno designato Dio li fece incontrare. Da
quel momento la loro vita si orientò verso identici ideali; la loro luce
si fece più splendente e più feconda la loro comune operosità, che
durò per alcuni decenni, fino a quando si ritrovarono, assieme, in Colui che li aveva accesi per la sua gloria e per il bene di molte anime.
Accanto ad essi e col medesimo orientamento, centinaia di pianeti
vennero e prendere il loro posto. Poi giunsero altri, poi altri ancora; e
s'è formata una costellazione che si espande sempre più nel firmamento della Chiesa, moltiplicando le opere di bene iniziate dai Fondatori. È l'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, del quale il Nascimbeni è il «Padre» e la Mantovani la «Madre».
Il metodo seguito
V'è modo e modo nel narrare la storia d'un personaggio. E poiché
la vita di ciascun uomo presenta particolari aspetti che la differenziano da quella di tutti gli altri uomini, si dovrebbe dedurre che, nell'esporla, non si danno metodi del tutto uguali. Due, tuttavia, prevalgono: il metodo cronologico e il metodo sistematico.
Il primo segue passo passo il santo, dall'infanzia sino alla morte e
glorificazione finale. Gli avvenimenti vi hanno uno spiccato rilievo
perché fanno da scenario all'attività dell'eroe, che costituisce di preferenza l'oggetto del racconto.
Il secondo metodo, il sistematico, si occupa principalmente del
mondo interiore del santo. I fatti vengono narrati, non
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tanto nell'ordine cronologico, ma nella loro funzione rivelatrice ed
esplicativa. In quanto, cioè, manifestano all'esterno la ricchezza interiore del protagonista: gl'intenti che lo hanno determinato ad operare,
le sue virtù, le note distintive della sua personalità che sono studiate
con particolare compiacimento.
Le due maniere di procedere, prese separatamente, hanno pregi e
difetti. Questi possono essere eliminati dall'intreccio e fusione d'entrambi i metodi. È quanto abbiamo cercato di fare nel presentare la
vita di madre Maria Domenica Mantovani dell'Immacolata di Lourdes.
Madre Maria fu confondatrice e prima superiora generale. Il suo
governo durò per più di quarant'anni, dagl'inizi incerti dell'Istituto sino al suo perfetto consolidamento. Gli avvenimenti esteriori hanno,
dunque, un notevole significato e debbono essere ricordati nella loro
successione cronologica.
Ma la missione della Confondatrice non si esaurisce all'esterno,
nel saggio governo della Congregazione che man mano aumenta di
numero e di operosità. La Mantovani ha ricevuto da Dio un compito
che va oltre le vicende esterne, e supera altresì i tempi e i luoghi nei
quali ella visse ed operò. Dio l'ha scelta quale modello ideale di suora, secondo i bisogni e gl'intenti del parroco di Castelletto mons. Giuseppe Nascimbeni. Col suo esempio e con le sue parole, la Confondatrice rimane la maestra impareggiabile di tutte le suore. Nessuna,
più di lei, fu tanto devota del Fondatore; nessuna fu più docile alle
sue paterne direttive. E tuttavia dette qualcosa anche lei al Padre.
Non solo l'esterna collaborazione, che fu totale sino alla morte. Ne
sostenne altresì l'animo nei momenti difficili e ne rese più completa
l'azione pastorale, governando l'Istituto da lui fondato con inesauribile bontà di madre.
Divisione dell'opera
Gl'intenti dello storico determinano l'uso delle fonti e la scelta del
materiale; il metodo ne regola il coordinamento e la distribuzione.
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Nelle prime due parti del libro seguiamo l'ordine cronologico degli avvenimenti, che vanno dall'infanzia della Mantovani fino al suo
ingresso in convento (I), e dai primi passi nella vita religiosa alla vigilia della morte (Il). La vita della Confondatrice s'intreccia con la
storia eroica dell'Istituto, al quale sapientemente presiede, da principio assieme con il Fondatore, poi da sola per altri dodici anni.
Narrate le vicende esterne, avvicineremo più intimamente il nostro
personaggio, presentandolo, anzi tutto, quale ritratto perfetto della
Piccola Suora, che educa le suddite più con gli esempi che con i discorsi (III). Essendo rimasta a capo della Congregazione per più di
quarant'anni, madre Maria è pure la maestra autorevole di tutte le
consorelle, superiore e suddite, alle quali trasmette inalterati gl'insegnamenti del Fondatore (IV). Tutta la vita della Mantovani è animata
da due grandi amori: la devozione al Padre Fondatore (V), al quale
resta fedele sino alla morte, «come una bambina»; l'affetto filiale
verso la Madonna, in particolare verso l'Immacolata di Lourdes (VI).
Dove la Confondatrice porta la sua impronta e prende l'iniziativa,
è nel modo di guidare l'Istituto. Lo regge cioè a lungo, con mano forte ad imitazione del Padre, ma principalmente con cuore di madre
(VII). E «madre» resta ancora nel nostalgico ricordo delle suore che
l'hanno conosciuta. Le numerose testimonianze confermano che la
Confondatrice fu essenzialmente madre per le figliuole che Dio le
mandava, madre tenera, comprensiva, premurosa: «la Madre».
Riprenderemo infine il racconto esterno (VIII), ricordando gli ultimi giorni di madre Maria, la morte santa e i solenni funerali. Sulla
terra la Mantovani coltivò, con particolare predilezione, l'umiltà e il
nascondimento; da quando è morta, Dio e gli uomini glorificano la
sua vita virtuosa, che noi ci accingiamo a narrare.
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LE FONTI
Le fonti che ci hanno guidato nello stendere la vita di madre Maria Mantovani
sono dirette e indirette, orali e scritte. Le scritte si dividono in stampate ed inedite;
le inedite, in manoscritte (originali) e dattiloscritte.
Le fonti dirette, naturalmente, hanno maggior valore; in particolare diamo la
precedenza agli «scritti» della Madre, ove, nelle diverse circostanze e in tanti modi,
la scrittrice rivela se stessa. Seguono le «testimonianze» sulla Madre, orali e scritte,
lasciateci da persone che l'hanno conosciuta da vicino, ed alcune per lungo tempo.
Altre notizie sono state desunte dall' «archivio» della Casa Madre, mentre i «libri della Congregazione» contengono la legislazione e lo spirito che informò la vita
di madre Maria e che ella trasmise alle figlie. Le «pubblicazioni» che parlano del
servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni e dell'Istituto delle Piccole Suore della
Sacra Famiglia, contengono notizie preziose per la biografia della Confondatrice;
meritavano, quindi, d'essere consultate.
Diamo pertanto l'elenco delle fonti,distribuendole secondo i criteri e l'ordine cui
abbiamo accennato.
I - SCRITTI DELLA MADRE
A – INEDITI
1. Propositi.
1)
2)
3)
Su fogli separati.
a.
Lettera al Padre Fondatore dell'Il marzo 1894.
b.
Proponi menti fatti negli esercizi spirituali dell'anno 1895.
c.
Proponimenti fatti negli esercizi della primavera 1902.
d.
Proponimenti d'incerta data, visti ed approvati da don L. Marini.
Primo taccuino. Dalla primavera del 1909 al 21 giugno 1917.
Formato 116X 67; pp. 58.
Secondo taccuino. Dal luglio 1917 al maggio 1918. Formato 127 X 81;
pp. 16.
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2. Corrispondenza.
1) A suor Fortunata Toniolo. Una settantina di lettere, alcune d'incerta data.
2) Al Padre Fondatore e a suor Fortunata Toniolo. Da Bologna, ove è riceve
rata presso una casa di cura, la Madre scrive a Castelletto dal 2 settembre
al 25 ottobre 1920. Lettere 7, cartoline con notizie 21.
3) A diverse persone. Lettere, cartoline, biglietti personali, immagini o santini nel cui retro la Madre scrive esortazioni ed auguri.
3. Promemoria per gli esercizi spirituali. Su fogli di quaderno; pp. 17.
4 Avvertimenti per le superiore. Quaderno; pp. 14.
5. Scritti vari. Ricordi a chiusura degli esercizi, avvertimenti, consigli, ecc. Su
fogli separati e di varie dimensioni.
.
6 Appunti presi dalle «letture» della nostra carissima madre generale suor
Maria dell'Immacolata. Dal 15 settembre 1933 al 25 gennaio 1934. Taccuino;
formato146 X 112; pp. 12. Durante le istruzioni della Madre, la novizia suor
Gian Maria Piva, entrata nel 1932, prendeva appunti conservati in seguito
come prezioso ricordo.
.
7 «Letture» della reverendissima Madre durante gli esercizi. Dattiloscritto; pp.20
Durante gli esercizi, il Fondatore era solito tenere istruzioni alle suore esercitanti; così la Confondatrice, dopo la morte del Padre. Suor Solidea Calliari,
entrata nel 1924, ha ordinato questi appunti; essi giovano per la conoscenza
dei temi trattati e del modo con cui venivano trattati.
B – STAMPATI
1. Lettere circolari. Inviate a tutte le suore e alcune riservate alle superiore.
Sono stampate dalla tipografia interna dell'Istituto. Molte, purtroppo, non sono
più reperibili. Quelle conservate vanno dal 26 agosto del 1910 al 13 dicembre
del 1933.
2. Vari stampati. Su fogli separati, sul «Nazareth», su «La voce del Padre»,ecc.
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II - TESTIMONIANZE SULLA MADRE
A – ORALI
1. Inchiesta. L'abbiamo fatta nell'infermeria di Castelletto nel dicembre del 1961.
Le suore interrogate non erano state preavvertite. Esse concordavano nel rilevare l'umiltà della Madre, la sua semplicità, la carità materna, la docilità assoluta al Fondatore, lo spirito di fede e di abbandono alla volontà di Dio, la devozione alla Madonna Immacolata, ecc.
2. Altre testimonianze orali. Raccolte in altre occasioni e in diversi luoghi.
B – SCRITTE
1. SUOR AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre
Confondatrice. Due quaderni; pp. 56, 22.
2. SUOR DIODATAPAPA, Petali, ossia profilo della madre Maria dell'Immacolata. Due quaderni; complessivamente, pp. 367.
3. Altre testimonianze scritte. Numerose, e per lo più lasciate da suore che
hanno conosciuto direttamente la Madre.
III - DALL'ARCHIVIO DELLA CASA MADRE
A – MANOSCRITTI
1. Memorie del nostro Istituto. Quaderno; pp. 20.
2. Promemorie dell'Istituto. Dall'epoca della fondazione al 1917. Quaderno; pp.
3. Promemorie per la storia dell'Istituto. Della guerra e degli ospedali militari.
Quaderno;
pp. 14.
4. Diario giornaliero. Quaderni:
1) Dall'8 novembre 1917 all'Il febbraio 1918; pp. 20.
2) Dal 2 settembre 1918 al 21 gennaio 1922; pp. 74.
3) Diario della malattia del Padre. Dal 3 ottobre 1918 al 21 gennaio
1922; pp. 60.
4) Dall'11 novembre 1933 al 31 agosto 1935; pp. 155.
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5. Cronaca.
1) Dal 1931 al 1939. Formato grande; pp. 189.
2) Dal 1948 al 1953. Formato grande; pp. 548.
B - DATTILOSCRITTI
1. Documenta. Raccolta di documenti e scritti che riguardano il Fondatore, la
Confondatrice e l'Istituto; pp. 137.
2. Miscellanea. Raccoglie documenti, notizie, scritti e predica bili del servo di
Dio mons. Giuseppe Nascimbeni; alcuni documenti interessano la Confondatrice madre Maria Mantovani; pp. 131.
IV - I LIBRI DELLA CONGREGAZIONE
1. Le Costituzioni. Costituzioni della Congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip.
interna dell'Istituto, 1942. Formato 150 X 95; pp. 112.
2. Il Direttorio. Direttorio dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di
Castelletto di Brenzone (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Istituto, 1944. Formato 145 X 94; pp. 119.
3. Il manuale di preghiere. Preghiere per le Piccole Suore della Sacra Famiglia in
Castelletto di Brenzone, ed. 7, Vicenza, M. Giuliani, 1954. Formato 135 X 90;
pp. 412. Ebbe diversi ritocchi e aggiornamenti. L'edizione da noi citata si divide in preghiere e pratiche da compiersi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese,
ogni anno.
4. Il calendario. Oltre al santo o la festività del giorno, annuncia gli anniversari
della morte di consorelle e della fondazione delle case; indica le pratiche particolari di quel giorno; contiene massime, raccomandazioni, avvertenze, ossequi,
giaculatorie, ecc.
5. Il Padre e la Madre ci parlano ... Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna
dell'Istituto, 1972. Formato 160 X 115; pp. 204.
6. Il carisma dell'Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia, Castelletto di Brenzone (Verona), [1983]. Formato 170 X 120; pp. 96.
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V - PUBBLICAZIONI OVE SI
PARLA DELLA MADRE E DELL'ISTITUTO
A - BIOGRAFIE DEL FONDATORE
1.
GIUSEPPE TRECCA, Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di
Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1932. Formato 218 X 140;
pp. 564
2.
GIULIO DALDOSS, O.F.M., Monsignor Giuseppe Nascimbeni e l'Istituto
delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, Torino-Roma, Marietti, 1942.
Voll. 2; formato 195 X 120; pp. XII-412, IV-856.
3.
GIULIO DALDOSS, O.F.M.], Breve vita del servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni, ed. l, Bologna, Tip. Sordomuti, 1956. Formato177 X 132;
pp. 94. - Ed. 2, Verona, Scuola Grafica don Bosco, 1961. Formato 208 X
150; pp. 92.
4.
ANGELO LEONARDO BODRATO, [O.F.M.], «Anima Nobile»: Mons.
Giuseppe Nascimbeni, Fondatore delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1948. Formato 167 X 120; pp. 30.
5. ANTONIO MAURO, Il Servo di Dio Giuseppe Nascimbeni. Fondatore
delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, precursore del rinnovamento
conciliare, Padova, Ed. Messaggero, 1978. Formato 180 X 130; pp. 190.
6. ALESSANDRO PRONZATO, Il diritto di chiamarsi Padre. Profilo di
Mons. Giuseppe Nascimbeni, Fondatore delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia, Torino, Ed. Gribaudi, 1980. Formato 210 X 140; pp. 304.
7. ANTONIO M. ALESSI, Cuore di Padre. Mons. Giuseppe Nascimbeni,
Collo «Pionieri», Leumann (Torino), Elle Di Ci, /s.d./. Formato 170 X
120 pp. 32.
8. FERNANDO BEA, «Sono padre e basta!», Cenni Biografici su don Giuseppe Nascimbeni, parroco e fondatore delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia, Roma, Arti grafiche Meglio, /s.d.!. Formato 210 X 155; pp. 32.
B - NUMERI UNICI
1.
[1908]. Nazareth: Castelletto sul Garda oggi in gran festa per l'inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale [9 maggio 1908]; pp. 4.
21
[1910]. Nella festa del Padre: 1885 - 30 gennaio - 1910. Formato grande;
pp. 4. Il servo di Dio mons. Nascimbeni celebrava, in quel giorno, il XXV
di parrocchialità in Castelletto.
2.
[1912]. Al Padre, [Castelletto 3 marzo 1912]. Formato grande; pp. 6. Uscì
in occasione della nomina a «Protonotario Apostolico» del Fondatore.
3.
[1914]. Nazareth. All'Immacolata di Lourdes nella sua Grotta a Castelletto
sul Garda riprodotta magnificamente dalla vera Grotta di Lourdes [13 dicembre 1914]; pp. 8.
4.
[1917]. Sei novembre 1892-1917: XXV anno dalla Fondazione dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia in Castelletto di Brenzone sul
Garda. Formato grande; pp. 20.
5.
[1923]. Ritorna. Nella traslazione del Padre: 24 ottobre 1923. [Castelletto
di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1923]. Formato 192 X
144; pp.
6.
[1942]. Quasi oliva speciosa in campis, L'Istituto delle Piccole Suore della
Sacra Famiglia nel 50° Anniversario della sua Fondazione: 6 nov. 1892 6 nov. 1942, Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto,
1942. Formato 280 X 144; pp. 76.
7.
[1967]. Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto sul Garda (Verona). 1892-1967: A 75 anni dalla Fondazione, Genova, Arti grafiche
Marconi, 1968. Formato 290 X 210; pp. 172.
9.
[1974]. Le Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto sul Garda.
1949-1974: Da 25 anni in Argentina, Malcesine (Verona), Tip. Andreis,
1975. Formato 300 X 208; pp. 160.
C - RIVISTE E GIORNALI
1.
Narareth. Periodico mensile di propaganda religiosa, poi di educazione
cristiana. Vivente il Fondatore, era la pubblicazione ufficiale della parrocchia di Castelletto e dell'Istituto delle Piccole Suore; dopo la morte del
Servo di Dio, divenne la rivista della Congregazione. Dal 1950 ospita un
foglio che interessa la «Nuova Casa Gioiosa», sede delle scuole medie e
magistrali parificate. Esce dall'agosto del 1906.
22
2.
La voce del Padre. Pubblicazione mensile di formazione religiosa, ad uso
interno dell'Istituto. Dal maggio 1922 al dicembre 1929.
3.
Giornali. L'Osservatore Romano, L'Avvenire d'Italia, Il Gazzettino, ecc.
D - ALTRE PUBBLICAZIONI
1.
ALESSIO MARTINELLI, O.F.M., Pio Istituto di cura «madre Fortunata
Toniolo del Santo Crocifisso», Bologna, Casa Regionale «S. Pio X»,
1961. Formato 184 X 135; pp. 158.
2.
GIOVANNI BATTISTA GASPARINI, Suor Maria Luigina (Rosa Castagna) delle Piccole Suore della S. Famiglia di Castelletto del Garda (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Istituto, 1942. Formato 175
X 115; pp. 94.
3.
[GIUSEPPE SPERANZINI], Santa memoria. Catina Andreoli operaia di
Cristo, Bologna, Tip. Azzoguidi, [1931]. Formato 213 X ISO; pp. 289.
4.
ANTONIO M. ALESSI, Cuore di Madre: Suor Maria Domenica Mantovani, Coll. «Pionieri», Leumann (Torino), Elle Di Ci, 1985. Formato 170
X 120; pp.
23
24
DATI PRINCIPALI
1862, 12 novembre
1862, 13 novembre
1870, 12 ottobre
1874, 4 novembre
1886, 8 dicembre
1892, 4 ottobre
1892, 4 novembre
1892, 5 novembre
1892, 6 novembre
1893, 11 febbraio
1894, 1° novembre
1895,
maggio
1898,
l° giugno
1903,
1° gennaio
1908, 9 maggio
1910, 26 agosto
1911, 24 maggio
1911, 15 dicembre
Nascita a Castelletto di Brenzone (Verona).
Battesimo.
Cresima.
Prima Comunione.
Festa dell'Immacolata. Davanti alla statua della Madonna, presente il parroco don Giuseppe Nascimbeni, la
Mantovani emette il voto di perpetua verginità.
Con altre quattro giovani aspiranti, la Mantovani inizia il
noviziato presso le Terziarie Francescane di Verona.
Vestizione e Professione.
Ritorno festoso a Castelletto.
Solenne inaugurazione dell'Istituto delle Piccole Suore
della Sacra Famiglia.
Festa della B. Vergine di Lourdes. Vengono accolte le
prime due aspiranti, cugine della Confondatrice.
Entra nell'Istituto, undecima, suor Fortunata Toniolo del
Santo Crocifisso.
Viene aperta la prima filiale a Tiarno Superiore (Trento)
La Madre resta colà alcune settimane per avviare la casa.
Muore la prima consorella, suor Pia Strapparava. È ancora novizia, e prima di morire emette i santi voti.
Revisione e rinnovata approvazione delle Costituzioni
da parte della curia di Verona. L'Istituto conta 105 suore: 10 sono già passate all'eternità.
Solenne inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale
di Castelletto
L'Istituto ottiene il Decreto di lode.
Festa di Maria Ausiliatrice. Il Fondatore e la Confondatrice sono ricevuti dal papa S. Pio X.
Il Fondatore viene nominato «Protonotario Apostolico».
25
1914, 13 dicembre
1915-1918
1916, 31 dicembre
1917, 6 novembre
1919, 18 giugno
1921,
6 luglio
1921, 28 novembre
1922, 21 gennaio
che
1923, 24 ottobre
1924, 13 ottobre
1926, 7 agosto
1927, 15 novembre
1931, 25 novembre
1932, 3 giugno
1933, 20 marzo
1933, 16 novembre
1934, 27 gennaio
1934, 2 febbraio
1934,
6 febbraio
Inaugurazione della Grotta della B. Vergine di Lourdes
costruita nell'orto della Casa Madre.
Prima guerra mondiale. Alcune Piccole Suore sono internate; case requisite. Circa 170 suore prestano servizio
in più di venti ospedali militari.
Mons. Giuseppe Nascimbeni è colpito, per la prima volta, dalla paralisi.
Venticinquesimo dell'Istituto.
Il Padre, la Madre, suor Fortunata Toniolo e altre quattro
suore vanno a visitare la grande casa di Trento. È l'ultima visita che il Fondatore compie, dopo la quale egli
non uscirà più da Castelletto.
Muore santamente suor Pia Ruffo, maestra delle novizie intima confidente della Madre.
Il Padre celebra per l'ultima volta.
Morte del Fondatore. Prima di entrare in agonia, egli
imparte una speciale benedizione alla Confondatrice,
che resta sola a capo della Congregazione.
Traslazione della salma del Padre. Dal cimitero comunale viene portata nell'artistico mausoleo, che la Confondatrice ha fatto erigere nell'orto della Casa Madre, presso
la Grotta di Lourdes.
Eletta Superiora Generale a pieni voti, la Mantovani
viene confermata in carica dalla Congregazione dei Religiosi.
Inaugurazione dell'infermeria dell'Istituto.
La Mantovani viene rieletta e confermata Superiora Generale.
Festa delle «Mille e due». Le Piccole Suore viventi hanno raggiunto quel numero; le morte sono 158.
Approvazione definitiva dell'Istituto e temporanea delle
nuove Costituzioni; esse verranno approvate definitiva
mente il lo aprile 1941.
Inaugurazione del nuovo grandioso noviziato.
Ancora una volta la Mantovani viene rieletta Superiora
Generale.
La Madre è colpita da febbri influenzali.
Festa della Purificazione di Maria. Verso sera la Confondatrice chiude la giornata terrena; 179 figlie l'hanno
preceduta nell'altra vita.
Solenni funerali. La salma resta esposta nella chiesa
cimiteriale di S. Zeno per altri sette giorni, dopo i quali
viene tumulata nel cimitero comunale di Castelletto.
26
1953, 29 settembre
La salma della Confondatrice viene esumata. Sono presenti circa 400 suore.
1953, 3 ottobre
Nella cappella del cimitero delle Piccole Suore, adiacente a quello comunale, vengono collocate provvisoriamente le spoglie della Madre.
1954, II marzo
Muore suor Fortunata Toniolo, seconda Superiora Generale rimasta in carica dal 1934 al 1952. Il 15 dello stesso
mese vengono esumate le salme di suor Teresa Brighenti
e suor Anna Chiarani, due delle prime quattro suore. Il
giorno 17 le spoglie di madre Maria, di suor Fortunata,
di suor Teresa e suor Anna vennero definitivamente tumulate nella cappella cimiteriale, la quale accoglieva il
15 dicembre 1960 la salma di suor Giuseppina Nascimbeni, l'ultima delle prime quattro suore. Quivi, in avvenire, verranno pure tumulate tutte le Superiore Generali
della Congregazione.
1959, 2 febbraio
XXV anniversario della morte di madre Maria. La casa
di Colà di Lazise (Verona), che ospita le suore anziane
della Congregazione, viene denominata: «Istituto madre
Maria dell'Immacolata».
1959, 12 luglio
Durante il convegno per le suore addette all'insegnamento della dottrina cristiana, tenuto a Castelletto dal 5 al 12
luglio, viene commemorata madre Maria Mantovani
come «Prima insegnante di catechismo dell'Istituto».
1962, 12 novembre Primo centenario della nascita di madre Maria. Essendo
in pieno svolgimento la prima sessione del Concilio Vati
cano II, i solenni festeggiamenti sono rimandati; si celebra, tuttavia, la fausta data tanto a Castelletto che nelle
case filiali.
1968, 21 febbraio
Durante un'adunanza di Consiglio della Congregazione,
si parla della opportunità di iniziare le pratiche in ordine
alla Causa di Beatificazione e di Canonizzazione di madre Maria Domenica Mantovani.
1984,
dicembre Si inviano lettere a tutti i Vescovi delle diocesi e ai Parroci dei paesi in cui operano od operarono le Piccole
Suore, sollecitando la raccolta di eventuali scritti della
Madre o di documenti che la riguardano.
1986, 6 giugno
Le Responsabili della Congregazione incontrano il Vescovo di Verona e chiedono il suo consenso e la sua collaborazione per l'avvio delle pratiche canoniche. Il Vescovo si dichiara molto favorevole.
27
1986, 25 novembre Anche gli Ecc.mi Ordinari della Conferenza Episcopale
Triveneta esprimono parere positivo.
1987, 10 febbraio
Nella cappella della Casa Madre in Castelletto sul Garda
si svolge la prima sessione del Processo Cognizionale
diocesano. È presente Sua Ecc. Mons. Giuseppe Amari,
Vescovo di Verona.
1987, 12 novembre Traslazione delle spoglie mortali della «Madre», dalla
cappella cimiteriale dell'Istituto all'artistico mausoleo,
che dal 1923 al 1984 ha custodito la salma del «Padre».
28
PARTE PRIMA
DISCEPOLA E COLLABORATRICE
(1862 - 1892)
29
30
INCONTRI PROVVIDENZIALI
Quando don Giuseppe Nascimbeni entrava in Castelletto di Brenzone sul Garda quale vicario cooperatore del vecchio don Donato
Brighenti, Domenica Mantovani stava per compiere i quindici anni.
Erano due anime predestinate. Il tempo avrebbe rivelato loro la
comune missione, alla quale Dio le chiamava. Assieme, esse avrebbero compiuto grandi cose.
Le opere di Dio noi le ammiriamo dopo che sono state realizzate.
Dio le prevede e se ne compiace da tutta l'eternità.
Tra le opere meravigliose che la Provvidenza ha suscitato in Italia
nell'ultimo scorcio del secolo XIX, v'è anche l'Istituto delle Piccole
Suore della Sacra Famiglia, del quale don Giuseppe Nascimbeni è il
Fondatore e Domenica Mantovani la Confondatrice: il «Padre» e la
«Madre».
Il giovane prete veniva da S. Pietro di Lavagno (Verona), ove aveva trascorso il primo triennio del suo ministero, dedicandosi in
prevalenza all'insegnamento nelle scuole comunali ed alla educazione della gioventù. L'innata bontà d'animo e le singolari doti del maestro, messe a servizio d'un ardente zelo sacerdotale, attirarono ben
presto la devota ammirazione del popolo e la compiacenza dei superiori. E quando si rese palese l'opportunità di dare un valido aiuto al
parroco di Castelletto, già avanzato negli anni e affaticato, la scelta
cadde sul Nascimbeni, che entrò ufficialmente in paese il 2 novembre
1877.
Non aveva ancora compiuto i 27 anni, poiché era nato il marzo
1851 in Torri del Benàco, a pochi chilometri da Castelletto. Era figlio
unico di Antonio e Amedea Sartori,
31
cristiani esemplari. Falegname e capobanda, lui; lei filatrice, donna
di casa e di chiesa.
Dal padre il Nascimbeni ereditò l'amore alla musica ed apprese
l'arte del costruire (a Castelletto eresse una nuova casa al Signore e
fabbricò un convento alle novelle suore; per i parrocchiani ottenne
l'acquedotto, l'oleificio, la posta); dalla madre attinse la bontà spontanea e generosa e l'amore alle cose di Dio. Il lago con le sue tempeste improvvise e le sue bonacce, i monti ineguali ed aspri che gli fanno corona, influirono sul temperamento del ragazzo, tenace nelle imprese e franco nel tratto, pronto allo sdegno e al rimprovero, facile a
placarsi e a perdonare.
Terminate lodevolmente le scuole elementari a Torri, Giuseppe
Nascimbeni andò a Verona per continuare gli studi. Per un anno fu
allievo del celebre collegio «Mazza» e frequentava le scuole del seminario. La votazione finale non fu così brillante come si pretendeva
dagli alunni dell'Istituto Mazza, ed il Nascimbeni, assieme a molti altri, venne licenziato.
Fu un momento duro, quello, che segnò una pausa d'arresto nella
carriera del giovane studente, il quale era incerto se continuare o tornarsene in paese, a lavorare nel campicello e nella bottega del padre.
L'indecisione durò pochi mesi, e nell'autunno dello stesso anno il Nascimbeni fece ritorno in città. Frequentava di giorno il collegio «Accoliti»; dormiva, la notte, presso una casa privata.
L'alunno ben presto si riebbe dall'umiliazione subita presso il
Mazza. Ripartì questa volta deciso. Volontà e intelligenza lo sostennero. Raggiunse subito i primi. E primo fu in liceo e in teologia, meritandosi appunto il primo premio. Né soltanto si distingueva nello
studio. Bontà, franchezza, ordine in tutto e pietà profonda completavano il personaggio e ne predicevano il futuro.
Durante il corso liceale maturò la vocazione al sacerdozio. Il Nascimbeni vestì l'abito talare in Torri, 1'8 dicembre 1869. Nell'agosto
successivo ebbe la tonsura e gli ordini minori. Fu
32
ordinato suddiacono il 10 agosto 1873, diacono il 28 febbraio 1874; e
il 9 agosto dello stesso anno ricevette l'ordine sacro dal vescovo (poi
cardinale) di Verona, mons. Luigi di Canossa. Sei giorni dopo, festa
dell' Assunta, era al paese natìo per celebrarvi la prima messa solenne. Il padre, la madre e tutto il popolo tripudiavano; ma più di tutti il
novello sacerdote.
Dopo le feste e le legittime emozioni di quei giorni, don Nascimbeni venne destinato a S. Pietro di Lavagno. Di qui, com'è stato detto, venne trasferito in Castelletto di Brenzone, sul versante opposto
del Baldo.
Nel nuovo campo di lavoro c'era molto da fare e da rifare. Il giovane sacerdote si mise all'opera con l'entusiasmo dei suoi ventisette
anni, quando tutto il mondo è un campo pronto alla seminagione e un
mare che invoca le reti.
Pure a Castelletto insegnò nelle scuole comunali, ove riportò ordine e disciplina ed ebbe modo di avvicinare la gioventù del paese, anche la più lontana e restia. Soprattutto si adoperò, nella sua qualità di
curato cooperatore, per ridare vita alle vecchie istituzioni languenti,
quali: l'oratorio maschile, le Figlie di Maria, la Compagnia del Santissimo, le Quarantore; ne introdusse altre per la prima volta: le Madri Cristiane, il Terz'Ordine di S. Francesco, la Confraternita della
Madonna del Carmine. Il parroco nutriva stima e fiducia verso il giovane curato; lo lasciava fare ed approvava.
Nell'approssimarsi della Pasqua 1884 don Brighenti salì sui monti,
a confessare un parrocchiano ammalato. Ammalò egli pure, e poco
dopo fu colpito da tisi galoppante. Il 27 giugno dello stesso anno morì santamente, edificando i parrocchiani.
Il curato, che l'aveva assistito con amorevole dedizione durante la
malattia, gli successe nel governo della parrocchia il 25 gennaio
1885. La resse per trentasette anni con zelo intrepido, con l'abilità del
saggio amministratore, con il cuore dell'amico fedele e la bontà del
padre di famiglia. Alla sua morte, avvenuta il 21 gennaio 1922, Castelletto era completamente
33
rinnovato, nel suo volto esterno e nell'animo dei suoi abitanti.
Fin da quando era entrato in paese nel novembre del 1877, il curato era stato colpito dal comportamento pio di una giovane parrocchiana. Al vederla ebbe come un presentimento, quasi un misterioso
richiamo: quella giovane - non sapeva ancora in che modo e in quale
misura - l'avrebbe compreso ed aiutato.
Veniva costei puntualmente alla santa messa tutte le mattine, e tutte le mattine faceva la comunione. Sostava a lungo, raccolta in preghiera, davanti all'altare del Santissimo e ai piedi della Madonna. Poi
puliva la chiesa e metteva ordine nella sagrestia. Alla domenica era
accompagnata da altre ragazze, e sorvegliava i fanciulli durante il catechismo e le sacre funzioni. Tutti le volevano bene in paese, tutti ne
dicevano bene. Si chiamava Domenica Mantovani.
34
CAPO PRIMO
NEL MONDO
La giovane era nata a Castelletto circa quindici anni prima, il 12
novembre 1862, da Gian Battista e Zamperini Prudenza. Era il primo
fiore, sbocciato da quell'unione benedetta. Poi vennero altri: Maria e
Andrea.
Ad attendere la nascitura, oltre ai giovani sposi, v'era il nonno paterno e molti parenti. Quando arrivò, si fece gran festa, a motivo della sua venuta.
Il giorno appresso venne portata in chiesa e il curato don Michele
Braghi le amministrò il battesimo. La grazia santificante si accese,
come un sole, in quella piccola anima predestinata; e sembra che da
allora quel sole non si sia spento mai, non abbia subito alcuna eclissi
sino al tramonto della giornata terrena, allorché andò ad accrescere lo
splendore del paradiso.
Fanciulla predestinata
La casa che accolse la neonata, adagiata, assieme con altre, sulle
pendici del monte, distava pochi minuti dal centro del paese. Era disadorna e umile, come quasi tutte le case di allora, che riproducevano
la povertà, la rudezza e la vita stentata degli abitanti.
V'era però tanta ricchezza di fede in casa Mantovani, e tanta propensione a volersi bene e a fare del bene. «La povera Prudenza» dice
una testimone «era una donna all'antica» (il che vuole significare:
possedeva le virtù che mancano a molte
35
donne moderne); “era una donna di chiesa.”1 E cosi il marito Gianbattista. Così il nonno, già inoltrato negli anni quando giunse la primogenità, che spesso gli sederà accanto per sentirlo parlare della storia sacra e della vita dei santi.
La bambina crebbe dunque, sana nell'anima e nel corpo, in grembo a questa famigliuola di costumi semplici, laboriosa, profondamente onesta.
Quando la piccola Meneghina (ché cosi la chiameremo tutti, sino
a quando prenderà il velo e diventerà “la Madre”) comincia a frequentare la scuola, da tempo conosce la via della chiesa. Scuola,
Chiesa, Casa riassumono tutta la fanciullezza della futura Confondatrice.
Chi la conobbe attesta che a scuola “era brava”, “aveva tutti dieci!”.2 Era anche buona e mite, senza pretese e sussiego, piuttosto
schiva e silenziosa già da allora, e si faceva rispettare.
A casa l'attendeva la sorella Maria, cui Domenica faceva da madre, come più tardi farà da madre anche al fratello Andrea. Poi bisogna aiutare la mamma; e sembra di vederla ancora “graziosissima nel
suo costumino da contadina, scalza all'estate, con gli zoccoletti
all'inverno, col fazzoletto a fiori annodato alla nuca, andar sul monte
a coglier legna portare l'umile pasto al Babbo, rastrellare i fieno, lavorare. Sempre attiva sotto lo sguardo materno; sempre col sorriso
della pace sul bruno e simpatico viso.” 3
Difetti ne aveva anche lei. Era talvolta permalosa e piangeva
quando commetteva sbagli ed era ripresa dalla mamma. Con i fratellini era risoluta e spesso comandava a bacchetta”, anticipando quella
fermezza di carattere e quell'energia che, unita a bontà di madre, userà con le suore.
1
Testimonianza della signora Dora Zecchini.
Suor Diodata Papa, Petali, ossia profilo della Madre Maria dell’Immacolata, p. 33
3
Ivi, p. 35.
2
36
Le sarebbe piaciuto continuare gli studi come più tardi fatta suora,
avrebbe desiderato prendere il diploma di maestra per rendere più efficace la sua missione di educatrice. Ma la povertà della famiglia ed
il bisogno che c'era di lei in casa non le permisero di abbandonare,
per andare a studiare in città.
In compenso cresceva all'aria libera dei campi, tra il verde degli
ulivi, dirimpetto al lago riposante, dedita a tutti i lavori della donna
di casa, dei quali sarà maestra impareggiabile a tutte le suore.
Sui i tredici anni la ragazza ebbe una crisi. Cessò il sorriso che
brillava costantemente sul volto luminoso. “non mangiava, era mesta; non voleva star sola in casa...”. A produrre quel turbamento, oltre
l'età, c'entrasse anche il demonio. Più tardi diventa suora ed esperta
nelle vie dello spirito, confidava: “non so cosa fosse, ma ero molto
inquieta; mi sentivo fastidiosa; avevo paura a star sola perché mi veniva in mente il diavolo. Allora andavo a pascolare le caprette o la
mucca e in mezzo al campo mi sentivo spinta a puntarmi su la camicina tante immaginette... tutti i santi che trovavo nei libri del nonno;
e mi segnavo e dicevo orazioni. A far così la paura mi passava e mi
tranquillizzavo. Più tardi, in convento, capii che quello era lavoro del
diavolo”.
Lo spirito malefico aveva presagito qualcosa sul futuro della figliola? Certo la Madonna, che ella già onorava con singolare affetto,
vegliava maternamente. La crisi passò presto. La ragazza riprese il
suo sorriso contenuto e sereno, come prima. Il sole era riapparso.
Giovinezza virtuosa
Quando la mantovani, quindicenne, avvicino il curato don Nascimbeni era un terreno pronto ad essere lavorato come un giardino
in primavera. Il giardiniere cominciò subito a coltivarla.
4
Ivi,pp.42 – 43.
37
Da principio il lavoro rimase nascosto, noto soltanto a Dio; più
tardi, anche gli uomini ne videro e colsero i frutti. Fin da bambina la
Mantovani pregava molto e bene. Pregava con la mamma, col nonno,
da sola. In chiesa, tra le mura domestiche, in aperta campagna. Più
avanti, con il permesso della mamma, le piacerà radunare in casa o
nella sua camera altre ragazze per addestrarle nei lavori di donna, per
edificarle con buone letture, e per pregare.
Allorché si mise sotto la direzione del Nascimbeni, la giovane dedicava già più ore del giorno alla preghiera. Oltre la messa e la comunione quotidiane, attendeva alle altre pratiche che vengono raccomandate alle anime generose: la meditazione, l'esame di coscienza,
la recita del santo rosario, la visita a Gesù presente nel tabernacolo,
l'esercizio continuato della presenza di Dio. Il maestro, già provetto
nelle vie dell'orazione, ebbe il compito di confermare il programma
della discepola e d'incoraggiarla a perseverare.
«Quando pregava, sembrava un angelo, un serafìno».5 Si raccoglieva tutta, s'accendeva in volto, parlava a Dio o alla Madonna con
cuore semplice e puro, e non si stancava. Un giorno una bambina rimase colpita dall'atteggiamento della Domenica che stava pregando
in chiesa, e le scappò detto ingenuamente: «A voi, quando pregate, vi
si infiammano perfino gli occhi, che sembrano come quelli del Cuor
di Gesù!».6 La giovane si fece seria, e seria guardò la ragazzetta, la
quale s'allontanò per un momento temendo un rimprovero. La Mantovani le proibì di pronunciare ancora siffatte parole; la ragazza promise, si avvicinò di nuovo e si fece la pace.
Coltivando con fedeltà la preghiera, questa giovane generosa s'inoltrava, di giorno in giorno, nel mondo dello spirito e prendeva lena
per praticare le virtù cristiane. La fede aumentava in lei ognor più,
comunicando al suo intelletto la giusta
5
6
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre Confondatrice, I, p.20.
Ivi, p. 21.
38
visione delle creature e degli avvenimenti Cresceva altresì il gusto
della vita interiore e per le cose di Dio Con fede si accostava al confessionale, ogni settimana; con fede e docilità seguiva le direttive del
padre spirituale...
Egli sovente metteva alla prova la virtù della figlia. La rimproverava fortemente per cose da nulla. La mortificava ad alta voce, facendosi udire anche da altre persone; poi impartiva ordini che costringevano la Mantovani a presentarsi in pubblico, davanti alla gente. La discepola s'adattava con risolutezza ai metodi austeri del maestro, ma non sempre riusciva a tenere nascosta l'interna lotta. Le sue
guance, che di solito erano pallide, s'alteravano in quei frangenti e
«prendevano il colore della fiamma».7 Il disagio aumentava allorché
doveva passare sulla piazza, tra la gente, subito dopo la bufera. La
cosa era ormai nota in paese; e quando la giovane si faceva vedere in
pubblico con la faccia rossa e compunta, si deduceva che il parroco
l'aveva strapazzata, ingiungendole di presentarsi in pubblico ridotta a
quel modo. Qualche donna compiangeva la figliuola; gli uomini, per
lo più, ridevano e facevano commenti ad alta voce. Ma il parroco teneva duro nei suoi metodi, e duro teneva la giovane nel seguirli, con
evidente scapito del suo orgoglio e della vanità caratteristica nelle
ragazze: che era appunto l'obiettivo prefisso.
In famiglia
Anche a casa la Mantovani veniva rimproverata, ma per altri motivi e con stile diverso. La rimproverava il fratello Andrea, la sorella
Maria, e talvolta, con più dolcezza però, perfino la mamma. La ragione principale di quelle riprensioni proveniva dal fatto che, secondo loro, Domenica stava troppo
7
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre Cofondatrice, II, p.9.
39
a lungo in chiesa. Che nei giorni festivi andasse alla messa e prendesse parte a tutte le funzioni, era una cosa tanto naturale sulla quale
non c'era nulla da ridire: facevano così tutte le brave ragazze del paese. Ma che tutti i giorni, e più ore del giorno, se ne stesse fuori di casa, era un disordine che non doveva essere tollerato. In particolare si
faceva sentire il fratello Andrea che, di ritorno dai campi, qualche
volta non trovava subito pronto il desinare o gli pareva che la polenta
non fosse stata salata a sufficienza. Allora cominciavano i rimbrotti,
e ci andava di mezzo anche la mamma perché non interveniva a mettervi rimedio. La sorella Maria teneva bordone alle lagnanze del fratello; la madre invece, appunto perché era la madre, ora dava ragione
ad Andrea ora difendeva la Domenica.
Il padre non c'era più. Una otite atroce gli aveva stroncato la vita
in tre giorni. Anche il nonno, il caro maestro e il confidente dell'infanzia, era morto. Se fosse stato presente, egli avrebbe capito la giovane e ne avrebbe preso le difese. Ma era passato a miglior vita, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore della nipote. Con dolce disinvoltura ella sapeva incassare di fronte alle rampogne del fratello e
della sorella; stava zitta, e pertanto teneva fede al suo programma.
Di buon mattino, quando la campana suonava l'Ave Maria, la
Mantovani era in strada verso la parrocchia. Dopo le devozioni, puliva la chiesa, ornava gli altari, oppure insegnava la dottrina ai ragazzi,
o faceva l'una e l'altra cosa. Rincasava verso le dieci o le undici, e si
metteva tosto al lavoro con alacrità, cercando di ricuperare in intensità quanto aveva perduto in estensione. Acceso il focolare vi appendeva il paiuolo; e quando alzava il bollore, vi faceva scendere la farina gialla per la polenta che, in quei paesi e a quei tempi, veniva a sostituire il solito pane bianco. La preoccupazione di fare presto e bene
non distraeva la giovane massaia, che sapeva custodire il raccoglimento e la grazia del mattino; e mentre rimenava la polenta, ripeteva
a Gesù e alla Madonna le cose dette in chiesa, certo con più ordine e
posatezza, poche ore prima.
40
Il ripeterle adesso, frammezzo al tramestio delle faccende, le dilatava
l'anima e la rendeva felice. Quando era giunto il momento di scodellare, la famigliuola era pronta per mettersi a tavola, ed era allora
principalmente che la cuoca poteva venire investita dai famosi rimproveri.
Consumato il pasto, la figliola governava le stoviglie, Dopo di
che, durante i lavori grossi, usciva anche lei nel campo. Se non poteva competere con le braccia robuste di Andrea, non era però da meno
di Maria nel maneggiare la zappa o il rastrello o la vanga. Anche da
suora terrà cari questi attrezzi della sua giovinezza; solo più tardi, divenuta superiora generale di molte suore e per ordine del Fondatore,
abbandonerà a malincuore il lavoro della terra. Qualche uscita
nell'orto del convento la farà ancora, sino alla morte, per osservare
come procedono i lavori o per raccogliere gli ortaggi che occorrono
in cucina.
Per lo più Domenica restava in casa, mentre Andrea e Maria erano
fuori con la mamma, al lavoro. Attendeva alla biancheria: lavava, stirava, rattoppava i panni sdruciti, ne confezionava dei nuovi, ricamava. Lavorava da sola o con altre ragazze del paese, e smetteva soltanto verso sera, quando il suono dell' Ave Maria avvertiva che era tempo di scendere in chiesa per il rosario. A funzione terminata, la Mantovani sostava ancora alquanto. Un'ultima intesa con la Madonna.
Uno sguardo più prolungato e più dolce al Tabernacolo, prima di uscire. Era il commiato della sera e l'anticipazione, col desiderio,
dell'incontro che si sarebbe rinnovato nella comunione del mattino.
La cena era più breve e frugale del pranzo. Poi si riprendeva il lavoro. Le ultime ore del giorno erano dedicate alla preghiera e a pie
letture. La sorella Maria era già assopita che Domenica vegliava ancora. Essa «non andava a letto senza aver pregato per tutti quelli che
ne avevano bisogno».8
8
Suor DIODATA PAPA, Petali, p. 60.
41
Continuava a pregare mentre si adagiava, serenamente, accanto alla
sorella. Quando il sonno meritato sopraggiungeva, mancavano poche
ore all'appuntamento con l'Amato.
La chiesa
Col passare degli anni l'animo di Domenica Mantovani si orientava sempre più verso la chiesa. Ivi c'era Lui, il Prescelto tra tutti i figli
di donna. Ivi c'era l'altare bello con la statua della santa Vergine, che
sembrava messa la apposta per concedere le sue grazie e per dispensare a tutti il suo sorriso. In chiesa c'era il confessionale cui la giovane accedeva regolarmente ogni settimana, con tanta devozione e raccoglimento, per detergere la coscienza da ogni benché piccola macchia, per ricevere nuova luce e forza dalle parole del suo venerato
padre e maestro.
Per tutti questi motivi la Mantovani non poteva non amare, con
particolare dilezione, la chiesa del suo paese. E se il dovere non l'avesse richiesta altrove, accanto alla mamma e ai fratelli, sarebbe rimasta ancora a lungo tra quelle mura benedette.
Veniva in chiesa non solo per ricevere, ma anche per dare, e soprattutto per darsi. Si donava in tanti modi, e le sembrava di dare poco per tutto quello che continuamente riceveva.
Le testimonianze sono concordi nel celebrare l'amore della giovane Mantovani per la casa di Dio. In verità, ella poteva fare sue le parole del salmista: «O Signore, io amo il decoro della tua casa» (Salmo 25, 8).
Anzi tutto ne curava la pulizia. Spesso lavava il pavimento della
chiesa, facendosi aiutare da qualche ragazza volonterosa. Le premeva
che non mancassero mai i fiori freschi su gli altari, e d'estate cambiava l'acqua tutti i giorni. Seguendo la graduatoria del cuore, l'altare del
Santissimo doveva avere i fiori più belli, poi veniva quello della
Madonna, e infine gli altri altari.
42
Scorgendo le attitudini e lo spirito di dedizione della figliuola, il
parroco le affida la biancheria della chiesa. La Meneghina pensava a
tutto: ai sacerdoti, ai chierichetti, agli altari. Lavava, stirava, aggiustava i pezzi bisognosi di riparazione, inamidava i corporali e preparava ad arte le cotte. Nei giorni assegnati veniva distribuita o mutata
la biancheria, a norma di un particolare calendario: ogni due mesi erano cambiate le tovaglie di tutti gli altari, i camici dei sacerdoti e i
corporali; gli amitti, due volte al mese; i purificatoi, ogni settimana.
Speciale premura aveva la Mantovani per la biancheria degli altari. Voleva che le tovaglie fossero pulite, come desiderava fosse sempre monda la propria coscienza al cospetto di Dio. Se qualcuna presentava qualche macchia, veniva subito sostituita.
Occorrevano berrette da prete ai sacerdoti che venivano a Castelletto per gli uffici funebri. La Mantovani ne confezionò diverse di
varie dimensioni. I sacerdoti invitati rimasero contenti e si congratulavano con il parroco don Nascimbeni, il quale poteva disporre, per
la sua chiesa, d'una giovane cosi ingegnosa e compita.
Bastava che il parroco esprimesse un desiderio, un progetto qualsiasi in favore della chiesa, che la Mantovani dava tosto la sua generosa collaborazione. Per raggiungere l'intento, «non badava alla fatica, alle noie, e talvolta anche alle critiche, ma subito si metteva all'opera».9
Era pure industriosa nell'escogitare nuove iniziative, onde sovvenire alle necessita della chiesa povera. Per più anni, con il consenso
della mamma, coltiva il seme di bachi da seta che, al tempo giusto,
distribuiva presso buone famiglie. Ripassava poi a raccogliere i bozzoli che, con l'aiuto di buone donne e ragazze (che in paese tutte si
prestavano volentieri), venivano trasformati in seta. Si lavorava di
domenica, dopo aver
9
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 13.
43
ascoltato insieme la messa e con la dovuta licenza. Il ricavato veniva
disposto a beneficio della chiesa.
Risoluta ormai di abbandonare il mondo, la Mantovani desiderava
lasciare un dono-ricordo alla sua chiesa parrocchiale, ove aveva ricevuto tante grazie, ove la sua anima era fiorita in sapienza e bontà.
Pensò di preparare delle tovaglie per tutti gli altari. Si mise per tempo
all'opera, raccogliendo attorno a sè le Figlie di Maria più affezionate.
Ci vollero due anni prima che fossero pronte, perchè si lavorava solo
nei giorni festivi. Quell'incarico era ritenuto un premio. Perciò le ragazze lavoratrici dovevano mostrarsi esemplari, ed essere presenti
non solo alla santa messa del mattino, ma non dovevano mancare all'oratorio e a tutte le sacre funzioni. «Oh! come tutte facevamo volentieri questo lavoro» dichiara una di esse, «sapendo che doveva servire per abbigliamento nella casa del Signore; ed anche per godere la
buona compagnia di quest'anima santa, la quale spesso ci raccontava
tante belle cosette per innamorarci sempre più ad amare Gesù». Le
tovaglie riuscirono ottimamente. Ne furono entusiasti tutti, parroco e
parrocchiani. Fu «un dono molto caro e assai gradito».10
Per qualche particolare ricorrenza la Mantovani improvvisava altari e addobbi di buon gusto, che incontravano il gradimento della
gente.
Era in special modo impegnata durante la settimana santa nel preparare il Sepolcro, che veniva adornato con un centinaio di lumi a olio; i quali, nel venerdì santo, servivano ad onorare il Cristo Morto, e
restavano accesi sino all'alba del sabato seguente. L'olio era stato
questuato nel paese dalla Mantovani e da qualche altra brava ragazza.
Se ce n'era d'avanzo, veniva destinato alla lampada del santissimo
Sacramento.
Questo impegno per allestire altari e addobbi ebbe il suo epilogo
nel gennaio del 1891. Il parroco don Nascimbeni aveva manifestato il
desiderio di erigere un altare provvisorio nel
10
Ivi, pp. 15-16.
44
mezzo della chiesa e di sovrapporvi il quadro della Sacra Famiglia.
La Mantovani si dette d'attorno con ardore e grande letizia. In breve
tempo l'altare era eretto, bello oltre il previsto. Era circondato da ceri;
altri lumi, posti più in basso, venivano portati dalle famiglie. Vi rimase per tutto il mese di gennaio. Durante la santa messa la Mantovani leggeva ad alta voce delle preghiere, composte appositamente
dal parroco per onorare e invocare la Sacra Famiglia.
Fu quello l'ultimo anno che la figliuola trascorse nel mondo. Nel
gennaio successivo le prime quattro suore erano da poco ospiti nel
piccolo convento, quando festeggiarono la Sacra Famiglia, dalla quale la giovane pianticella prendeva nome, esempio e protezione.
Bambini
Anche i paesani più trascurati nei loro doveri religiosi amavano la
Mantovani. Persino i pochi ostili alla chiesa sentivano una venerazione particolare per lei e ne dicevano bene. Quest'unanime benevolenza
traeva origine prevalentemente dal fatto che la giovane voleva bene a
tutti i bambini del paese e ne curava, per quanto le era dato, l'educazione cristiana e civile.
Quantunque non avesse potuto conseguire diplomi, la giovane aveva tutte le qualità della maestra buona e valente. Ben presto s'impose a tutti, nonostante l'età precoce; sapeva farsi voler bene, ma riusciva altresì ad arrivare dove voleva arrivare.
Quando era tempo di giocare, ci si divertiva e la Mantovani dava
il suo contributo alla comune allegria. In chiesa però bisognava stare
composti, devoti e attenti alla spiegazione del catechismo. Il parroco
otteneva la disciplina con parole più energiche, con metodi sbrigativi,
alla militare. La Mantovani ci metteva più tempo, perché camminava
per le vie del cuore; ma infine anch'essa arrivava e vinceva la battaglia contro i più riottosi, lasciando dietro di sé minor numero di contusi e feriti.
45
Nei giorni festivi insegnava il catechismo ed esigeva che gli alunni sapessero la lezione assegnata. In tal modo li seguiva tutto l'anno
per accertarsi che, esaurito il programma, fossero degni di passare alla classe superiore. Con particolare sollecitudine preparava le bimbe
alla prima comunione, mentre il parroco curava i fanciulli.
Il pomeriggio del sabato era dedicato alla confessione dei bambini. La Mantovani si faceva vedere per tempo in parrocchia. Sorvegliava chi entrava e chi usciva di chiesa, perché tutto procedesse con
ordine. Preparava quelle tenere anime a ricevere con profitto il sacramento della misericordia, raccomandando una grande sincerità e il
vivo dolore delle proprie colpe, «perché senza questo dolore» diceva,
«il Signore non perdona i peccati».11 Ai confessati insegnava a recitare con devozione la penitenza imposta dal confessore.
Presiedeva alla comunione dei fanciulli. Voleva che la preparazione
e il ringraziamento fossero fatti in comune. Pertanto essa stessa leggeva le preghiere ad alta voce, con fede e fervore, spiccando bene le
parole per essere compresa da tutti.
Il continuo contatto della giovane con tutti i fanciulli del paese, ne
accresceva la stima e l'ascendente presso i genitori. Questi, sovente,
chiedevano informazioni sulla condotta dei figliuoli e facilmente seguivano i consigli che loro impartiva la maestra di catechismo.
La Mantovani ebbe modo di rivelare le innate doti didattiche, allorché venne a mancare l'ottima insegnante del paese, Antonia Gaioni, della quale si parlerà più avanti. Colpita da tisi in forma grave,
costei dovette abbandonare l'insegnamento durante l'anno scolastico.
Venne sostituita dalla Mantovani per due mesi, sino al termine delle
scuole. Il parroco don Nascimbeni, che per più anni aveva insegnato
nelle scuole comunali di S. Pietro di Lavagno e di Castelletto,
11
Il Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 17.
46
assisteva la maestra improvvisata e le dava opportune direttive. Agli
esami finali la Mantovani ebbe parole di elogio da parte del regio ispettore e degli scrutatori per l'ottima riuscita degli alunni, che furono promossi tutti alle rispettive classi superiori.
Malati e poveri
Altre due categorie di persone attiravano l'attenzione e le sollecitudini di Domenica Mantovani: i malati e i poveri. Li amava per una
inclinazione quasi connaturale in lei, ed ancora perché i malati e i
poveri erano i beniamini del parroco.
Quando don Nascimbeni non poteva andare di persona al capezzale dei parrocchiani infermi, mandava questa sua figliuola spirituale; e
il conforto arrecato da costei, sebbene di diversa natura e sapore, non
era inferiore alla serenità che portava nelle case la presenza del parroco.
In quei tempi di vita stentata non mancavano poveri e bisognosi in
Castelletto. Don Giuseppe Nascimbeni era oltre modo sensibile verso
questi suoi figliuoli, provati dalla miseria. Faceva sacrifici d'ogni genere e spesso si privava del necessario, per andare incontro alle loro
indigenze.
La Mantovani camminava nella scia del parroco, accanto al quale
il suo amore per i poveri crebbe e diventò industrioso. Più volte si lavorò anche di domenica, sotto la direzione della giovane, con l'intento di aiutare qualche famiglia veramente bisognosa.
Questo amore per i malati e per i poveri del paese verrà coltivato e
irradiato anche in convento. Allora l'umile figlia del povero Gian
Battista e della Prudenza verrà chiamata e sarà davvero «la Madre».
Madre, non solo delle numerose suore che, quasi per un miracolo inatteso, le verranno accanto da ogni parte d'Italia; madre altresì del
suo paese; madre, in particolare, dei bambini, dei malati, dei poveri.
47
CAPO SECONDO
LA VOCAZIONE
Dove la Mantovani trovavasi al suo posto, come fiore nella propria aiuola, era tra le Figlie di Maria. Vi entrò per tempo, poco dopo
la prima comunione. In seguito divenne direttrice, carica che tenne
sino a quando prese il velo.
Era questa una delle istituzioni parrocchiali che più stavano a cuore a don Nascimbeni, ben persuaso che per migliorare una parrocchia
bisogna far leva sulle ragazze di oggi, che saranno le fidanzate, le
spose e le mamme di domani. La via più spedita per ottenere l'intento, quando non esisteva ancora l'Azione Cattolica, era appunto quella: trasformare le figlie di Eva in Figlie di Maria, di nome e di costumi.
Per operare questa trasformazione il parroco non si risparmiava:
catechismi appropriati, conferenze, ritiri, direzione spirituale, feste
precedute da tridui... Voleva poi che il regolamento non fosse soltanto stampato sulla carta, ma che venisse osservato scrupolosamente da
tutte le iscritte. Se qualcuna sgarrava, e per di più era recidiva, non
c'era scampo: veniva irreparabilmente espulsa. Doveva essere considerato come un onore ed un impegno, preso davanti alla comunità
parrocchiale, l'appartenere alle Figlie di Maria.
Tra le Figlie di Maria
Per quasi quindici anni don Nascimbeni fu coadiuvato in questo
apostolato da Domenica Mantovani. Se l'ascendente di costei era
grande presso tutti i parrocchiani, lo fu in particolar modo
48
nei confronti delle Figlie di Maria. Tutte si trovavano bene con lei,
essa si trovava bene con loro.
Era, nondimeno, esigente con le socie. Quando qualcuna mancava
all'oratorio, la direttrice voleva saperne il motivo; e se le ragioni non
risultavano chiare, andava lei stessa nelle case a informarsi presso i
genitori.
Più che chiedere, essa dava a quelle brave figliuole. Dava la parte
migliore di sé: le sue preghiere fervorose, il buon esempio, i suoi
saggi consigli. Il bene che loro portava la rendeva ingegnosa nel
prendere sante iniziative. Durante il carnevale, per esempio, faceva
preparare commedie e altri giuochi innocenti, perché le ragazze stessero allegre senza esporsi a pericoli. D'estate, a scuola finita, le prendeva in casa sua, teneva lezioni di cucito e di ricamo, per sottrarre le
scolare all'ozio e alla strada, ove c'era da imparare più il male che il
bene.
Le esortava ad ascoltare tutti i giorni la santa messa, a ricevere
spesso i sacramenti, a coltivare una tenera devozione alla Madonna.
A tutte raccomandava la fuga delle cattive compagnie e quel comportamento serio, che serve da siepe e da ornamento alla gioventù in fiore.
Né curava le anime soltanto. Si preoccupava ancora della salute di
quelle figliuole. Se ne vedeva qualcuna triste e dimagrita, ne chiedeva, con discrezione, la causa.
Se era necessario, andava lei stessa dalla mamma della ragazza,
per raccomandargliela e per suggerire di portare la figliuola dal medico. Visitava le malate, alle quali portava qualche dono e la sua parola rasserenante.
Nelle Figlie di Maria, com'era naturale, la Mantovani trovava le
migliori collaboratrici per le sue sante imprese. Tutte si prestavano a
gara e con generosità. A premio della loro diligenza e quale incitamento a far sempre meglio, dopo lunghe ore di lavoro, venivano dispensate certe merendine, che contribuivano ottimamente ad unire il
dolce all'utile. Il parroco finanziava, la Mantovani predisponeva, e le
ragazze consumavano quella grazia di Dio con un appetito invidia-
49
bile e con quella chiassosa allegria che è propria della loro età.
Tra le Figlie di Maria ve n'erano alcune più assidue e affezionate,
che poi presero il velo nel conventino delle Piccole Suore. Una di costoro andava spesso in casa della Mantovani per godere della sua
compagnia. Talvolta s'intratteneva con lei anche la notte, specialmente la domenica. Le dolci e sante conversazioni si prolungavano pure
sotto le coltri, sino a notte inoltrata. La sera precedente il giovedì
santo del 1890 le due amiche si riunirono, come di solito, e andarono
a riposare insieme. Si parlò, anzi tutto, dei dolori del Redentore e della sua Madre santissima; poi, quasi inavvertitamente, il discorso cadde sulla vocazione religiosa, sulla gioia di appartenere totalmente a
Gesù, anticipando con il desiderio la vita che avrebbero condotto in
convento. Quando suonarono le tre del mattino, le figliuole stavano
ancora parlando. Bisognava alzarsi a quell'ora per preparare i cento
lumi a olio, che dovevano adornare il Sepolcro. Scesero frettolosamente in chiesa, fresche come non mai, e riuscirono a disporre tutto
prima che la gente entrasse.
Antonia Gaioni
Una santa amicizia legava la Mantovani alla giovane maestra di
Castelletto, Antonia Gaioni. Si erano conosciute sino dall'infanzia;
col passare degli anni s'intesero sempre meglio. Le teneva unite una
identica squisita sensibilità spirituale, una comune aspirazione verso
il bene, un medesimo geloso amore per la purezza. Erano due anime
gemelle, che si aprivano l'una all'altra con estrema semplicità e confidenza, si riposavano l'una nell'altra; poi pregavano insieme, e riusciva loro più facile incontrarsi, nella comune preghiera, con la Madonna e con Gesù.
La Gaioni era uno di quei fiori rari, che Dio lascia sulla terra per il
tempo necessario allo sboccio. Ben presto li viene a
50
prendere con sollecitudine gelosa, quasi temendo che il mondo ne
sciupi il profumo e l'incanto. Il parroco aveva grandi disegni su l'ottima insegnante, ma Dio aveva i suoi. Il fiore era sbocciato e pronto
per il paradiso. Reclinò su lo stelo, dolcemente, consunto in breve
tempo da mortale etisia, il 25 luglio 1888.
Durante la malattia, oltre a sostituirla nella scuola, la Mantovani
assisté la maestra con delicatissimo affetto, sino al giorno dell'addio.
La Gaioni andò in cielo, portando con sé il profumo della sua giovinezza intemerata. La Mantovani restò ancora a lungo sulla terra,
giglio tra le spine, attorno al quale vennero a cercare protezione tanti
altri gigli.
Il voto di verginità
È la conclusione logica, quasi necessaria, cui perviene una giovinezza pura che si orienta decisamente verso Dio. Gli esegeti dei nostri tempi che mettono in dubbio il proposito della Madonna di restare di Dio, tutta e solo di Dio attraverso una donazione verginale, dimostrano, oltre tutto, di essere poco informati sulla psicologia religiosa femminile.
Il proposito di essere tutta di Dio solo maturò in voto nell'anima
della Mantovani all'età di 24 anni, nel 1886. Come data della sua donazione fu scelto 1'8 dicembre, per mettere il candido fiore sotto la
protezione della Regina dei vergini.
In quella circostanza venne inaugurata una nuova statua di Maria
Immacolata, che fu portata solennemente in processione dalle Figlie
di Maria, «con gioia, festa e trionfo».1 La loro direttrice era raggiante
d'incontenibile gioia. «In quel giorno teneva un colorito insolito, roseo, facendo così trasparire la vera gioia paradisiaca»,2 che le vibrava
nell'anima.
1
2
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 7. 2
Ivi, p. 8.
51
La cerimonia del voto si svolse nell'intimità della chiesa e nel silenzio, ai piedi della Immacolata. Soltanto il parroco e confessore
presenziava. Compiuto l'atto di totale consacrazione, la giovane firmò un documento che venne controfirmato dal Padre spirituale. Lo
scritto dice:
Alla Gloria di Dio e dell'Immacolata Vergine Maria.
Questo giorno, 8 dicembre anno corrente 1886, davanti all'immagine del Santo Crocifisso e dell'Immacolata Vergine Maria, ho fatto
voto di perpetua verginità; non però nelle mani del Sommo Pontefice, ma in quelle del mio confessore che ora è anche parroco di questa chiesa, cioè il M. R. don Giuseppe Nascimbeni, che era personamente presente a questo mio atto irrevocabile per parte mia, non già
per parte del mio confessore.
In fede di che appongo la mia firma unitamente a quella del mio
confessore.
Mantovani Domenica
Castelletto, li 8 dicembre 1886.
In fede di quanto sopra appongo la mia firma.
Nascimbeni don Giuseppe
parroco
La colomba, ad ali spiegate, aveva preso il suo volo.
Soltanto più tardi, attraverso incertezze ed avvenimenti imprevedibili, la Provvidenza le avrebbe indicato su quale ramo doveva posarsi,
per dar inizio alla sua missione materna, a gloria di Dio e per il bene
di innumerevoli anime.
Quale via scegliere?
Prima e dopo l'8 dicembre del 1886 ci furono proposte di matrimonio.
Una ragazza così compita, piena di buon senso ed intraprendente,
doveva attirare l'attenzione dei giovani di Castelletto
52
e dei dintorni. Qualcuno fece sapere alla Mantovani le proprie intenzioni, ma ben presto dovette persuadersi che non c'era nulla da sperare. Anche per lei non mancarono quelle persone dabbene, prodighe
nel dare pareri. Alla gioventù, le quali vedono nel matrimonio la miglior sistemazione della donna e la conclusione suprema di tutti gl'ideali.
«No, no» rispondeva secca la Mantovani, «mi go altre intenzioni,
nò vòi saoérghene»? 3
E le intenzioni della giovane erano quelle che la portarono ai piedi
dell'Immacolata, 1'8 dicembre dell'anno 1886, per votare a Dio la sua
verginità.
Da quando s'era consacrata alla Vergine Maria, la Mantovani era
diventata più silenziosa e raccolta; pregava più a lungo e con crescente interiorità. La grazia lavorava incessantemente in quell'anima
ben disposta. Lo spirito si raffinava, la coscienza diventava più pura,
aumentava la fede.
Non mancarono giornate buie. Ci furono lotte interiori che si protrassero per degli anni. Persistevano dubbi tormentosi sulla vocazione. Doveva prendere la via del chiostro o restare nel mondo, presso
la famiglia e la parrocchia? A casa c'era la mamma, rimasta precocemente vedova e bisognosa di aiuto, di sostegno, di conforto. Nel
paese c'erano tanti bimbi da educare, ragazze da assistere e preparare
al domani, poi vecchi e malati da soccorrere e confortare. Quale via
scegliere?
Da tempo la giovane aveva acquistata la certezza che Dio la voleva tutta, e quel darsi generoso alla famiglia e alla parrocchia non le
bastava più. Anelava ad una donazione totale, di sé e del suo tempo,
e le pareva che nel mondo questo ideale fosse irraggiungibile. Pregò
con più fervore, si consigliò, decise. Sarebbe stata suora, in convento,
tra le canossiane.
Quando rivelò il suo proposito in famiglia, fu uno schianto per tutti. La buona mamma Prudenza non poteva rassegnarsi a perdere la
sua primogenita, la creatura più cara che aveva
3
«No, no; io ho altre intenzioni: non ne voglio sentir parlare».
53
sulla terra. Andrea e Maria, quasi indispettiti a motivo della decisione presa dalla sorella, le andavano dicendo: «Tu sei senza cuore.
Vuoi andare distante ... Che ti abbiamo fatto, noi? Chi ti proibisce di
andare in chiesa, di fare quello che vuoi ... ».4 Proprio dai familiari,
anche se sono buoni cristiani, sorgono di solito opposizioni e sbarramenti, che vorrebbero ostacolare il passo alle vocazioni più generose.
La figliuola soffriva, pregava con più insistenza, affidava il suo
avvenire alla Madonna: la Madonna ci avrebbe pensato. Dal canto
suo era ormai matura. Se fosse stato necessario, si sentiva pronta a
soffocare tutte le voci del cuore. Sarebbe andata anche lontano, per
sempre, qualora Dio l'avesse chiamata.
Queste pene interiori della Mantovani venivano a coincidere con
altri avvenimenti, che toccavano il parroco e il paese. All'insaputa
degli uomini, la Provvidenza dirigeva ogni cosa, fortiter et suaviter,
per raggiungere i suoi intenti.
Quando la causa della giovane fu portata dai familiari davanti al
parroco don Nascimbeni, egli disse con tono autoritario: «Ti te staré
chi, perché semo boni anca noaltri a farse le suore»? 5
Il cielo si era rasserenato per tutti. La giovane Mantovani, assieme
con altre giovani, avrebbe preso il velo, ma restando nel paese natìo,
Sarebbe stata la prima pianticella d'una rigogliosa piantagione che,
con l'andar degli anni, dalla remota contrada di Castelletto di Brenzone verrebbe trapiantata in Italia e nel mondo.
4
5
Suor DIODATA PAPA, Petali, p. 97.
«Tu starai in paese, perché siamo capaci anche noi di farei le suore».
54
PARTE SECONDA
CONFONDATRICE
E PRIMA SUPERIORA GENERALE
(1892 – 1934)
55
56
LE MISTERIOSE VIE
DELLA PROVVIDENZA
L'idea di aprire in parrocchia una casa di religiose venne per tempo in mente a don Giuseppe Nascimbeni. Già dalle prime esperienze
di ministero, nelle mansioni di vicario cooperatore, si era reso conto
delle molteplici necessità del paese. Eletto parroco sul principio
dell’'anno 1885, sentì più pressanti quelle esigenze, e con il senso
della nuova responsabilità s'accrebbe in lui il desiderio di provvedervi.
I numerosi bambini del paese, la gioventù bisognosa d'istruzione
religiosa e di educazione morale, il decoro della casa del Signore e le
sacre funzioni, i malati, i poveri e i vecchi invocavano la presenza di
persone generose che, alle dipendenze del parroco, lo rappresentassero nei diversi ambienti. Solo così il pastore sarebbe stato presente al
suo gregge, per conoscere tutti, per guidare tutti, per porgere aiuto a
tutti.
Il problema andava affrontato con decisione e in maniera definitiva. A lungo andare il parroco non poteva fare affidamento sulla collaborazione di alcune buone giovani, quali la Mantovani, per far
fronte a tutte le necessità della parrocchia.
Esse conservavano legami e doveri verso la famiglia; e quand'anche
il parroco ne avesse potuto disporre con una certa libertà, sul più bello, esse venivano meno o per andare a marito o per ritirarsi in convento e menarvi una vita di consacrazione più stabile e sicura.
Sembra che l'esempio del santo Curato d'Ars abbia Suggerito al
parroco di Castelletto l'idea di chiamare in paese alcune suore. Prima
o poi quella soluzione sarebbe emersa da sé, come la più ovvia ed efficace: l'unica che avrebbe assicurato al parroco una collaborazione
valida e permanente.
57
Ben presto, dunque, don Nascimbeni si orientò in quella direzione, e
non si dette pace fin tanto che non ebbe le suore nella parrocchia.
Egli allora era ben lontano dal pensare che, proprio da queste indigenze paesane e circoscritte, la Provvidenza prendeva le mosse per
condurre lui, il povero parroco d'una contrada dispersa nella campagna veronese, a fondare una nuova congregazione religiosa, la quale
oggi conta 260 case con circa duemila membri. 1
È una storia che merita d'essere raccontata, perché spiega il sorgere di questo rigoglioso Istituto e perché, a fatti avvenuti, disvela con
sorprendente evidenza le vie misteriose che Dio segue per attuare i
suoi disegni.
1
Questi dati si riferiscono agli anni 1963 e 1964.
58
CAPO PRIMO
LA FONDAZIONE
(1892)
Prima di accompagnare il parroco di Castelletto alla porta di numerosi istituti in cerca di suore, diamo uno sguardo a quanto egli ha
vicino a sé, nell'ambito della sua parrocchia. Pensiamo a quel gruppo
di ottime giovani, dal quale spunterà, come nucleo vitale, la nuova
pianta. Tra esse due si distinguono per l'esemplarità dei costumi, per
la fedeltà alla vita interiore e per lo spirito di dedizione: la Gaioni e
la Mantovani.
La pianta in embrione
Fino dal 1885 don Nascimbeni aveva posato lo sguardo su quelle
Figlie di Maria, che erano più assidue all'oratorio e si dimostravano
più sensibili ai desideri del parroco. Le organizzò quasi in congregazione religiosa, componendo per esse un regolamento di vita che si
ispirava alla regola delle Figlie di S. Angela Merici o delle orsoline
viventi in famiglia.
Si accettavano aspiranti che avessero raggiunto almeno il sedicesimo anno di età; a diciotto anni erano ammesse al noviziato, a ventitré
professavano. Prima del noviziato e della professione le candidate
erano sottoposte ad un rigoroso esame, perché alla «santa compagnia»dovevano appartenere soltanto le degne e stabili nei loro propositi.
Tutte le mattine, prima della messa, le Figlie di S. Angela dovevano trovarsi in chiesa, davanti all'altare della Madonna,
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al posto loro assegnato. Recitavano ad alta voce gli atti preparatori
alla santa comunione, così pure il ringraziamento; ad ora opportuna
si teneva l'oratorio.
Le ascritte si obbligavano «a tutte quante le opere della carità spirituali e corporali, all'assistenza reciproca diurna e notturna alle malate, e a vestir le morte, acciocché il cador verginale non restasse
neppur materialmente offuscato».1
Per il buon nome della compagnia, dovevano astenersi dal partecipare alle sagre, a meno che non avessero ottenuto un regolare permesso. Era poi richiesta una docilità assoluta alle proposte del parroco e della direttrice; le ribelli ed ostinate sarebbero state espulse
quanto prima.
«Aggiungendo novene per la Vergine, mesi di S. Giuseppe e di maggio, si vede la [futura] congregazione abbozzata».2
Il primo nucleo era formato dalle seguenti giovani: Antonia Gaioni, maestra del paese, che assunse la carica di direttrice; Domenica
Mantovani, vice direttrice sino alla morte della Gaioni, poi direttrice;
seguono Domenica Brighenti, sorella di don Francesco Brighenti,3
Caterina Nascimbeni, Angela ed Elisabetta Togni. In seguito altre se
ne aggiunsero, che la Mantovani attirò alla compagnia «col suo esempio, con la sua dolcezza e carità, e soprattutto col suo spirito di
preghiera».4
Da questo mistico giardino, che lo zelo intraprendente di un santo
sacerdote ha piantato e coltiva con particolare cura, usciranno cinque
delle prime sei Piccole Suore della Sacra Famiglia. Prima di chiudersi entro le mura del chiostro, quale primizia e fondamento del nuovo
istituto, queste giovani si
1
Dal Regolamento per le Figlie di S. Angela, scritto dal servo di Dio don Giuseppe Nascimbeni.
GIUSEPPE TRECCA, Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di Brenzone (Verona), Tip.
interna dell'Istituto, 1932, p. 165. - In seguito quest'opera viene citata tra parentesi nel testo stesso, con
la sigla «T.».
3
Don Francesco Brighenti, nato a Castelletto, fu maestro nelle scuole elementari del paese. Nelle
ore libere dagl'impegni scolastici, si prestava a collaborare col Nascimbeni nel ministero parrocchiale.
4
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 4.
2
60
addestreranno alla vita religiosa e nelle opere di apostolato, sotto la
direzione del parroco don Nascimbeni e di Domenica Mantovani.
Senza saperlo, questi sono già il «Padre» e la «Madre» della futura congregazione.
Il primo progetto fallito
Sul principio don Nascimbeni pensava di far fronte ai bisogni della parrocchia, istituendo in paese la compagnia delle Figlie di S. Angela. Gli pareva, questa, la soluzione più facile e desiderabile, perché
con essa egli avrebbe avuto la possibilità di formare queste figliuole
sulla sua stessa misura, per averle collaboratrici fedeli nelle opere
parrocchiali.
Il gruppo era formato sino dal 1885; bisognava assicurargli la vita.
Il parroco si consigliò con il p. Luigi Perez, superiore dei Filippini di
Verona, che nel novembre del 1886 era stato a Castelletto per un corso d'esercizi ed aveva esaminato le probande. Il p. Perez si era già rivolto, inutilmente, alle canossiane e alle superiore delle orsoline di
Brescia e di Verona, perché aprissero una casa a Castelletto; ed ora,
sollecitato dallo scritto di don Nascimbeni, rispondeva che bisognava
«dar tempo al tempo», poiché non erano «cose da trattare per strada
ferrata». Faceva poi sapere che la superiora di Verona «consigliava
di mettere in noviziato due o più delle sue giovani o a Verona o a
Brescia, perché quivi educate potessero poi con qualche altra più anziana, venire a Castelletto a fare la fondazione». «Ad ogni modo»
concludeva il p. Perez, «vostra reverenza può mandare due delle sue
figlie a Verona o a Brescia per gli esercizi spirituali; e accenni pure
alle ragioni per cui le manda a questo ritiro».5
5
Lettera del p. Perez, scritta 1'8 settembre 1887.
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«Il piano era segnato: innestare le sei giovani a una pianta riconosciuta, poi ritirarle, come margotto, in paese» (T., p. 167). Era questa
la via tracciata dalla Provvidenza; ma prima di arrivare alla meta,
passarono altri cinque anni di incertezze, di speranze e delusioni.
Poco dopo la risposta del p. Perez, il parroco si rivolse al cardinale
Luigi di Canossa, vescovo di Verona, impetrando l'autorevole mediazione del porporato presso il vescovo di Brescia, ove risiede la casa
madre delle orsoline.
In questa mia parrocchia di S. Carlo di Castelletto sei giovani, tra le quali la signorina maestra comunale, sentendosi dal Signore chiamate a fare del bene ed una
specie di missione alle giovani del paese, avrebbero desiderio ardentissimo di fondare in esso l'istituto delle orsoline secondo la regola genuina di S. Angela Merici,
sotto la direzione immediata della superiora di detta compagnia in Brescia. È per
questo che io domanderei a vostra eminenza il permesso e l'aiuto d'effettuare il più
presto possibile questo loro desiderio, interponendosi presso sua eccellenza mons.
Vescovo di Brescia a ottener tanta grazia.6
Il cardinale Luigi di Canossa passò la lettera al vescovo di Brescia, che la portò a conoscenza di suor Maddalena Girelli, superiora
delle orsoline, autorizzandola ad aggregare il gruppo di Castelletto
sul Garda. La Girelli scrisse direttamente a don Nascimbeni, in data
12 dicembre 1887:
Reverendo signor Arciprete: Da sua eccellenza mons. Vescovo nostro ho avuto
permesso e invito di accettare fra le Figlie di S. Angela anche sei buone giovani di
Castelletto. A me e alle compagne non resta che stender loro la mano e unirei con
fraterna carità. Saremo liete di secondare i loro santi desideri. Pregherò S. Angela a
infondere il suo spirito in questo drappello di sue figliuole. Certo non mancherà di
benedirle e di premiare chi con tanto zelo coopera al loro bene.
Don Nascimbeni rispondeva subito alla precedente, invitando la
Girelli a Castelletto, ed accludeva una lettera delle sei
6
Lettera di don Nascimbeni, 30 novembre 1887.
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aspiranti che ringraziavano la superiora di Brescia e chiedevano d'essere ammesse al noviziato, pur restando, secondo la regola delle orsoline, nelle rispettive famiglie. Al 22 dello stesso mese la superiora
scriveva al parroco:
Non so da quanto tempo esse abbiano la regola per dar loro la medaglia. Siccome però so che vostra reverenza va da tempo coltivando queste pianticelle elette
e parmi che tutte abbiano passati i venti anni, si potrebbe combinare o per il 27
gennaio, festa di S. Angela per Brescia, o in quei dì che vostra reverenza crederà
opportuno. Bisognerà nominare la sostituta e parmi sarà la Gaioni, che è maestra.
Da lei dipenderanno, come vuole S. Angela, da buone figliuole e con semplicità, ed
essa sarà gelosa della fedele osservanza, e dipenderà poi da vostra reverenza nei
casi dubbi. La compagnia di Brescia farà quel poco che può, se crederà mandarne
qualcuna agli Esercizi dopo Pasqua.
La Gaioni e la Mantovani vennero dunque inviate a Brescia per gli
esercizi e per mettersi a contatto con la superiora. Nel frattempo don
Zeno Veronesi 7 vice rettore del collegio di Desenzano, mise a disposizione della nascente compagnia la casa che possedeva in Castelletto.
Tutto sembrava avviato verso una felice conclusione e il paese avrebbe avuto finalmente un gruppo di orsoline interne,8 allorché la
sostituta superiora ammalò gravemente e, dopo tre mesi, morì il 25
luglio 1888. La giovane maestra stava preparando il corredo per
quando sarebbe entrata in convento. La morte troncò i suoi sogni e
quelli del parroco.
Quella giovinezza e quei sogni spenti erano il primo contributo di
dolore, che accoglieva e fecondava il germe della futura pianta.
7
Nato a Castelletto, don Zeno Veronesi trascorse la sua vita a Desenzano. Fu vice direttore del convitto municipale per 32 anni, cioè sino alla morte, che lo colpiva Improvvisamente la notte tra il 6 e il 7
aprile del 1921. Il Nazareth lo chiama «principalissimo benefattore» dell'Istituto, «più che amico, fratello del nostro veneratissimo mons, Fondatore»: 15 (aprile 1921) p. 4.
8
La regola di S. Angela Merici permette che alcuni membri del «gruppo» si organizzino in vita
.
comune, mentre gli altri vivono presso le rispettive famiglie
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Gli «Ziparei»
L'immatura morte della Gaioni sconvolse l'animo e i piani del parroco. A ridargli animo e fiducia nell'impresa concorse un fatto inatteso, che assicurava per il futuro l'appoggio della Provvidenza. Collaboratori di essa erano i coniugi Gian Battista Togni e Domenica Brighenti, soprannominati gli Ziparei. «Agiati, provetti, senza eredi vollero impiegare i loro averi in opere pie» (T., p. 169). Quando seppero
delle intenzioni del parroco, decisero di lasciarsi reciprocamente i loro beni che, messi insieme, si aggiravano attorno alle trentamila lire.
Alla morte dell'ultimo coniuge, la somma doveva passare al nuovo
istituto. Tuttavia ponevano due condizioni: che l'opera avesse inizio
subito, mentr'essi erano ancora in vita, e che si occupasse dei malati
della parrocchia.
«Fu con la previsione di questo contributo, che il parroco prese
animo di chiedere a vari istituti, e con l'anticipazione di parte della
somma, che cominciò l'edificio di Casa Madre» (ivi) .
Su l'esempio del Padre, le Piccole Suore della Sacra Famiglia conservano perenne gratitudine verso gli Ziparei che, con la loro donazione cospicua, hanno concorso alla fondazione dell'Istituto.9
Nuovo contributo di amarezze e di dolore
Le vocazioni c'erano, e promettenti. Gli Ziparei fornivano i mezzi.
Mancava una maestra diplomata da mettere a capo del gruppo. La
Mantovani era ottima sotto tutti i rapporti, ma non aveva la patente
cui tanto teneva il parroco. I fatti poi gli dettero torto e dimostrarono
ancora una volta che, per le opere
9
La signora Domenica Brighenti morì piamente il 16 maggio 1897, all'età di 85 anni. Otto mesi dopo, il 27 gennaio del 1898, venne raggiunta dal marito che aveva compiuto gli 82 anni.
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di Dio, i titoli di studio contano se e nella misura in cui egli intende
valersene.
Nell'autunno del 1888 don Nascimbeni si ritirò in solitudine presso i suoi parenti Franceschini, a Maderno, per rimettere in sesto lo
spirito. Durante quel soggiorno, gli si presentò per consiglio una giovane maestra, rimasta vedova con tre piccole creature, la quale intendeva abbandonare il mondo per farsi suora.
Don Nascimbeni credette d'aver trovato la persona attesa; approvò
il proposito della vedova, e le promise che l'avrebbe accettata egli
stesso, appena fosse aperta la casa nella sua parrocchia.
«Tornato raggiante a Castelletto, comunicò alle aspiranti, che aveva trovato la Pace: era il cognome della maestra; e mandò il dì seguente la Mantovani da mons. Bacilieri, vescovo coadiutore, per dirgli l'eureka» (T. p. 172).
Meno frettoloso del parroco, il vescovo permise l'accettazione con
la condizionale che la vedova sistemasse prima i suoi figliuoletti. Ciò
si dimostrò impossibile e si dovette concludere che, per provvedere
alla pace della signora Pace, bisognava lasciarla in pace, affinché potesse attendere all'educazione dei due figli e della figlia.
«Alla delusione si aggiunse la desolazione. Mentr'egli s'affaticava
a cercare la madre della nuova famiglia, Iddio prima di concedergliene la paternità, volle da lui il sacrificio della [propria] madre» (ivi).
Amadea Sartori morì all'improvviso di attacco apoplettico, assente il
figlio. Egli ne fu costernato. Il sole parve oscurarsi; soltanto la rassegnazione cristiana rendeva sopportabile quel vuoto imprevisto.
La delusione subita con la maestra Pace e ancor più lo schianto
per la repentina perdita della mamma sembrano aver causato un arresto, quasi uno smarrimento sul cammino che stava percorrendo don
Nascimbeni. Ma ben presto egli si riebbe, più deciso di prima.
Quel nuovo contributo di amarezze e di dolore rendeva più solide
le fondamenta su le quali, fra poco, sarebbe sorto il nuovo edificio.
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Istanze e ripulse
Presso l'archivio della Casa Madre, a Castelletto, viene conservato
un abbondante carteggio, che va dal maggio del 1891 al marzo del
1892. Esso si svolge tra il parroco don Nascimbeni e una quindicina
di istituti femminili di vita attiva, che sono pregati di mandare alcune
suore a Castelletto per aprire una casa o addirittura un noviziato. Le
vicende di questo interessante carteggio sono narrate dettagliatamente dai primi due biografi del Servo di Dio.10 Ci limiteremo pertanto a
indicare le linee generali che emergono da questa corrispondenza.
Senza dubbio il richiedente poneva delle condizioni, che ne rendevano oltremodo difficile l'accettazione. Esse erano le seguenti:
1) Che non fossero inviate più di due suore da principio, una delle
quali doveva essere maestra patentata;
2) Che le giovani della parrocchia venissero accettate e formate
nel prescelto istituto, poi tornassero in paese e vi restassero sino alla
morte;
3) Che le suore dipendessero in tutto dal parroco;
4) Che in seguito fosse aperta a Castelletto una casa di noviziato;
5) Che le suore pensassero al proprio sostentamento, almeno nei
primi tempi;
6) Che i soggetti fossero santissimi, superiori ad ogni elogio.
Il parroco interpellò, personalmente o per mezzo di sacerdoti suoi
amici, diversi istituti, tra i quali: le Figlie della Carità di Torino, le
Suore di Maria Bambina di Milano, le Sorelle della Misericordia di
Verona, le Suore di Maria Ausiliatrice di
10
GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 174-190; GIULIO DALDOSS, O.F.M.,
Monsignor Giuseppe Nascimbeni e l'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, II, Lo spirito
religioso, Torino, Roma, Marietti, 1942,
pp. 69-79. - In seguito l'opera del p. Daldoss viene citata nel testo, tra parentesi, con la lettera «D.».
66
Torino, le Madri Pie di Ovada (Novi Ligure), le Terziarie Domenicane di Ferrara, le Suore Mantellate di S. Piero Agliano (Pistoia), le
Benedettine di Seregno; nell'anno 1892 trattò con le Terziarie Francescane o Elisabettine di Padova e con le Figlie di S. Anna, fondate
da suor Rosa Gattorno.
Alcuni degli istituti interpellati non avevano soggetti disponibili
entro breve tempo; altri tergiversavano, mentre il parroco aveva fretta; altri infine rispondevano con risolutezza che le condizioni poste
erano inaccettabili. In tal senso si esprimeva da Roma la Gattorno, il
7 marzo del 1892: «Sono oltremodo dolente di dover dare alla signoria vostra reverendissima una risposta negativa, poiché le condizioni
ch'ella espone, malgrado il mio rincrescimento, non posso proprio
accettarle».
Particolare menzione merita l'Istituto della Sacra Famiglia, sorto a
Cannaiola di Trevi nella diocesi di Spoleto. Il fondatore don Pietro
Bonilli, morto santamente a 94 anni il 5 gennaio del 1935, era legato
da intima amicizia a don Giuseppe Nascimbeni. Entrambi parroci,
entrambi bisognosi di suore per sanare la parrocchia, entrambi fondatori di una istituzione religiosa che prende nome dalla Sacra Famiglia. Lo spirito e le opere del parroco di Cannaiola rivelano singolari
affinità con lo spirito e le opere del parroco di Castelletto.11
Fallite le trattative con la Gattorno, don Nascimbeni si rivolse
all'amico di Spoleto, invitandolo a Castelletto per un triduo in onore
della Sacra Famiglia, che allora veniva solennizzata la III Domenica
dopo Pasqua. Don Bonilli venne, esaminò la vocazione di Domenica
Mantovani, si disse disposto ad accettarla a Cannaiola per il noviziato; finito il quale, ella avrebbe fatto ritorno a Castelletto con altre due
suore.
«Naturalmente don Nascimbeni, prima di concludere, chiese assicurazioni all'arcivescovo di Spoleto, il quale, non avendo ancora le
suore emesso i voti, scrisse al cardinale di
11
GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 79-94. Il servo di Dio don Pietro Bonilli
verrà «beatificato» il 24 aprile 1988.
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Verona non essere prudente affidarsi al nuovo istituto appena sorto
nel 1888» (T., p. 189).
Fu questo l'ultimo tentativo e l'ultimo fallimento. Quando ormai
sembravano esaurite tutte le risorse umane, era vicina l'alba della
nuova istituzione.
Il consiglio di mons. Bacilieri
Nel lungo carteggio cui abbiamo accennato nelle precedenti pagine, vi sono tre lettere di suor Emilia Luti, superiora delle Mantellate
di S. Piero Agliano presso Pistoia. L'ultima conclude le trattative
ch'erano in corso con il parroco di Castelletto, lamentando «con dispiacere» che non si sia potuto combinare nulla. «Si vede» prosegue
la lettera «che Iddio, negli imperscrutabili suoi disegni, ha destinato
altrimenti. Quando però sarà l'ora da lui stabilita tutto, io dico, si potrà stabilire. Un'opera santa è necessario sia combattuta, così ben si
può intendere che è opera di Dio ... Dunque coraggio e speranza».12
Le pratiche fallite e le molte delusioni non piegarono don Giuseppe Nascimbeni. Egli poneva tutta la sua fiducia nella Provvidenza ed
era ben certo che, se l'idea veniva da Dio, al tempo segnato Dio l'avrebbe realizzata. Ciò che importava era mettersi su le vie di Dio ed
eseguirne i misteriosi disegni. Per meglio conoscerli, moltiplicò le
preghiere e fece pregare più fervorosamente le aspiranti. Poi scese a
Verona, dal vescovo coadiutore mons. Bacilieri, per informarlo sulle
trattative andate a monte e per chiedere consiglio.
«Se nissuni ve le dà» rispose decisamente il vescovo, «fèvele vu
come voli»,
La soluzione di mons. Bacilieri tagliò il nodo gordiano, che l'umiltà del parroco rendeva ancor più intricato. Egli infatti
12
Lettera di suor Emilia Luti, 22 dicembre 1891.
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accampava la sua insufficienza; ma «il vescovo replicò che coltivasse
le buone giovani del paese, poi le mandasse a Verona e costerebbe
meno; educate, le ritirasse, e il convento sarebbe fatto» (T., p. 192).
Quelle parole risolute e risolutive, dette in quelle circostanze, erano «consiglio, ispirazione, comando» (D., p. 98). Il parroco le interpretò in tal senso; «tornò deciso di fare, e senz'altro si mise all'opera»
(ivi).
Prima di mettersi su la nuova strada, don Nascimbeni volle informare il pastore della diocesi, il cardinale Luigi di Canossa, perché il
cammino fosse approvato e benedetto. Il porporato rispose:13
Non possiamo non tributare le debite lodi al suo zelo con cui ella si propone di
aprire un piccolo convento di monache, che si dedichino in vario modo al bene di
codesta parrocchia. Ma non vorremmo che ella si mettesse in una intrapresa superiore alle sue forze; mentre se la prima erezione di questo istituto incontra difficoltà, bisogna considerare che altre e continue difficoltà sorgeranno dal dovere stabilmente provvedere l'istituto stesso, e procurargli una stabile dotazione. Non dubitiamo che prima di dar mano efficace all'opera, del resto assai buona, vorrà mettere
in pratica il consiglio: sede et computa ... Quanto a noi, nulla possiamo darle; che
se volessimo estenderei fuori città, ci sarebbe impossibile aiutare tanti istituti cittadini e bisognosi.
Il parroco computò; e poiché i conti non tornavano si rivolse «a
sacerdoti, a ricchi, ad amici» (T., p. 193), diffondendo 277 appelli in
tutta Italia. L'istanza diceva:
Il Signore che mi ispirò il pensiero di fondare nella mia parrocchia un'opera di
cristiana carità, destinata, spero, a portare preziosissimi frutti e duraturi, è anche
quello che m'incuora di fare appello ai più caritatevoli, come a necessari cooperatori nell'attuazione del progetto. Consisterebbe in una pia adunanza di ottime giovani
chiamate a ritirarsi dal mondo per attendere, sotto regolamento già approvato
dall'autorità ecclesiastica di
13
Lettera del card. Luigi di Canossa, del 15 giugno 1892: in Documenta. Raccolta di documenti e
scritti che riguardano il Fondatore, la Confondatrice e l'Istituto, p. 21.
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questa diocesi, a promuovere in parrocchia e fuori qualunque opera che riguarda il
benessere materiale e morale del povero popolo.
In particolare le opere sarebbero: istruzione anche religiosa, lavoro, assistenza
agli infermi, direzione di una cucina economica per i più bisognosi, e un piccolo
ricovero di povere orfane.
Ecco in sostanza l'opera divenuta ormai l'idea della mia vita ed alla cui attuazione, dopo maturo esame, dietro il consiglio di prudentissime persone e l'approvazione dei miei ecclesiastici superiori, io sono risoluto di dedicare tutte le mie forze.
Senonché, per le critiche circostanze delle mie condizioni economiche e la povertà del mio parrocchiale beneficio, la fondazione è condizionata all'aiuto della
divina Provvidenza e al generoso concorso dei buoni.
Ora che Dio mi voglia aiutare, ho incrollabile fiducia; e così pure che non mi
mancherà la generosa cooperazione delle persone provvedute di mezzi. Tale convinzione e fermissima fiducia poi non potrebbe essere maggiore per ciò che riguarda la sua egregia persona, a cui ho l'onore di rivolgermi con la presente, invocando
ne protezione ed aiuto ...14
L'iniziativa fruttò la somma incoraggiante di lire 6282, cui andavano aggiunte lire 2555 prese a mutuo. Ma il parroco, da alcuni mesi,
s'era già messo al lavoro. «Certo dell'esito e forte di 3200 lire che gli
Ziparei anticiparono, vendendo un prato, cedendo libretti o crediti
per veder cominciata l'opera, s'era già accinto alla fabbrica, la quale
doveva servire o per la Sacra Famiglia di Spoleto o per la sua» (T., p.
194).
Il conventino
Don Nascimbeni, in verità, aveva fretta. Le speranze e le delusioni
degli ultimi mesi avevano accresciuta la sua impazienza. Già nella
primavera del 1892 presagiva che, entro l'anno, qualcosa si sarebbe
concluso. Com'era naturale, pensò anzi tutto di preparare la casa:
qualcuno l'avrebbe abitata.
Cercato invano del terreno fabbricabile, decise di costruire sul beneficio della parrocchia; e presi gli accordi con la curia e la fabbriceria, iniziò i lavori.
14
Primo appello per la fondazione dell'Istituto: in Documenta, p. 22.
70
La gente del paese, ancora ignara delle intenzioni del parroco, si
domandava perché fossero atterrati gli olivi della prebenda parrocchiale. Anche il padre dell'arciprete, il signor Antonio, andava ripetendo al figlio: No sté a butar zo quei olivi. Ma poi, capita la cosa,
dall'opposizione passò alla collaborazione, e «fu di Casa Madre il
primo architetto e il costruttore» (T. p. 194). Lavorò con intelligenza
e gran lena, assistito dal capomastro Battistoni. Nell'agosto, quando il
parroco diffondeva gli appelli in tutta Italia invocando aiuto per la erigenda congregazione, la piccola abitazione era pressoché ultimata.
Prima che l'edificio fosse abitato, vi presero possesso la semplicità
e la povertà, tra le cui braccia sarebbero state accolte e allevate le future inquiline. Così volle il parroco fondatore. Così esigeva il volto
della novella Congregazione che, ispirandosi alla Sacra Famiglia,
doveva avere una culla non molto dissimile dalla casetta di Nazareth.
«Eppure» scrive una delle prime suore «come torna caro ricordare
la semplicità, la ristrettezza di quella casa fatta per sole 10 suore, avente un posticino per tutte anche nella piccola cappella senza panche, ma pur tanto devota, con quel piccolo tabernacolo di legno, al
quale più volte con l'umile confidenza di spose amanti si batteva per
averne grazie o vi facean rinchiudere biglietti e suppliche per forti bisogni, e si passavano ore di giorno e di notte».15
Le candidate a Verona
Il nido era pronto; mancavan le colombe. E il costruttore del nido,
vedendolo ancora vuoto, diceva scherzosamente al figlio: Don Bepo,
fé la gabia, ma non savì che osei mètarghe. 16
15
Il passo della suora anonima è riportato da don GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 16.
16
«Don Giuseppe, fate la gabbia, ma non sapete quali uccelli metterei».
71
Le colombe, invece, eran vicine, desiose di rinchiudersi là dentro,
per amore: appunto perché tra quelle sacre mura come a Betlemme,
come a Nazareth - avrebbero trovato l'Amore.
Da tempo le candidate s'erano confidate il geloso segreto, e continuavano a parlarne tra di loro nelle ore di maggiore intimità. Negli
ultimi mesi seppero dal loro parroco e padre spirituale che i tempi erano ormai maturi. Lo Sposo è alle porte: Venite ad nuptias! Ed esse,
con gioiosa tenerezza, stavano preparando il corredo.
«Quella ch'emèrgeva su tutte senza confronti e per età e per senno
e per ogni più eletta virtù, era Domenica Mantovani, la giovane secondo il cuor di Dio e del Nascimbeni, la quale era preparata a tutta
prova, e dava di sé il più sicuro affidamento. Era nei suoi trent'anni,
nella pienezza della sua vita, matura di senno e di propositi; ma d'una
semplicità d'animo, d'una pietà così viva, d'una virtù così trasparente,
d'una docilità e d'un'obbedienza così piene, d'una dedizione di sé così
intera, quale il Padre non avrebbe meglio saputo immaginare e desiderare» (D., p. 109).
Veniva poi Domenica Brighenti, sorella di don Francesco. Essa
«fu per qualche tempo nel collegio delle canossiane di Verona, e al
suo ritorno in famiglia riuscì sempre di molto aiuto alla Mantovani
nella sorveglianza alle ragazze. Si poteva dire perciò cresciuta nello
stesso spirito e informata allo stesso ideale» (D., p. 115).
La terza giovane che anelava darsi tutta al Signore, sotto la guida
del venerato parroco, «era l'umile e pia Caterina Nascimbeni, che
visse sempre fino allora ritirata e nascosta, intenta solamente alla casa e alla chiesa: un'anima bella, chiamata a illuminare ed edificare
con lo splendore delle sue virtù e dei suoi esempi la moltitudine di
sorelle spirituali che Dio le avrebbe presto concesse» (D., p. 115). La
Nascimbeni morì per ultima, carica di anni e di meriti, il 12 dicembre
1960.
Le prime aspiranti erano dunque tre, e tutte del paese. Un'altra
venne dal trentino; si chiamava Chiarani Augusta. Una quinta,
72
proveniente da Bassano, non poté annidarsi, perché lo zio prete venne a prelevarla quando stava per emettere i voti.
Le ultime due vocazioni erano giunte a Castelletto, chiamate dal
parroco. Egli infatti, oltre a chiedere aiuti finanziari con la circolare
del 10 luglio, aveva lanciato un appello per giovani generose che intendessero consacrarsi a Dio nell'erigendo istituto. Merita d'essere ricordata la vocazione a «Piccola Suora della Sacra Famiglia» di Augusta Chiarani, la quale ce ne offre una splendida descrizione:
Nella festa dell'Assunzione del 1892, trovandomi a Trento, ricevei un pacco
contenente dei manoscritti dell'arciprete di Castelletto e di Domenica Mantovani.
Non conoscevo né l'uno né l'altra, ma il cuore mi die' un balzo. Essendo ormai l'ora
di cena, appena mi fu possibile, mi ritirai in camera e, chiusi per bene usci e imposte, lessi, rilessi e meditai sino alle tre del mattino: era un abbozzo di regole per le
future suore.
Subito di buon mattino, senza neppure avere chiusi gli occhi, mi recai alla chiesa delle canossiane per la santa messa e per la comunione e insieme per confidare
alla mia maestra, madre Angelina, il mio segreto e la mia risoluzione di portarmi
prima dal p. Serafino Inama, dal quale m'erano stati inviati gli scritti, e poi a Castelletto.
Già fin da dodici anni sentii l'invito al chiostro e col consiglio di un padre cappuccino, mio cugino, più tardi missionario in Africa, emisi il voto di verginità. Il p.
Serafino conosceva molto bene la mia inclinazione alla vita religiosa, e quegli
scritti da lui speditimi furono per me come la stella dei Magi.
Ancora quella mattina del 16 agosto, confortata da Gesù Eucaristi-co e assicurata dalla parola della maestra, alle ore sette partii dalla stazione di Trento alla volta di Arco, tutta immersa nel mio ideale. Ad evitare incontri di conoscenti, essendo
io nata in quel di Arco, presi sentieri di campagna acquosi e sconosciuti; e, sebbene
con grande difficoltà, mi recai al convento francescano della Madonna delle Grazie, dove chiesi con ansia del p. Serafino, dal quale fui anche benevolmente accolta
e incoraggiata. Egli mi disse d'essere stato a Castelletto a predicare, e d'essere stato
incombenzato da quello zelante parroco di portar seco quegli scritti per farli arrivare tra le mani di qualche giovane inclinata alla vita religiosa. E il padre pensò di
mandarli a me, nella speranza che facessero per il caso mio.
Confermata così anche da lui nella mia risoluzione, scesi tosto a Riva, ma per
due giorni mi fu impossibile imbarcarmi sul piroscafo. Finalmente potei partire, e
arrivata al deserto paesello di Castelletto, mi recai tosto alla chiesa in mezzo a uno
stuolo di bambine che si trovavano sul porto.
73
Dopo una visita a Gesù in Sacramento e all'altare della Madonna e di S. Vincenzo, chiesi a una delle bambine d'esser condotta all'arciprete, e quelle tutte insieme chiamarono: - Meneghina! Meneghina!
Era la futura Generale dell'Istituto della Sacra Famiglia: una giovane dimessa
che ordinava gli arredi dell'altare, e mi ricordava all'aspetto e ai modi una Teresina
Zanetti del mio paese, morta qualche anno prima in concetto di santarella.
Ella mi condusse premurosamente all'arciprete. Con una franchezza che non
avevo mai avuto, gli dissi che volentieri avrei fatto parte del suo istituto. In poche
parole si conchiuse subito che entro un mese sarei tornata per unirmi alle altre tre.
Passò il mese, venni e mi ci trovo ancora.17
Il gruppo delle candidate, con in testa la Mantovani, era pronto.
Guidato dal parroco di Castelletto, ai primi di ottobre di quell'anno
scese a Verona, per il grande esperimento che mons. Bacilieri aveva
consigliato.
Presso le Terziarie Francescane
Quale campo di prova e di addestramento fu scelto il convento più
povero della città. Era quello delle Terziarie Francescane, posto sulla
via Antonio Pròvolo, basso e disadorno: gli fanno contrasto il «monumentale convento dei Minori a S. Bernardino» e i «colossali istituti
dei sordomuti e di don Bosco» (T., p. 197).
Fu abitato fin dall'anno 1523 dalle Terziarie Francescane, che si
organizzarono colà a vita comune, sotto la direzione dei frati minori.
La gelosa fedeltà alla regola di S. Francesco, quantunque addolcita
dalle modifiche di Leone XIII e di Pio XI, custodisce ancor oggi tra
quelle mura l'osservanza e il buono spirito. «Con la clausura e la levata notturna si
17
Dai Ricordi di suor Anna Chiarani, scritti il 30 maggio del 1917. Li abbiamo trascritti dall'edizione che ne ha fatto il p. GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 116-118. Nel manoscritto
suor Anna aggiunge, tra altre notizie: «Ricordo che la prima buona impressione avuta della reverendissima Superiora Generale mai si smentì per tutto il corso di questi 25 anni».
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osservava e si osserva la più stretta povertà evangelica, che fa di
quell'umile ed eletta comunità francescana uno dei più fiorenti cenacoli di vita religiosa» (D., pp. 120-121).
Quivi furono accolte le giovani aspiranti, «per compiere il loro
breve ma proficuo tirocinio, e ricevere il loro battesimo religioso» (ivi, p. 121).
Non era conveniente sottoporle a tutto il rigore della regola francescana; e perciò vivevano segregate dalla comunità e prendevano
parte soltanto agli esercizi di pietà diurni. Ma fu bastante, dicono, per
far loro apparire comoda e sontuosa la vita a Castelletto. L'ottima superiora, suor Giuseppina Pellegrini, le formava alla vita religiosa con
quotidiane istruzioni; la maestra suor Elisabetta Baletti teneva lezioni
su la educazione delle bambine, e suor Chiara Vidi insegnava i lavori.
«Nelle ore libere, le cinque si preparavano la veste nuziale»
(T., p. 199).
La Regola
Mentre le figliuole venivano educate alla vita conventuale, il parroco non perdeva tempo. A Castelletto, con l'aiuto del padre, arredava la nuova abitazione che avrebbe ospitato le suore; a Verona affidava la stesura completa delle costituzioni a mons. Pio Vidi, tornato
dalla Cina, ove era stato per lungo tempo vicario apostolico dello
Chen-Si.
Un primo abbozzo delle costituzioni, secondo lo spirito del Nascimbeni, era il regolamento che egli stesso aveva redatto per le Figlie di S. Angela. «Ma dacché fu adottata la regola francescana, si
rimise prudentemente nelle mani dei competenti per arrivare alla
compilazione d'una regola compenetrata dallo spirito francescano e
di suo pieno gradimento» (D., p. 122). Se la regola restava quella
comune a tutte le famiglie religiose appartenenti al Terz'Ordine Regolare di S. Francesco, le costituzioni dovevano adeguarsi allo spirito
e alle opere del nuovo istituto e dargli una fisionomia propria.
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Il parroco aveva già pregato il suo amico domenicano p. Vincenzo
Nardelli di Roma, perché gli preparasse un sunto delle «regole delle
Terziarie», adattandole alla istituzione nuova. Il francescano mons.
Pio Vidi, coadiuvato da suor Elisabetta Baletti e dalla sorella suor
Chiara, le ritoccò e completò. Don Nascimbeni le presentò al vescovo di Verona per l'approvazione, intitolandole: Regole e Costituzioni
delle Suore Terziarie Francescane della Sacra Famiglia in Castelletto di Verona (1893).
Esse subirono altre modifiche e adattamenti, in conformità alle
nuove leggi disciplinari. Il 10 gennaio 1903 furono di nuovo approvate dal vescovo di Verona, il cardinale Bartolomeo Bacilieri, che
era succeduto al cardinale Luigi di Canossa. Sette anni dopo, sotto il
pontificato di S. Pio X, la Congregazione dei Religiosi emanava il
Decreto di lode (26 agosto 1910). Pio XI le approvò temporaneamente il 3 giugno 1932, vivente ancora la confondatrice madre Maria
Mantovani; Pio XII le confermava definitivamente il 10 aprile del
1941. Portano il seguente titolo: Costituzioni della Congregazione
delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone
(Verona).
Di esse don Nascimbeni era «animatore, interprete, vindice»
(T., p. 201); madre Maria Mantovani ne fu il ritratto vivente.
Vestizione e Professione
Le cinque aspiranti, rinchiuse a Verona, avevano superato felicemente la prova. Il tempo fissato per il loro breve noviziato stava per
scadere. A Castelletto il nido era pronto; pronte le regole, pronta la
veste: non restava che indossarla e giurare fedeltà eterna allo Sposo.
Il 4 novembre, festa di S. Carlo Borromeo, protettore di Castelletto, fu scelto per lo sposalizio. A meglio disporre le candidate, «il serafico p. Luigi Morando delle Stimmate, poi arcivescovo di Brindisi»
(T., p. 203) tenne un corso di esercizi
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spirituali. Furono giornate d'intensa emozione, di gioiosa riconoscenza, di propositi generosi.
Un avvenimento triste parve adombrare la luminosa e dolce letizia. «La vigilia, improvvisamente giunse il sacerdote, zio della giovane di Bassano, e assolutamente la ricondusse a casa» (ivi). Le quattro rimaste s'aggrapparono più tenacemente all'ideale e intensificarono il loro fervore per supplire al vuoto che aveva lasciato la compagna partita.
Finalmente giunse l'alba del grande giorno. «Biancovestite, con
nastri ai fianchi e ghirlande in capo, entrarono in chiesa accompagnate dalle Suore [Terziarie]. Qui attendevano, con padri francescani di
S. Bernardino, mons. Pio Vidi e il vescovo coadiutore mons. Baciliri.
Nell'angolo a sinistra in presbiterio, un prete, inginocchiato, con la
faccia tra le palme, irrorata da lagrime di gioia» (ivi) , pregava.
Il parroco di Castelletto stava per diventare «Fondatore» e «Padre». Domenica Mantovani, in ginocchio, devotamente raccolta nella
candida veste, era la primogenita tra le primogenite.
Alle 8 mons. Bacilieri iniziò il santo sacrificio, durante il quale le
postulanti si comunicarono. Terminata la messa, deposero la veste
secolare e indossarono il nuovo abito che, nel multiforme mondo delle religiose, doveva contraddistinguere le Piccole Suore della Sacra
Famiglia.
Con l'abito nuovo presero anche il nuovo nome di spose. Domenica Mantovani si chiamò suor Maria, Domenica Brighenti suor Teresa, Caterina Nascimbeni suor Giuseppina, Augusta Chiarani suor
Anna.
Alla vestizione tenne dietro, immediatamente, la professione. Ciò
potrà recar meraviglia, poiché tra la vestizione e professione intercorrono, di solito, uno o due anni. «Nel caso nostro» osserva il p. Daldoss «come più o meno accade all'inizio d'ogni istituzione, non si poteva parlare di vero noviziato, non esistendo ancora l'istituto. E poi
non se ne avvertiva neppure il bisogno. La lunga attesa, che fu continua preparazione, il mese di severo tirocinio presso le suore
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Francescane potevano essere più che sufficienti per ritenerle preparate alla professione. Non manca poi quasi mai in tali casi l'opera diretta del Signore a dare compimento all'opera imperfetta dell'uomo... È
proprio di tutte le anime sante il conseguire in breve tempo ciò che
per altri occorrono degli anni» (D., p. 131).
Anche in seguito, per provvedere alle necessità delle filiali, il Fondatore abbreviò il noviziato a molte delle aspiranti; eppure lo spirito
e le virtù delle figlie autenticavano le rare doti pedagogiche del Padre. Si era ai primordi dell'Istituto, nella fase carismatica e di grande
fervore, vivente ed operante il Fondatore. Più tardi, aumentando le
vocazioni e le opere, ci si adeguò alla sapiente legislazione della
Chiesa che, per garantirne l'efficienza e la durata, disciplina i movimenti religiosi, allorché dallo stato eroico iniziale entrano nell'alveo
della normalità.
Subito dopo vestite, le quattro fecero, dunque, la professione.
Suor Maria, superiora, professò davanti al vescovo mons. Bacilieri;
le altre tre, a loro volta, emisero i voti temporanei nelle mani della
loro superiora.
Con quell'atto solenne veniva ufficialmente celebrata la nascita
del nuovo Istituto. Il granello di senape scendeva nella sua zolla e
conforme alle parole augurali di mons. Pio Vidi, che tenne il discorso
di circostanza, ben presto sarebbe cresciuto e diventato grande albero.
La storia corrispose all'augurio.
Ritorno a Castelletto
Il giorno appresso, accompagnate dal Fondatore, le nuove professe si recarono per tempo dal cardinale Luigi di Canossa.
Il venerato presule le accolse paternamente; volle celebrare per esse
nella cappella episcopale; le comunicò, rivolse parole d'augurio e
d'incoraggiamento, le benedisse e consegnò il primo regolamento.
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Dall'episcopio tornarono in via Antonio Pròvolo, dalle loro madri,
maestre e benefattrici. Le ringraziarono ancora una volta. Un ultimo
abbraccio, l'ultima promessa d'un reciproco ricordo nella preghiera,
poi le quattro si misero in viaggio verso il nuovo nido.
Ravvolte nella sacra divisa, inghirlandate come novelle spose, con
una palma nella destra, attraversarono le vie di Verona, e per ferrovia
e in piroscafo giunsero a Castelletto verso le quattro pomeridiane. A
riceverle, assieme con le autorità, c'era tutto il paese che s'era riversato sul porto. Quando apparvero le quattro suore, ricondotte in paese
dal parroco, un fremito di commozione pervase tutti: fu un'acclamazione generale. Pareva un drappello di trionfatrici che, col loro capitano in testa, tornavano a casa dopo una guerra vinta.
Nell'aria festosa s'udì lo scoppio dei mortaletti; la banda suonò le
note più belle e le campane squillavano a distesa.
Molte ragazzette, vestite di bianco, tenendo un giglio in mano, andarono incontro alle spose novelle. Tutte le donne di Castelletto, in
quella sera d'entusiasmo, desideravano d'esser la madre d'una delle
quattro suore; alcune giovani, che aspiravano di già al convento, si
strinsero con più affetto alloro ideale; e molti uomini, quasi senza saperlo, erano presi da un'arcana tenerezza che li rendeva migliori. Prima di loro e più di tutti era commosso il santo parroco: i suoi occhi
buoni, in quella circostanza, erano più umidi e infocati.
«Anche dai paesi limitrofi» era accorsa molta gente «per assistere
a questo ingresso, che davvero non poteva essere né più espansivo,
né più dimostrativo, né più lieto, né più solenne». 18
Dal porto il popolo confluì nella chiesa parrocchiale. Il francescano p. Serafino Inama, venuto dal santuario della Madonna delle Grazie presso Arco a tenere un corso di missioni, rivolse alle suore l'augurio e il saluto del paese.
18
Dai Ricordi di suor Anna Chiarani, una delle quattro.
79
«Dopo il Te Deum e la benedizione, si diede nell'oratorio un'accademia dalle giovani, istruite dal pio curato don Giovanni Danese»
(T., p. 204).
Quindi le suore furono accompagnate alla loro dimora. «Sulla
porta d'entrata una ragazzetta, vestita di bianco, con nastro celeste ai
fianchi» (è una testimone che scrive), recitò parole affettuose e presentò su un vassoio le chiavi della casa alla superiora.19 Le quattro ne
presero possesso.
Madonna povertà le aveva precedute.
6 novembre 1892
In questo giorno venne inaugurato ufficialmente l'Istituto. Era domenica, e in paese si festeggiava il patrono S. Carlo Borromeo. Con i
parrocchiani al completo, erano convenuti molti sacerdoti della riviera. Le novelle suore rendevano, quell'anno, più solenne la festa del
Titolare primario e più intensa la gioia di tutti i cuori.
Alla cerimonia d'inaugurazione, il p. Inama salì sul pulpito e rivolse al parroco e alle suore queste memorande parole:
Vi sono giorni della vita in cui si oblia che questa terra è un esilio, giorni splendidi e ricchi di gioie celesti, simili a benefiche oasi fra l'arsura d'infocato deserto.
Ed oggi è uno di questi per te, reverendo Signore, poiché vedi compita l'opera
che è palpito del tuo cuore, vita della tua vita. Queste novelle spose di Cristo sono
figlie tue. Tu le iniziasti nella via del-l'amore e del sacrificio, e giustamente ti bèi
d'una nobile e santa soddisfazione ...
Mira la fronte verginale delle tue figlie, sulla quale è trasfuso un raggio di gaudio divino, ascolta i battiti del loro cuore, essi danno il palpito dell'amore e del sacrificio, che le rende pronte ad immolarsi su la pietra di qualunque altare, pur che
vi sia un tapino da consolare, un misero a cui tergere una lacrima. Oh, le vedrai sul
campo della carità slanciarsi animose e impavide, angeli di pace e conforto, a versare il balsamo della consolazione nell'animo del fratello sofferente, a sollevare
l'infelice, a ricondurre con la parola della pietà e del perdono il traviato, a instillare
nei cuori innocenti l'amore di Dio e
19
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 29.
80
le purissime speranze del cielo, non cercando della fatica altra ricom-pensa che
Gesù e la sua croce, delizia e santa follia dei veri amanti di Dio.
Oh vergini sacre, che ora compiste le nozze con l'amor crocifisso, non v'aspettate di percorrere una via seminata di fiori. No, i vostri mistici sponsali furono celebrati sul Golgota, e il vostro tal amo è il duro legno imporporato del Sangue prezioso del vostro Sposo divino. Non vi sgomenti tale pensiero; chi ama Gesù, gusta
gioie ascose e celesti tra gli stenti e le pene; sua aspirazione è il patire, e un'anima
amante, quel giorno in cui non può stendersi sulla croce, lo chiama inutile e vuoto.
Simili alla colomba noetica siate apportatrici di pace al paese, dove il Signore
vi chiama a piantare la vostra tenda. Amate, amate assai; l'amore nulla teme, ed è
più forte della morte stessa. E quando allo scoglio della prova sentirete la natura
fremere e indietreggiare, correte a ritemprarvi ai piedi del santo Tabernacolo. È là
dove si formano gli eroi di Cristo. E siccome l'esempio è stimolo potente al bene,
dopo aver fissato lo sguardo sul vostro modello, il divin Nazareno, seguite gli esempi del vostro degnissimo padre e pastore, e si rianimerà il vostro coraggio a
proseguire per il sentiero dell'abnegazione e del sacrificio. Il vostro nulla anziché
intimorirvi vi appresti vigore, poiché Dio si compiace adoperare i più deboli strumenti perché meglio apparisca la sua potenza, e non v'è nessuno al mondo di cui
non si possa servire nel compimento dei suoi disegni; non v'è bassezza ch'egli non
possa innalzare, non languore che non possa ingagliardire, non oscurità che non
possa illuminare.
E tu, zelante e degnissimo ministro del Signore, accetta il voto che le figlie del
Poverello d'Assisi ti fanno con tutta l'espansione del cuore. Possa la tua santa fondazione mettere salde radici, prosperare e produrre frutti copiosi tra il gregge affidato alle tue cure. Possa come l'evangelico granello di senape svilupparsi meravigliosamente, e qual albero gigantesco raccogliere all'ombra dei suoi rami innumerabili fi-glie, che dando esempio di una vita intemerata, umile, operosa, siano di
edificazione al prossimo, di gloria al Signore, e corona immarcescibile a te lassù
nel cielo, ove regna sovrana quella carità che si eter-na con Dio (D., pp. 204-206).
Finita la cerimonia, dalla chiesa si passò in canonica per il pranzo.
In una tavola a parte sedevano le quattro suore col loro superiore.
Durante il banchetto suor Anna, la giovane venuta dal trentina, con
voce commossa chiamò «Madre» suor Maria e «Padre» l'arciprete.
Quei due nomi, «Madre» e «Padre», pronunciati per la prima volta
e in quella giornata di sante emozioni, erano oltre modo dolci al palato di suor Anna, più di qualsiasi vivanda.
81
CAPO SECONDO
DALLA FONDAZIONE
AL DECRETO DÌ LODE
(1892-1910)
Il giorno stesso della inaugurazione dell'Istituto, furono assegnati
le cariche e gli uffici. La superiora, madre Maria, fu scelta, com'era
naturale, quale maestra delle future vocazioni; suor Teresa venne eletta vicaria, guardarobiera, portinaia; suor Giuseppina, cuoca e campanellaia; suor Anna, maestra di lavoro e stiratrice.
I primi passi
Al lunedì, 7 novembre, il p. Serafino Inama eresse la Via crucis
nell'oratorio del conventino, poi le quattro religiose si misero all'opera. Da principio svolsero la loro missione a favore del paese, «aprendo l'asilo e una scuola di lavoro, assistendo gli infermi a domicilio,
aiutando il parroco nell'istruzione religiosa e nell'oratorio e ricreatorio festivo, nonché nel tener ordine e pulizia in chiesa»
(T., pp. 206-207).
Madre Mantovani aveva già atteso a queste molteplici opere,
quand'era ancora in famiglia. Ora, fatta suora, vi si dedicava con più
libertà, efficacemente coadiuvata dalle tre consorelle. Quella era la
loro mansione e la loro vita.
Più tardi, con l'arrivo di nuove vocazioni, si dette vita a «un rudimentale ricovero, allogando in casa della madre di suor Teresa, due
vecchie di Fiemme, una di Brenzone e un vecchio di Castelletto. Alla
morte dei due ultimi, il ricovero venne
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presso la canonica e poi nella casa degli Ziparei quando morì il proprietario. Ma allora l'assistenza si fece da suore e da novizie, che le
prime [suore] ormai emigravano nelle filiali» (T., p. 207).
Don Nascimbeni pensava altresì ai sacerdoti infermi e in riposo.
Anzi, proprio per loro aveva intenzione di fondare una casa di ritiro,
e ne parlò con il vescovo di Verona. Sulle prime pareva che qualcosa
si dovesse fare, di comune accordo con un altro sacerdote, don Baldo
di Ronco. Poi la Provvidenza chiamò il parroco di Castelletto a lavorare in altri campi.
Il suo progetto «doveva esser messo ad effetto, dopo qualche anno, per merito di alcuni benefattori insigni, in Verona stessa con la
erezione della Casa del Clero» (D., p. 234). Quasi a premiare le sue
sante intenzioni ed il suo interessamento, le sue figlie spirituali da
decenni vi prestano amorosa assistenza. Dal canto suo don Nascimbeni volle ospitare per due anni, dal 1893 al 1895, un venerando confratello, don Carlo Consolini. Non poté fare di più.1
A Castelletto s'era contenti e orgogliosi d'avere finalmente le suore. Quando comparivano in pubblico o si recavano in chiesa per le
sacre funzioni, erano ossequiate dai buoni fedeli e molti si affidavano
alle loro preghiere.
Le bambine e le giovani continuavano ad avvicinare la Mantovani, con la libertà e la confidenza d'un tempo; e tuttavia, vedendola ora
avvolta nel sacro abito, provavano una certa soggezione, erano prese
da un vago senso di mistero, che incuteva devozione e rispetto. Del
resto, fin da quando la rividero in paese vestita a quel modo, gli abitanti di Castelletto non la chiamavano più la Meneghina, ma «suor
Maria», «la Superiora»; poi per quarantadue anni, cioè sino alla morte, ella divenne sulla bocca di tutti «madre Maria», «la Madre».
1
Ne abbiamo parlato in un'altra pubblicazione: Pio Istituto di cura «madre Fortunata Toniolo del
Santo Crocifisso», Bologna, Casa Regionale «S. Pio X», 1961. Formato 184 x 135; pp. 158.
83
Dopo il parroco, non ci fu altra autorità più grande in paese; non c'era
una persona più consultata ed ascoltata di lei; non ci fu un cuore che
desse maggior conforto del suo. Per questo madre Maria Mantovani
ha potuto fare tanto bene a Castelletto e nei dintorni, per questo fu
tanto amata.
Nel segno di madonna povertà
Sul principio la vita entro le mura del piccolo convento era disagiata; mancavano i mezzi. Le suore seppero far fronte, con eroico
spirito di adattamento e di distacco, alle ristrettezze di quei primi anni di collaudo. Le precedeva con l'esempio il Fondatore, che si misurava in tutto e spesso si privava del necessario. Il fervore della preghiera le sosteneva; il lavoro delle proprie mani, protratto sovente sino a tarda notte, arrotondava il tenue compenso che il paese povero
passava alle religiose.
Ma in quel clima di evangelica povertà, serenamente vissuta sotto
lo sguardo della santa Famiglia di Nazareth, la giova ne pianta metteva radici vigorose e diventava ognor più stabile e feconda. Le vocazioni allevate in quei tempi di penuria seppero poi adattarsi a tutte le
occorrenze, anche quando furono chiamate a prestar la loro opera in
paesi poveri ed in ambienti vecchi e mal ridotti.
La vita santamente povera delle Terziarie Francescane, rinchiuse a
Verona entro le mura della clausura, si riverberava nella Casa Madre
e nelle filiali delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. La lezione appresa in un mese fu sommamente efficace per un'intera generazione.
84
«Sarà come un grano di senape ... »
Il buon esempio delle prime suore fu contagioso. Al vederle tutti i
giorni così liete e fervorose, altre giovani del paese, che già vagheggiavano la vita del chiostro, decisero di abbandonare il mondo e di
unirsi alle quattro. Sotto lo stesso tetto, vicine all'Ospite Divino, avrebbero condiviso la preghiera ed il lavoro, le gioie e le pene, a servizio di Dio e del prossimo. Le prime a bussare alla porta del convento furono Angela e Maddalena Brighenti. Erano due cugine, imparentate per giunta con le tre suore di Castelletto. Delle prime sei
Piccole Suore della Sacra Famiglia, cinque erano cugine e crebbero
in paese. Fin da ragazze furono Figlie di Maria, poi di S. Angela Merici; adesso operavano sotto le insegne della Sacra Famiglia e di S.
Francesco d'Assisi. Il parroco era il padre vigile ed il maestro incomparabile delle loro anime. Domenica Mantovani, senza saperlo, aveva
influito decisamente su tutte. Portate al bene per natura e per vocazione, esse subirono il fascino del suo comportamento, sempre pio e
riservato; ne ammiravano lo zelo instancabile con cui serviva la chiesa ed il paese. Dal momento che la cugina s'era fatta suora, vollero
andare con lei e seguirla nella via della immolazione.
Angela e Maddalena entrarono l'11 febbraio 1893, festa della B.
Vergine di Lourdes. Erano passati appena tre mesi dal trapianto del
pollone, da Verona a Castelletto, che già spuntavano le prime gemme. Angela non aveva raggiunto i vent'anni, essendo nata il 17 maggio 1873; Maddalena, venuta alla luce il 18 dicembre 1874, aveva
superato da poco i diciotto. «Furono accompagnate [al convento] dalle loro mamme, e vennero ricevute dai venerati Fondatori, che offrirono loro un caffè», servito dalla Madre Generale.2
Quelle due postulanti aumentarono la gioia già intensa tra quelle
sacre mura, come quando in famiglia sopraggiunge una
2
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 31.
85
nuova creatura ardentemente attesa. In particolare era contenta madre
Maria, che le accolse come prezioso dono, ricevuto in custodia dal
Padre Fondatore. Con solerte premura e con gran cuore «le amava, le
educava, le istruiva».' Era la primavera della sua gioconda maternità.
Poi vennero altre, poi altre ancora. Dal paese, dalla provincia veronese, da tutta l'Italia.
Il pollone s'era fatto albero, e cresceva in altezza ed allargava i
rami di mano in mano che nuove vocazioni venivano a posarsi sulla
pianta. Il Padre la coltivava intensamente; la Madre collaborava, a
suo modo, all'opera del Fondatore. Il suo lavoro era più delicato e nascosto. Il Padre agiva allo scoperto: tracciava programmi, impartiva
direttive, faceva richiami, infliggeva penitenze. Massimamente a capitolo la sua voce tuonava e metteva a nudo l'operato d'ogni suora. E
se c'era bisogno di potature e rimondature, egli potava senza misericordia. Se qualche ramo, dopo tutto quello che s'era fatto per lui, non
dava frutti, veniva tagliato recisamente. Perché tenerlo, secco ed infecondo, sulla pianta?
Le mezze misure al Padre non andavano. Quelle giovani che non
erano risolute di mettercela tutta, particolarmente quelle che erano
disobbedienti e permalose fuor di misura, potevano risparmiarsi la
fatica di andare a Castelletto: in convento non ci sarebbero rimaste.
Madre Maria, come diremo più diffusamente altrove, coltivava la
pianta: con altri metodi. Con l'esempio, anzi tutto, e con grande cuore. Anche il Padre amava le figliuole, e molto; allorché qualcuna lasciava il chiostro, perché ribelle e incorreggibile, si turbava profondamente e ne soffriva sino a piangere. L'amore della Madre, tuttavia,
era meno irruente e tempestoso; e proprio per questo la sua parola
scendeva a fondo negli animi, era più rasserenante e sempre efficace.
86
Eppure entrambi erano necessari alla coltivazione della pianta.
L'opera del Fondatore s'integrava con quella della Confondatrice, e
viceversa. E intanto l'albero cresceva.
Nel 1893 l'Istituto contava sei suore, nel 1894 undici, venti nel
1895, l'anno seguente ventitré; nel 1897 erano trent'una, quarantaquattro nel 1898, cinquantaquattro l'anno appresso; alla fine del 1900
salirono a sessantacinque; poi sempre di più. Di anno in anno, con un
crescendo costante, la famiglia delle Piccole Suore aumentava, con
gioioso ed umile stupore del Padre e della Madre.
Chi mai l'avrebbe pensato? Chi avrebbe osato predire al parroco di
Castelletto, quando inutilmente bussava alla porta di tanti istituti in
cerca di alcune suore per la sua parrocchia: «Tu non avrai soltanto
qualche suora in paese; tu diventerai padre d'una gloriosa e numerosa
famiglia di vergini; a te verranno molti altri sacerdoti e persino dei
vescovi, per richiedere l'opera preziosa delle tue figlie»?
Madre Fortunata Toniolo
Prima di tener dietro all'espansione dell'Istituto, che da Castelletto
si dirama nelle filiali e moltiplica le opere assistenziali in Italia e
all'estero, è necessario accennare ad un benemerito personaggio, che
di questo sviluppo è uno degli artefici più operosi. La sua vita longeva è strettamente legata alle vicende della Congregazione. Dopo il
Padre e la Madre, è la terza persona che emerge, con più spiccata evidenza, nella gloriosa storia della Congregazione.
Tutte le Piccole Suore della Sacra Famiglia intendono che noi vogliamo parlare di madre Fortunata Toniolo del Santo Crocifisso.
Era entrata undecima nell'Istituto, il 10 novembre del 1894. Aveva
superato i ventisette anni, quando mise piede in Convento. Non era
troppo giovane, perché si potesse dubitare della sua assennatezza ed
esperienza; né troppo adulta, perché non riuscisse a farsi piccola alla
scuola del Fondatore e
87
apprenderne, con assoluta docilità, i paterni insegnamenti. Visse ancora per sessant'anni, prodigandosi incessantemente per l'Istituto che
l'aveva accolta. Affiancò l'opera dei Fondato-ri, quand'erano ancora
in vita; la continuò per altri diciotto anni, con fedeltà gelosa ed amorosa, quand'essi vennero a mancare.
Veniva dalla terra padovana, ove era nata a Boccon di vò l'11 giugno del 1867. Aveva un'indole forte, una volontà tenace, l'animo retto e sincero a tutta prova. Ignorava i sotterfugi e le mezze misure.
Una volta che s'era data la parola, o a Dio o al prossimo, bisognava
fare di tutto per mantenerla. Ci mise un po' di tempo per piegarsi alla
volontà del suo padre e maestro, appunto perché aveva una natura
indomita ed impulsiva. Ben presto però si persuase che, in competizione col Fondatore, bisognava arrendersi: o piegarsi o spezzarsi. Si
piegò con dolce condiscendenza, seppe superarsi, e ne fu contenta. Il
Padre la mise in strada, nella strada giusta ch'ella avrebbe dovuto
percorrere; l'assisté, con affetto, nei primi passi. Poi ella partì decisa,
né deviò o rallentò la corsa.
Prima di farsi religiosa, aveva esercitato la professione d'infermiera presso l'ospedale civile di Padova, distinguendosi per abilità ed
impegno. Era apprezzata e ben voluta, aveva davanti a sé un avvenire
sicuro. Lasciò tutto e tutti, per assecondare l'impulso della grazia che
la invitava nel chiostro. E venne a Castelletto, quando la vita nel piccolo convento era assai stentata, quando ancora restavano incerte le
sorti della nuova congregazione. Ne visse tutte le vicende, nei giorni
lieti e nei momenti dolorosi, con simpatia di figlia e con passione di
madre.
Fin dai primi giorni il Fondatore s'accorse del dono che Dio gli
aveva fatto, mandandogli la Toniolo. Coltivò pianticella con particolare cura. Tagliò energicamente quanto andava tagliato, insegnò come si fa a produrre molti frutti, fortificò il tronco e i rami contro i
venti e le tempeste future. Come la Mantovani, anche la Toniolo si
lasciò coltivare; e pur avendo un'indole ed una missione tanto diverse
dalla Confondatrice,
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anch'essa seppe diventare uno strumento validissimo nelle mani del
Fondatore.
Egli se ne servì fino dai primi anni. Le affidò cariche delicate e la
tenne informata su l'andamento della Congregazione; poi l'assunse
accanto a sé, testimone delle sue virtù e delle sue opere, amorosa esecutrice delle sue volontà.
Per molto tempo la Toniolo fu assistente, economa e vicaria generale. A nome del Padre e della Madre, girò per le filiali, di città in città. Visitava, controllava, favoriva le opere in corso, altre ne suggeriva o avviava. Prudente e saggia, stimata dalle autorità che avvicinava, ferma nelle decisioni prese, era inflessibile quando doveva difendere l'operato dei Fondatori o gl'interessi della Congregazione.
Alla morte della madre Maria Mantovani, avvenuta il 2 febbraio
del 1934, le successe nel governo dell'Istituto. Fu rieletta nell'ottobre
del 1939 per un altro sessennio, durante il quale dovette soffrire molto, a motivo della seconda guerra mondiale. Sperava d'esser messa in
disparte onde prepararsi a ben morire, e invece fu rieletta Superiora
Generale per una terza volta, all'età di settantanove anni.
Durante il suo lungo governo, la Toniolo seppe conservare accesa
e valida la fiaccola che i Fondatori le avevano lasciato in eredità. Era
aperta ai nuovi problemi e seppe affrontarli con metodi nuovi; aggiornata sempre, senza lasciarsi prendere la mano da modernismi insani.
Avviò molte suddite agli studi, sia nel campo infermieristico come in
quello dell'insegnamento. Aprì una scuola-convitto per infermiere religiose a Bologna; inaugurò la «Nuova Casa Gioiosa» a Castelletto
per scuole media e magistrale parificate; ricostruì, più spazioso ed elegante, l'Istituto «Cuore Immacolato di Maria» presso Porta Nuova
(Verona), che i bombardamenti avevano atterrato. Per le malate bisognose di assistenza sanatoriale provvide la casa di cura «Sacra Famiglia» ad Arco di Trento. Affrontò il problema delle vocazioni, istituendo l'apostolinato presso la Casa Madre. Mandò alcune suore in
missione, prima in Abissinia e poi in Argentina, lanciando la sua
Congregazione
89
alle conquiste missionarie. Sotto la sua mano solerte ed esperta, la
pianta ch'ella aveva ereditato dal Padre e dalla Madre mise radici più
profonde, si consolidò, allargò i rami in diverse direzioni e dette frutti abbondanti. I Fondatori non avrebbero potuto desiderare una erede
più degna e fedele.
Nell'ottobre del 1952 fu convocato il capitolo generale presso la
Casa Madre, e la Toniolo ottenne il meritato riposo. Si ritirò nell'infermeria della Congregazione, tra le consorelle malate. Il distacco dal
mondo, il silenzio e la preghiera le comunicarono una pace nuova,
impressero al suo volto una serenità e compostezza solenne, edificante. Le multiformi sofferenze degli ultimi anni purificarono la sua anima eletta. Quando sopraggiunse sorella morte, l'11 marzo 1954, la
trovò straordinariamente ricca di meriti e matura per il cielo.
La storia che riprendiamo a narrare è anche la storia di madre Fortunata Toniolo, perché ricorda le vicende di cui ella fu spettatrice e
spesso attrice; più ancora, perché è la storia di quella famiglia spirituale, che la Toniolo amò di singolare e appassionato amore e servì
con magnanima dedizione sino all'ultimo dei suoi giorni.4
La primogenita delle filiali
Nel maggio del 1895 alcune delle sorelle, cresciute nel nido che il
padre del Fondatore aveva edificato presso la chiesa parrocchiale,
presero il volo verso la prima filiale. Le accompagnava la povertà, la
semplicità, l'umile sentire di sé, e un gran desiderio di fare del bene.
Questi, gli insegnamenti e la consegna del Padre. Erano destinate a
Tiarno Superiore, di sopra a Riva, nella provincia di Trento.
4
Per più ampie informazioni su madre Fortunata Toniolo, rimandiamo alla nostra pubblicazione già
ricordata sopra, alla nota I di questo capo.
90
L'annuncio della primogenita recò immensa gioia nella piccola
comunità di Castelletto, quasi quanto la fondazione della Madre. Don
Nascimbeni volle solennizzare, a modo suo, il grande evento; e anzi
tutto scrisse al cardinale Luigi di Canossa, perché la primogenita venisse alla luce con il consenso e la benedizione del vescovo. Il cardinale rispose con una lettera d'encomio e d'incoraggiamento che merita d'essere riportata, perché testimonia autorevolmente la stima e la
benevolenza che godeva di già il novello Istituto, a Verona e altrove.
Siamo lieti delle notizie che ci dà sull'andamento di cotesto Istituto della Sacra
Famiglia, e ripetiamo i nostri voti che con la benedizione del Signore possa esso
sempre conservare quello spirito, del quale fin ora si appalesò informato, e che gli
è pegno sicuro di vita rigogliosa e di verace prosperità.
Indizio di questo felice avvenire è certamente il fatto che l'opera del medesimo
Istituto è ormai apprezzata anche in altre parrocchie, come lo prova l'unanime voto
espresso dalla popolazione di Tiarno Superiore, perché le sue suore andassero a
stabilirsi anche in quella parrocchia. Lungi quindi da noi l'apporre il veto al desiderato impianto in una nuova casa del suo pio Istituto in quella parrocchia, ché anzi
di gran cuore l'approviamo, ed accompagniamo con la nostra benedizione le suore
che all'uopo saranno da lei destinate. Starà poi in lei mettersi in relazione e di compiere le pratiche di dovere e convenienza con il reverendissimo ordinario di Trento
dal quale Tiarno dipende.
Intanto di gran cuore a lei ed a tutto cotesto suo Istituto, benediciamo.5
A Tiarno le Piccole Suore di Castelletto erano già conosciute. V'erano state due di esse, nella primavera e nell'autunno del 1893, mandatevi dal Padre a questuare. Durante il secondo soggiorno, s'imbatterono in un tale che aveva una gamba malata, e gliela curarono amorevolmente. Per riconoscenza verso le sue benefattrici, l'uomo dalla
gamba inferma ne disse bene davanti a tutti. Ricevettero doni, in denaro e in generi. Il sagrestano regalò delle patate, e poiché le suore
misero avanti la difficoltà del trasporto, si offrì a farlo lui stesso fino
a Riva.
5
Lettera del cardo Luigi di Canossa del 16 aprile 1895, trascritta in Documenta, p. 42.
91
Alla sera ebbero noie da parte di due gendarmi austriaci, che vollero
sapere chi erano e da dove venivano quelle suore mendicati. Né avevano torto, poiché pochi giorni prima due donne, travestite da suore,
andavano in giro nei dintorni imbrogliando la gente. Una delle due
suore riuscì a farsi conoscere, ed ebbero pace; al mattino erano già in
corriera per il ritorno, che si presentarono di nuovo i due gendarmi
per fare altre domande e verifiche. Tanto bastò perché il Fondatore
decidesse di non mandare più le sue suore alla questua. La provvidenza venne per altre vie.
A Tiarno, dunque, le Piccole Suore eran note. E quando una vedova signora, volendo ricordare le nozze della figlia, pensò di aprire
un asilo in paese, il sagrestano suggerì di chiamare a dirigerlo le suore di Castelletto. A tal fine la signora mise a disposizione una casa
con orto e cortile, e intanto invitò a Tiarno don Nascimbeni per il
giorno dello sposalizio, che fu celebrato il 29 aprile 1895.
«Compiuto il rito, furono ultimate le trattative fissando l'assegnamento alle suore, il loro compito per i bimbi, l'istruzione religiosa, la
veglia agli ammalati, e la data d'ingresso» (T., p. 237).
Pochi giorni dopo si partiva da Castelletto alla volta di Tiarno.
Una cerimonia solenne e piena di significato precedette la partenza
delle prime suore per la prima filiale. Tutta la comunità si radunò nel
piccolo oratorio, ove la suora designata superiora della nuova casa si
prostrò a terra e congiunse le mani. Con voce autoritaria e commossa
il Fondatore lesse la formula, da lui composta alcuni giorni prima, la
quale ha il tono grave d'un comando e la solennità d'una investitura.
Con la mia autorità di tuo Superiore legittimo e Padre spirituale, in virtù di santa obbedienza ti comando di abbandonare questo paese, questa casa e tutte queste
tue care sorelle, per andare in qualità di M. R. Madre Superiora nel paese di Tiarno
Superiore, per fondarvi ivi e dirigere nel nome della Sacra Famiglia una casa filiale
a questa e potere poscia con la santità e con l'ardentissimo zelo promuovere ogni
bene, sia spirituale sia temporale, di quelle povere anime che aspettano dall'opera
tua il paradiso. Nella speranza
92
che accetterai volentieri e avrai nessunissima difficoltà, t'impartisco la mia povera
benedizione.6
Al porto s'era radunato tutto Castelletto per salutare le partenti.
Partecipava anche la banda che suonava festosa, come quando giunsero, da Verona, le prime quattro suore. La dirigeva il signor Antonio, il babbo dell'arciprete, che da quando il suo «don Bepo» era diventato il fondatore dell'Istituto, si riteneva quasi il nonno di tutte le
suore e pensava d'aver diritto alla gioia di prestar loro dei servigi,
ogni qual volta se ne offriva l'occasione. La musica e la presenza dei
Fondatori, che accompagnavano a Tiarno le suore, temperarono l'accorata mestizia del distacco.
Quando i viaggiatori sono in piroscafo, hanno davanti a sé tutto il
panorama di Castelletto che s'allontana lentamente. Il Baldo, gigante
maestoso, domina tutti gli altri monti. Gli presta vassallaggio perpetuo l'altopiano di Prada che d'estate ospita contadini e bestiame, mentre più giù, in processioni disordinate, scendono gli ulivi verso la mitezza del lago. Dal folto verde primaverile sporgono le case povere,
dai tetti neri, sotto i quali vivono persone conosciute e amate. Ma il
gruppo più fitto di abitazioni preme verso la chiesa parrocchiale come figli attorno alla madre che invocano amore e protezione. A sinistra, il campanile fa da sentinella alla chiesa e veglia su l'ultima arrivata. È la casa delle suore, la nuova casa paterna e materna, la casa
della seconda vita. Ora i ricordi si affacciano più pressanti e più cari,
mentre nel petto sul quale brilla al sole mattutino il medaglione programma delle Piccole Suore, il cuore batte tumultuosamente; ma alla
presenza del Fondatore la voce delle figlie partenti ammutolisce, come se fosse impedita dalla commozione o trattenuta da un segreto
pudore.
Don Nascimbeni volle condurre le suore a Verona, a prendere
commiato e la benedizione dal cardinale Luigi di Canossa e dal vescovo coadiutore mons. Bartolomeo Bacilieri.
6
Dall'originale, che in calce porta la data del 24 aprile 1895.
93
Quando fu davanti al coadiutore provò un sentimento improvviso di
soddisfazione, che stava a mezza via tra la compiacenza in sé (ché
anche i santi han le loro debolezze) e la gratitudine verso Dio. Tre
anni prima, da solo, il parroco aveva fatto il viaggio medesimo, da
Castelletto a Verona, per comunicare a mons. Bacilieri la melanconica notizia dei suoi ripetuti insuccessi. Allora sarebbe stato felice
d'importare alcune suore in paese; adesso era lui, e per giunta fondatore e padre, che provvedeva all'esportazione.
Passando da Trento, la comitiva andò ad ossequiare il principe vescovo; poi, per Mori e Riva, giunse a destinazione. Anzi tutto s'andò
in chiesa, a ricevere la benedizione del Santissimo; di qui passarono
al palazzo delle benefattrici per il pranzo, e finalmente alla casa delle
suore.
«L'impressione, l'accoglienza, il trattamento, la dimostrazione di
stima e d'affetto sorpassarono ogni aspettativa» (D., p. 416). Il Padre,
ch'era rimasto per alcuni giorni a Tiarno a sorvegliare i primi passi
della neonata, scriveva soddisfattissimo a Castelletto: «Pregate per
noi e per questa nostra nuova fondazione che promette di fare ottima
riuscita, se le continuerà l'attuale benedizione del Signore».7 Poi riprese la via del ritorno, lasciando lassù per un mese la Superiora Generale in aiuto alle suore designate. La Madre, che intanto scriveva
lettere affettuose alle figlie rimaste nel nido, pareva una rondine che
insegnava la tecnica del volo ai primi rondinini. A Castelletto la sostituiva suor Fortunata Toniolo. Da Tiarno continuavano a giungere
ottime notizie:
Qui tutto va a gonfie vele ... Tutto il giorno e perfino la notte vengono persone
a portare roba e denari. Si resta confusi. Non sappiamo neppure come ringraziare
il Signore. Si tocca proprio con mano che, chi si abbandona interamente nelle mani della Provvidenza, è Più ricco di colui che possiede milioni e milioni.8
7
8
Lettera del Padre, scritta da Tiarno il 14 maggio 1895.
Lettera della Madre, scritta da Tiarno, senza data.
94
Ai primi di giugno don Nascimbeni si fece vedere di nuovo a
Tiarno, portando con sé un'altra suora, per consentire alla Generale di
far ritorno alla Casa Madre. Egli ebbe altre testimonianze d'ammirazione e di gratitudine, ed anche offerte. Tutto questo riempiva di
grande consolazione il suo animo di fondatore novizio.
Col tempo, però, mutaron le cose. Il Padre ebbe le prime sorprese
ed amarezze. Le signore che avevano messo i piedi nella casa delle
suore a titolo di benefattrici, non avevano intenzione di ritirarli. Come donna Prassede, erano larghe nel dar pareri e volevano far trionfare le proprie idee. Insomma, da patrone pretendevano diventar padrone.
Molte cose il Padre avrebbe tollerato, ma non mai che altri, massimamente se di sesso debole, comandasse in casa delle sue figlie.
Nell'agosto dello stesso anno scriveva rammaricato:
Le Signore T., arrivate fin dal primo agosto, hanno villanamente negata l'udienza alle nostre suore. Si può dare di peggio? Che sortirà? Non lo so; certo è che né
io né il mio Istituto vogliamo essere umilissimo schiavo di nessuno, e voglio anzi
la mia libertà di fare quel che voglio, specialmente nella destinazione delle suore.
Piuttosto che cedere, io sono nella ferma risoluzione di levare le suore da Tiarno.9
Ci volle abilità e buon volere per rimettere a sesto le cose.
Per breve tempo però, ché, strada facendo, sorsero altre difficoltà e
dispiaceri. Non ultimo quello recatogli da una suora che, nella critica
congiuntura, «si rese tanto arrendevole da ascoltare più Tiarno che
Castelletto, e con l'idea di regola più perfetta, fece secessione, e sotto
l'egida della protettrice istituì novo asilo a Bezzecca» (T., p. 241), distante pochi chilometri.
La prima filiale dunque, dopo un avvìo così promettente, ebbe la
vita difficile e stentata. Quando poi le suore ammalarono per l'insalubrità del clima, e una di esse morì, il Fondatore decretò la morte anche della primogenita delle filiali.
9
Lettera del Padre, scritta da Castelletto il 5 agosto 1895.
95
Essa non aveva compiuto i dodici anni. E come accade non di rado ai primogeniti, aveva recato ai Fondatori parecchie consolazioni,
molte preoccupazioni e dispiaceri. Più dispiaceri che consolazioni.
La secondogenita
L'arrivo di nuove vocazioni alla Casa Madre determina l'apertura
di nuove case. Il moltiplicarsi delle figlie aumenta le filiali. Ed aumentano anche le iniziative e le opere; come pure crescono, per i
Fondatori, i problemi e le preoccupazioni, le gioie e le pene. Intanto
il bene si diffonde, da Castelletto ad altri paesi, con quella paziente e
perseverante tenacia che caratterizza le opere di Dio.
Dopo Tiarno le Piccole Suore si diressero a Gargnano, di fronte a
Castelletto, sulla riviera bresciana. La filiale di Gargnano doveva venire alla luce prima e vantare l'onore della primogenitura, poiché erano già avviate le trattative fin dal 1893. Invece venne aperta dopo la
sorella trentina ed ebbe vita brevissima, perché le mancava il necessario per poter vivere.
Castelletto era povero, ancor più povero Gargnano. Povertà congiunta a povertà, poteva sembrare un argomento validissimo per
strappare alla Provvidenza il miracolo. Ma don Nascimbeni, che alla
fede entusiasta accoppiava la saggezza dei santi, questi miracoli non
li pretendeva. Non voleva tentare il Signore.10 Insomma, a narrarla in
breve, a Gargnano le cose andarono a questo modo.
Le prime pratiche furono aperte dall'arciprete di quel paese nel
giugno del 1893. Egli venne a Castelletto a domandar
10
Nel poscritto alla lettera del 18 aprile 1893, che il Padre inviava da Brescia alla Confondatrice,
scrive: «Quanto all'accettare quella donnetta, andiamo adagio, molto adagio. Mi pare che speri con molta facilità. Abbiamo messe troppe pentole a bollire ... Non mi pare tempo opportuno per accettarla. Basta, fermiamoci e facciamo punto fermo per ora, per non tentare la Provvidenza».
96
suore, soprattutto per l'assistenza alle ragazze. Ripartì «soddisfattissimo» e «tutto pareva combinato», quando «il diavolo» ci volle
«mettere, come sempre, le corna». Così scriveva il Fondatore novello
alle suore che questuavano nel trentino. A Gargnano volevano una
maestra patentata: come appunto, a suo tempo, don Nascimbeni pretendeva per la sua parrocchia. Ma la nuova Congregazione, sbocciata
da pochi mesi, non ne aveva neppure per Castelletto.
Trascorsi tre anni, il parroco di Gargnano si fece vedere di nuovo
e «persuase il Padre a mandar [le suore] perché si unissero colà a una
buona maestra che nel frattempo aveva aperta una scuola di lavoro e
avrebbe dato alloggio e vitto; poi il buon esito procurerebbe contribuzioni dal paese per rendere stabile la filiale» (T., p. 242). Si partiva
dunque da una situazione malcerta per giungere poi alla sistemazione
certa e definitiva, attraverso gl'incerti che sarebbero sorti per strada.
La conclusione era ottimista e più ampia delle premesse. Il 22 marzo
1896, guidate dal Padre e dalla Madre, tre suore salparono per Gargnano.
Da principio sembrava che le cose s'avviassero bene, conforme ai
conti fatti in antecedenza. Quando però venne il Padre a controllare il
bilancio, i conti non tornavano, ed egli disse con franchezza all'arciprete: «Per le oche, andiamo male; 60 lire di debito e tutto sull'incertezza! Se alcuno non si interessa almeno per il vitto, io agli esercizi
devo trattenerle». E le trattenne.
I parrocchiani di Gargnano furono dolentissimi per la perdita delle
suore, in particolar modo le ragazze. Lo attesta anche il Padre quando
scrive il 3 novembre dello stesso anno: «Da Gargnano continuano le
consolanti notizie per riguardo del rincrescimento che si sente ancora
da quelle ragazze per la partenza delle nostre suore».
Il profumo dei fiori preziosi continua ad aromatizzare l'ambiente,
ancorché ne siano rimossi. Quello lasciato dietro di sé a Gargnano
era il profumo di Casa Madre.
97
La terzogenita
Più solida e più fortunata delle due sorelle maggiori è la terza filiale tuttora vivente. E se non può gareggiare con tutte le sorelle venute dopo, delle quali alcune - come a Trento, a Verona, a Bologna, a
Padova - sono veramente splendide, molte ne lascia dietro di sé per
floridezza e per meriti. Ci basta narrarne la nascita fortunosa e i primi
passi, ché a volerne descrivere la lunga vita e le opere occorrerebbe
un libro.
Stiamo parlando di Arcole, reso celebre dalla battaglia di Napoleone e che oggi si disputano la provincia civile di Verona e la diocesi
di Vicenza.
Nella primavera del 1896 don Nascimbeni era salito al santuario
mariano di Monte Berico, portando con sé le prime suore. Era questa
una ricreazione spirituale, alla quale il parroco di Castelletto rimase
affezionato finché si mantenne in forze. Quando poi le forze gli vennero meno, si faceva spingere in carrozzella davanti alla Grotta della
Madonna di Lourdes, ch'egli aveva fatto costruire nel giardino della
Casa Madre; e lì, ai piedi della Bianca Signora, sostava a lungo e con
devoto ricordo rifaceva gl'itinerari mariani di un tempo. Anche quando andava in giro per le filiali, il Padre non mancava di fare qualche
deviazione ai vicini santuari. Andava dalla Madonna a raccomandarle - con un fervore più intenso del consueto - se stesso, le figlie, e le
opere dell'Istituto. Quando se ne offriva l'occasione e a premio della
loro generosità, il Fondatore prendeva con sé le suore, desideroso che
pur esse partecipassero alla gioia e alla grazia di quei devoti pellegrinaggi. D'altra parte, perché privarle di quella consolazione spirituale,
dal momento che, dopo essersi intrattenute con la Madonna nelle sue
residenze d'onore, le figlie tornavano a casa più liete, più fervorose e
laboriose?
Quando dunque i pii pellegrini di Monte Berico furono sul treno
per il ritorno, s'imbatterono in don Luigi Rossi, dotto e zelante arciprete di Arcole. Costui aveva in animo di chiamare le suore nella sua
parrocchia, per l'assistenza ai bambini e alle
98
giovani. La presenza delle suore nello stesso scompartimento gli ricordò i bisogni di Arcole; la divisa nuova che le viaggiatrici indossavano gli prestò lo spunto per avviare il discorso con il confratello di
Castelletto.
«Saprebbe dirmi a che congregazione appartengono le suore lì
avanti?»
«Mah! hanno un vestito diverso dalle congregazioni conosciute».
«Scusi; pensavo che lei dovesse conoscerle, perché pareami fossero salite con lei».
Per don Nascimbeni il dialogo doveva finirli, lasciando nell'incognito l'appartenenza delle suore dalla nuova divisa, ma l'altro intendeva proseguire, e cominciò a celebrare le benemerenze delle suore
che prestano servizio nelle parrocchie. Il panegirico anticipato rivelava l'urgenza del bisogno e prediceva il futuro.
Il sincero interessamento e lo zelo di don Luigi Rossi indussero il
Nascimbeni a dichiararsi il fondatore di quelle suore e a decidere l'apertura di una filiale ad Arcole.
Ci venne infatti con due suore e la Madre Generale, il 14 aprile di
quell'anno, dopo un viaggio fortunoso. Sul lago i viaggiatori furono
assaliti da una furiosa tempesta e soffrirono il mal di mare; a terra
vennero sorpresi dall'acqua e dalla gradine; a Verona passarono una
notte scomoda e quasi insonne. La trionfale accoglienza ch'ebbero
nel paese di destinazione fece dimenticare i disagi dell'andata.
Anche ad Arcole, come a Tiarno e a Gargnano, gl'inizi furono incerti e difficili. L'indigenza sofferta nei primi anni a Castelletto, quasi per irresistibile simpatia, collaudò le prime filiali.
Le suore alloggiarono alla meglio in canonica, in attesa che fosse
pronta la loro abitazione. Pertanto si misero al lavoro, attirandosi la
benevolenza e le offerte del paese. Alcune persone facoltose e rinomate concorsero con largizioni cospicue, mentre il farmacista passava gratuitamente i medicinali.
99
«In breve la casa, povera come di solito allora, fu ultimata e i sacrifici e lo zelo dell'arciprete, i risparmi, gli aiuti fecero crescere l'istituzione da asilo a ricovero, orfanotrofio, calzificio, scuola di lavoro» (T., p. 245).
Da quell'aprile del 1896 ai nostri giorni, decine e decine di Piccole
Suore della Sacra Famiglia si sono susseguite ad Arcole, prodigandosi nelle multiformi attività. Ed è motivo di edificazione e di gioia
pensare al gran bene che hanno operato nel paese e nei dintorni, perché quasi tutti, dai bambini dell'asilo e orfanotrofio ai vecchi del ricovero, hanno goduto della benefica presenza delle suore.
Tutto questo bene ha avuto origine da quel lontano pellegrinaggio
al santuario della Madonna di Monte Berico e dall'incontro provvidenziale di due santi sacerdoti
Le altre sorelle
Abbiamo accennato alle origini e alle vicende delle prime tre filiali. Una è sorta nella provincia di Trento, l'altra in quella di Brescia, la
terza nella diocesi di Vicenza.
Di comune hanno gl'inizi umili ed incerti, contrassegnati col crisma di madonna povertà. Rispecchiano i tempi d'oro della Congregazione, quando la semplicità e lo spirito di sacrificio delle prime suore
impressero un sigillo indelebile all'Istituto. Non che quello spirito di
modestia e d'adattamento sia venuto meno dopo, allorché le nuove
iniziative ed i tempi mutati richiesero un sano aggiornamento nella
tecnica del lavoro. Tuttavia, pur adattandosi alle esigenze nuove, le
Piccole Suore ripensano con nostalgia ai tempi eroici in cui vissero le
sorelle maggiori, quando la carenza dei mezzi umani rendeva più virtuosa la vita e più edificante l'esempio.
A compensare le strettezze dei primi anni c'era la presenza del
Fondatore, che animava le figlie con la sua fede gagliarda e con il
suo instancabile zelo. C'era la Confondatrice, che precedeva tutte nella fedeltà all'ideale, che ammaestrava le inesperte ed addolciva le asprezze coi suoi modi materni.
100
Le prime filiali, inoltre, vennero aperte in parrocchie di campagna.
Fin da principio le Piccole Suore della Sacra Famiglia furono impegnate nell'educazione dei bambini poveri e rozzi, nell'assistenza alle
ragazze di casa od operaie, bisognose d'apprendere un lavoro onesto
per affrontare con onestà la vita. Per quanto la disponibilità del tempo lo consentiva, le suore curavano anche i malati e i vecchi del paese, visitandoli spesso e prestando assistenza a domicilio. Bimbi, gioventù, infermi e vecchi, e per lo più gente povera del popolo: erano
queste le categorie di persone più vicine al cuore di don Nascimbeni
e per le quali volle le suore nella sua parrocchia. Anche la madre Maria Mantovani prediligeva i bambini, assisteva le giovani, visitava .i
malati e i vecchi di Castelletto. Poi vennero le figlie e le filiali; ma
ovunque le Piccole Suore assistevano ed assistono, di preferenza, i
bambini e le ragazze, curano i malati e i vecchi. È questo il fine specifico della vigorosa Congregazione, la quale appunto si propone:
a) L'educazione e istruzione cristiana della gioventù femminile, specialmente
delle figlie dell'operaio.
b) L'assistenza degli informi, sia negli ospedali, sia nelle case private, sopra tutto in caso di epidemia, e qualsiasi altra assistenza in casi urgenti, per opere di carità. c) L'opera delle Missioni.11
L'attività missionaria, che tanto stava a cuore ai Fondatori, è cominciata più tardi, nell'anno 1940, quando reggeva la Congregazione
madre Fortunata Toniolo. Però anche nelle filiali, aperte in Abissinia
prima e poi nell' Argentina, le suore prestano la loro opera a favore
dei bimbi, delle ragazze, dei vecchi e dei malati.
Nell'azione generosa delle figlie, sparse nelle 260 filiali, la carità
del servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni e della madre Maria
Mantovani sopravvive ancor oggi, oltre il tempo e lo spazio. È la storia del granello di senape, del quale
11
Costituzioni, parte I, c. l, n. 2.
101
parlarono il cardinale Luigi di Canossa, mons. Pio Vidi e P. serafino
Inama, quando assistettero alla nascita dell’Istituto. Il Piccolo seme
s’e fatto pianta rigoglioso che oggi, attraverso le figliare, si espande
in tutta Italia e all’estero.
Accanto ai rami tuttora in vigore, altri erano spuntati e dettero
frutti per un po’ di tempo, come le prime case di Tiarno e di Gargnano. Ebbero la vita più. Ebbero la vita più o meno lunga, più o meno
stentata; e al tempo giusto furono tolti dall’albero, onde permette alla
linfa di correre in altre parti, ove urgeva il bisogno o più abbondante
era la fruttificazione.
Mutano i tempi, e coi tempi mutano le persone e le istituzioni.
Mancanza quasi assoluta di mezzi o impossibilità di attendere alle
pratiche religiose (ché pure nella suora di vita attiva non può avere
malta trascurando Maria)affrettarono il declino. Le due guerre mondiali, inoltre, hanno provocato la chiusura di numerose filiali; le suore tornate alla Casa Madre furono inviate a rinvigorire le attività delle
case esistente o ad aprirne altre.
Asili, orfanotrofio, collegi e scuole parificate, ospedale, case di
cura, ricoveri,… sarebbe vano lo sforzo di chi presumesse descrivere
tutto il bene operato in questi luoghi benedetti prima di tutto perché
le Piccole Suore, ad imitazione dei Fondatori e delle sorelle della
prima generazione, il bene preferiscono farlo, anzi che documentarlo
sulle riviste e sui libri, e se oggi intendono riesumare e fissare sulla
carta quei tempi eroici, lo fanno a scopo di edificazione, quale eccitamento a ben operare, valido per sé e per le consorelle future. Che in
oltre riuscirebbe ad elencare il bene che diffondono attorno a sé centinaia e centinaia di religiose, quando curano nei bambini la vita in
fiore, quando assistono le giovani che affrontano i problemi della vita, quando leniscono con la loro presenza le sofferenze dei ammalati,
quando la loro letizia interiore e la costante amorevolezza rende ai
vecchi più serena l’attesa della morte?
Certo, come in tutte le imprese umane anche le più generose, non
mancate debolezze e cedimenti. Le vicende
102
delle filiale riproducono, in parte, la vita delle figlie. Ci furono di
quelle che, dopo aver posto mano all’aratro con entusiasmo si voltarono indietro; dopo aver immolato su l’altare la propria esistenza, a
servizio di Dio e del prossimo, l’offerta e tornarono alla vita facile. A
fianco del soldati valorosi che si battono gagliardamente sino alla fine, non mancano mai i disertori e i vinti, che vengono meno per esaurimento e forse perché non hanno temuto abbastanza il nemico.
Parlando delle glorie d’una famiglia religiosa, vogliamo ricordare
anche questo aspetto triste, anche non deve recar meraviglia. D’altra
parte, la defezione di poche, che lasciano il convento, rende più luminosa la generosità delle molte che restano fedeli all’ideale.
Rinnovata approvazione delle Costituzione
Il secondo decennio dell’Istituto si apre con l’approvazione definitiva delle costituzioni da parte della curia di Verona.
Al Cardinale Luigi di Canossa era succeduto, a reggere la diocesi,
il cardinale Bartolomeo Bacilieri. Fin da quando era vescovo coadiutore, il Bacilieri era stato il confidente e il consigliere di Don Nascimbeni ed aveva assistito con simpatia alla nascita della congregazione. Anche in seguito si interessò delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia, e quando alcuni sacerdoti troppo zelanti riferirono a Verona notizie non vere o comunque esagerate a carico del Fondatore,
mons. Bacilieri lo difese, appunto perché conosceva a fondo lo zelo e
la rettitudine del parroco di Castelletto.
La diffusione dell'Istituto in altre diocesi e il moltiplicarsi delle attività rendevano opportuna la revisione delle Costituzioni: compito
che spettava di diritto alla curia di Verona. Il cardinale Bacilieri chiese informazioni presso gli ordinari delle diocesi, in cui le Piccole
Suore tenevano filiali. Suggerì alcune modifiche, altre erano state
chieste dal Fondatore. E quando le Costituzioni ritoccate erano pronte, le trasmise a Castelletto,
103
accompagnandole con il seguente scritto compiacente ed augurale:12
Nell'atto di trasmetterle le Costituzioni di codesto Istituto da lei fondato delle
«Piccole Suore della Sacra Famiglia», abbiamo la consolazione di poterle dire che,
dopo averne preso accurato esame, ben volentieri le approviamo. Vogliamo insieme rallegrarci con lei per la inaspettata espansione conceduta dal Signore al novello Istituto in questi primi anni di prova, e per il buono spirito di cui si mostrano informate le suore, come apparisce dalle onorifiche testimoniali loro rilasciate dai
molti reverendi parroci nella giurisdizione dei quali si sono finora stabilite.
Faccia Iddio con la sua grazia che quest'opera, come il grano di senape dell'Evangelo, cresca e si sviluppi sempre meglio. alla maggiore sua gloria, ad onore della Sacra Famiglia e al benessere materiale e morale delle nostre popolazioni.
L'Istituto contava centocinque suore; dieci erano morte. Aveva
aperto una ventina di filiali, distribuite nelle seguenti diocesi: Brescia, Mantova, Milano, Trento, Verona, Vicenza.
Il Decreto di lode
Avuta l'approvazione dalla curia veronese, si pensò a Roma per
ottenere quella pontificia. Il Fondatore pregò e fece pregare a lungo
le suore onde conseguire l'alto riconoscimento, che avrebbe conferito
stabilità e prestigio all'Istituto.
Le pratiche si protrassero per alcuni anni, durante i quali le competenti autorità seguirono da vicino gli sviluppi e lo spirito della novella Congregazione. L'aumento continuo delle suore e delle filiali,
ed ancor più le buone informazioni fornite dagli ordinari interpellati,
indussero la Congregazione dei Religiosi a concedere il Decreto di
lode il 26 agosto del 1910. Il giorno seguente, la decisione dei membri consultori fu confermata dal papa S. Pio X; e il 7 settembre, vigilia della Natività di Maria, venne stilato il venerato documento e
spedito a Verona. In esso
12
Lettera del card Bacilieri del l° gennaio 1903, trascritta in Documenta, p. 44.
104
si rileva con compiacimento la rapida espansione dell'Istituto che, in
meno di vent'anni, conta 64 case e 320 membri.
Il fausto avvenimento allietò tutta la Congregazione. La Superiora
Generale, madre Maria, ne era stata informata prima ancora che
giungesse il decreto e subito scrisse a tutte le suore una circolare, che
comincia cosi:13
Carissime nella Sacra Famiglia: Alleluia, Alleluia, Alleluia!
Evangelizo vobis gaudium magnum. Vi do una consolante notizia.
Esultiamo, che i nostri voti finalmente sono adempiuti. Ieri, festa
dell'Immacolato Cuore di Maria, ci giunse da Roma la lieta notizia
dell'Approvazione.
L'autorevole riconoscimento da parte della Chiesa sospinge le
suore verso l'ideale, mediante l'osservanza fedele dei santi voti e della Regola:
Ora la Chiesa ci considera una sua gemma, una sua gloria, e ci
annovera nella schiera numerosa di tanti altri santi istituti. Essa aspetta da noi il massimo bene in mezzo alla società; ma perché non
abbia a rimanere delusa nelle sue speranze, dobbiamo tener di mira
lo scopo principale del nostro Istituto ch 'è quello della santificazione propria per mezzo dei santi voti di povertà, castità, obbedienza ...
Amiamo dunque, stimiamo, osserviamo scrupolosamente la nostra
Regola, e teniamola come sacro deposito.
All'impegno di fedeltà alle regole approvate, si associa la gratitudine verso il Padre della Congregazione e il proposito di seguirne
gl'insegnamenti:
A chi dobbiamo questa nostra felicità? A colui che diede alla
Chiesa quest'opera santa, al nostro amatissimo e veneratissimo Padre. Congratuliamoci con lui, che l'opera sua ha trovato grazia davanti a Dio e alla Chiesa,
13
La circolare non porta la data; dal testo s'arguisce che fu scritta il 28 agosto.
105
e da qui in avanti teniamo come oracolo ogni sua parola, ogni consiglio, ogni comando che esce dalla sua bocca. Apprezziamo le sue
correzioni, le ammonizioni, i rimproveri, i castighi, perché lui è destinato dalla Provvidenza a lavorare, raddrizzare, fortificare, perfezionare l'opera da lui fondata e da Dio voluta per l'opportunità dei
tempi.
In particolar modo dovevano esser rese grazie a Dio, datore d'ogni
bene, e pertanto la Madre continua:
Non potete immaginare come esultassero ieri sera i nostri cuori.
Abbiamo dato sfogo alla nostra immensa felicità con rallegramenti
improvvisati, abbiamo esposto il SS. Sacramento e cantato solennemente il Te Deum. Così voi pure rallegratevi e di cuore ringraziate il
Signore.
Poiché la Congregazione aveva pregato con tanta insistenza per
ottenere il riconoscimento pontificio, era doveroso adesso rendere
grazie insieme e in maniera solenne. Con tali intenzioni la Superiora
dispone che, nella cappella della Casa Madre, resti esposto il Santissimo per 36 ore consecutive, dalle 6 del 15 settembre alle 18 del 16.
Anche le sorelle, che si trovano nella filiali, debbono unirsi a questo
coro di lode e di ringraziamento, impegnandosi ciascuna a passare tre
ore in preghiera davanti al santo Tabernacolo.
Poi la Madre conclude lo scritto col grido d'esultanza con cui l'aveva iniziato, rinnovando l'incitamento ad una vita santa:
Alleluia, Alleluia, Alleluia! Con la santità della vita rendiamoci
dunque degne della grazia preziosissima ottenuta, e raddoppiamo lo
zelo, l'energia, il vigore, per glorificare la Sacra Famiglia e per concorrere con tutte le nostre forze alla salvezza delle anime, alla prosperità e alla santificazione del nostro Istituto.
I festeggiamenti esteriori furono rimandati alla prima decade di
novembre, quando a Castelletto si sarebbe commemorato il 111 centenario della canonizzazione di S. Carlo
106
Borromeo, patrono primario del paese. Essi durarono tre giorni, con
larga partecipazione del clero e di fedeli. A rendere più solenni le
funzioni intervenne mons. Adamo Borghini, vescovo ausiliare di Ferrara.
L'ultimo giorno fu dedicato a commemorare l'approvazione pontificia delle Costituzioni. Dalle case filiali, in rappresentanza di tutte le
suore, erano convenute a Castelletto le superiore. Il vescovo ospite
tenne un solenne pontificale nella cappella dell'Istituto. Poi discorsi,
canti, preghiere; rallegramenti rivolti al Fondatore e alla Confondatrice, gioia su tutti i volti, e propositi di rinnovata fedeltà all'ideale.14
14
Questa condivisa esultanza viene documentata dalla rivista dell'Istituto, il Nazareth, nei numeri
di ottobre, novembre e dicembre dell'anno 1910
107
CAPO TERZO
L'ISTITUTO DAL 1910 AL 1914
A colmare la gioia per l'ottenuto Decreto di lode, pochi mesi dopo
i Fondatori furono ricevuti in privata udienza dal Romano Pontefice.
Il colloquio si protrasse per venti minuti, e fu cordialissimo. Il Santo
Padre chiese informazioni su l'Istituto, e volle sapere il numero delle
suore e delle filiali e quali attività svolgevano; esortò, quindi, a lavorare alacremente a gloria della Sacra Famiglia e per la salvezza delle
anime.
Il compiacimento del papa S. Pio X
Prima di accomiatarli, il papa strinse affettuosamente la mano al
Fondatore, concedendogli la facoltà d'impartire la benedizione papale
ai fedeli di Castelletto e a tutte le suore della Congregazione; poi benedisse lui e la Madre Generale, e intese benedire anche tutti i membri e le opere dell'Istituto. Riferendo il fatto, che viene definito «la
più cara, la più consolante, la più preziosa delle notizie», il Nazareth
cosi commenta:
Quali sentimenti di profonda venerazione, di vivissimo affetto, d'intensa gratitudine, d'immensa gioia provassero in quei venti minuti i nostri reverendissimi Superiori, solo Gesù benedetto poté comprenderli interamente... Furono istanti tanto
dolci e commoventi che a parole non si possono esprimere. Essere ai piedi del Vicario di Cristo!... Parlare con Lui... sentire quella voce dolcissima che scuote tutte
le fibre dell'animo... essere da Lui benedetti... Quale felicità! quale grazia straordinaria!... Possiamo dire con tutta verità che in quei venti indimenticabili minuti, che
resteranno
108
indelebili nei nostri cuori e nella storia dell'Istituto, i nostri amatissimi Superiori si
scordarono di essere in terra e pregustavano le dolcezze del paradiso.1
Né sono parole vuote o esagerate, queste. Per chi ha fede, e i venerati Fondatori - dicono - ne avevano tanta, avvicinare il papa è avvicinare, quasi sensibilmente, Dio. D'altra parte, era la prima volta
che il Padre e la Madre della Congregazione s'inginocchiavano davanti al Padre comune e affidavano, a lui e ai successori di lui, tutte
le figlie presenti e future.
Quel primo incontro avvenne sotto gli auspici della Madonna.
S'era difatti in maggio, nel giorno 24 del mese, festa di Maria Ausiliatrice.
Il Padre è nominato «Protonotario Apostolico»
Prima che si chiudesse l'anno 1911 giunse da Roma un augusto
documento del santo Padre, che conferiva «al diletto Figlio Giuseppe
Nascimbeni» la dignità di Protonotario Apostolico? 2
L'onorificenza fu sollecitata dalla curia di Verona, in particolare
dal cardinale Bartolomeo Bacilieri, a giusto riconoscimento delle benemerenze che s'era acquistato il Parroco e il Fondatore.
A tale nomina plaudirono i confratelli della diocesi, esultarono i
buoni parrocchiani di Castelletto, in particolar modo ne fu lieta la
Congregazione. Nell'opera del Padre venivano riconosciute e lodate
anche le figlie. Infatti la motivazione più valida per il conferimento
del titolo, proveniva dall'aver egli «fondato a bene e a vantaggio della Chiesa, non badando a cure e spese, la pia ed utile Congregazione
delle Piccole Suore della Sacra Famiglia».
1.
Nazareth, 6 (giugno 1911) p. l.
Il biglietto della Segreteria di Stato, col quale don Giuseppe Nascimbeni, parroco di Castelletto sul
Garda, viene elevato alla dignità di «Protonotario Apostolico», porta la data del 15 dicembre 1911: cf.
Acta Apostolicae Sedis, 4 (1912) 134.
2.
109
Dopo il Decreto di lode, dopo la privata udienza concessa ai Fondatori da S. Pio X, era questo il terzo riconoscimento pontificio che
veniva alla distanza di pochi mesi. Il Fondatore e l'Istituto non potevano desiderare un collaudo più paterno ed autorevole.
E poiché il titolo avrebbe contribuito alla gloria della Sacra Famiglia e a vantaggio della Congregazione, il Padre si sottopose all'imbarazzo che gli procuravano gli onori. Accettò dunque e ringraziò il
cardinale Bacilieri, pur dichiarandosi, nella lettera inviata, «umiliato
nel fango delle mie molte e grandi miserie».
Accettò il titolo e accettò la festa, che venne celebrata con grande
solennità il 3 marzo del 1912. Ma non tollerava che le sue figlie, in
base al titolo, lo chiamassero Monsignore. «Che monsignore» protestava «chiamatemi padre!».
«Pochi giorni prima della festa il maresciallo di Malcesine, venuto
a Castelletto e incontrato un prete per la strada, gli chiese:
- Saprebbe dirmi che cosa faranno domenica?
- Mah! credo si faccia una funzione per le anime del purgatorio.
- Come? Mi han detto che si festeggia l'arciprete per l'onorificenza datagli dal Papa.
- Cosa vuole che a Roma si occupino di questo parroco di campagna?
- Scusi, mi fa meraviglia che un prete disconosca i meriti di chi è
stimato da tutti. Chi è lei, per favore?
- Il parroco, e niuno mi conosce meglio di me.
Il maresciallo alzò la mano alla visiera e salutò militarmente» (T.,
p. 423).
Nonostante le resistenze del Parroco, paese e Istituto si dettero la
mano per solennizzare convenientemente l'onorificenza che il Padre
comune aveva conferito alloro «Padre». Il cappellano don Angelo
Zamperini dirigeva i preparativi nella parrocchia; in convento presiedeva la madre Maria Mantovani. «Il paese pavesato presentava un
aspetto insolito; per tutto
110
un affaccendarsi... e il Padre rideva dell'imbarazzo generale, quasi
non si trattasse di lui. Pensava solo ad utilizzare la festa per rendere
migliori i figli».3
Infatti, per l'occasione, organizzò un triduo solenne ad onore della
Sacra Famiglia. E al mattino della festa i parrocchiani s'accostarono,
unanimi di numero e di sentimenti, alla comunione, perché sapevano
che quello era il modo più efficace per rendere felice il festeggiato.
«Assistevano, nel bianco costume, quasi diaconesse, le suore».4
Il neo-Protonotario prestò giuramento e venne vestito con le insegne dal delegato del cardinale Bacilieri; poi celebrò il primo pontificale. Con i parrocchiani e il clero dei dintorni, partecipavano le suore, gli asili di Torri e di Castelletto, le orfanelle, le confraternite nelle
caratteristiche divise, gli oratori al completo. Più che del Padre, pareva la festa dei figli.
All'armonia dei cuori dovevano corrispondere le musiche della
banda e lo scoppio dei fuochi artificiali, che a Castelletto entravano
nei programmi delle grandi solennità, dopo le funzioni in chiesa. Il
maltempo costrinse a rimandare al lunedì le luminarie e il giubilo serali.
Il paese festeggiò alla domenica il Parroco, il dì seguente le suore
celebrarono il Fondatore. Egli dovette ripetere il pontificale nella
cappella dell'Istituto alla presenza di tutte le superiore che la Madre
Generale aveva convocato per la circostanza. A pranzo sedette a tavola cordialissimo, circondato dalle suore e dalle orfanelle. Era il
pranzo del «Padre» con le figlie, e con le figliuoline delle figlie: il
Fondatore si sentiva al suo posto. Si sentiva al suo posto anche durante l'accademia pomeridiana, nella quale recitarono i bambini
dell'asilo e le orfanelle, mentre due suore - a nome proprio e di tutte
le consorelle - dissero al venerando festeggiato le cose più belle e più
vere.
3
4
Nazareth, 7 (marzo 1912) p. lo
Ivi.
111
Chi però aveva maggiormente tripudiato in quei giorni di comune
esultanza, era la Madre Generale. Nell'intimità del suo cuore ella poteva abbandonarsi alla gioia, senza timore di uscire dal suo ambito
nascondimento o di cedere alla vanagloria. Era la festa del «Padre»:
del padre suo e delle sue figlie, che in quei giorni veniva degnamente
onorato. E quegli onori provenivano dal Papa, dal cardinale di Verona, dai sacerdoti del vicariato, dalle autorità, dai parrocchiani, da tutti. Queste dimostrazioni di stima e di affetto, tributati al «Padre», facevano un gran bene alla «Madre», molto più che se fossero stati resi
a lei; e nel suo cuore di figlia devotissima s'accrebbe il desiderio di
collaborare incondizionatamente col Fondatore, a gloria della Sacra
Famiglia e per l'incremento dell'Istituto.
La vita dell'Istituto in questi anni
Il tempo che intercorre tra il 1910 e il 1914 è dei più floridi nella
storia della Congregazione.
Il Decreto di lode e l'udienza concessa ai Fondatori dal Romano
Pontefice avevano riempito tutti i cuori d'un sincero entusiasmo. Le
suore sparse nelle filiali gareggiavano con le sorelle rimaste a Casa
Madre, nello spirito interiore e nell'operosità, per appagare le aspettative del papa e dei vescovi, nelle cui diocesi prestavano la loro opera.
La elevazione del Fondatore alla dignità di Protonotario Apostolico
aveva rinvigorito quell'entusiasmo e quei generosi propositi.
Il Padre sessantenne, ancora vigoroso e intraprendente, aveva raggiunta la piena maturità e come parroco e come fondatore. Eretta ed
abbellita la nuova chiesa, nuovi il campanile e l'abitazione del parroco, rianimate le confraternite già esistenti ed altre opportunamente
introdotte ... non c'era che da seminare nel solco laboriosamente scavato. I corsi di catechismo, le assidue predicazioni, le conferenze
specializzate, le feste e le devozioni, i sacramenti frequentati, e anzi
tutto l'esempio e lo zelo del parroco avevano riformato i parroc-
112
chiani. Il volto del paese era cambiato, mentre l'Istituto che in esso
teneva la Casa Madre e il noviziato gli apportava lustro e rinomanza.
Il popolo di Castelletto andava orgoglioso del suo pastore, e il pastore sfruttava l'ascendente goduto per condurre tutti al bene.
Anche come fondatore, don Nascimbeni trascorreva gli anni più
belli e fecondi. Ampliata la Casa Madre, si pensò all'erezione d'una
cappella, capace di accogliere le suore che, in occasione degli esercizi spirituali, tornavano a Castelletto, accanto al Padre e alla Madre.
La santità personale maturata con gli anni e l'esperienza fatta a
contatto con le figlie davano al maestro abilità e prestigio. Ed abile e
deciso, dopo le incertezze e gli abbagli dei primi tempi, egli era altresì nel governo delle filiali.
Nella formazione delle suore e nella direzione dell'Istituto, il Padre trovava un aiuto validissimo nella Confondatrice e in suor Fortunata Toniolo. La prima aveva toccato i cinquant'anni, l'altra aveva
superato i quaranta. Entrambe in forze, entrambe animate da fattiva devozione verso il Fondatore, tutte e due provette nel compito assegnato. Madre Maria seguiva da vicino le suore e sorvegliava la coltura delle nuove pianticelle che man mano venivano a Castelletto, a
prendere il loro posto nel giardino della Congregazione. Suor Fortunata peregrinava da una casa all'altra, per trasmettere ordini o prendere informazioni.
V'erano poi ottime superiore, sorelle della prima ora, ch'erano cresciute accanto ai Fondatori nel clima del primitivo fervore. Oltre a
dirigere le attività della casa, erano intente a mantenere vivo nelle figlie il buono spirito. E a fianco delle superiore lavoravano suddite
esemplari, prive forse d'istruzione e di apparenze, ma semplici e docili come bambine, laboriose e generose nel dono di sé. Con l'esempio, con il lavoro e la preghiera edificavano il prossimo e facevano
prosperare le opere dell'Istituto.
Vescovi e parroci esprimevano, ammirati, sensi di compiacenza e
gratitudine. Ma più ambito e cercato era il compiacimento
113
di Dio, che intanto moltiplicava le vocazioni. Le vocazioni, a loro
volta, aumentavano la trepida gioia del Padre e della Madre, intenti a
formare, sul proprio stampo, le figlie.
La crescita delle figlie consentiva l'apertura di nuove filiali. Infatti, dal 1910 al 1914, ne sorsero una quarantina, in Italia e nella Svizzera. Molte di esse, tuttora esistenti, hanno avuto notevole importanza nella vitalità dell'Istituto.
Questi anni sereni, che sanno di primavera e di sole, vengono rattristati prima dalla guerra mondiale, poi dalla malattia e progressiva
inoperosità del Fondatore che dal pieno meriggio declina, lentamente, verso il tramonto.
114
CAPO QUARTO
DURANTE LA GUERRA MONDIALE
(1914-1918)
Inumana, micidiale, venne la guerra a portar via la serenità sul
volto di tutti. Venne a strappare dal focolare i figli, i mariti, i padri, e
li portò sui fronti: a combattere, a uccidersi, a morire.
Scoppia la guerra
Scoppiò il 28 luglio del 1914, quando l'Austria mobilitava contro
la Serbia; poi l'una dopo l'altra, quasi trascinate da una forza ineluttabile, le nazioni corsero alle armi: e l'Europa si ridusse ad un immenso
arsenale, a un campo di battaglia, a un cimitero. Paesi invasi, case e
beni distrutti, cittadini deportati; e sui fronti, morti e feriti a milioni.
Ma perché? A sentire i capi di allora, tutti avevano ragione; ognuno
rivendicava il diritto di impugnar le armi, di dichiararsi nemico a
qualcuno, di ferire e di uccidere.
Così, per quattro anni e dei mesi si protrasse «l'inutile strage»: e
per due decenni fu detta «la guerra mondiale», ma oggi la chiamiamo
«la prima guerra mondiale», per raffronto con l'altra (1940-1945),
che fu ancor più feroce e letale.
Le Piccole Suore della Sacra Famiglia, come tante altre congregazioni religiose, furono travolte nella tormenta. L'Istituto aveva molte
filiali nei territori contesi, a Trento, a Trieste, nel Veneto. All'inizio
della guerra, parecchie case furono inevitabilmente chiuse e trasformate in caserme od ospedali militari, disperse le suore o arruolate
come infermiere.
115
Suore internate
Quando entrò nel conflitto l'Italia, le suore italiane che si trovavano ancora sul territorio austriaco furono arrestate e internate nei campi di concentramento dell'Austria e della Boemia. Ebbero umiliazioni, subirono disagi d'ogni genere, soffrirono la fame, il freddo, l'immondizia dei treni e delle baracche, ora benvolute ora maltrattate.
Unico conforto: assistere alla messa e ricevere Gesù, e far del bene ai
compagni di sventura.
Il Fondatore, che tanto si dava pensiero per tutti i parrocchiani
chiamati alle armi, trepidava ancor più per le figlie lontane. Le seguiva continuamente, con il ricordo e con la preghiera, e quando riusciva, anche con la parola confortatrice e gli aiuti. Cosi la Madre Generale.
Dopo mesi di stenti e di peripezie, attraverso la Svizzera, le internate rividero l'Italia e tornarono a Castelletto, dal Padre e dalla Madre. Cessarono per esse le angustie e le trepidazioni e fu indescrivibile la gioia di ritrovarsi insieme nel tepore di Casa Madre, come nei
tempi più belli.
A servizio dei feriti
I soldati si cimentavano sui campi e nelle trincee. Le Piccole Suore della Sacra Famiglia combattevano anch'esse, a modo loro e con le
loro armi. Pregavano, anzi tutto, e facevano pregare perché cessasse
il flagello. Assistevano i bimbi di morti e dispersi in guerra, accogliendoli negli orfanotrofi della Congregazione. Massimamente poi si
prodigavano negli ospedali militari, a favore dei feriti che giungevano dal fronte.
Abbiamo già detto che diverse case, situate nelle zone del conflitto, furono adibite a raccogliere feriti. Alcuni ospedali, ove prestavano
assistenza le suore di Castelletto, da civili divennero militari. Altri,
costituiti all'uopo, vennero affidati alle nostre suore. In tutto furono
ventitrè stabili, oltre i provvisori,
116
con 170 suore per circa 10.000 degenti che si rinnovavano di continuo.1
Per mettere a disposizione delle autorità sanitarie quelle 170 consorelle, tutta la Congregazione s'era sacrificata. Già nel settembre del
1915, pochi mesi dopo l'entrata dell'Italia in guerra, la Madre Generale scriveva alle superiore locali:
Vi domandiamo una grandissima carità. Ci sono domandate continuamente suore per l'assistenza dei feriti; fino adesso ci siamo accomodati in qualche modo. Ma in seguito sarà un affar serio, mancandoci il personale... Quindi è necessario che ci aiutiate voi, ingegnandovi alla meglio e facendo con qualche suora di meno. Questa
fiorita carità, pensate come ve la renderà quel Gesù che tiene conto
perfino d'un bicchier d'acqua dato al prossimo per amor suo?2 Poco
dopo la Madre insisteva: Nell' ora presente non c'è opera più preziosa, più santa, Più necessaria, dell'assistenza ai poveri feriti? 3
Le superiore corrisposero generosamente; e pertanto s'intensificò
questo «lavoro assiduo, senza sosta, per il corpo e l'anima, per rispondere alle esigenze della vocazione, dei medici, dei superiori, dei
cappellani, degl'infermi, senza esagerazioni di zelo o preferenze:
trincea senza miraggio di gloria quaggiù, col pericolo di tisi, tifo, colera e d'altre infezioni ben più gravi» (T., p. 477). Per prevenire
quest'ultime, la Madre nelle circolari e le superiore locali si raccomandavano di frequente e davano, alle figlie più giovani ed inesperte, i suggerimenti opportuni.
Prudenza e carità erano le armi con le quali la Piccola Suora conduceva la sua battaglia, accanto ai soldati feriti. La carità poi andava
oltre i corpi lacerati dalle pallottole o dalle granate; voleva giungere
ai cuori esasperati per consolarli, e si proponeva di curare le anime
sovente più malate dei corpi.
1
Per notizie più dettagliate, vedi GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbemi, pp. 477-
2
Circolare del 3 settembre 1915.
Circolare del 14 ottobre 1915.
489.
3
117
Molti soldati e ufficiali erano stati chiamati alle armi dopo una
giovinezza inquieta. La guerra non li aveva resi migliori, anzi aveva
inaspriti gli animi, allontanandoli da Dio. Più d'uno aveva perso la
fede; o se la fede non era spenta, mancava la pratica religiosa e l'obbedienza al decalogo. Dal fronte i feriti venivano portati negli ospedali militari, disfatti nel corpo e nello spirito. Dopo mesi di guerra, di
disagi, d'insidie e di ferocia, la suora simboleggiava per essi la pace e
l'amore fraterno, e ridava fiducia nella vita. La sua amorevolezza
premurosa faceva pensare alla mamma e alle sorelle lontane, mentre
l'abito religioso e la condotta intemerata inducevano a rimpiangere
gli anni dell'innocenza. In tal modo la grazia di Dio si faceva strada
in quelle anime bruciate. Dopo anni di sbandamenti, molti soldati
andavano a confessarsi; poi tornavano dalla suora infermiera, per
ringraziarla, per dirle che avevano ritrovato se stessi e che avevano
tanta pace nel cuore.
Ci furono conversioni insigni che suscitarono scalpore e commenti;
ma per lo più il bene rimase nascosto nel segreto delle coscienze, noto soltanto a Dio e agl'interessati.
Questa attività umanitaria e religiosa, a bene dei corpi e delle anime, durò quattro anni quanto la guerra. E pur lavorando per Dio solo,
le Piccole Suore ebbero ringraziamenti ed encomi da parte delle autorità militari e sanitarie. Direttori d'ospedali e medici, in documenti
autorevoli,4 elogiano «la carità cristiana», «lo spirito di sacrificio»,
«la rara abnegazione», «la disciplina e il contegno irreprensibile»,
«l'amore veramente materno», con cui le Piccole Suore della Sacra
Famiglia, dislocate nei diversi ospedali militari, si prodigarono a servizio del prossimo e della patria.
4
Alcuni di questi documenti sono trascritti da GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni,
pp. 486-488.
118
La generosa prestazione nelle altre case
Alla generosità delle sorelle addette all'assistenza dei soldati feriti
o infetti faceva degno riscontro la generosità delle sorelle rimaste
nelle filiali. Per esse il lavoro s'era raddoppiato. Molto personale, e
sovente il più qualificato, era stato richiesto per il servizio negli ospedali militari. Si dovette pertanto provvedere alla meglio, sovraccaricando di lavoro le suore rimaste. Anzi che scemare, l'attività aumentava di giorno in giorno. Bisognava ospitare profughi, assistere i
figli dei richiamati, alloggiare le orfane di guerra; occorreva dispensare refezioni, confezionare calze, fasce e vestiario per i soldati e per
i profughi. La ristrettezza e la povertà dei nuovi locali (i migliori erano stati requisiti o ceduti volontariamente) rendevano più penosa la
quotidiana fatica.
Eppure si lavorò con lena e con quello spirito di sacrificio che gli
anni tristi della guerra esigevano. Si lavorò con umiltà e disinteresse,
con intenti nobili, secondo lo spirito dell'Istituto e gl'insegnamenti
che giungevano dalla Casa Madre.
Da Castelletto infatti, con le parole e con gli esempi, le sorelle
delle filiali venivano di continuo edificate. Qui fin dal giugno del
1915 fu costituita un'ambulanza gratuita; la chiesa vecchia fu ceduta
ai soldati, ai quali furono dati «brande, lana, indumenti, carta e cera
per scaldaranci» (T., p. 491) . Le cucine economiche funzionavano
per preparare il vitto ai bambini dell'asilo, poi anche ai figli dei richiamati. Col tempo s'intensificò l'operosa attività assistenziale. Venivano curati i feriti di passaggio; la casa degli Ziparei fu trasformata
in lazzaretto per gli infettivi; la canonica nuova, con l'arredamento
nuovo, venne messa a disposizione del comando militare.
Con la disfatta di Caporetto crebbero i feriti e i profughi, e aumentò altresì la generosa prestazione nelle filiali e a Castelletto, ove si distribuivano indumenti e viveri. La Madre Generale, come una suora
qualunque, s'aggirava in cucina tra le pentole, «guardava, assaggiava,
suggeriva quello che era più conveniente»; all'occorrenza «rimboccava le maniche, metteva
119
il grembiule»,5 poi prendeva il mestolo in mano per dispensare zuppe
e minestre calde. I soldati ne erano commossi; ed uno di loro, dopo
alcuni decenni, rammentava ancora «la Madre» già defunta, e diceva
ad una Piccola Suora della Sacra Famiglia:
Quando mandate vostra Madre su gli altari? Che santa! Mi sembra ancora vederla. Quanta carità in quel cuore! Quando siamo passati durante la guerra del
quindici, ci ha sfamati tutti. Se non era lei, in quel giorno saremmo morti di fame.
La vostra Madre la tengo sempre presente nel mio cuore, e non scorderò mai la sua
bontà.6
Il Signore benediceva tutta quella operosità che le Piccole Suore
svolgevano a favore dei bisognosi negli ospedali militari, nelle filiali
e presso la Casa Madre. Nonostante quei tempi tormentati, le vocazioni crescevano e la Congregazione continuava la sua marcia d'espansione. Dal 1915 al 1918 furono aperte una ventina di filiali in diverse diocesi d'Italia. Altre sedici s'aggiunsero nel triennio successivo, che si chiude con la morte del Fondatore.
5.
Testimonianza di suor Adeodata Livio, entrata nel 1916. Durante la guerra, la Livio fu addetta ai
lavori di cucina presso la Casa Madre.
6.
Testimonianza di suor Adina Petroselli, entrata nel 1927.
120
CAPO QUINTO
MALATTIE E MORTE
DEL FONDATORE
(1916-1922)
L'attività instancabile di mons. Giuseppe Nascimbeni s'arrestò, per
parecchie settimane, quando stava per compiere i sessantasei anni.
Le fatiche apostoliche, le veglie, le preoccupazioni, i dispiaceri, ed
ultima e più infausta la guerra che mise in pericolo i parrocchiani, le
figlie e le filiali, ne logorarono la robusta fibra.
Il primo attacco del male
Il 31 dicembre del 1916 il Padre si sentì venir meno, e si temette
di perderlo. Fu una trepidazione generale, una comune costernazione.
La Madre ne dava subito il triste annunzio alle figlie disperse nelle
filiali, e ordinava preghiere.
Con immenso strazio vi partecipiamo che il nostro carissimo Padre è aggravato. Recitate per lui le preghiere della raccomandazione
dell'anima. Scongiurate la Sacra Famiglia a farcelo guarire.1
Giunsero telegrammi da ogni parte; personaggi illustri mandarono
lettere di cordoglio; qualche suora offrì la propria
1
Circolare del 31 dicembre 1916.
121
perché fosse salva la vita del Fondatore. Nella cappella dell'Istituto e
nella chiesa parrocchiale fu esposto il Santissimo, e si pregò giorno e
notte. Le suppliche di Castelletto s'incrociarono con le preghiere che
si elevavano al cielo da tutte le filiali; e vennero esaudite. Dopo tre
giorni dall'attacco apoplettico, mons. Nascimbeni era fuori pericolo,
e la Madre Generale scriveva tosto alle suore lontane:
Desiderosa di sollevarvi dall'angoscia che giustamente vi opprime, mi affretto a parteciparvi che il nostro amatissimo Padre, per
grazia della Sacra Famiglia, di Gesù Sacramentato e della cara Immacolata di Lourdes, ha superato la crisi del male ed ora è in via di
miglioramento? 2
La ripresa fu costante, ma lenta, e ciò manifesta la gravità del male. Nel Nazareth di febbraio si comunica:
Il nostro veneratissimo Padre Fondatore va sempre più meravigliosamente migliorando. Il prossimo mese di marzo, che è pure il
mese consacrato dalla Chiesa in modo particolare all'inclito patrono
S. Giuseppe di cui l'illustrissimo Monsignore degnamente porta il
nome, lo vedrà nuovamente all'altare con riconoscenza e giubilo di
tutti. 3
Neppure in marzo il Padre fu in grado di alzarsi per celebrare. Solo verso la fine di aprile la Madre poteva comunicare alle suore: «il
carissimo Padre va sempre più guadagnando in salute e certo prestissimo celebrerà la santa messa. Potete immaginare quanto siamo contente ... ».4 L'infermo infatti riprese a celebrare il giorno 26 dello
stesso mese, festa della Madonna del Buon Consiglio. La Madre pertanto si affrettava a porre un poscritto in calce alla medesima lettera,
nel quale diceva:
Mentre la circolare va in macchina, commosse ed esultanti della
gioia Più intensa, vi notifichiamo che oggi 26 aprile, alle ore 7 anti2
3
4
Circolare del 3 gennaio 1917.
Nazareth, 12 (febbraio 1917) p. 3.
Circolare del 24 aprile 1917.
122
meridiane, il carissimo Padre per la prima volta celebrò la santa
messa nella sua camera. Ringraziamone assieme all'onnipotente Gesù vivo nella SS. Eucaristia, la nostra cara Immacolata di Lourdes e
il nostro potentissimo patriarca S. Giuseppe, e recitiamo per tre
giorni il Te Deum. 5
Il venticinquesimo dell'Istituto
A rendere più piena la gioia per la ricuperata salute del Padre, pochi mesi dopo l'Istituto celebrava il venticinquesimo di fondazione.
S'era in guerra; non era opportuno vestirsi a festa, mentre la madre
patria era in lutto. Quei giorni di giubilo inoltre, per fatale coincidenza, vennero a cadere nei momenti più tristi, quando le nostre truppe
ripiegavano a Caporetto.
Da mesi era stato fissato il programma dei festeggiamenti; poiché
il programma non sconveniva con i gravi avvenimenti in corso, venne eseguito a Castelletto e nelle filiali nella prima decade del novembre 1917. Nel darne l'annuncio ufficiale alle sorelle lontane, l'assistente generale suor Fortunata Toniolo, a nome anche delle consigliere generali, sottolineava lo spirito col quale andava celebrata la fausta
ricorrenza:
Carissime nella Sacra Famiglia: Certo non occorre la nostra debole parola per animarle a prepararsi bene per le prossime solenni
feste del venticinquesimo del nostro carissimo Istituto, perché tutte
sappiamo che passato una volta non ritorna più. Verrà il cinquantesimo, ma di noi più vecchie ben poche ce ne saranno; quindi tutte animate da un vero spirito di unione, di amore, di concordia, giacché
abbiamo l'immensa straordinaria grazia di avere i nostri carissimi e
reverendissimi Superiori Generali, specialmente il nostro carissimo
e santo Padre Fondatore, riscaldiamoci fortemente tutte di santo entusiasmo per prepararci il meglio possibile a queste sante feste, onorando nelle persone dei nostri reverendissimi Superiori l'immagine
viva e parlante della Sacra Famiglia.1
5
6
ivi.
Circolare particolare del 17 luglio 1917.
123
Con l’intento di rinnovare gli animi, furono indetti diversi corsi di
esercizi spirituali, nonostante che la guerra rendesse difficile
l’afflusso delle suore alla Casa Madre. L’ultimo fu dedicato alle superiore locali che presenziarono poi, a nome di tutte le suore, ai festeggiamenti di novembre.
L’iniziativa più caratteristica presa in quella occasione fu la fondazione d’un orfanatrofio per venticinque bambine, dai tre ai sei anni e
preferibilmente orfane di guerra. Vennero chiamate « Le orfanelle
dell’Immacolata di Lourdes » e portavano una particolare divisa,
consistente in una veste bianca e fascia azzurra. Nel regolamento per
l’accettazione, inviato alle superiore locali, la Madre Generale illustrava il significato e le finalità dell’iniziativa:
Il Pio Istituto della sacra Famiglia, in Castelletto sul Garda, a)
per ricordare il suo primo venticinquesimo dalla fondazione, b) per
onorare sempre più la cara Immacolata di Lourdes in questo suo
santuario, 7 c) e per moltiplicare azioni di grazie al Cielo, per il nostro mons. Superiore e per tutti coloro che beneficarono e beneficheranno il Pio Istituto medesimo, dal giorno 6 novembre 1917, epoca
del fausto avvenimento, raccoglie in posti completamente gratuiti, 25
orfanelle, che prenderanno il nome Le orfanelle della Immacolata di
Lourdes.8
Da Desenzano e da Peschiera le venticinque fanciulline giunsero
in piroscafo a Castelletto il 5 novembre. A riceverle scesero al porto
la Madre Generale, le suore e «le orfanelle di S. Giuseppe», ch’erano
appunto 19 come, dopo pochi mesi saranno 19 «gli artigianelli di S.
Giuseppe a Toscolano. La Madre, «vestita in bianco», baciò le piccine una ad una «distribuendo caramelle a tutte»; affacciato alla finestra della M
7
E’ la Grotta della B. di Lourdes, eretta nel 1914 nell’orto della Casa Madre. Se ne parlerà più a-
vanti.
8
Regolamento per l’accettazione gratuita di 25 orfanelle, prendendole da tutti i paesi dove abbiamo le nostre case filiali, come monumento perenne a Maria SS. Immacolata di Lourdes, a perpetuare la
memoria del 25mo anniversario del nostro Pio Istituto della Sacra Famiglia dalla sua fondazione 6
novembre 1892.
124
canonica, il Padre sventolava il fazzoletto. Un'orfanella di S. Giuseppe dette il benvenuto alle arrivate, esclamando: Viva le nostre sorelline! Le altre batterono le mani e per cinque volte gridarono: Evviva!
Poi ci fu la processione. Dietro il crocifisso venivano le orfanelle;
seguivano le probande, le novizie, le suore professe. Venticinque anni prima, nello stesso giorno, inghirlandate come regine, venivano
accompagnate processionalmente le prime quattro suore.
Dalla chiesa si passò alla sala capitolare, ove le piccole ospiti ricevettero di nuovo il saluto e dalla Madre furono presentate al Padre.
Nel refettorio nuovo fatto per loro vennero servite da sei suore biancovestite. In quel giorno erano loro al centro delle attenzioni e della
festa.
Nel pomeriggio il Padre e la Madre, accompagnati dalle suore,
portarono le innocenti davanti alla Grotta e le consacrarono alla Madonna. Da quel momento le venticinque si chiamarono ufficialmente
«Le orfanelle dell'Immacolata di Lourdes», e passarono sotto una
particolare protezione della Confondatrice. Quelle figliuoline ci tenevano al loro nome e alla loro divisa, e fin d'allora pensavano d'aver
diritto a un posto di predilezione nel gran cuore della Madre Generale. Dietro il suo esempio e per restarle figlia per sempre, più d'una,
fatta grandicella, decise di consacrarsi al Signore. Dall'orfanotrofio
passò in noviziato.
Prima che giungesse lo stormo delle orfanelle, s'era lavorato alacremente per preparare il nido: oratorio, refettorio, dormitorio; le
suore delle filiali avevano contribuito mandando corredini o impegnandosi a mantenere un'orfanella. Altri lavori erano stati eseguiti
per rinnovare ed ampliare i locali della Casa Madre, onde renderli
capaci di ospitare il numero crescente di suore con le molteplici attività.
Il 4 novembre, festa del patrono S. Carlo Borromeo, ricordava la
professione religiosa delle primogenite, fatta a Verona nella chiesa
delle Terziarie Francescane. Allora le Piccole Suore erano quattro,
adesso circa 500, delle quali 200 erano presenti
125
in quei giorni a Castelletto. Alla gioia delle vive dal cielo prendevano
parte le 53 sorelle defunte, che in terra avevano servito il Signore
dietro gli esempi e le direttive dei Fondatori.
I festeggiamenti più solenni furono fissati per il 6 novembre, giorno anniversario della fondazione. Le 200 suore presenti si erano spiritualmente preparate con un corso di esercizi, con ore di adorazione,
con propositi di rinnovamento interiore. Alloro fervore rispondevano
le preghiere e i propositi delle sorelle rimaste nelle filiali.
Quando il Padre s'appressò all'altare per il solenne pontificale, le
figlie furono prese da particolare commozione. Pochi mesi prima tutta la Congregazione trepidava per la sua vita; ora egli era lì, davanti a
tutte le superiore, nella maestà degli abiti prelatizi. Fra pochi istanti,
a nome suo e di tutto l'Istituto, avrebbe offerto a Dio il sacrificio della lode e del ringraziamento.
Un posto distinto era stato assegnato alla Confondatrice e alle tre
sorelle della prima ora, che nell'abito solenne di adoratrici, inghirlandate come quando giunsero da Verona, ricevettero la comunione dal
Fondatore e rinnovarono davanti a lui i santi voti. In quel momento
augusto, nel gaudio e nei propositi della Madre erano racchiusi il
gaudio e i propositi di tutte le figlie.
«Nella sala capitolare, all'agape, sotto il bassorilievo della Sacra
Famiglia, se ne ammirava l'immagine viva: il Padre (Giuseppe), la
Madre (Maria) e fra essi l'orfanellina, per Gesù che disse: Chi accoglie un pargolo accoglie me».9
9.
Il passo è tolto dal numero unico, pago 17, che don Trecca curò per la circostanza. La pubblicazione porta questo titolo: SEI NOVEMBRE 1892-1917: XXV anno dalla Fondazione dell'Istituto delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia in Castelletto di Brenzone sul Garda.
Col suo stile originale don Trecca descrive Castelletto, campo di lavoro di mons. Nascimbeni e culla dell'Istituto; parla del Padre, parroco e fondatore; illustra l'Istituto, del quale ricorda le origini, descrive la Casa Madre, enumera le cento filiali; riporta le congratulazioni e gli elogi che eminenti personalità
hanno espresso in occasione del venticinquesimo; chiude ricordando le 53 suore morte e la Madre vivente.
126
Nel pomeriggio gli asili di Torri e di Castelletto e le orfanelle di S.
Giuseppe inneggiarono nel teatrino al Padre, alla Madre, alle suore,
all'Istituto e al suo venticinquesimo, con canti e recite di poesie e
drammi.
Il dì seguente fu dedicato alle sorelle morte, e s'andò al cimitero
per i suffragi. A pranzo furono serviti 25 poveri del paese.
Le orfanelle, le morte, i poveri: queste opere di misericordia spirituale e corporale, assieme all'esposizione dei lavori (pizzi, merletti,
ricami, corredi, ecc.) eseguiti per la circostanza dalle suore e dalle
bambine, riassumevano la venticinquenne storia dell'Istituto.
Furono giornate di ringraziamento a Dio, di santi propositi e di
schietta gioia, quelle dedicate a commemorare il venticinquesimo.
Esse rimasero memorabili nella storia della Congregazione: come
una sosta di meritato riposo, dopo tanto lavoro; come un'oasi di fresco e di quiete, goduta per alcuni giorni all'ombra degli ulivi di Casa
Madre, mentre non molto lontano rumoreggiava, sempre minacciosa,
la guerra.
La «spagnola»
Nata durante la guerra e a causa della guerra, la «spagnola» ne
continuò gli orrori anche dopo l'armistizio. La moría fu tale che, dicono, fece più vittime la «spagnola» delle armi. Fu un nemico mortale, senza nome e senza trincea, che assaliva soldati e civili nelle città
e nei paesi. Tutti hanno avuto familiari o parenti tra i colpiti dall'inesorabile morbo, e chi ne uscì illeso, si reputò fortunato come se fosse
scampato da un comune naufragio. Ogni giorno si portavano morti al
cimitero, e per non impressionare i vivi, in molti paesi venne proibito
il lugubre suono della campana.
Castelletto era stato risparmiato dalle armi, ma venne colpito, come tanti altri paesi, dalle misteriose febbri. L'epidemia infuriò
nell'autunno del 1918 e si protrasse sino ai primi
127
mesi del 1919. Raggiunse una fase acuta ai primi di ottobre 1918,
alla distanza di poche settimane dall'armistizio, allorché presso la
Casa Madre, tra suore e orfanelle, le ammalate erano quarantasette.
Anche il Fondatore, già infermo e sofferente per il recente attacco
che abbiamo ricordato sopra, venne colpito dalla «spagnola», che lo
indebolì ancor più e gli tolse la gioia di poter celebrare la messa. La
Madre Generale, come soleva fare in simili frangenti, raccomandò il
venerato infermo alla protezione dell'Immacolata di Lourdes e alle
preghiere delle suore.
Il 19 gennaio del 1919 l'Istituto celebrava con grande solennità la
festa della Sacra Famiglia. La cappella «era tutta addobbata, e la gioia, l'esultanza appariva sul volto» di tutti.10 Quella comune letizia era
motivata altresì dall'avvenimento, che viene riferito dalle brevi cronache di Casa Madre. In quel giorno, infatti, esse annotano:
Solennità di grandissimo e straordinario entusiasmo per l'intero Istituto, perché
proprio oggi, festa della Sacra Famiglia, il reverendissimo Padre, salvato e migliorato miracolosamente dall'epidemia della spagnola, per la prima volta dopo la pericolosa malattia infettiva celebrò esultante la santa messa [in camera]. Questi sono
veri prodigi e miracoli dell'Onnipotente, ottenuti per la gran fede della reverendissima Madre!11
Si ammala la Madre Generale
Mentre il Padre e le suore ammalate stavano rimettendosi dalla
«spagnola», venne la volta della Madre. Si mise in letto il 29 gennaio, e il 10 febbraio il medico scoprì i sintomi delle famose febbri.
Dopo pochi giorni la Generale era di nuovo in piedi, ma rimase molto abbattuta e si trascinò per altri due mesi senza riacquistare le forze.
10
11
Nazareth, 14 (gennaio 1919) p. 3.
Diario della malattia del Padre: 19 gennaio 1919, p. 10.
128
Il 7 aprile giunse dall'ospedale militare di Peschiera un tenente
medico, che visitò i Fondatori, dichiarando inguaribile il Padre mentre per la Madre prescrisse dei forti ricostituenti.
Visita alla filiale di Trento
Un avvenimento lieto venne a rasserenare l'atmosfera della Casa
Madre, resa assai triste dall'incerta salute dei Fondatori. Dopo tre anni e mezzo d'infermità, il Padre lasciava Castelletto e si recava a far
visita alla grande casa di Trento, che non aveva più visto da quando
era scoppiata la guerra. Lo accompagnavano la madre Mantovani e
suor Fortunata Toniolo. Per il viaggio aveva provveduto il generale
Ferrari della Prima Armata, che mandò la macchina personale e l'autista. S'era in pena per timore che il Padre infermo fosse sopraffatto
dalla fatica, ma il viaggio riuscì benissimo. A Trento i venerati
Fondatori ebbero accoglienze calorose da parte delle 20 suore e dei
l00 orfanelli, ch'erano tornati dai campi di concentramento della Boemia, della Moravia e della Stiria. Alle dimostrazioni di affetto il Padre si commosse e versò lacrime di consolazione. Durante il soggiorno nella città redenta, ricevette visite da persone illustri, che venivano a riverirlo e a congratularsi.
Quella fu l'ultima visita del Fondatore alle filiali. Tornato a Castelletto, si raccolse sempre più in se stesso, assorto in continua preghiera, per prepararsi al grande viaggio che l'avrebbe portato in cielo.
Di giorno in giorno, con peggioramenti e riprese, andava lentamente
aggravandosi. L'8 novembre fu assalito da un accesso di diabete. Il
30 di dicembre, alla vigilia del terzo anniversario dell'attacco apoplettico, ebbe una ricaduta e si comunicò per viatico. Non era però la
fine. Mancavano due anni al tramonto.
129
La Madre in cura a Bologna
La Madre Confondatrice continuava a star poco bene, né riusciva
a riaversi dalla prostrazione in cui l'aveva lasciata la «spagnola».
Nell'agosto del 1920 fu consigliata di recarsi a Milano per un controllo presso uno specialista. Tanto lo specialista che altri medici consultati riscontrarono un forte deperimento organico e stanchezza nervosa; prescrissero pertanto alla paziente un assoluto riposo. La Madre
obbedì. A malincuore lasciò a Castelletto il Fondatore in quelle precarie condizioni di salute e si recò a Bologna, presso la villa Baruzziana, ove prestavano assistenza le sue suore.
Le cure durarono due mesi e furono efficacissime, poiché la Madre Generale riprese il suo delicato lavoro, reso tanto più necessario
ora che il Fondatore, distaccandosi sempre più dalle cose e dagli avvenimenti, si avviava verso la fine.12
Vi furono episodi commoventi durante la malattia del Padre e della Madre, i quali ci rivelano la carità mirabile che univa queste due
anime elette. Li ricorderemo altrove, quando illustreremo i rapporti
filiali della Confondatrice nei riguardi del Fondatore.
Suor Pia Ruffo
«Una perdita gravissima, una di quelle perdite che difficilmente si
riparano, subiva l'Istituto nostro ai 6 di luglio per la morte di suor Pia
dell'Addolorata». 13
Con queste parole il Nazareth del luglio 1921 iniziava il profilo
spirituale della suora defunta. Da anni era maestra
12
Nel novembre la Madre scriveva: «Ritornata a Casa Madre il 30 ottobre, m'affretto a notificarvi,
a vostra consolazione, che sono quasi del tutto ristabilita ... del resto per grazia specialissima della Sacra
Famiglia e della taumaturga Immacolata di Lourdes ho già ripreso la direzione generale dell'Istituto»:
Circolare dell' 11 novembre 1920.
13
Nazareth, 16 (luglio 1921) p. 3.
130
delle novizie, ed oggi è la patrona del noviziato. Abbiamo sentito
molte suore anziane che la ricordano ancora e ne parlano con particolare venerazione.
Quando morì mancavano quattro giorni al suo quarantesimo anno,
poiché era nata a S. Pietro di Lavagno, nella diocesi di Verona, il 10
luglio 1881. Era l'unica bimba fra i numerosi fratellini, vivacissima,
energica ed intraprendente quasi come loro. A contatto con le allieve
del convitto diretto dalle signore Morandi a Verona, dove fu mandata
a continuare gli studi, la Ruffo prese la sua vera fisionomia, «riflessiva e insieme dolce e delicata».
Ben presto la ragazza si sentì chiamata alla vita religiosa e decise
di farsi suora. Ma quando, terminati gli studi, pensava di entrare tra
le canossiane, i familiari si opposero ostinatamente. Il diniego causò
una crisi spirituale nella figliuola. «Dapprima fu una lotta interna,
nascosta; poi una prostrazione fisica e morale che finì in una malattia
strana accompagnata da agitazioni, turbamenti e scrupoli d'ogni specie, col timore della dannazione per la vocazione non corrisposta»
(D., p. 742).
Le tribolazioni purificarono l'anima della giovane e indussero la
madre a far di tutto perché la figlia tornasse serena. La Provvidenza
dispose che, ad assistere la Ruffo malata, fossero chiamate le suore di
Castelletto. Di qui ebbe inizio la sua vocazione di Piccola Suora della
Sacra Famiglia.
Quand'era inferma, la Ruffo conobbe lo spirito dell'Istituto attraverso le suore che l'assistevano; convalescente, venne a Castelletto e
conobbe personalmente il Fondatore. Gli aprì l'animo col candore
d'una bimba e con l'ansia del disperso che cerca la strada. Il Padre intuì, la rassicurò, le aprì le porte dell'Istituto verso la fine del novembre 1907, e la vestì 1'8 dicembre dello stesso anno.
La figliuola aveva trovato la sua via e tanta tranquillità di spirito.
Ancora novizia assisteva le orfanelle, poi fu data in aiuto alla maestra
delle novizie; dopo la professione (1909), ne divenne maestra e tale
rimase sino al 22 aprile del 1919, cioè
131
sino a quando, sofferente, si mise in letto per non alzarsi più. Anzi,
rimase anche allora maestra impareggiabile, con l'esempio e col consiglio, perché il suo letto si trasformò in una cattedra, cui accedevano
novizie e suore per essere illuminate e confortate.
«Umile, docile, nascosta a tutti, sempre ilare, sempre uguale a se
stessa: modello alle consorelle presenti, indefessa avvocata delle assenti» (D., p. 744); ma soprattutto era mamma delle anime che man
mano le venivano affidate. Le seguiva da vicino, ne intuiva i bisogni,
leggeva nei loro cuori inesperti le pene e le tentazioni contro la vocazione, e pertanto le prendeva vicino al suo per ridare la pace e la sicurezza.
Non ebbe mai una florida salute; e il suo spirito, come quello dei
grandi mistici, era sovente oppresso da aridità e desolazioni. Quando
si mise in letto, afflitta da misteriosi mali che non accennavano a lasciarla, i superiori temettero di perderla. Nella circolare del 15 gennaio 1920 la Madre Generale si rivolse a tutte le sorelle della Congregazione e domandò speciali preghiere.
Raccomando tanto tanto alle vostre preghiere la nostra buona e
cara maestra suor Pia che, poveretta, va sempre peggiorando. Le
novizie, probande e oblate facciano qualche preghiera speciale, acciò la Sacra Famiglia e la nostra taumaturga Immacolata ce l'abbiano a ritornare in salute, almeno come nel passato, per il bene del
nostro caro noviziato.
Il Signore aveva altri disegni su questa santa creatura e la tenne in
letto, in preda a misteriose pene di corpo e di spirito. Soltanto l'obbedienza cieca al confessore riusciva a lenire l'animo esasperato.
Suor Pia Ruffo era devotissima della Vergine Addolorata, alla
quale era stata consacrata dalla mamma prima ancora di venire alla
luce. La sofferenza la stringeva ancor più alla Madre dei Dolori; di
giorno e di notte, durante le lunghe ore d'insonnia, mentre le sorelle e
le novizie dormivano, la maestra restava con la cara Madre Addolorata, ai piedi della croce.
132
La sera del 5 luglio 1921 suor Pia aggravò e si credete imminente
la fine. Fu chiamato in fretta il confessore, mentre le suore e le novizie accorsero al letto dell'inferma, piangendo e pregando. Al mattino,
dopo aver ricevuto la comunione, essa aveva detto alle sorelle presenti: «Oggi deve avvenire qualche cosa: non mi abbandonino». Presagiva forse quanto sarebbe accaduto la sera?
Mentre il confessore, le suore e le novizie pregano attorno al letto,
la moribonda apre gli occhi luminosi e li fissa in un punto, esclamando: «Ah!... ah!... ah!... », come se vedesse qualcosa di indicibilmente
bello.
«Cosa vedi?» chiede la madre Generale, che le è accanto, ed ella
vincendo la naturale ritrosia:
«La Madonna, Madre, la Madonna! ... »
«Cosa dice?» ripiglia la Madre «cosa ti raccomanda?»
«Umiltà, Madre, e distacco da tutto».
«Pregala per me, affinché mi ottenga la grazia di farmi santa» le
dice l'Assistente.
«Sì, Madre» risponde l'ammalata, «sì».
«Ed anche per me» aggiunge il confessore.
«Sì, Padre, sì ... »
«Come la vedete, la Madonna?» le domanda.
«Addolorata!»
«Col Figlio morto sulle ginocchia?»
«No» risponde la veggente, «ma solamente con le sette spade».
Ci fu una breve pausa. Tutti i presenti erano emozionati e
sospesi come se, all'improvviso, fossero stati portati in un mondo arcano, pieno di mistero. Poi la morente, con voce soavissima, «Dolce
Cuor del mio Gesù» prese a cantare «fa che io T'ami sempre più».
«Ripeté l'aspirazione ancora due volte e con tale melodia, da sembrare, più che umana, angelica creatura. Dopo di che, chiuse gli occhi e
ritornò allo stato normale».14
14
Nazareth, 16 (luglio 1921) p. 4.
133
Il confessore le ingiunse di benedire le novizie presenti. La maestra, debolissima, obbedì.
Il mattino seguente ricevette, per l'ultima volta, il santo viatico.
Alle 14 e 30, «dopo tre ore di penosissima agonia», dolcemente spirò.
Suor Pia «ha lasciato un gran vuoto nella nostra Casa e in ogni
cuore» scriveva la Madre Generale tre giorni dopo «perché essa, dal
suo letto, era tutta a tutte, per tutte aveva sempre una parola di conforto e di saggio consiglio». 15
Chi più di tutti aveva sofferto per quella perdita, era lei stessa, la
Madre Generale. Una santa amicizia, un comune sentire, una mutua
confidenza, univano suor Pia alla Confondatrice. A rendere ancor più
intima la loro unione concorsero tre comuni e grandi amori: la devozione alla Madonna, la venerazione per il Padre Fondatore, l'amore
alle novizie.
Di suor Pia Ruffo il direttore spirituale don Luigi Zanoni, vicario
foraneo di Brenzone, tracciò questo profilo: «Un angelo di verginale
purezza, un vaso di sincera e profonda umiltà, un Giobbe d'invitta ed
inalterabile pazienza, un serafino d'amore; in breve: una santa!».16
Identiche parole, come il lettore si renderà conto, possono essere
usate per tratteggiare la figura spirituale di madre Maria Mantovani.
Nella Madre, ancora per tredici anni, sopravvivono il candore, l'umiltà e la bontà della figlia spirituale e maestra delle novizie.
15
Circolare del 9 luglio 1921.
Cf. Quasi oliva speciosa in campis. L'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia nel 5Omo
Anniversario della sua Fondazione: 6 nov, 1892-6 nov. 1942, Castelletto di Brenzone (Verona) 1942,
p, 38,
Due mesi dopo la morte di suor Pia Ruffo, lo scrittore don Cesare Martinetti ne ricordava la santa
vita con parole commosse, vedi: Nazareth, 16 (settembre 1921) p. 3.
16
134
Il Padre peggiora
Gli anni che tengono dietro alla prima guerra mondiale, sono dei
più tribolati per la Congregazione delle Piccole Suore di Castelletto
sul Garda.
«Il buon Dio prova in modo straordinario il caro nostro Istituto!»
scriveva la madre Mantovani nel 1920, invitando le suore alla preghiera e alla fiducia nel Signore e nella «nostra cara Vergine Immacolata di Lourdes»; ed esponeva le cause di queste comuni sofferenze.
Oltre l'infermità lunghissima del reverendissimo mons. Padre,
della maestra delle novizi,17 della poca salute mia e dell'Assistente,18
si sono purtroppo ammalate molte suore di tifò, polmonite ed altre
malattie infettive, parecchie delle quali gravemente e con poca speranza di guarigione.19
La Madre e tutta la Congregazione trepidavano soprattutto per il
Fondatore. Da quando era stato colpito, non riusciva più a rimettersi
in salute. A momentanee riprese che facevano sperare in una perfetta
guarigione, si avvicendavano gravi ricadute che lo portavano sull'orlo
della tomba. Più volte si temette di perderlo.
Nell'ottobre del 1920, dopo un'estate incerta che aveva messo in
allarme i medici e le suore, il Fondatore si ristabilì quasi inaspettatamente. L'assistente suor Fortunata, che in quei giorni sostituiva la
Madre Generale,20 si affrettò a darne la consolante notizia alle sorelle.
Con l'animo esultante vi notifico che, contro ogni umana aspettativa e previsione di tutti noi e dei nostri medici curanti, i quali ci avevano dichiarato che il reverendissimo mons. Padre sarebbe stato ormai un povero
17
Suor Pia Ruffo.
Suor Fortunata Toniolo.
19
Circolare del 19 agosto 1920.
20
Madre Maria Mantovani si trovava in cura, presso una clinica di Bologna.
18
135
infermo cronico, il 15 corrente, con immensa consolazione di tutte, ha celebrato la
santa messa e verso le Il antimeridiane andò al santuario a visitare la nostra taumaturga Immacolata di Lourdes. Nel ritorno, commosso sino alle lacrime, si recò nella sua cappella,21 ed aperto il tabernacolo, fece voto di andare a Lourdes con parte
delle sue figlie, se Gesù Sacramentato, per l'intercessione della Vergine sua Madre,
gli farà la grazia della completa guarigione.22
Verso la fine di ottobre tornava da Bologna la Madre Generale,
rimasta colà due mesi per rimettersi in salute. Alla gioia della sua
completa guarigione s'aggiungeva il conforto di trovare il Fondatore
«proprio bene», com'ella si esprimeva nella circolare dell' Il novembre. «Malgrado la cruda stagione» aggiungeva la Madre «egli celebra
sempre la santa messa e verso le 10 antimeridiane, quasi tutti i giorni,
dà la benedizione col SS. Sacramento. Anche questa è una grazia
specialissima della nostra miracolosa Immacolata di Lourdes.23
Sebbene il Padre stesse allora benino, non era però ristabilito in
maniera tale da affrontare il viaggio per Lourdes, secondo il voto fatto, né più vi potrà andare.
Passarono altri mesi, durante i quali il venerando infermo non migliorò, né peggiorò a tal punto da far credere imminente la fine. Se
non tutti i giorni, spesso almeno egli riusciva a celebrare, ed era questa la sua più grande consolazione.
Soffrì molto quando morì la maestra delle novizie suor Pia Ruffo,
il 6 luglio 1921; egli la stimava grandemente e si confidava spesso
con questa santa creatura. Pochi giorni dopo fu preso da un collasso,
dal quale tuttavia si riebbe; ma il 28 novembre dello stesso anno celebrò per l'ultima volta.
Il 31 dicembre cadeva il quinto anniversario «della gravissima
malattia» che aveva colpito il Servo di Dio. «Facciamo specialissime
preghiere di ringraziamento» scriveva la Madre
21
Negli ultimi anni mons. Nascimbeni aveva ottenuto l'indulto di conservare il Santissimo nella
cappellina, ch'egli aveva fatto costruire vicino alla camera da letto.
22
Circolare scritta dall'assistente suor Fortunata Toniolo, il 18 ottobre 1920.
23
Circolare dell'Il novembre 1920.
136
«alla nostra taumaturga Immacolata di Lourdes, per averlo salvato da
morte sicura»; e chiedeva inoltre preghiere «perché il buon Dio»
conservasse il caro infermo «fino alla più tarda età».24 Con tali intenzioni la Generale aveva disposto che nella cappella dell'Istituto si
pregasse di continuo, davanti al Santissimo esposto, dalla sera del 30
alla sera del 31 dicembre.
Le consorelle delle filiali si raccolsero in preghiera la sera del 30,
dalle ore 21 alle 22, e un'altra ora il giorno seguente. In tutte le case
poi fu fatta celebrare una santa messa.
Madre e figlie facevano violenza al cielo per strappare il miracolo,
ma la carriera terrena dell'amatissimo Padre era giunta al suo traguardo. Egli aveva trafficato saggiamente i talenti ricevuti: con la preghiera, col lavoro, con la sofferenza. Era ormai imminente l'arrivo
del Padrone, che avrebbe introdotto il servo fedele nel gaudio eterno.
Santa morte del Fondatore
Il 13 gennaio del 1922 mons. Nascimbeni fu preso da un accesso
di febbre, che lo costrinse a mettersi a letto. Era l'inizio della fine. Il
medico di Torri, chiamato, praticò sul paziente un salasso per impedire congestioni.
Il giorno 18 il Padre fece la comunione per viatico, così nei giorni
seguenti. Verso le ore 10 chiese l'assoluzione e con gran fervore, rispondendo alle formule del rito, ricevette l'olio santo. Gli venne amministrato dal fedele cappellano don Angelo Zamperini, presso il
quale mons. Nascimbeni soleva confessarsi spesso negli ultimi anni.
Per tre giorni, dietro invito del cappellano, si tenne un'ora di adorazione nella chiesa parrocchiale. Suore, orfanelle e popolo s'unirono
in preghiera, raccomandando al Signore il carissimo Fondatore e Parroco.
24
Circolare del 19 dicembre 1921.
137
Pertanto l'infermo andava sempre più peggiorando. Conservava,
tuttavia, la lucidità della mente e recitava di continuo giaculatorie.
Verso la sera del 19 le suore s'adunarono nella stanza del Padre e recitarono ad alta voce il rosario intero. Durante la notte fu udito gridare dalla suora che l'assisteva:
«Viva la morte!»
«Perché?» chiese la suora.
«Perché è il principio della vita!»
Il giorno 20 l'ammalato s'aggrava ancor pm, pur conservando la
conoscenza e la serenità dello spirito. Chiede e riceve tutte le benedizioni in articulo mortis, annesse alle 32 confraternite cui si era iscritto. Durante tutta la giornata continua a rifugiarsi nel segno della croce che ripete sovente su se stesso, a benedire i parrocchiani, in particolare quelli che gli fanno visita; benedice le suore presenti, le assenti, le novizie, le orfanelle, i peccatori ... tutti coloro per i quali,
quand'era in forze, aveva lavorato, pregato e sofferto.
«La sera, verso le 8, diede una specialissima benedizione alla Madre Generale, e le promise di pregare tanto per lei in paradiso. Poi ripeté la benedizione a tutte le suore, anche delle filiali, alle novizie e
alla loro maestra. Verso le 9 si aggravò con prostrazione di forze e si
assopì.
Alle 11 e 30 precise entrò per tre ore in penosa agonia. Don Angelo per tutto quel tempo, recitò le preghiere degli agonizzanti a cui rispondevano tutte le suore, venute ad assistere alla morte. Quando il
moribondo apriva gli occhi, don Angelo sospendeva per impartirgli
l'assoluzione.
Ad un tratto il viso del Padre si trascolorò, in un vivo rossore. Fissava gli occhi in alto e abbassava tre volte il capo, in segno di profonda riverenza per quindici volte. Gli apparivano forse le scene dei
quindici misteri del rosario, ch'era stata la sua vita?» (T., p. 523).
Alle 2 e 30 del giorno 21 gennaio 1922, nel bacio del Signore,
mons. Nascimbeni spirò. Mancavano due mesi al suo settantunesimo
anno di età.
138
I funerali
Sebbene prevista e attesa da tempo con dolorosa rassegnazione, la
morte di mons. Giuseppe Nascimbeni suscitò un'ondata di cordoglio.
«È morto il Padre!» dicevano a Casa Madre le figlie, quasi si risvegliassero da un sogno funesto. «È morto il Padre» si ripeteva a Castelletto e nei dintorni, e in tutti i paesi della riviera, suscitando un
fremito unanime di commozione, echeggiò il triste annuncio: «È
morto il Padre!».
Quella espressione, che tante ne racchiudeva, e quella comune costernazione erano l'elogio più eloquente del defunto.
Personaggi illustri, sacerdoti, suore accorse dalle filiali, amici, fedeli di Castelletto e dei paesi vicini cominciarono a sfilare davanti alla venerata salma, che rimase esposta per tre giorni. Da molte parti
d'Italia giunsero all'Istituto e alla Madre Generale lettere di condoglianza e moltissimi telegrammi di cardinali, arcivescovi, vescovi, ed
altre personalità.
Alle ore 9 del 27 gennaio ebbero inizio i riti funebri. Il vicario foraneo di Brenzone fece le esequie e l'arciprete di Negrar, don Angelo
Sempreboni, lesse l'elogio funebre. Poi s'aprì il corteo.
«Il paese tutto, il comune rappresentato dal sindaco Silvio Battistoni, dal segretario e dal consiglio intero; rappresentanze dei comuni
di Torri, Peschiera, Malcesine e dei giornali cattolici di Verona e
Brescia; 180 suore anche dalle filiali; orfanelle da tutti gli orfanotrofi, 36 sacerdoti: direttore didattico, maestri, scuole, asili; la banda di
Malcesine, il carro con gualdrappata quadriga mostravano nel minuscolo villaggio l'importanza del defunto» (T., p. 525).
A renderne più benedetta la memoria, in quel giorno furono beneficati i poveri di Castelletto ed altri istituti bisognosi.
Al cimitero l'abate di S. Zeno dette l'assoluzione e l'ultimo addio
al defunto, la cui salma venne deposta nell'edicola delle suore. Per
breve tempo però il Padre rimase tra le figlie morte, perché le vive lo
vollero di nuovo accanto a sé, presso la Casa Madre.
139
Sembrava loro che, riportandone con sé le venerate spoglie, avrebbero ricordato con più facilità gl'insegnamenti del Fondatore ed
avrebbero goduto più largamente la benevolenza del Padre.
Amorosa esecutrice di questa comune aspirazione fu la confondatrice madre Maria Mantovani. Ma poiché questo suo interessamento
testimonia filiale devozione al Fondatore, parleremo altrove della
tomba ch'ella fece erigere al Padre nell'orto del convento, presso la
Grotta della B. Vergine di Lourdes.
140
CAPO SESTO
DOPO LA MORTE DEL FONDATORE
(1922-1934)
Quando venne a mancare mons. Nascimbeni, madre Maria Mantovani aveva superato i 59 anni e da una trentina reggeva la Congregazione, sotto la guida illuminata del Fondatore. Era piena d'esperienza, di saggezza e di virtù. Era la donna forte che, anzi tutto, seppe
rassegnarsi alla perdita del Padre, benché fosse la prima a sentire lo
strazio della separazione. Scriveva dieci giorni dopo la morte di lui:
Ben potete comprendere come e quanto si sia scongiurato l'onnipotente Iddio ad allontanare da noi l'amaro calice e lasciarci ancora
il venerato Padre, ma purtroppo dovemmo tutte chinare il capo e ripetere con lo schianto nel cuore il doloroso fiat!. .. Carissime, è proprio giunta l'ora del grande sacrificio! ...
A capo della Congregazione senza il Padre
Con eguale fortezza d'animo e spirito di sacrificio, la Mantovani si
dedicò al bene della Congregazione, che il Fondatore le aveva lasciato in eredità. Era la prima pianticella e la più curata del mistico giardino. Salvo qualche breve periodo trascorso fuori di Castelletto a
fondare nuove filiali o a visitare quelle già aperte, era vissuta sempre
nella Casa Madre, superiora solerte e amatissima. Conosceva, dunque,
1
Circolare del 31 gennaio 1922.
141
tutte le suore. Tutte s'erano aperte, chi più e chi meno, con lei durante
il noviziato e quando tornavano alla Casa Madre per gli esercizi spirituali. Conosceva pure le filiali e i problemi che le riguardavano. Alla scuola del Fondatore non aveva imparato soltanto a santificare se
stessa e le suddite, ma aveva appreso altresì a reggere la Congregazione con mano forte e materna.
Nel governo esterno dell'Istituto la Mantovani era coadiuvata
dall'assistente suor Fortunata Toniolo, saggia, dinamica, devotissima
del Padre e amante della Congregazione. Questo duplice amore, al
Padre e alla Congregazione, impegnò a fondo queste due anime elette. Quand'era vivo il Fondatore, erano le sue braccia; morto, ne divennero le fedeli eredi. Insieme e con identici ideali lavorarono ancora a lungo, sebbene in campi diversi e con diversa natura; poi, venuta
meno la Confondatrice, suor Fortunata Toniolo le successe nel governo della Congregazione, che resse per ben diciotto anni, sino
all'ottobre del 1952. I dodici anni che vanno dalla morte del Fondatore (1922) a quella della Confondatrice (1934) sono illuminati da questi due personaggi.
E sono, anzi tutto, anni tribolati per l'Istituto. V'erano stati profeti
di malaugurio che avevano predetto la rovina della pianta, allorché
sarebbe venuto a mancare il coltivatore. Dopo la morte di questi,
sembrava che altri si fossero impegnati a realizzare quelle profezie.
A conti fatti, invece, risultarono false. L'albero restò in piedi, sebbene non potesse sottrarsi alle folgori e agli scrosci della tempesta. A
sostenerlo c'era in cielo la protezione del Fondatore, e in terra l'umiltà e la fede gagliarda della Confondatrice.
Sono pure anni di progresso e di grandi realizzazioni. Aumentano
le suore e si aprono nuove filiali. Crescono i fabbricati attorno alla
Casa Madre: sorge prima la infermeria per le sorelle ammalate
(1926), poi il noviziato nuovo (1933), per una coltura più adeguata
delle numerose vocazioni. Si pensa anche alle sorelle defunte, e vengono avviate le pratiche per ottenere dal comune un cimitero proprio.
142
E sono, infine, anni di meritate consolazioni per le Piccole Suore
della Sacra Famiglia. La prima delle quali fu l'essere state chiamate
per la cucina, durante il conclave per la elezione del papa Pio XI. La
Madre Generale si compiaceva dell'avvenimento nella circolare del
21 febbraio 1922 (da un mese era morto il Fondatore):
Sua Santità Pio XI ha ricevuto in udienza privata tutte le nostre
suore, che hanno prestato servizio in Vaticano, e diede in particolare
a me e a tutte voi la santa benedizione. Del servizio prestato dalle
nostre suore nella cucina del conclave, sono rimasti tutti soddisfattissimi; ne sia lode alla Sacra Famiglia. È stato certamente il nostro
Padre a procurarci tale soddisfazione. Tutti a Roma non hanno che
da congratularsi con noi, per essere state scelte all'onorifico incarico di allestire il vitto ai conclavisti.
L'ambito incarico venne rinnovato nel 1939, durante il conclave
che portò sul soglio pontificio il cardinale Eugenio Pacelli.
Confermata Madre Generale (1924 e 1927)
Una delle consolazioni più desiderate dalle Piccole Suore della
Sacra Famiglia era procurata dagl'incontri con la Madre. Il trattare
con lei faceva bene allo spirito: dissipava i dubbi, leniva i crucci, e
infondeva nuove energie da impegnare, ciascuna al proprio posto, a
gloria del Signore e per il bene dell'Istituto.
Da quando poi era scomparso il Fondatore, tutte le suore rivolsero
i loro sguardi su la Confondatrice. Essa rappresentava gl'ideali del
Padre, ne era una vivente incarnazione, ed aiutava le suddite a tradurli in pratica, giorno per giorno, col suo esempio e con la sua bontà.
Era dunque un dono insigne averla superiora e madre. Se fosse dipeso da loro, le suore di Castelletto avrebbero scelta la Mantovani
quale superiora generale a vita. Invece bisognava
143
adeguarsi alle norme disciplinari della Chiesa e procedere all'elezione della Madre Generale e del suo consiglio. Si tenne pertanto il capitolo, e com'era da prevedersi, venne eletta a pieni voti la Confondatrice. Occorreva tuttavia la conferma da parte della Congregazione
dei Religiosi, poiché la Mantovani era rimasta superiora per più di
trent'anni. La conferma venne, valida per un triennio.
Quando giunse da Roma il decreto, la Madre scrisse alle suore,
manifestando i sentimenti da cui era animata in quella circostanza.
La Sacra Famiglia, per gli alti ed imperscrutabili suoi fini, ha
scelto me quale collaboratrice del venerato «Padre» per fondare l'Istituto; ed ora la conferma vuole ch'io stia ancora al governo del
medesimo. Credetemelo, carissime, io me ne riconosco affatto indegna ed inetta a tale ufficio, ma confidando nell'aiuto divino, dirò con
S. Paolo: Tutto posso in Colui che mi conforta (FiI4, 13). Di più, sapendo che il Signore si serve dei soggetti Più inetti e Più oscuri per
fare opere grandi, e ciò per far risaltare maggiormente la sua divina
onnipotenza ed anche perché si attribuisca a Lui solo tutto l'onore e
la gloria, me ne sto tranquilla, sicura che l'Istituto, essendo opera di
Dio, sarà provveduto e guidato da Lui. lo farò di gran cuore tutto
quello che mi sarà possibile per guidare santamente l'Istituto, cioè
secondo lo spirito del nostro Fondatore, che è spirito di preghiera, di
umiltà, di semplicità, di sacrificio e di vera sottomissione ed intima
unione fraterna. Ma voi pregate tanto, tanto, tanto per me.2
Il 15 novembre del 1927 fu aperto di nuovo il capitolo generale,
presieduto dal delegato vescovile mons. Zenati. Anche questa volta
venne eletta unanimamente la Confondatrice, che nella relazione stesa per le suore su lo svolgimento e le decisioni del capitolo, riferiva:
Il reverendissimo mons. Delegato rimase soddisfattissimo per l'unione che ha riscontrato nell'Istituto. Prima di partire, Pieno d'entusiasmo,
2
Circolare del 23 dicembre 1924.
144
ci disse: «Parto contento perché ho toccato con mano che le Piccole
Suore della Sacra Famiglia sono unite non solo di cuore, ma pure di
mente e di volontà».3
Nello stesso documento, a comune consolazione, la Madre ricordava che «fra professe, novizie e converse» le Piccole Suore avevano
raggiunto il numero di 800.
Approvazione temporanea delle Costituzioni (1932)
Una grande consolazione ebbe la Madre Confondatrice negli ultimi anni del suo lungo generalato: dopo il riconoscimento giuridico
da parte dello Stato,4 l'Istituto fu riconosciuto definitivamente dalla
Chiesa, la quale, inoltre, approvò temporaneamente le nuove Costituzioni. La grazia venne il 3 giugno del 1932, festa del S. Cuore di Gesù; ma da molto tempo era desiderata, e tutte le suore, dietro ripetuto
invito della Madre, avevano pregato e offerto dei sacrifici per ottenerla.
Mentre le suore pregavano e si mortificavano, persone influenti si
prestarono con lodevole zelo per sollecitare l'approvazione. La Regola e le Costituzioni delle Piccole Suore della Sacra Famiglia erano
state rivedute ed approvate nel 1910, quando l'Istituto ottenne il Decreto di lode. Ora però si rendeva necessaria un'ulteriore revisione,
arrecando quegli opportuni mutamenti, che le avrebbero adeguate alla nuova legislazione canonica e ai tempi nuovi. Qualche modifica
infatti ci fu, sia nell'abito religioso che nella vita disciplinare. Vennero temperati anche gli esercizi di pietà; in particolare furono ridotte le
preghiere vocali.
Di giorno in giorno s'aspettava l'autorevole riconoscimento, e più
di tutte era impaziente la Madre, che prendeva lo spunto da quella
comune attesa per esortare le figliuole a far sempre meglio.
3
4
Circolare del 28 novembre 1927.
Con regio decreto del 20 novembre 1930.
145
Giorno e notte sospiro il momento di potervi annunciare la lieta
notizia: l'approvazione. Affrettiamo questo evento, con la fervorosa
preghiera, mortificazione, atti di virtù. Allora faremo feste grandi e
straordinarie, a gloria della Sacra Famiglia. Dette feste, Piene di
giocondità segneranno un'epoca nei nostri cuori e nella storia dell'Istituto?5
Ai primi di giugno del 1932 giunse da Roma il telegramma che
annunciava la sospirata approvazione. Lo spediva mons. Erminio Viganò, prelato per la emigrazione, che, dopo aver sollecitato il decreto, s'affrettava ora a dame il lieto annuncio alla Superiora Generale di
Castelletto.6
Quando giunse il telegramma, la Madre fu presa da grande entusiasmo, e «non vedendo alcuno cui comunicarlo subito», con la sua
abituale semplicità s'attaccò alla campana e «suonò a lungo, dicendo
che non poteva aspettare a comunicare tale notizia».7
Con identica gioia e semplicità la Mantovani dava relazione di
come si fossero svolte a Casa Madre le feste di ringraziamento a Dio
per un tanto dono.
La domenica del 5 giugno fu grande giornata di entusiasmo per
Casa Madre! Si cantò solennemente due volte il Te Deum, e sembrandoci così grande la grazia dell'approvazione, si continuava a
leggere e rileggere il telegramma per timore d'aver letto male. Tutte
eravamo commosse; e mentre dal labbro delle giovani suore uscivano parole di giubilo e di evviva, che s'univano all'argentino suono di
tutte le nostre campanelle, le consigliere, le ufficiali, le anziane con
me non seppero per qualche minuto articolar sillaba per la gioia, e
avevano gli occhi velati di pianto riconoscente e filiale. Figuratevi!
In quell'istante vedemmo chiaro come
5
Circolare del 14 dicembre 1931.
Mons. Erminio Viganò stimava grandemente la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto;
più volte prestò i suoi uffici presso le Congregazioni romane. Fu presente ai funerali della Madre, le cui
virtù esaltò in un commosso discorso tenuto alle suore davanti alla bara dell'Estinta.
7
Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto, entrata nel 1916.
6
146
Dio si compiacque e benedì l'umile opera del venerato Padre ed
anche quella che per quarant'anni svolse la Piccola Suora della Sacra Famiglia ... Ringraziate voi pure il Signore, cantando il Te
Deum due volte nel giorno stesso in cui arriverà questa circolare?8
Poco dopo giunsero da Roma la Regola e le Costituzioni rivedute
ed aggiornate. La Madre Generale s'affrettò a spedirne una copia a
ciascuna suora; e parlando della Regola, con il suo stile semplice e
persuasivo, esortava tutte le suore «a studiarla, impararla a memoria,
meditarla e praticarla», a imprimerla «ben bene nella mente e nel
cuore», a trasformarla «in succo e sangue ... ». Era stato appunto
questo il suo programma, durante i quarant'anni di vita religiosa; ed
ora che l'approvazione pontificia confermava autorevolmente questo
metodo di vita, la Madre lo proponeva alle figlie come il più grande
tesoro, lasciato dal Fondatore a lei e a tutte le suore.
La festa delle «Mille e due»
Alcuni mesi prima dell'approvazione pontificia, il cuore della Madre era stato allietato da un altro avvenimento. Le Piccole Suore della
Sacra Famiglia avevano superato il numero 1000. Era un episodio,
nella storia della Congregazione, che andava convenientemente solennizzato. L'Istituto non aveva ancora compiuto i quarant'anni, e le
suore erano di preciso mille e due. La gioia quindi d'aver toccato quel
numero era, se non doverosa, legittima almeno; e mentre il Fondatore
faceva festa in cielo con le morte, la Confondatrice tripudiava in terra
insieme alle figlie vive.
Ella pertanto dettò un programma per quella ricorrenza, e non
mancò di prescrivere il menù che doveva essere servito a tavola in
tutte le filiali. Sono cose che meritano d'essere
8
9
Circolare del 16 luglio 1932.
Circolare del 12 ottobre 1932.
147
ricordate, a nostra edificazione, perché rivelano la semplicità, il tratto
bonario e materno della Confondatrice che dava una particolare impronta a tutta la Congregazione.
Per grazia della Sacra Famiglia, abbiamo raggiunto il numero di
mille e due. Secondo la promessa fattavi, il 25 novembre prossimo
venturo, giorno di S. Caterina, faremo festa. A pranzo e a cena reciteremo il Te Deum per ringraziare il Signore dei tanti favori elargiti
fin qui. Lo stesso giorno con rinnovato fervore ascolteremo la santa
messa (e a Casa Madre sarà cantata), faremo la santa comunione e
un'ora di adorazione, implorando dal cielo nuove benedizioni e prosperità sul nostro caro Istituto, affinché crescendo di numero, cresca
altresì in santità. Poi l'evviva in refettorio. Ecco il menù: gnocchi,
arrosto e patatine fritte, formaggio, dolce, frutta, bottiglie, durante il
pasto vino comune, caffè. Va bene cosi?10
La festa fu celebrata, secondo le materne direttive, in tutte le case.
E in quell'occasione qualche suora lasciò libero il passo alla fantasia
e poetò. Le poesie, naturalmente, portano come titolo «I gnocchi» e
vengono indirizzate alla Madre. Il verso non sempre corre, così pure
la rima; in compenso c'è tanta cordialità, immediatezza e candore.
E tutte queste cose, per chi conosce gli ambienti religiosi, hanno il
loro valore e portano i loro frutti. Sono soste di sana allegria, che distendono gli animi ed alleggeriscono la quotidiana fatica; sono momenti d'incontri e di effusioni, che affratellano gli spiriti e li rendono
più pronti al dovere.
Ancora Superiora Generale (1933)
Le consolazioni e le feste, cui abbiamo accennato, non debbono
far credere che la Madre Generale non incontrasse
10
Circolare del 6 novembre 1931.
148
difficoltà e dispiaceri nel governo della crescente Congregazione.
Se la Confondatrice non avesse sofferto, non sarebbe stata degna di
vivere al fianco del Fondatore, non sarebbe diventata «la Madre» delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.
L'abbandono in Dio e il fiducioso ricorso alla Madonna Immacolata mitigarono le sofferenze, ma non le distrussero; e se il virtuoso
silenzio della Madre riuscì a nascondere molte pene anche alle persone più intime, le pene c'erano, molteplici e pungenti.
Abbiamo già accennato alle persecuzioni cui andò incontro l'Istituto, dopo la morte del Fondatore. La prima a subirne i contraccolpi
era la Superiora Generale, assieme alla sua vicaria suor Fortunata Toniolo. Pazienza, preghiera, umiltà, fortezza d'animo, furono le armi
che portarono la Congregazione alla vittoria; ma intanto bisognò impugnarle, per lungo tempo.
Altre difficoltà sorsero col passar degli anni. La costruzione della
infermeria per le suore malate venne ostinatamente contrastata.
Quando furono inoltrate le pratiche per ottenere un proprio cimitero
accanto al comunale, il podestà di allora non ne volle sapere e bisognò aspettare il successore.
Furono pure tempi incresciosi quelli che tennero dietro al fallimento della cassa rurale, che il servo di Dio mons. Nascimbeni aveva
fatto sorgere a Castelletto. La Madre ebbe a soffrire molto a motivo
di quella vicenda, tanto più che v'era coinvolto il nuovo parroco. Essa
fu anche magnanima, perché cercò di collaborare nel sanare il dissesto finanziario, assumendosi a nome dell'Istituto l'onere dell'acquisto
del fabbricato, la cui costruzione aveva inciso molto sullo sbilancio
della stessa cassa rurale.
Vi furono altre pene, più intime, che la Madre portò nascoste nel
suo cuore e che manifestava solo al Signore e alla Madonna. Vogliamo alludere alle lettere che giunsero in questi tempi, dove l'irriverenza è pari alla viltà dello scrittore (o scrittrice) anonimo. Un sacerdote
poi si lasciò impressionare da qualche suora dall'animo inquieto, e si
sentì in dovere di
149
ammonire e minacciare la Madre Generale, predicendo cose apocalittiche per l'Istituto, qualora non si fosse dato retta ai suoi avvertimenti. Lo scrittore, di certo, era in buona fede; ma aveva il torto
d'essere stato ingenuo, quando scambiò lo stato d'animo di qualcuna soggetti del genere non mancano mai con l'andamento generale di
tutta la Congregazione.
La Madre leggeva quelle lettere con umiltà; se le poneva sul cuore
come un cilizio, che pur ferendola le faceva bene; poi le nascondeva
sotto il manto dell'Immacolata che teneva nel suo studio. Al di là di
tutte le nubi e le folgori, predette in quegl'ignobili scritti, la Mantovani vedeva il volto sorridente della Madonna e tirava avanti fiduciosa. Il tempo le dette ragione, e quelle lettere, conservate ancor oggi in
archivio, stanno a testimoniare l'umiltà dignitosa e l'eroismo della destinataria.
La Mantovani ebbe occasione di soffrire ancora, quando venne
rieletta superiora per l'ultima volta. Poco dopo morì.
Fu indetto il capitolo per il 15 novembre del 1933, e di nuovo gli
occhi delle vocali si posero, quasi istintivamente, su la Confondatrice; ma non tutti. Poiché la Madre era stata superiora per più di quarant'anni consecutivi, era necessaria una speciale dispensa da Roma
per essere confermata. Mentre pertanto si attendeva la risposta della
Congregazione dei Religiosi, alcune figliuole, peraltro «brave e buone», ebbero l'idea di scrivere a Roma, chiedendo che la Madre non
venisse confermata. Il ricorso era fuori posto e del tutto ingiustificato. Roma infatti chiese informazioni, appurò, decise, confermò la
Madre.
Quando mons. Erminio Viganò telegrafò da Roma, il 7 dicembre
1933, che la Mantovani era stata riconfermata, le suore esultarono e
la segretaria di allora, suor Solidea Calliari, annotava nelle cronache
dell'Istituto: «La Madonna trionfa - il demonio è vinto».11
11
Cronaca dal 1931 al 1939: 7 dicembre 1933, p. 22.
150
Quel trionfo e quell'esultanza furono moderati dalla Madre, che
voleva ridurre al minimo l'umiliazione delle dissidenti.
Mancavano poche settimane alla sua morte. In quei giorni, nelle
«letture» che teneva alle novizie, la Madre parlava spesso della «croce». 12
Le anime tribolate sono le predilette di Gesù; 13
Le croci che Dio manda vengono sempre dalla sua misericordia;14
La croce è il tesoro prezioso che dobbiamo amare e abbracciare;15
La croce è la filosofia dei grandi,16
Perciò era stata la «sua» filosofia. Senza rendersene conto, la
Mantovani tesseva il più bello elogio a se stessa, e indicava la strada,
attraverso la quale l'umile Meneghina, cresciuta ai piedi del Baldo,
dirimpetto al lago di Garda, era diventata «la Madre»: madre feconda
d'una vigorosa falange di vergini che, sotto le insegne della Sacra
Famiglia, operavano tanto bene nella Chiesa e nella società.
Il nostro astro è ormai al tramonto. Ma prima che si spenga, dobbiamo ammirarne l'intimo splendore. Dobbiamo entrare più adde tro
nello studio della Cofondatrice e prima Superiora Generale delle Piccole Suore di Castelletto. Riprenderemo la narrazione della sua vita
esteriore più avanti, nella parte ottava di questo libro, quando ne ricorderemo gli ultimi giorni e il pio transito.
12
I passi seguenti sono desunti da un taccuino personale di «appunti», presi dalla novizia Gian Maria Piva durante le istruzioni della Madre. Essi portano il seguente titolo: Appunti presi dalle «letture»
della nostra carissima madre generale suor Maria dell'Immacolata. Taccuino di pp. 12.
La Piva era entrata nell'Istituto nel 1932, ed ebbe modo di conoscere da vicino la Confondatrice durante il postulato e il noviziato.
13
Dalla lettura del 25 gennaio 1934, p. 12. Fu l'ultima istruzione che la Confondatrice tenne alle
novizie.
14
Dalla lettura del 23 gennaio 1934, p. 12.
15
Dalla lettura del 20 gennaio 1934, p. 12.
16
Dalla stessa lettura,' p. 12.
151
152
PARTE TERZA
RITRATTO
DELLA PICCOLA SUORA
153
154
MAESTRA SENZA PATENTE
Il parroco di Castelletto don Giuseppe Nascimbeni andava in cerca d'una «maestra patentata», da mettere a capo della casa religiosa
che intendeva aprire in paese. Da principio posò gli occhi sulla Gaioni, insegnante comunale e aspirante alla vita di convento. La morte
venne a portar via la giovane e le speranze del parroco. Egli credette
in seguito d'aver trovato la persona adatta nella maestra Pace, vedova
e madre di tre figlioletti, desiderosa anch'essa di consacrarsi al Signore. Il vescovo di Verona esigeva la sistemazione della prole, prima di
accordare alla vedova il permesso d'entrare in convento, e la Pace rimase nel mondo, ad allevare le sue creaturine. Quando il parroco si
rivolse ai diversi istituti in cerca di suore per la parrocchia, pretendeva che uno dei soggetti designati, possibilmente la superiora, possedesse il diploma di maestra.
Che la figlia del povero Gian Battista e della Prudenza avesse attitudine e inclinazione allo studio, lo hanno asserito i parenti. l Ed è altrettanto vero, com'ella ebbe a dire più volte, che avrebbe continuato
volentieri gli studi, dopo la terza elementare, se la situazione familiare l'avesse permesso. Quando poi dovette sostituire l'amica Gaioni
per due mesi nell'insegnamento delle scuole comunali, la Mantovani
rivelò singolari doti didattiche. Ma il diploma non l'aveva.
Eppure il Servo di Dio dovette ripiegare su di lei, e metterla a capo del drappello di giovani che scendeva a Verona, presso le Terziarie Francescane. In tal modo la Mantovani diveniva, per ufficio, maestra delle prime suore e delle prime novizie; e
1
Suor DIODATA PAPA, Petali, pp. 33 e 36.
155
maestra ideale rimase per tutta la vita, sia nelle «letture» che teneva
alle figlie convenute a Castelletto per gli esercizi spirituali, sia nelle
istruzioni alle novizie cui parlava spesso, quasi tutti i giorni.
La sua dottrina non fu appresa dai libri, ma dal contatto con Dio
per mezzo della preghiera e dalla quotidiana esperienza della vita.
Perciò era una dottrina concreta, immediata, sommamente efficace,
perché corroborata dall'esempio. La presenza della Madre, la sua
condotta era l'insegnamento più continuo e persuasivo. Per vivere la
loro vocazione, le suore di Castelletto non avevano che da imitare la
vita della Confondatrice.
Prima di entrare in convento, la Mantovani aveva già vissuto l'ideale della Piccola Suora come l'intendeva don Nascimbeni. La sua
anima era un terreno vergine, un campo aperto, che si lasciava arare
in tutte le direzioni e a qualsiasi profondità. Divenuta religiosa, si mise ciecamente nelle mani del Fondatore come «molle cera»: egli
v'impresse il ritratto della Piccola Suora.
156
CAPO PRIMO
UMILTÀ E SEMPLICITÀ
Nel 1904 suor Gerarda Melloni,1 residente nella filiale di Pedescala (Vicenza), ricevette un telegramma dal Fondatore, che le ingiungeva di recarsi a Verona; ivi era attesa dalla Madre Generale. Insieme sarebbero andate a Roma, ove la Melloni aveva un fratello redentorista, ordinato sacerdote da pochi giorni. La suora era commossa e
doppiamente felice, e perché avrebbe compiuto quel viaggio in compagnia della Madre e perché fra poco si sarebbe incontrata con il fratello, dalle cui mani avrebbe ricevuto, per la prima volta, la santa
comunione.
Polenta fredda e formaggio
Dalla stazione di Verona le due suore partirono alle ore 20. Prima
delle 24 la Mantovani chiese all'accompagnatrice se aveva preso con
sé qualcosa da mangiare. Il viaggio da Verona a Roma è assai lungo,
e all'inizio del secolo ancor più, poiché il treno v'impiegava circa sedici ore. La Madre dunque invitava la suora a prendere un boccone
prima della mezzanotte, perché dopo dovevano osservare lo stretto
digiuno eucaristico, onde poter fare la comunione all'arrivo.
Messa sossopra dal telegramma inatteso ed emozionata al pensiero che fra poco avrebbe visto il fratello divenuto
1
Entrata nel 1899.
157
sacerdote, la Melloni aveva scordato il viatico. La Madre Generale,
invece, s'era provvista. Aprì la borsa, estrasse della polenta e un pezzo di formaggio e ne fece parte alla suora. Con disinvolta semplicità,
Madre e figlia consumarono quella polenta fredda e quel formaggio.
Doveva apparire una scena da «Fioretti». Povertà, umiltà, semplicità, quella notte, viaggiavano insieme verso Roma.
«L'umiltà in persona»
Le virtù che caratterizzano la Confondatrice delle suore di Castelletto, sono l'umiltà e la semplicità. I documenti scritti e le testimonianze orali vi insistono con la frequenza d'un ritornello: «umile e
semplice», «umiltà e semplicità».
Queste due virtù si richiamano a vicenda e sono intimamente legate. Se l'umiltà è il volto della verità nei rapporti dell'anima con Dio,
la semplicità è il volto dell'umiltà di fronte agli uomini.
Nella vita di madre Maria Mantovani le due virtù spiccano in grado eminente e le conferiscono una fisionomia tutta propria, inconfondibile.
Stando alle testimonianze delle suore che la conobbero da vicino,
la Confondatrice aveva «tanta umiltà»,2 era «molto umile»,3 «umilissima»,4era «un'anima umilissima»,5 era «la santa dell'umiltà»,6 «il ritratto dell'umiltà»:7 era «l'umiltà in persona».8
Tutte le suore che abbiamo interrogato, con queste e simili espressioni, hanno celebrato l'umiltà della Madre.
2
Testimonianza di suor Basilissa Manfrin, entrata nel 1912.
Testimonianza di suor Zita Tibaldi, entrata nel 1902.
4
Testimonianza di suor Onorina Tartaglia, entrata nel 1900.
5
Testimonianza di suor Zelandas Del Pozzo, entrata nel 1913.
6
Testimonianza di suor Aurea Meneghini, entrata nel 1910.
7
Testimonianza di suor Gian Maria Piva, entrata nel 1932.
8
Testimonianza di suor Romana Fedrigo, entrata nel 1903.
3
158
Con l'aiuto del Padre
Domenica Mantovani non era nata umile: lo divenne con gli anni.
Per natura era sensibilissima e facile a risentirsi quando veniva umiliata. Fin da giovane dovette ingaggiare una dura battaglia contro se
stessa, per conquistare la virtù della santa umiltà.
Nell'arduo combattimento era guidata da un valente stratega, che
le indicò le armi più efficaci e la sorresse, per molti anni, sino alla
completa vittoria. Oltre che alla grazia di Dio e alla propria tenacia,
la Mantovani deve a don Nascimbeni la conquista di quella rara modestia, in cui la videro avvolta le figlie che vennero dopo. Il Fondatore non risparmiò la Fondatrice. Volendo erigere il nuovo Istituto sulla
santa umiltà, s'adoperò perché la prima suora e la prima superiora ne
fosse un modello vivente.
D'altra parte, egli conosceva il soggetto prescelto. Sapeva che la
Mantovani si sarebbe piegata sempre, senza spezzarsi, ed avrebbe
preso quella forma che il modellato re intendeva darle. Da tempo, infatti, la discepola s'era messa alla scuola del futuro Fondatore e ne
seguiva gl'insegnamenti con assoluta docilità.
Resa a discrezione
C'è una lettera della Mantovani, indirizzata al Padre, che ha particolare significato per quanto stiamo dicendo. Fu scritta quindici mesi
dopo la fondazione dell'Istituto, quando la piccola comunità, raccolta
in ritiro, si disponeva a rinnovare i voti. In quell'occasione la superiora scrisse al Fondatore una lunga lettera, nella quale chiedeva perdono per le «innumerevoli mancanze d'ogni genere», commesse nei
quindici mesi «passati in questa santa casa», cioè in convento; e proseguiva:
Carissimo Padre: adesso però voglio rimediare a tutto. Voglio
che i
159
santi esercizi segnino l'epoca del mio vivere fervoroso nella vita religiosa. lo sento una fame ardentissima della divina parola. Desidero
proprio saziarmi, imbevermi tutta e che tutte le istruzioni e meditazioni mi vadano in sangue, allo scopo di diventar santa e presto santa.
Fra le tante virtù che intendo acquistare in questi santi esercizi,
due principalmente mi stanno a cuore: cioè, una profonda e massiccia e sincera umiltà, e la mortificazione. Questo è quanto ardentemente desidero.
Carissimo Padre, la prego di aiutarmi molto in tutto, massimamente nell'acquisto dell'umiltà. Sì, non mi risparmi in niente. Mi
umilii, mi mortifichi, tagli, rompa il mio amor proprio senza pietà.
Mi dia penitenze, come crede opportune: io ne sono contenta. Ad imitazione dell'orefice, che mette l'oro nel crogiuolo perché venga
purificato, così io mi metto nelle sue mani perché per mezzo delle
umiliazioni mi purifichi da qualunque atto di superbia, di amor proprio, di stima di me stessa.
Non dico però che a questi atti io resterò impassibile, no; confesso la mia debolezza: l'amor proprio se ne risentirà, ma non importa.
La parte superiore, cioè la volontà, combatterà codesti risentimenti,
finché si avvezzerà a desiderare le umiliazioni?9
Per diventare veramente umile, la Confondatrice si metteva dunque nelle mani del Padre e lo autorizzava, per iscritto, ad umiliarla, a
imporle penitenze, a mortificarla anche in pubblico. Il Servo di Dio,
che da tempo dirigeva i suoi colpi in tal senso, fu ben lieto di questa
resa a discrezione e tosto si mise con impegno ad espellere il nemico,
ossia l'orgoglio, da quell'anima eletta.
Il Padre “umilia” la Madre
Riprensioni, penitenze, umiliazioni, e di solito alla presenza delle
suore riunite, furono le armi usate più di frequente. Il luogo scelto
per il combattimento era il «capitolo», durante il
9
Lettera al Padre Fondatore, scritta l' 11 marzo 1894.
160
quale il Fondatore istruiva le suore con conferenze o letture, correggeva i difetti, comunicava avvisi, impartiva ordini. Qualsiasi avvenimento poteva offrire il pretesto per «correggere» la Madre. Ella
non veniva risparmiata neppure alla presenza delle novizie e delle
pro bande, ed un giorno le fu imposto di baciare loro i piedi.
La superiora doveva dare il buon esempio ed esser pronta ed esatta in tutto. Mancò un giorno all'orario. Il Fondatore mandò in giro
una suora, con candela accesa, in cerca della Madre. «Era quasi mezzogiorno di una giornata estiva, piena di sole».
Altra volta la Madre si trovava nell'orto, quando suonò il segnale
per l'atto comune in cappella; tardò alcuni minuti secondi, e giunse
ultima. «Il Padre l'attese alla balaustra: la richiamò con fortezza davanti alla comunità, a tutte poi impose d'esser puntualissime agli atti
comuni per lo spazio d'una settimana, senza che venisse suonata la
campana. La Madre non proferì una parola di scusa, e fu prontissima
a sottomettersi e a umiliarsi».
La prova poteva aver luogo davanti alla gente del paese, che peraltro non si meravigliava, perché conosceva lo stile del Padre e la
virtù della Madre. Un anno dopo la fondazione, furono eseguiti dei
lavori in convento. Un muratore aveva lasciato una cassa fuori posto
e lordata da malta indurita. Il parroco ordinò alla superiora di portare
la cassa vicino al lago e lavarla. Ci volle del tempo per rammollire la
calce secca. Dalla strada la gente osservava la Madre, che immergeva
la scopa nell'acqua e la menava avanti e indietro su la cassa. «E noi
suore, ch'eravamo in sei, stavamo per obbedienza alla finestra [del
convento] con il Fondatore, per osservarla. lo ho pianto» continua la
narratrice «perché volevo ottenere di fare io stessa tale lavoro, per risparmiare alla Madre quella
10
11
Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.
Testimonianza di suor Agnella Vezzoli, entrata nel 1915.
161
umiliazione; ma non mi fu concesso. La Madre tornò tutta giuliva in
mezzo a noi, con la cassa pulita».12
Allo scopo di esercitarla nell'umiltà, per più anni il Fondatore affidò alla superiora l'ufficio di sagrestana nella cappella del convento.
Essa preparava l'altare, accendeva e spegneva le candele, provvedeva
il fuoco; poi, durante le funzioni, rimaneva inginocchiata sul pavimento, ad agitare il turibolo. «E questo accadeva anche quando erano
presenti persone altolocate, ecclesiastiche e civili».13
Una «bella cotta» per il Padre ...
A volte il rimprovero giungeva imprevisto e pungente, ma la superiora era pronta ad accettarlo e ad umiliarsi. Era allenata da anni a
questi combattimenti dello spirito, ed aveva appreso l'arte di vincere
se stessa con facilità e quasi con gioia.
In un pomeriggio dell'anno 1905 il Fondatore stava facendo lo
spoglio della corrispondenza assieme ad alcune suore. Ad un tratto
chiese:
«Dov'è la Madre?»
«È in comunità che fa ricreazione con le suore» gli fu risposto.
«Manda tela a chiamare» ordinò, e quando la Madre si fece avanti,
disse con veemenza: «Non sai che c'è la posta da sbrigare?»
«Eccomi, Padre» rispose la Mantovani.
«No, adesso va via, non so che farne di te».
Con calma, la Madre se ne va; ma poco dopo ricompare, si mette
in ginocchio e dice: «Perdoni, Padre, un'altra volta sarò più pronta».
Ma il Padre di rimando: «Via di qua, non sei altro che di peso alla
comunità».
12
13
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 16-17.
Ivi, p. 21.
162
La Madre si alza, e con umiltà e serenità conferma: «Ha ragione,
Padre; mi perdoni», e s'allontana.
Partita la superiora, il Padre si rivolse alle suore presenti e disse:
«Avete visto l'obbedienza, la serenità e l'umiltà della vostra Madre?
Ebbene, così imparate anche voi: questo è l'esempio».14
Le ultime parole attenuano l'asprezza dell'episodio e manifestano
le intenzioni del Fondatore e la virtù singolare della Confondatrice,
già tanto provetta in quel genere di prove.
Un altro giorno la superiora venne chiamata in mezzo alla sala capitolare, durante la riunione delle suore. Intuì cosa stava per accadere
e si mise tosto in assetto di battaglia: si prostrò in ginocchio, a mani
giunte, mite «come un agnellino». Cessato lo scroscio, «senza dar segno di risentimento», chiese perdono al Padre. Le suore erano commosse, e qualcuna, nascostamente, piangeva. La Madre invece, «tutta
giuliva», come se il Fondatore l'avesse liberata da un peso, tornò alle
sue solite occupazioni. Il Padre allora, rivolgendosi alle suore, rilevò:
«Ecco l'esempio di vera umiltà, che voi tutte dovete ricopiare. Avete
visto: nessun risentimento sul suo viso; imparate anche voi». La testimone dichiara: «A tutte rimase sempre impresso quell'esempio».15
Nei primi anni il Fondatore teneva il «capitolo» tutti i giorni, alle
ore nove, nel piccolo refettorio della comunità. Fino da allora era solito «rimproverare»)a Madre, ed un giorno le ingiunse, «per penitenza», di lavorare durante le riunioni; soltanto a lei venne impartito
quest'ordine. La Madre «cominciò a lavorare una cotta con uncinetto.
Dopo qualche mese, la cotta era ultimata, ed essa la presentò al Padre, dandola a lui in dono». La cotta «è riuscita bellissima e lavorata
con finezza».16
In quel dono, lavorato «con finezza», c'era tutta l'anima
14
15
16
Testimonianza di suor Cesarina Gardari, entrata nel 1904.
Testimonianza di suor Letizia Fondrieschi, entrata el 1900.
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 15-16.
163
della Mantovani, che a quel modo intendeva esprimere la sua riconoscenza a chi l'aiutava sì gagliardamente a diventare umile e mite.
La pratica dell'umiltà
Tutto il comportamento della Madre era umile: l'incedere, l'atteggiamento del volto, il tratto, la conversazione, i lavori cui di solito
attendeva.17 L'umiltà era diventata la sua seconda natura. Davanti a
chiunque ed in ogni circostanza la Mantovani appariva mite e modesta, senza sforzi o ricercatezze.
E tuttavia, questo comportamento dimesso era congiunto ad una
rara gravità, che incuteva rispetto e devozione in quanti l'avvicinavano. La Madre era umile, ma non trascurata; sentiva bassamente di sé,
senza essere pusillanime; all'occorrenza, sapeva fare la voce forte e
prendere risoluzioni energiche, e quando impartiva un ordine, voleva
che fosse eseguito.
Raramente, però, la superiora dovette ricorrere alle parole dure ed
imporsi con autorità. Sapeva ottenere quanto voleva ottenere, senza
far pesare il suo comando, con dolcezza e con bontà, da mamma. E
come mamma si dava a tutti. Alle suore, che avevano problemi da
esporre e difficoltà da superare; alle novizie, pronte agli entusiasmi e
altrettanto facili a smarrire la strada e a perdersi d'animo; alle orfanelle, ch'erano la sua predilezione. Persino la gente del paese, anche
la più rozza e povera, quando aveva bisogno di consigli e di aiuti,
andava dalla «Madre». «Tutti venivano trattati alla stessa maniera»,18
con cuore largo e con semplicità.
Semplice e bonario era pure il linguaggio. Se con le persone
17
«In tutto, nelle parole, nel tratto, si vedeva e spiccava questa grande virtù»: Testimonianza di
suor Felicissima Ferrario, entrata nel 1909.
18
Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta, entrata nel 1916.
164
di riguardo la Madre usava modi signorili, con le sue suore e con la
gente del popolo andava alla buona, senza mai essere volgare, e nella
conversazione inseriva certe espressioni dialettali, che la rendevano
colorita ed efficace.
Nell'orto
Madre Maria amava i lavori umili. Aveva una preferenza per l'orto e per la cucina, e non ci fu verso di toglierla del tutto da quelle occupazioni. Curava altresì le bestie: «i polli, i conigli, ed anche i maiali».19
Nell'anno 1905 giunsero a Castelletto «due grandi personaggi di
Trento». Salutato il parroco in canonica, chiesero di riverire la Superiora Generale. Il Fondatore li accompagnò in convento e fece chiamare la Madre. «Nella sua umiltà e semplicità» essa «venne subito e
si presentò con il grembiule da lavoro e le mani sudicie». I due visitatori stesero la destra per ossequiarla, ma essa si schermi dicendo:
«Scusino, sto concimando i cavoli». Quando fu licenziata dal Padre,
fece un inchino agli ospiti e tornò nuovamente al suo lavoro. I due
signori erano ammirati. «Questa è una santa» dicevano tra sé, e al
Padre: «Quanto siamo rimasti edificati per la sua prontezza alla
chiamata e per la sua umiltà"20
Ma poi la Mantovani dovette abbandonare quei lavori. Col crescere delle suore e delle filiali, aumentarono anche le visite di vescovi,
di sacerdoti ed altri personaggi, che venivano a Castelletto a trattare
con il Fondatore e con la Superiora Generale. Certo, la Madre non
poteva presentarsi ai forestieri vestita a quella maniera: con le maniche rimboccate, con il grembiule da lavoro e gli zoccoli ai piedi. Insomma, a lungo andare non si potevano accordare gl'impegni della
Superiora
19
20
Testimonianza di suor Carizia DaelIi, entrata nel 1911.
Testimonianza di suor Valeria Malpeti, entrata nel 1905.
165
Generale con le occupazioni dell'ortolana. Per ordine del Fondatore,
la Madre smise di lavorare nell'orto, per essere più pronta a ricevere
decorosamente quanti venivano a Castelletto; ma non s'arrese completamente. Se le era stato proibito di prendere in mano la vanga e la
zappa e restare a lungo nell'orto, poteva andarvi, almeno di sfuggita,
per dare un'occhiata ai lavori in corso o per cogliere la verdura. Giulia Giardini, oblata, ricorda che poche ore dopo il suo ingresso in
convento, fu avvicinata da una suora. «Vien con mi» le disse. Uscirono nell'orto, «a cavar le terze»,21 Poco dopo la Giardini seppe che
quella suora era la Madre Generale.
In cucina
Dove la Madre si faceva vedere più spesso era in cucina. Vi andava subito dopo la colazione a dare direttive, poi tornava verso le undici per controllare se tutto procedeva a dovere. «Le piaceva assaggiare le vivande, per assicurarsi che erano buone e al punto»;22 diceva
infatti: «alle suore si fa sempre il mangiare buono».23 In cucina «sapeva far di tutto»;24 insegnava alle probande e alle novizie, che venivano iniziate ai segreti dell'arte culinaria. C'erano poi delle specialità
di cui la Madre aveva l'esclusiva. Particolarmente da quando fu aperta la infermeria presso la Casa Madre, la Generale entrava spesso in
cucina e preparava alle suore malate certe qualità di dolci, che sorprendevano per la loro originalità e recavano grande conforto alle
consumatrici.
Faceva tutto con naturalezza e con impegno, tanto che, chi l'avesse vista, l'avrebbe scambiata per la capocuoca. Anche quando l'Istituto si ampliò e le suore superarono il migliaio, la Superiora Generale
21
22
23
24
Testimonianza di Giardini Giulia, oblata, entrata nel 1912.
Testimonianza di suor Anania De Lai, entrata nel 1930.
Testimonianza di suor Gerosa Perego, entrata nel 1925.
Testimonianza di suor Pasqua Faccioli, entrata nel 1907.
166
continuò ad entrare in cucina, più volte al giorno.
«Nel 1931» scrive una suora «mi trovavo per un po' di tempo nella
Casa Madre. Un giorno entrai in cucina un'ora prima del pranzo, e
trovai, come di consueto, la reverendissima madre Maria che menava
la mestola in una grande pentola ed assaggiava le minestre, trascinando le sue lunghe maniche sopra i vari tegami. «Madre» dissi
«proprio lei qui in cucina a mescolare la minestra ... perché non
manda un'altra?». Con il suo consueto sorriso, la Madre rispose: «E
che ci perdo a far questo? Non sono sempre la Madre? E poi questo è
mio dovere: il lavoro nobilita». Così dicendo, uscivamo dalla cucina,
ed io le andavo pulendo la manica, sporca di minestra. «Lascia stare,
mi disse, che non fa niente».25
A ricreazione
La semplicità e bonomia della Mantovani esplodevano in sana allegria, durante la ricreazione.
Queste pause di sollievo e di fraterno ritrovo, che le leggi monastiche saggiamente prescrivono, giovano a distendere i nervi e a ridar
lena allo spirito.
A Castelletto erano desiderate, perché in quei momenti tutte le
suore potevano vedere la Madre e scambiare una parola con lei. Ella
pertanto faceva di tutto per non mancare alla ricreazione, e voleva
che tutte le suore vi prendessero parte.
I suoi modi erano così semplici, così sinceri, da guadagnarsi l'animo di tutte. A ricreazione si doveva stare allegre, e la Madre usciva
in parole argute e in scherzi piacevoli, che contribuivano grandemente alla comune letizia. Spesso estraeva dalla tasca caramelle e confetti e li distribuiva alle suore,
25
Testimonianza di suor N.N.
167
che l'attorniavano con amore e venerazione. Più che la Superiora Generale, appariva in quei momenti «una bambina», circondata da bimbe affettuose.
«Quando si andava alla ricreazione» confessa una di esse «godevamo vedere la sua semplicità. Mi faceva proprio crescere l'amore
alla preghiera e al sacrificio».26 L'effetto santo conferma la santità di
quelle ricreazioni, trascorse in compagnia della Confondatrice.
In visita alle filiali
Identica serenità diffondeva attorno a sé, allorché la Mantovani
andava a visitare le filiali. In tali occasioni era avvicinata dai sacerdoti e dalle autorità locali, ma con tutti conservava il suo contegno
modesto, franco, ed aperto.
Non disdegnava le festicciole ch'erano state organizzate in onore
della Madre Generale. Vi presenziava con entusiasmo; assisteva alle
recite dei bambini dell'asilo o ai drammi rappresentati dalle giovani
della parrocchia, e batteva le mani con compiacente partecipazione.
Quando poi andava in mezzo ai bimbi o alle ragazze, sembrava identificarsi con loro, sebbene non venisse mai meno alla sua connaturale
gravità.
Tutti restavano edificati dal comportamento semplice e buono della Madre Generale; accanto a lei si sentivano migliori.
Elogio riassuntivo
La vita della Confondatrice era, dunque, profumata di umiltà e di
semplicità. La sua indole mite e popolana offri l'argilla adatta; la grazia e l'educazione impartita dal Fondatore
26
Testimonianza di suor Donatilla Donà, entrata nel 1917.
168
le dettero l'impronta: ne uscì il ritratto vivente della Piccola Suora.
Umile e semplice: questa è la fisionomia propria di madre Maria
Mantovani. Tale la riconobbero quanti trattarono con lei quand'era in
vita, tale la ricordano ancora le figlie.
«Della venerata e carissima Confondatrice, madre Maria dell'Immacolata, mi è sempre caro ricordare la grande umiltà, che in nulla la
distingueva dalle sue figlie; anzi essa dava l'esempio negli uffici più
bassi, di cucina e di orto, insegnando come si dovevano fare, perché
riuscissero utili e pratici».27
Così ha lasciato scritto una delle tante suore, ed un'altra conferma:
«La nostra venerata Madre Generale era umile e prudente, mite e
semplice, sempre calma e serena; era la personificazione dell'umiltà e
della semplicità, caratteristiche del nostro Istituto».28
27
28
Testimonianza di suor Borromea Coltro, entrata nel 1906.
Testimonianza di suor Angelica Vettori, entrata nel 1899.
169
CAPO SECONDO
IL PROGRAMMA
DELLA PICCOLA SUORA
Quando sorse la Congregazione della suore di Castelletto, il papa
Leone XIII stava diffondendo nella cristianità il culto della Sacra
Famiglia. Due intenti, in particolare, si proponeva il romano pontefice: mettere la famiglia cristiana, insidiata dalle teorie moderne, sotto
la protezione della Famiglia di Nazareth; presentare un modello perfetto di vita domestica.
Le intenzioni del papa furono accolte dal parroco di Castelletto,
don Giuseppe Nascimbeni, che alla Sacra Famiglia consacrò, non
soltanto le famiglie della parrocchia, ma anche la Congregazione religiosa da lui fondata, e su gli esempi della Famiglia nazaretana improntò lo spirito del nuovo Istituto.
Il modello della Congregazione
Delle Piccole Suore la Sacra Famiglia è titolare, patrona, modello.
Come nella grande cappella della Casa Madre, così nelle filiali, il
gruppo della Sacra Famiglia troneggia su l'altar maggiore. La Sacra
Famiglia è riprodotta sul diritto del medaglione che le suore portano
sul petto. Sul tergo è inciso il loro programma: LA SACRA FAMIGLIA - C'INSEGNA - A PREGARE - LAVORARE - E PATIRE MEMENTO MORI. «Gesù, Giuseppe, Maria - spiri in pace con Voi
l'anima mia!» è il saluto caratteristico che si scambiano tra loro le
suore.
Pertanto, l'attività di tutta la Congregazione e della singola
170
suora, la vita e la morte, la preghiera, il lavoro, il dolore: tutto è visto
e vissuto nella luce della Sacra Famiglia.
Che questa sia l'impronta data dal Fondatore all'Istituto, lo possiamo dedurre ancor oggi dalla legislazione e dalla vita delle Piccole
Suore. Dopo aver precisato il fine generale e particolare dell'Istituto,
le Costituzioni aggiungono:
La Congregazione è posta sotto la protezione della Sacra Famiglia, da cui
prende il nome, e se ne celebra la festa con particolare devozione e solennità. Le
suore si studino di ispirarsi all'esempio della Sacra Famiglia, imitandone le virtù e
propagandone il culto e la devozione tra coloro, coi quali esercitano le opere proprie della Congregazione.1
Di tutte le feste, pertanto, quella della Sacra Famiglia è la più sentita. «È la Festa della Congregazione». A Casa Madre e nelle filiali si
tengono corsi di predicazione, per introdurre ognor più le suore nei
segreti della vita di Nazareth.
La Sacra Famiglia c'insegna ...
Prima di farsi suora, la Mantovani aveva una particolare inclinazione per la Sacra Famiglia. In convento, naturalmente, quell'orientamento interiore s'intensificò, e la Sacra Famiglia divenne il modello
di ascesi, cui s'ispirava di continuo la Madre Cofondatrice. Anche
sotto questo aspetto, che è fondamentale per la vitalità dell'Istituto, la
Mantovani fu maestra impareggiabile per tutte le suore, più con l'esempio che con le parole.
Ci resta una pagina intima della Madre, che ne disvela l'anima tutta avvolta nella luce del mistero nazaretano e desiderosa di ricopiarne
gli esempi. Sono i «propositi» fatti nella primavera del 1902, durante
un corso di esercizi spirituali. La vita della Mantovani allora era al
meriggio: stava per compiere quarant'anni, dieci dei quali li aveva
passati in convento.
1
Costituzioni, parte I, c. l, n. 4.
171
In questi santi esercizi, o Gesù mio, rischiarata dalla luce vostra e
confortata dalla vostra grazia, conobbi essere io tanto dissimile da
Voi, vero ed unico modello della vita religiosa. Conobbi essere lontana dagli esempi vostri, caro Gesù, da quelli di Maria vostra Madre, e di S. Giuseppe vostro Padre putativo. Ma da qui in avanti non
farò più così. Voi soli terrò davanti agli occhi per modellare su Voi
la mia condotta.
Sì, con l'aiuto della vostra grazia, prometto di non tralasciare
nessuna delle mie pratiche di pietà, e quel che è più, di farle bene.
Non basta: cercherò di conservare anche lungo le ore del giorno e
della notte, in mezzo alle mie molte occupazioni, lo spirito di preghiera. Non lascerò passare una mia azione, senza che prima o nel
mezzo o alla fine non la unisca a quella della Sacra Famiglia. Starò
attenta acciò il demonio non me ne rubi alcuna.
Come il buon Gesù era obbediente ad ogni cenno di Maria SS. e
di S. Giuseppe, così voglio comportarmi con il mio Superiore, ed eseguire in giornata tutte le incombenze che mi darà. Non potendo arrivarci, a lui presenterò ancora in giornata le mie scuse.
Come i santi Personaggi vissero per trent'anni nascosti agli occhi
del mondo, fuggendo tutto ciò che poteva arrecare gloria; così cercherò di nascondermi agli occhi del mondo: non solo non cercherò
che altri lodino il mio operato, ma pur venendo lodata, mi guarderò
dal sentirne compiacenza, offrendo a Dio la lode e la gloria.
Gesù, Maria, Giuseppe nella casa di Nazareth, oltre la preghiera
continua e il lavoro (che anch'io guarderò di non trascurare mai),
osservavano ancora grande silenzio. Io pure lungo il giorno cercherò di servarlo, e parlerò solo e tacerò secondo i tempi prescritti dalla
santa Regola, ed unirò questo mio silenzio a quello della Sacra Famiglia. E come Gesù, Maria, Giuseppe mai parlarono male di alcuno, così mi guarderò anch'io (sempre che il dovere o la gloria di Dio
non lo richieda) dal dir parola di biasimo per nessuno.2
Messi su la carta i «propositi», la Mantovani li sottopose alla revisione ed approvazione del Fondatore, che postillò in
2
Proponimenti fatti negli esercizi spirituali della primavera 1902.
172
calce: «Più che benissimo. Propositi modello. La Sacra Famiglia te li
benedica come te li benedico io».
... a pregare ...
Il primo insegnamento che ci giunge da Nazareth, è la preghiera.
Da duemila anni le anime amanti dell'orazione si ispirano alla vita
«religiosa», che la Sacra Famiglia conduceva entro le mura della santa Casa.
Là, la preghiera era il respiro e la vita di tutti i momenti. Era ristoro e intimità; era generosa dedizione, uniformità alla volontà del Padre ch'è nei cieli, abbandono filiale alla sua provvidenza, zelo per la
sua gloria. Erano altresì preghiera l'amore e la dedizione di Maria e
di Giuseppe al Figlio di Dio che, per redimere la famiglia umana, era
disceso su la terra, viveva con loro ed obbediva a loro. Tutto quanto
si diceva e si operava nella casa di Nazareth, era preghiera o dalla
preghiera prendeva forza e valore.
La preghiera sta alla vita religiosa come le fondamenta all'edificio.
Non ci può essere vita di consacrazione, senza assidua orazione.
Madre Maria fu un'anima di spiccata interiorità. Era portata, quasi
senza saperlo, alla contemplazione e alla vita mistica. Fin da bambina le riusciva facile pensare a Dio e tenersi unita alla Madonna. Il lago sereno, i monti rocciosi o ricoperti di verde, le stelle che palpitavano in cielo nelle lunghe sete, le parlavano fortemente di Dio, e la
sospingevano, sino da allora, a cercare in Lui solo il riposo.
Era pure un'anima silenziosa. Nel silenzio infatti e il distacco dal
mondo creano il clima necessario alla coltivazione della vita interiore. Si cresce nelle divine intimità nella misura con cui ci si allontana
dalla terra e da se stessi. È stato giustamente scritto che «un'anima
vale per la ricchezza dei suoi silenzi».3
3
A. D. SERTILLENGES, La vita intellettuale, Roma, Studium, 1945, p. 66.
173
Bisogna dire che quelli della Confondatrice fecondi e riposanti, perché la mettevano a contatto con Dio.
Perciò ella amò il silenzio e lo seppe custodire diligentemente.
«Sarò rigorosa nell’osservare e fare osservare il silenzio,4 si proponeva negli esercizi spirituali del 1909, e nell’aprile del 1912 ripeteva:
« Voglio stare sopra me stessa per osservare il silenzio e vivere
sempre alla presenza di Dio».5
La vita interiore viene alimentata, tutti i giorni, dalle pratiche di
pietà. Ad esse danno grande importanza gl’istituti religiosi, la cui legislazione prescrive un determinato numero di esercizi spirituali, atti
a mantenere accesa la fiamma interna.
Da tempo la mantovani s’era obbligata a compiere tutti gli esercizi
prescritti, che nei primi anni erano più frequenti e prolungati.6 In seguito e a più riprese, durante gli esercizi annuali o nel giorno del ritiro mensile, la Madre rinnova il suo impegno.
Con l’aiuto della Sacra Famiglia, prometto di essere diligentissima nel praticare ogni giorno tutti i più piccoli atti e pratiche di pietà, che contiene la giornata della Piccola Suora della Sacra Famiglia.7
Nessun’altra cosa, neppure gli affari della Congregazione dovevano essere anteposti all’esercizio comune.8 Se talvolta la
4
Propositi, I, p. 3.
I, p. 23. – Altre volte la Mantovani rinnova i propositi che riguardano il silenzio: «Sarò esattissima nell’osservanza del silenzio»: 20 agosto 1911 (ivi,p. 17); «Con l’aiuto di Dio, ad onore di S. Giuseppe, in questo mese voglio essere esattissima nell’osservanza del silenzio» : marzo 1912 (ivi, p.22).
Suor Giselda Dalle Vecchia, entrata nel 1905, conferma che la Madre «non era di tante parole ma
amante del silenzio e della vita interiore».
6
«Farò di tutto per non tralasciare mai le mie orazioni di regola, e fra giorno dirò frequenti giaculatorie» : Proponimenti fatti durante gli esercizi spirituali dell’anno 1885: prop. 8
7
Propositi, I, p.17.
8
«Prometto, con l’aiuto di Maria Immacolata, di non cedere mai alla tentazione di preferire gli affari materiali agli atti di pietà» : maggio1915 (ivi, p.46); «Con l’aiuto della Vergine Immacolata, prometto di essere sempre ordinata nelle mie azioni e non cedere mai alla tentazione di anteporre gli affari
alla preghiera: agosto 1915 (ivi, p. 49).
5
174
Superiora Generale era momentaneamente occupata e non poteva intervenire alla comune refezione spirituale, suppliva dopo, appena era
libera, o addirittura ricorreva ad un orario personale:9 ma la pratica di
pietà andava fatta.10
Voleva essere la prima all'atto comune, e avanti d'entrare in cappella, disponeva lo spirito alla preghiera, perché riuscisse raccolta e
fruttuosa.11 Era sollecita di stare unita a Dio anche durante la giornata, e le molteplici occupazioni non dovevano distoglierla dall'interiore raccoglimento.12
Mantenendosi fedele a questi «propositi», madre Maria Mantovani fece grandi progressi nelle vie dell'orazione. Negli ultimi anni, poi,
la sua anima era di continuo unita a Dio; e il comportamento esteriore, sereno e raccolto, edificava grandemente le persone che l'avvicinavano. Bastava vederla, per aver l'impressione d'essere davanti ad
un'«anima di Dio». Oltre la Sacra Famiglia, la Confondatrice ebbe a
modello nella vita di preghiera il Fondatore, il quale dedicava gran
parte della giornata alle pratiche di pietà. Ad imitazione del S. Curato
d'Ars, il parroco di Castelletto pose la preghiera alla base di tutta l'attività pastorale. Non ostante i gravi impegni di parroco e di fondatore, mons. Nascimbeni trovava il tempo per tutti i suoi esercizi quotidiani e prendeva parte alle preghiere comuni dell'Istituto. Dicono le
suore che il Padre «era affamato di preghiera». Pregava sempre, in
chiesa e fuori; pregava e faceva pregare quanti l'accompagnavano.
Durante l'itinerario alle case filiali o a qualche santuario della Madonna,
9
«Non trascurerò nessuna pratica di pietà e non potendo, per affari riguardanti l'Istituto, intervenire a tutti gli atti comuni, mi farò un orario speciale per trovare il tempo per tutte le preghiere»: ottobre 1917 (Propositi, II, p. 5).
10
«Propongo ... di non tralasciare nessuna pratica di Pietà»: dicembre 1911 (Propositi, I, p. 19).
Il proposito di non tralasciare alcuna pratica spirituale è ripetuto spesso.
11
«Con la grazia della Sacra Famiglia, prometto di essere sempre la prima agli atti comuni: di
prepararmi bene alla preghiera, per evitare le distrazioni»: dicembre 1912 (ivi, p. 26).
12
«Prometto ... di vivere sempre nell'unione con Dio, sia che preghi, che lavori, o faccia altre azioni»: settembre 1913 (ivi, p. 33); «Con l'aiuto vostro, o Sacra Famiglia e Vergine Immacolata, prometto di fare con molta fede e raccoglimento tutte le preghiere di regola, e di stare sempre unita a Dio
lungo la giornata per mezzo delle giaculatorie e raccoglimento»: febbraio 1918 (Propositi, II, p. 15).
175
egli prendeva la corona in mano, e si recitavano rosari su rosari.
Sembrava che la preghiera gli fosse essenziale quasi quanto l'aria.
La Mantovani ebbe dunque quest'ottimo maestro nella scienza
dell'orazione. A sua volta, divenne maestra alle figlie.
Se una differenza c'era tra la preghiera del Padre e della Madre,
essa riguardava il modo. La preghiera del Padre era vocale e attiva;
quella della Madre era più silenziosa e passiva. La diversa indole del
Fondatore e della Confondatrice si rivela, con evidenza, nella loro vita d'orazione.
Il Padre eccelleva nel moltiplicare le devozioni e gli esercizi, senza dar segno di stanchezza; anzi, quanto più pregava, tanto più prendeva gusto alla preghiera, e diventava rosso per il grande fervore.
Sembrava che la preghiera gli dilatasse cuore e polmoni, e gli facesse
bene anche al fisico.
La Madre era più calma nei suoi rapporti con Dio e la Madonna.
Si faceva vedere da loro così com'era. Parlava a loro con naturalezza,
«come una bambina». Usciva, dall'orazione, irrorata dalla grazia, che
le splendeva sul volto sereno e negli occhi buoni. Se la Mantovani
conservò l'innata semplicità anche negli anni in cui fu a capo di un
grande Istituto, lo si deve alla sua vita di preghiera. Era talmente
«semplice» con Dio, che non poteva non esserlo con gli uomini.
La preghiera del Padre rassomigliava ad una traversata, compiuta
a forza di braccia, superando scogli e marosi. La Madre, invece, si teneva stretta all'azione della grazia, sia quando il mare era tempestoso
che nei giorni di bonaccia.
E giunsero entrambi in porto, insegnando con l'esempio alle figlie
che tanto nelle vie della santità come nelle grandi realizzazioni apostoliche, il mezzo più valido è la preghiera.
176
...lavorare ...
Madre Maria lavorò alacremente fin da ragazza. La casa, la chiesa, i campi erano il teatro delle sue molteplici occupazioni. Dovendo
fare molte cose, imparò a disbrigarsi con spigliatezza e bene. Già da
allora sapeva organizzare la giornata e faceva ogni cosa nel tempo
assegnato.
Col passar degli anni la Mantovani si perfezionò pure come lavoratrice. Continuò ad interessarsi della parrocchia anche da suora. Puliva la chiesa, rinnovava i fiori e la biancheria degli altari, insegnava
il catechismo, curava le associazioni femminili, sorvegliava i ragazzi
durante le sacre funzioni, e visitava gli ammalati del paese. In convento faceva un po' di tutto. Abbiamo già parlato dell'orto e della cucina, per mettere in risalto le preferenze della Confondatrice per le
occupazioni umili, ma poi si offriva a dare il suo aiuto ovunque ce ne
fosse stato il bisogno e per qualsiasi faccenda. Non aveva particolari
specializzazioni, eppure Riusciva nelle diverse attività quanto una
diplomata.
Nei primi tempi della Congregazione, quando veniva aperta una
nuova filiale, la Madre accompagnava le suore designate e rimaneva
con loro alcune settimane, per insegnare come bisognava fare. Pure
in seguito, allorché visitava le numerose case dell'Istituto, la Madre
Generale non stava con le mani in mano. Le dispiaceva restare ferma
a guardare mentre, attorno a lei, le suore lavoravano. E si prestava,
secondo il bisogno, ora a preparare la chiesa per la festa, ora a mettere avanti la cucina,13 ovvero andava al pozzo per l'acqua.
13
Riportiamo, a scopo esemplificativo, quanto scrive suor Coletta Gelfi, entrata nel 1912: «Dopo il
noviziato la santa obbedienza mi mandò a Brugherio, in provincia di Milano, dove le suore tenevano un
convitto per operaie della filanda. Vennero il venerato Padre e la Madre Generale in visita. Era un avvenimento per tutte; superiora e suore, ad una ad una, eravamo libere di andare dal Padre per esporre i nostri bisogni e i nostri desideri. Andò prima la superiora e noi aspettavamo tutte il nostro turno. La cara
Madre Generale, previdente in tutto ... si fece dare un grembiule e si mise a preparare il pranzo per le
operaie e per noi, continuando il lavoro finché ci vide occupate».
177
Qualcuno restava sorpreso che la Generale, quando arrivava, si offrisse per lavori così umili; ma la Madre non dava ascolto e tirava
avanti con grande naturalezza. Sembrava giunta lì apposta per darsi a
quelle occupazioni.
Se poteva sbrigare un lavoro da sé, non chiedeva aiuto. Molto meno si tirava indietro, se c'era da affrontare una fatica. Per il fatto d'essere la Madre Generale, non si credeva dispensata dall'eseguire quanto avrebbe eseguito l'ultima suora.
Una volta - narra suor Gennara Chirico - salivo le scale per andare in dormitorio dalla parte del guardaroba. Vedo scendere una tavola assai grande e pesante.
Guardai sotto la tavola per vedere chi portava quel peso. Era la nostra madre Maria
che, postasi sotto la tavola, la trasportava con la schiena piegata per farsi forza. lo
le dissi: «Madre, che cosa fa? trasportare un peso simile da sola!». Chiamai aiuto
perché da sola non ero capace.14
La Cofondatrice lavorava molto e lavorava bene. La Sacra Famiglia era il suo modello; il Fondatore, per molti anni, il suo maestro.
Dal Padre, che «chiamava suoi padroni il Crocifisso e l'orologio15 - il
Crocifisso da servire, l'orologio per servirlo - la Madre apprese la
stima del tempo.
Propongo in questo mese di non perdere un minuto di tempo: dicembre 1911;16
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, propongo di non perdere una
briciola di tempo: aprile 1913;17
Prometto con l'aiuto vostro, caro Gesù, di far tesoro del tempo:
dicembre 1917.18
Per non sciupare il tempo, occorre ordinare bene la propria giornata e fare ogni cosa secondo un orario prestabilito.
14
15
16
17
18
Testimonianze di suor Gennara Chirico, entrata nel 1912.
GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 107.
Propositi, I, p. 19.
Ivi, p. 30.
Propositi, II, p. 14.
178
Nei conventi si fa molto e con perfezione nella misura in cui vengono osservati gli orari. A Castelletto tutto veniva eseguito con grande
ordine, sotto la direzione del Fondatore che, come dicono le suore,
«spaccava il minuto».
Nondimeno, l'anelito alla perfezione sospingeva la Madre ad organizzare sempre meglio la giornata e nei suoi «propositi» vi torna sopra di frequente.
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di usufruire bene del
tempo col fare tutto a tempo e luogo e con ordine, recitando frequenti e fervorose giaculatorie. Sacra Famiglia, aiutatemi a farmi santa:
20 agosto 1914;19
Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata,
pro-metto di essere puntuale nel fare quanto mi impongo nella giornata ed esattissima nelle Piccole cose, col fare tutto a suo tempo: luglio 1915;20
Con l'aiuto della Sacra Famiglia e di Maria santissima Immacolata, prometto di organizzarmi meglio e di fare ogni cosa al suo tempo, farla con la massima tranquillità; e fino a che faccio un'azione,
non debbo pensare ad altro, per poter fare tutto bene e dar gusto a
Gesù: marzo 1915.21
La puntualità della Confondatrice cominciava dalla levata del
mattino,22 che veniva piuttosto anticipata che posticipata.23 Il desiderio
di fare tutto al tempo debito e bene induceva la Superiora a stabilire,
per iscritto, quanto avrebbe fatto il giorno seguente.24
19
20
21
Propositi, I, p. 39.
Ivi, p. 48.
Ivi, p. 43. Il Padre postilla: «Brava!».
22
«Sarò prontissima al campanello della levata»: primavera 1909 (ivi, p. 3); «Voglio essere prontissima alla levata»: febbraio 1913 (ivi, p. 28).
23
«Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di essere prontissima alla levata, di anticipare piuttosto che posticipare»: gennaio 1914 (ivi, p. 36). Il Padre osserva: «E non dici neppure una parolina,
quando andrò a letto».
24
«Propongo ... di stabilire il giorno avanti quello che farò il giorno seguente, e metterlo in iscritto»: ottobre 1911 (ivi, p. 18).
179
La Mantovani aspirava alla santità. Non solo curava la perfezione
materiale ed esterna delle sue azioni, voleva altresì che fossero sante
le disposizioni d’animo con cui operava. Per meglio riuscire
nell’intento, faceva sue le intenzioni dei tre Personaggi di Nazareth
ed offriva a Dio il proprio lavoro in unione al lavoro della Sacra Famiglia.
Non lascerò passare una mia azione, senza che prima o nel mezzo
o alla fine non la unisca a quelle della Sacra Famiglia.25
Ad imitazione delle anime veramente pie, madre Maria operava
con grande fede e fervore;26 ed era sollecita di rinnovarsi continuamente nel santo servizio di Dio.27
E’ stato scritto che, nel cristianesimo, «il lavoro è accettato come un
obbligo e praticato come una virtù. E’ un mezzo per guadagnarsi il
riposo, in certo modo, l’usufrutto eterno, in seno a Dio». Anche per
la Mantovani il lavoro andava accettato con gioia e adempiuto con
zelo, perché, lavorando cristianamente, si dà gusto al Signore e si
merita il cielo. In uno degli ultimi «propositi» che ha lasciato, diceva:
Con l’aiuto vostro , caro Gesù, prometto di far tesoro del tempo,
procurando che ogni azione piaccia al Signore e sia degna di ricompensa eterna
Con questi ideali, perfezionati man mano che saliva verso
25
Proponimenti della primavera 1902
«Prometto con la grazia di Dio di essere diligentissima nel fare le cose piccole, e le farò col
massimo fervore, pieno di fede» : aprile 1914 (Propositi, I. p. 38); «Con l’aiuto della Sacra Famiglia e
della Vergine immacolata, farò che tutte le ore del giorno siano piene di azioni, che piacciono a Gesù,
che meritino la sua benevolenza, il suo gusto» : luglio 1917 (Propositi, II,p. 1).
27
«Con l’aiuto della Sacra Famiglia, ogni mattina rinnoverò il mio spirito per fare sempre con fervore ogni cosa» : giugno 1910 (Propositi, I p. 15); «Prometto di rinnovarmi ogni momento nello spirito
e di mantenermi sempre fervorosa, come fosse il tempo degli esercizi» : febbraio 1914 (ivi, p.37);
«Ogni giorno mi rinnoverò nel fervore, tenendo sempre lo spirito pronto ad operare con ilarità e prontezza» : ottobre 1912 (ivi, p. 26).
28
. IGINO GIORDANI Il messaggio sociale dei primi Padri, Torino, S. E. I., 1939, p.207.
29
Propositi,II, p. 14
26
180
le vette della santità, la Confondatrice delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia ha lavorato indefessamente, nel mondo e nel chiostro. Smise soltanto verso la fine del gennaio dell'anno 1934. Mancavano pochi giorni al premio eterno.
… e patire
Del dolore, su la terra, ce n'è per tutti; ma ben pochi sanno soffrire. Eppure tutti siamo chiamati, prima o poi, a frequentare la scuola
di questo educatore austero.
Senza dolore, si continua a ripetere, nulla si fa di valido e duraturo. Anche le vette luminose della santità vengono raggiunte attraverso tappe laboriose, contrassegnate da oscurità e purificazioni. Se poi
alcuno è chiamato a grandi cose, deve sottoporsi a più dure prove. La
prosperità delle istituzioni religiose, di solito, offre la misura delle
sofferenze cui andarono incontro i fondatori.
Vista in questa luce, la Congregazione delle Piccole Suore della
Sacra Famiglia testimonia la vita «dolorosa» di madre Maria Mantovani. Ella infatti, come tutte le grandi fondatrici, ebbe a soffrire molto: è la legge inderogabile d'ogni maternità. Incomprensioni, critiche,
minacce, persecuzioni, distacchi da persone care, isolamento, pene
interiori ... la Madre affrontò tutto con animo sereno, con illimitata
fiducia in Dio.
Seppe dunque soffrire. Se da principio era lei ad imporsi penitenze
ed a scegliere quanto maggiormente ripugnava alla sua natura, in seguito, fortificata dalla confidenza e dall'amore, riusciva ad accettare
pene ben più grandi, che la Provvidenza le mandava. Nel luglio del
1909 scriveva sul taccuino dei «propositi»:
Caro Gesù: ho sperimentato quanto sia dolce e soave abbandonarmi tutta in Voi. Aiutatemi a farlo sempre. Prometto di pregare
sempre con grande confidenza, di amarvi tanto, di abbandonarmi interamente in Voi per ciò che riguarda la mia perfezione, la perfezione delle mie suore, e
181
tutti gli affari e industrie dell'Istituto, non prendendomi nessun pensiero, sicura che Voi provvederete bene a tutto. In Te, Domine, speravi: non confundar in aeternurn!30
L'abbandono in Dio nelle avversità fu una conquista dello spirito,
che impegnò madre Maria per più anni. I «propositi» v'insistono, e
con ogni probabilità anche il Fondatore guidava la Madre in quella
direzione. Sembra che ella abbia dovuto lottare a lungo per condurre
la sua natura, schiva e alquanto timida, alla santa indifferenza delle
anime eroiche. Nel settembre del 1909 prometteva:
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, starò attenta a non mancare
mai di confidenza in Dio. Anche nei casi Più difficili, mi sforzerò di
conservare la massima confidenza. Mancando, me ne accuserò per
iscritto al mio reverendo Padre. La Sacra Famiglia mi aiuti:31
La confidenza in Dio, la calma e la tranquillità di fronte a qualunque prova il Signore volesse inviarle, sono ancora l'oggetto dei propositi del novembre e gennaio successivo. Nel mese di febbraio la
Mantovani rivela la via che ha seguito onde ottenere il totale dominio
su di sé, di fronte a qualunque avversità. È la via della fede e dell'abbandono in Dio, la quale ci disvela un'anima molto progredita nell'orazione; ed è altresì l'atteggiamento più connaturale allo spirito del
nostro personaggio.
Vivrò come una bambina abbandonata nelle mani di Dio, lasciando a Lui la cura della mia santificazione e quella dell'intero Istituto, compresa l'approvazione del medesimo,32 Con questo scopo farò
le mie
30
Propositi, I, pp. 6-7.
Propositi, I, p. 9.
L'Istituto non aveva compiuto i 18 anni. Pochi mesi dopo lo scritto della Confondatrice, il 26
agosto 1910, esso veniva approvato dalla santa Sede con il «Decreto di lode».
31
32
182
preghiere, Piene di fede e di confidenza in Dio, come il bambino con
la propria mamma; e dopo questo vivrò in pace, sicura che otterrò
quanto spero e domando.33
Conquistata la tranquillità dello spirito, madre Maria la diffondeva
attorno a sé, in virtù d'un misterioso contagio. Bastava vederla nei
momenti più difficili per la Congregazione, che ci si sentiva dilatare
il cuore e si aveva fiducia.
Messa a capo d'un Istituto nascente, durante più di quarant'anni di
governo, la Mantovani dovette patire afflizioni e risolvere situazioni
intricate. Si manteneva calma e serena in tutti gli avvenimenti, ed esortava le suore ad avere confidenza in Dio.
«Voler di Dio» diceva, «facciamo la volontà di Dio, «in paradiso
non ci si va in carrozza»,34 «volontà di Dio, ciapémola [facciamola]
tutta»:35 e intanto si rifugiava nel Signore con la preghiera e conservava la sua abituale tranquillità.
Allorché fu decisa l'erezione dell'infermeria presso la Casa Madre
per le suore malate, fu necessario superare molte contrarietà. Si cercò
d'arrestare la costruzione, e una volta ultimata l'infermeria, non si voleva che fosse abitata. A capo dell'opposizione s'era messo il podestà
del paese, il quale aveva uno straordinario terrore dei microbi e delle
infezioni.36 Egli temeva che, portando le suore malate sul pendio del
monte ove sorgeva l'infermeria, i microbi sarebbero scesi a valle,
verso il lago, e gli avrebbero invasa la villa. Fece di tutto, dunque,
perché ciò non avvenisse; e quando credete perduta la causa, invocò
l'intervento del medico provinciale. Questi compariva spesso a Castelletto, quasi ogni settimana, per eseguire sopralluoghi e ispezioni...
33
Propositi, I, pp. 13-14.
Testimonianza di suor Tullia Tamellini, entrata nel 1909.
35
Testimonianza di suor Allodia Buffoni, entrata nel 1909.
36
I microbi c'erano e anche l'infezione, ma di altra natura. Proprio per le preghiere e mortificazioni
prolungate delle suore, il povero infetto ne fu liberato, poco prima di morire, nel ravvedimento finale. A
quel modo le suore riportavano doppia vittoria.
34
183
Le suore furono importunate a tal punto che, ad un certo momento,
portarono le malate a Negrar.
Ad affrontare l'incresciosa vicenda c'erano la Madre Generale e la
sua vicaria suor Fortunata Toniolo. Questa, di natura più ardente ed
impetuosa, si sdegnava, perdeva la pace, poi, prevedendo il peggio, si
lasciava prendere dall'abbattimento.
Madre Maria, invece, era «tranquillissima»: confidava in Dio e
nella Vergine Immacolata di Lourdes. «Mi me sento in una bote de
fèro»,37 andava ripetendo nella congiuntura. E quando la vicaria era
maggiormente sconfortata, perché pareva che i nemici dell'Istituto
avessero vinto la battaglia, la Madre l'animava bonariamente: «Va là,
cara ti, el Signor è Più bravo de tuti»,38
Dopo un anno, infatti, da Negrar le malate tornarono a Castelletto
e non vennero più disturbate.
L'insegnamento impartito a colei, che le sarebbe succeduta nel
governo della Congregazione, era sommamente prezioso proprio
perché veniva dall'esempio. Durante la lunga e non facile vita, la
Confondatrice aveva insegnato alle sue suore come bisogna affrontare la «sofferenza».
Il dolore ha mille volti, e spesso giunge all'improvviso. Ma quando si confida nella Provvidenza e nella Madonna, quando si ricorre a
Dio come fa «il bambino con la propria mamma», si può stare tranquillissimi, assicura madre Maria, come «dentro a una botte di ferro».
Memento mori
Dal Fondatore la Mantovani prese l'abitudine di pensare spesso alla morte.
Don Giuseppe Nascimbeni si rese familiare il pensiero della
37
38
Testimonianza di suor Allodia Buffoni.
Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
184
morte,fin da quando era in seminario. Entrò in Castelletto, quale vicario cooperatore, il 2 novembre 1877: il primo incontro col nuovo
gregge avvenne al camposanto, vicino alle tombe dei parrocchiani
defunti. Al cimitero era solito andare di buon mattino, quasi tutti i
giorni, e s'intratteneva a fare la meditazione nella millenaria chiesa di
S. Zeno.39 «La morte volle, dunque, che fosse anche l'assidua ispiratrice ed ammonitrice delle sue figlie, sicuro che n'avrebbero tratto
giovamento».40
Affinché la salutare lezione rimanesse più impressa nell'animo
delle suore, il Fondatore ricorse a scene drammatiche, atte a impressionare la fantasia. Durante il primo anno della fondazione, il Padre
ordinò alla Mantovani di chiudersi in camera e di preparare per il
giorno di ritiro un fantoccio, che riproducesse le sembianze della
Piccola Suora. «Noi non sapevamo niente» dichiara suor Agnese
Brighenti. «Finita la colazione, il Fondatore ci fece entrare nella cappellina. Quale spavento vedere quella suora distesa sul cataletto, con
quattro candele accese! ... Il Padre ci fece la meditazione su la morte
... La cappella tutta buia faceva ancor più impressione». Lo spettacolo «fu rinnovato ancora per un altro mese, poi basta in questa maniera».41
Fu smessa la scena macabra, ma non la lezione sulla morte; della
quale, anzi, il Fondatore parlava spessissimo, affinché le sue figlie
spirituali imparassero a vivere bene, onde meritare di ben morire.
39
«S. Zeno la solitaria chiesa del cimitero, con la strana pianta a due navate, parrebbe più antica del
secolo XI; sorse evidentemente al posto di un tempi etto pagano, di cui son vestigi e due capitelli di
pario, e una coppa d'idolo, con l'ara nel mezzo... Affreschi del 1200, con episodi di Giovanni, ornati e
sacrifici del ciclo catacombale, la rendono interessante per la storia dell'arte; il severo campanile sormontato dall'oselet che dà il nome alla Chiesa, è il faro per ogni buon Castellettano, il richiamo per le
suore che vi riposano accanto»: GIUSEPPE TRECCA, Sei Novembre 1892- 1917, p. 3. - Vedi anche:
ANTONIO PIGHI, Castelletto di Brenzone sul Garda. Notizie storiche, Verona, G. Marchiori, 1908,
pp. 11-12.
40
GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 191.
41
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 17-18.
185
La Madre Cofondatrice fu docilissima nell'apprendere l'insegnamento paterno, come possiamo arguire dai «propositi».
Voglio fare ogni cosa come prossima preparazione alla morte:
febbraio 1912.42
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, voglio fare con la massima perfezione ogni mia azione come se fosse l'ultima della vita, indirizzandola alla gloria di Dio, affinché il resto dei miei giorni siano Pieni di
opere buone: agosto 1913.43
Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata,
prometto di fare ogni mia azione con esattezza e puntualità, specie
nelle cose Piccole. E tutto questo, per arrivare all'intima unione con
Dio e per apparecchiarmi alla morte: settembre 1916.44
Anche le suore dovevano pensare sovente alla morte. Tramite la Madre, gli avvertimenti del Padre erano trasmessi alle figlie. In particolare, il ricordo delle suore scomparse offriva a madre Maria lo spunto
per esortare alla generosità le viventi.
Quante vite miete la morte! Nel nostro Istituto quest'anno, nello
spazio di soli 38 giorni, il Signore chiamò a sé tre carissime nostre
sorelle ... Davanti a queste tre bare, tutte vi invito a fare delle serie
riflessioni, a vantaggio delle vostre anime. Impariamo, carissime, a
distaccarci da tutto e da tutti, a vivere solo con Gesù e per Gesù ...
Bellezze, onori, ricercatezze, bel sapere, tutto svanisce e come per
incanto ... Quanta delusione, carissime! Qui in Casa Madre siamo in
continua meditazione sulla morte. Come tutto passa quaggiù! Come
in un lampo tutto finisce!45
42
Propositi, I, p. 21.
Ivi, p. 32.
Ivi, p. 54.
45
Circolare del 21 marzo 1928.
43
44
186
E poiché «tutto passa quaggiù» e «tutto finisce», la Piccola Suora,
sorretta dalla fede, s'impegna a vivere santamente, pregando, lavorando, soffrendo, dietro gli esempi ed in unione alla Sacra Famiglia,
Vivendo giorno per giorno il programma della Piccola Suora, la
Madre Cofondatrice poteva rivolgere autorevolmente la sua parola
alle figlie: «Pregate» diceva loro «specialmente perché Gesù ci dia la
grazia di vivere e morire da sante, modellando la nostra vita, ogni
giorno più, sugli esempi della nostra cara Sacra Famiglia».46
46
Circolare del l0 gennaio 1916.
187
CAPO TERZO
LE DEVOZIONI
Parlare delle «devozioni» di un'anima consacrata a Dio è descriverne la fisionomia spirituale, è svelarne gl'ideali intimi che l'aiutarono a superare se stessa e ad operare santamente.
Ogni istituto ha le «sue» devozioni. Esse possono trarre origine
dal momento storico in cui sorge l'istituto o dalle specifiche finalità
che l'istituto si propone, e più spesso fioriscono dalla spiritualità dei
fondatori, che trasmettono il proprio orientamento interiore ai figli e
alle figlie spirituali.
Il Fondatore e la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto
sul Garda furono «devoti» della Sacra Famiglia, del SS. Sacramento,
della Madonna, di S. Giuseppe.
Sarebbe vano istituire raffronti tra il Padre e la Madre, per sapere
in che misura e con quali sfumature ciascuno coltivava il proprio
mondo interiore. Certo, anche sotto questo punto di vista si può ripetere quanto è stato giustamente rilevato: «erano santi tutti e due, ma
in maniera diversa».1 Mons. Nascimbeni eccelleva nella devozione al
Santissimo; madre Mantovani coltivava, con spiccata predilezione, il
culto della Madonna, in particolare della Madonna Immacolata di
Lourdes.2
Più che di contrasti o divergenze si deve parlare d'integrazione.
Qui, più che altrove, il Fondatore e la Confondatrice,
1
Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.
Dei rapporti «filiali» di madre Maria verso la Madonna Immacolata si parlerà più avanti, nella
parte sesta del volume.
2
188
che Dio aveva uniti per una comune grandiosa opera, si completarono a vicenda. Dalla loro vita interiore, intensamente vissuta, sono
sgorgate le «devozioni» delle Piccole Suore di Castelletto.
La Sacra Famiglia
È la devozione dell'Istituto per eccellenza. Esso infatti si propone
primieramente di onorare la Sacra Famiglia e di ricopiarne gli esempi, e s'impegna a diffonderne il culto tra i fedeli. Le Costituzioni dànno rilievo a questa finalità dell'Istituto e ne fanno oggetto di particolari prescrizioni:
La principale devozione della Congregazione sia quella della Sacra Famiglia,
alla quale le suore devono mirare per avere l'ispirazione della vita religiosa; l'esempio della Sacra Famiglia sia come il programma di personale santificazione e
di azione di carità verso il prossimo.
Le suore si studino di promuovere la devozione della Sacra Famiglia anche tra
le persone secolari, specialmente come esemplare di ogni famiglia cristiana, festeggiandone con solennità la ricorrenza; ove sia possibile, nelle case della Congregazione un mese intero si consacri in suo onore con pubbliche pratiche di pietà,
col consenso dell'Ordinario del luogo.3
Attorno agli augusti misteri della Sacra Famiglia la Piccola Suora
concentra la sua vita interiore e il suo apostolato. Entrando in chiesa
di buon mattino, si prostra a terra e assieme con le sorelle, «a voce
alta e unisona», dice: «O Sacra Famiglia, fatemi la grazia di vivere e
morire nella fedeltà più perfetta al vostro santo servizio».4 Così tutti i
giorni, così tutta la vita.
Di questo «santo servizio» la Casa Madre offre l'esempio. Le cronache del Nazareth, di anno in anno, elencano le iniziative prese durante il mese di gennaio, consacrato alla
3
Costituzioni, parte I, c. 13, nn. 140-141.
Direttorio dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Istituto, 1944, p. 8.
4
189
Sacra Famiglia; in particolare descrivono i tre giorni predicati e la festa, che viene celebrata con grande solennità.
Vivente mons. Nascimbeni, era lui l'animatore di tutto questo culto, in parrocchia e nell'Istituto: la Mantovani lo seguiva con docilità e
trasporto. Quando venne a mancare il Fondatore, ella continuò a zelare il culto della Sacra Famiglia, tanto presso la Casa Madre che nelle filiali.
Sulla bocca
La Madre Cofondatrice, dicono, nominava spesso la Sacra Famiglia, e spesso l'ha presente nei suoi scritti. Alla Sacra Famiglia affida
i «propositi», che ordinariamente cominciano con queste parole:
«Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto... »
La Sacra Famiglia è ricordata di frequente nelle lettere circolari.
Nella testata, anzi tutto, che invariabilmente ripete: «Carissime nella
Sacra Famiglia». Nel corpo dello scritto, ove le suore sono esortate
alla pratica delle virtù religiose, dietro gli esempi luminosi della Famiglia di Nazareth. Alla fine, con tono materno, nella parte augurale:
«La Sacra Famiglia vi benedica»; «Davanti a Gesù, Maria, Giuseppe
invoco per tutte la santa benedizione»; «Implorandovi dalla Sacra
Famiglia le più elette benedizioni, vi assicuro delle mie povere preghiere»; «Lasciandovi nelle braccia di Gesù, Maria, Giuseppe, credetemi affezionatissima Madre»; ecc.
Anche nelle lettere private e nei bigliettini inviati alle singole, o
nelle postille fatte ai «propositi» che le suore sottopongono alla revisione della Madre, la Sacra Famiglia è nominata continuamente.
Sembra che la Madre Generale non trovi un mezzo più atto ad infondere coraggio nell'animo delle figlie, che nominando la Sacra Famiglia, nel cui nome consola, esorta, e benedice.
Ad imitazione del Fondatore, madre Maria invitava le suore a
promuovere il culto della Sacra Famiglia e ne dava lei stessa
190
l'esempio, poiché era sollecita nell'abbracciare quelle iniziative che
potevano concorrere al comune intento.
Vi mando una bellissima novena alla Sacra Famiglia che, cominciando da
quest'anno, verrà letta in preparazione alla sua festa e con grande fervore ... Promovete, Più che sia possibile, la devozione alla Sacra Famiglia anche in mezzo ai
secolari, alla gioventù, agl'infermi?5
Nella vita
Ma ciò che stava più a cuore alla Madre Generale era l'imitazione
delle virtù, che mirabilmente risplendettero tra le mura della santa
casa di Nazareth; e pertanto scriveva:
Carissime nella Sacra Famiglia:... Ricordatevi che voi dovete
pregare, lavorare, faticare, operare per dar gloria alla Sacra Famiglia, per dar gusto alla medesima, per meritare il paradiso ... Passiamo fevorosamente tutti i mesi del nuovo anno, in particolare il
primo che è quello consacrato alla Sacra Famiglia, nostra speciale
Patrona. Onoriamola con la preghiera, ma in modo speciale con la
imitazione delle virtù, di cui Essa ci diede l'esempio, e che sono:
l'obbedienza, la povertà, i patimenti di Gesù Bambino; la preghiera,
il silenzio, il lavoro, la vita di sacrificio di Maria e di Giuseppe. Se
imiteremo questi divini esemplari, santificheremo bene questo mese,
glorificheremo la Sacra Famiglia e ci faremo sante anche noi.6
L'imitazione delle virtù che rifulsero in seno alla Sacra Famiglia, è
dunque la maniera più appropriata per rendere a lei onore; ed è altresì
la via più sicura, battendo la quale le figliuole raggiungeranno quegli’ideali, che le hanno indotte a lasciare la famiglia terrena, per arruolarsi tra le file delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.
5
6
Circolare del 17 ottobre 1932.
Circolare del 27 dicembre 1919.
191
Era la via che la Cofondatrice stava percorrendo con entusiasmo
da alcuni decenni, dietro le orme del servo di Dio mons. Giuseppe
Nascimbeni, padre e maestro della sua anima.
Il SS. Sacramento
Amatissimo Padre, le dico il vero: non cederei questi quindici mesi, passati in questa santa Casa, con i trent'anni che ho trascorsi nel
secolo. 7
Una delle principali ragioni che inducevano la Mantovani ad esprimersi in quella maniera era data dal fatto che, nel piccolo convento, c'era la cappella e nella cappella si conservava perennemente
il Santissimo. Innumerevoli volte era venuta lì, ai piedi dell'altare, a
tu per tu con l'Ospite Divino. Lì, aveva superato le difficoltà incontrate nell'ardua via intrapresa; tra quelle anguste mura, nell'intimità
della preghiera, il Signore le aveva dato quelle gioie sensibili, che
suole concedere alle anime novizie, chiamate ad una eminente santità.
Nel mondo
Anche nella chiesa parrocchiale Gesù sacramentato s'era fatto sentire più volte, durante i trent'anni che la Confondatrice aveva trascorsi nel mondo. La chiesa infatti era diventata il centro della vita affettiva della giovane, proprio perché era l'abitazione del Signore. Ella
andava spesso da Lui, possibilmente tutti i giorni, come abbiamo visto; e a Lui diceva tutto: le difficoltà e le umiliazioni incontrate, il timore di non riuscire ad essere sua, tutta sua, la gioia d'aver scelto Lui
per sempre. Oh, le ore deliziose passate, da sola, davanti al tabernacolo della chiesa parrocchiale!
7
Lettera al Padre Fondatore, scritta l'11 marzo 1894.
192
Ma la giovane non poteva sostare a lungo. A casa l'attendevano i lavori; poi c'erano Andrea e Maria che spesso si lagnavano con la
mamma, perché la Meneghina perdeva troppo tempo in chiesa, mentre - a sentir loro - a casa c'era tanto da fare. La maggior parte della
giornata affaccendata era trascorsa, quindi, lontano da Lui. Solo di
quando in quando, affacciandosi alla finestra od uscendo sull'aia, la
Mantovani scorgeva il campanile e la vecchia chiesa ottagonale.
Spontaneamente, per una cresciuta propensione, il pensiero penetrava quelle pareti, consacrate dalle preghiere di tante generazioni e soprattutto dalla presenza plurisecolare del Figlio di Dio fatto uomo ...
e subito il cuore s'apriva al colloquio sospeso poche ore prima, o anticipava quello della sera, allorché la Mantovani sarebbe scesa per il
rosario e la benedizione.
In convento
Adesso tutto era cambiato. Quand'era nel mondo, era lei ospite
nella casa del Signore; ospite assidua ed affettuosa, ma sempre ospite. Ora, invece, era Gesù l'ospite desideratissimo nel piccolo convento. Da quando madre Maria ne aveva preso possesso assieme con le
prime tre suore, Gesù era venuto da loro, sotto lo stesso tetto, e non
le aveva più lasciate.
La cappellina era dunque a pochi metri dalla sala di lavoro e di ricreazione, dal refettorio, dalla cella occupata dalla superiora. Bastava
fare alcuni passi, varcare quella soglia, e si era davanti a Lui che le
aspettava, lei e le sorelle: era lì per loro.
Chi, pertanto, poteva considerarsi più ricco, sebbene nel conventi no
ci fosse tanta penuria, chi più felice? Perciò, scrivendo a chi l'aveva
portata tra quelle mura fortunate, la Mantovani s'esprimeva così:
Amatissimo Padre, le dico il vero: non cederei questi quindici mesi, passati in questa santa Casa, con i trent'anni che ho trascorsi nel
secolo.
193
Giardiniera e sagrestana
Tra le varie mansioni affidate a madre Maria, c'erano anche quelle
di giardiniera e sagrestana, giardiniera perché sagrestana. E ci teneva
a far crescere nell'orto del convento fiori belli, di diverso colore e
profumo, appunto perché al tempo giusto li avrebbe messi davanti al
Santissimo. A queste occupazioni, che esercitava fin da giovanetta, la
Mantovani rimase affezionata per tutta la vita. Ed era, anche questo,
un esercizio di amore.
Cercherò di mettere fiori sempre freschi accanto al divin Tabernacolo: e intenderò che, come io metto al suo altare gigli, rose, viole, ecc., così Lui rivesta il mio
cuore delle virtù simboleggiate in quei fiori, i quali, lungo il giorno, parleranno
per me. Questo è il patto che faccio con Gesù mettendo i fiori ...8
Durante la giornata madre Maria cercava di praticare le virtù, che
i fiori stavano esprimendo davanti al Signore; e quando tornava in
chiesa o nell'oratorio, per aggiungere acqua nei vasi o per il cambio
dei fiori, la Madre era portata ad esaminarsi per controllare se era stata fedele al patto.
Fiducioso ricorso
A Gesù in sacramento la Mantovani aveva tante cose da dire e
persone da raccomandare. Oltre il Fondatore e le suore, c'erano in
parrocchia gli ascritti alle diverse associazioni, cui la Madre assisteva
con grande senso di responsabilità. In particolar modo le stavano a
cuore la gioventù femminile e i bambini, tanto bisognosi d'una mano
vigorosa e ad un tempo materna per essere fortificati nel bene. Or
quando le ragazze
8
Proponimenti della primavera 1902.
194
non corrispondevano o i bimbi erano sordi ai ripetuti richiami, invece
di perdersi d'animo, la superiora andava in chiesa, a parlarne con Gesù.
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di sopportare sempre con pazienza
l'indisciplinatezza e la vivacità della gioventù; e quando vedrò che non potrò far
nulla da me, correrò ai Piedi del santo Tabernacolo e la raccomanderò al Signore.9
Alla stessa maniera, allorché la sofferenza la toccava più da vicino
e l'animo era oppresso per le molteplici afflizioni, la Confondatrice
entrava nell'oratorio del convento, si apriva con Gesù, e pertanto restava calma e fiduciosa come dentro una fortezza inespugnabile.
Col tuo aiuto, o Gesù caro, voglio da qui in avanti ricevere dalle tue mani ogni
croce e tribolazione che ti piacerà inviarmi, senza disturbarmi, senza scoraggiarmi, ma con pace e con calma; e quando alcuna cosa venisse a turbare la serenità
della mia mente e la pace del cuore, verrò da te, o Sacramentato Gesù, a racchiudermi nel tuo Cuore, affinché tu abbia a penserei e a provvedere. 10
Non solo quindi la Mantovani faceva la comunione tutte le mattine, «con fede, con umiltà e con amore»,11 non soltanto s'era impegnata a passare mezz'ora del giorno davanti al Santissimo;12 ma spesso,
durante la giornata, ripeteva la visita all'Ospite adorato.13 Per quanto
«brevissimi», quegl'istanti le
sonoqui
9
Proponimenti dell'anno 1895: prop. 3.
Primavera del 1909: Propositi, I, pp. 1-2.
11
"Prometto di fare sempre tutti i giorni la S. Comunione con fede, con umiltà e con amore»: Proponimenti dell'anno 1895: prop. 10.
12
"Ogni giorno farò mezz'ora d'adorazione davanti al SS. Sacramento»: 20 agosto 1911 (Propositi,
I, p. 17).
13
"Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata, prometto di fare ogni giorno frequenti brevissime visite a Gesù Sacramentato": 7 dicembre 1916 (ivi, p. 57); "Farò molte visite a Gesù
in Sacramento lungo il giorno": settembre 1912 (ivi, p. 25).
10
195
facevano bene: la sollevavano, le davano lumi per il buon governo
della Congregazione, la rendevano ancor più materna negli incontri
con le suore; e soprattutto, dopo essersi intrattenuta con Dio, diventava più santa al suo cospetto.
Vi sono momenti, nella vita, in cui hai l'impressione di riuscire a
concentrare tutta la tua esistenza in un attimo solo, per farne dono
completamente a qualcuno. Madre Maria Mantovani godè sovente di
questi attimi felici, massimamente verso gli ultimi anni della sua vita
consacrata. Entrava spessissimo nella cappella (che, anche nella forma attuale, distava pochi metri dallo studio della superiora), le bastava posar lo sguardo sul Tabernacolo e raccogliersi un istante ... poi si
perdeva in Dio, si sentiva tutta di Dio, tanto era abituata al dono totale di sé!
«Ai Piedi del Tabernacolo»
Nella circolare del lo gennaio 1929, la Madre Generale impartiva alle
suore alcuni suggerimenti per passare santamente il nuovo anno e diceva, tra l'altro:
Volete nei vostri paesi fare del gran bene, salvare la gioventù femminile dai tanti pericoli cui è esposta, dare a Gesù delle anime? Siate
suore di orazione. Davanti al Tabernacolo santo intendetevi, da tu a
tu, con Gesù. Mettete la gioventù a voi affidata nel Cuore sacratissimo di Gesù; pregate il Maestro Divino a illuminarvi, a suggerirvi
sentimenti, santi affitti e consigli, che siano efficaci sul cuore della
gioventù. Suscitate fra le ragazze una santa gara, affinché ciascuna si
sforzi di essere Più pia, Più modesta, Più amante di Gesù. Conducetele spesso ai
Piedi del Tabernacolo, e così formerete delle anime eucaristiche.
Il consiglio dato alle suore, cinque anni avanti che la Cofondatrice
lasciasse la terra, riassumeva il programma e l'esperienza di tutta la
sua vita. Aveva fatto sempre così. Dopo aver gustato le divine intimità delle anime eucaristiche, dopo aver scoperto nel SS. Sacramento il
bene più prezioso che ci è venuto dal cielo, a questo Bene sommo o196
rientò le anime, sia quand'era nel mondo, apostola in mezzo alla gioventù, sia in convento, tra le sue suore.
S. Giuseppe
Una spiritualità decisamente orientata verso la Sacra Famiglia, come
quella delle Piccole Suore di Castelletto, deve riserbare un posto insigne al culto di S. Giuseppe. Capo della santa Famiglia, sposo e padre putativo, S. Giuseppe è inseparabile da Maria e da Gesù: a Nazareth, in cielo, e sulla terra, nell'onore che la Chiesa rende ai tre Personaggi. La storia, in verità, sembra confermare ciò che asseriamo:
quando il papa Leone XIII promuoveva la devozione della Sacra
Famiglia, proclamava altresì S. Giuseppe patrono universale della
cristianità.
A Castelletto sul Garda le due devozioni crebbero di pari passo, per
opera del servo di Dio don Giuseppe Nascimbeni; e se l'istituto religioso da lui fondato dalla Sacra Famiglia prese la denominazione, egli lo pose sotto la protezione «specialissima» del grande Patriarca.
Prima che sorgesse la nuova Congregazione, don Nascimbeni aveva
affidato a S. Giuseppe le famiglie della parrocchia e celebrava con
grande solennità la festa del Santo. Quando poi comparvero le suore,
S. Giuseppe venne onorato con maggior pompa ed interiorità.
V'era inoltre una felice coincidenza che rendeva ancor più desiderata
quella solennità: alla festa del potentissimo Patrono veniva abbinata
quella onomastica del parroco, che si chiamava appunto Giuseppe.
Egli faceva di tutto per orientar gli animi verso il grande Santo; ma a
Castelletto, in quel giorno, si voleva far festa anche all'amatissimo
Parroco e Fondatore, che ne portava «sì degnamente» il nome."
Della consuetudine d'unire le due feste, di S. Giuseppe e quella onomastica del
La veglia Giuseppina
Le cronache del Nazareth, anno per anno, informano dettagliatamente su lo svolgimento della festività di S. Giusep- pe. In particolare
viene descritta la suggestiva pratica, introdotta dal Fondatore e che fu
chiamata «la veglia giuseppina». Aveva inizio alla vigilia del 19
marzo, verso le ore 19, quando il paese era già avvolto nel buio della
197
sera e il silenzio era rotto soltanto dalle onde del lago che si rinfrangevano sommessamente contro la sponda. Ma nella chiesa parrocchiale c'era tanto scintillio di lumi e vodo di preghiere. In mezzo a
centinaia di candele accese, disposte con arte, spiccava il quadro di
S. Giuseppe morente tra le braccia di Gesù e di Maria. All'altar maggiore veniva esposto il Santissimo per l'adorazione notturna. Dopo la
prima ora, i fedeli tornavano
alle proprie case, mentre le suore, a turno di dieci o dodici, si alternavano davanti a Gesù e a Giuseppe sino al mattino, quando la chiesa
veniva riaperta al popolo.
Allora cominciava la festa propriamente detta, che le campane per
tempo avevano annunciato. Messa letta con la comunione generale,
che talvolta la suora cronista chiama «veramente plebiscitaria»; messa cantata con processione
parroco di Castelletto, ce ne offre un esempio il Nazareth, che inizia
il numero di febbraio 1918 con questa epigrafe augurale:
APPROSSIMANDO LA SOSPIRATA FESTIVITÀ
DELL'ANGELO DELLA TERRA
IL GLORIOSO PATRIARCA S. GIUSEPPE
PADRE PUTATIVO 01 GESÙ
E VERGINE Sposo 01 MARIA
LA OIREZIONE DEL «NAZARETH»
DEI BENEVOLI SUOI LETTORI INTERPRETE DEL DESIDERIO
E BENEFATTORI
SI ASSOCIA ALL'ISTITUTO INTERO DELLA S. FAMIGLIA
E PLAUDENDO AL FONDATORE, AL SUPERIORE E AL PADRE
CHE IMITANDO LA VIRTÙ DEL SANTO
DEGNAMENTE NE PORTA IL NOME
ANTICIPA GLI AUGURI 01 MOLTI ANNI 01 VITA
CON OGNI SORTA 01 CELESTI BENEOIZIONI.
198
nell'interno della chiesa, poi venivano ripresi i turni di adorazione. Le
orfanelle dell'Istituto, le Figlie di Maria, le Madri Cristiane, le novizie e le pro bande, e di nuovo le suore al completo e i Paggetti del
Santissimo, in gioiosa gara, s'alternavano davanti alla Santa Ostia.
Chiudeva il programma religioso la benedizione eucaristica, preceduta da una seconda e più solenne processione. Dalla chiesa, finalmente, ove s'era onorato e invocato il provvido padre della Sacra Famiglia di Nazareth, si passava nel teatrino stipato per rendere l'omaggio
della gratitudine e dell'affetto al provvido padre di Castelletto.
Nessuno prendeva parte alle sante iniziative di quel giorno quanto
madre Maria Mantovani, sebbene ella riuscisse a nascondere ai più
l'interna gioia e commozione. E perché «esecutrice ed interprete fedele di tutti i desideri del venerato Fondatore»," la Madre tenne cara
la pia pratica della «veglia Giuseppina», anche quando non c'era più
il Padre. Ne parlava alle suore per tempo, onde si preparassero alla
ricorrenza «meno indegnamente ch'era possibile»; e da quel momento «sul volto di ciascuna» brillava «una gioia insolita», come se pregustasse le dolcezze di quella santa notte. Ma preferiamo cedere la
parola alla cronista dell'anno 1925 che, con tono concitato, riproduce
l'annuale commozione delle partecipanti:
Giunse la felice vigilia ed alle otto pomeridiane la campana dell'Istituto ci chiamò in cappella per fare la prima ora delle veglia giuseppina. Fuori era notte e l'occhio, avvezzo alla debole e solita luce d'una
lampada elettrica, rimase quasi abbagliato, quando all'entrare in cappella, gli si presentò la forte luce bianca dei molteplici ceri, i quali da
mano gentile, usa a coltivare il bello e rigoglioso fiore del verginale
candore, furono disposti in forma di recinto quadrato e d'un semicerchio racchiuso nel primo. Questa chiara luce ci permise di vedere distintamente l'altare improvvisato per l'occasione, col quadro che rappresentava S. Giuseppe morente, sostenuto amorevolmente da Gesù e
confortato dalla presenza dolce ed angelica di Maria. S. Giuseppe
non guarda e tace, ma la compostezza e serenità del suo volto, l'abbandono fidente di se stesso nelle braccia di Gesù, ci parlò assai della
santità
199
15. Nazareth, 21 (aprile 1926) p. l.
dell'anima sua, ci disse quanto è bella la morte del giusto che muore
assistito da Gesù e da Maria, c'invitò e quasi ci spinse a voler esser
buone come lui per poi, come lui, chiudere santamente gli occhi alla
luce terrena per riaprirli a contemplare la eterna, sempre bella e sempre nuova. I fiori delicati che profumavano tutta l'aria di soave olezzo, furono degna cornice al quadro così bello ed i loro variopinti colori e la loro specie, simboleggiava le virtù eminentemente praticate
dal nostro santo Patrono, mentre Gesù Ostia, esposto alla adorazione
formò il compimento della solenne festa dell'Istituto.
Il tempo della prima ora della veglia Giuseppina passò rapido come
baleno ed a questo seguirono per turno le altre ore di adorazione in
onore a S. Giuseppe.
Il fervore che traspariva dai volti delle consorelle e dal loro composto
atteggiamento esterno fu motivo di nuovo fervore. Il silenzio osservato scrupolosamente, la premura e l'ordine che regnava in quel succedersi di suore a suore, la recita delle preci con tono sì grave e maestoso, ma insieme delicato e che c'invitava a pietà, mi fecero risalire
col pensiero ai tempi delle catacombe, quando i primi cristiani si portavano di notte tempo in quei profondi sotterranei per assistere ai divini uffici ed oh, con quanto fervore!"
E quale era l'oggetto di tante fervorose preghiere? Si domandava
molto e si pregava per tutti: per il «veneratissimo Fondatore», per l'
«amatissima Madre Generale», per l' «intero Istituto»; venivano ricordati i bisogni della parrocchia, i peccatori ostinati e i malati dei
dintorni; poi l'orizzonte s'allargava, e s'imploravano grazie per la
Chiesa, per la patria, per la pace del mondo ... «Tutto, tutto si chiede
in questa santa notte, perché in essa tutto si ottiene; e in tale accordo
di preghiere, di slanci e affetti teneri e devoti, trascorrono veloci ore
e minuti, finché altri cuori si uniscono a noi per corteggiare S. Giuseppe, il dolce Patrono di ciascuna famiglia cristiana»."
V'era poi un tema, quasi obbligato, che veniva offerto in quel momento alla considerazione e alle domande delle suore oranti. «Considerando su quel quadro la morte di S. Giuseppe, ci sentivamo spinte
200
come da forza sovrumana ad innalzare le braccia verso il cielo e ad
esclamare: Anch'io voglio farmi
16. Nazareth, 20 (aprile 1925) p. 3.
17. Nazareth, 12 (marzo 1917) p. 3.
santa, anch'io voglio morire della morte di Giuseppe!»!"
Allora ci si rivolgeva a Gesù esposto e gli si chiedeva, con più accorata implorazione, il dono della perseveranza, interponendo altresì la
potentissima mediazione di S. Giuseppe per ottenere le grazie necessarie ad una vita santa, onde meritare, come lui, una santa morte. Una
vita santa, alla scuola della Famiglia di Nazareth; una santa morte,
assistita da Gesù, Maria e Giuseppe: che altro di più prezioso poteva
impetrare una Piccola Suora della Sacra Famiglia, durante la suggestiva «veglia giuseppina»?
«L'Economo dell'Istituto»
Dell'Istituto delle Piccole Suore, S. Giuseppe - come s'esprimeva
madre Mantovani - era il «gloriosissimo Protettore, il Capo e il Padrone»;" ed era altresì «l'Economo- per gli affari materiali.
Già da tempo il Fondatore aveva scelto S. Giuseppe per tale compito,
e perché le cose prendessero un aspetto di maggior concretezza,
quando era in corso qualche lavoro di maggior rilievo, egli appendeva alla statua del Santo il cosiddetto «sacchetto di S. Giuseppe». S.
Giuseppe doveva provvedere alla bisogna; S. Giuseppe doveva finanziare.
La cosa era di tanta evidenza alla fede del Fondatore e della Cofondatrice, che essi ne parlavano come d'un argomento, il quale non aveva bisogno d'esser dimostrato, tanto era chiaro. «Il capo della Sacra Famiglia» scriveva la Madre nell'anno 1931 «è altresì il capo della nostra famiglia: Egli deve provvedereb-"
201
18. Nazareth, 20 (aprile 1925) p. 3.
19. Appello a tutti i nostri benefattori, abbonati e lettori, che la Madre Generale lanciò nel
1918, in occasione dell'apertura di tre orfanotrofi: uno a Verona, ossia Le orfanelle del suffragio, poste sotto la protezione di S. Giuseppe; l'altro, a Toscolano, prendeva nome da Gli artigianali di S. Giuseppe; il terzo a Torri, patria del Fondatore, che ospitava Le orfanelle
della Sacra Famiglia.
20. Circolare del 14 dicembre 1931.
E S. Giuseppe provvedeva davvero. A tal punto che, sebbene l'Istituto sorgesse in un paese povero e le suore provenissero in gran parte
da famiglie povere, l'un dopo l'altro, sono sorti gli edifici che oggi
formano il meraviglioso complesso presso la Casa Madre.
Nel 1925 furono iniziati i lavori della grandiosa infermeria che, appoggiata al monte e prospiciente sul lago, domina tutti gli altri fabbricati. Sul Nazareth del giugno di quell'anno la cronista scriveva:
Davanti alla porta della sala capitolare, che guarda verso la strada, è
stata costruita in questi giorni una piccola nicchia per il nostro santo
Economo, al quale venne affidato il compito di raccogliere i mezzi
per la nuova infermeria, che già sta sorgendo per le suore ammalate.
La reverendissima Madre Generale, che molte volte ha sperimentato
la generosità del grande Santo, e tutte le suore, ad imitazione del venerato Padre, hanno in lui riposta tutta la fiducia, sicure che S. Giuseppe, quale padre amoroso, non mancherà di provvedere ai bisogni
della sua casa."
L'anno 1931 segna l'inizio della costruzione del mastodontico noviziato, che rimane una delle più belle realizzazioni, lasciate all'Istituto
dalla Confondatrice. Ella appunto scriveva in quell'epoca a tutte le
suore delle filiali:
Ora siamo in grande lavoro per la nostra fabbrica. Figuratevi! Un refettorio capace di duecento posti, dormitori da trenta posti ciascuno,
202
scuole, cucina nuova, ecc. Qui sta il busillis: palanche sopra palanche. Ma non temiamo. Coraggio e confidenza. La Provvidenza divina
non mancherà se noi, unite in un solo pensiero e pel medesimo scopo, pregheremo e lavoreremo. «L'unione fa la forza» dice il proverbio. E come vi dissi nell'ultima circolare, ancor oggi vi esprimo la
mia convinzione, che cioè voi tutte avete buona volontà, amate l'Istituto, lavorate di lena. Il sacchetto di S. Giuseppe questa volta deve
essere abbondante:"
" Nazareth, 20 (giugno 1925) p. 3.
" Circolare del 14 dicembre 1931.
Difatti, il glorioso «Economo - della Congregazione trovava le collaboratrici più zelanti proprio nelle suore delle filiali, le quali si misuravano in tutto generosamente, per avere di più da deporre nel famoso sacchetto, quando sarebbero venute alla Casa Madre per gli esercizi annuali.
«S. Giuseppe ha fatto la sua parte»
Intanto la Madre andava ripetendo: «Finora sono molto contenta del
mio elemosiniere e cassiere S. Giuseppe»;" «Il mio caro elemosiniere
e cassiere S. Giuseppe fa anche troppo bene. Continuiamo a pregarlo,
acciò continui a far bene il suo ufficio e mai ci abbandoni»."
Terminati i lavori e pagati gl'imprenditori, il sacchetto veniva tolto di
dosso alla statua del Santo. «S. Giuseppe ha fatto bene la sua parte»
diceva soddisfatta madre Maria, «adesso tocca a noi fare la nostra».
Secondo la Mantovani le suore facevano la loro parte, se ad onore del
grande Patriarca recitavano devotamente le numerose preghiere in
uso nell'Istituto, se ne diffondevano il culto presso le persone che avvicinavano, se procuravano d'iscrivere molte persone alla «Pia Unione del Transito», tanto cara al Fondatore; in particolare, se trascorrevano «con straordinario fervore» il mese di marzo, dedicato in modo
speciale al culto del Santo.
203
Siamo nel bel mese consacrato a S. Giuseppe. Procuriamo di passarlo
santamente. Perciò vi raccomando: preghiera, silenzio, lavoro. Portiamo- ci spesso col pensiero nella casa di Nazaretli e lavoriamo in
compagnia
dei tre santi personaggi Gesù, Maria, Giuseppe. S. Giuseppe si mostra a noi vero modello di vita interiore, di pietà, di sacrificio, di umiltà, di verginale candore. Sono queste le caratteristiche della sua
spirituale
23. Lettera a suor Serafina Vanini, 30 maggio 1899.
24. Lettera a suor Fortunata Toniolo, 30 maggio 1899.
fisionomia. Esse meritano la nostra ammirazione e soprattutto la nostra imitazione costante,"
Preghiera, lavoro, spirito si sacrificio; silenzio, umiltà, immacolatezza, e vita interiore: c'era tutto il programma della Piccola Suora della
Sacra Famiglia, reso ancor più concreto e attuabile alla scuola del
«caro Patrono» della Congregazione, che la Confondatrice, con singolare impegno, voleva a quel modo onorare, ammirare e imitare.
Ritratto vivo
Il ritratto della Piccola Suora della Sacra Famiglia è completo; ed è
un ritratto vivo e incoraggiante. Lo era ieri, quando le consorelle potevano ammirare nella «Madre» l'attuazione concreta degl'ideali del
«Padre»; lo continua ad essere per le generazioni future, sia pure attraverso i contorni sfumati del ricordo e della parola scritta, che vorrebbe fissare sulla carta i lineamenti spirituali della Confondatrice.
Umiltà profonda e semplicità evangelica; preghiera, lavoro, sacrificio, impressi nella vita d'ogni giorno, prima d'essere scolpiti sul rovescio del medaglione che la Piccola Suora porta appeso sul petto; culto ed imitazione della Sacra Famiglia, devozione al SS. Sacramento,
a S. Giuseppe, ed in particolare, come vedremo, alla Madonna Immacolata. Questa è madre Maria Mantovani: questa, nel meraviglioso
giardino della Chiesa, è la fisionomia della Piccola Suora della Sacra
Famiglia. «Fate, o Gesù - così pregava il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni - che la Superiora sia l'esempio della Regola e dell'Istituto»."
204
25. Circolare del I o marzo 1929.
26. Cf. GIUSEPPE TRECCA, Sei Novembre 1892-1917, p. 20.
Gl'intenti e i voti del Fondatore furono mirabilmente adempiuti.
Nell'umile parrocchiana Domenica Mantovani, spuntata come timida
viola ai piedi del Baldo, lo zelante parroco di Castelletto trovò la
«molle cera» su cui riuscì a modellare alla perfezione quel tipo di religiosa, ch'egli andava vagheggiando nel suo cuore d'apostolo.
E sebbene da principio abbia esitato a mettere a capo del nascente Istituto la Mantovani, perché «senza patente», egli però ben presto
s'avvide che quella era la maestra ideale di tutte le suore, presenti e
future, appunto perché, ad imitazione del Maestro Divino, la Confondatrice prima faceva poi insegnava, o per meglio dire: insegnava
facendo.
Proprio per questo il suo magistero, durato più di quarant'anni, fu così autorevole ed efficace.
205
206
PARTE QUARTA
MAESTRA
«LA VOCE DEL PADRE»
Nel maggio del 1922, pochi mesi dopo la morte del servo di Dio
mons. Giuseppe Nascimbeni, usciva il primo numero del bollettino
La voce del Padre. La pubblicazione era voluta espressamente dalla
207
Cofondatrice madre Maria Mantovani, sollecita di mantenere vivo
nella Congregazione il ricordo del Fondatore e di trasmetterne i paterni insegnamenti. Il periodico inizia con uno scritto della Madre
che, rivolgendosi alle suore, dichiara:
Mie carissime figlie: l'amore che io ho sempre nutrito per voi, col
passare degli anni aumenta, s'accresce ognor Più. La mia mente vi ha
sempre presenti, il mio cuore tutte vi abbraccia: voi siete la vita
dell'anima mia. E pensando a voi, amando voi, vivendo di voi, sento
di amare e di compiacere maggiormente il mio caro Gesù, di cui voi
siete figlie predilette, amatissime spose. Dopo la scomparsa del nostro carissimo Padre, questo amore è diventato il Più sacro dei miei
doveri, il bisogno Più forte del mio cuore, l'unico scopo della mia vita, che a voi,
dopo Dio, dev'essere interamente consacrata. lo vi vorrei sempre vicine per parlarvi, istruirvi, animarvi alla virtù, rendervi tutte degne
spose di Cristo.
Animare le suore alla pratica delle virtù religiose, renderle degne
spose di Cristo e degne dell'Istituto che le aveva accolte, ripetendo ad
esse gl'insegnamenti del Fondatore, fu l'ideale più ambito della Mantovani durante il lungo generalato.
1. La voce del Padre, l (maggio 1922) p. l.
La sua autorità si eclissava dietro l'autorità del Padre. Nelle frequenti
circolari e nelle «letture» che teneva alle suore durante gli esercizi
spirituali, la Confondatrice metteva avanti il Padre. Ricordava le sue
istruzioni, trasmetteva i suoi ordini, unicamente bramosa d'essere la
sua fedele interprete e il portavoce delle sue volontà: «Il reverendissimo Padre raccomanda»; «Il reverendo Padre ha stabilito»; «È il desiderio più ardente del nostro reverendo Padre»; «È volontà del carissimo Padre»; «È obbedienza e volontà del Padre e mia».
Negli anni che tennero dietro alla morte del Fondatore, allorché rimase sola a governare la Congregazione, la Madre continuò a dirigerla nel nome del Padre scomparso. Ne ripeteva spesso i detti e le
massime che commentava su La voce del Padre? Rammentava alle
suore i suoi esempi luminosi, le sapienti direttive, i voleri energici.
«Il nostro venerato Padre diceva», «stimava», «inculcava», «racco208
mandava», «voleva». E adducendo questi insegnamenti e questa autorità la Superiora Generale, che per natura era schiva e umilissima,
intendeva dar credito alle proprie parole e voleva che fossero ascoltate.
2 In particolare, nelle annate 1922 e 1923.
CAPO PRIMO
ALLE SUPERIORE
La Madre Generale ammaestrava anzi tutto le superiore. Era ben persuasa che l'incremento dell'Istituto dipendesse in gran parte dal loro
saggio governo nelle singole case. Perciò ad esse rivolgeva più frequente la parola, tanto a voce che per iscritto.
E perché le superiore fossero meglio illuminate nel loro grave compito, tutti gli anni erano convocate a Castelletto, ove attendevano agli
esercizi organizzati per loro. I Fondatori davano grande importanza a
quegl'incontri annuali, e le superiore dovevano fare di tutto per non
mancare. Anche negli anni difficili della prima guerra mondiale si
tennero gli esercizi per le superiore, alcune delle quali affrontarono
viaggi disagiati e rischiosi pur di essere presenti.
«Le colonne dell'Istituto»
Durante quei giorni di esami e di rinnovamento interiore, esse venivano esortate dagli esempi e dalle parole della Confondatrice ad amare sempre più la Congregazione. «Noi superiore siamo le colonne
dell'Istituto» diceva; «dunque teniamone alta la bandiera». l
Nelle «letture» che teneva davanti a tutte, la Mantovani parlava con
autorità e schiettezza, accusando difetti ed abusi
1. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 50.
che andavano corretti e impartendo direttive di buon governo. A colloquio con le singole era materna e comprensiva: lasciava parlare, si
rendeva conto delle situazioni difficili, confortava, dava consigli, esortava ad avere fiducia nella Sacra Famiglia e nella Vergine Immacolata. Le superiore si sentivano capite, sapevano di poter contare
sull'appoggio della Madre Generale e ripartivano da Castelletto con
l'animo dilatato e più pronte al dovere.
209
« il perno della casa»
La superiora deve essere «il perno della Casa»." Attorno ad essa gravita il buon andamento della comunità. L'osservanza della Regola, la
fedeltà all'orario, l'affiatamento tra le suddite, dipendono per lo più
dalla superiora.
«Com'è la superiora, tal'è la Casa», «tali saranno le consorelle»," diceva la Madre. «Credetelo: le suore prendono l'impronta che loro
diamo noi».' «L'esempio d'una santa superiora, che non ha pretese,
basta a rinnovare lo spirito di tutte le sue suore».' E ancora: «Se saremo sempre le prime in tutto e per tutto, non a parole, ma coi fatti,
con l'esempio, con l'umiltà, l'obbedienza, la carità, nelle nostre Case
regnerà la pace»." Con l'aiuto della Sacra Famiglia, voglio essere l'esempio per le mie sorelle e voglio che in me rimirino la Regola. 7
Così aveva promesso la Confondatrice fino dai primi anni della sua
vita religiosa. Questo fu appunto il suo ideale e il suo
2. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 42.
3. Ivi.
4. Avvertimenti per le superiore, p. 5.
5. Circolare del lO gennaio 1916.
6. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 42.
7. Proponimenti d'incerta data: prop. 2.
impegno durante tutta la vita: essere per le suddite il modello della
Piccola Suora. Altrettanto dovevano desiderare le superiore. Con i
suoi esempi, madre Maria era il sostegno e la guida di tutto l'Istituto.
Precedendo le suddite col buon esempio, le superiore locali dovevano essere «il perno della Casa».
Fermezza
A sostenere l'umana fragilità, sempre pronta a ripiegamenti e a concessioni, occorre il polso fermo in chi è a capo.
Le superiore locali pertanto debbono «investirsi del loro ufficio e del
posto che occupano), rendendosi conto che «sono le vere rappresentanti dei superiori maggiori». Perciò sono tenute a collaborare con loro e «far osservare prontamente e scrupolosamente i loro ordini».
Che se qualche suora tentenna e tira in campo pretesti per «esimersi
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dall'obbedienza», le superiore si mostrino «forti ed energiche» e inducano le renitenti a piegarsi. Massimamente quando ci sono trasferimenti, l'obbedienza deve essere fatta a dovere. Obbediscano anzi
tutto le superiore, senza «mettere i pali fra le ruote», ricorrendo ai reverendi parroci o alle direzioni, perché a loro volta facciano ricorso
alla Casa Madre. Ma poi esigano che anche la suora trasferita si sottometta, con quella docilità pronta e serena che si addice ad una genuina religiosa. Agendo in tal modo, superiore e suddite recheranno
un grande conforto ai superiori maggiori, i quali prima di ordinare un
cambiamento, «ci pensano tante volte», «non fanno le cose a casaccio», ma «tengono conto della salute, delle abilità e del criterio delle
suore»."
Le superiore inoltre siano ferme, quando venisse compromessa la
santa Regola. Non si lascino frastornare da presunte
8. Circolare del 9 dicembre 1918.
difficoltà, messe avanti da qualche suddita per esimersi dalla fedele
osservanza." Il buon andamento delle Case esige che siano le superiore a comandare, e non altre. Perciò la Madre Generale biasima
quelle superiore fiacche, che «fanno la figura di pali», lasciando
«spadroneggiare» le vicarie. Ciò provoca disordini e indisciplinatezze, mentre le suore, a lungo andare, perdono la pace e s'abbandonano
al malumore. lO Ferme dovevano mostrarsi le superiore davanti alle
situazioni incresciose, quando era necessario prendere ingrati provvedimenti; ferme e fiere, quando era intaccato il buon nome dell'Istituto; «fierissime» poi, allorché poteva venir offesa «la più bella delle
virtù»."
Bontà
La fermezza non temperata dalla bontà degenera in durezza di cuore.
Per guidar bene le suddite, la superiora deve usare carità e dolcezza.
«Se la superiora non ha cuore» osserva la Mantovani «le suore si allontaneranno e chiuderanno la porta alla confidenza, e in questo modo sarà un soffrire per tutte». 12
Siano pertanto generose e larghe le superiore nel compatimento, e
trattino le suddite come esse stesse desiderano essere trattate da Ge211
sù. Perciò quando le riprendono, usino «carità», «grande carità». Non
debbono «punirle, ma correggerle a tempo e luogo; non umiliarle, ma
rialzarle», trattando ciascuna «secondo il suo temperamento» ed aspettando che la sorella sia calma, perché «nell'acqua torbida pesca il
demonio»." Fanno male quelle superiore che, quando correggono le
9. Circolare del I O maggio 1919.
10. Circolare del 27 dicembre 1920.
11. Circolare del lO gennaio 1916.
12. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 51.
13. Ivi, passim.
suddite «non terminano più di tormentarle. Per piccole mancanze
continuano a brontolare per delle ore, e prediche sopra prediche; e
magari continuano [a brontolare] per la stessa cosa un giorno, due
giorni, e anche tre»."
Non fate mai correzioni quando siete adirate o alterate; ma prima
raccomandatevi al Signore, chiedendogli il suo aiuto e la sua assistenza, acciocché [la correzione] sia di giovamento a quelle che la fate. Così non va bene correggere per ogni Piccolo mancamento, perché altrimenti lo spirito delle suore si stanca ed esse diventano insensibili alla correzione."
Se invece, quando corregge, la superiora si dimostra calma, comprensiva e materna, «ottiene dalla suora quello che vuole» e nella
Casa «regnerà pace e carità»."
La superiora deve essere madre. Madre forte, quando occorra, ma
sempre madre. Madre di tutte le suore, senza distinzioni o preferenze,
andando incontro alle necessità di ciascuna. Soltanto per le inferme
sono permesse le parzialità. Anche la Madre Generale, a Castelletto,
aveva le sue «predilezioni». Era, cioè, più materna con le piccole orfanelle e con le figlie malate.
Prudenza
La superiora ideale sa farsi amare e temere. In particolare sa guadagnarsi la confidenza delle suddite. Quando queste si aprono spontaneamente con lei «per aver consiglio, conforto ed aiuto», essa è diligente nel custodire il segreto; che altrimenti le Suore rimarrebbero
212
disgustate, perderebbero giustamente la stima verso la superiora, né
più oserebbero manifestarle il proprio cuore.
14 Avvertimenti per le superiore, p. 5.
15 Ivi, p. 12.
16 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 51 e 42.
Prima di prendere decisioni o di dar consigli, la superiora saggia ricorre alla preghiera. Tiene inoltre l'animo aperto verso i superiori
maggiori, con i quali si confida spesso per avere luce e direttive. Si
vale pure del consiglio delle proprie suddite, specialmente delle più
anziane e sperimentate; e non imita l'incauta condotta di qualche collega, la quale, diceva appunto la madre Mantovani, «ha più confidenza con la bidella dell'asilo, che non con le proprie consorelle»."
La prudenza può consigliare la superiora a fare qualche particolare
confidenza alla suddita, per dimostrarle che la tiene in considerazione e stima i suoi pareri. Talvolta è questa la via più breve per guadagnarsi l'affetto e la collaborazione. Scriveva infatti la Confondatrice
alla giovane superiora suor Fortunata Toniolo, che lamentava il comportamento d'una consorella:
Carissima figlia: intesi tutto dalla tua lettera, e assai mi spiace
questa cosa. Quello che posso suggerirti e che forse porterà buon effetto, mi sembra sia questo: prenderla con molta dolcezza,e carità; e
un poco per volta, senza che si accorga, affezianartela col fare qualche confidenza particolare, provare a domandarle qualche parere,
qualche consiglio. Questa è una suora che vuole essere stimata e tenuta per qualche cosa. Questo è l'unico mezzo per potertela affezionare ... Queste cose sembrano cose da nulla, ma invece sono di grande importanza. Sono quelle funicelle che ci tengono legate e unite in
santa carità:"
Umiltà
La superiora prudente onora l'Istituto e cura il bene della comunità
affidatale. Le suore trovano in lei un valido sostegno, la guida saggia,
la madre premurosa. Essa è umile e serena, e
17 Circolare del 3 gennaio 1922.
18 Lettera a suor Fortunata Toniolo, d'incerta data. Suor Fortunata si
trovava nella filiale di S. Martino Buon Albergo, che venne aperta il
18 agosto 1896.
213
gode per il bene che fanno le suddite. Non cerca se stessa, i propri
comodi o la stima altrui. Eseguisce fedelmente gli ordini dei superiori maggiori, ascolta i loro avvertimenti, ne accetta i richiami e le correzioni. Così voleva il Fondatore mons. Giuseppe Nascimbeni; e tale
era la condotta della Confondatrice che, a sua volta, scriveva alle superiore delle filiali:
Il reverendo Padre vuole le superiore buone, buonissime, fatte di pasta frolla quando si tratta della stima propria. Debbono lasciarsi pestar addosso, non scusarsi, desiderare che vengano fatte loro delle osservazioni, prenderle in buona parte e ringraziare."
Al contrario, sarebbe indizio di grande superbia «sentire e acconsentire alla smania di voler essere superiora»; o una volta eletta, non rassegnarsi a tornare suddita. Non vanno dunque imitate quelle consorelle che «quand'erano superiore stavano benissimo»; ora che son deposte, «sentono addosso tutti i mali del mondo»."
L'umile sentire di sé è la virtù caratteristica della vera Superiora.
Prima d'essere designata, non aspira alla carica. Eletta, esercita il
mandato con dignitosa e cordiale benevolenza verso le sorelle.
Quando poi la Regola o l'età o l'opportunità richiedono la sua deposizione, sa rientrare nelle file delle suddite, senza pretese o rimpianti.
19. Circolare del 10 gennaio 1916.
20. Circolare del 15 giugno 1918.
CAPO SECONDO
ALLE SUDDITE
L'atteggiamento più naturale e virtuoso che deve prendere a suddita
nei confronti dei superiori, è la risultante di tre disposizioni d'animo
214
che si integrano a vicenda: la sincerità, la confidenza, la docilità. Non
ha fiducia chi non è sincero, e per obbedire in maniera perfetta bisogna mettere la propria vita a disposizione dei superiori, senza alcuna
riserva e con assoluta serenità.
«Libri - aperti»
La Madre Confondatrice insisteva: «Siate sincere, siate sincere, siate
sincere con i vostri superiori” State schiette e sincere. Domandate
tutto, dite tutto, non nascondete nulla ... Aborrite, detestate la doppiezza»," E per rendere più efficaci le raccomandazioni, la Madre ricordava che il Fondatore era solito dire: «Vi voglio libri aperti, perché in essi si può leggere tutto e facilmente!”
Il Padre era «come l'acqua»: incapace, cioè, di doppiezza. «Fuggiva
la menzogna e il menzognero». Puniva con particolare severità la novizia che agiva con doppiezza e raggiri.
l. Circolare del 10 gennaio 1916.
2. Da un foglio di appunti per una istruzione.
3. A sua volta la Madre diceva: «Si deve dire tutto ai superiori: che ci
abbiano a conoscere e leggere nella nostra anima come in un libro
stampato»: Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 16.
Che se questa era recidiva, nonostante i paterni richiami, veniva rimandata in famiglia.
Al contrario il Fondatore «era buono» e «perdonava con larghezza di
cuore», se le suore andavano ad accusarsi spontaneamente e «con
sincerità». Sicché quando accadeva loro di commettere qualche fallo,
subito andavano a dirlo al Padre. Egli era solito ripetere: «Quando è,
si dice sì; quando è no, si dice no).
Se venivano interrogate dai superiori, le suore dovevano «dire tutto»,
«con sincerità e franchezza». Non solo erano tenute a manifestare se
stesse e le proprie difficoltà, I?a dovevano dire apertamente quello
che ritenevano opportuno per il bene della comunità. Il Padre voleva
215
che le suore si esaminassero su questo punto, rimproverandosi qualora «avessero taciuto cose_utili a sapersi
La sincerità era necessaria nelle situazioni difficili, massimamente
quando poteva essere compromessa la virtù o la vocazione. Allora il
ricorso ai superiori era un dovere grave. Ed era pure questa la via più
breve per uscire illesi dalla tentazione e per riacquistare la....serenità
di spirito. _
Pertanto la Madre concludeva le sue esortazioni sulla sincerità con
queste energiche parole: «Volete perseverare nello stato religioso?
Siate sincere. Volete perdere la vocazione? Tenete tutto per voi; siate
libri chiusi, e andrete a mangiare le ghiande ...
4. «Il 30 gennaio 1918, con vivo dolore partiva dalla Casa Madre licenziata per sempre, la novizia N. N. per essere stata bugiarda, difetto che nella comunità è molto pericoloso. La partenza fu per essa dolorosissima e anche da parte dei reverendissimi Superiori e dell'intero
noviziato, che vedeva una sorella caduta in tale disgrazia»: Diario
giornaliero: dall'8 novembre all'Il febbraio 1918, p. 20.
5. Le parole chiuse tra virgolette sono prese dalle «Letture» della reverendissima Madre durante gli esercizi, pp. 14-15.
La confidenza
La sincerità rappresenta la confidenza in atto. Si «dice tutto» a chi ha
attirato la nostra stima e devozione. Le suore appunto debbono nutrire stima e devozione. per la propria superiora, non in base alle sue
doti naturali, ma per amore del Signore, di cui la superiora tiene le
veci. Guai a quelle suddite che perdessero la fiducia nei superiori!
Sarebbe questo un «pessimo difetto». Sarebbe come allontanarsi totalmente da Gesù». «L'essere staccate dai superiori», non aprirsi con
loro, è la stessa cosa che mettersi su una strada sbagliata e andare a
finire “in un precipizio”
Nondimeno, se la suddita è tenuta alla confidenza, la superiora deve
usare discrezione. Vi sono porte segrete che immettono nell'intimità
della coscienza; soltanto il ministro d' Dio può varcarle. _La madre
Mantovani non voleva che superiore oltrepassassero quei confini, ed
era lei la primi rispettarli.
«Come l'asinello»
216
Una delle virtù che più stavano a cuore alla Cofondatrice era l'obbedienza. La inculcava di continuo: nelle circolari, nelle «Letture», a
voce. Ne celebrava i pregi ed insegnava come doveva essere praticata. Obbedendo in maniera perfetta ai superiori, la suora si acquista
grandi meriti, raggiunge la santità in breve tempo, gode un'inalterabile pace di spirito, poiché l'obbedienza è 'fonte di gioia e di serenità.
Per essere perfetta obbediente la Piccola Suora deve sentire bassamente di sé e sottomettersi al beneplacito dei superiori. Scriveva la
Madre:
Perché oggi c'è tanta insubordinazione nel mondo? Perché c'è tanta
superbia. Obbedisca la Piccola Suora della Sacra Famiglia! E perché
la
Circolare del 15 giugno 1919.
sua obbedienza sia gradita al Divin Cuore, veda di compierla interamente, sottomettendo cioè il suo giudizio a quello dei superiori ed
uniformando la sua volontà alla loro. Questa è obbedienza col midollo; in caso diverso la nostra obbedienza si fermerebbe alla corteccia o
non sarebbe che obbedienza di apparenza, senza merito. Siamo molto
scrupolose su questa virtù. Specialmente quelle che si sono legate
con voto, non facciano nulla senza il permesso o il consenso dei superiori. Siamo brave mercantesse, cerchiamo di fare molti guadagni
ogni giorno. E sarà così, quando le nostre azioni saranno segnate col
sigillo della «obbedienza». Diversamente saranno azioni gettate in un
sacco bucato; e alla fine dei nostri giorni rimarremo deluse, perché
compariremo davanti al tribunale di Dio spoglie di meriti,
La vera religiosa obbedisce «sempre ciecamente e prontamente e volentieri»." «Ha occhi e non vede, ha orecchie e non sente, ha lingua e
non parla»; in compenso «è sempre ilare, perché in ogni comandò
scorge la volontà di Dio».
Quando le suore convenivano a Castelletto per gli esercizi annuali,
erano solite deporre sull'altare un foglio di carta non scritta. Con questo gesto intendevano «dare a Gesù tutta la libertà di disporre» di loro «com'egli voleva», «mettendosi come morte nelle mani dei supe217
riori»." La simbolica cerimonia aveva luogo la sera del primo giorno,
poco dopo l'apertura degli esercizi; e la Madre ci teneva perché fosse
accompagnata con perfetta soggezione di spirito: «Metterete questa
sera un pezzetto di carta bianca sull'altare (le cartine le troverete sulle
(balaustre) e nel contempo direte col cuore e con le labbra, ognuna
per conto suo: - Signore, non v'incateno le mani, vi do tutti i permessi, fate di me quello che volete»,"
7. Circolare del 15 giugno 1918.
8. Promemoria per gli esercizi spirituali, p. l.
9. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 43.
10. Ivi.
11. «Letture» della Madre, p. l.
Nella perfetta obbedienza matura il perfetto distacco. Distacco dai
paesi, dalle persone, dalle occupazioni. Le Piccole Suore, come le
pensava la Madre, dovevano «essere pronte a cambiare casa anche
tutti i giorni»."Su questa disposizione d'animo ella tornava spesso e
voleva che le suore si esaminassero per perfezionarla.
Per conservare sempre vivo lo spirito religioso, vi consiglio di vivere
sempre disposte a sottomettervi alla volontà di Dio, per mezzo della
santa obbedienza. Vi suggerisco di compiere ogni vostra azione come fosse l'ultima della vostra vita e di fare tutte le mattine l'esame
preventivo, cioè di chiedere a voi stesse: Se in questo giorno con lettera, o telegramma, od a voce, io fossi chiamata per un trasloco, sarei
pronta?... Se la vostra coscienza vi risponde affermativamente, consolatevi, che avete lo spirito del Signore; diversamente pregate e
scongiurate Gesù a volervi distaccare da tutto, a darvi lo spirito di
sottomissione e di abnegazione, e la santa disposizione per compiere
i ogni istante la divina volontà.
La virtù dell'obbedienza era naturalmente uno degli argomenti più
trattati quando la Madre istruiva le nuove reclute. Ne parlava con
tanto ardore e convinzione, che le novizie ne restavano fortemente
impressionate. «Ci parlò dell'obbedienza - scrive una di esse - con
tanto fervore e con l'accento così persuasivo che, dopo trentatrè anni,
la sua voce mi suona ancora all'orecchio. La suora obbediente, dice218
va, è la Più cara al Cuore di Gesù. Noi dobbiamo diventare per virtù
quello che l'asinello è per La docile bestia si lascia caricare di qualunque peso e guidare in qualsiasi luogo, senza reagire»,"
Il mondo contemporaneo è ben lontano dal lasciarsi condurre, per
amor di Dio, come «la docile bestia», appunto
12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
13. Circolare del 19 dicembre 1921.
14. Testimonianza di suor Alessia Feller.
perché ignora i pregi dell'obbedienza virtuosa. Eppure la incondizionata sottomissione ai voleri del Padre celeste fu la via battuta dal Redentore e dalla Corredentrice, onde rimediare ai mali che affliggono
l'umanità per colpa dei primi due «Disobbedienti».
CAPO TERZO
A TUTTE
Alle suore raccolte in ritiro la Cofondatrice raccomandava «una profonda e straordinaria umiltà». La proponeva quale «frutto principalissimo» degli esercizi annuali; e ricordava che «il venerabile Padre aveva parole sublimi per questa virtù e l'amò singolarmente». «Per lui
l'umiltà era sinonimo di perfezione». «Sante ed umili» diceva «sono
la stessa cosa». Ad una suora molto stimata che da alcuni anni era
superiora, egli scrisse: «Il Signore ha dei disegni sopra di te, ma non
te li manifesterà se non dopo che sarai diventata come uno straccio
da cucina. Continua ad umiliarti davanti alla vicaria»."
«Farsi piccola, piccola»
La Piccola Suora della Sacra Famiglia, se vuole raggiungere lo scopo
della sua vocazione, deve possedere in sommo grado la virtù dell'umiltà. Davanti a Dio deve farsi piccola, piccola, avere bassa stima di
se stessa, considerarsi e trattarsi la peggiore e la Più difettosa di tutte
le sue sorelle. Se vuole arrivare alla perfezione, deve amare le umiliazioni e le correzioni. Per conoscere a qual grado di umiltà sia giunta una suora, bisogna vedere come essa riceve le correzioni e come si
219
comporta dopo le medesime. Se si conserva tranquilla, di buono spirito e riconoscente a
1. Suor Fortunata Toniolo, superiora a Calcinato presso Castiglione
delle Stiviere (Mantova). La lettera fu scritta il 3 marzo del 1900.
2. «Letture» della Madre, p. 2.
quelli che gliele fanno, beata lei! Ne ringrazi la Sacra Famiglia e veda di diventare sempre Più umile?
Mons. Nascimbeni non tollerava la permalosità. Quando rimproverava una suora, la osservava attentamente per vedere come accettava la
correzione. Se essa manteneva il volto sereno, entrava subito nelle
grazie del Padre; se invece si turbava e metteva il broncio, ben presto
il Padre tornava alla carica e questa volta l'acquazzone era più impetuoso.
Da giovane la Mantovani conobbe quegli scrosci ed ora, fatta adulta
ed esperta nelle vie di Dio, era profondamente grata al Padre che non
l'aveva risparmiata. Diceva, a sua volta, alle suore: «Non siate permalose. La permalosità è superbia, e la superbia mal repressa conduce le anime a cattiva fine».' «La permalosità è una grandissima piaga
... Chi non ama le osservazioni e le correzioni, non ama la perfezione
e la santità, e direi che ha poco o nessuna vocazione... ». Sono pertanto degne di biasimo quelle suore che «sembrano piene di buono
spirito, quando nessuno le tocca; ma se dalla superiora o vicaria o
maestra vengono corrette, allora quella serenità, quella bontà che dimostravano prima si cambia in oscurità o in grandissimo malumore.
Cadono nello scoraggiamento, fanno le serie, perdono la confidenza».
«Il nostro carissimo Padre» ci ha raccomandato la pratica di una
grande umiltà: «col mettersi sotto i piedi la stima propria, col ricevere in buona parte le umiliazioni e osservazioni, senza brontolare, senza mormorare dei superiori, ma pigliare tutto dalle mani di Dio, il
quale dispone ogni cosa per il nostro maggior bene. Povera quella
suora che non vuol saperne di correzioni e osservazioni! Finirà col
fare vergognoso divorzio da Gesù»."
220
3. Circolare del 15 giugno 1918.
4. Circolare del 21 dicembre 1926.
5. Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 11.
6. Circolare del 17 ottobre 1917.
L'umiltà custodisce la vocazione e facilita l'osservanza dei santi voti
perché, «senza questa virtù», la suora «non potrebbe essere né obbediente, né povera, e molto meno casta».
La Piccola Suora aborrisce le singolarità. Non vuole apparire originale, ama essere ignorata e fare le cose nascostamente, perché allora c'è
più merito." Essa prega, lavora, si sacrifica «per procurare gloria alla
Sacra Famiglia, per dar gusto alla medesima, per meritare il paradiso;
e non per procurarsi lodi, onori, soddisfazioni terrene»." Che anzi,
«certi elogi dovrebbero scottare e non rallegrare. Solo Dio e la coscienza giudicano».
«Siate devote di Maria Santissima» esortava dunque la Madre «e
pregatela ad ottenervi la grazia d'una profonda umiltà»." «Bisogna
domandare tanta, tanta, tanta umiltà. Le Piccole Suore debbono stare
nascoste, nascoste sempre, fino al giorno del giudizio»."
«Il Più bel distintivo del nostro Istituto»
L'umiltà vera è la custode della giustizia e genera l'amore fraterno.
Chi si stima per quello che è, senza presunzioni e soprastrutture,
prende l'atteggiamento giusto davanti a Dio e in mezzo agli uomini.
Il cuore umile è rispettoso e comprensivo, tiene in considerazione i
pregi altrui; sa compatire e consolare, si rallegra con chi è nella gioia,
si rattrista con chi soffre, accoglie tutti, non disprezza nessuno: la carità, in tutte le sue dimensioni, si nutre di umiltà. Nell'umiltà la Piccola Suora trova forza e difesa; ma chi garantisce il successo delle
sue opere è la carità. Carità nelle
7. Circolare dell' II dicembre 1930.
8. Dalle «Letture» della Madre, passim.
9. Circolare del 27 dicembre 1919.
10. Dalle «Letture» della Madre: 17 gennaio 1934, p. 12.
11. Circolare del 21 dicembre 1926.
12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
221
sue relazioni con i superiori, carità per le sorelle di religione, carità
verso le persone affidate alle sue cure, carità per i vivi e per i morti,
carità per tutti.
Il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni soleva ripetere: «Carità,
carità, carità non è mai troppa!», È questo uno dei «detti» più preziosi, tramandati nell'Istituto, che riassumono la vita e i paterni insegnamenti del Fondatore.
Madre Maria Mantovani si distingueva, fra tutte, nella pratica della
carità. Questa virtù sembrava connaturale al suo temperamento mite
e bonario. E quando ne parlava alle suore, usava espressioni tanto vive ed efficaci perché tutte avevano sperimentato la bontà del suo
cuore materno. Viviamo tutte concordi e unite in santa carità. Sia di
noi un sol cuore, un sol pensiero, una sola volontà, e tutte insieme
stiamo sempre in intima spirituale unione con Dio, mediante la continua preghiera, come faceva il venerabile Padre. Allora Gesù benedetto si compiacerà di noi, dell'intero Istituto, e benedirà largamente
tutte le nostre opere."
Amatevi, rispettatevi, compatitevi reciprocamente. Gesù lo vuole, ed
è necessario per la nostra santificazione e per la concordia nella comunità. Astenetevi dalla mormorazione per Piccola che sia. Badate
che la
maldicenza è arma a doppio taglio; ferisce chi l'adopera e chi colpisce. Carità, carità, vi ripeto ancora, abbiate carità," Pratichiamo la carità fraterna, insiste la Madre. Quindi compatimento reciproco, dolcezza, mansuetudine, aiuto scambievole, pronto, con tutte le sorelle.
Bando alle Piccole invidie, alle gelosie, ai puntigli,"
E ancora: Il fiore della carità è la mansuetudine. Dalle nostre parole,
dai nostri atti, dalle nostre azioni traspiri sempre mansuetudine, dolcezza e carità. Si pigliano Più mosche con un po' di miele che con un
barile di aceto. Carità, carità, carità non è mai troppa!
Anzitutto e sopra tutti dobbiamo amare i nostri superiori. Guai a
mancare di carità verso i medesimi, col criticare il loro operato e trattarli
13. Circolare del 31 gennaio 1922.
222
14. Circolare del 22 dicembre 1925.
15. Circolare del 21 dicembre 1926.
da ingiusti e parziali. Chi non rispetta i superiori non potrà essere benedetto dal Cielo. Dopo i superiori, dobbiamo amare tutte le nostre
consorelle. Bando alle antipatie, alle mormorazioni, alle critiche, al
parlar duro, alle parole offensive. Guardiamoci dal pensar male e dal
fare su di esse dei giudizi temerari.
Dobbiamo usare carità con i bambini, con le scolare in particolare
con le Più povere, con gl'infermi; per tutti dobbiamo avere viscere di
carità; e non potendo soccorrere gli ammalati e i poveri con mezzi
materiali, aiutiamoli con le nostre preghiere. Preghiamo assai per i
poveri peccatori. Per questi facciamo anche qualche mortificazione,
affinché il Signore li converta e li salvi. Se pregheremo con fervore
per i peccatori, nell'altro mondo troveremo molte anime salvate per le
nostre suppliche e grande sarà la nostra gloria.
Ricordiamo anche le care anime del purgatorio. In tante maniere noi
possiamo sollevare quelle povere prigioniere, specialmente le anime
delle nostre consorelle e per prima quella del venerato Padre, caso
mai ne avesse bisogno. In suffragio di queste anime possiamo applicare qualche comunione, parte del frutto delle nostre preghiere, mortificazioni e sofferenze.
Ed ora vi raccomando le care orfanelle. Voi avete veduto e toccato
con mano il numero grande delle nostre Piccine. Man mano che si
fanno grandi, i loro bisogni si fanno maggiori; tanto per il vitto quanto per il vestito occorrono Più denari. Abbiamo da rallegrarci, però,
perché tutte crescono buone. Davanti all'Immacolata e sopra la tomba
del venerato Padre esse pregano molto per voi. Voi dunque usatemi
la somma carità di aiutarmi a provvedere al loro mantenimento,"
Nel raccomandare alle suddite la pratica della carità, la Madre ha seguito una graduatoria che da tempo s'è fissata nel suo grande cuore: i
superiori e le consorelle, i bimbi e le scolare, i poveri e i malati, i
peccatori, che sono poveri e malati nell'anima, e quindi più bisognosi
del soccorso spirituale delle suore; vengono poi le anime del purgatorio le consorelle anzi tutto, e prima ancora il Padre, «caso mai ne avesse bisogno»;
223
16. Circolare del 15 dicembre 1923.
chiudono il catalogo della carità «le care orfanelle», che la Madre ricorda per ultime, onde poter sostare più a lungo su di loro con amore
di predilezione.
La carità e la croce furono i temi più trattati nelle «letture», tenute
dalla Cofondatrice negli ultimi mesi della sua vita. Lo rivelano gli
«appunti» presi da una novizia," che in parte trascriviamo nella loro
redazione schematica.
Carità, carità. Basta un atto, uno sguardo. Solo con l'affetto si conquistano i cuori: 13 gennaio 1934. Ci vuole generosità. Soffrire volentieri... Perdonare facilmente. Compatire sempre. Prendere in buona parte un atto di sfiducia. Non giudicare male. Mostrare di non accorgersi delle debolezze del prossimo. Dire parole di conforto. Prevenire i bisogni delle nostre consorelle. Risparmiare loro il rossore e
la vergogna. Fraternità: 5 gennaio 1934.
Carità. Bisogna essere Più buoni che giusti. Amare è patire: 15 settembre 1933. Chi si scandalizza non è perfetto. Non voler vedere il
male, e godrai la pace del cuore: 25 settembre 1933. Un monastero
senza carità è un monastero senza Dio. Carità, dispensiera di pace: 18
settembre 1933.
La pace. Se manca il cemento, le pietre cadono. Così è di noi. Se non
regna la pace, i cuori saranno divisi, mancherà la carità, la grazia. Se
amate la comunità, amate la pace. Se non abbiamo la pace, abbiamo
l'inferno: 20 dicembre 1933. La carità, invece, forma il paradiso delle
comunità. 18
Per raggiungere la perfezione nella pratica della grande virtù cristiana, le Piccole Suore debbono seguire gli esempi e gl'insegnamenti del
loro «venerato Padre»; ma soprattutto debbono ispirarsi alla vita della Sacra Famiglia, loro «modello e specchio». «Là, nella casa di Nazareth» ricordava appunto la
224
17. Suor Gian Maria Piva. Vedi sopra, p. 151, nota 12.
18. Circolare del 21 dicembre 1926.
Madre «non v'erano alterchi, malumori o invidie, ma sempre pace,
unione, amore». La Confondatrice frequentava assiduamente quella
scuola. Nell'assolvere il grave mandato di superiora generale si dimostrava sempre umile e caritatevole, e voleva che nella sua Congregazione fiorisse la perfetta unione dei cuori. Nello scritto del Natale 1924, rivolta a tutte le figlie, madre Maria dichiarava:
Tutte le osservazioni fattevi nella presente circolare non ve le ho fatte
né per cattiveria né per rimproverarvi né perché io abbia di voi poca
stima. Vi dissi solo ciò che mi dettava il cuore, perché io vi amo tutte
in Dio e per Iddio e perché vi voglio tutte virtuose e sante. Procuriamo di essere tutte un cuor solo ed un'anima sola. Questo sia il Più bel
distintivo del nostro Istituto."
Zelo
Dallo zelante parroco di Castelletto la Mantovani apprese ad amare
le anime. In parrocchia, come abbiamo detto altrove, si prestava generosamente per qualsiasi iniziativa. Divenuta suora e superiora generale, ebbe modo di perfezionare la sua sensibilità apostolica. I sacerdoti che venivano alla Casa Madre per chiedere suore, descrivevano i bisogni delle loro parrocchie; quando poi la Madre andava in
visita nelle filiali, si rendeva conto direttamente delle necessità spirituali di quelle popolazioni.
Da principio le Piccole Suore della Sacra Famiglia prestavano aiuto
esclusivamente ai sacerdoti in cura d'anime. Prima a Castelletto, accanto al Fondatore parroco; poi, cresciute di numero, furono richieste
per altre parrocchie, in diocesi e fuori. Chi garantiva l'efficacia della
loro collaborazione era la
19. Circolare del lo febbraio 1927.
20. Circolare del 23 dicembre 1924.
225
docilità ai parroci, lo spirito di adattamento e di sano aggiornamento,
secondo le direttive impartite dalla gerarchia. La Madre pertanto inculcava:
Vi prego di uniformarvi allo spirito richiesto dai reverendi parroci,
come tanto stava a cuore al venerato Fondatore. Costino pure sacrifici le opere parrocchiali e le associazioni dei circoli cattolici, a tutto ci
si deve sottomettere con zelo prudente e con il consenso dei parroci,"
Continuate ed aumentate il vostro zelo per la gioventù femminile cattolica italiana, come desidera il Santo Padre; per l'insegnamento del
catechismo, per la ricreazione festiva. Nei paesi ove questa non fosse
in uso, cercate d'introdurla. Coltivate le giovani con la parola e l'esempio:"
Donna di fede profonda, la Mantovani sapeva che l'attività apostolica
dev'essere sostenuta dalla preghiera. Alle suore impegnate nelle opere parrocchiali o a contatto con i bimbi e malati, raccomandava di
pregare sempre:
Pregate per le persone a voi affidate. Chiedete al Signore che vi ispiri
che cosa dovete dire alle anime."
Voleva che le suore fossero edificanti in tutto. Dovevano esser «le
prime» ad andare in chiesa per le sacre funzioni e «le ultime» ad uscire: «e ciò per dare il buon esempio»."
Lo zelo per le anime non conosce limiti: di tempo, di spazio, di generosità. Caritas Christi urget nos!, ripeteva spesso il servo di Dio
mons. Giuseppe Nascimbeni. Allo zelo del Padre faceva eco lo zelo
della Madre, che scriveva alle figlie:
Tiriamo anime a Gesù Più che possiamo con la preghiera, con la parola e con l'esempio. Salviamo le anime che a Gesù costarono tutto il
suo preziosissimo Sangue.
21. Circolare del 28 novembre 1927.
22. Circolare del 12 dicembre 1929.
23. Appunti per «Letture».
24. Circolare del 22 dicembre 1925.
25. Circolare del 21 dicembre 1926.
226
«Templi vivi del Signore»
L'apostolato non deve compromettere l'apostolo. Chi cura i malati
contagiosi deve usar cautele per non contrarre il morbo. Nel cuore
dell'uomo il bene è mescolato al male. Le virtù soppiantano inclinazioni cattive, senza estinguerle del tutto. Anche i più provetti non
vanno immuni da languori e cedimenti. Se non vigili, potresti essere
sorpreso dal nemico che sei riuscito a dominare per anni.
Prima di dedicarsi alle opere apostoliche, la suora s'è impegnata solennemente con Dio e davanti alla comunità dei fedeli. La nota che la
contraddistingue è la «lilialità». La religiosa è una persona «consacrata»; aspira a Dio solo, appartiene totalmente a Lui.
«Innocente come una bambina»," madre Maria Mantovani voleva
che anche le sue figlie fossero preservate dal male. Pur dedicandosi
con zelo al bene del prossimo, la Piccola Suora si chiude nella fortezza del riserbo, onde spargere attorno a sé la bontà senza contaminarsi.
La Madre esortava le suore ad usare «grande dolcezza con le sorelle,
con la gioventù, con i vecchi, con gli ammalati, con tutti». La loro,
però, doveva essere «la dolcezza di Gesù»: «accompagnata da serietà
e gravità, scevra di sdolcinature e leggerezze»."
Alle suore che durante la prima guerra mondiale prestavano servizio
negli ospedali militari, venivano raccomandate «le belle maniere con
tutti, specie con i malati, ma nel contempo grande riservatezza). «Ognuna stia al suo posto» diceva la Madre. «Non dia mai, mai del tu a
nessun soldato, non entri in familiarità con nessuno; e nemmeno sorrida» davanti a uomini. Non faccia preferenze con nessuno, sano o
malato che
Le suore che hanno conosciuto più da vicino la Cofondatrice attestano,
unanimi, la sua «innocenza- e ritengono che non abbia mai perduto la
grazia
battesimale. " Circolare del 17 ottobre 1917.
227
sia, ma tratti tutti alla stessa maniera. «Operando così» concludeva
«vi metterete al sicuro ed erigerete intorno a voi una siepe che vi custodirà da ogni insidia»."
La prudenza è particolarmente richiesta quando le suore sono fuori di
casa. Possono sempre imbattersi con qualche male intenzionato che
porta turbamento alla loro ingenuità. «Badate» osservava la Fondatrice «che il mondo è cattivo. State guardinghe sui treni: preferite
prender posto in mezzo a tante persone, anziché fermarvi da sole negli scompartimenti»."
Nell'intimità della vita comunitaria le suore si amino «di amore santo», ma senza particolarismi e simpatie, reputandosi «templi vivi del
Signore»."
Per il voto di castità, diceva madre Maria, noi ci siamo consacrate totalmente a Dio. A Lui abbiamo donato tutti i nostri sensi, la nostra
mente e soprattutto il nostro cuore. La virtù della castità è un tesoro
che portiamo in vasi fragili. Se vogliamo conservarla, dobbiamo
prendere delle precauzioni. Dobbiamo vigilare e custodire i nostri
sensi, che sono le porte da cui entra la morte nell'anima. La nostra
mente non deve pensare che a Dio e a ciò che a Lui può far piacere;
dobbiamo scacciare con prontezza tutto quello che può offuscare la
bella virtù. Custodiamo il nostro cuore come si custodiscono i tabernacoli e i vasi sacri, perché ogni giorno deve albergarvi il Santo dei
santi. Guai se egli lo troverà ingombro da affetti non suoi! State attente, attentissime su gli attacchi verso le creature. Non abbiate mai
delle amicizie particolari con chicchessia ...
Anche le amicizie spirituali vanno evitate o attentamente vegliate.
Non che si debbano rifiutare qualora Dio ne faccia il dono. Sono fiori
rari, che crescono sul ciglio dei precipizi. Se Dio li farà sbocciare,
penserà pure a mandare i suoi angeli per
28. Circolare del 21 agosto 1916.
29. Circolare del 14 marzo 1924.
30. Circolare del 27 dicembre 1919.
31. Circolare del 15 dicembre 1923.
228
custodirli. Ma andarne in cerca o volerli coltivare di propria iniziativa, c'è pericolo di rovinare nel fondo.
Il tempo della prova è breve. Bisogna camminare in fretta e decisi.
Chi sosta a lungo per guardarsi attorno si espone a indugi ed incantesimi, che lo rendono meno degno di assidersi un giorno al banchetto
dell' Agnello.
«Vere spose di Gesù»
Per essere vere spose di Gesù bisogna spogliarsi di tutto, essere povere ad imitazione di molti santi, specialmente del nostro principale
protettore S. Francesco d'Assisi."
Betlemme, Nazareth, il Calvario: tutto parla di povertà e di spogliamento nella vita del Redentore. La Piccola Suora della Sacra Famiglia è invitata, in particolare, ad imitare la povertà di Nazareth. Nella
piccola casa ove, per trent'anni, abitò Gesù in compagnia di S. Giuseppe e della Madonna, si viveva del proprio lavoro, ci si accontentava dell'indispensabile e si aveva una illimitata fiducia nella provvidenza del Padre che sta nei cieli.
Il Maestro Divino ha dato l'esempio, prima d'insegnare con la parola
il distacco dai beni terreni. Non vale la pena affannarsi per mettere
insieme le cose di quaggiù, dal momento che ci stiamo per così breve
tempo e siamo creati per le imperiture ricchezze del cielo.
Anche madre Maria Mantovani ha insegnato la preziosità del distacco, prima con l'esempio che con la parola. Nei primi anni della Congregazione la povertà delle Piccole Suore fu veramente eroica. Gli
esempi del Fondatore, della Cofondatrice e delle prime suore restano
il baluardo più valido contro lo spirito e le cupidigie del mondo. L'Istituto, in quanto tale,
32. Circolare dell' 11 dicembre 1930.
ha certamente bisogno di ambienti accoglienti e d'una attrezzatura
tecnica aggiornata; ma la Piccola Suora si mantiene sciolta ed agile
come un uccello in volo, pronta ai cenni dei superiori che la trasferiscono ove maggiormente urge la sua presenza.
La Madre Cofondatrice insisteva sulla virtù del distacco dai beni,
dalle persone, dai paesi, e persino dai propri parenti, a meno che la
229
carità e la pietà filiale non reclamassero la suora accanto ai genitori
infermi.
Quando poi s'intratteneva di proposito sul voto di povertà, la Mantovani scendeva alle applicazioni con una casistica concreta e dettagliata, affinché le suore l'osservassero alla perfezione.
Vi raccomando tanto, tanto di non trasgredire il voto di povertà. Col
voto non potete né dare né ricevere, né vendere né comprare, né donare oggetti o denari a chicchessia, né trattenere denaro da qualunque
parte sia venuto ... Attente, attente! Non siate di manica larga!"
La dignità di «spose di un Dio crocifisso» esige che le suore vadano
serenamente incontro ai disagi e alle privazioni. «Non si può amare
né praticare la povertà» diceva perciò la Madre «se non si ama il sacrificio». La religiosa che ama il sacrificio, non ha esigenze, non avanza bisogni immaginari; d'altronde, non le manca niente perché
s'accontenta in tutto: «nell'abitazione, nel vestiario, nel vitto»."
Nella pratica della parsimonia e dello spirito d'adattamento la Casa
Madre precedeva le filiali. Durante la prima guerra mondiale, per esempio, a Castelletto scarseggiavano i viveri. Quel po' di latte che si
riusciva a trovare era destinato alle suore ammalate. Le sane, con a
capo la Madre, rimediavano alla meglio. «A colazione» scriveva la
Generale nel maggio del 1915 «facciamo una pentola di brodo di faglioli con qualche
33. Appunti per «Letture».
34. Circolare dell' 11 dicembre 1928.
altra verdura e un pochino di formaggio; vi mettiamo poi dentro il
pane affinché abbia a bollire almeno per un quarto d'ora. La zuppa
riesce molto buona; con una scodella abbondante di essa si sta bene
sino a mezzogiorno ... e si risparmia caffè e zucchero».
Nondimeno, in caso di necessità non si badava a spese. Le superiore,
anzi, venivano esortate alla generosità. Dovevano essere «veramente
mamme», come inculcava la Madre, e provvedere con premura a tutti
i bisogni delle suddite, onde queste non fossero indotte a mancare
agl'impegni presi con madonna povertà."
Le Piccole cose
230
La vita umana è costituita da una lunga serie di piccoli avvenimenti.
Presi in sé sembrano insignificanti, eppure da essi dipende tutto l'orientamento della vita. Per l'anima che tende alla perfezione, le piccole cose assumono una portata immensa e determinante.
Madre Maria Mantovani tornava spesso sulla fedeltà alle piccole cose, tanto nei proponimenti personali che negl'insegnamenti impartiti
alle suore. Nell'ottobre del 1911 proponeva:
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, sarò diligentissima nell'osservare
tutte le cose Più minute che ordina la giornata della Piccola Suora, e
tutto farò in compagnia della Sacra Famiglia,"
Rivolta poi alle giovani entrate da poco in convento, madre
Maria diceva:
Parlo a voi, in modo speciale, che vi preparate a fare i primi passi
nella vita religiosa. Con la vocazione il Signore ci chiama alla santità.
35. Circolare del 21 maggio 1915.
36. Cf. la Circolare del lO maggio 1919.
37. Propositi, I, p. 18.
Per riuscire cominciate subito ad esercitarvi, con grande amore, nelle
Piccole cose.
Anche le suore provette erano esortate a cercare la perfezione nel
compiere bene le azioni d'ogni giorno; e perché l'insegnamento fosse
più efficace, la maestra scendeva ai particolari.
Facciamo ogni azione con grandissima esattezza, e facciamola bene
un giorno Più dell'altro. Per esempio: diremo un Pater noster un giorno Più devotamente dell'altro, faremo il segno della croce bene un
giorno Più dell'altro, la genuflessione con fede un giorno Più dell'altro; e invece di accontentarci di mettere le dita sull'orlo dell'acquasantiera, tingiamo le dita nell'acqua benedetta, ecc. Cerchiamo insomma di fare sempre tutto con maggior perfezione, e allora diventeremo perfette e sarà impossibile perdere la strada e far divorzio da
Gesù:"
La costante fedeltà alle piccole obbligazioni educa la coscienza alla
delicatezza, irrobustisce la volontà, forgia il carattere; e soprattutto
231
attira molte grazie dal cielo, perché «nelle azioni Dio bada più agli
avverbi che ai verbi»."
L'orario
La fedeltà ai mille doveri d'ogni giorno esige la fedeltà all'orario. Il
Fondatore delle Piccole Suore era esigentissimo su questo punto e
puniva severamente chi veniva meno. Era solito dire: «Orario, orario,
orario: spacchiamo il minuto e la nostra vita sarà ordinata e santa».
Egli precedeva le figlie con l'esempio, poiché s'era obbligato ad un
orario rigoroso ed era
38. Testimonianza di suor Alessia Feller.
39. Circolare del IO gennaio 1916.
40. G. BAETEMAN, Esercizi spirituali, Torino, L.I.C.E., 1938, p.
22.
puntuale nell'osservarlo. Quando andava in giro per le filiali, per
prima cosa stabiliva dettagliatamente quanto avrebbe
fatto. S'informava poi se nella casa si eseguiva l'orario, e dove non
era in vigore voleva che fosse istituito. A Castelletto aveva fatto istallare diversi orologi, affinché tutte le suore potessero udire il suono delle ore. Sotto la sua direzione, ogni cosa veniva fatta al tempo
assegnato, con precisione cronometrica.
In tema di orario la Cofondatrice fu discepola ed erede fedele degl'insegnamenti del Padre. Faceva di tutto per essere la prima all'atto comune ed esigeva la puntualità, tanto a Castelletto che nelle filiali. Se
la probanda o novizia campanaia non era esatta “non spaccava il minuto”, la Madre usciva dal suo studio e suonava la campana. Alle
suore ricordava spesso, con filiale compiacenza, lo «zac-tac» del
Fondatore e il suo zelo perché nell'Istituto, con la collaborazione delle superiore locali, fosse tenuto in gran conto l'orario. Diceva madre
Maria:
Bisogna dare buon esempio nell'osservanza dell'orario. Vi sono delle
superiore che fanno l'orario e poi lo lasciano appeso al muro; lo lasciano osservare dalle altre, seppure l'osservano e si lascia loro il
tempo di osservarlo, e per esse resta lettera morta. E perché non l'osservano? Perché s'immergono troppo nelle faccende esterne, si lasciano assorbire tutto lo spirito dalle medesime, e alle azioni ordinate
232
dall'orario si lascia l'ultimo posto e vengono fatte come Dio vuole ...
Ma dove vi è una superiora che osserva e fa osservare l'orario, quella
casa è l'immagine della casa di Nazareth. Là si riscontra l'ordine, il
decoro, la pace, l'osservanza della disciplina:"
Alle esortazioni generiche tengon dietro le direttive concrete. Una
casa filiale «era molto povera e priva di cose anche necessarie. Era
inoltre poco riparata, sicché d'inverno si soffriva molto il freddo».
Alla superiora che aveva chiesto se le
41. Avvertimenti per le superiore, pp. 1-3.
suore potevano, la sera, andare a letto prima dell'orario fissato, la
Madre rispose: «Compera legna, carbone, olio quanto occorre, ma
state all'orario»."
I continui richiami agl'insegnamenti del Fondatore circa l'orario e l'esattezza nell'osservarlo confermano e rendono autorevoli quelli della
Cofondatrice. Nel gennaio del 1916 ella scriveva:
L'ultimo ricordo che lasciò il carissimo Padre alle superiore jù questo: - Procurate di avere tutte l'orologio; guardatelo spesso spesso per
far buon uso del tempo, per non sprecarne mai inutilmente, e per essere sempre esattissime e precisissime al vostro orario. E un bellissimo ricordo, commenta la Madre, che gioverà tanto al vostro spirito.
Fàtene tesoro:"
Preziosità del tempo
Sulla preziosità del tempo la Cofondatrice tornava spesso, sia nelle
circolari sia nelle «letture» che teneva durante gli esercizi. In particolar modo ne parlava verso la fine di dicembre, allorché invitava le figlie a «fare i conti di cassa»:" ad esaminarsi, cioè, su l'anno trascorso
e a fare proponimenti per il nuovo.
Anche l'anno1929 se ne va; e noi alla fine di esso, come i bravi negozianti, dobbiamo dare uno sguardo al passato. Dobbiamo esaminare
le partite dell'anima nostra, fare un bilancio esatto e pensare a nuovi
provvedimenti per il 1930 che si avanza."
Altre volte l'inchiesta è condotta dalla Madre stessa: sulla regola, sui
santi voti, su la fedeltà alle innumerevoli grazie che
233
42. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana, entrata nel 1909.
43. Circolare del 10 gennaio 1916.
44. Circolare del 21 dicembre 1922.
45. Circolare del 12 dicembre 1929.
Dio ha elargito a ciascuno nel corso dell'annata. All'esame tiene dietro il pentimento e l'implorazione del perdono per le mancanze commesse. Il ricordo delle sorelle passate all'eternità durante l'anno trascorso deve rendere più sinceri ed efficaci i propositi delle rimaste.
Carissime, preghiamo il buon Gesù ad esserci benigno e misericordioso. Supplichiamolo a perdonarci le mancanze commesse, a stendere un denso velo sul passato ed accogliere le nostre promesse di
maggior fedeltà
nel nuovo anno 1927. Pentite e ben disposte così, egli avrà per noi
nuove grazie di perdono, di fortezza per non cadere, di fervore per
progredire nel bene. Corrispondiamo dunque con grande generosità,
e il tempo che la
bontà di Dio ci concede, spendiamo lo tutto per santificarci. Viviamo
in maniera d'essere sempre pronte alla chiamata dello Sposo come
furono pronte le nostre carissime sorelle passate in quest'anno a miglior vita:"
La brevità del tempo e l'approssimarsi dell'eternità erano molto avvertiti dalla Mantovani negli ultimi anni, da quando il Fondatore l'aveva preceduta in cielo. Nella trepida attesa, la Madre cercava di
rendersi sempre più degna del «grande giorno» ed esortava altresì le
figlie a fare «buon conto del tempo». «Esso» diceva «ci è da Dio
concesso, al fine di tesoreggiare per l'altra vita: vita che non avrà fine. Spogliamoci di tutto, distacchiamoci da tutto e viviamo solo per
Iddio, nostro principio e fine»."
L'esortazione a vivere santamente in vista dell'eternità vicina assumeva una particolare validità, allorché veniva a morire qualche consorella. Nel darne il mesto annuncio la Madre Generale non mancava
di esortare le figlie alla vita fervorosa e a tenersi «sempre ben preparate al gran passo, dal quale dipende la nostra eterna salvezza»."
234
46. Circolare del 21 dicembre 1926.
47. Circolare del 14 dicembre 1931.
48. Circolare del 24 marzo 1923.
Suor N. N. copre il numero 71 delle nostre care defunte ... Chi coprirà il numero 72? Teniamoci preparate un giorno Più dell'altro!"
Anche in quest'anno la morte ha visitato ripetutamente l'Istituto delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia. In tre mesi tre suore sono volate
in paradiso, e una di queste era superiora. Buon per loro che, venendo lo Sposo, le trovò con la lampada accesa, come le vergini prudenti. Carissime, stiamo sempre apparecchiate, sempre pronte a fare la
volontà di Dio vivendo in umiltà, obbedienza e carità. Non dimenti235
chiamo mai le massime del carissimo venerato nostro Padre: cioè, di
vivere come se ogni giorno dovessimo morire. La vita è un volo, un
lampo che passa. Il tempo che il Signore ci dà, impieghiamo lo per
fare molte opere buone e guadagnare anime a Gesù. so
«Impastate di preghiera»
Quanti conobbero da vicino mons. Giuseppe Nascimbeni affermano
che egli fu un uomo di profonda orazione. Nel programma giornaliero che s'era imposto vien data la preminenza alle pratiche di pietà.
Egli pregava di continuo, con straordinario fervore. La preghiera era
veramente «il respiro» della sua grande anima sacerdotale. Negli ultimi anni, quando la paralisi lo tolse dal campo di lavoro, il Nascimbeni pregava ancor più intensamente: la preghiera riempiva le lunghe
giornate e sollevava lo spirito e il corpo più di qualsiasi altro rimedio.
Pregava per tutti. Per le figlie vicine e per quelle disperse nelle case
filiali. Pregava per i parrocchiani che venivano a fargli visita, per i
peccatori, per la Chiesa. Pregava in letto o nella cappellina attigua
ove, a consolazione del caro Infermo, si conservava sempre il Santissimo. Nelle giornate serene si faceva portare in carrozzella davanti
alla Grotta di Lourdes: quivi, circondato dalle orfanelle più piccine,
recitava il rosario intero, o sostava a lungo a conversare con la Bianca
49 Circolare del 16 febbraio 1921.
50 Circolare del 13 aprile 1929.
Signora. Appena si sentiva più valido, celebrava la santa messa; poi
scendeva nella cappella dell'Istituto, apriva il tabernacolo e pregava
con grande fervore, a voce alta e commossa; e commosse restavano
pure le suore presenti che ammiravano la «straordinaria fede» del loro Padre. Nelle ultime settimane, allorché il male lo tenne irrimediabilmente
in letto, l'Infermo volle attorno a sé le suore e le orfanelle che, a turno, venivano a pregare con lui. Quando sopraggiunse sorella morte, il
Servo di Dio teneva ancora in mano la corona: si spense pregando.
Il Padre educò le figlie alla preghiera. «Nelle sue Costituzioni volle
che le Suore della Sacra Famiglia dedicassero molte ore del giorno e
236
della notte alla preghiera, senza contare le preci che si recitano anche
lavorando, avendo come nell'alveare ciascuna in mano la cera del lavoro, e nelle labbra il miele della preghiera».
Alle molte pratiche di regola venivano facilmente aggiunte altre preghiere, secondo le circostanze. Se c'era una particolare grazia da ottenere, si recitavano altre tre «Salve Regina» o tre «De profundis» o
la corona delle Sette Allegrezze di S. Giuseppe. Ottenuta la grazia, le
suore dimostravano la loro riconoscenza con la recita di due «Te
Deum», oppure si davano il turno davanti al Santissimo che veniva
esposto per tutta la giornata.
Quando le Costituzioni passarono a Roma per la revisione canonica,
le pratiche di pietà vennero ridotte e temperate. Ma lo spirito di preghiera, impresso dal Fondatore, permane tuttora nell'Istituto e viene a
compensare l'esuberanza e gli esercizi di un tempo, che d'altronde le
molteplici attività renderebbero oggi impossibili.
Alla scuola del Servo di Dio, la Mantovani divenne un'anima di profonda interiorità. Umile, sempre serena e silenziosa, viveva costantemente alla presenza di Dio e della
"Can. ORESTE DE LAURENTIIS, in Quasi oliva speciosa in campis, p. 29.
Madonna Immacolata. Bastava vederla, anche fuori di chiesa, che
s'era portati al raccoglimento e alla devozione. Parlando alle suore
della vita di preghiera, ella ricordava:
Il desiderio Più ardente del nostro reverendo Padre è questo: che noi
siamo impastate di preghiera come la spugna viene imbevuta dall'acqua quando è immersa nella medesima. La preghiera sia il nostro pane quotidiano. Non bastano le preghiere prescritte dalla nostra Regola. È necessario avere lo spirito di preghiera: vivere, cioè, sempre alla
presenza di Dio, fare tutto per Iddio, astenersi da ogni cosa che possa
esser di disgusto a Dio, e fare bene tutte le preghiere di regola, recitando le adagio, accompagnando con la mente e col cuore il senso
delle parole:"
237
La Madre inoltre esortava le suore a passare «con straordinario fervore» i mesi di gennaio, di marzo, di maggio, di
giugno. Secondo lei, non s'era fatto mai abbastanza e pertanto diceva:
Se abbiamo cercato di onorare in tutti i modi possibili la nostra
Mamma celeste, dobbiamo fare molto di più per onorare il Cuore di
Gesù, tutto amore e tenerezza per noi, specie nel Divin Sacramento
dell'Altare.
Al mattino le suore debbono «montare la macchina dello spirito»
come, ogni mattina, «si carica l'orologio». «Nella
comunione» prosegue la Madre «si fa l'esame di previdenza della
giornata, si fanno accordi con Gesù e delle energiche
promesse»." «La meditazione è il termometro delle comunità religiose»." Le Piccole Suore debbono farla «sempre sempre” e «non trascurarla mai mai».
52. Circolare del 10 gennaio 1916.
53. Circolare del 21 maggio 1915.
54. Circolare del 10 gennaio 1916.
55. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 45.
56. Circolare del 3 gennaio 1922.
La Madre non può «assolutamente permettere» che «si strapazzi» le
pratiche di pietà comandate dalla Regola. Su questo punto ricorda
che «il reverendissimo Padre voleva che gli atti comuni» fossero adempiuti bene, «dalla levata alla dorrnizione». «Le preghiere» inoltre
«debbono essere recitate adagio, con voce unisona, stando in ginocchio e sempre col manuale in mano». Durante il giorno le suore stiano unite «a Gesù e alla Vergine Immacolata con fervorose giaculatorie»."
Recitando bene tutte le preghiere di regola, «con sempre maggiore
amore e fervore», la Piccola Suora vive la sua
vocazione in seno alla Chiesa. «Esse» infatti «sono come l'olio
che tiene alimentata la fiamma dell'amore per Gesù e l'ostia di propiziazione che disarma la giusta collera divina»."
«La chiave del paradiso»
Per chi ha abbracciato lo stato religioso rimane aperta una sola via
verso la santità: l'osservanza delle proprie regole. La religiosa è certa
di raggiungere la perfezione, quando resta fedele alle prescrizioni
238
minutamente descritte nel santo libro che le venne consegnato nel
giorno della sua professione. La Regola infatti compendia tutta la vita e tutti i doveri dell'anima consacrata.
La Cofondatrice delle Piccole Suore di Castelletto raccomandava ripetutamente alle figlie l'esatta osservanza della santa Regola, «un
giorno meglio dell'altro, in tutto e per tutto»." La Regola è la manifestazione più sicura della volontà di Dio, la pratica genuina dei consigli evangelici, la guida infallibile verso la perfezione cristiana. «Se
alla morte d'una religiosa non si potesse ricordare di lei se non che fu
in tutto e
57 Circolare del 27 dicembre 1920.
58 Circolare del 12 ottobre 1932.
59 Circolare del 26 marzo 1915.
sempre osservantissima delle sue sante regole» concludeva la Madre
«abbiatela pure per santa». E continuava:
L'osservanza della santa Regola importa sacrificio, perché quel dover
stare sempre sopra se stesse, quel chinare il capo ovunque e sempre,
il non poter parlare o andare quando e dove si vuole, il dover rinunciare alle proprie inclinazioni, quel dover osservare l'orario, il dipendere in tutto e dappertutto dai superiori, costa sacrificio alla povera
natura umana. Ma Dio tiene in conto questi atti di virtù, Piccoli e
grandi, ed assegna loro un premio eterno:"
Quando giunse da Roma la Regola riveduta dalla S. Congregazione
dei Religiosi, la Madre Generale s'affrettò a spedirne una copia alle
case filiali, onde tutte le suore avessero «a studiarla e praticarla», Diceva: «Bisogna che ve la imprimiate ben bene nella mente e nel cuore, che la trasformiate in succo e sangue, sì che ognuna di voi sia la
Regola in persona». Allora la Madre sarà certa che «nell'Istituto si
glorifica continuamente Iddio». Però si deve «vivere lo spirito della
Regola e non fermarsi alla sola lettera»; bisogna «praticarla in tutti i
suoi punti, siano essi di maggiore o minore importanza, facili o difficili». Nessuna cosa, nessuna causa o scusa distolga le suore dall'osservanza della Regola; ma esse la sappiano custodire gelosamente
«come un sacro deposito» lasciato loro dal venerato Fondatore."
239
Alle novizie che si preparavano ad emettere i santi voti madre Maria
ricordava che nessuna religiosa si è mai salvata senza osservare la
sua Regola. Chi la trascura, turba il buon andamento della casa, si
smarrisce lungo la via intrapresa, «perde la vocazione», «perirà»."
Le regole sono il fondamento della vita religiosa, l'unico cammino
60. Circolare del 13 dicembre 1933.
61. Circolare del 12 ottobre 1932.
62. Dalle «Letture» della Madre: 25 settembre 1933, p. L
nella perfezione, la chiave del paradiso. La nostra predestinazione sta
legata alla Regola:"
Quando la Mantovani pronunciava queste parole, mancavano pochi
mesi alla sua morte. Nei proponimenti aveva più volte promesso
«l'osservanza della santa Regola sino alle più piccole cose»; si era
inoltre obbligata a «star molto attenta e di non permettere mai» che le
sue consorelle trasgredissero le sante regole." Allora la Cofondatrice
moveva i primi passi verso la perfezione religiosa. Dopo quarant'anni
di vita santa e di fecondo superiorato, rivolgendosi alle novizie, poteva riguardare indietro con animo sereno e asserire: «La nostra predestinazione sta legata alla Regola»; la Regola è «la chiave del paradiso».
63. ivi: 20 settembre 1933, p. l.
64. Proponimenti dell'anno 1895: prop. l.
CAPO QUARTO
GLI ESERCIZI SPIRITUALI
Dove la Cofondatrice parlava con autorità di maestra e con cuore di
madre era durante gli esercizi spirituali. Ogni anno, tutte le suore della Congregazione venivano (e vengono tuttora) convocate presso la
Casa Madre per la straordinaria refezione. In quei giorni di sospensione dalle consuete attività, negli incontri con i superiori maggiori e
con le sorelle venute da ogni parte, ma soprattutto in quella molteplicità di pratiche e di preghiere le Piccole Suore della Sacra Famiglia si
rinnovano nello spirito della loro vocazione.
Sono giornate d'intensa interiorità. Esami di coscienza prolungati,
sincero rincrescimento per le infedeltà a tante grazie, propositi fermi
240
di vita più santa. Accade come al ferro che vien messo nel fuoco. Lo
ritrai liberato dalle scorie e gli puoi dare l'impronta che vuoi. Così le
suore che vanno a Castelletto per gli esercizi spirituali: escono dal
sacro ritiro alleggerite e purificate come da un bagno di fuoco, disposte a cambiare di casa e d'ufficio, pronte ad andare dove i superiori le
mandano. Così tutti gli anni. Ed è questo uno dei segreti più validi a
spiegare i successi dell'Istituto.
«Questa specialissima grazia ... »
Per prima cosa le suore debbono tenere in grande stima i santi esercizi. Stando a quanto scriveva madre Maria, gli esercizi sono una «grazia specialissima», una «grandissima grazia», «la grazia più grande
che ci fa il Signore»; quindi sono «di una importanza straordinaria».
Quando la Madre annunziava alle suore la data degli esercizi, ne parlava con grande fervore, come se comunicasse una notizia lieta che
doveva portare gioia nel cuore di tutte.
Con l'aiuto della Sacra Famiglia e con la protezione specialissima
della nostra miracolosa Immacolata di Lourdes, speriamo vivamente
di poter fare gli esercizi. Sono lieta di potere notificare che, aiutati
in modo particolare dalla divina Provvidenza, subito dopo Pasqua
potremo fare un corso di santi esercizi.
Al sacro convegno nessuna delle chiamate doveva mancare. La Madre «le aspettava tutte». Il sacrificio che le superiore locali facevano,
privandosi per alcuni giorni delle suddite convocate a Castelletto, sarebbe stato largamente ripagato. Scriveva infatti la Madre Generale:
Comprendo che il privarvi di una suora in casa, sia pure per pochi
giorni, vi costerà qualche sacrificio, ma senza sacrificio nulla di bene
si può fare. Vi sia però di conforto il pensiero che Gesù vi compenserà con larghezza divina. Avrete altresì il compenso delle vostre stesse
sorelle, le quali, dopo gli esercizi fatti bene, ritorneranno fra voi Più
fervorose, Più obbedienti, Più umili, Più caritatevoli, Più attive e diligenti nel disimpegno dei loro doveri, Più pronte al sacrificio.
Tutte le suore dovevano attendere agli esercizi spirituali con sommo
impegno. La Cofondatrice supplicava con accenti materni, perché
nessuna abusasse di «questa specialissima grazia» che stava per farle
241
la Sacra Famiglia. Gli esercizi spirituali «fatti bene» diceva la Madre
«accresceranno in
1. Circolare del 23 marzo 1916. La guerra in pieno corso rendeva difficile la convocazione delle suore a Castelletto. Infatti «furono chiamate le sole superiore, perché queste debbono essere il perno della
casa» (Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 4142).
2. Circolare del 16 febbraio 1921.
3. Circolare del lo marzo 1929.
ciascuna il santo amor di Dio e lo spirito religioso; ma se fatti male,
saranno la vera rovina delle vostre anime».' E per rendere più efficace la raccomandazione, la Mantovani era solita ricordare uno dei detti più famosi del Padre Fondatore: Gli esercizi fatti bene sono farmaco di vita, ma fatti male sono sublimato corrosivo per le nostre anime.
Condegna preparazione
Cominciava per tempo. Un mese prima dell'apertura degli esercizi,
nella Congregazione s'iniziavano particolari preghiere allo Spirito
Santo per il loro buon esito. Tutte le suore erano sollecitate a pregare,
onde il Signore concedesse alle prossime esercitanti «le buone disposizioni per farli santamente e con molto profitto spirituale».'
Preghiamo tutte assai assai fin da questo momento per assicurare il
frutto di tali esercizi, preghiamo le une per le altre, acciò il buon Dio
conceda ad ognuna le grazie ed i lumi necessari per poter ricavare,
durante gli esercizi, straordinari vantaggi spirituali, al fine di poter
poi impiegare santamente i giorni che ancora ci rimangono e accaparrarci così una santa morte.'
Per il buon esito degli esercizi cui avrebbero atteso le suore, si pregava anche fuori della Congregazione. Attraverso le pagine del Nazareth le persone pie e quanti simpatizzavano per l'Istituto e le sue
opere erano invitati ad elevare particolari preghiere con tali intenzioni.
242
4. Circolare del 22 febbraio 1919.
5. Circolare del 31 marzo 1927.
6. Circolare del 22 febbraio 1919.
7. Circolare del 2 ottobre 1923.
8. Vedi, per es.: 3 (aprile 1908) p. 4; (novembre 1908) p. 4; 4 (settembre 1909) p. 4; ecc.
Chi naturalmente doveva pregare il Signore con maggior istanza, erano «le fortunate» che sarebbero venute al corso. Fin dal primo annuncio, esse dovevano disporre lo spirito «a sentir fame della parola
divina» e prepararsi «con la preghiera, con la mortificazione dei sensi, con la volontà di combattere le proprie passioni, di correggere il
proprio carattere, di cambiarsi totalmente»." La preghiera «umile,
fervorosa, confidente», accompagnata dalla mortificazione, otterrà
alle esercitanti «l'abbondanza di lumi per ben conoscere i difetti che
debbono detestare e togliere dal cuore» e «gli aiuti per praticare le
virtù». In tal modo, riformando la loro vita, esse potranno «edificare
tutte le consorelle con le quali convivranno». Poiché «come una suora cattiva porta discordia nella casa» e ne allontana la pace, «al contrario una suora virtuosa e santa converte la casa in un paradiso».
Il comportamento religioso delle candidate in viaggio verso la Casa
Madre doveva dimostrare che esse erano ben comprese «della grazia
che il Signore stava apparecchiando» per loro. La Madre appunto
raccomandava:
Durante il viaggio date a tutti esempio di modestia, di umiltà, di raccoglimento, come s'addice a vere Piccole Suore della Sacra Famiglia.
Abbiate sempre fra le mani il santo rosario e il manuale. Continuate a
pregare; leggete qualche buon libro: la vita di qualche santo o l'Imitazione di Cristo ... Mortificate gli occhi, la lingua. State raccolte e
parlate con Dio.
Nel Cenacolo con la Confondatrice
Le esercitanti venivano convocate a Castelletto due giorni prima perché avessero modo di sostare alquanto e di ambientarsi, avanti d'iniziare il grande lavoro di riforma.
243
9. Circolare del lo marzo 1929.
10. Circolare del 31 marzo 1927.
11. Circolare del 22 marzo 1925.
A che siete qui convenute?, chiedeva la Madre nell'incontro di apertura. Per guardarvi con maggior agio e Più lungamente nello specchio del vostro divino esemplare Gesù Crocifisso, e vedere se col
corpo avete fatto camminare di pari passo anche lo spirito verso il
paradiso.
Le «letture» della Cofondatrice, tenute due volte al giorno, venivano
ad integrare le meditazioni e le istruzioni del predicatore. Avevano
un tono più dimesso, ma anche più immediato, e i continui richiami
agl'insegnamenti e agli esempi del Fondatore le rendevano sommamente efficaci. Esse scendevano sino ai minimi dettagli della vita religiosa, adattando la dottrina dei maestri di spirito alla particolare fisionomia della Piccola Suora.
Le virtù più raccomandate dalla Madre erano: «una straordinaria umiltà», che le figlie dovevano proporsi «come frutto specialissimo»
dei santi esercizi; la fedeltà alla Regola, «sino ai particolari più minuti»; la dolcezza e la mansuetudine; l'amore al sacrificio; «la santa indifferenza a quanto Dio vuole» da ciascuna «attraverso le disposizioni dei superiori»; la puntualità all'alzata del mattino, «al primo tocco
di campana», «perché dobbiamo servire con fervore il nostro Dio»; la
povertà e il distacco, di cui dette eroici esempi il Fondatore; la prudenza nel frequentare le canoniche e le case dei secolari; la dilezione
fraterna; la docilità alla voce del Signore: sempre, ma soprattutto in
questi giorni di speciali illuminazioni da parte di Dio.
A metà corso, un intermezzo di sollievo, per rendersi conto delle grazie insigni che il Signore stava facendo e per impegnare ciascuna alla
corrispondenza.
Come si gusta Gesù in questi giorni!, diceva la Cofondatrice. Il venerato Padre, quando pronunziava queste parole, si commoveva fino al
pianto, tanto sentiva la gratitudine verso Dio per le grazie concesse
alle sue figlie dilette. Preghiamo Gesù, diceva, di conservarci questo
gusto fino ai primi esercizi che faremo. Ma è meglio che diciamo: si244
no alla morte, perché col Signore bisogna essere generosissime. Gli
esercizi sono una vera manna per le anime nostre, sono giorni di paradiso. Ma se tanta consolazione ci mettono adesso nel cuore, quale
cruccio, quanto dolore in punto di morte, se ne avremo abusato!
Le riflessioni su la morte erano rese ancor più salutari dalla lettura
dei nomi delle consorelle scomparse durante l'anno. «Esse erano
pronte, e noi?». Perché Gesù non abbia a fare con le suore rimaste
quanto ha fatto con la «ficaia sterile» e con le «vergini stolte», occorre «corrispondere con entusiasmo» alla «grande grazia degli esercizi». «Bisogna che noi vive - come ci ammoniva il Padre - facciamo
quello che farebbero le nostre consorelle morte, se potessero tornare
in vita».
I proponimenti venivano redatti in duplice copia. Una doveva esser
conservata da ciascuna suora, possibilmente nel manuale delle preghiere per meglio ricordarli tutti i giorni. L'altra veniva messa in una
busta, e le buste erano collocate ai piedi di Gesù, perché Gesù «vedesse» i propositi: li «benedicesse» e li «confermasse» con la sua
grazia.
«Pregare Iddio per i morti.:»
Il tempo dedicato agli esercizi era prezioso altresì per le particolari
udienze che il Re Divino concedeva alle sue spose. Esse infatti ne
approfittavano per raccomandare un po' tutti.
Pregavano, in primo luogo, per i morti. Tra essi erano ricordati, in
special modo, i genitori delle suore, le superiore e le consorelle, i benefattori dell'Istituto.
Per tutti costoro si offrivano speciali suffragi nel camposanto di Castelletto, ove le esercitanti convenivano processionalmente, all'inizio
e alla fine degli esercizi. Dopo tutte le devozioni del mattino, esse
partivano dall'Istituto recitando una terza parte del rosario, le litanie
della B. Vergine, il salmo «Miserere» e tre «De profundis»; nella
chiesa cimiteriale di S. Zeno, dopo la «Via crucis», cantavano le litanie dei Santi, seguite dalla recita di altre preghiere; uscendo di chiesa
per recarsi sulla tomba delle suore, recitavano di nuovo il salmo
«Miserere», poi le esequie, alle quali tenevan dietro la Salve Regina
e le litanie della Madonna cantate, mentre le suore rientravano nella
245
chiesa; finalmente, durante il viaggio di ritorno all'Istituto, venivano
recitati 6 Pater, Ave e Gloria per l'acquisto delle indulgenze."
Più d'una volta, per qualche particolare circostanza, venne celebrata o
cantata la messa di requiem nel camposanto, dopo la quale si svolgevano con maggior solennità le esequie. Prima delle esequie, una suora parlava alle presenti delle consorelle morte, onde «sul loro esempio», le viventi proponessero di restar fedeli «sino alla tomba, nel
santo servizio divino; che, in questi santi giorni, avevano appreso
quanto fosse necessario, facile e soave». Era questo un «momento»
di particolari «emozioni e seri propositi!»!'
« ••• e per i vivi»
La carità spirituale verso i vivi era ancora più estesa. Si pregava per
la Madre Generale e per tutte le figlie, «presenti e future»; si chiedevano al Signore delle «vocazioni», che fossero però «sane di cuore,
di mente e di corpo»; in particolare venivano raccomandate le sorelle
che, al termine degli esercizi, avrebbero indossato l'abito religioso
oppure avrebbero emesso i voti temporanei o perpetui.
Poi la carità allargava gli orizzonti, e si pregava per Castelletto,
«ch'era la parrocchia del Padre»; per i paesi ove le suore prestavano
la loro opera; «per i nostri asili» suggeriva la Madre, «per i nostri
malati», «per le nostre scolare, passate, presenti e future»; si pregava
per l'Italia, per la Chiesa, per l'umanità.
12. Abbiamo prese le notizie dal manuale di Preghiere per
le Piccole Suore della Sacra Famiglia, ed. 6, 1942, pp. 323-324.
13. Nazareth; 16 (novembre 1921) p. 3.
Ma soprattutto le esercitanti dovevano chiedere fervorosamente la
perseveranza nei propositi. «Continuiamo a pregare» esortava madre
Maria «oggi meglio di ieri, domani meglio di oggi, e così di seguito:
affinché Gesù benedetto, per intercessione di Maria santissima e di S.
Giuseppe, confermi con la sua grazia e il suo sangue prezioso i propositi fatti».
La chiusura degli esercizi
246
Con identiche intenzioni e per ottenere alle esercitanti «una nuova
ripresa di vita più santa», nell'ultima sera degli esercizi le suore si
raccoglievano davanti al Santissimo esposto per un'ora di adorazione.
La cerimonia più toccante aveva luogo durante il canto del «Te
Deum». Alle parole «A eterna fac cum Sanctis tuis in gloria numerati» veniva sospeso il canto, taceva l'organo, e le presenti trattenevano
quasi il respiro. Allora la Superiora Generale usciva dal banco, si
portava nel mezzo della grande cappella; in piedi, a voce alta e fortemente emozionata, pregava:"
Ecco, o amabilissimo Gesù, la preghiera della vostra umile serva. Sì,
o Signore, fate che tutte queste dilettissime spose, che avete chiamato
alla grazia della vocazione religiosa, che avete redento con il vostro
preziosissimo sangue, alle quali in questi giorni avete fatto sentire la
vostra parola di bontà e di celeste invito, possano tutte un giorno,
come sono adesso qui unite innanzi al vostro altare nella fraterna carità e nel vostro amore, ritrovarsi negli eterni tabernacoli.
Ma prima che si allontanino dal vostro altare e ritornino là dove la
vostra santa volontà le chiama, voglio, o buon Gesù, che Voi le abbiate a benedire.
Benedite, innanzi tutto, la vostra povera serva che indegnamente tiene per il vostro volere il posto di Superiora. O Signore, che io possa,
con
14. Vivente e valido il Fondatore, la supplica era letta da lui all'altare.
-Pur
obbedendo ad uno schema quasi obbligato, essa poteva variare secondo i bisogni e le
circostanze.
l'esempio e con il disimpegno esatto dei miei gravi doveri, portare l'Istituto e le vostre figlie a quel grado di religiosa osservanza che voi
volete dalle vostre spose. Voi supplite, o Signore, alle mie deficienze
e beneditemi; e con me benedite tutte le mie Collaboratrici nel difficile incarico di reggere le sorti del vostro Istituto. Una benedizione
speciale, o Signore, per il nostro noviziato, per le nostre inferme e
247
per tutti coloro che si occupano per il nostro bene spirituale e materiale.
Ma soprattutto la vostra benedizione discenda su tutte le presenti che,
terminati i santi esercizi, sono pronte e disposte a fare la vostra volontà. Beneditele nelle loro case, nelle loro obbedienze, nei loro sacrifici; beneditele nel tempo, beneditele per l'eternità. Beneditele, o
Signore, nei momenti di trepidazione e di timore; beneditele per la
regolare osservanza; e fate che tutte abbiano a corrispondere alla grazia della loro vocazione. Nessuna di queste, o Signore, faccia divorzio da Voi! Meglio vederla morta qui ai vostri Piedi ...
Aeterna fac cum Sanctis tuis... Che tutte noi qui riunite possiamo avere, per la vostra benedizione, la grazia della perseveranza finale e
che la vostra chiamata ci trovi tutte pronte con la lampada accesa!
Che con la vostra benedizione, rivestite della vostra santa divisa,
scendiamo nel sepolcro, perché lo spirito, ripieno delle vostre grazie
e dei vostri favori, venga in paradiso a cantare le vostre misericordie
e i vostri trionfi.
La convinzione e il fervore della Madre nel pronunciare questa supplica erano tali, «che le sue figlie spirituali» attesta una di esse «rimanevano commosse sino alle lacrime». «Chissà quale fervore e che
seri propositi» suscitavano «quelle parole», continua a dire la suora,
che le aveva udite già da bambina quand'era nell'Istituto come orfanella. In particolare essa ricorda «queste testuali parole»: «Nessuna
di queste, o Signore, faccia divorzio da Voi. Meglio vederla morta
qui ai vostri piedi». «Per me» conclude la suora «questo è un monito
per seguire sempre meglio la mia santa vocazione»."
15. Testimonianza di suor Maria Bruna Lago, entrata nel 1931.
Vestizioni e Professioni
Al corso degli esercizi tenevano dietro, ordinariamente, le solenni cerimonie delle vestizioni e delle professioni.
«Ore d'ineffabile giubilo», «giornate di paradiso!», vengono chiamati
quegli avvenimenti nelle cronache del Nazareth. In particolar modo
sono ricordate le «fortunate» sorelle che «innanzi a Gesù, vivo e vero
nella santissima Eucaristia, compivano l'olocausto di tutte se stesse e
pronunciavano generosamente la formula della loro Professione per248
petua, ricevendo dalle mani del reverendissimo Superiore l'anello,
pegno di fede, segnale di carità, caparra degli sponsali eterni nella
patria dei Santi»."
Quei «giorni così solenni», quelle «cerimonie così commoventi»!'
contribuivano potentemente a risvegliare in tutte le presenti dolci ricordi e sante emozioni, e a confermare i proponimenti per una «ripresa di vita più santa».
“Gli esercizi cominciano adesso!”
Gli esercizi fatti con impegno lasciano negli animi un profondo senso
di gioia e di ringiovanimento spirituale. La prima ad esserne lieta era
la madre Mantovani, che ripetutamente esprimeva la sua soddisfazione:
Nonostante le critiche circostanze dell'ora presente," abbiamo potuto
fare un corso di spirituali esercizi ... Detti esercizi furono fatti veramente bene; Grazie al buon Dio, i santi esercizi testé trascorsi sono
riusciti benissimo;" Dobbiamo rendere vive grazie alla Sacra Famiglia e alla
16. Nazareth, 8 (aprile 1913) p. 4.
17. Ivi, settembre 1913, p. 4.
18. La prima guerra mondiale era in pieno corso.
19. Circolare del 23 gennaio 1918.
20. Circolare del 16 settembre 1921.
B. Vergine di Lourdes, perché gli esercizi fatti dalle superiore sono
riusciti straordinariamente bene. Da questi aspetto gran frutto! La
buona semente, ch'era stata gettata nei cuori durante le giornate di
raccoglimento, doveva essere coltivata e portata a maturazione. La
Cofondatrice perciò ricordava quanto era solito dire il «carissimo Padre»: - Gli esercizi cominciano adesso!
Mano dunque all'opera!, concludeva la Madre. Esplicate tutto il vostro zelo nelle opere di pietà e di carità. In casa e fuori, praticate ogni
sorta di virtù. Siate Piene dello spirito di osservanza della nostra santa Regola, e ciascuna superiora lo infonda nelle sue suddite. Così facendo, in breve tempo le nostre case addiverranno tante copie con249
formi alla casa di Nazareth, che era appunto casa di preghiera, silenzio, lavoro e specchio d'ogni virtù,
Il ritiro mensile
Il fervore concepito durante gli esercizi annuali vien tenuto in vita
dalla pratica del ritiro mensile. Ad esso le Piccole Suore dovevano
dare «tanta importanza» e farlo sempre, «tutti i mesi e in tutte le case». Nel giorno del ritiro mensile, come insegnava la Mantovani, si
pensa più del consueto all'anima, ci si prepara a ben morire, e «si
monta la macchina del nostro spirito» perché «non s'infiacchisca nel
santo servizio di Dio».
Ancor oggi, nella Congregazione delle Piccole Suore, vien data
grande importanza alla pratica del ritiro mensile. Il manuale di preghiere porta i diversi esercizi che vengono praticati in quella giornata
di salutari riflessioni: apparecchio alla santa comunione ricevuta come per viatico, apparecchio per ricevere degnamente l'olio santo, litanie degli agonizzanti,
21. Circolare dell'8 maggio 1920.
22. Ivi.
23. «Appunti» scritti da madre Maria su una cartolina.
preghiera per l'agonia, testamento, preghiera per ottenere una buona
morte." Il ritiro mensile è dunque dominato dal pensiero della morte,
che rende sempre più santa la vita ed aiuta la suora a pensare ed operare sub specie aeternitatis: in vista dell'eternità."
24. Preghiere per le Piccole Suore, ed. 7, pp. 201-222.
25. Sul «ritiro» di ogni mese, vedere anche La voce del Padre, 5 (dicembre 1926) p. 4.
CAPO QUINTO
MAGISTERO EFFICACISSIMO
Abbiamo toccato gli argomenti più importanti che la Cofondatrice
era solita trattare, a voce e per iscritto, con le figlie. I numerosi testi
riportati rivelano, a sufficienza, le caratteristiche proprie della Mae-
250
stra. Qualcosa tuttavia vogliamo dire sulle doti del suo magistero, per
metterne in luce, ancora una volta, la somma efficacia.
La concretezza
La dottrina di madre Maria non era astratta o libresca. Toccava le cose concrete, di tutti i giorni: le virtù che la religiosa deve praticare, i
difetti che bisogna togliere; le situazioni in cui vengono a trovarsi le
Piccole Suore negli asili, presso i malati, nelle scuole, a contatto con
la gioventù femminile, nelle relazioni con i parroci e con le autorità
locali. Problemi, dunque, che costituiscono la vita d'ogni giorno e che
vanno risolti con spirito religioso, a gloria della Sacra Famiglia e per
il bene delle anime avvicinate.
La Cofondatrice amava la concretezza: nella vita spirituale, nella pratica delle virtù, nella condotta d'ogni giorno, nelle opere di apostolato, in tutto. Prediligeva le suore risolute nella via della perfezione,
certamente perché, senza pensarci, le trovava più affini al proprio
temperamento. Anche il Padre era concreto e deciso al sommo. Gli
«piacevano le cose spicce e risolute», scrive madre Maria, e prosegue:
Egli era nemico delle lungaggini e delle dubbiezze. Gli veniva un idea? Rifletteva, pregava, e se conosceva che l'idea era buona, si doveva mettere in esecuzione, e subito. Non si aspettava a far domani,
ciò che si poteva fare oggi; né si rimandava alla sera, ciò che si doveva fare al mattino,' Egli gradiva Più i fatti che le parole, Più le opere che le promesse, Più i frutti che le foglie Più belle?
Madre Maria parlava poco. Ma le parole erano chiare, incisive. Erano
dette con calma e con fermezza. Tutte le suore erano in grado di capire quegl'insegnamenti; ma soprattutto dovevano metterli in pratica,
perché la Madre non intendeva ripeterli. «Quando la disìa una roba,
l'era ferma».'
Volendo mettere in guardia le novizie contro gl'inganni della fantasia, la Madre diceva: «La fantasia esagera. È la pazza di casa. C'entra
molto l'amor proprio. Non fantasticate e sarete serene»; «La causa
della tristezza è la fantasia, il pensar troppo a sé»; «Per farsi santi occorre l'umiltà: non sogni di martirio, di missioni, di penitenze».'
251
Grandi sono i vantaggi che ritraggono dal lavoro assiduo coloro che
tendono alla perfezione religiosa. Parlando alle novizie, diceva la
Mantovani: «Sii contenta quando hai molto lavoro. Sarai poco tentata. Non c'è malinconia. Alla sera ti addormenterai subito e il demonio
non verrà a tentarti».'
Alle superiore raccomanda che, quando scrivono alla Casa Madre,
siano «brevi e succose» perché qualcuna «scrive lettere un po' troppo
lunghe!. .. ». E disapprovava quelle «suore che, per la loro fine superbia, non vorrebbero ricevere la benché minima osservazione;
brontolano, fanno lune potenti».' Altra
1. [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (ottobre 1922) p. I.
2. Ivi: 2 (gennaio 1923) p. 2.
3. Testimonianza di suor Salvata Tamellini, entrata nel 1908.
4. Dalle «Letture» della Madre, passim.
5. Ivi: 16 dicembre 1933, pp. 7-8.
6. Circolare del 27 dicembre 1920.
7. Circolare del 16 settembre 1921.
volta dichiara che «questo è agire a casaccio, senza riflessione. Da
brave, siate più positive»."
Tutte le suore, superiore e suddite, debbono «capire l'importanza
dell'obbedienza, della dipendenza, della vera ed umile sottomissione». Fanno perciò male quelle superiore che, «quando si tratta di traslocare da un posto all'altro» le suore, «mettono i pali fra le ruote. E
intanto che cosa succede? .. Scompiglio sopra scompiglio! E chi sta
alla testa dell'Istituto deve rompersi il cervello per accomodare le case»."
Gl'insegnamenti a volte erano impartiti con modi ancor più concreti
ed energici. Andando un giorno per la colazione, le novizie videro
pendere nel mezzo del refettorio una spazzola nuova, sospesa al soffitto con una cordicella. Moto di sorpresa di tutte! Più sorprese rimasero quando comparve la Madre che, tenendo nella mano una candela
accesa, dette fuoco alla spazzola. «Questa» disse «è la fine delle cose
caduche, quando non siamo pronte a rinunciarvi per il prossimo; e
così bruceremo anche noi nel purgatorio». Una novizia aveva rifiutato la spazzola ad una sorella, «per timore che gliela sciupasse».
252
La stessa fine fece un libro di devozione, «legato in pelle, prezioso e
profumato». Esso passava nelle mani di tutte durante le ore di adorazione, che nei primi tempi venivano fatte individualmente. Ma un
giorno «la posseditrice» si rifiutò di prestarlo ad una consorella. Dalla cappella il libro profumato passò nella sala capitolare, e «dovette
subire il rifiuto di tutte le presenti»."
La metodologia pedagogica della Madre ripete sovente quella del
Fondatore. Essa, per esempio, esorta le suore «a fare con straordinario fervore il mese di giugno», mettendo ci
8. Circolare del 6 novembre 1931.
9. Circolare del 19 dicembre 1921.
10. I due episodi sono ricordati da una testimone oculare, che desidera restare anonima.
«proprio tutta l'anima per passarlo bene». E allora «tutte le case mettano il solito cuore di pezza» nella cappella, «e ogni
suora vi punti uno spillo per ogni mancanza volontaria». «Alla fine
del mese» conclude la Madre «notificateci il totale degli spilli piantati nel Cuore di Gesù»."
Durante gli esercizi spirituali, le suore esercitanti erano solite scrivere il proprio nome su un piccolo cuore di carta: «per significare» diceva madre Maria «che ognuna offre il proprio cuore a Gesù, onde lo
infiammi del suo amore e lo tenga stretto al suo Sacratissimo!». Raccolti insieme, i nomi venivano poi messi ai piedi della Sacra Famiglia."
Pedagogia semplice e concreta, come ognun vede, ma appunto per
questo grandemente efficace. In particolar modo, su l'anima femminile.
La vivacità
Quello della Mantovani era un linguaggio popolare. Rispecchiava
l'ambiente ove la Madre era nata e trascorreva la sua vita. Espressioni
locali, proverbi del popolo, accenti e parole dialettali dovevano rendere il suo discorso vivace, colorito, saporoso. Lo si deduce anche
dagli scritti, che non presentano nessuna preoccupazione letteraria e
dove la punteggiatura trascurata rende ancor più manifesti i pensieri
e gli stati d'animo della scrittrice.
253
Alle suore raccomandava di «non andar troppo alla buona»; «attente,
attente: non siate di manica larga»; «in paradiso non ci si va in carrozza». A suor Fortunata Toniolo scrive: «È meglio lasciar correre le
cose e il pomo, quand'è maturo, cade da sé»." Altra volta commenta:
«Suor N. N. per far proponimenti è qualche cosa di meraviglioso, ha
delle
11. Circolare del 21 maggio 1915.
12. «Letture» della Madre, p. 17.
l3. Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta il 6 dicembre 1896.
bellissime parole; ma in quanto a mettere in pratica ciò che dice, non
vale un chiodo. Però potrebbe darsi che la barca cambi vela ... ».
Intrattenendo le esercitanti su la semplicità e la schiettezza, la Madre
biasima quelle suore che, con i loro raggiri e complicazioni, «sono
brave a cambiare le carte in mano»." «Pregate per me» scrive alle
suore di Calcinato (Brescia), «ma con preghiere fervorose, perché di
fredde non ne voglio».
Spesso gl'insegnamenti vengono illustrati con paragoni presi dalla
natura. Essi rivelano lo spirito di osservazione e l'indole meditativa
della Cofondatrice.
Il tralcio separato dalla vite è destinato a seccare. La rosa staccata
dallo stelo «avrà qualche minuto di pompa, ma presto avvizzisce e
muore». Così accade alle suore, se si allontanano dai superiori. Al
contrario, continua la Madre, «finché staremo unite e strette in un sol
vincolo ai reverendi superiori, non periremo mai; anzi godremo la
vera pace in questo mondo e la felicità eterna nell'altra vita»."
Quando vien meno l'acqua nel vaso, i fiori appassiscono e gli steli si
piegano verso terra. Con l'acqua, invece, gli steli riprendono vigore e
i fiori ritornano belli. Così avviene alle suore raccolte in ritiro. Per
rinfrancarsi nello spirito, debbono sentire sete e fame della parola di
Dio.
Le prove della vita religiosa costituivano un tema obbligato. Esse ci
sono veramente, e per tutte le persone che si consacrano al Signore.
Perciò la Cofondatrice ne parlava sovente, senza veli o falsi accomodamenti. Ne parlava soprattutto alle giovani entrate da poco in con254
vento alle quali suggeriva altresì i mezzi per vincere le battaglie dello
spirito. Diceva un giorno alle novizie:
14 Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta il 5 aprile 1898.
15 Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 16.
16 Lettera del 21 luglio 190 l.
17 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 46.
18 lui, p. 50.
Il cielo della vita religiosa non è sempre sereno. Preparatevi, perché
la lotta vi attende! Avete mai osservato il lago nelle giornate di calma? Il barcaiolo si tiene sempre pronto ad affrontare la burrasca, che
può scoppiare all'improvviso. Addestrato a remare, egli riesce facilmente ad approdare alla riva. Ma se rimanesse inoperoso, verrebbe
travolto dalla corrente. Così è di noi. La prova ci attende ovunque,
perché siamo le spose del Crocifisso. Dobbiamo stare sempre sull'attenti, affinché la navicella della nostra anima non venga travolta dalle
onde del male (tentazioni, prove esterne, difficoltà della vita comune). Troverete la forza per vincere nella preghiera fervorosa e nella
santa comunione, fatta ogni giorno con sempre rinnovato spirito di
fede. In qualunque pericolo, invocate Maria, la nostra Mamma celeste. Lei sarà la Stella che vi guiderà al porto sicuro, al paradiso,"
La «croce» fu l'argomento più trattato dalla Mantovani verso la fine
della sua carriera terrena. Ella stessa soffriva eroicamente in quegli
ultimi mesi. Infatti il capitolo generale del novembre 1933 arrecò
molte pene alla Cofondatrice. Ad una suora vocale che la ossequiava
prima di lasciare Castelletto, la Madre diceva:
«Vedi, N. N., quante cose succedono?.. Dimmi: quando tu
lavori in seta, adoperi sempre lo stesso colore?»
«No, Madre» rispose la suora «adopero tanti colori».
«Adoperi sempre il chiaro?»
«No, anche lo scuro».
«Ebbene» rispose la Madre «ricordati che, perché un lavoro riesca
bene, ci vuole sempre il chiaro e lo scuro. Così nella vita terrena: ci
sono giornate serene, ma anche giornate scure!. .. Tu capisci quello
che intendo dire»."
255
Quelle, per madre Maria Mantovani, erano «giornate buie». Dio stava purificando la sua fedele serva, prima di introdurla negli splendori
eterni.
19. Testimonianza di suor Alessia Feller.
20. Testimonianza di suor Gennara Chirico.
I superlativi
L'uso dei superlativi la Mantovani l'apprese dal Fondatore. Erano,
entrambi, due anime generose, risolute, fortemente impegnate verso
il bene. Le espressioni superlative vengono adoperate, anzi tutto, nei
propositi personali che toccano il culto di Dio e l'attività apostolica.
Poi i Fondatori ne fanno uso frequente nella corrispondenza epistolare, nelle circolari e nelle «letture» che tenevano alle suore riunite a
capitolo o durante gli esercizi.
Le preghiere in latino, per esempio, «si devono recitare
sempre correttissimamente»," Le suore chiamate a Castelletto per gli
esercizi, «devono intervenire vive o morte»," «Tale obbedienza è importantissima e delicatissima, e dovete farla» ordina la Madre «subito
subito», Dal passo che riportiamo il lettore si rende conto di quanto
stiamo rilevando. Esso riguarda il mese di marzo e la devozione a san
Giuseppe. Scrive la Cofondatrice:
Il reverendo Padre vi raccomanda di fare con straordinario fervore
questo mese di marzo, sacro al nostro potentissimo Protettore san
Giuseppe, specialmente con l'essere fervorosissime nelle preghiere,
molto umili e Piene di dolcezza, diligentissime nelle cose Piccole e
nell'osservanza dell'orario, in modo da poter presentare, alla fine del
mese, un bollettino bellissimo e specialissimo, differente da tutti gli
altri mesi. San Giuseppe non si lascerà vincere in generosità e vi otterrà da Gesù benedetto ogni sorta di grazie, specialmente una santa
morte quando sarà, e un paradiso distintissimo."
Tanto nella loro condotta personale che nel dirigere le figlie, il Fondatore e la Cofondatrice delle Piccole Suore della Sacra Famiglia non
conoscevano le indecisioni, le mezze
256
21. Circolare del 15 settembre 1914.
22. Circolare del 29 settembre 1914.
23. Circolare del 14 aprile 1919.
24. Circolare del 2 marzo 1915.
misure, i compromessi. L'indole paesana e la natura circostante hanno senza dubbio influito sulla loro personalità, ma più ancora la grazia. Essi infatti si misero incondizionatamente nelle mani di Dio, sino
dalla loro giovinezza, come strumenti docilissimi per l'attuazione dei
suoi disegni.
Le ripetizioni
Analoghe ai superlativi sono le ripetizioni. Anch'esse manifestano
una volontà concitata e decisa, ed impressionano, con particolare efficacia, chi legge o chi ascolta. Rivolgendosi alle suore infermiere
che curano i soldati feriti o assistono i malati a domicilio, madre Maria ordina di «non andare mai mai mai sole ... ma sempre sempre accompagnate»."
Quelle suore, superiore o suddite, che quando arriva «un ordine di
trasloco, si raccomandano al parroco o alla commissione perché le
trattengano»: «tutte costoro» dichiara la Madre «fanno male, male,
malissimo».
Il manuale delle preghiere in uso nell'Istituto è «un tesoro prezioso»;
pertanto la Cofondatrice esorta: «Passatelo, ripassatela, gustatelo,
mandatelo in sangue»," In alcune case però si prega «ancora in fretta
e quasi mai con voce unisona». «Male, malissimo» scrive la Madre,
«non lo facciamo più, Più. È volontà del carissimo Padre»."
«Sembrava il Padre continuato ... »
La singolare efficacia del magistero di madre Maria Mantovani è qui.
Durante il lungo generalato che la vide
25. Circolare del 10 gennaio 1916.
26. Circolare del 27 dicembre 1920.
27. Circolare del 15 settembre 1914.
28. Circolare del 25 agosto 1917.
257
madre e maestra della nascente Congregazione, la Cofondatrice ebbe
un intento unico, un solo ideale: essere «la voce del Padre», trasmettere fedelmente alle figlie gl'insegnamenti e le volontà del Padre. Il
buon esempio di tutti i giorni e la profonda vita di preghiera venivano a completare le doti della Maestra, più validamente della scienza
appresa dai libri o sui banchi della scuola.
Le parole della Mantovani erano semplici e disadorne, ma «penetravano sino al midollo dell'osso, e facevano tanto bene» perché «era
Dio che la ispirava»." «Venuto a mancare il Padre, la Madre teneva
"i capitoli". Erano così densi e forti. Sembrava il Padre continuato ...
»). «Le letture della cara Madre mi commovevano tanto»." «Nelle
esortazioni che faceva a noi novizie» scrive una di esse «si sentiva
ch'era vita vissuta, in particolare quando ci ricordava gl'insegnamenti
del venerato Padre Fondatore»." E un'altra dichiara: «Le esortazioni
dell'indimenticabile madre Maria hanno fatto breccia nel mio cuore e
sono state per me viatico sicuro nella mia vita religiosa»."
Come lo furono nel passato, così lo saranno nel futuro. Le
generose giovani che si consacreranno alla Sacra Famiglia nell'Istituto delle Piccole Suore, sorto a Castelletto sul Garda nel 1892, troveranno una guida sicura in madre Maria Mantovani dell'Immacolata.
La vita santa e gl'insegnamenti della Cofondatrice, che ripetono con
tono materno quelli del Fondatore, fanno di lei la maestra più autorevole della Congregazione.
Il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni non poteva desiderare
una collaboratrice, che abbracciasse tutti i suoi ideali, con più filiale
fedeltà e devozione.
29. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
30. Testimonianza di suor Onorina Tartaglia.
31. Testimonianza di suor Valeriana Huéller, entrata nel 1918.
32. Testimonianza di suor Teresia Biasiolo, entrata nel 1930.
33. Testimonianza di suor Alessia Feller.
258
259
PARTE QUINTA
FIGLIA SPIRITUALE DEL FONDATORE
260
261
«UN AIUTO SIMILE A LUI»
Tale fu madre Maria Mantovani per il servo di Dio mons. Giuseppe
Nascimbeni. Questo valido aiuto l'abbiamo riscontrato, quasi di continuo, nelle precedenti pagine. È giunto però il momento di illustrarlo
direttamente, nei suoi molteplici aspetti. La vita della Cofondatrice
delle suore di Castelletto non verrebbe in piena luce, qualora non
fosse studiata nei suoi rapporti con la vita e l'apostolato del Fondatore.
E una collaborazione generosa, costante, totale: la quale lega indissolubilmente l'esistenza della Mantovani all'opera sacerdotale del Nascimbeni. Alla base di questa collaborazione stanno lo spirito di fede,
la mutua stima, lo zelo operoso di entrambi i personaggi. I suoi frutti
esteriori sono l'appoggio incondizionato e la partecipazione attiva
della Figlia a tutte le iniziative del Padre. Anche da religiosa, ella
continua a collaborare nelle opere parrocchiali; ma principalmente
resta accanto al Fondatore, «fedele esecutrice delle sue volontà», nella formazione delle suore e nel governo della Congregazione.
La docilità e la fiducia inviolate della Confondatrice fioriscono in affettuosa assistenza, quando il Padre si ammala gravemente e s'avvia
verso il sepolcro. Ma la devozione filiale, avvolta di pudore e discrezione mentre il Padre era in vita, erompe, come torrente troppo impetuoso e troppo contenuto, allorché il Padre viene a mancare. I richiami continui agl'insegnamenti del Padre, l'esaltazione delle sue virtù,
l'artistica tomba fatta erigere nell'orto del convento, attestano quanto
viva ne rimanga tuttora la memoria nel cuore di madre Maria. Più
che del ricordo, ella vive «alla presenza del Padre». E questa invisibile protezione la stimola a bene operare, a soffrire nel silenzio, a guidare le suddite secondo le paterne direttive, affinché tutte siano trovate degne di ricongiungersi a lui che «le aspetta», lei e le figlie, nella serenità imperturbabile del paradiso.
262
CAPO PRIMO
DOCILE
Fin da quando la conobbe, don Giuseppe Nascimbeni nutrì grande
stima per Domenica Mantovani. I molteplici servigi che le chiedeva
per la chiesa, per i bambini e la gioventù femminile, per i malati e i
poveri del paese, attestano la fiducia che il parroco riponeva nella pia
giovane. Prima di portarla in convento assieme con altre aspiranti, il
Servo di Dio ebbe modo di conoscere profondamente la futura superiora, per circa quindici anni. Ne ammirava la docilità premurosa, la
costante dedizione, lo spirito d'iniziativa, l'inconfondibile contrassegno delle anime grandi, le quali parlano poco ed operano molto.
Ma la Mantovani, come abbiamo detto altrove, non aveva la patente
di maestra. Se il Fondatore esitò da principio a metterla a capo della
novella comunità religiosa, fu appunto perché la giovane non possedeva il diploma d'insegnante. Il Nascimbeni ci teneva a quel pezzo di
carta. Gli pareva che il titolo, impressionando gli uomini, agevolasse
le opere di Dio. I progetti falliti lo persuasero poi che, più dei titoli,
Dio predilige le virtù. All'insaputa di tutti, la Provvidenza conduceva
le cose per il loro verso: a capo della nuova Congregazione, che si
sarebbe moltiplicata con sorprendente rapidità, veniva posta una povera figlia dei campi. Le risorse e i calcoli umani cedevano il passo
all'umile sentire di sé, alla semplicità evangelica, alla bontà del cuore.
D'altra parte, anche il parroco di Castelletto stimava la virtù più della
scienza. Soltanto sperava di trovare unite, l'una e l'altra, nella stessa
persona.
La preoccupazione del Fondatore
Non è possibile descrivere quanta premura il reverendissimo Superiore mise nel formare lo spirito di quelle quattro suore che dovevano
essere le quattro colonne principali dell'Istituto, per togliere da loro
tutto ciò che sapeva di mondano, per abbattere l'amor proprio, e renderle tutte semplici, umili, mortificate. Quanto studio non pose perché quel piccolo drappello, che in breve si fece numerosissimo, resistesse agli urti di qualsiasi procella con sode e vere virtù. Quante volte non fu udito esclamare: - Non c'è via di mezzo, O sante, o dannate!
263
O tutte di Gesù, o niente di Gesù! Ed ora dolce, ora severo, sempre
fermo e costante, riprendeva, castigava, sì, ma sempre amando e facendosi amare con santo affetto di padre, di amico, di medico pietoso.'
Tra le quattro egli prediligeva la Mantovani. Da quando l'aveva eletta
superiora, s'adoperava ancor più per formarla secondo i suoi ideali. Il
Padre era ben lieto di riscontrare nella condotta della figlia le virtù
ch'egli stesso amava e desiderava venissero praticate dalle Piccole
Suore. Era persuaso infatti che il buono spirito della casa dipendesse,
in gran parte, dalla santità di chi la presiedeva. Parlerà spesso in tal
senso alle superiore convenute a Castelletto per gli esercizi, raccomandando di guidare le suddite più con la vita virtuosa che con i lunghi discorsi. E prima ancora volle che la Confondatrice edificasse
tutte, suddite e superiore, con i suoi esempi. «Sta quieta» le scriveva
da Brescia, alcuni mesi dopo la fondazione dell'Istituto: «prego per
tutti, e pregherò specialmente per te perché la santità tua è la santità
di tutte. Questo è certissimo»."
Il Fondatore era dunque preoccupato perché la Madre Generale desse
il buon esempio a tutte le suddite. Da valente maestro di spirito, egli
ricorse a tutti i mezzi, spesso austeri, quasi violenti, per temprare la
Madre nell'esercizio di quelle virtù che voleva risplendessero nelle
figlie. Madre Maria si piegava con dolcezza e con serenità, senza
turbarsi, senza
1. Memorie del nostro Istituto, c. 6, pp. 10-11
2. Lettera del Fondatore alla Cofondatrice, del 18 aprile 1893.
impermalirsi; e ciò confortava sommamente il Servo di Dio che per
tutta la vita combatté contro l'amor proprio, in sé e negli altri. Quando la Cofondatrice era presente, la mortificava con asprezza davanti a
tutte le suore; partita, ne elogi va la virtù. Un giorno ebbe a dire: «Figlie mie, conoscerete la Madre dopo la sua morte».'
Paterna benevolenza
Desideriamo riportare una delle poche lettere, che il Fondatore scrisse alla sua fedele Collaboratrice. Risale al settembre del 1915, e fu
inviata alla Madre che si trovava in giro nelle filiali, in occasione del264
la sua festa onomastica. Lo scritto rivela la stima, la fiducia ed il gran
bene che il Padre nutre per la sua primogenita. I santi son fatti così.
Quando vogliono condurre un'anima alla perfezione, si dimostrano
esigenti, quasi duri; ma sotto sotto hanno un gran cuore, che ammira
la virtù ed ama intensamente il virtuoso.
Carissima mille milioni di volte
n. S. F. n. D. S. e s. C. S:
Ieri tuo giorno di onomastico ho presentato al mio e tuo caro Gesù
col cuore nelle mani, preghiere, auguri, voti per l'anima tua e per il
tuo corpo. Queste preghiere le ho rinnovate stamattina e le continuerò tutto il giorno perché il Signore, per amore della Sacra Famiglia, ti
conceda tutte le consolazioni per lunghi anni nella vita presente e per
tutta l'eternità nel paradiso, in mezzo ad uno stuolo immenso delle
tue carissime figlie.
Ama ogni giorno più il Signore, facendolo amare sempre più da tutte
le tue con sorelle dilettissime. E questo otterrai senza fallo, se tu sarai
sempre la prima a precederle nel buon esempio in tutto e per tutto,
nella dipendenza dai tuoi superiori e dall'assistente e dalla vicaria. La
Sacra Famiglia ti desidera ancor più perfetta. Unisco alla presente
mille milioni di specialissime benedizioni. La messa
3. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 38.
4. «Nella Sacra Famiglia, nel Divin Sacramento e sul Camposanto».
non te l'ho potuta dire perché l'ho sempre impegnata, ma te la farò
celebrare per mezzo di suor M. E tu prega per me, perché solamente
adesso comincio un poco a capire quanto abbia offeso, quanto male
abbia servito il Signore, quanto sia stato di scandalo a tutti. Ottienimi
la grazia con le tue continue fervorose orazioni, che almeno mi salvi.
Mille grazie di tale carità. A tale scopo, fa pregare anche tutte le tue
figlie.
Di nuovo, mille e mille benedizioni.
Tuo indegno padre
Nascimbeni Don Giuseppe
265
Da Casa Madre, 13 settembre 1915.
«Le obbedienze del carissimo Padre»
La vita di Madre Maria fu animata da un grande ideale: obbedire perfettamente al servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni. La docilità
al Padre impegnò lo sforzo ascetico dei primi anni, poi divenne la
passione dominante. I «propositi» della Madre vi insistono a più riprese; anzi, nessuna pratica, nessuna virtù è più desiderata e coltivata
quanto la perfetta sottomissione a tutti i voleri del Padre.
Fin da quando era nel mondo la Mantovani obbediva al parroco; provava grande trasporto nell'appoggiare le direttive del parroco, nell'eseguire gli ordini del parroco. Per obbedienza rimase a Castelletto,
anche quando sentiva la vocazione alla vita di convento. Avrebbe potuto lasciare il paese e seguire il suo ideale allorché il parroco non
riusciva ad avere le suore in parrocchia. Aspettò, pazientò, si tenne a
disposizione del futuro fondatore. L'obbedienza la portò a Verona
con le altre compagne, presso le Terziarie Francescane; l'obbedienza
l'indusse ad accettare l'incarico di superiora, quando la mancanza di
mezzi e le incertezze dei primi passi moltiplicavano le preoccupazioni di chi era a capo. Per tutta la vita madre Maria obbedì al Fondatore. Fino dai primi anni s'era proposta «di osservare sempre scrupolosamente tutti gli ordini del mio Superiore, e di uniformare in tutto e
sempre il mio giudizio al SUO». A questo programma non venne mai
meno.
L'obbedienza della Cofondatrice fu «perfetta». All'esterno ebbe come
note dominanti la puntualità e l'esattezza. "Si estendeva a tutte le azioni della giornata, che il Padre doveva conoscere e benedire;' nessuna azione veniva fatta senza dipendere in tutto e per tutto da lui."
Le sue «obbedienze» erano preferite ad ogni altra iniziativa;" e dovevano essere eseguite in giornata, «a tempo e luogo»."
Questa perfetta docilità al Fondatore impegnava tutta la personalità
di madre Maria: i suoi pensieri, la sua volontà, il suo tempo, le sue
forze. Voleva che ci fosse una perfetta armonia tra i voleri del Padre
e la propria condotta, e verso questo obiettivo dirigeva costantemente
i suoi sforzi.
266
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di stare sopra me stessa
per non dire né fare cosa che non sia secondo il gusto o la volontà del
mio Padre Superiore.
Per arrivare a questa totale sottomissione di spirito ci volle del tempo
e fu necessario ingaggiare una dura battaglia. Madre Maria vigilò a
lungo su se stessa, per non assecondare
5. Proponimenti dell'anno 1895: prop. 2.
6. «Obbedirò prontamente ad ogni ordine del mio Superiore»: Proponimenti di incerta data: prop. 4; «Voglio fare con puntualità ed esattezza tutte le obbedienze del mio carissimo Padre»: aprile 1912
(Propositi, I, p. 23); «Prometto, o mio Gesù, con l'aiuto vostro di eseguire esattamente e puntualmente tutte le obbedienze del mio carissimo Padre»: 10 gennaio 1918 (ivi, II, p. 15); ecc.
7. «Sarò puntuale nell'eseguire i suoi ordini e tutte le mie azioni della
giornata voglio siano vistate e benedette dal mio Padre Superiore
giorno per giorno»: Proponimenti degli esercizi dell'ottobre 1917:
prop. 2 (ivi, p. 5).
8. «Prometto con l'aiuto della Sacra Famiglia di non fare nessuna cosa senza dipendere dal mio carissimo Padre S periore, e su ciò mi esaminerò ogni giorno»: 15 ottobre 1914 (ivi, I, p. 41).
9. «Per dar gusto a Dio e come apparecchio alla morte, prometto di
fare ogni mia azione bene, con esattezza e puntualità, e preferire le
obbedienze del mio carissimo Padre Superiore ad ogni altra azione»:
luglio 1916 (ivi, p.53).
10. «Prometto al mio Dio di fare esattamente ogni mia azione a tempo e luogo, e di fare in giornata tutte le obbedienze del mio carissimo
Padre Superiore»: 3 dicembre 1914 (ivi, p. 42). 11. Marzo 1913 (ivi,
p. 29).
la propria volontà, ma ricondurla al programma di tutti giorni, di tutta
la vita.
Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata, prometto di combattere continuamente la mia volontà e fare in tutto la volontà del mio carissimo Padre Superiore."
Che la mia volontà sia incatenata con quella del mio Padre Superiore;
e se il demonio cercherà di farmi vedere cose differenti, tosto lo
267
scaccerò assoggettando immediatamente il mio giudizio a quello del
mio Padre Superiore,"
«Ho sempre preso le sue parole come vangelo»
La Mantovani era troppo umile per ritenere che Dio avesse mandato
a Castelletto il santo sacerdote don Giuseppe Nascimbeni, principalmente per santificare lei, la primogenita della Congregazione. Era
tuttavia persuasa che, per raggiungere la perfezione religiosa, doveva
dipendere in tutto dal Padre. Quanto più perfetta era tale sottomissione, tanto più avrebbe giovato all'Istituto del Padre, del quale ella era,
per volere di Dio, la Madre. Questa persuasione crebbe col tempo e
con l'esperienza. La discepola si sentiva sempre più sicura nel seguire
le direttive del Maestro; la figlia provava tanta dolcezza nell'assecondare i voleri del Padre.
Al Padre la Cofondatrice diceva tutto. A meno che non si trattasse
dei lievi mancamenti delle suore, a rimediare i quali bastava la correzione materna; in questi casi l'amore della madre vinceva su quello
della figlia. Ed ancora verso la fine, quando il Fondatore era infermo
e tribolato, la Superiora gli
12. Giugno 1916 (ivi, p. 52). «Confermo uno dei propositi dei santi
esercizi, di vegliare cioè sopra me stessa per non cadere neppure involontariamente nel fare la mia volontà, ma spezzarla, schiacciarla
immediatamente»; aprile 1915 (ivi, p. 45).
13. Proponimenti degli esercizi dell'ottobre 1917: prop. I (ivi, II, p.
4).
nascondeva quelle cose che l'avrebbero preoccupato inutilmente. Ciò
che maggiormente stava a cuore a madre Maria era l'apertura della
propria coscienza. Al Padre manifestava tutto: con fede, con umiltà,
con semplicità. Gli diceva le mancanze della giornata, perché le sapesse, le perdonasse, e indicasse a lei il rimedio. Aprirsi col Padre era
come confessarsi con Dio; era un mezzo efficacissimo per mantenere
l'interiore purezza.
Prometto di fare ogni mia azione con la massima diligenza; e ogni
giorno manifesterò al mio reverendo Padre tutte le imperfezioni giornaliere che mi è dato conoscere, per conservarmi sempre nella purità
268
di coscienza, perché Gesù abbia a prendersi dimora stabile nel mio
cuore e vivere sempre unita con Gesù."
La mondezza del cuore e l'unione con Gesù crescono nella misura in
cui la figlia si apre col Padre suo. È una esperienza stupenda, che le
dilata l'anima ed accresce la fiducia verso il Fondatore della Congregazione cui ella appartiene. La figlia si sente al suo posto nella casa
del Signore, e cresce come pianticella rigogliosa all'ombra della santità del Padre. Su l'autorità di lui riposa tranquilla, certa di andare a
Dio per la via più breve e più sicura.
Più tardi, dopo la morte del Servo di Dio, madre Maria rivelerà alle
suore l'immensa fiducia che in lui riponeva. Dirà più volte: «Ho
sempre preso le sue parole come vangelo»."
14. Agosto 1909 (ivi, I, p. 8).
15. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
CAPO SECONDO
INFATICABILE
La devozione della Mantovani per il servo di Dio don Nascimbeni fu
costante ed operosa. Internamente si esprimeva nell'aderire alle volontà di lui, ritenute come volontà di Dio; all'esterno si manifestava
nell'appoggiarne con zelo le molteplici iniziative di parroco e di fondatore.
«La parrocchia del Padre»
Anche da religiosa la Mantovani continuò a prendersi cura della
chiesa parrocchiale. Scopava regolarmente il pavimento, curava la
biancheria degli altari e della sagrestia, provvedeva i fiori freschi davanti al Santissimo e alla Madonna, allestiva addobbi, confezionava
camici e cotte: «tutto come quando era secolare». Le davano aiuto le
buone consorelle, che ella iniziava alle diverse attività.
Madre Maria assisteva le madri cristiane. Procurava che intervenissero tutte alle adunanze e si interessava delle loro figliole. Se qualcuna
di costoro non si comportava bene!. subito la superiora avvisava la
mamma e suggeriva gli argomenti più convincenti per indurre alla
riflessione la spensierata. Vegliava su gli oratori e su tutte le numero269
se confraternite, e prestava la sua collaborazione per il loro incremento.
Insegnava inoltre il catechismo ai bimbi e alle ragazze. Fin da giovane s'era dedicata a quest'attività e continuò per molti
1. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, p. 18.
anni anche da suora, sino a quando glielo consentirono i suoi impegni di superiora generale. L'esperienza acquisita col tempo, l'innata
bontà, la prudenza che sapeva ottenere la disciplina alternandola con
festose ricreazioni cui la Madre prendeva parte con simpatia, la fede
viva e il linguaggio concreto resero la Mantovani sommamente efficace in questo genere di apostolato. A ragione quindi viene celebrata
nella Congregazione come la «prima insegnante di catechismo dell'Istituto.
Madre Maria amava la parrocchia di Castelletto. Era la sua parrocchia, la parrocchia dei parenti e delle persone conosciute e amate sino dalla fanciullezza. Ma soprattutto Castelletto era «la parrocchia
del Padre». Nei proponimenti della primavera 1909 la Cofondatrice
prometteva:
Pregherò, soffrirò, lavorerò per il bene della parrocchia; e pervenire
alla pratica eseguirò con prontezza ciò che mi consiglierà di fare il
mio reverendo carissimo Padre, sia per la comunione quotidiana, sia
per l'istruzione, sia per l'ordine in chiesa, sia per l'oratorio, ecc?
Dove poteva arrivare direttamente, madre Mantovani si prestava con
generosità. Quando poi le gravi obbligazioni la trattenevano in convento a dirigere la cresciuta Congregazione, mandava le suore; ma
sino alla morte si interessò della parrocchia.
Per la chiesa nuova
Nei primi anni del suo ministero parrocchiale don Nascimbeni restaurò ed abbellì la vecchia chiesa cadente, che mons. Bartolomeo
Bacilieri consacrò il 15 settembre del 1890.
2. Come tale fu commemorata durante il convegno delle suore addette all'ipsegnamento della dottrina cristiana, tenuto a Castelletto dal 5
al 12 luglio del 1~59.
3. Propositi, I, pp. 2-3.
270
All'inizio del secolo il tempio non era più capace di accogliere la popolazione aumentata. «Scartato il vieto uso dell'ampliamento»,' il
parroco pensò all'erezione di una nuova chiesa. Il 19 novembre 1905
fu posta la prima pietra e il 9 maggio 1908 venne consacrata dallo
stesso Bacilieri, eletto cardinale e successore del Canossa.'
Due anni e mezzo bastarono per edificare la nuova casa al Signore,
che il parroco non conosceva indugi: lavorava instancabile e sollecitava i costruttori. L'intera popolazione collaborò, prestando gratuitamente mano d'opera. Concorsero anche le Piccole Suore, che lavoravano con le loro mani dove potevano arrivare senza venir meno al
decoro; e soprattutto contribuirono a coprire le spese. Il Padre le
«tassò». La Casa Madre, le filiali, le singole suore dovevano versare
mensilmente una quota fissata dal Fondatore. La contribuzione fu
generosa e si protrasse per oltre un decennio, sino al giorno 6 dicembre 1918, nel quale il diario dell'Istituto scrive:
Grande festa interna nell'Istituto per la chiusura del sacchetto di S.
Giuseppe; sono cioè pagati tutti i debiti contratti per la erezione della
chiesa parrocchiale di Castelletto ...
Identica collaborazione veniva offerta per tutte le opere ideate dal
Fondatore. La Madre Generale dava il buon esempio, come sempre, e
spronava le suddite. «Com'era felice quando le si consegnava qualche somma, anche se piccola, per il sacchetto di S. Giuseppe! ... Non
pensava a sé, ma tutto faceva servire per le sante iniziative del venerato Fondatore».
Era pure industriosa nel suggerire alle suore provvide
4. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 111.
5. Della nuova chiesa e sulla festa della consacrazione dànno ampie
notizie il
volume di don Trecca, pp. 111-118, e il numero unico del Nazareth
che uscì per la
circostanza: Castelletto sul Garda oggi in gran festa per l'inaugurazione della nuova chiesa
parrocchiale [9 maggio 1908]; pp. 4.
271
6. Diario giornaliero: dal 2 settembre 1918 al 21 gennaio 1922, p. 12.
7. Testimonianza di suor Borromea Coltro.
iniziative, i cui incassi venivano versati nel famoso sacchetto. Lavori
femminili compiuti in ore sottratte al sonno, tombole, pesche, commedie ... tutto era sapientemente organizzato per finanziare i lavori
che venivano eseguiti a Castelletto. Sospinte dagli esempi e dalle parole della Madre, le figlie facevano prosperare le opere del Padre.
Le giovani
I due generi di apostolato più consoni alle attitudini della Cofondatrice erano l'educazione cristiana dei bambini e l'assistenza alle giovani.
Dopo la morte della maestra Gaioni, la gioventù femminile di Castelletto gravitava attorno alla Mantovani; in seguito poi, l'abito religioso
e la carica di superiora accrebbero l'ascendente della Madre. «Madre» infatti era ritenuta da tutte le giovani del paese, che andavano ad
aprirsi da lei con fiduciosa libertà, certe d'essere comprese e ben appoggiate.
L'irradiazione apostolica di madre Maria sulla gioventù femminile
andò oltre i confini della parrocchia. Da quando il convento fu ampliato e v'erano locali disponibili per ospitare persone laiche, il Fondatore pensò alle ragazze che desideravano trascorrere alcuni giorni
in santo raccoglimento. Fin dal 1907 il Nazareth si rivolgeva «alle
giovani di buona volontà»:
Volete passare un po' di giorni nella pace, nella quiete, nella contentezza? Fate un piccolo sacrificio: coi vostri tenui risparmi, venite a
fare il santo ritiro a Castelletto ... Qui troverete buone suore che vi
usano ogni riguardo ed ogni delicatezza, qui la cara e soave cappellina ove proverete le emozioni della fede, qui la calda parola del sacro
predicatore, qui il conforto della coscienza che è il conforto di Dio.
Con particolare istanza venivano chiamate le «giovani fortunate», le
quali sentivano «da tempo una voce interna» che
8. Nazareth, 2 (luglio 1907) p. 4.
le sospingeva «a lasciare il mondo per essere spose di Gesù nel chiostro». Partecipando «ai santi esercizi», esse avrebbero acquistato «la
272
forza necessaria per distaccarsi generosamente da tutto e da tutti» e
«per volare il più presto al dolce nido», «centro dell'unica vera pace e
felicità»."
Ma poi «tutte, tutte» erano esortate a intervenire. A Castelletto «il
soggiorno in riva al lago è deliziosissimo, l'aria più che salubre».'?
Soprattutto le esercitanti avrebbero trovato «la cappella ingrandita e
trasformata», «un bravissimo predicatore», il Padre e la Madre che in
quei giorni si sarebbero tenuti a disposizione delle loro anime. «Che
volete di più?» perorava il Nazareth. «Venite dunque in tante, in tantissime; la Sacra Famiglia vi ricolmerà di grazia, vi renderà sempre
più buone e più sante»."
Tali erano appunto le intenzioni del Fondatore e della Cofondatrice,
allorché convocavano le giovani della riviera per gli esercizi spirituali. E quando le ospiti erano in convento, aveva inizio il lavoro del
Padre e della Madre. Ciascuno si dava a modo suo e secondo la propria vocazione, ma per i medesimi intenti: preservare dalle insidie
quelle giovani anime, ricche di promesse, educarle alla pietà e alle
virtù cristiane.
Gli esercizi chiusi per signorine si tennero anche dopo la morte del
Fondatore. La Madre esortava alla collaborazione le suore delle filiali. Esse ne dovevano parlare nei paesi ove lavoravano, dovevano
mandare a Castelletto quelle giovani che intendevano «approfittare di
sì straordinaria grazia». Il venerato Padre, «cui tanto stavano a cuore
gli esercizi delle secolari», dal cielo avrebbe benedetto quella «santa
cooperazione» e le suore si sarebbero arricchite «di grandi meriti per
la vita eterna»."
9. Nazareth, 5 (giugno 1910) p. 4.
10. Ivi.
11. Ivi, 9 (luglio 1914) p. 8.
12. [MADRE MARIA], La voce del Padre, I (maggio 1922) p. 4.
Prima che l'azione cattolica e gli istituti secolari di vita consacrata
dessero inizio ai corsi d'esercizi spirituali per laici, le Piccole Suore
di Castelletto li tenevano da tempo. Animate dai Fondatori, avevano
273
messo a disposizione delle giovani la loro cappella, il convento di
Casa Madre, il loro tempo e la loro amorosa assistenza.
La gioventù femminile di A. C.
Per far fronte ai bisogni degli ultimi tempi, nei quali il male si organizza contro Dio e contro la Chiesa con programmi ben precisi di
scristianizzazione, la Provvidenza ha suscitato l'azione cattolica. Essa
chiama a raccolta le migliori energie del laicato, le costituisce in movimenti parrocchiali e diocesani, nazionali e internazionali, arruolandole a fianco della gerarchia ecclesiastica. All'opera demolitrice dei
nemici di Dio l'azione cattolica contrappone l'istaurazione del regno
di Cristo nella famiglia, nella società, nel mondo.
Ultima in ordine di tempo, ma ricca di entusiasmi e di generosità, è
sorta in Italia la sezione della gioventù femminile di azione cattolica.
Dalle sue file sono uscite migliaia di mamme cristiane, che sono più
aperte ai problemi di oggi e meglio disposte a collaborare col sacerdote per cristianizzare la famiglia e la società. In seno alla gioventù
femminile di A. C. sono inoltre maturati quei movimenti di vita consacrata che, oltre ad offrire preziosissime forze a servizio della Chiesa, ne testimoniano la perenne giovinezza. L'ideale della verginità,
coscientemente vissuto in mezzo al mondo, è un lievito potentissimo
che affascina e trasforma.
Prima che la gioventù italiana fosse chiamata a prendere il suo posto
nell'esercito dell'azione cattolica, era per lo più iscritta a movimenti
mariani. Le migliori parrocchie da tempo avevano introdotto l'istituzione delle Figlie di Maria. A questa appartennero, come abbiamo
visto, le prime sei Piccole Suore della Sacra Famiglia.
La Mantovani era spiritualmente cresciuta tra le Figlie di Maria; e se
da suora divenne la confidente delle giovani di Castelletto, lo era in
particolar modo per le iscritte alla pia associazione. Ne conosceva i
problemi, ne apprezzava i generosi slanci, valutava il loro apporto alla causa di Cristo e della Chiesa. Quando i romani pontefici chiamarono a raccolta la gioventù femminile e l'inserirono nel grande movimento dell'azione cattolica italiana, la Cofondatrice fu pronta ad
274
accogliere gli augusti appelli e in tal senso orientò le suore che lavoravano nelle parrocchie.
Essa, d'altronde, «sentiva con la Chiesa». Nonostante che Castelletto
fosse alquanto fuori mano, quasi chiuso nelle Sue secolari tradizioni,
madre Maria era aperta alle iniziative che venivano dall'alto e sapeva
tempestivamente aggiornarsi. Quando, per esempio, venne consigliata una partecipazione più liturgica alla santa messa, la Madre pregò il
parroco di Cassone perché tenesse alle suore alcune istruzioni sui
pregi e sull'uso del messalino."
La Mantovani fu dunque sollecita nel chiedere alle suore un fattivo
interessamento per la gioventù femminile di A. C. A questo apostolato esse dovevano dedicarsi «con amore, con zelo e con spirito di sacrificio», "collaborando cordialmente con i parroci locali, seguendo
in tutto le direttive della gerarchia. La Madre parlava dell'A. C. nelle
«letture» che teneva durante gli esercizi spirituali. E perché tutte le
suore fossero interessate sull'importante problema, lo trattò per iscritto a più riprese su La voce del Padre,"
13. Testimonianza di suor Adina Petroselli.
14. [MADRE MARIA], La voce del Padre, 7 (marzo 1929) p. 2.
15. Vedansi i numeri dell'anno 1928.
«Dell'orfano tu sei l'aiuto»
Lo è Iddio (Salmo 10, 14), e lo sono anche le anime di Dio. Lo furono il Fondatore e la Confondatrice delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia. Nato nel secolo di S. Giuseppe Cottolengo e di S. Giovanni
Bosco, l'Istituto non poteva ignorare questa opera altamente meritoria, memore dell'avvertimento di Gesù: «Chi riceve un fanciullo come questo in nome mio, riceve me» (Matteo 18, 5). Fin dai primi an275
ni il Padre e la Madre s'occuparono degli orfani, affidandoli alle cure
delle figlie.
La guerra li moltiplicò. Ad accoglierli s'aprirono le porte delle filiali
di Isola Vicentina, Castelletto," Torri, Toscolano, Desenzano, Verona, Arcole, S. Martino Buon Albergo, Paratico, Adro, Calcinato,
Trento. Per essi: per provvedere loro l'alloggio, il pane, i vestiti e una
sana educazione, il Padre, la Madre e le suore si prodigarono senza
risparmio.
Nel marzo del 1918 furono aperti contemporaneamente tre orfanotrofi, un quarto ai primi del maggio successivo. A Verona vennero ospitate 25 fanciulle, a Toscolano sul Garda 19 bambini, 6 orfanelle a
Torri del Benàco, paese natìo del Padre, e 25 a Desenzano. Nell'appello che la Madre Generale indirizzò ai benefattori e lettori del Narareth, si diceva:
L'opera eminentemente cristiana e santa è voluta dall'ora triste e dolorosissima che attraversiamo; e le miserie e i gemiti di tanti poveri
orfanelli non potevano non intenerire il sensibilissimo cuore del nostro reverendissimo Padre, che si consuma dal desiderio di lenire le
sofferenze della povera società, specie della gioventù Più abbandonata. Il
Le fanciulle di Verona presero nome «le orfanelle del
16. Abbiamo già parlato delle 25 orfanelle, accolte presso la Casa
Madre, in
occasione del 25° anniversario della fondazione; vedi sopra, pp. 123127.
17. MADRE MARIA, Appello a tutti i nostri benefattori, abbonati e
lettori. Venne diffuso
nel marzo del 1918.
suffragio» sotto la protezione di S. Giuseppe; a Toscolano i 19 orfani
furon detti «gli artigianelli di S. Giuseppe»; le 6 di Torri si chiamarono «le orfanelle della Sacra Famiglia», quelle di Desenzano furono
messe sotto la protezione del Santo Crocifisso e della Vergine Addolorata.
Né deve meravigliare il numero limitato, a confronto dei grandi orfanotrofi dei nostri giorni. A soccorrere i ricoverati provvedevano sol276
tanto il Padre, la Madre, le suore e la sollecitata «carità» dei buoni.
Tutta la Congregazione si prendeva cura di loro. La Madre animava
le suore. Le filiali contribuivano mandando generi alimentari, corredi, abiti vecchi che le mani delle suore rimettevano a nuovo e adattavano ai piccoli, ed alcune case s'impegnarono a mantenere un orfano.
Finché il Padre fu in forze, andava di persona a visitare gli innocenti.
Quando la paralisi lo fermò, pensarono le figlie a portarglieli più volte: da Verona, da Toscolano, da Desenzano, da Torri. «Nella varietà
delle uniformi», i piccoli venivano a Castelletto e subito fraternizzavano fra loro; sembravano greggi di agnelli festosi e saltellanti, guidati dalle loro madri. Al vederli il venerando Infermo si commoveva
sino alle lacrime. Li guardava a lungo, li benediceva. Attorniato da
tutta quella innocenza, gli pareva di ringiovanire. Era una festa di
famiglia; della grande famiglia spirituale del Padre, moltiplicata con
la collaborazione della Madre e delle figlie.
Altre iniziative del Padre
Tutte le iniziative del Servo di Dio trovavano nella Mantovani una
collaboratrice ed una propagandista fervente. Con la devota cooperazione della Madre e delle suore, don Nascimbeni poté rianimare le
istituzioni già esistenti a Castelletto e dar vita a molte altre. Su un
cartoncino, rimasto appeso per più anni nella sagrestia, vengono elencate le «confraternite che esistono in questa parrocchia», e sono:
la confraternita del Santo Rosario, delle Figlie di Maria, della B.
Vergine assunta in cielo, del Suffragio delle anime sante del purgatorio, dell'Immacolato Cuore di Maria e Medaglia miracolosa, del
Terz'ordine di S. Francesco, della Madonna della Cintura, del S.
Cuore di Gesù, della SS. Trinità, del Preziosissimo Sangue, del Cingolo di S. Tommaso, del Cingolo di S. Giuseppe, della Sacra Famiglia, dell'Immacolata di Lourdes.
V'erano inoltre i Paggi che, nella caratteristica uniforme, costituivano
la guardia d'onore del Santissimo; mentre la compagnia di S. Luigi
raccoglieva i giovani ed era particolarmente cara al parroco. Essa infatti preparava i fidanza ti, i mariti, i padri di domani; alla stessa maniera che la congregazione delle Figlie di Maria formava le fidanzate,
le spose, le madri della prossima generazione.
277
Il carattere permanente di queste istituzioni esigeva una collaborazione altrettanto assidua da parte della Madre e delle suore. Altre iniziative invece avevano una durata più breve. Durante la guerra, per
esempio, il Fondatore fece stampare dalla tipografia interna dell'Istituto «un bellissimo libretto di preghiere per soldati». «In compendio
c'è tutto» diceva madre Maria; e pertanto esortava le suore: «Zelatene
la diffusione più che potete in mezzo ai buoni soldati dei vostri paesi,
e gioverete tanto alle loro anime»."
La Mantovani faceva pregare spesso per «la parrocchia del
Padre». Principalmente quando egli era impegnato in speciali corsi di
predicazione, urgeva allora sollecitare la grazia di Dio affinché l'iniziativa pastorale avesse buon esito. Nell'inverno del 1916 il Servo di
Dio tenne un corso di esercizi per gli uomini della parrocchia. La
guerra in pieno svolgimento invitava di per sé alla riflessione e al ritorno a Dio; era dunque bene approfittarne. Com'era solita fare in simili circostanze, la Madre avvertì per tempo le suore, invitandole a
pregare fervorosamente in unione ai ricoverati, alle orfanelle, ai
18 Circolare del IO gennaio 1916.
bambini di asilo, alle ragazze che assistevano; e per impegnarle maggiormente, concludeva: «Il Padre... confida assai nelle vostre preghiere»."
Il multiforme zelo del Nascimbeni lo teneva attento a tutte le opere
che fiorivano in seno alla Chiesa. Appena ne veniva a conoscenza,
con la sua abituale immediatezza dava la sua adesione. Con identica
risolutezza madre Maria seguiva gli esempi del Fondatore, ed era sollecita di trasmetterne i desideri alle suore perché facessero altrettanto.
È volontà del nostro reverendo Padre, che ogni giorno Più si consuma di carità per Dio e per le anime, che ogni suora si iscriva subito
nella bellissima Opera della santa Infanzia."
Al vivo interessamento tien dietro la compiacenza. Quando le iniziative del Padre sono coronate da successo, madre Maria gioisce e partecipa la sua gioia alle figlie. Tutto quello che fa il Fondatore le appartiene come un bene proprio; appartiene anche a tutte le figlie, le
278
quali, assieme con la Madre, debbono esserne orgogliose e rallegrarsi.
Il reverendissimo Padre ha provveduto la parrocchia di sette bellissime statue: S. Cuore di Gesù, la Madonna del Rosario, S. Vincenzo
Ferreri, S. Antonio di Padova, queste tutte grandi; e poi S. Gioacchino, S. Anna, S. Gaetano Più piccole, ma tutte stupende e in perfètta
armonia con lo stile della chiesa che ora pare un paradiso. Quando
verrete alla Casa Madre, ne resterete meravigliate:"
19. Ivi …
20. Circolare del 15 giugno 1918.
21. Circolare del 15 settembre 1914.
L'Istituto
Per promuovere le molteplici opere del Padre, la Mantovani dava
qualcosa di sé: del suo tempo, delle sue preghiere, delle sue energie.
A favore dell'Istituto che il Nascimbeni aveva fondato servendosi in
particolar modo di lei, la Madre impegnava se stessa, dava tutta la
propria vita. L'aveva già offerta a Dio per la Congregazione, quando
questa era ancora in fasce.
Signore, aiutatemi a farmi santa perché non voglio che questa santa
istituzione che al mio caro Padre costò e costa sudori e fatiche, per
causa mia, abbia a perire; che se per la perpetuità della medesima volete il sacrificio della vita, eccomi pronta a farvelo in quella maniera
e quando Voi volete.
Dio la risparmiò; e la lasciò ancora a lungo su la terra, a lavorare al
fianco del Servo di Dio per gli stessi ideali. Se la Cofondatrice fosse
morta allora, il suo dono avrebbe suscitato ammirazione, ma sarebbe
stato anche più facile. Vissuto giorno per giorno, per più di quarant'anni, il sacrificio è stato più eroico e più fruttuoso.
Si tratta, in verità, di sacrificio. La penuria dei mezzi materiali, le incertezze dei primi tempi, le dicerie delle persone oziose o troppo zelanti, le persecuzioni dei malevoli... la Superiora aveva molte pene da
mettere sull'altare quando al mattino partecipava al santo sacrificio.
Quante difficoltà si dovettero superare! La Madre trovava il suo sostegno nel Fondatore. Il Fondatore, seguendo da vicino la condotta
279
della primogenita, si sentiva consolato per tutte le amarezze che gli
avvenimenti e gli uomini gli procuravano. Nella Cofondatrice egli
aveva la certezza della riuscita.
22. Proponimenti d'incerta data: prop. 2.
Inculca l'amore all'Istituto
L'istituzione del Padre doveva stare a cuore a tutte le figlie. La Madre
lo dice spesso: in pubblico, nei colloqui privati, nelle circolari, durante gli esercizi. È uno dei temi preferiti e più frequentemente trattati.
Verso la fine di quasi tutte le circolari, le suore sono invitate a pregare per il Padre ed anche per la Madre. Se bramano rendere contenti i
Fondatori, siano «veramente tutte ripiene di amor di Dio», «esattissime nell'osservanza della santa Regola», fedeli nella pratica della
fraterna dilezione."
Principalmente le superiore vengono esortate ad amare la Congregazione. Esse ne sono «le colonne»; pertanto debbono tenerne «alta la
bandiera». Occorre «star bene attaccate al tronco dell'Istituto», edificando con l'esempio le suddite. Non basta «che l'albero produca tanti
rami e foglie e fiori», ci vogliono i «frutti»: ossia «buon esempio ci
vuole»."
I vincoli di carità che uniscono il Padre la Madre e le figlie s'intensificano nella vita fervorosa d'ogni giorno, nella preghiera costante, nel
pregustamento delle gioie che insieme godranno nel cielo, in seno a
Dio.
Carissime: il reverendo Padre ci vuole tutte in paradiso, vicine a lui;
anzi, quando tiene nelle sue mani Gesù Sacramentato per benedirci,
gli dice: Assicurami, caro Gesù, che io con le mie suore verremo tutti
in paradiso. Facciamo dunque tutto il possibile per recargli questa
consolazione grandissima, cioè di farci tutte sante e che nessuna
manchi in paradiso. Pregate tanto per lui, perché la Sacra Famiglia ce
lo conservi fino alla Più tarda età a bene nostro e dell'intero Istituto.
Pregate tanto anche per me, affinché possa farmi santa e adempire
esattamente i miei gravi doveri.
23. Circolare del 23 marzo 1916.
280
24. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, passim.
25. Circolare del IO gennaio 1916.
L'indefettibile collaborazione
Quella di tutti i giorni, di tutte le ore, per tutta la vita. L'amore di madre Maria Mantovani per l'Istituto crebbe con l'andar degli anni e diventò sempre più perspicace. Il contatto quotidiano con le suore, la
formazione delle novizie cui tanto teneva, i problemi che suscitavano
le case filiali e le attività che vi si svolgevano, i rapporti tra l'Istituto
e le autorità civili e religiose occupavano costantemente la mente e il
cuore della Madre. Se le restavano del tempo e delle energie da dedicare alle altre iniziative del Padre, ciò sta a dimostrare la magnanimità della Confondatrice e la sua persuasione che quanto faceva il Fondatore era un bene comune: le opere del Padre attiravano le compiacenze di Dio sulla Congregazione.
Ma le suore e le attività dell'Istituto formavano la sua quotidiana sollecitudine. Costituivano la sua gioia e il suo cruccio. La vita della sua
vita. Le suore e l'Istituto erano il tesoro che Dio e il Padre le avevano
affidato. Su questo dono vegliava con materna cura. Per esso la Madre lavorava, pregava, pativa, sotto lo sguardo della Sacra Famiglia e
della Vergine Immacolata.
Starò vigilante sopra me stessa, per non trascurare nessunissima cosa,
per Piccola che sia, che riguarda la Regola e il buon andamento dell
'Istituto.
Così proponeva nel febbraio 1910. Proprio in questa umile e costante
dedizione all' «opera del Padre» per eccellenza, la Confondatrice trovava la sua consolazione ed era persuasa di camminare su la propria
via: quella che Dio le aveva tracciato da tutta l'eternità, che la rendeva atta a procurargli tanta gloria, che un giorno avrebbe condotto lei
e le figlie in cielo, a gioire assieme col Fondatore.
26. Propositi, I, p. 13.
CAPO TERZO
PREMUROSA
281
La devozione di madre Maria per il Fondatore non si esaurì nella
stima e nella collaborazione esteriore. Il mondo ammira i titoli, apprezza le opere vistose; i santi, anzi tutto, amano le persone che le
compiono.
La Mantovani amò il Servo di Dio con affetto filiale, profondo, disinteressato. Questa carità andò crescendo nel suo cuore man mano che
l'anima progrediva in grazia e in santità. Si tratta appunto d'un affetto
che aveva origine in Dio e che in Dio trovava alimento e portava
frutti di santificazione. Dio era il principio e il fine della dilezione
spirituale che univa tra loro il Padre e la Madre. Essi si vedevano nella luce di Dio: in quella chiarità luminosa ove gli spiriti penetrano
sempre più a fondo e si arricchiscono reciprocamente alla Fonte stessa della vita.
La Madre pregava fervorosamente per il Padre Fondatore. Se alle
suore lo ricordava spesso perché fosse venerato e obbedito, a Dio lo
raccomandava di continuo.
Benedite, caro Gesù, prima di tutti e Più di tutti Colui che diede la
vita a questo nostro Istituto, il nostro amatissimo Padre Fondatore.
Appagate tutti i suoi desideri, esaudite tutti i suoi voti. Conservatelo
ancora molti e molti anni a bene dell'intero Istituto e per la santificazione delle nostre anime.
1. Preghiera composta dalla Confondatrice, che abbiamo rinvenuto
su un foglio da lettera.
Anni di trepidazioni e di speranze
L'affetto della figlia diventò più premuroso quando il Padre ammalò
irreparabilmente. La partecipazione alle gioie e alle pene di lui si fece più diretta e cordiale. Fino allora la Madre credeva di ricevere soltanto (la grazia, le direttive, il sostegno); adesso le pareva di dare
qualcosa anche lei, e le sollecitudini della figlia prendevano sfumature materne.
Il primo attacco del male avvenne alla fine dell'anno 1916, quando il
Padre Fondatore fu colpito da paralisi. Sul momento si credette di
perderlo, poi l'ammalato si riebbe, ma non completamente. Da allora
le ricadute si alternarono alle riprese sino al gennaio del 1922, allorché la robusta fibra dell'infermo cedette alla violenza del male. Per
282
cinque lunghi anni, lo stato di salute del Fondatore venne seguito affettuosamente da tutta la Congregazione. Se il Padre «stava bene», le
suore erano sollevate; ma quando «peggiorava» od era assalito da
nuovi mali, tutte trepidavano. La Madre Generale era la prima a dolersene e a dare l'allarme. Dietro suo comando, si pregava fervorosamente in tutte le case dell'Istituto per la conservazione dell'amatissimo Padre. Con tale intenzione venivano fatte particolari suppliche
alla Sacra Famiglia, a Gesù Sacramentato e «alla cara Immacolata di
Lourdes»; e fin tanto che il Padre non «stava meglio», non si smetteva di pregare.
Pregavano tutti: le suore, le orfanelle, gl'infermi e le giovani che le
suore assistevano e tutte le altre persone ch'erano affezionate al «carissimo Padre». La madre Mantovani dirigeva quella crociata di preghiere; voleva che si facesse «violenza al cielo», onde il Fondatore
fosse conservato in vita «sino alla più tarda età».
L'ammalato infatti aveva miglioramenti. Non solo riprendeva la celebrazione della messa, ma poteva attendere alla parrocchia e alla direzione delle suore. Nel novembre del 1918 la Madre scriveva:
Mi è di sommo conforto dirvi che il nostro Padre sta tanto bene e lavora di gran lena e sempre a zac-tac per il nostro caro Istituto?
Ma nel dicembre del 1919 il Servo di Dio venne nuovamente assalito
dal male. La ricaduta fu grave. Tutta la Congregazione trepidò e pregò. Pochi giorni dopo la Confondatrice assicurava le suore che ogni
pericolo era scomparso e il Padre andava riprendendosi. E continuava:
Possiamo dire anche questa volta, con sommo conforto e viva gratitudine, che la Sacra Famiglia ebbe pietà di noi, del nostro caro Istituto, conservandovi la persona Più cara, il nostro veneratissimo Fondatore. Siano continue le nostre preghiere alla Sacra Famiglia e alla nostra dolcissima Immacolata di Lourdes, perché il nostro reverendissimo Padre possa al Più presto lasciare il letto e ritornarsene alle sue
solite occupazioni. Ma per affrettare questa importantissima grazia,
uniamo alla preghiera l'esattissima osservanza della santa Regola e
l'adempimento diligentissimo dei santi voti?
Confortatrice
283
La ripresa del Padre fu lenta e precaria. Le febbri della «spagnola»
l'avevano indebolito assai; il cuore era irregolare, affaticata la parola.
Fu pure assalito da attacchi di diabete e ripetutamente da catarro
bronchiale. Si accentuò la debolezza degli arti che ormai non reggevano più. L'infermo passava la giornata in letto o seduto sulla carrozzella, e provava grande consolazione quando riusciva a celebrare nella sua cappellina privata.
A confortare il Fondatore e a pregare con lui si avvicendavano le
suore e le orfanelle. Fin da quando era rimasto colpito
2. Circolare del 2 novembre 1918.
3. Circolare del 4 gennaio 1920.
per la prima volta, la Confondatrice aveva disposto che le superiore
delle filiali, in gruppi da lei stessa prestabiliti, venissero a visitare il
Padre. Poiché non poteva più recarsinelle case dell'Istituto, le superiore convenivano a Castelletto per ossequiare il caro Infermo e per
confortarlo con la loro presenza e con la loro devozione filiale. Queste visite, che furono chiamate «mazzetti», consolavano grandemente
il Padre; per mezzo delle superiore, egli manteneva i rapporti paterni
con le suore e con le case della Congregazione.
Due persone in particolar modo allietarono il Fondatore negli ultimi
anni, suor Pia Ruffo e madre Maria. La maestra delle novizie ammalò gravemente nel 1919 e nel luglio del 1921 precedette di sei mesi il
Padre nella tomba. Madre Maria gli rimase sempre accanto sino alla
morte, ad eccezione dei due mesi che passò in cura presso una clinica
di Bologna. Voleva che al Padre non mancasse nulla. Egli aveva fatto
tanti sacrifici
per l'Istituto, particolarmente nei primi tempi della fondazione, era
dunque doveroso provvedere quanto poteva sollevarlo nel corpo e
nello spirito.
Alla prostrazione fisica si aggiunsero pene interiori che appesantirono l'animo del malato. Dio andava provando il suo servo, per purificarlo e per accrescerne i meriti.
284
Sino al 1919 il Padre si confessava regolarmente, ogni otto giorni;
ma a partire dalla primavera del 1919 e per tutto l'anno 1920 riceveva
l'assoluzione più di frequente. «Oltre il mercoledì si confessava anche il sabato dal suo confessore, e parecchie altre volte fra la settimana dal curato don Angelo Zamperini» ch'egli stesso aveva avviato
al sacerdozio. Oppresso nello spirito, il Padre «soffriva molto, molto,
e spesso usciva in forti esclamazioni: Mio Dio, aiutatemi; non ne
posso Più! Maria, Mamma mia, salvatemi! Sono un gran peccatore!
... »
4. Don Luigi Zanoni, arciprete di Brenzone e vicario foraneo.
5. Diario della malattia del Padre, p. 42.
6. Ivi, p. 7.
La Madre era profondamente addolorata. Le pene del Fondatore si
ripercuotevano nell'animo di lei, già impegnato a superare un forte
esaurimento cui l'aveva ridotta la «spagnola». Si faceva violenza, e
«spesso, spesso» andava al capezzale dell'infermo e «lo incoraggiava
a soffrire volentieri tali desolazioni di spirito, sull'esempio dei santi».
Sovente gli leggeva qualche tratto della Chantal, della vita di S. Alfonso Maria de Liguori, della Pratica di amare Gesù Cristo, ove si
parla «delle pene di spirito e delle desolazioni morali».
Il 12 gennaio del 1919 il caro Infermo era «oppresso e desolato più
del solito». «Con animo grande e pieno di vivissima fede» la Madre
esclamò: «Padre, si faccia coraggio. Oggi cominciamo una solenne
novena alla Vergine di Lourdes e la Vergine santissima l'aiuterà senza fallo», Fece chiamare le suore addette all'assistenza del malato.
Vennero accese le candele davanti all'Immacolata, ed una candela
accesa teneva in mano ciascuna delle astanti; il Padre accompagnava
le preghiere «con gran fede e devozione». «Anche tutta la comunità e
tutte le care orfanelle cominciarono la novena», che fecero con grande fervore «per ottenere al Padre lume, conforto, aiuto, sostegno in
tali desolazioni di spirito». Subito l'infermo cominciò a rasserenarsi,
e quattro giorni dopo il diario annota: «Oggi il Padre è molto sollevato. La Vergine Immacolata di Lourdes lo ha straordinariamente benedetto e consolato». 7
285
Si avvicendarono altre tribolazioni e gioie nuove; poi le prove cessarono. «Dall'aprile 1921 - scrive la cronista - il reverendissimo Padre
non prova più quelle pene di spirito, per le quali si sarebbe confessato quattro o cinque volte al giorno. È molto tranquillo, anzi pacifico.
La Vergine santissima gli ha ottenuto tanta grazia!... Le tempeste erano ormai lontane, sedati i marosi; mancavano pochi mesi al sereno
approdo.
7. Diario della malattia del Padre, pp. 7-10.
8. Ivi, p. 54.
Per due mesi lontana dal Padre
Quando il Servo di Dio seppe che la Confondatrice era andata a Milano da uno specialista per un accurato esame medico, si commosse
profondamente. In seguito non riusciva a rassegnarsi che la Madre
partisse per Bologna, ove i medici la mandavano in cura. «Con le lacrime agli occhi disse: - Non voglio che rimanga lontana, voglio che
venga a casa. Moriremo magari, ma tutti e due, qui nell'Istituto»."
Poi si acquietò e la lasciò partire.
Le suore della Casa Madre erano vivamente «impressionate». Da che
il Padre era stato colpito da paralisi la prima volta, la Confondatrice
non s'era più allontanata da Castelletto; per le visite alle filiali pensava l'assistente suor Fortunata Toniolo. Ora anche la Madre era inferma e, per di più, lontana.
Pochi giorni dopo la sua partenza, il Padre ebbe un collasso. Il mattino del 25 agosto 1920 svenne e fu assalito da conati di vomito e da
affanno, che durarono per più di due ore. «Quale strazio! ... Tutti lo
piangevano morto. Tutto era pronto per l'estrema unzione, che però
non gli venne amministrata». Subito fu inviata una suora a Bologna
per prelevare la Madre Generale. Giunsero a Castelletto il giorno seguente. «La commozione provata dai reverendissimi Superiori nel rivedersi fu indescrivibile, e il dolore delle suore inimmaginabile nel
vedere ambedue le colonne dell'Istituto così sofferenti e malate». Il
Padre lentamente migliorò, e i primi di settembre la Madre ripartì per
Bologna a riprendervi le cure.
286
In quei giorni di assenza il pensiero della Mantovani era a Castelletto, quello del Nascimbeni a Bologna. Il Padre voleva sapere come
stava la Madre; la Madre era desiderosa di avere notizie del Padre. Ci
fu un carteggio intenso, quasi quotidiano. La Confondatrice assicurava che stava meglio, che mangiava
9. Diario della malattia del Padre, p. 45.
10. Ivi, p. 46.
«con appetito», che di giorno in giorno si sentiva «più rinforzata»;
che pertanto il Padre non «pensasse male», che stesse tranquillo a riguardo di lei perché a Bologna si trovava benissimo ed era sicura di
tornare a Castelletto «ristabilita del tutto».
A sua volta madre Maria riceve buone notizie. Da Castelletto le scrivono che il Padre sta rimettendosi; dopo il recente attacco non ha avuto ricadute, anzi va migliorando di giorno in giorno. Ciò conforta
immensamente la figlia lontana, che ne ringrazia di gran cuore «la
Sacra Famiglia e la Vergine Immacolata di Lourdes». Si congratula
con l'infermo e lo assicura che prega sempre il Signore per lui, affinché gli doni forza e salute. «Al Signore non mancano mezzi» dichiara la scrittrice. «Egli può tutto. Le preghiere non vanno mai perdute».
Poi la figlia apre il suo animo e lascia uscire qualche scintilla della
purissima dilezione che l'unisce al Servo di Dio:
«Carissimo Padre, stia tranquillo. lo col mio spirito sto sempre vicino
al suo ... Bravo Padre, ha portato pazienza nel molto, la porti anche
nel poco, acciò possa ritornare perfettamente guarito. Lei mi ha voluto sempre bene e sempre ha cercato il mio bene ... »"
«Con sorpresa di tutti», il giorno 16 ottobre il Padre celebrò nella sua
camera e alle ore 11 antimeridiane impartì la benedizione eucaristica.
Era la prima volta che l'infermo celebrava, dopo l'attacco dell'agosto
scorso. Quando lo seppe la Confondatrice, ne provò grande consolazione e s'affrettò a inviare le congratulazioni."
Carissimo Padre,
la notizia ricevuta quest'oggi mi ha straordinariamente consolata. lo
non pensavo che così presto celebrasse la santa messa, e quel che è
287
più, dare la benedizione e stare alzato tutto il giorno. Questo è il
principio di
11. Dal carteggio di madre Maria al Padre Fondatore e a suor Fortunata Toniolo,
scritto durante la sua degenza presso una clinica di Bologna.
12. Cartolina della Madre al Fondatore, timbrata a Bologna il 21 ottobre 1920.
un miracolo. Coraggio, Padre, vedrà che la Madonna sa fame di belle. Non vedo il momento di vederla. lo sto benissimo. Le mando un
milione di saluti. Mi benedica.
Sua aff.ma figlia
Madre Maria dell'Immacolata
Il venerdì, 29 ottobre, la Madre lasciava Bologna e nel pomeriggio
del sabato seguente giungeva in piroscafo a Castelletto. Al porto la
festeggiarono le suore e le orfanelle; il Padre, in carrozzella, l'attese
sotto il chiostro del convento. Quando la vide, scoppiò «in dirotto
pianto», «così la reverendissima Madre». Quell'esplosione improvvisa, irresistibile, tradiva la emozione profonda delle due grandi anime.
Era il pianto del «Padre» e della «Primogenita».
La Madre si fece forza e incoraggiò il Fondatore, dicendo- gli: «Ringraziamo insieme la Sacra Famiglia per averci salvati ambedue»."
Gli ultimi giorni del Padre
Man mano che il Fondatore si avviava verso la fine, la Madre moltiplicava le premure. Passava molte ore del giorno, e anche della notte,
accanto al venerato Infermo, per essere pronta a soccorrerlo e a consolarlo. Pregava con lui, pregava per lui. Quando i dolori gli concedevano un po' di sosta, a ricreazione dello spirito, gli leggeva qualche
pagina di opere ascetiche o della vita di santi.
Per il Padre madre Maria faceva pregare tutta la Congregazione.
Quante novene erano state fatte! Quante messe celebrate! Come si
era supplicata la «miracolosa Immacolata di Lourdes» per la guarigione del «carissimo Padre»! In verità
13. Diario giornaliero: 30 ottobre 1920, p. 57.
288
la Madonna, sollecitata da tante preghiere, lo salvò più volte dai ripetuti attacchi del male.
Poi anche il Servo di Dio dovette soccombere; e tutte le figlie, con a
capo la Madre, dovettero «chinare il capo e ripetere, con lo strazio
nel cuore, il doloroso fiat!».
Furono convocate le superiore delle case che, a nome di tutte le suore, vennero a rendere l'estremo saluto al venerato Fondatore. La Madre non si smarrì, non perse tempo. Mentre a Castelletto si preparavano i funerali, tutto l'Istituto, per disposizione della Confondatrice,
si raccolse in preghiera per suffragare l'anima del caro Estinto."
A suffragio dell'Anima eletta
Nella dolorosissima e luttuosa circostanza, non potendo stringervi
tutte attorno alla cara e venerata Salma del nostro non mai abbastanza compianto Fondatore, stringiamoci nella Più fervida preghiera.
Perciò, per un mese intero, applicate per lui tutto il vostro bene spirituale, cioè: Via crucis, rosario intero, messe, sante comunioni, ecc.
Tutti i giorni, a colazione pranzo e cena, recitate un Miserere e un De
projùndis. Recitate inoltre tutti i giorni un notturno dei dejùnti, le litanie dei santi, un Miserere, tre De profundis, la preghiera dei dejùnti
che si dice ogni domenica al cimitero, una terza parte del santo rosario separato dal solito rosario intero. Al ritorno delle superiore riceverete altri ordini.
Il nostro Padre che, nella pace e serenità, morì benedicendo tutte, vi
ottenga dal cielo la grazia, tanto da lui inculcata, della santa perseveranza finale. Pregate sempre per me. Fate bene, e sarete il mio conforto e formerete una gloria maggiore al nostro caro Defunto,"
14. Circolare del 31 gennaio 1922.
15. Circolare del 23 gennaio 1922.
«Il ricordo del Padre»
Ora il Fondatore - la Confondatrice ne è certa - è in cielo. Il fatto è
motivo di conforto e stimolo a bene operare. Dal paradiso il Padre
289
veglierà su tutte le figlie, per tutte pregherà continuamente e le difenderà. «Ora più che mai» continua la Madre «egli vede il nostro interno, le nostre miserie; conosce se operiamo per puro amor di Dio,
del prossimo e dell'Istituto; se siamo schiette e sincere, come libri
aperti con i nostri superiori ... A lui non potete nascondere nulla ...
Dunque: grande umiltà, pronta e cieca obbedienza, vera sottomissione, e soprattutto grande semplicità, che era la caratteristica del nostro
reverendissimo Padre». Egli non deve essere chiamato «povero Padre», ma sempre e soltanto Padre, perché è scomparso soltanto materialmente. In cielo continua a vivere per le figlie e per l'Istituto; anzi
adesso più direttamente può impetrare grazie e favori dall'onnipotente Iddio. «Egli
ci farà da maestro, da protettore, da provveditore».
La sua fisionomia ascetica e buona, il suo sguardo penetrante ed amabile, il suo sorriso dolce e lieto e Più di tutto le sue parole di sapienza e di amore, ci mostravano l'anima sua virtuosa, santa, perfetta,
piena d'immenso affetto per noi, che viveva solo per noi, che ci voleva tutte buone, tutte sante, tutte degne spose di Cristo.
Oh! quanto è caro, quanto è consolante, quanto è vantaggioso alle anime nostre il ricordo del nostro carissimo Padre. Egli, è vero, non è
visibilmente fra noi, ma vi è col suo spirito, col suo amore, con la sua
protezione. Ce lo promise prima di partire, e ci dà quotidianamente
segni manifesti della sua protezione celeste. Il
La speranza cristiana che anima lo spirito della Confondatrice non
impedisce che la natura avverta l'assenza di colui,
16. Circolare del 31 gennaio 1922.
17. [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (maggio 1922) pp. 1-2.
Vedere anche: ivi, 2 (gennaio 1923) pp. 1-2.
che per tanti anni era stato il maestro illuminato, il padre buono, il
modello generoso verso le vette della santità.
Quest'anno [1922] è assai doloroso fare i santi esercizi, e non sentire
Più la parola viva del nostro venerato Fondatore: i suoi consigli, i
dolci rimproveri, che per noi erano balsamo al cuore. Sono veramente esercizi di lacrime e di dolore. Tutto ci parla di lui: il suo spirito di
290
preghiera, la sua viva fede, la sua vera umiltà, la sua prontezza all'orario zac-tac, all 'ordine in ogni cosa,"
La traslazione della venerata Salma
Da pochi giorni la salma del Padre riposava nel cimitero comunale,
tra le figlie morte, che le vive già pensavano di riportarla presso di
sé, nelle adiacenze della Casa Madre. Scriveva infatti la Confondatrice, a nove giorni dalla morte del Servo di Dio: «Pregate tanto per la
reverenda assistente, affinché a Roma riesca ad ottenere il permesso
di poter presto, prestissimo riportare nella dolce Casa Madre la sacra,
venerata e preziosa salma del nostro carissimo Padre Fondatore»."
Per più settimane suor Fortunata Toniolo rimase a Roma a sollecitare
le pratiche. Con la sua abituale intraprendenza, si spostava «da un ufficio all'altro per avere il tanto sospirato permesso»." Finalmente il
31 maggio dello stesso anno venne firmato il regio decreto, che autorizzava la traslazione della salma del Servo di Dio.
Madre Maria ne fu lietissima ed attribuiva l'avvenimento all'intercessione della Madonna, perché «non a tutti» diceva «è dato di avere in
così breve tempo tanta grazia»; e continuava: «Come saremo contente quando possederemo nella nostra casa tanto tesoro! Oh! la grande
scuola che sarà
18 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 44.
19 Circolare del 31 gennaio 1922.
20 Circolare del 21 febbraio 1922.
per noi la tomba del nostro amatissimo e veneratissimo Padre».
Furono pertanto convocati «alti personaggi e ingegneri» per il disegno della tomba. Essa sarebbe sorta vicino alla Grotta di Lourdes,
ove anche i parrocchiani e tutti i devoti del Defunto potevano accedere con facilità. Ci vollero parecchi mesi, prima che l'artistico mausoleo fosse pronto ad ospitare le venerate spoglie. Fu ideato da mons.
Giuseppe Trecca, grande ammiratore e primo biografo del Servo di
Dio, poeta, letterato, artista, che lo descrive genialmente sul numero
unico." «Le figlie lo vollero proporzionato alla loro pietà, meno indegno del merito» del Padre. «Il sito, opportunamente scelto dalla
Madre, è uno dei più frequentati da lui; a destra della Grotta di Lour-
291
des, già arborato e rallegrato dagli uccellini, che inneggiavan alla sua
messa. Ora ai loro gorgheggi, sostituirà la sua voce»."
La Confondatrice aveva da tempo preannunciato che «il giorno del
trasporto» della Salma sarebbe stato «per l'Istituto giorno di grande
festa, un vero trionfo»; si sarebbero fatte «cose grandi, migliori ancora dei funerali»." Vennero di nuovo chiamate le superiore di tutte le
filiali, e perché l'avvenimento recasse abbondanti frutti agli spiriti, la
Madre indisse per la circostanza un corso di esercizi. Su la tomba del
Padre le figlie dovevano deporre «concreti, ferrei, santi propositi» di
rinnovamento spirituale."
Le cerimonie della traslazione riuscirono solennemente. Assieme con
il vescovo di Verona mons. Girolamo Cardinale, parteciparono un
centinaio tra prelati e semplici sacerdoti, le autorità locali ed altre
personalità. Tutto il popolo di Castellet21. Circolare del 13 giugno 1922.
22. Ritorna. Nella traslazione del Padre: 24 ottobre 1923. [Castelletto
di Brenzone
(Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1923], pp. 57-64. Il volumetto
commemorativo fu
curato dallo stesso mons. Trecca.
23. Ivi, pp. 57-58.
24. Circolare del 21 febbraio 1922.
25. Circolare del 2 ottobre 1923.
to era uscito nuovamente ad incontrare il suo Parroco e Benefattore.
Quarantasei anni prima, il 2 novembre 1877, era avvenuto il primo
incontro proprio nel camposanto comunale. Di lì il giovane sacerdote
Nascimbeni entrava solennemente in Castelletto, pieno d'entusiasmo
e di energie, che consumò per il bene spirituale e materiale dei parrocchiani. Ora egli tornava con le spoglie mortali in mezzo a loro, vicino alle loro abitazioni, a proteggere, a benedire, a fare da mediatore
tra Dio e le loro anime, come aveva fatto sempre in vita per oltre 44
anni."
Presso la tomba del Padre
292
«Carissime» scriveva la Madre tre giorni dopo la traslazione, «ora
più che mai tutto ci parla del Padre»: della sua vivissima fede, della
sua continua e fervorosa preghiera, del suo ardente zelo, della sua
scrupolosa esattezza nel fare bene ogni cosa per amore del Signore.
Oh, sì!, il Padre amava con ardentissimo amore il Signore. Al Signore egli indirizzava ogni suo pensiero e non perdeva un minuto di
tempo, ma tutto l'occupava nella preghiera e nel lavoro. Egli operava
come se Dio gli fosse stato sempre presente."
Dalla grandiosa tomba, dunque, il Fondatore continuava a proteggere
e ad ammaestrare. Le sue massime, i suoi insegnamenti, i suoi esempi erano resi più validi dalla presenza della sua salma. Ivi venivano
tutti i giorni le orfanelle dell'Immacolata e di S. Giuseppe, a rendere
omaggio a colui che aveva provveduto per loro una casa, il pane, una
sana educazione. Ivi si prostravano le probande e le novizie, le quali
movevano i
2. La «festa" della traslazione viene descritta dettagliata mente dal
Trecca sul
numero unico, pp. 57-64.
"Circolare del 27 ottobre 1923.
primi passi sotto le insegne della Sacra Famiglia. Presso la tomba del
Fondatore si raccoglievano annualmente tutte le suore della Congregazione, quando venivano a Castelletto per gli esercizi.
La Confondatrice andava tutti i giorni al mausoleo. Andava a pregare
per il Padre, andava a raccomandarsi al Padre. Non sempre poteva
prolungare l'incontro filiale, perché i doveri di superiora generale la
richiedevano altrove. Allora dal piazzale della Grotta, ove aveva ossequiato la Vergine, madre Maria faceva un profondo inchino voltata
verso la tomba. Dopo la cappella dell'Istituto, ove c'era Gesù «vivo e
vero»," i luoghi più cari al cuore della Confondatrice erano la Grotta
e il mausoleo. Ivi le pareva d'incontrarsi più direttamente con l'Immacolata di Lourdes e con il Padre.
A volte la Confondatrice sostava più a lungo. Dalla porticina laterale
entrava nel mausoleo. Si prostrava davanti alla tomba. Lì dentro c'era
ciò che di più prezioso era rimasto in terra del Fondatore: il corpo
293
ch'era stato il fedele collaboratore della grande anima. Quante volte
la figlia s'era inginocchiata davanti al Padre, per essere assolta, per
ricevere la benedizione! Quante grazie aveva ricevuto da quella destra alzata verso di lei, quanto conforto e quale eccitamento al bene
dalle parole e dagli esempi paterni! Ora, prostrata davanti alle sue
spoglie, persuasa che dal cielo il Padre la vedeva, ella poteva aprire
la sua anima, tutta la sua anima di figlia affezionata, e dire a lui la
sua riconoscenza, senza soggezione e senza veli.
Poi riandava al passato. Rievocava gli anni della sua giovinezza,
quando collaborava con il novello parroco. Rammentava l'interessamento di lui per avere in paese alcune suore a custodire i bimbi, a visitare i malati, ad educare la gioventù. Pensava ai primi tentativi falliti, poi al sorgere inatteso del novello virgulto che, benedetto da Dio e
coltivato da mani
"Espressione molto usata dalla Mantovani.
esperte, divenne pianta rigogliosa. Ora tutto era chiaro; ma nei primi
tempi, quante incertezze, quali sacrifici!... La Madre ricordava tutto,
rievocando le date gioiose e le ore di angoscia vissute insieme col
Fondatore.
Nella sua sincera umiltà, la Mantovani si stupiva ancora che Dio avesse scelto lei, proprio lei, a collaborare col Padre nella fondazione
e nel governo dell'Istituto. Se avesse assecondato il proprio sentimento, quante volte avrebbe voluto rinunciare, scomparire tra le figlie,
nascondersi dietro all'ultima arrivata! Invece si trovava in testa, distinta dalle altre, messa a capo della bianca falange che, insieme col
Padre, ella conduceva e consacrava alla Sacra Famiglia. Il sentimento
di confusione si fondeva con quello della gratitudine. Gratitudine a
Dio, alla Madonna, al Padre. E per ripagare, per quanto le era dato,
tutto il bene che aveva ricevuto, la Madre rinnovava il suo impegno
di fedeltà agl'insegnamenti del grande Maestro, ai voleri del Fondatore.
Si alzava. Usciva dal mausoleo. Tornava alle sue occupazioni consuete più raccolta e più decisa a donarsi tutta, giorno per giorno, per
le figlie e per l'Istituto del Padre.
294
PARTE SESTA
FIGLIA DELLA MADONNA
295
NEL SECOLO DELL'IMMACOLATA
L'8 dicembre 1854 il papa Pio IX proclamava verità di fede l'immacolato concepimento di Maria. L'11 febbraio 1858 la Vergine Maria
appariva, per la prima volta, a Bernardetta Soubirous, e il 25 marzo
dello stesso anno ella dichiarava alla fanciulla interrogante: «Io sono
l'Immacolata Concezione».
Il 12 novembre 1862, a Castelletto sul Garda nella provincia di Verona, nasceva Domenica Mantovani, la futura Confondatrice delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia, che in convento prese il nome di
«madre Maria dell'Immacolata di Lourdes».
Da principio non si chiamò così. Il suo primo nome di religiosa fu
«Maria», per devozione alla Madonna; ad esso tenevano dietro, per
volere del Fondatore, i nomi comuni a tutte le Piccole Suore: Giuseppina, Bassa, Naviga. «Giuseppina» per onorare S. Giuseppe, principale patrono dell'Istituto; «Bassa», sinonimo di umile, poiché la
Piccola Suora deve sentire bassamente di sé; «Naviga», ricordati cioè
296
che sei sulla terra di passaggio: cammina avanti, cammina sempre,
tenendo il cuore rivolto al cielo.
A partire dall'anno 1914, da quando venne inaugurata la Grotta di
Lourdes a Castelletto, la Confondatrice si firma anzi tutto: «madre
Maria dell'Immacolata di Lourdes»; e tale rimarrà la sua denominazione allorché, per decisione della Congregazione dei Religiosi, verrà
lasciato il trinomio Giuseppina, Bassa, Naviga.
Il nome spiega la vocazione. La Mantovani era nata poco dopo i due
grandi avvenimenti mariani, che caratterizzano la seconda metà del
secolo scorso e tanto influsso hanno esercitato sul nostro. Dalla definizione dommatica dell'Immacolata Concezione ha avuto inizio il
grandioso movimento mariologico, per il quale la teologia mariana
ha conquistato posizioni nuove. Dalle apparizioni della Vergine a
Lourdes prende le mosse il grande secolo della pietà mariana. Studio
e preghiera, dottrina e vita: più che nei tempi passati, la Madonna è
presente ed operante nella Chiesa e nelle anime.
A dare al nostro secolo questa impronta «Mariale», oltre la Provvidenza che orienta in tal senso gli animi, hanno contribuito i romani
pontefici, promovendo ora lo studio, ora la pietà, ora l'una e l'altra
cosa a un tempo. I teologi hanno prestato una generosa collaborazione, dedicando talenti e cultura alla conoscenza del mistero di Maria.
Vengono poi i fedeli, massimamente le anime di elezione; accanto
alla pietà eucaristica, in ripresa ai nostri giorni, esse coltivano intensamente la devozione alla Madre di Dio, secondo il proprio temperamento e la personale vocazione nella Chiesa.
Ad esse appartiene madre Maria Mantovani. La sua denominazione
«dell'Immacolata di Lourdes» la colloca nel mondo religioso del suo
tempo e ne descrive la fisionomia spirituale, alla stessa maniera che
l'appellativo «della Trinità», scelto dalla novizia suor Elisabetta Catez, preannuncia la vocazione e caratterizza la spiritualità della celebre carmelitana di Digione.'
1 Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906), beatificata da Giovanni
Paolo II il25
novembre 1984, è molto nota anche in Italia e non ha perciò bisogno
di essere
presentata. Ricordiamo le tre principali pubblicazioni che hanno fatto
297
conoscere la
mistica carmelitana: Elisabetta della Trinità: Ricordi, ed. 7, Firenze,
Libreria Fiorentina,
1959, 190 X 125, pp. 311; Scritti spirituali di Elisabetta della Trinità,
presentati da M.-M.
Philipon O.P., Brescia, Morcelliana, 1950; 190 X 125, pp. 211; M.M. PHILIPON, O.P.,
La Dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità, ed. 3, Brescia,
Morcelliana, 1945; 190
X 125, pp. 394. Recentemente: A. SICARI, Elisabetta della Trinità.
Un'esistenza teologica,
Roma, ed. O.C.D., 1984; 240 X 160, pp. 282.
CAPO PRIMO
VITA «MARIANA» NEL MONDO
L'amore alla Madonna lo riceviamo col battesimo. È soprannaturale,
perché ci viene infuso direttamente da Dio assieme alla grazia santificante. Ciascuno riceve una particolare inclinazione verso la Madre
del cielo. Ogni cristiano ha il «suo» volto mariano, che lo distingue
tra tutti i figli della Madonna.
Anche la Mantovani ebbe la «sua» fisionomia mariana, caratteristica,
inconfondibile; sulla scorta delle testimonianze, cercheremo di tratteggiarne i lineamenti.
Atteggiamento filiale
Appena la fanciulla raggiunse l'età della ragione, il seme battesimale
poté svilupparsi a bell'agio. I tempi erano propizi; altrettanto il luogo
ove la bambina cresceva. La definizione dommatica dell'Immacolata
Concezione e le apparizioni della Vergine a Lourdes avevano suscitato brividi d'entusiasmo e di commozione in tutta la Chiesa. Gli echi
dei due avvenimenti giunsero anche a Castelletto, ove le nuove pratiche introdotte ad onore della Vergine Immacolata rendevano più sentite quelle già esistenti.
In casa la pietà mariana della fanciulla era coltivata dal nonno e dalla
pia madre Prudenza. In chiesa trovava alimento nelle numerose feste
mariane, nella recita serale del rosario, nelle canzoncine popolari, nel
298
mese di maggio che fin d'allora la piccola Domenica santificava con
grande fervore.
Quando si iscrisse alla congregazione delle Figlie di Maria, poco dopo la prima comunione, la Mantovani era molto devota della Madonna. Era già abituata a ricorrere spesso alla celeste Madre, a mortificarsi in suo onore, a mettere i fiori davanti alle sue immagini, a salutarla con filiale tenerezza. L'appartenere ora alle Figlie di Maria, il
portarne la bianca divisa nelle solennità, era un motivo di gioia ed un
impegno, quasi una consacrazione pubblica, che obbligava a vivere
santamente. A sua volta, vicino alla Vergine, l'adolescente provava
tanta consolazione, si sentiva al sicuro contro tutti i timori e i pericoli
dell'età. Perciò ricorreva spesso ai piedi di Maria, le apriva l'animo,
le narrava le ansie e i piccoli drammi del cuore che batteva prepotentemente. Così per molti anni, sino al sorgere della vocazione religiosa che moltiplicò i ricorsi alla celeste Avvocata, onde avere luce,
conforto, protezione. Anche al Servo di Dio don Nascimbeni la giovane ricorreva nei dubbi e nelle tentazioni, ma con più soggezione e
pudore. Alla Madonna invece diceva tutto, con estrema facilità, con
il cuore di bambina, e bambina rimase sino alla morte.
A due persone dunque la giovane apriva il suo animo e manifestava i
suoi ideali e le sue lotte: al Padre spirituale e alla Madonna. Quando
a ventiquattro anni, l'8 dicembre del 1886, consacrò al Signore la sua
verginità, soltanto il Padre e la Madonna Immacolata erano presenti:
la Madonna per ricevere l'offerta e presentarla a Dio, il Padre per testimoniarla.
Apostolato mariano
Uno dei primi apostolati che svolse la Mantovani in paese fu quello
mariano, e ne approfittarono le ragazze che venivano da lei per addestrarsi nei lavori di cucito e di ricamo. Prima di mettersi a lavorare, si
pregava la Madonna ch'era lì presente nella sua immagine, con i fiori
freschi davanti. Della Madonna trattavano spesso le pie letture che si
tenevano durante il lavoro; in suo onore venivano cantate delle canzoncine popolari, ripetute dalle ospiti anche per strada.
L'alba preannunciava il giorno. Per tutta la vita la Mantovani fu intenta a portare le anime ai piedi di Maria. L'apostolato mariano s'intensificò col crescere negli anni. Della Madonna la futura Confonda299
trice parlava spesso ai bambini durante le lezioni di catechismo o nel
pomeriggio del sabato, quando venivano in chiesa per la confessione.
Insegnava loro a fare i «fioretti», li conduceva davanti all'altare della
Vergine, perché imparassero a ricorrere a lei e per affidarli alla sua
materna assistenza. Massimamente le ragazze e le giovani venivano
esortate ad esser devote di Maria, a invocarla spesso, a mettersi sotto
la sua protezione. La santissima Eucaristia, la Madonna, la fuga dalle
cattive compagnie erano gli argomenti preferiti delle esortazioni che
la Mantovani faceva alla gioventù femminile di Castelletto.
Anche agli adulti la giovane parlava della Vergine. Ne parlava alle
mamme, invitandole a ricorrere alla Madre del cielo quando i figli
non davano retta alla madre della terra. Ne parlava ai malati che visitava: ricorrendo alla Madonna, avrebbero trovato rassegnazione e
conforto.
I trent'anni che la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto
trascorse in paese, prima di ritirarsi in convento, sono santificati dalla
presenza di Maria. Tanto la vita interiore che la multiforme attività
apostolica si svolsero nella luce della Vergine Immacolata, madre
sollecita e maestra di virtù.
Il mese di maggio
Lo zelo mariano della giovane si esplicava, con particolare fervore,
durante il mese di maggio. A scuola finita, radunava un gruppo di ragazzette in una
Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 23.
stanza della sua abitazione, ove le attendeva la Madonna, collocata
su un piccolo altare provvisorio. Si accendevano le candele, veniva
recitato il rosario cui tenevano dietro le litanie cantate; la Mantovani
leggeva un punto della meditazione e il «fioretto»; chiudeva la funzioncina un canto alla Vergine. «E questo tutti i giorni».
Particolare importanza aveva la chiusura del mese mariano. Da un
punto prestabilito partiva la processione verso la chiesa parrocchiale.
Le ragazze, biancovestite, con candeline accese, accompagnavano la
piccola statua della Madonna, cantando le litanie e delle canzoncine.
All'arrivo in chiesa, il parroco impartiva la benedizione eucaristica;
300
poi si ricomponeva la processione, che riportava la Madonna al punto
di partenza.
La suggestiva pratica introdotta dalla Mantovani piacque assai e venne imitata. In diversi centri del paese si radunavano altri gruppi di ragazze e veniva svolto l'identico programma, ch'era eseguito nella casa della Mantovani. L'ultimo giorno del mese, ad un'ora convenuta, si
snodavano le singole processioni. La devozione era alimentata da
«una santa gara». «Com'era bello attesta una delle partecipanti «vedere in quel giorno le diverse processioni con la cara Immacolata
2. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 1-3.
CAPO SECONDO
APOSTOLA DI MARIA TRA LE FIGLIE
Lo zelo mariano della Mantovani ebbe modo di esplicarsi più intensamente dopo la sua entrata in convento. L'ascendente goduto in paese facilitava questo prezioso apostolato. Ella infatti diceva sovente di
ricorrere alla Vergine, di affidare ogni cosa alla cara Immacolata ... E
le persone che venivano per sfogarsi o per chiedere consiglio, ricorrevano davvero alla Vergine santa e restavano confortate.
«Ella è nostra Madre»
Nell'Istituto, principalmente la Confondatrice trovava il terreno adatto al suo apostolato mariano. Fin dal loro ingresso in convento, le
probande, le novizie, le suore erano state affidate alla Vergine; e alla
Madonna venivano raccomandate di continuo dalla Madre Generale.
Era pertanto naturale che la Madre approfittasse degli avvenimenti e
delle solennità mariane, per ricondurre le figlie ai piedi della celeste
Protettrice. Non era questo il modo migliore per provvedere al loro
bene, per ottenere loro la fedeltà all'ideale, per renderne efficace la
missione nella Chiesa?
Preghiamo tanto la Vergine santa per la perseveranza nella vocazione, per la conversione dei poveri peccatori, per la pace. Uniamo alla
preghiera l'esatta osservanza della Regola, qualche Piccola mortificazione, la prontezza e la diligenza in tutte le nostre azioni. Conquisteremo così il suo Cuore tenerissimo, e Più facilmente saremo esaudite.
301
Per la conversione dei peccatori le Piccole Suore elevavano ferventi
preghiere, in particolar modo durante il mese di agosto, consacrato al
Cuore Immacolato di Maria. Con le loro suppliche, con la vita santa
e mortificata, esse facevano violenza al cielo e inducevano la celeste
Avvocata ad aver pietà dei poveri traviati. «Tutte ne avrete» diceva
madre Maria, «o nelle vostre famiglie, o nei vostri paesi. Preghiamo,
preghiamo la Vergine santa per i nostri peccatori, per tutti i peccatori». Grandi vantaggi avrebbero conseguito le suore se, ricorrendo
all'intercessione di Maria, avessero ottenuto il ravvedimento di qualche peccatore ostinato. Con la sua, esse assicuravano la propria salvezza.
Per l'onore della gloriosa Regina, le Piccole Suore non facevano mai
troppo. «Ella è nostra Madre» dichiarava la Cofondatrice, «e quali
predilette figlie dobbiamo onorarla con ogni specie di ossequi».
Il mese di maggio nell'Istituto
Gli ossequi a Maria erano moltiplicati durante il mese di maggio.
Ogni anno, con la letizia dei fiori e l'incanto della primavera inoltrata, tornava il più bel mese, vivamente atteso perché portava i cuori
più vicino alla Madonna. La Madre esortava per tempo le figlie a
passarlo «con straordinario fervore». Essendo il maggio un «mese di
grazie e di favori immensi da parte della Madre celeste», bisognava
santificarlo «con l'essere esattissime nelle piccole cose, fervorose
nelle
1. Circolare del 31 luglio 1915.
2. MADRE MARIA, La voce del Padre, I (luglio 1922) p. 4.
3. Ivi, giugno 1922, p. 4.
preghiere, molto dolci, molto umili, molto obbedienti, molto mortificate»." Nel mese di Maria le suore dovevano combattere valorosamente, dando «colpi mortali al maledetto amor proprio».
Schiacciata la testa a questo, è vinto tutto. In questo mese, prendetelo
di mira con volontà risoluta, col «voglio» dei santi, e vi assicuro che
la nostra cara mamma Maria vi otterrà da Gesù tanta grazia e forza
per essere vittoriose. Questo è il Più bel fioretto, l'ossequio più gradito che offrirete alla Madonna, e vi renderete a lei tanto più care?
302
Il mese di ottobre
Identico fervore mariano era richiesto per la devozione del mese di
ottobre, largamente diffusa dal papa Leone XIII negli ultimi decenni
del secolo scorso. Nell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia non veniva recitato l'ufficio divino o quello della B. Vergine. In
compenso le suore dicevano tutti i giorni il rosario intero, distribuendone opportunamente le tre parti. Durante il mese di ottobre, per devozione alla Madonna del rosario, ne aggiungevano una quarta.
Ricordando i desideri del Padre Fondatore, la Confondatrice esortava
le suore a recitar bene quelle duecento Ave Maria, «con la mente
concentrata», «con spirito di fede», «implorando l'aiuto della Vergine, onde riuscire a imitare i suoi esempi e quelli di Gesù». E continuava:
Amiamo il rosario, poiché in esso troviamo in compendio tutta la storia della redenzione. È vero che siamo miserabili creature, meno del
niente, ma quanto costiamo a Gesù e a Maria! Quanto essi fecero per
rimetterci in grazia con Dio, per arricchirci di meriti ed appianarci la
via del cielo! Tutto questo ci presentano chiaramente esposto, come
in un quadro, i misteri del rosario. Quindi, nel recitarlo, stringiamoci
con
4. Circolare del 24 aprile 1917.
5. Circolare del 13 aprile 1929.
filiale fiducia alla nostra tenerissima Madre e preghiamola d'insegnarci la fedeltà a Gesù, per seguirlo con costanza sia nella gioia che
nel dolore e dare a lui compiacimento e gloria in ogni nostra azione"
Maria Bambina
Sotto l'altare della cappella di Casa Madre, dall'urna illuminata sorride Maria Bambina. Di sopra, sullo sfondo della chiesuola spicca il
gruppo della Sacra Famiglia, che il Padre celeste guarda compiacente. Nel mezzo dell'altare si eleva il tabernacolo, ove l'Ospite Divino è
gelosamente custodito, di frequente consultato, amato sempre.
La Vergine in fasce invita al candore, alla semplicità, alla confidenza, ch'erano le virtù predilette dalla Confondatrice. Ella aveva una
particolare inclinazione per la Madonna Bambina. La invocava spesso, cercava di riprodurne le virtù, ne inculcava la devozione e l'imita303
zione. Trascriviamo un prezioso testo, che con singolare efficacia rivela la fisionomia mariana della Mantovani.
Nel mese di settembre ricorre la cara festa della natività di Maria; e
come la sua venuta rallegrò e rischiarò tutta la terra, così la sua ricorrenza conforterà ed illuminerà la povera anima nostra. Rallegriamoci
dunque ed uniamoci allo slancio della Chiesa nell'invocare e salutare
la celeste Pargoletta, proclamando la tutta pura, tutta bella, la gloria
di Gerusalemme, la letizia d'Israele e l'onore del popolo nostro.
Prepariamoci a ricevere le grazie della nostra liberalissima Regina,
con imitarne le sue belle virtù, specialmente la semplicità, l'umiltà e
la carità, che dovrebbero pur essere le virtù caratteristiche del nostro
Istituto ...
Oh! quanti benefici e favori ricevono in questi giorni tutti i devoti di
Maria Bambina! Forse ne avremo fatto anche noi la dolce esperienza;
e
6. [MADRE MARIA), La voce del Padre, l (settembre 1922) pp. 3-4.
7. In un lavoro di base, com'è il nostro gli «scritti» del personaggio
sono da
preferirsi alle testimonianze e ai commenti.
siccome abbiamo sempre bisogno di nuove grazie, così sempre dobbiamo ricorrere a Colei che è il canale d'ogni grazia, la stella del mattino, la porta del cielo e la causa della nostra allegrezza. Con le persone di questa terra possiamo giustamente temere di essere importune con le nostre replicate istanze; ma rivolgendoci a Maria, escludiamo affatto ogni timore, anzi andiamo a lei con il cuore dilatato da
filiale confidenza e da certa fiducia.
Allora troveremo la nostra buona Madre con le braccia aperte per accoglierci, sempre disposta ad ascoltarci e ad esaudirci. È sì grande il
desiderio che ha Maria di beneficarci, che ella si tiene offesa, non solo da chi pecca, ma anche da chi non la chiama in aiuto e da chi mai
le domanda grazie. Ecco quanto è grande la bontà e la tenerezza del
suo Cuore. Come dalle mani dei bambini si può facilmente avere ogni cosa, così noi dobbiamo strappare dalle manine della celeste Infante molte grazie, non solo per noi, ma ancora in favore di tutti quelli che amiamo.
304
La Madonna Addolorata
Il mese di settembre celebra pure la Madonna dei Dolori. Maria
Bambina ha portato la gioia al mondo, perché da lei nacque il Redentore. Proprio in quanto madre del Redentore e dei redenti, la Madonna ha sofferto inenarrabili pene. La nostra vita soprannaturale è sbocciata sul Calvario, quando la Corredentrice assisteva alla morte del
Figlio.
La devozione alla Madre dei Dolori crebbe nel cuore della Mantovani con l'entrata in convento di suor Pia Ruffo. Costei, fin da bambina,
fu molto devota dell'Addolorata. Compassionando la Vergine ai piedi
della croce, la Ruffo apprese il grande valore della sofferenza espiatrice. Le denominazioni «dell'Addolorata» e «dell'Immacolata», date
dal Padre Fondatore alla maestra delle novizie e alla
8. (MADRE MARIA), La voce del Padre, l (agosto 1922) p. 4.
9. Di suor Pia Ruffo e della sua devozione all'Addolorata abbiamo
parlato
precedentemente, pp. 130-134.
prima suora, ne esprimevano l'insigne spiritualità mariana. Due nomi,
due vocazioni, due tesori, che, messi insieme, moltiplicarono la ricchezza di ciascuna. Suor Pia, accanto alla Confondatrice, divenne più
devota dell'Immacolata; la Mantovani, dell'Addolorata.
Per lo zelo di madre Maria, la devozione alla Vergine Addolorata
della compianta maestra di noviziato, veniva alimentata in tutta la
Congregazione. La Madre infatti esortava le suore a compatire «con
filiale tenerezza» gli acerbi dolori della Madonna; «tanto più» diceva
«che anche noi abbiamo contribuito ad aumentarle gli affanni e ad
accrescerne le pene ogni volta che abbiamo offeso Gesù». La compassione e la
riconoscenza alla «pietosissima Corredentrice», «alla Regina dei
martiri, che con tanta generosità prese parte a tutte le pene di Gesù e
con tanto amore ci accettò per suoi figli ai piedi della croce, arrecano
immensi vantaggi spirituali. Compiaciuta per la tenerezza delle figlie, la Madre celeste otterrà loro da Dio un sincero dolore dei pecca-
305
ti, un amore ardente per Gesù, una viva brama di patire per rendere in
qualche modo amore per amore, e finalmente una santa morte.
Una santa vita, una santa morte: ecco, in compendio, i frutti della devozione a Maria. Tali furono appunto la vita e la morte di suor Pia
Ruffo. Poco dopo il pio transito di costei, suor Borromea Coltro venne a Castelletto. Madre Maria la condusse nella stanza ove la maestra
delle novizie era spirata. «Sai» disse «che suor Pia ha proprio visto la
Madonna?». Nel dire questo «era raggiante di gioia»; e aggiunse:
«Anche noi, in cielo, la vedremo la Madonna!»
10. (MADRE MARIA), La voce del Padre, 1 (agosto 1922) p. 4.
11. Testimonianza di suor Borromea Coltro.
Per Mariam ad Jesum
La devozione alla Madonna porta alla conoscenza e all'amore del
Salvatore. Per mezzo di lei, Gesù è giunto a noi; per mezzo di lei, noi
arriviamo a Gesù. Le anime illuminate sanno per personale esperienza che la via regale della Madonna, la «via della Madre», è la più
breve, la più sicura, la più facile per andare a Dio.
Madre Maria Mantovani viveva il suo grande amore alla Madonna in
rapporto al Salvatore e alla santità. Andava spesso dalla Madre per
essere portata al Figlio, per essere meno indegna del Figlio.
Anche il mese di Maria era vissuto in questa prospettiva cristologica.
Maggio preparava giugno; e se tanto facevano le suore per ossequiare la celeste Regina nel mese a lei consacrato, quanto più dovevano
onorare il Divin Cuore, «tutto amore per noi», principalmente nel sacramento dell'altare."
I due grandi doni di Dio, la Madonna e l'Eucaristia, attiravano il cuore della Confondatrice, riempivano la sua giornata, costituivano la
sua ricchezza. Anche le figlie dovevano ricorrere a questo inesauribile tesoro. Per mezzo di Maria, esse trovavano Gesù che, nel tabernacolo, si presenta come centro di attrazione e quale modello di tutte le
virtù religiose. All'inizio dell'anno 1915, la Madre scriveva presentando il nuovo «calendario»:
306
Abbiamo chiuso l'anno ai Piedi dell'Immacolata di Lourdes; e qui, in
questa cara Grotta," del tutto simile a quella di Massabielle, abbiamo
deposti i cuori nostri e vostri, perché la Mamma nostra celeste li custodisca puri ed immacolati nel tempo e per l'eternità. Ora, con santo
fervore ed entusiasmo, incominciamo il 1915, dandoci con Maria
Immacolata, interamente e totalmente, a Gesù vivo e vero nella
12. Circolare del 21 maggio 1915.
13. La Mantovani parla della Grotta di Lourdes, eretta presso la Casa
Madre, ch'era stata inaugurata da poco, il 13 dicembre 1914.
santissima Eucaristia. La nostra vita si consumi nella preghiera, nel
lavoro, nel sacrificio, sempre alimentata dal Pane celeste che forma i
santi ed i martiri. Apprendiamo continuamente dal tabernacolo l'amore e la pratica dell'obbedienza, della povertà, della castità; impariamo
dal santissimo Sacramento l'amore e la pratica dell'umiltà, della carità, della pazienza, della mansuetudine, della rassegnazione, della fortezza,
d'ogni Più bella virtù.
Noi religiose dobbiamo trovare la nostra delizia, il nostro paradiso,
nel sacramento dell'altare, perché è qui che Gesù ha esaurito l'immensità del suo amore.
L'augurio sincero, ardente, che vi porgo nel presentarvi il calendario
del 1915, è questo: che vi consumiate nell'amore a Gesù sacramentato, che in questo sacro fuoco accendiate tutti, specialmente la tenera
gioventù e l'umanità sofferente; che Maria Immacolata, la perfetta
adoratrice dell'Eucaristia, insegni a voi e a noi ad amare sempre Più
Gesù, non a parole ma con i fatti: facendo cioè tutto per dargli gusto,
osservando esattamente la Regola, specialmente nelle cose piccole, e
vivendo giorno per giorno come se fosse l'ultimo di nostra vita,"
14. Ordine dei quotidiani esercizi che si fanno tanto in Casa Madre
quanto in tutte le case filiali
dalle Piccole Suore della Sacra Famiglia per l'anno corrente 1915,
pp. 3-4.
307
CAPO TERZO
L'IMMACOLATA
Allorché il servo di Dio don Nascimbeni entrò in Castelletto, la devozione alla Vergine Immacolata era già in atto da tempo. Vi fu introdotta, con giovanile entusiasmo, dalla congregazione delle Figlie
di Maria: di essa l'Immacolata è patrona, modello e ispiratrice. L'8
dicembre era atteso come una delle date più festose. E quando le giovani del paese, quasi tutte iscritte alle Figlie di Maria, si radunavano
in chiesa avvolte nella divisa bianca e azzurra, e pregavano e cantavano, correva nell'aria un'ondata di candore e di primavera, anche
quando la natura spoglia stava entrando decisamente nel rigore
dell'inverno.
Per il bene di tutti i parrocchiani, ma soprattutto a protezione e scuola
della gioventù femminile, il Nascimbeni dette incremento alla devozione della Madonna Immacolata. Nel primo anno della sua elezione
a parroco, fece acquisto del quadro: «l'anno dopo, 1886, ordinò la
statua dell'Immacolata allo scultore Dal Maggio, tanto pio, che da
quando il legno assumeva la figura da rappresentare, lavorava a capo
scoperto; dalla maestra d'Engazzà fece approntare abito e manto festivo e feriale: e poi comperò un cuore d'argento, entro cui poneva i
nomi di tutte le figlie».
1. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 84.
La Mantovani e l'Immacolata
Il primo ad esser posto nel cuore d'argento, fu il nome di Domenica
Mantovani. Anzi, il giorno stesso in cui venne inaugurata la statua,
1'8 dicembre 1886, la giovane emise ai suoi piedi il voto di verginità
assistita dal parroco confessore. E da allora sino verso la fine del
gennaio 1934, cioè quasi per cinquant'anni, la Mantovani si raccolse
spesso ai piedi della dolce statua.
L'Immacolata divenne la «sua» Madonna. A lei la giovane affidava
tutta se stessa: la vita, la vocazione, i bimbi e la gioventù del paese, e
anzi tutto le Figlie di Maria. Divenuta suora, mise nelle mani
308
dell'Immacolata le consorelle, l'Istituto, le opere dell'Istituto. E man
mano che aumentavano le figlie e le filiali, crescevano pure i ricorsi
alla celeste Protettrice. Questi divennero ancor più frequenti da
quando la statua dell'Immacolata passò, dalla chiesa, nello studio della Madre Generale. Ignoriamo la data del fatto e per qual privilegio
madre Maria ottenesse un tanto dono. È certo che l'avvenimento incise profondamente nella vita mariana della Cofondatrice.
Filiale ricorso
La Regina Immacolata adesso era lì e guardava per molte ore della
giornata la figlia, la quale ricorreva a lei con illimitata confidenza e
candore.
Ricorreva per raccomandare se stessa, anzi tutto. Le narrava le pene,
esponeva i bisogni, chiedeva d'essere illuminata per assolvere bene i
doveri di Superiora Generale. Raccomandava le
2. «Prometto di pregare sempre con fervore e con una fede sempre
Più viva e grandissima
confidenza nella Vergine Immacolata»: 21 giugno 1917 (Propositi, I,
p. 58). «La fiducia della
Madre nella Vergine era illimitata. Nelle sue pene, nei suoi bisogni,
ricorreva sicura
alla Madonna e insegnava a fare altrettanto»: Testimonianza di suor
Borromea Coltro.
suddite, insistentemente, con cuore di figlia e di madre. Non erano
anche loro figlie della Madonna? La Madonna era dunque tenuta a
prenderle sotto la sua protezione.
Quando «aveva qualche persona cara, che la Madonna Immacolata
doveva proteggere e tener stretta sotto il suo manto», madre Maria
«ne scriveva il nome sopra un pezzo di carta, che appendeva al vestito bianco della statua», sovente all'altezza del cuore. «Madonna»
supplicava, «la raccomando a Te. Sàlvala, per pietà!», E il nome restava appeso, fino a che non era ottenuta la grazia.
Alla Vergine Immacolata la Mantovani raccomandava le opere del
Fondatore, la parrocchia e la gioventù del paese. Scriveva al Padre
nel marzo del 1915:
309
Carissimo Padre: Da un po' di tempo sento l'ispirazione di pregare la
veneranda nostra Vergine Immacolata, perché ci suggerisca un mezzo per ottenere in parrocchia, specialmente dalla gioventù, un perfetto silenzio e rispetto nella casa di Dio. Che la Madonna ci faccia questa grazia?
Tutto e tutti la Cofondatrice affidava all'Immacolata: il Padre Fondatore, le figlie, l'Istituto, la parrocchia di Castelletto... Accanto alla
Mediatrice universale, a sua volta, la Mantovani diventava mediatrice di grazie. In tal modo giovava alla Casa Madre, al paese, all'intero
Istituto, più che con la scienza e le risorse umane.
«lo ce l'ho la compagnia»
Sotto lo sguardo dell'Immacolata la Mantovani si trovava bene. La
lunga consuetudine e l'esperienza mille volte fatta sulla sollecita bontà della sua Avvocata avevano dilatato il
3. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 37-38.
4. Propositi, I, p. 44.
cuore della figlia, che spesso si perdeva in quello della Madre. Accanto alla statua della Madonna le ore passavano liete, il colloquio
interiore si faceva più intenso e riposante. La Madonna introduceva
la Cofondatrice nei segreti dell'orazione infusa, ove l'anima s'incontra
direttamente con Dio.
Le suore che vissero accanto alla madre Mantovani attestano la sua
filiale tenerezza per la Vergine Immacolata.
La vedevano spesso prostrata davanti alla statua che teneva nello
studio, «come un angelo in preghiera»; «contemplava la sua bella
Madonna»," «era sempre assorta con la sua Madonnina». Recitava
sovente il rosario; e se qualche suora sopraggiungeva, «ora finisco
questo» diceva mostrando la corona, «poi ti ascolto»." «Parlava sempre con la Madonna.
Ai suoi piedi preparava i piani, metteva a posto le cose, governava la
Congregazione»."
La suora assistente delle orfanelle, più volte al giorno, veniva dalla
Madre per parlare delle bambine. Quando bussava e non le veniva
risposto, apriva pian piano per vedere se la Madre c'era... Non di rado
310
la trovava immobile, profondamente raccolta, con le mani giunte e
gli occhi fissi sul volto dell'Immacolata.
Se i doveri non l'avessero richiesta altrove, la Cofondatrice non si sarebbe staccata mai dalla «sua» Madonna, tanto era dolce e santificante lo stare con lei. E allorché una suora, vedendola sempre sola nello
studio, la invitava ad andare nella sala comune, la Madre rispose: «lo
ce l'ho la compagnia», e additò la statua dell'Immacolata.
5. Testimonianza di suor Radegonda Tengattini, entrata nel 1910.
6. Testimonianza di suor Teresa Biasiolo.
7. Testimonianza di suor Eletta Marini, entrata nel 1902.
8. Testimonianza di suor Pasqua Faccioli, entrata nel 1907.
9. Testimonianza di suor Alessia Feller.
10. Testimonianza di suor Adina Petroselli.
11. Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.
«La Madonna ti aspettava»
Una sera la Confondatrice si trovava nel suo studio. All'improvviso
entrò una suora, sgomenta, dicendo: «Madre, non sa che suor N. N.
non si trova più? L'hanno vista correre per i campi come una disperata». Madre Maria, «calma», guardò la Madonna, poi rispose «con tutta tranquillità»: «Va', stai tranquilla: la Madonna ci penserà a farla
tornare. Non sai che la Madonna è la mamma delle suore birichine?».
Passati pochi minuti, la fuggitiva entrò, si gettò in ginocchio davanti
alla Superiora, scoppiando in dirotto pianto. «Madre» supplicò, «mi
perdoni: il diavolo m'istigava a scappare, ma non lo farò più». «La
Madre buona», sorridendo, disse: «Lo sapevo che saresti tornata,
perché la Madonna ti aspettava»."
Mater virginum
Una cosa, sopra tutte, stava a cuore alla Madre Confondatrice: la purezza delle sue figliuole. Quand'era in mezzo al mondo, direttrice
delle Figlie di Maria, le esortava a frequentare i sacramenti e a porre
il delicato fiore sotto la protezione della Vergine. In convento, ove
Dio le mandava tante giovani illibate, la Mantovani intensificò il suo
apostolato liliale. Sotto il manto dell'Immacolata ella stessa s'era ri311
fugiata più volte durante le tempeste, che conobbe tanto nel secolo
che da religiosa. All'Immacolata, di continuo, affidava la purezza
delle figlie. Purché non venissero meno nel glorioso combattimento,
la Madre era disposta a tutto, e intanto pregava e si mortificava.
Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di fare ogni giorno 15
12. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.
croci per terra, ad onore dei 15 misteri del rosario, perché Maria santissima non permetta mai a nessuna suora del nostro Istituto che offenda anche minimamente la bella virtù. A questo fine aggiungo che,
sentendomi sete, aspetterò un poco a bere,"
Alla scuola di Maria Immacolata, la Confondatrice allevò generazioni e generazioni di vergini, prudenti come serpenti, semplici come
colombe. La loro umile riservatezza e il loro candore, più delle parole, hanno suscitato in moltissimi cuori il fascino delle vette incontaminate.
13. Propositi, I, p. 34.
CAPO QUARTO
LA B. VERGINE DI LOURDES
Nel primo decennio del secolo ricorsero due date memorabili per la
storia mariana dei nostri tempi. Alludiamo alle feste cinquantenarie
della definizione dommatica dell'Immacolata (1904) e a quelle delle
apparizioni di Maria a Lourdes (1908).
A Castelletto sul Garda le due ricorrenze furono celebrate con grande
solennità e fervore. Il parroco don Nascimbeni, per devozione alla
Madonna e per il bene spirituale dei parrocchiani, si adoprò con straordinario zelo per la buona riuscita delle celebrazioni. Nel dare compimento alle molteplici iniziative venne aiutato, come sempre, dalle
sue figlie spirituali. Con a capo la Confondatrice, le suore contribuirono a preparare le feste e presero parte a tutte le funzioni, edificando
il paese con la loro pietà mariana.
312
Le celebrazioni cinquantenarie dell'Immacolata si svolsero dal 29
agosto al 12 settembre del 1904; quelle lourdiane ebbero luogo dal
13 al 18 agosto del 1908. Lo svolgimento delle feste religiose e le
manifestazioni folcloristiche e ricreative sono descritte dettagliatamente nel programma che il parroco fece stampare, ad utilità dei partecipanti e «a perpetua memoria dei posteri».
Alte personalità ecclesiastiche, chiamate per la circostanza, resero
più solenni le principali funzioni. I corsi di predicazione
1. Feste cinquantenarie della dogmatica definizione di M aria Vergine Immacolata in
Castelletto di Brenzone sul Garda dal 29 agosto al 12 settembre
1904, Verona, G. Marchiori,
1904; pp. 8. Il programma e la cronaca dei festeggiamenti del 1908
sono presentati sul
Nazareth, nei numeri di agosto e settembre di quell'anno.
generale, le conferenze agli stati particolari, le molte messe, le comunioni generali, le ore di adorazione con il Santissimo esposto e le
ore di preghiera davanti alla Madonna, le processioni lungo le vie del
paese con le statue dei patroni ... tutto convergeva al fine principale
che il Servo di Dio aveva già segnalato: «Purificate le vostre anime
dalle macchie delle colpe, riconciliandovi nel sacramento della penitenza; accostatevi poi a pascervi delle carni immacolate dell'Agnello
Divino nella santa comunione, e godrete così di partecipare a questa
comune letizia della Cattolica Chiesa».
Il convito sociale cui presero parte i capifamiglia e i giovani del paese, le musiche della banda, le luminarie serali, le regate sul lago e i
fuochi artificiali contribuirono potentemente a rendere più piena la
«comune letizia». In quei giorni, sotto gli auspici della Madonna
Immacolata, gli abitanti di Castelletto e dei loro paesi limitrofi si sentirono più vicini a Dio e più affratellati tra loro.
A conclusione dei festeggiamenti tanto del 1904 che del 1908, noleggiato un piroscafo, il Servo di Dio condusse i
parrocchiani ai piedi della Madonna del Frassino in Peschiera. Il devoto pellegrinaggio doveva ricordare, anche per il futuro, gli impegni
presi con la gloriosa Regina. Ma il dono più prezioso, offerto all'Immacolata come candidi «gigli, olezzanti di celestiale fragranza», era313
no le giovani che avevano vestito, proprio in quei giorni festosi, la
divisa delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.
La Grotta
Le feste cinquantenarie lourdiane propagarono, in Castelletto, la devozione alla Bianca Signora dei Pirenei. Tutti gli anni, il 15 di agosto, veniva solennemente commemorata la
1. Feste cinquantenarie, p. l.
2. Memorie del nostro Istituto, c. 10, p. 18.
B. Vergine di Lourdes. In felice sintesi, il Servo di Dio congiungeva
la festività dell' Assunta a quella dell'Immacolata. I due misteri, che
segnano l'alba e il tramonto della giornata terrena della Madre di Dio,
si richiamano a vicenda completandosi. Perché immacolata nel suo
concepimento, la Madonna non soggiacque alla corruzione sepolcrale, ma venne assunta in cielo con l'anima e col corpo glorificato.
A rendere più sentita la devozione alla Vergine di Lourdes e per
scongiurare i pericoli della guerra, mons. Nascimbeni pensò di erigere la Grotta, tra la chiesa parrocchiale e il convento. I parrocchiani e
le suore, i figli e le figlie, che da più di vent'anni eran uniti assieme
nel cuore del Servo di Dio, assieme si sarebbero ritrovati ai piedi
dell'Immacolata.
Quando fu posta la prima pietra, i tempi erano calamitosi. Da poche
settimane l'Austria aveva mosso guerra contro la Serbia, e tutta l'Europa stava per essere trascinata nell'immane sciagura. Il papa S. Pio
X, dopo aver inutilmente scongiurato il flagello, moriva affranto il 20
agosto del 1914. Pochi giorni prima Castelletto fu colpito da un tremendo nubifragio, con tempesta e folgori. Sembrava il diluvio: distrutti i raccolti, campi devastati, affogato gran parte del bestiame, le
abitazioni danneggiate dall'acqua che alterò vino, olio e altri prodotti
alimentari. Fortunatamente non si lamentarono vittime umane. «Nessuno può immaginare il terrore, la costernazione, lo spavento di questa popolazione che non ebbe mai a vedere una simile catastrofe».
Sette giorni dopo il disastro, il 23 dello stesso mese, mons. Giuseppe
Nascimbeni benediceva la prima pietra della Grotta. Dopo le notizie
314
storiche del momento, menzionate le autorità religiose e civili, la
pergamena di rito prosegue:
... viva e presente la Superiora Generale di questo Pio Istituto della
Sacra Famiglia, presenti tutte le suore residenti qui a Casa Madre ... a
perpetua memoria della solenne cerimonia compiuta in questo momento a gloria della
4 Nazareth, 9 (agosto 1914) p. 7.
B. Vergine di Lourdes, per la quale si sta erigendo una grotta identica
alla grotta di Lourdes, quale monumento dimostrante l'intenso alletto
che le Piccole Suore della Sacra Famiglia, con a capo il loro veneratssimo Padre Superiore mons. Nascimbeni, sentono verso la Vergine
Immacolata.
In questa pergamena e sotto questa prima pietra poniamo i nostri
cuori, unitamente ai cuori di tutte le nostre suore, presenti e future ...
Sia l'Istituto nostro come roccia incrollabile; sii Tu, o Vergine Immacolati, la nostra Protettrice, sempre, ma specialmente in questi tempi
calamitosi, e fa che tutto il nostro Istituto e tutta questa parrocchia ne
esca incolume.'
L'inaugurazione
I lavori furono eseguiti alacremente. In tre mesi la Grotta era pressoché ultimata e pronta per l'inaugurazione. Questa venne fissata per il
13 dicembre dello stesso anno, seconda domenica del mese. Il Nazareth dedicò all'avvenimento un numero unico," sul quale il Trecca
descrive il luogo, la Grotta e la statua della Vergine.
Il p. Benedetto, minore, con fedeltà di copista, con sentimenti d'artista, con amore di figlio, preparò l'ambiente: una grotta magnificamente imitata sorge a nove metri d'altezza a fianco della chiesa, tra
un boschetto e il convento delle suore: è un monticello sul pendio del
monte, che tra il bianco dei muri, il verde del bosco, e la varietà dei
fiori, dà l'impressione rude d'una roccia scoscesa e brulla, conchiglia
che meglio faccia spiccare sull'antro buio, la perla racchiusa. E la
perla è Maria. Bianca statua di marmo, pregiata opera dello scultore
Marzotto di Vicenza. Ella s'affaccia alla nicchia soavemente rivolta
al cielo, e ai suoi piedi si stende l'altare nel Cui parapetto
un ben inteso bassorilievo ne esprime i trionfi.
315
L'inaugurazione fu preceduta da un triduo solenne, durante il quale le
suore e i fedeli sostarono a lungo davanti al Santissimo esposto. Alla
comunione generale del mattino tenne dietro il solenne pontificale
del Servo di Dio, dopo il
5. Nazareth, 9 (settembre 1914) pp. 7-8.
6. All'Immacolata di Lourdes nella sua nuova Grotta a Castelletto sul
Garda riprodotta
magnificamente dalla vera Grotta di Lourdes (13 dicembre 1914).
Numero unico; pp. 8.
[GIUSEPPE TRECCA], Lourdes a Castelletto, ivi, p. l.
quale, suore e popolo andarono processionalmente sul piazzale della
Grotta. Quando venne scoperta la statua, «fu un momento di commozione indescrivibile... parve di essere avvolti in un nembo di luce paradisiaca e di subire tutta la potenza del fascino arcano che rapì Bernardetta nella realtà della visione».
Nel primo pomeriggio ripresero il suono festoso delle campane, le
preghiere e i canti. Dal campanile, lungo i viali e attorno alla Grotta
sventolavano bandiere e pendevano lampioncini alla veneziana; un
potente fascio di luce avvolgeva, con insistente tenerezza, la bianca
statua della Madonna. I canti delle ragazze e delle suore scandivano
la processione «aux flambeaux». Si aveva l'impressione d'essere a
Lourdes: la voce sommessa del Garda sembrava ripetesse quella del
Gave. «Era uno spettacolo nuovo, meraviglioso, incantevole, che faceva dimenticare la terra e ci inebriava delle più pure e sante gioie
celesti».
Passò la festa. Rimase la dolce figura dell'Immacolata, seminascosta
nel cavo della roccia, invitante, accogliente. Di là ella continua a
guardare, a sorridere, a benedire. «Guarda, sorride, benedice a questi
monti che coronano il lago, a questo paesello incantevole, alla nostra
Casa Madre di cui sarà la vigile scolta, la potente Protettrice». Il suo
sguardo, «pieno di amore», va oltre Castelletto ed abbraccia tutte le
316
case filiali: «le fonde e le stringe in un solo spirito, e le protegge come Madre e Regina».
Pellegrinaggi e grazie
La costruzione della Grotta aumenta il prestigio del paese e segna
una svolta nella spiritualità mariana dell'Istituto. D'ora
8. Nazareth, 10 (gennaio 1915) p. 2.
9. Ivi, p. 3.
10. ivi.
in poi la testata del Nazareth, assieme alla Sacra Famiglia, riproduce
la Vergine Immacolata di Lourdes. Gli abbonati e i lettori sono invitati a venire a Castelletto, ai piedi della Bianca Signora che accorda
le grazie ai suoi devoti, come sulla riva del Gave.
La gente del paese e della riviera accorre. «La cara Vergine Immacolata non è mai sola» afferma il Nazareth, poco dopo l'inaugurazione;
«dalla mattina alla sera ci sono persone a visitarla, a pregarla, ad onorarla, anche forestieri; basta celebrare una santa messa alla Grotta
o fare altre funzioni, perché il piazzale sia gremito di gente»."
Cominciano i pellegrinaggi. Da Desenzano, da Padenghe, da Torri
del Benàco, in piroscafo e per terra, vengono i primi. Li accompagnano i rispettivi parroci che celebrano e comunicano presso la Grotta, ove l'attesa dei pellegrini è pienamente appagata. Qui la Madonna
pare più vicina che altrove, il luogo è delizioso, ospitali le suore. I
venuti passano la voce ed aumentano il concorso dei devoti visitatori.
Pertanto il Nazareth rende note, mensilmente, le numerose grazie attribuite all'intercessione della Bianca Signora. Molti aderiscono alla
confraternita dell'Immacolata di Lourdes, che mons. Nascimbeni
fondava subito dopo l'inaugurazione della Grotta, ottenendo l'aggregazione all'arciconfraternita primaria di Lourdes con diploma del 10
gennaio 1915.
I quindici quadri del rosario a destra della Grotta, a sinistra le stazioni della «Via crucis» con l'edicola dell'Addolo-rata che tiene sulle ginocchia il Cristo morto, l'organo e le campane tubolari per l'Ave Maria tre volte al giorno, rendon ancor più devota la cittadella della Madonna; mentre la scala santa in marmo carrarese, benedetta dal Servo
317
di Dio nella Pentecoste del 1915 ed arricchita da Benedetto XV di
«particolarissime e specialissime indulgenze», 13 accresce i frutti
spirituali dei pii pellegrini.
11. Nazareth, 10 (aprile 1915) p. 2.
12. Il Nazareth. del gennaio 1915, pp. 7-8, pubblica lo statuto della
confraternita.
13. Nazareth, 10 (luglio 1915) p. 1.
La devozione delle figlie ...
Ad approfittare della presenza di Maria Immacolata con maggior istanza sono le suore. La Bianca Regina è a pochi passi, ospite desideratissima del loro giardino. Più volte al giorno esse vengono ai suoi
piedi, da sole o collegialmente. In determinati periodi dell'anno, come nel mese di maggio e di ottobre, permettendolo la stagione, molte
pratiche di pietà sono fatte sul piazzale, davanti alla Grotta illuminata. Fino dagli inizi della vita religiosa, le probande e le novizie si abituano ad intrattenersi spesso a colloquio con l'Immacolata di Lourdes, e ciò imprime un particolare orientamento alla loro vita spirituale.
Tutti gli anni, quando verranno a Castelletto per gli esercizi, le Piccole Suore si prostreranno davanti alla Bianca Signora della loro giovinezza, che le aiutò potentemente a vincere se stesse, a superare tentazioni e scoraggiamenti.
.... e della Madre
Nell'onorare la Madonna di Lourdes, la Cofondatrice dava l'esempio.
Nessuna, al par di lei, aveva incoraggiato l'iniziativa del Fondatore,
onde avere presso la Casa Madre l'ambito tesoro. «Come la vidi felice» attesta una suora, «quando iniziarono i lavori per la costruzione
della Grotta! Ne godeva con la semplicità d'una bambina, e credo che
il giorno dell'inaugurazione sia stato per lei un giorno di paradiso»."
La Grotta divenne, per madre Maria, un centro d'attrazione, un luogo
di sosta e di ripresa spirituale. Vi andava spesso, più volte al giorno.
La visita alla Madonna di Lourdes era una delle prime, dopo le prati318
che del mattino. Per abbellire il caro santuario di luci e di candelabri
preziosi, la Mantovani non
14. Testimonianza di suor Borromea Co1tro.
badò a spese e sollecitò la collaborazione delle case filiali. «Voleva
che nulla mancasse» nella Grotta, ove «teneva i fiori freschi a tutte le
stagioni»." Rammentando le sue felici esperienze, ripeteva alle suore:
«Vedete quella Madonna? Guardatela e andate spesso a trovarla»."
Ella stessa conduceva le orfanelle. Prive della mamma terrena, le
piccine avevano diritto, più d'ogni altro, alla protezione della Madre
del cielo. Esse andavano alla Grotta a pregare per quanti facevan loro
del bene. Da molte parti giungevano offerte per tridui e novene alla
Madonna di Lourdes, cui le orfanelle soddisfacevano recitando rosari
e
cantando le litanie lauretane. Ai piedi dell'Immacolata, la carità materiale dei benefattori era contraccambiata, tutti i giorni, dalla carità
spirituale delle innocenti.
La Confondatrice dette nuovo impulso al culto della Beata Vergine
della Grotta, quando tornò da Lourdes." Il soggiorno nella città
dell'Immacolata la entusiasmò. In particolare ella rimase colpita dalla
processione e dai canti serali, che hanno luogo sulle rampe e nella
piazza del santuario. Di ritorno a Castelletto, volle introdurre la suggestiva manifestazione; e tutte le sere, orfanelle, novizie e suore, movendo in devota processione sul piazzale della Grotta, cantavano la
bontà e le glorie dell'Immacolata.
Un'aureola d'oro e di perle
Una delle circostanze, che indussero a sollecitare l'erezione della
Grotta di Lourdes, fu la guerra. Con quest'atto di omaggio alla Madonna si voleva scongiurare per l'Italia la fatale sciagura, o per lo
meno s'intendeva ottenere, nella
15. Testimonianza di suor Eletta Marini.
16. Testimonianza di suor Damiana Mondin, entrata nel 1906.
17. La Mantovani andò due volte a Lourdes, nel giugno del 1914 e
nell'agosto del 1931.
319
tremenda congiuntura, la protezione della Vergine sulle persone che
le verrebbero raccomandate.
Quante preghiere, in verità, furono fatte durante gli anni spaventosi
del conflitto, e quante grazie ottenute! Pregavano le suore, per l'Istituto, per i propri parenti, per il mondo; pregavano le orfanelle, prostrandosi, più volte al giorno, ai piedi della Regina della pace. Da
ogni parte venivano richieste preghiere per i congiunti che combattevano al fronte.
Passato l'uragano, cessati i giorni delle trepidazioni e delle tribolazioni, nel comune tripudio della pace riconquistata, era doveroso
rendere omaggio a Colei che, nei giorni tristi, era stata la stella della
speranza, la consolatrice dei tribolati. «Noi abbiamo una prova tangibile» scriveva la Madre Confondatrice, «che chi si affida interamente
a Maria e pone in essa tutta la sua fiducia, può star sicuro di essere
difeso e salvato ... Quante madri, quante spose, quante figlie, nel corso di questi anni, fecero ricorso alla nostra taumaturga Signora con
novene, con sante messe e preghiere, e furono esaudite; ebbero, cioè,
la grazia di veder tornare sani e salvi i loro cari ... Che cosa offriremo
per tante grazie?»:"
"Fu decisa l'incoronazione della Madonna di Lourdes, sul cui capo
verrebbe posta un'aureola tutta d'oro, riccamente adorna di perle preziose, portanti la scritta: lo sono l'Immacolata Concezione. Si volle
inoltre provvedere una splendida illuminazione del santuario per le
festività più solenni dell'anno.
Per far fronte alle spese, la Madre sollecitò la collaborazione delle
suore e dei loro parenti, il Servo di Dio si rivolse con lettera circolare
ai parrocchiani," insigni benefattori concorsero con offerte cospicue.
La domenica del 18 luglio 1920 i comuni voti furono adempiuti. Una
solenne novena aveva preceduto la festa del ringraziamento alla Regina della pace. Le suore s'eran preparate con un corso di esercizi e
con particolari funzioni serali,
18. Circolare del 22 febbraio 1919,
19. La lettera del Servo di Dio è pubblicata sul Nazareth, 14 (marzo
1919) p, 4,
320
ma per tutta la novena il convento e i luoghi adiacenti al santuario
rimasero imbandierati e illuminati. Gli ultimi tre giorni furono dedicati all'adorazione eucaristica.
Trascriviamo una parte della cronaca di queste celebrazioni, stesa per
il Nazareth. Fu scritta da un sacerdote di Castelletto, rimasto lontano
dal paese per sei anni a servire la patria. Più volte in guerra egli uscì
illeso da gravi pericoli, invocando la B. Vergine di Lourdes.
Tutto il popolo di Castelletto era invitato ad accorrere in pellegrinaggio al santuario, per commemorare l'ultima apparizione della Vergine
a Bernardetta," ed a questo devoto pellegrinaggio dovevano partecipare in ispirito i 125 paesi dove sorgono le case filiali del pio Istituto
della Sacra Famiglia. Una festa di cuori adunque, riuniti in bell'armonia ai piedi della Grotta dell'Immacolata.
E il popolo, accorso numeroso fin dalle prime ore del mattino, per
accostarsi devotamente alla mensa eucaristica, fissando i suoi sguardi
su la Bianca Signora, la vedeva più bella e più radiosa.
Portava infatti la Vergine intorno al capo una preziosa aureola d'oro
finissimo, ricca di molti brillanti, con la scritta: lo sono l'Immacolata
Concezione; mentre ai suoi piedi sorgeva un magnifico candelabro di
bronzo, a tre braccia, sorreggente tre lampade destinate ad ardere perennemente dinanzi alla Taumaturga di Lourdes per eternare, nella
triplice fiamma, il suffragio ai caduti nella terribile guerra, la riconoscenza dei reduci, la gioia di tutti i cuori per il ritorno della pace.
Tanto l'aureola quanto il candelabro, inaugurati in quella circostanza,
dicevano eloquentemente la generosità di numerosi offerenti, e rappresentavano lo scioglimento di un voto fatto da tante anime buone
durante l'ansia della guerra: voto che le impegnava ad attestare, un
giorno, la loro gratitudine alla Vergine, regina della vittoria e della
pace, se ella avesse protetti i loro cari nel pericolo e li avesse infine
restituiti incolumi alle loro case."
20. L'anniversario dell'ultima apparizione (16 luglio) cadeva in venerdì e in quel giorno venne incoronata la statua della Grotta, ma i
festeggiamenti solenni furono rimandati alla domenica successiva.
321
21. ROTILIO BERTAZZOLl, Dinanzi al Santuario di Lourdes, in
Nazareth, 15 (luglio 1920) p.4.
L'11 febbraio a Castelletto
Da quando fu eretta la Grotta alla B. Vergine di Lourdes, il mese di
febbraio acquistò particolare importanza nel calendario delle Piccole
Suore di Castelletto. Fin dalle origini dell'Istituto, gennaio era dedicato alla Sacra Famiglia, marzo a S. Giuseppe: febbraio rimaneva
scoperto, poi ebbe pur esso il titolare, che fu appunto la B. Vergine di
Lourdes.
Questo mese era ardentemente atteso. Con i desideri ed i propositi, le
suore anticipavano gl'incontri che avrebbero avuto con la Bianca Signora della Grotta. «Noi andremo a gara in amarla ed onorarla, e lei
sempre tanto benigna e prodiga non mancherà di farci provare la sua
potenza e la sua tenerezza materna»."
Con straordinario fervore veniva celebrato l'11 febbraio, che ricorda
la prima apparizione della Vergine alla «fortunata Bernardetta». Era
preceduto da novena, durante la quale il popolo di Castelletto, le suore e le orfanelle si davano convegno sul piazzale della Grotta. Più ore
del giorno erano consacrate alla preghiera davanti al Santissimo esposto e davanti alla statua della Vergine Immacolata, poi avevano
luogo le funzioni serali, sempre suggestive e devote.
Nel giorno della festività la Grotta non veniva abbandonata. Messe,
comunioni, canti, preghiere, processioni... su piazzale e nei viali circostanti era un comune palpitar di cuori e di ceri. Le suore trovavano
la loro «gioia» e «felicità», nel passare la giornata davanti a quella
candida Immagine, in quella Grotta benedetta ove pare che Maria
dall'alto sorrida nel vedersi onorata e ossequiata dai suoi cari figli»."
Prima di congedarsi dalla Bianca Signora, suore e popolo I
rinnovavano la loro consacrazione e il loro impegno filiale.
22. Nazareth, 14 (gennaio 1919) p. 3.
23. Ivi, febbraio 1919, p. 3.
Fede e pietà
322
Quando venne, posta l'aureola alla miracolosa Immacolata della
Grotta, il 18 luglio 1920, l'Istituto stava attraversando tempi tristissimi. La salute della Cofondatrice era fortemente scossa; ammalata
era pure l'assistente suor Fortunata, mentre la maestra delle novizie,
suor Pia Ruffo, non lasciava il letto da un anno. Parecchie suore, alcune delle quali inguaribili, erano affette da tifo e da altre malattie
infettive. Le privazioni e gli strapazzi della guerra avevano compromesso gli organismi più delicati.
Soprattutto il Padre Fondatore teneva in pensiero la Congregazione.
Ormai non riusciva a riprendere l'antico vigore, e di giorno in giorno
cedeva al male irreparabile. A conclusione degli esercizi che si tennero nel giugno dello stesso anno, il diario della casa annota: «Il Padre ha benedetto le suore all'arrivo e alla partenza, ha dato loro da
baciare l'anello,ma non ha potuto, nemmeno questa volta, fare la lettura durante gli esercizi. Nessuno può descrivere la commozione delle suore nel vedere il Fondatore così impotente"
Seduto sulla carrozzella, egli passava lunghe ore davanti alla Grotta,
assorto in preghiera e in contemplazione. A quando a quando venivano le orfanelle, le più piccine, che con lui recitavano ad alta voce il
santo rosario. Accanto alle innocenti, lo spirito del Padre si sentiva
rinvigorire, anche se le forze venivano meno sempre più. Alla Madonna Immacolata egli affidava l'Istituto, le figlie, le orfanelle, la
parrocchia. In quanto a sé, come bambino fiducioso vicino alla Madre della buona morte, giorno dopo giorno, si disponeva al grande
passo.
Quando la Confondatrice si affacciava sul piazzale e vedeva il Padre
attorniato dalle bimbe, provava una forte emozione. Quell'innocenza
all'alba della vita e quella veneran24. Diario giornaliero dell'Istituto: 28 giugno 1920, p. 49.
da canizie ormai al tramonto, congiunte in preghiere davanti alla
Madre e Regina dell'Istituto, facevano fremere il suo grande cuore di
madre e di figlia. Quello che non riusciva a fare lei per le piccine e
per il Padre paralizzato, l'avrebbe compiuto la «cara e miracolosa
Immacolata di Lourdes». Perciò costantemente la pregava, e voleva
323
che la pregassero le suore, le orfanelle e tutta la Congregazione. Ella
stessa da tempo aveva promesso:
Procurerò di ossequiare la santissima Vergine Immacolata di Lourdes
il più possibile. Non trascurerò mai di recitare nei giorni festivi l'ufficio della B. Vergine. Ogni giorno farò il mio Piccolo pellegrinaggio
al suo santuario, recitando i cinque salmi del suo santissimo Nome.
Mi addormenterò con la corona del rosario, attorcigliata al braccio,"
La Vergine Immacolata di Lourdes è sempre più presente nel pensiero e nella vita della Confondatrice. A partire dal dicembre 1914, da
quando cioè fu costruita la Grotta, madre Maria parla di continuo
della Immacolata di Lourdes, della celeste Avvocata, della taumaturga Protettrice. Per tutti gli eventi che toccano l'Istituto, per qualsiasi
necessità di rilievo, la Madre invita le suore a ricorrere alla «nostra
cara Immacolata di Lourdes», a far violenza al suo cuore materno, a
strapparle la grazia. Quando poi il dono è ottenuto, scrive ancora alle
figlie, congratulandosi, quasi voglia significare: «Ve lo dicevo che la
nostra Madonna ci avrebbe esaudite»; e come prima di conseguire la
grazia indiceva tridui e novene alla «tenerissima Madre», così ora invita le suore ad esprimerle la dovuta riconoscenza.
Quando venne a mancare il Fondatore, la Confondatrice si strinse
maggiormente alla Madonna. La sua unione con Maria divenne, di
giorno in giorno, più cordiale, più continua e santificante. L'Immacolata collocata nello studio, la B. Vergi" Proponimenti degli esercizi di ottobre 1917: prop. 6 (Propositi, II,
p. 6).
ne della Grotta, assieme con il Tabernacolo e la tomba del Padre,
formavano il quadrilatero su cui posava e prendeva forza la condotta
santa di madre Maria.
Così ella visse ancora, per altri dodici anni. E parve che la Madre del
cielo volesse degnamente coronare la vita intensamente «mariana»
della figlia affezionata. La giornata terrena della Confondatrice delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia si chiuse la sera del 2 febbraio
1934.
324
In quello stesso giorno la Chiesa celebrava la Presentazione di Gesù
al tempio e la Purificazione di Maria, e a Castelletto aveva inizio la
novena in preparazione alla festa della B. Vergine di Lourdes.
325
PARTE SETTIMA
MADRE
326
«VOI SIETE LA VITA DELL'ANIMA MIA»
Con la semplicità e l'umiltà, le «testimonianze» celebrano la carità
materna di madre Maria Mantovani. Vi insistono con spontaneità e
soddisfazione, ricordano parole ed episodi, quasi rigustando le squisitezze di quella bontà inesauribile.
Appena una giovane varcava la soglia del convento con l'intenzione
di farsi suora, entrava subito nelle benevolenze della Confondatrice.
La Madre s'interessava di lei, e quando la carità lo suggeriva, anche
dei parenti di lei; la seguiva, probanda, novizia, suora, a Castelletto e
nelle case filiali. Si preoccupava della salute, studiava le inclinazioni
della figliuola, l'aiutava a correggersi, ad acquistare le virtù religiose;
voleva che fosse contenta per essersi data al Signore ed era felice
quando la suora era felice, triste e in pensiero se la vedeva angustiata:
«era come una mamma».
Quando occorreva, la Mantovani sapeva alzar la voce, voleva che «le
obbedienze fossero fatte come venivano ordinate»; e se una novizia o
una professa di voti temporanei non voleva sottomettersi ed era ribelle ai ripetuti richiami, la Madre, certo con rincrescimento, la licenziava. La fortezza, nella Superiora Generale, ci voleva: per sostenere
i temperamenti deboli, per piegare i forti. Nondimeno, la tenerezza
prevaleva sulla severità, e con la tenerezza andavano di pari passo la
sollecitudine e la comprensione.
L'apertura dell'orfanotrofio per bambine presso la Casa Madre apportò un nuovo arricchimento alla bontà materna della Confondatrice.
Le piccine, assieme alle suore malate, avevano la precedenza nel suo
grande cuore. La Madre, però, amava tutte le figlie. Per tutte aveva le
parole buone e i tratti materni. Anche i richiami e i comandi li faceva
con quella spontanea dolcezza, con quel senso di correttezza, che usano le madri con i figli.
«Voi siete la vita dell'anima mia»,' scriveva la Confondatrice quando
venne a mancare il Padre. Per le suore, per l'intera Congregazione, si
era prodigata per trent'anni. Ne passerà altri dodici, servendo e gui327
dando le figlie secondo lo spirito del Fondatore. Continuerà a lavorare, a pregare, a soffrire per esse sino alla morte. Soprattutto le amerà,
fortemente e soavemente, come una madre.
I [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (maggio 1922) p. l.
CAPO PRIMO
LE ORFANELLE
Per tutta la vita la Mantovani portò un grande amore all'infanzia. La
sua innata semplicità, l'innocenza custodita sino alla morte, la missione cui Dio l'aveva chiamata, perfezionarono questa particolare inclinazione per i piccoli. Quand'era ragazzetta, Domenica faceva da
mamma alla sorellina Maria e al fratello Andrea. Più tardi cominciò
ad ospitare in casa bambine e adolescenti, per iniziarle ai segreti del
cucito e del ricamo. Poi la chiassosa clientela crebbe. Bastava che la
Meneghina si facesse vedere in paese, che i bimbi l'attorniavano con
simpatia. Per tutto il tempo che trascorse nel mondo madre Maria
visse tra gl'innocenti. Ai bambini teneva lezioni di catechismo, insegnava a pregare e a ricevere con frutto i sacramenti, li ricreava con
quelle allegre festicciuole, che contribuiscono grandemente ad affezionare i piccoli cuori.
Nei primi anni della vita religiosa, la Mantovani continuò a fare per
la parrocchia quanto aveva fatto nel passato. In seguito aumentarono
le suore, le case e le preoccupazioni: la Confondatrice dovette ridurre
le attività che svolgeva in paese. A molte cose pertanto rinunciò,
seppure con rincrescimento, ma non volle togliersi la soddisfazione
di lavorare in mezzo ai bambini. Quando poi vennero accolte le prime orfanelle presso la Casa Madre, l'apostolato della Confondatrice a
favore dell'infanzia ebbe un orientamento decisivo.
Seguiva le piccole ospiti da vicino. Voleva sapere come stessero di
salute, s'informava sulla condotta e il profitto. Spesso andava in mezzo a loro: per esortarle al bene, per Correggerle amabilmente quando
sbagliavano, e perché la sua presenza riempisse il vuoto lasciato dalle
mamme e dai papà scomparsi. Quando le bambine la circondavano a
ricreazione o le facevano festa con canti e recite, la Madre si sentiva
al suo posto, quasi bimba felice in mezzo ad altre bimbe, innocente
328
tra innocenti, e consentiva e batteva le mani come loro, con spontanea partecipazione.
Le orfanelle dell'Immacolata
Ai tempi d'oro dell'Istituto, a Castelletto v'erano tre gruppi di orfanelle, diversi per numero e per divisa. Quelle «del SS. Sacramento» erano dodici quanti gli apostoli e andavano vestite in rosso con l'ostensorio ricamato in oro sul petto: le proteggeva il Padre Fondatore. Le
diciannove «di S. Giuseppe» erano sotto la giurisdizione di suor Fortunata Toniolo e portavano la divisa color marrone. Con velo bianco,
con veste bianca e fascia azzurra si vestivano le venticinque orfanelle
«dell'Immacolata»; di esse, in particolar modo, si interessava madre
Maria.
Le prime venticinque furono quelle che abbiamo visto giungere a
Castelletto il 5 novembre 1917, allorché l'Istituto celebrava le nozze
d'argento.
Ben presto le fanciulline - la più grande non arrivava ai sette anni diventarono «l'anima e l'allegria della casa». Crescevano «buone e
sane», ed erano tanto felici «sotto le ali materne della Bianca Signora»," loro principale protettrice. A custodire le innocenti, dopo la
Madonna, c'era la Madre Generale. Nessuno amava le piccole orfane
quanto lei.
Subito dopo le devozioni del mattino, la Madre saliva nel dormitorio
delle bambine che si alzavano allora. Chiedeva se avevano dormito
bene, e intanto le faceva inginocchiare sul
1. Del loro arrivo e della gioconda accoglienza si è parlato sopra, pp.
123-127.
2. Nazareth, 13 (gennaio 1918) p. 3.
lettino per la recita delle prime preghiere; alle più piccole insegnava
a mandare i baci all'Immacolata ch'era incastonata nella lettiera.
«E adesso tutte a mangiare» ordinava, e voleva che mangiassero
davvero. Se qualcuna era svogliata e ostentava disappetenza, la Madre ricoreva a certi suoi preparati, a base di decotti d'erbe, che ridonavano la voglia di mangiare anche alle più renitenti. Le bambine
dovevano nutrirsi bene anche a pranzo, alla merenda e a cena. Spesso
329
madre Maria andava a vedere «cosa avevano nel piatto». Voleva che
le novizie, dal momento che avevano tal privilegio, fossero pronte a
servire le orfanelle quando scendevano in refettorio per il pranzo e la
cena."
La giornata delle piccole ospiti era divisa tra il gioco, la preghiera, la
refezione, il riposo; le più grandicelle cominciarono a frequentare la
scuola. Quando si ricreavano, la Madre andava spesso in mezzo a loro. Era il modo più adatto per conoscerle onde meglio educarle. Le
fanciulle dovevano volersi bene, vincendo gelosie e puntigli. Quelle
che facevano baruffa o dicevano le parolacce, venivano richiamate
all'ordine ed anche punite. La Madre era esigente con le più grandicelle e con quelle che manifestavano inclinazione alla vita religiosa.
Voleva che imparassero a pregare bene. Alle lunghe formule preferiva le giaculatorie, le brevi invocazioni a Gesù e alla Madonna, atte
ad accendere i teneri cuori senza stancare le menti. Uno dei numeri
d'obbligo era la visita alla Grotta di Lourdes. Partendo dall'orfanotrofio in processione, le bambine andavano volentieri davanti alla misteriosa Madonna, e pregavano e cantavano con fervore: sembrava che,
secondo loro, fosse sempre festa.
Quand'erano già in letto, dopo le preghiere della sera, la Madre veniva a vederle per l'ultima volta. «A tutte dava la
s Testimonianza di suor Maria Bruna Lago, che entrò orfanella e più
tardi si fece
suora.
buona notte, alle più piccine un bacio». «State buone» diceva «che
Gesù vi vede, che la vostra mamma dal cielo vi benedice».'
Prime comunioni
All'inizio del nostro secolo, eucaristico e mariano, il papa S. Pio X ha
dato Gesù ai fanciulli e i fanciulli a Gesù. Ha avuto inizio con tale
gesto quella «primavera eucaristica», che tende a preservare la nostra
infanzia insidiata, accostandola per tempo alla Fonte della grazia.
Volendo principalmente che le orfanelle fossero domani delle cristiane esemplari, il servo di Dio mons. Nascimbeni le portò a Cristo
quanto prima. Un mese dopo la loro accettazione, l'8 dicembre 1917,
330
dodici delle venticinque fecero la prima comunione. Non avevano
compiuto i sette anni; ma per l'amorosa assistenza delle suore erano
ben disposte e consapevoli del grande avvenimento. Nell'apparecchiare le bimbe si era particolarmente impegnata la Madre Confondatrice, la quale aveva un'abilità tutta propria per insinuarsi nell'animo
dei piccoli. «Le istruì e le preparò così bene» che tutti i presenti furono ammirati per il devoto comportamento delle comunicande. Prima di comunicarle il Padre rivolse loro la parola, «ma non poté continuare a lungo perché il suo cuore sensibilissimo era profondamente
commosso»." A tavola le fanciulle sedettero accanto alla Madre e al
Fondatore, assieme con tre novizie che nello stesso mattino avevano
indossato l'abito delle Piccole Suore.
Il 20 gennaio successivo l'Istituto celebrava la festa della Sacra Famiglia. «Per onorare la medesima il reverendo Padre
4. Abbiamo preso le notizie da suor Maria Eletta Molucchi, una delle
orfanelle
dell'Immacolata giunta a Castelletto il 5 novembre del 1917. Dall'orfanotrofio la
Molucchi passò al noviziato nel 1930.
5. Diario giornaliero: 8 dicembre 1917, p. 5.
ammise tre orfanelle dell'Immacolata alla santa comunione, una probanda alla vestizione, tre novizie alla professione e quattro professe
ai voti perpetui»." Ormai le piccole orfane costituiscono una parte vitale dell'Istituto. Assieme alle pro-bande, alle novizie, alle professe,
integrano la famiglia spirituale del Fondatore e della Confondatrice.
Durante la funzione del pomeriggio, «la Madre Generale, con tutto il
fervore del suo cuore e della sua anima, innalzò a Gesù vivo nel santissimo Sacramento una bellissima preghiera». Raccomandò la salute
del Padre, le suore, le orfanelle; pregò «per la santificazione di tutta
la Congregazione».
La Madre voleva che le orfanelle comunicande fossero ben preparate. Alcuni giorni avanti al loro primo incontro con Gesù, le chiamava
nel suo studio una ad una: le interrogava, le istruiva, le esortava a
prepararsi con la preghiera e con le piccole mortificazioni. Sapeva
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adattarsi così bene al temperamento e alla mentalità di ciascuna, che
le sue parole erano sempre efficaci.
Un giorno la suora che assisteva le orfanelle ebbe l'incarico di preparare una delle più piccole alla prima comunione. La Madre era alquanto preoccupata, temendo che la bambina non comprendesse sufficientemente l'importanza dell'atto che stava per compiere. La mandò a chiamare e le disse:
«Sai, C ... , che la Madre ti ha fatto un bel vestito bianco?»
«Sì, Madre» rispose la bambina.
«E allora sei più contenta di ricevere Gesù o di avere il
vestitino bianco?»
«Madre, di ricevere Gesù» rispose la fanciulla allargando le braccia,
«Gesù è contento anche se vado alla comunione con questo vestito;
l'anima, sì, bisogna che sia bella».
Madre Maria fu sommamente felice per tale risposta, rivolse alla piccina «il suo bel sorriso» e disse: «Ti raccomando
6. Diario giornaliero: 20 gennaio 1918, pp. 13-14.
7. IVi, p. 14.
di fare tanti fioretti come faceva santa Teresina; allora sarai la
reginetta della Madre»."
Formazione integrale
La Confondatrice amava tutte le orfanelle. Se una predilezione c'era
nel suo cuore, riguardava le più piccole, le più cattivelle. Secondo lei,
nessuna delle sue bambine era cattiva. Quando le riprendeva, alle parole severe univa i modi materni e alla fine del rimprovero dava un
confetto o una caramella. Altrettanto faceva allorché passando in visita nell'orfanotrofio, ne vedeva qualcuna punita dalle suore assistenti. Le domandava cosa avesse fatto da meritare il castigo, la incoraggiava, cercava di persuaderla a far meglio in avvenire, poi estraeva
dalla tasca, sempre fornita, «la caramella».
Non è a credere che madre Maria fosse debole e lasciasse correre.
Due orfanelle grandi, che avevano intenzione di prendere il velo, tenevano discorsi mondani. Quando lo seppe la Confondatrice, le mandò a chiamare, disse di preparare le valigie e il giorno dopo le inviò
in famiglia. Una bambina non voleva in alcun modo lavorare. «La
332
Madre le provò tutte». Inutilmente; fece allora chiamare dall'America
il babbo e gliela consegnò.
Voleva che le fanciulle crescessero disciplinate, pronte al sacrificio,
atte a tutti i lavori femminili. Perciò, a scuola finita, esse venivano
addestrate a turno nelle diverse mansioni. Dalla sala di lavoro passavano alla cucina, al guardaroba, al refettorio, all'acquaio ... Imparavano a fare un po' di tutto, perché quando sarebbero tornate nelle famiglie, dovevano essere - come diceva la Mantovani - delle «brave
donne di casa».
8. Testimonianza di suor Adina Petroselli, per molti anni dedita
all'assistenza delle
orfanelle.
Le fanciulle lavoravano con impegno e con soddisfazione. Se un lavoretto riusciva bene, andavano dalla Madre per farglielo vedere. La
Madre le accoglieva cordialmente, si congratulava con le sarte e le
ricamatrici in erba, le incoraggiava a far sempre meglio e le premiava. Le piccole lavoratrici erano contentissime. «Bastava vederle
quando tornavano: avevano i visetti freschi e sorridenti, come fossero
state ad una festa»."
La formazione morale e cristiana delle fanciulle prevaleva naturalmente sopra tutte le altre sollecitudini. Madre Maria ci teneva a che
le ragazze si accostassero spesso e ben disposte ai sacramenti. Per le
confessioni lasciava la libertà più ampia e non di rado mandava le figliuole a confessarsi nelle parrocchie vicine, onde evitare il pericolo
delle confessioni malfatte. L'insegnamento catechistico era integrato
da istruzioni, conferenze, esortazioni. Quando sostava a Castelletto
qualche sacerdote conosciuto, veniva pregato dalla Superiora a rivolgere la parola alle orfanelle. Se tante premure si avevano per la salute
e il vitto quotidiano, quanto più si doveva provvedere al loro bene
spirituale! Su questo punto la Mantovani aveva idee chiare e propositi concreti, che cercava di mettere in pratica nel miglior modo possibile. Tanto interessamento della Madre era di continuo alimentato
dalla sua fede schietta e dal grande bene che voleva alle figliuole.
333
Qualcuno rimaneva sorpreso. Gli sembrava che la Madre Generale ci
tenesse troppo alle bambine e che per loro riserbasse una parte eccessiva del suo tempo. La Madre lasciava dire, non metteva freni al suo
cuore. «Quel che facciamo per le orfanelle» ripeteva, «lo facciamo
per Gesù; perciò dobbiamo farlo con tanto amore»."
9. Testimonianza di suor Adina Petroselli.
10. La stessa testimone.
«S. Lucia»
Le feste interne che si fanno negli istituti contribuiscono potentemente ad unire gli animi. Oltre che a rompere la monotonia delle occupazioni quotidiane, regolate da orari ferrei, esse alleggeriscono i nervi,
dilatano i cuori, avvicinano i sudditi ai superiori e i superiori ai sudditi: ampliano il clima della famiglia.
Da quando c'erano le orfanelle, a Castelletto si teneva una festa particolare, tutta per loro, che per l'allegria e la cordialità la vinceva su
tutte. Cadeva appunto il 13 di dicembre, festività di S. Lucia.
Per la circostanza tutta la casa era sottosopra, mobilitata su un duplice schieramento. Chi preparava la festa e chi ne godeva, o meglio a
godere erano tutti ma in maniera diversa. La Madre, le sue consigliere, le novizie preparavano i «doni» alle bambine. Bambole, bambolotti, giocattoli, cestini, vestiti nuovi, dolci, biscotti, caramelle, frutta
... quanto c'era di meglio in casa veniva allestito per la bisogna, e la
gioia di chi apparecchiava non era inferiore alla gioia che avrebbero
provato le piccole consumatrici.
Queste stavano preparandosi anche loro, a loro modo. Da alcuni
giorni cioè si comportavano meglio a scuola, in casa, a ricreazione, e
intanto fantasticavano su S. Lucia, «l'amica dei bimbi». Secondo le
innocenti, la santa era già calata dal cielo e aveva preso dimora sulle
alte montagne, in una casetta che le bimbe chiamavano appunto «la
casetta di S. Lucia». Dal fumaiolo, a quando a quando, uscivano nuvole di fumo, perché la santa stava facendo i biscotti «per loro e per i
bimbi di tutto il mondo».
334
Siamo finalmente alla vigilia. Le orfanelle sentono dire che. S. Lucia
è già arrivata in paese carica di doni. S'affrettano ad andare a letto e
poco dopo sono sotto le coltri, in ascolto. S'ode da lontano un campanello. Nel dormitorio le piccine hanno il fiato sospeso. Il suono
s'avvicina: S. Lucia gira per la casa. «Due bambine si alzano, si inginocchiano sul letto e recitano, l'una dopo l'altra, una poesia in onore
della santa». A poco a poco il campanello s'allontana. Ora le orfanelle bisbigliano, sono curiose e impazienti. «Cosa avrà portato a me S.
Lucia?».
Al mattino sono in piedi per la messa celebrata dal Padre. Dopo il
ringraziamento, accompagnate dalla Madre e dalle suore, le fanciulle
entrano nella sala dei doni. Il silenzio dell'attesa è rotto da un battimano fragoroso, dall'esplosione di meraviglia e di tripudio che erompe dal cuore delle bambine. Il Fondatore guarda felice e sorride. Dopo le parole di rito, la Confondatrice, che aveva battuto le mani assieme alle festeggiate e con loro aveva gridato «Viva S. Lucia», cominciava a distribuire a ciascuna il dono assegnato."
Il 13 dicembre si dava vacanza alle bambine, e per tutta la giornata
erano loro al centro della festa e dei sorrisi. Con S. Lucia, sembrava
che fosse calata dal cielo una porzione di incontenibile felicità.
Il contraccambio delle innocenti
Più volte, durante l'anno, le orfanelle festeggiavano la Madre. Principalmente il giorno del suo onomastico offriva alle piccole l'occasione
per dimostrare l'affetto e per esprimere la gratitudine alla loro «grande Benefattrice». La casa era in grande festa quel giorno e tutti prendevano parte alla comune letizia.
Così avvenne nell'ultimo anno della guerra, il 15 settembre del 1918.
A cena col Fondatore e le superiore sedevano le suore e le bambine
al completo. C'erano infatti «le 19 orfanelle di S. Giuseppe, le 25
dell'Immacolata e le 12 del SS. Sacramento, tutte vestite con la loro
divisa». Dopo la cena ebbe luogo il trattenimento con canti e suoni,
con la recita di dialoghi e
11. Sul Nararetn viene descritta spesso la festa di «S. Lucia»: 13 (dicembre 1918) p.
3; 14 (dicembre 1919) p. 3; 16 (dicembre 1921) p. 3; ecc.
335
poesie da parte delle fanciulle. In simili circostanze «la Madre era visibilmente felice», «batteva le mani» alle piccole artiste, «poi sapeva
dire loro se avevano lavorato bene»." Solo quando venivano esaltate
le sue virtù, rimaneva sorpresa, confusa. Erano per lei cose nuove alle quali non aveva mai pensato, anzi le pareva che non fossero vere.
La Madre Confondatrice teneva in gran conto la preghiera delle innocenti. Rispondendo alle letterine delle orfane, chiedeva che pregassero «sempre» per lei. Esse acconsentivano volentieri, quasi orgogliose d'esserle in qualche modo utili, e quando s'inginocchiavano
davanti al Santissimo o ai piedi della B. Vergine di Lourdes, avevano
un particolare ricordo per la Madre.
Ma il maggior bene che veniva a lei da parte delle piccole ospiti, era
l'amore all'innocenza e alla semplicità. L'averle spesso vicine, il trovarsi in mezzo a loro in diversi momenti della giornata, giovava
grandemente al suo spirito. V'era una spontanea simpatia, una segreta
intesa tra la Madre e le piccine. La sua anima si specchiava e si dilatava nelle loro anime. Anche a lei piaceva quella vita, che non aveva
pretese e ambizioni, senza malizie e senza risentimenti. Quando si
raccoglieva in preghiera davanti al Tabernacolo o davanti alla Vergine Immacolata, quasi senza accorgersene, prendeva gli stessi atteggiamenti che le bambine avevano verso di lei. Era persuasa d'aver bisogno di tutto, ma era certa altresì che Gesù e la Madonna le avrebbero concesso tutto.
La sera del 2 febbraio 1934, prima di morire, la Confondatrice chiamò tre volte per nome la più piccola delle orfanelle. Furono le sue ultime parole. Intendeva raccomandare la piccina ai presenti? O era,
quella, una suprema invocazione? Per tutta la vita la Mantovani aveva amato l'infanzia, si era prodigata principalmente per le orfanelle
che crescevano sotto
12. Nazareth, 13 (settembre 1918) p. 3.
13. Testimonianza di suor Margherita Maria De Paoli, entrata orfanella nel 1922.
maestre di semplicità e di candore.
E quella sera, sentendosi venir meno, la Madre chiamò ripetutamente
la più piccola delle sue beniamine. Fra poco sarebbe stata giudicata
336
da Colui che ha dichiarato: «In verità vi dico: se non vi cambierete e
non diventerete come i pargoli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi
dunque si farà piccolo come questo fanciullo, sarà il più grande nel
regno dei cieli. E chi riceve un fanciullo come questo in nome mio,
riceve me» (Matteo 18, 3-5).
CAPO SECONDO
PROBANDE E NOVIZIE
Ai profeti di malaugurio che predicevano la fine dell'Istituto delle
Piccole Suore di Castelletto, la Provvidenza rispondeva mandando
nuove vocazioni. Esse venivano da ogni parte d'Italia, dalle campagne e dalle città, alcune istruite, la maggior parte contadinelle, ma
tutte erano accolte con amore e giudicate in base alla loro umiltà, alla
loro docilità e al buon volere.
Tra i molti beni che le giovani trovavano in convento, v'era la Madre
Confondatrice. Era un tesoro quasi nascosto, che bramava restare nascosto; ma appena scoperto, aiutava a dimenticare molte delle rinunce fatte e rendeva facili i primi passi nella vita nuova. Man mano che
trascorrevano i giorni, le figliuole entravano più addentro nel cuore
della Madre e la Madre rimaneva più impressa nell'animo delle figlie: a tal punto che non la dimenticavano più, anche quando restavano a lungo nelle filiali più remote; ancor oggi ne custodiscono il
ricordo e il pensare a lei fa bene al loro spirito. Nei primi tempi la
Confondatrice era anche la maestra delle novizie, poi dovette cedere
ad altre il delicato compito. Ma si interessò sempre di loro e ne curò
direttamente la formazione. Quei primi contatti ponevano le basi della collaborazione e mutua intesa tra la Superiora Generale e le suddite, tra la Madre e le figlie.
337
Dietro le orme della Madre
Gli orfanotrofi ben condotti sono vivai di vocazioni allo stato religioso. Non la creano, ché la chiamata viene da Dio; la scoprono con
maggior chiaroveggenza, la custodiscono e la coltivano più efficacemente sino allo sboccio.
Molte delle ragazze cresciute presso la Casa Madre a Castelletto
chiesero di farsi religiose. Il tempo poi e le prove indicarono quali,
fra le numerose che si dicevano chiamate, erano le elette.
La Madre Confondatrice non forzava nessuna; eppure, senza volerlo,
influiva assai su l'avvenire delle figliuole. La sua bontà squisita, la
sua inalterata serenità, le virtù che praticava con tanta naturalezza affascinavano le fanciulle e ne trassero più d'una dietro le sue orme.
Dal momento che la Madre era così fedele all'ideale, se appariva tanto felice per essersi data tutta al Signore, perché non starle vicino per
sempre, perché non seguirla battendo la stessa via?
Quando una ragazza diceva di sentire la vocazione, la Madre non aveva fretta. La invitava alla preghiera e alla riflessione, e intanto la
seguiva con particolare premura. Se la postulante insisteva e mostrava i contrassegni della chiamata autentica, la Confondatrice prendeva
a volerle bene ancor più, si congratulava con lei e la esortava alla
corrispondenza generosa.
Che grazia grande ti ha fatto il Signore, chiamandoti ad essere sua
sposa! Grazia Più grande non ti poteva fare. lo godo e gioisco con te
e mi unisco a te per ringrariarlo di tanta grazia. Come sono contenta
di vedere che Gesù discende nel mio giardino, cioè nel mio orfanotrofio, a raccogliere dei fiori, dei gigli, delle rose per trapiantarle nel
campo mistico della Chiesa e farle sue spose per sempre.
Coraggio, forza, energia. In questo tempo che ancora ti resta, mettiti
Con impegno per apparecchiarti bene e santamente al gran passo che
stai per fare, cerca di diventare una vera e santa sposa di Gesù. Da
qui in avanti sarai doppiamente mia. Prima, perché sei stata mia orfanella; secondo, perché diverrai mia figlia, diventando una sposa di
Gesù, una Piccola Suora della Sacra Famiglia.
338
Le pianticelle che dall'orfanotrofio sarebbero state trapiantate nel noviziato, venivano sottoposte ad una coltivazione più accurata. Ogni
anno attendevano agli esercizi spirituali, durante i quali scrivevano
alla Madre aprendo filialmente la loro anima; e la Madre rispondeva
incoraggiando ed esortando al bene.
Godo nel sentire che Gesù ti ha fatto conoscere la sua santa volontà,
che ti ha parlato al cuore e che ti vuole tutta sua. Brava. Cerca di corrispondere alla divina chiamata. In questo tempo che ancora ti manca, devi apparecchiarti bene al gran passo con la pratica delle Più belle virtù: dell'umiltà, dell'obbedienza e carità; devi divenire sempre
Più pura, perché il Signore si pasce fra i gigli; e così a suo tempo diverrai la fidanzata di Gesù, per essere poi la sua sposa fedele?
Quelle che avevano inclinazione per lo studio, venivano mandate a
Verona prima di prendere il velo. Con il diploma o la patente sarebbero state più utili alla Congregazione e più efficaci nelle opere apostoliche. Ma se un'orfanella era studente doveva studiare davvero,
con il medesimo fervore con cui le altre si davano ai lavori manuali.
Guarda di metterti con impegno a studiare e cerca di riuscire bene.
Non farmi spendere i denari inutilmente. Che se non vuoi studiare,
dimmelo francamente che ti chiamerò a Casa Madre e ti metterò al
lavoro. Pensaci bene. Bisogna essere buona e brava, piena di buona
volontà. Il Signore allora ti benedirà. Quando sarai grande, dovrai essere di aiuto all'Istituto, ché il medesimo fa tanto per te. Occorre serietà e non essere sempre bambina. Ricordati che da qui in avanti voglio ricevere buone notizie.
1. Lettera ad una orfanella, che poi divenne suora.
2. Lettera ad un'orfanella, d'incerta data.
3. Lettera ad un'orfanella postulante, avviata agli studi.
Le prime impressioni
La maggior parte delle postulanti venivano direttamente dalle famiglie.
I loro primi incontri con la Madre Confondatrice sono ricordati con
diletto e ammirazione. Le giovani restavano colpite dall'umiltà e dal
339
tratto semplice della Madre, che toglieva ogni imbarazzo e soggezione, ma soprattutto erano attratte dalla sua bontà premurosa.
«Mi accolse molto cordialmente» dice una suora; «Mi fece l'impressione che doveva essere una buona mamma» dichiara un'altra; e ancora: «Al primo incontro con la Madre ebbi l'impressione che essa
possedesse un cuore veramente grande»;" «Mi sentii sua al primo incontro».
Accanto alla Madre
La gradevole esperienza cresceva man mano che le arrivate accostavano madre Maria. Trattando con lei si sentivano comprese, sostenute, amate. «Fin dal primo ingresso in religione, la Madre Generale
Mantovani ebbe per me un cuore veramente materno ed ebbi a gustare, in varie circostanze, le premure della mia mamma, che non ho conosciuto perché il Signore me ne privò quando avevo due anni»."
«Appena entrata in convento, sono stata accolta con tanta carità dalla
reverendissima Madre, da non sentire più la nostalgia della famiglia.
Nelle prime difficoltà ebbi sempre una parola di conforto, di aiuto, di
consiglio, per avanzare nella via del bene».
4. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana, entrata nel 1909.
5. Testimonianza di suor Gesualda Degani, entrata nel 1915.
6 Testimonianza di suor Paolina Zanco, entrata nel 1933.
7 Testimonianza di suor Alessia Feller.
8 Testimonianza di suor Giselda Dalla Vecchia, entrata nel 1905.
9 Testimonianza di suor Clemenza Ambrosi, entrata nel 1919.
La Confondatrice sapeva educare le giovani alla vita religiosa. Andava spesso in noviziato a tenere le «letture», durante le quali parlava
con grande fervore, massimamente quando esortava all'umiltà, alla
sincerità, alla carità fraterna e all'obbedienza. Era attesa da tutte con
gioia, poiché il vederla e «lo stare vicino a lei era un premio e si provava grande consolazione».
Sempre serena, sempre calma anche quando riprendeva, ispirava
grande confidenza e venerazione. Era paziente. Sapeva attendere il
momento della grazia, e non pretendeva che le novizie diventassero
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virtuose in quattro giorni. Una di esse, da quando era entrata, teneva
in cella «ogni sorta di gingilli, quadretti, statuine, e persino vasi di
fiori». Un giorno la Mantovani parlò del voto di povertà, e poco dopo
vide giungere la novizia che spontaneamente veniva a consegnarle
tutte le cose superflue.
«È da un pezzo che aspettavo questo distacco» osservò la
Confondatrice.
«Ma perché non dirmi nulla, Madre?» domandò la novizia. «Per lasciare a te tutto il merito».
Alle inesperte la Madre insegnava a lavorare. Molte delle giovani postulanti venivano avviate all'arte della cucina e da principio erano in
apprensione, specialmente quando la capocuoca doveva assentarsi.
Ma nel momento opportuno sopraggiungeva madre Maria, la quale
assaggiava, dava consigli ed aiutava a mettere al punto le vivande.
Capitava talvolta che la cuoca novizia lasciasse bruciare le patate o il
riso. «Pazienza! pazienza» ripeteva la Madre, «si butta via questo e
se ne mette su dell'altro!».' A meno che non ci fosse sbadataggine o
non convenisse approfittare del fatto per provare la virtù della novizia; nel qual caso la Madre imponeva la penitenza con tono risoluto,
senza tuttavia venir meno alla sua abituale
10. Testimonianza di suor Ismaela Plotegher, entrata nel 1928.
11. Testimonianra di suor Gerosa Perego, entrata nel 1925.
dolcezza. Alla cuoca apprendista, che aveva lasciato bruciare le patate, la Madre dette una compagna e ordinò di andare a questuare in
paese tante patate quante erano quelle bruciate.
«Mi godo tanto!»
La campana che dava il segnale per gli atti comuni era vicina allo
studio della Confondatrice. Un tempo la campanellaia di turno non
riusciva a suonar bene. Appena cominciava a tirar la corda, usciva
dallo studio madre Maria che diceva: «Tu tieni in basso ed io più alto, così imparerai». Seppe la cosa la madre vicaria suor Fortunata
Toniolo, donna retta e ferma, portata dalla natura a volere che ogni
cosa andasse come doveva andare. Le pareva dunque che la novizia
sfruttasse troppo la condiscendenza della Superiora Generale e un
341
giorno nel refettorio, davanti alla Madre e ad altre suore, chiamò la
campanellaia:
«Suor T ... » apostrofò, «non si vergogna di far scomodare sempre la
Madre quando suona?»
«Mi godo tanto, madre Vicaria!» rispose la novizia.
Madre Maria fece una risatina, e risero anche le altre suore presenti.
La stessa campanellaia doveva suonare la sveglia del mattino. Le accadde, una volta, di dare il segnale per l'alzata alle tre anziché alle
cinque. Venne un contrordine, e chi era già in piedi si rimise in letto.
Dopo le devozioni del mattino, quando le suore uscivano dalla cappella, la novizia si accusò davanti alla Madre:
«Ho sbagliato» disse in ginocchio, «ho suonato la sveglia alle tre».
«Ben, ben» rispose la Madre, «dopo le suore sono andate a letto sino
all'orario, vero?», e le dette una penitenza.
Più tardi la novizia venne dalla Superiora per chiedere ancora Scusa
e ringraziare. Dopo averle parlato con amorevolezza, la Confondatrice estrasse da un cassetto delle noci: «cerca di stare più attenta» disse
allungandole alla novizia, «e martedì verrai a fare i salti e a far ridere».
La figliuola corse in noviziato e facendo vedere le noci, esclamava
tutta felice: «Me le ha date la Madre!»
«Se non ci fosse stata la Madre ... »
Nell'accettare le vocazioni la Mantovani non badava né al numero, né
alla dote, né ai titoli di studio, e neppure ai difetti vistosi. Purché le
giovani dimostrassero «buona volontà», trovavano accoglienza in
convento e nel cuore della Confondatrice. Più d'una fu ricevuta senza
dote o con malferma salute; ma quando si presentò una maestra, piuttosto anziana, madre Maria le fece sapere che in convento non si preferiva nessuna: «per me» diceva «sono tutte uguali»."
Allorché le figliuole erano provate e stavano per cedere alle suggestioni del demonio o dell'amor proprio, interveniva la Madre e dissipava i dubbi, ridava coraggio alle pusillanimi, invitava alla riflessione. Diverse suore hanno dichiarato che, «se non ci fosse stata la Madre», adesso non sarebbero in convento. Una di queste scrive:
Nel primo mese del mio probandato, ebbi dal Fondatore un rimprovero molto forte per la mia ambizione e ricercatezza. Egli aggiunse
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che, qualora non mi correggessi, mi avrebbe mandata a casa... Con
l'animo ferito e sconvolto feci capire che lo prendevo in parola. Dico
alla Madre Generale che mi prepari il denaro del viaggio e alla guardarobiera che metta fuori tutta la mia roba, che sarei partita col primo
battello. La Madre mi fa osservare che il lago è molto burrascoso e
che pertanto non passerà alcun piroscafo. Indispettita, guardo le onde
che si accavallano furiose. La Madre mi prende la mano, sussurrandomi all'orecchio queste parole: - Vedi come il lago è in burrasca?
Così è la tua anima ... Intanto che io ti faccio preparare ogni cosa, va
in cappella: Gesù è là che ti aspetta. Entro muta e fredda come una
statua.
Testimonianza di suor Giocondina Mastiello, entrata nel 1928.
Passato un quarto d'ora, prego, penso, rifletto, e le lacrime mi scendono copiose. Dopo un'ora esco e trovo la mia Madre Generale lungo
il chiostro. Cado in ginocchio e la prego di accompagnarmi dal Padre, come fece, e mi ottenne un ampio perdono.
Delicatezze materne
Le vestizioni e le professioni offrivano alla Confondatrice l'occasione
per dimostrare alle probande e alle novizie il suo materno affetto. Il
grande avvenimento, che impegnava solennemente le candidate davanti a Dio e alla Chiesa, era preceduto da cordiali incontri con la
Madre. In tali circostanze le ragioni del cuore prevalevano sovente su
quelle delle leggi e delle consuetudini.
Quando la probanda passava novizia, con l'abito secolare, cambiava
anche il nome. Ordinariamente si veniva a conoscere il nuovo solo
durante la cerimonia della vestizione, ma la Confondatrice faceva
delle eccezioni.
Una giovane orfana, che fra pochi giorni avrebbe vestito, incontrò
sotto il portico la Madre. Questa, «con grande dolcezza», disse: «So
che sei contenta di vestire l'abito delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. Cambierai il nome e ti chiamerai con quello della tua mamma». Madre e figlia si guardarono in silenzio: l'espressione dei volti
era più eloquente delle parole. Gli occhi della Madre erano umidi; ella porse l'anello da baciare, portò l'indice della sinistra sulle labbra,
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poi si ritirò lentamente verso il suo studio. La probanda era raggiante
di gioia. Pensava alla mamma defunta, e mentre andava verso il noviziato, ripeteva in cuor suo: «Mamma, porterò per sempre il tuo
nome!»
Le vestizioni e le professioni portavano grande letizia nella Casa
Madre. La Confondatrice voleva che anche i parenti, in speciale modo i genitori, prendessero parte alla comune gioia.
Testimonianza di suor A. V.
Per dar loro la possibilità d'incontrarsi con le figliuole, più volte la
Madre fece anticipare la chiusura degli esercizi spirituali. All'agape
che aveva luogo dopo le funzioni religiose permetteva che le festeggiate mangiassero con i genitori, e talvolta sedette a tavola con loro.
Era visibilmente soddisfatta per la felicità delle figlie.
Se in quel giorno di giubilo una pena c'era nell'animo della Confondatrice, riguardava le suore che non potevano godere della presenza
dei genitori, o perché defunti o perché impediti. La Madre allora faceva di tutto per alleggerire la mestizia dell'assenza.
Quando seppe che una mamma non poteva presenziare alla professione della figlia, la Mantovani spedì un telegramma a Roma perché
la zia suora venisse a Castelletto accanto alla nipote.
A quante non avevano più la mamma, faceva da madre lei stessa in
quel giorno. Le chiamava accanto a sé e le intratteneva sulla «grande
grazia» della vocazione religiosa, poi andava a mangiare con loro e
voleva che tutte facessero festa.
Il giorno della professione, scrive una suora, non avendo presente
nessuno dei miei parenti, la Madre mi mandò a chiamare: «Anche se
non hai nessuno» disse, «c'è la Madre che ti fa da mamma ... Vedi
che ti ho preparato i confetti da regalare alle orfanelle, perché sei la
sposa di Gesù e devi far festa anche tu». Detto questo, mi allungò un
grosso sacchetto di confetti, facendomi il suo più bel sorriso. Durante
gli esercizi, chiamò la maestra delle orfanelle e disse: «Guarda di far
preparare una bella festa per suor A., perché non ha nessuno e non
voglio che senta dolore per la lontananza dei suoi cari»."
14 Testimonianza di suor A. P.
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Il noviziato nuovo
Di anno in anno le vocazioni si moltiplicavano. Gli ampliamenti e le
trasformazioni del primo conventino non riuscivano più ad ospitare
le novizie e le probande aumentate. Bisognava affrontare il problema
con criteri nuovi e coraggiosi, e la Confondatrice si orientò decisamente verso una costruzione autonoma, ampia, moderna, del tutto rispondente alle necessità dell'Istituto. Per sua iniziativa è sorto l'attuale «fabbricato, che, per la sua mole grandiosa, sembra dominare gli
altri, quasi sfidando la massiccia figura del Baldo retrostante».
La costruzione, iniziata nel 1931, si protrasse per due anni e dette lavoro a un'ottantina di operai: in quegli anni di crisi e di disoccupazione fu una provvidenza per il paese.
Si dovette scavare il monte, incanalare il torrente, costruire terrapieni; e ottenuto lo spiano, furono gettate le fondamenta del mastodontico edificio, che misura 32 metri di lunghezza, 15 di larghezza, 20 di
altezza. Alla base sta l'ampio e luminoso refettorio, con duecento posti: le suore che ogni anno tornano alla Casa Madre per gli esercizi vi
hanno decorosa accoglienza. Vengono poi le aule per lo studio, le sale di lavoro e di ricreazione, i numerosi dormitori, ecc.: ogni parte
dell'edificio è razionalmente disposta, con sobrietà ed eleganza.
La generosità di pii benefattori, la collaborazione delle case filiali e
la grande fede di madre Mantovani affrontarono le spese della costruzione nuova. Prima di dare il via ai lavori, la Madre aveva messo
l'impresa sotto la protezione della Sacra Famiglia. Era pure ricorsa al
glorioso Economo dell'Istituto, S. Giuseppe, alla cui statua, imitando
il Fondatore, aveva appeso il «sacchetto». Man mano che l'edificio si
elevava verso il cielo, aumentava altresì la fiducia di madre Maria.
Appoggiata al davanzale della finestra, guardava la costruzione, poi
15. Quasi oliva speciosa in campis, p, 36,
fissava con tenerezza l'Immacolata che teneva nello studio: a lei affidava l'edificio e le giovani inquiline che l'avrebbero abitato. Un giorno, forse non lontano, ella avrebbe lasciato per sempre le figlie, e tuttavia sarebbe rimasta la Madre del cielo a vegliare sulla culla della
Congregazione.
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Il noviziato venne inaugurato il 20 marzo del 1933. Nello stesso
giorno l'Istituto celebrava il primo quarantennio di vita e l'approvazione pontificia delle Costituzioni. Dalle filiali erano giunte per tempo le 154 superiore per un corso di esercizi, cui tenne dietro un triduo
solenne, «con pittoresche processioni serali lungo i viali dell'Istituto,
artisticamente illuminato»." La partecipazione del vescovo di Verona, mons. Girolamo Cardinale, assieme a numerosi prelati e ai parroci della riviera, rese più grandiosi i festeggiamenti.
Quel giorno il nuovo edificio, ch'era rallegrato da festoni di verde e
di fiori, attirava lo sguardo di tutti. Era «il castello di Castelletto, il
mastio di Casa Madre, il quale la sera con le molte fiaccole da ognuna delle 80 finestre aperte verso il lago, pareva un faro o una visione»
Fu definito «villa dell'amore» e «culla di santa formazione». Da oltre
mezzo secolo è il vivaio dell'Istituto. Qui, di anno in anno, vengono
coltivate le nuove pianticelle che, col trapianto, irradiano nelle filiali
lo spirito del Padre e della Madre.
16. Nazareth, 27 (marzo 1933) p. 5.
17. lui.
CAPO TERZO
CON LE SUORE
Nel governare l'Istituto e nel dirigere le suddite verso la perfezione
religiosa, la Confondatrice usava la bontà e la fermezza. Per natura
era dolce e forte. Accanto al Fondatore divenne sempre più risoluta
verso il bene e ferma nell'esigerlo dalle figlie, mentre la devozione
alla Madonna alimentava in lei la tenerezza materna.
La Mantovani era costantemente calma e serena. Lo spirito di fede, la
preghiera quasi continua, la confidenza in Dio la mantenevano in un
atteggiamento di fiduciosa tranquillità. Anche nei momenti difficili
madre Maria non si perdeva d'animo, sul suo volto brillava la serenità consueta.
«La mamma di tutte»
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Tutti i giorni, e a qualsiasi ora del giorno, le suddite potevano andare
dalla Madre, sicure d'essere ben accolte. Madre Maria voleva bene a
tutte e si occupava di tutte, senza preferenze o parzialità. Amava le
vicine e pensava alle lontane, seguendole col ricordo e con la preghiera. Desiderava vederle, averle accanto a sé, sentire la loro voce,
comunicare con loro.
Carissima: Ti ringrazio della tua letterina. Anch'io desidero vederti
ed abbracciarti. Prega tanto per me. lo ti tengo sempre a memoria. Ti
saluto tanto, tanto, tanto, tanto.'
1. Il passo è preso da una lettera cumulativa che la Madre scrisse nel
maggio 1895
da Tiarno Superiore, rispondendo a ciascuna delle suddite che le avevano scritto da
Castelletto.
Quando usciva da Castelletto per visitare le filiali, la Confondatrice
pensava alle consorelle lasciate nella Casa Madre, desiderosa di rivederle presto. «Mi pare mille anni che non vi vedo» scriveva un giorno a suor Fortunata Toniolo. «Salutami una ad una queste mie figlie
e da' loro un bacio per me»."
Amava le suore con cuore di madre. Il tratto cordiale e materno è rimasto il contrassegno del suo lungo superiorato. Le suddite che la
conobbero e che trattarono più volte con lei, testimoniano unanimi la
squisita tenerezza della Confondatrice. «Era una mamma addirittura»;" «Era mamma, mamma, mamma!»;' «La mamma di tutte, tanto
cara!»>
Una lettera a suor Fortunata Toniolo
La nobiltà d'animo della Mantovani e la finezza dei suoi sentimenti
sono rese manifeste in una lettera che indirizzò a suor Fortunata Toniolo nei primi tempi dell'Istituto. Identici ideali univano queste due
grandi anime, che ressero la Congregazione nei primi sessant'anni.
Nel raggiungerli, non sempre usarono gli stessi modi e percorsero le
medesime vie, ma entrambe si prodigarono generosamente per dare
al giovane Istituto l'assetto definitivo. La lettera risale al 12 giugno
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del 1896 e fu scritta in occasione della festa onomastica di suor Fortunata.
Non posso lasciar passare l'odierna circostanza senza scriverti due
righe di augurio. Sì, cara suor Fortunata, io pregherò molto il tuo santo Protettore in questo giorno, affinché ti infonda tutte le virtù che egli praticò nel corso della sua vita mortale, onde abbia a fare il maggior bene
2. Da una lettera scritta a suor Fortunata nei primi tempi dell'Istituto,
d'incerta data.
3. Testimonianza di suor Afra De Santi, entrata nel 1902.
4. Testimonianza di suor Gridonia Sandri, entrata nel 1909.
5. Testimonianza di suor Silvia Sacchetto, entrata nel 1910.
possibile a quelle anime che verranno affidate alle tue cure. Coraggio, coraggio, mia cara. Non ti avvilire, non ti scoraggiare. Il Signore
vuole da te cose grandi. Tu devi essere una colonna fondamentale del
nostro Istituto.
lo piango assai la tua dipartita da questa casa/perché in te trovo un'anima bella, un'anima cara, un'anima santa; insomma trovo in te un
grande aiuto. Da qui in avanti a chi potrò rivolgermi per una parola
di consiglio? A chi potrò confidare le angustie e le mie pene? Prega,
prega assai, affinché il Signore ti sostituisca con qualche altra degna
suora che possa darmi la mano in sì delicato ufficio di maestra delle
novizie.
Coraggio, adunque, non temere di nulla, sta bassa e farai miracoli.
Agli umili il Signore dà la sua grazia. Non paventare il demonio che,
qual leone ruggente, cerca di divorarti. No, non temere; egli ha rabbia con te, perché conosce quante anime gli strapperai dall'inferno.
Ricordati sempre di me nelle tue preghiere, perché ne ho tanto bisogno. Prega il Signore a darmi lume e forza per ben dirigere questa
comunità e perché io possa salvare la povera anima mia ... lo poi non
mi dimenticherò mai e poi mai di te ...
Sollecita
La Confondatrice aveva premure materne per tutte le suore. Non solo
era zelante nel provvedere al bene delle loro anime, si occupava al348
tresì della salute e dell'ufficio che l'obbedienza aveva loro affidato.
Seguiva tutte, una ad una; perciò voleva che le suore delle filiali scrivessero di frequente. Se una tardava a mandare notizie, veniva sollecitata a farsi viva. Ad una suora, che non aveva scritto da un mese, la
Madre fece inviare un telegramma: «Vieni subito: ho da parlarti».
Suor Fortunata, attuale maestra delle novizie, era stata designata superiora
nella filiale di S. Martino Buon Albergo (Verona), che venne aperta
nell'agosto
successivo.
La suora venne.
«Che vuole, Madre?
«Desideravo vederti, null'altro».
«Ma, Madre, i telegrammi spaventano: non me li mandi»
«Imparerai per l'avvenire» ribatté la Madre. «Se non scrivi, te ne
manderò ancora».
Allorché giungono a Castelletto buone notizie, la Madre ne gode e
risponde compiacendosi; si rattrista, invece, quando viene a sapere
che le suore sono in pena e preoccupate. Per quanto dipende da lei,
essa fa di tutto per consolare le figlie e per ridonare la pace al loro
spirito. A quelle che le chiedono perdono per averla affitta con qualche mancamento, scrive assicurando che ha tutto dimenticato, tutto
perdonato, che non ricorda più niente.
A suor Fortunata raccomanda di aver cura della salute, di prendere le
medicine che il medico le prescrive, di sostenersi con del buon cibo."
In quanto allo spirito, suor Fortunata resta libera di rivolgersi a chi
crede; vada pure a confessarsi «dal canonico giovane».
Anche le suore della Casa Madre, particolarmente le inferme, sono
del tutto libere nelle cose di coscienza. La Madre ci tiene a questa
santa libertà, tutelata dalle sagge disposizioni della Chiesa. Solo vuole che si evitino le leggerezze e i pettegolezzi. «Attende tibi!» è solita
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ripetere circa la confessione e i confessori: «ognuna badi a sé e si
tenga le proprie idee»."
Quando veniva concessa qualche particolare ricreazione, tutte le suore dovevano prendervi parte. A quelle che erano impedite dal dovere,
la Madre offriva altri svaghi. Un giorno le suore professe, assieme
alle novizie e alle probande, salirono in
7. "Ora ho tutto dimenticato, tutto perdonato, non ricordo Più niente»: Lettera a suor S. V., l"
gennaio 1899; «Te l'assicuro: io ho tutto, tutto dimenticato. Siimi
sempre figlia amorosa che io ti
sono, come mi sento, tua madre»: Lettera a suor D. M., 23 dicembre
19-3.
8. Lettera a suor Fortunata Toniolo, 19 agosto 1900.
9. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.
10. Testimonianza di suor Anselma Begalli, entrata nel 1912.
gita sull'altopiano del Prada. Alle rimaste a casa madre Maria preparò, «di sua mano», i gnocchi. Poi «lasciò la tavola apparecchiata per
mostrare, a quelle che tornavano, che anche le rimaste avevano goduto»."
“Te ghe rason”
Coi suoi modi bonari o con una facezia, la Confondatrice sapeva cavar una suddita da un imbarazzo e risparmiarle una vergogna immeritata.
Presso la Casa Madre v'era la consuetudine d'interrogare le postulanti
e le novizie, presente la comunità. Tutti i giorni, dopo la colazione, la
postulante o la novizia sorteggiata doveva rispondere alle due domande che la Madre le rivolgeva, una sul catechismo e l'altra sulla
regola.
Durante un corso di esercizi spirituali, cui presero parte le superiore,
la sorte venne a cadere su una postulante che non aveva avuto il tempo di prepararsi. Ella pertanto non sapeva rispondere e stava diventando rossa.
350
«Te ghe vergogna, vero» s'affrettò a dire la Madre, «a dirmelo in presenza de tute ste Madrone che t'ascoltan. Te ghe rason; avria sogesion anca mi. Va al posto; te me la diré la lesion quando lore non le
ghe più». Tutte le presenti risero. «Ed io» conclude la protagonista
«fui salva».
11. Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.
12. «Hai vergogna, vero, a riprendermi alla presenza di tutte queste
Matrone che ti ascoltano.
Hai ragione; avrei soggezione anch'io Va al posto; mi dirai la lezione quando esse non ci saran più”
13. Testimonianza di suor Villelma Zampieri, entrata nel 1933.
Avvocata
Più delicata ancora e più materna era la Mantovani quando perorava
a favore delle suore presso il Padre Fondatore. Era felice se riusciva a
risparmiare loro i forti richiami paterni, ammonendo ella stessa le
suddite. E allorché queste dovevano presentarsi al Padre per essere
riprese, la Madre «le preparava prima e le sosteneva dopo»." Suggeriva loro quello che dovevano dire, insegnava quale atteggiamento
dovevano prendere nella congiuntura; raccomandava, in particolar
modo, la calma e la serenità, perché nulla contristava tanto il Padre
quanto il vedere le figlie permalose e col volto imbronciato. Se
all'ammonizione teneva dietro una penitenza più dura del solito, la
Madre con belle maniere interveniva, onde la pena fosse mitigata e
non di rado riusciva a ottenere la condonazione totale.
Insomma, madre Maria faceva da conciliatrice tra il Padre e le figliuole. Al Fondatore temperava l'animo forte e per natura impetuoso; alle suore fortificava lo spirito prima dell'incontro col Padre, lo
rasserenava dopo la riprensione.
«Un giorno» scrive una suora «quand'ero ancora novizia, la madre
maestra mi mandò a stendere un po' di bucato. Rimasi sorpresa nel
351
vedere la Madre Generale seduta proprio su la scaletta che dovevo
salire io con la biancheria. Le sedeva accanto una suora che, col viso
tra le mani, piangeva. La cara Madre, con bontà veramente materna,
la consolava e la animava a correggere il difetto, per il quale il venerabile Padre l'aveva rimproverata. La esortava a chiedere perdono,
promettendo che si sarebbe corretta. Le sue parole erano cosi riboccanti di amore materno, che commossero anche me ... La suora si
rasserenò, si asciugò gli occhi, andò dal Padre, chiese perdono e
promise d'emendarsi»."
14. Testimonianza di suor Flora Battistella, entrata nel 1907.
15. Testimonianza di suor Coletta Gelfi.
Forte
Essere buoni, secondo lo spirito di madre Maria, non significava esser deboli. La benevolenza non doveva arrendersi davanti alla fiacchezza o al capriccio. Leggiamo nei «propositi» della Confondatrice:
Sarò paziente con tutti; ma dove occorrerà adoperare energia, non
lascerò mai di adoperarla,"
Fu veramente energica nell'esigere la fedeltà all'ideale, e quando
prendeva una decisione difficilmente mutava. Era in particolar modo
severa verso le novizie e le giovani professe che non volevano far
bene. Le metteva alla prova; e se non corrispondevano, se erano recidive nei loro errori, in convento non le teneva: la vita religiosa non
era per loro.
Tutte fanno bene e vi salutano, scrive la Madre a suor Fortunata. Abbiamo solo suor C. che vuol fare a modo suo. Essa senza nessuno
scrupolo ha ricusato ripetutamente di andare in un 'altra casa, come
se non avesse fatto il voto di obbedienza. Da quasi una settimana tiene il broncio, ma questa volta deve andare senza fallo; e se non farà
bene, se ne andrà a casa sua: in questo modo si farà la cernita della
zizzania dal buon grano.
Altra volta scrive alla stessa suor Fortunata, che si trova superiora a
S. Martino Buon Albergo:
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Dì a suor R. che abbia a por termine a tante infedeltà, altrimenti la
sua condanna sarà di andare di porta in porta per trovarsi un tozzo di
pane, onde campar la vita. lo sto facendo il suo fagotto di quanto ha
ancora qui e alla prima notizia cattiva, immediatamente glielo spedisco
16. Proponimenti dell'ottobre 1917: prop. 5 (Propositi, II, p. 6).
17. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.
a ... O far bene a S. Martino o a casa; nella Casa Madre [non verrà
più], neppure se facesse miracoli,"
In un momento di alterazione, una giovane professa disse sdegnosa:
«Va a casa mia!»; «e andrà sicuramente a casa sua» conferma la Madre, «se non cambia condotta»."
Nei primi anni dell'Istituto, quando dirigeva la piccola comunità di S.
Martino Buon Albergo, suor Fortunata ricevette l'ordine di osservare
attentamente il comportamento d'una suddita. «È una suora» scriveva
appunto madre Maria «che non ci vedo dentro, né tanto, né poco; e
noi superiori dobbiamo stare attenti a non far professare le isteriche»."
I passi riportati presentano il vero volto della Confondatrice e manifestano le sue intenzioni nell'accettare le aspiranti. Non si lasciava
influenzare da criteri umani. Anteponeva il buon volere ad ogni altra
dote e non era precipitosa, sia pure con l'intento di aumentare il personale: meglio poche ma fervorose, che molte ma incerte e rilassate.
Durante gli esercizi spirituali
Attesi con impazienza, praticati con fervore, chiusi con sinceri propositi di rinnovamento, gli esercizi spirituali costituivano uno degli
avvenimenti più importanti nel corso dell'anno. Quei giorni erano ardentemente attesi dalle suore e dalla Confondatrice. Madre e figlie,
dopo un anno di lontananza e d'intenso lavoro, potevano finalmente
rivedersi e parlarsi.
Dalle filiali giungevano le suore a gruppi, in corriera o sul piroscafo.
La Madre, spesso, le attendeva sul terrazzino della portineria; e appena spuntavano, le salutava, le chiamava per
353
18. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.
19. Circolare del 31 marzo 1927. - Vedere anche: La voce del Padre,
6 (marzo 1927) pp. 8-9.
20. Lettera a suor Fortunata, 7 aprile 1898.
nome faceva loro festa. Per quante erano rimaste disturbate lungo il
viaggio, teneva a disposizione il «bicchierino - che ridava vigore e
metteva lo stomaco a posto. Poi iniziavano le prime relazioni, le prime confidenze che, a turno, venivano riprese durante i giorni del sacro ritiro.
La Confondatrice dava udienza a tutte, ascoltava tutte con vivo interessamento, chiedeva informazione su l'andamento della casa e delle
opere, a tutte impartiva sagge direttive.
«Quanta gioia» scrive una suora, «quale entusiasmo per me (e credo
per tutte) nel ritornare ogni anno alla Casa Madre per i santi esercizi!
Era una festa poter rivedere, poter salutare la diletta Madre Generale,
che ci accoglieva col più amabile sorriso e con bontà materna. Ci ascoltava con premura, senza stancarsi; anzi desiderava conoscere i
nostri bisogni per venirci incontro, e come sapeva comprenderci e animarci a riprendere con generosità il sacrificio dell'obbedienza!
Dopo gli esercizi, infatti, le suore dovevano essere disposte a tutto:
ad essere trasferite o a cambiare l'ufficio, o l'una e l'altra cosa a un
tempo. Tutto era possibile, quando si andava a Castelletto per gli esercizi; e qualche suora, previdente, portava con sé il corredo personale.
A quante venivano cambiate, la Madre prestava soccorso perché «facessero l'obbedienza» volentieri e con merito. Confortava anzi tutto
quelle che, da superiore, tornavano suddite; e sosteneva le altre che
venivan tolte da una occupazione o da un paese, in cui avevano incontrato successi e soddisfazioni.
Ma se una suora provava forte ripugnanza ad andare in una casa, e i
motivi addotti tornavano validi al cuore materno della Confondatrice,
non veniva trasferita od era mandata altrove.
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Per ragioni personali, una suora chiese d'essere cambiata. La domanda venne accettata, e quando la suora si presentò alla Madre, questa
disse: «Domattina ti recherai a... per
21. Testimonianza di suor Armella Mora, entrata nel 1917.
sostituire quella superiora, la quale andrà al tuo posto». La suora non
riuscì a trattenere un moto di sgomento, che di certo la Madre avvertì: la casa, cui era destinata, a quando a quando veniva visitata dai ladri ... Andò a letto, ma non riusciva a prender sonno e piangeva, sebbene fosse pronta ad obbedire. Verso la mezzanotte si avvicinò una
consorella che, chiamandola per nome, disse: «Stia tranquilla e riposi; mi manda la Madre a dirle che non andrà più in quella casa, ma
verrà mandata altrove»."
Riconoscente
L'umiltà della Madre Generale la portava a stimare le sue suore. Le
lasciava parlare, senza interrompere, senza far prevalere le sue idee;
appoggiava le loro iniziative, senza imporre le proprie. Si congratulava sinceramente, quando le suore ottenevano qualche successo; restava edificata e commossa davanti alla loro virtù e le ringraziava per
la grande
consolazione recata al suo cuore di madre.
Il vostro fervore e la cieca obbedienza con la quale avete accettato i
diversi cambiamenti, mi rendono sicura del vostro amore per l'Istituto, della vostra unione con la Casa Madre e con le superiore maggiori. Vi ringrazio di queste consolazioni che avete dato al mio cuore: Se
formeremo un corpo solo e resteremo sempre unite così, nel pensiero
e nell'azione, l'Istituto sarà benedetto, il caro Padre dall'alto sorriderà
e gioirà perché verrà gloria a Dio da tutte le sue figlie,"
Dopo un corso di esercizi, la Madre scrive anche a nome del Fondatore, dichiarando che essi si tengono «sicuri, sicurissimi» sulla buona
volontà delle esercitanti. «Rinnovate come
22. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.
23. [MADRE MARIA], La voce del Padre, 5 (novembre 1926) p. 4.
355
siete nel Signore» scrive madre Maria, «voi persevererete sino alla
fine e ci darete in quest'anno delle grandissime consolazioni, e di ciò
vi ringraziamo anticipatamente di cuore»."
Quando le figlie sono generose e corrispondono ai desideri del padre
Fondatore, la Mantovani ne prova grande conforto ed esprime la sua
sentita riconoscenza. Alle suore delle filiali che, con ripetuti risparmi
e sante iniziative, hanno collaborato alla erezione della nuova chiesa
di Castelletto, la Madre scrive:
Vi dico il vero: sono rimasta straordinariamente contenta ed ho ammirato la vostra diligenza, assiduità e costanza; così il caro Padre restò mille volte soddisfattissimo e contentissimo. Noi ci sentiamo il
cuore riboccante di riconoscenza verso di voi e vi riconosciamo meritevoli di un premio ... Ma il premio maggiore lo avrete dalla Sacra
Famiglia e dall'Immacolata di Lourdes, in questo mondo e nell'altro."
Incoraggiante
Madre Mantovani era per natura ottimista. La semplicità d'animo, la
confidenza in Dio e il continuo ricorso alla Madonna la rendevano
ancor più fiduciosa. Il suo volto sereno, le sue parole pacate e materne avevano una particolare efficacia per ridare fiducia agli spiriti inquieti.
A rianimar le figliuole bastavano poche parole. La Madre usava le
espressioni consuete, semplici, incisive: esse toccavano subito i cuori, semplificavano i problemi, infondevano nuove energie ed assicuravano il successo.
«Ho inteso tutto» risponde la Madre ad una suora. «Sta tranquilla,
vivi in pace, sta di buon umore, che in breve accomoderò ogni cosa»." A suor Fortunata, che all'inizio della vita religiosa andava soggetta a scrupoli e ad angustie di spirito, scrive:
24. Circolare del 25 febbraio 1914.
25. Circolare del 9 dicembre 1918.
26. Lettera ad una suora, scritta nel 1933.
Riguardo alle tue inquietudini, non ti avvilire, non perdere la pace,
ch'è tutt'arte del demonio. Sta allegra, caccia via dalla tua mente quei
pensieri, confida in Dio, rammenta i tanti consigli ricevuti dal nostro
356
reverendissimo Padre. A questo riguardo, prega e basta; vivi tranquilla, tranquillissima,"
«Stai dunque tranquilla» scrive madre Maria ad una suora afflitta per
quanto si stava dicendo sul suo conto. «Ho voluto ripassare la tua lettera agitatissima del 4 novembre e la lettera di tua sorella; ora basta.
Ma anche prima, quando eri agitata per quello che si diceva di te, io
ti sentivo figlia e ti amavo come ora»."
Quando fu aperta la casa di Castelcovati presso Chiari, si udivano di
notte degli strani rumori. Chi dava la colpa a malviventi notturni; chi
parlava del diavolo, geloso del bene che le suore avrebbero fatto nel
paese; il parroco offrì suffragi per i morti che avevano abitato la casa
... Le inquiline erano fortemente impressionate, e pertanto si consigliavano con la Casa Madre.
«Fatevi coraggio» scriveva la Confondatrice, a nome anche del Padre. «Non temete di niente. Se veramente fosse il demonio, sarebbe
meglio: segno che l'opera lo urta nei nervi e per questo cerca di allontanarvi da costì». «Nessuna paura continuava la Madre, «coraggio!
Avete Gesù con voi, e basta»."
I rumori cessarono dopo tredici anni, «qual che ne fosse la causa»."
La costanza e il coraggio delle suore, rianimate dal Padre e dalla Madre, vinsero quella strana battaglia.
27. Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta entro gli anni 1896 e
1898.
28. Lettera a suor D. M., 23 dicembre 1933.
29. Lettera alla comunità di Castelcovati, d'incerta data.
30. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 275. Il
Trecca descrive le
diverse fasi della curiosa vicenda, ivi, pp. 273-276.
Quando correggeva ...
La Mantovani non si abbandonava mai all'irritazione o allo sdegno.
Alle suddite raccomandava la serenità e la mitezza: con i bambini,
357
con i malati, coi vecchi. Ella, per prima, dava esempi di eroica pazienza.
«Le correzioni le faceva con dolcezza e carità”, «finiva con la bontà
e la dolcezza»;" «usava tali maniere che, invece d'esser risentite,
sembrava d'aver fatto un corso di esercizi»." «In apparenza sembrava
severa, ma il suo cuore era veramente materno”.
Quando una suddita meritava un richiamo, non era risparmiata; é se
la colpa esigeva un'ammenda, alla correzione teneva dietro la penitenza. Ma se la suora dava segni di sincero pentimento, se prometteva umilmente d'emendarsi, la pena veniva tolta o ridotta, e Madre e
figlia facevano subito la pace.
Non voleva che le suddite stessero in angustia per i rimproveri ricevuti; e se qualcuna ne era afflitta, più afflitta restava la Madre, la
quale, in giornata, mandava una suora in cerca della consorella ripresa. «Dille che venga a chiedere perdono» ingiungeva madre Maria,
«e se non ha il coraggio di presentarsi, dille che scriva un biglietto,
ma non rivelare che questo te l'ho suggerito io». Quando la latrice
consegnava il
biglietto della suora pentita alla Madre, questa, rispondendo, vi scriveva sopra: «Tutto è perdonato! Vieni, che voglio vederti»."
Nel 1921 la Confondatrice ebbe a soffrire da parte d'una suora, la
quale abbandonò la casa ove si trovava, si ritirò presso la canonica
d'un sacerdote, con l'intenzione di entrare in altro Istituto. La Madre
Generale scrisse subito, spedì un telegramma, mandò l'assistente suor
Fortunata Toniolo; inu31. Testimonianza di suor Veneranda Garagna, entrata nel 1910.
32. Testimonianza di suor Salvata Tamellini.
33. Testimonianza di suor Veronica Semprebon, entrata nel 1898.
34. Testimonianza di suor Borromea Coltro.
35. Testimonianza di suor Clemenza Ambrosi.
tilmente, la suora non volle piegarsi. Passato un po' di tempo, la fuggitiva rientrò in se stessa, si pentì e scrisse a Castelletto, supplicando
d'essere riammessa nella Congregazione.
358
La Superiora Generale rispose con tono materno, lamentando tuttavia
che nello scritto della figliuola mancasse «la parte più importante».
«lo mi aspettavo» osservava infatti la Madre, «che tu mi facessi delle
belle promesse per l'avvenire. Speravo che mi dicessi: - Madre, mi
metto nelle sue mani; faccia di me quello che vuole, mi mandi dove
vuole, mi richiami quando crede, mi metta suddita in qualunque posto e con chi vuole: sarò sempre pronta ad obbedire ai miei reverendi
superiori».
«Ecco ciò che importa» dichiarava la Madre, e proseguiva: «Riguardo al passato, io dimentico tutto volentieri; stendo un denso velo su
tutto e di cuore; ma mi preme l'avvenire. Se tu dunque mi prometti
queste cose, io ti assicuro che, al tuo ritorno, sarai accolta senza rimprovero alcuno»."
La suora promise. Venne a Castelletto, fu ricevuta con materno affetto, si rimise a far bene, servendo generosamente Dio e l'Istituto sino
alla morte.
La bontà e la fermezza della Madre Confondatrice ottennero alla figlia pentita il totale ravvedimento.
«Il bel sorriso della Madre»
La carità materna della Mantovani trovava continuo alimento nella
preghiera. La Madre pregava assiduamente per le figlie, per le vicine
e per le lontane.
«lo vi tengo tutte sempre scolpite nella mente e nel cuore scriveva loro; «vi tengo sempre presenti dinanzi al SS. Sacramento»;" e ancora:
«io prego tanto e sempre per voi»." Nel
36. La Lettera porta la data del 9 ottobre 1921.
37. circolare del 31 gennaio 1922.
38. circolare del 24 marzo 1923.
critico maggio 1915, quando l'Italia stava per entrare in guerra, madre Maria incorava le suore scrivendo: «Fatevi coraggio, state di
buon animo, che noi ogni momento vi ricordiamo al SS. Sacramento
e alla nostra cara Immacolata di Lourdes».
Questo abituale incontro con le figlie nell'intimità della preghiera,
questo continuo parlare di loro a Dio e alla Madonna aumentava la
tenerezza e la comprensione nel cuore della Madre. Sì che quando le
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incontrava durante il giorno, quando si intratteneva a tu per tu con loro, l'interiore bontà le splendeva sul volto, le brillava negli occhi affettuosi, le fioriva sulle labbra sempre atteggiate al «più bel sorriso».
Il «sorriso» della Madre: ancor oggi rimane impresso nel ricordo
commosso delle figlie. «Vicino a lei» afferma una di esse «era sempre festa; ogni pena o difficoltà spariva come per incanto, la pace e la
gioia tornavano a risplendere nel piccolo cielo della mia anima. La
sua bontà m'infondeva forza e coraggio. Anche oggi, dopo tanti anni
di vita religiosa, il ricordo delle sue amabili virtù e del suo bel sorriso
m'è di sprone e di conforto».
E un'altra scrive: «Con quanta semplicità la Madre ci ammoniva e
con quanta materna fermezza ci incoraggiava alla fedele osservanza!
Appena si confidava a lei un bisogno, spirituale o materiale, subito
sapeva comprenderci e confortarci, così che tornavano serene e tranquille al lavoro. Il suo inalterabile sorriso era per tutte, ma specialmente per me, un forte stimolo alla virtù e al sacrificio»."
39. Circolare dell'8 maggio 1920.
40. Circolare del 21 maggio 1915.
41. Testimonianza di suor Adina Petroselli.
42. Testimonianza di suor Armella Mora.
360
361
CAPO QUARTO
LE MALATE
Fra le Piccole Suore della Sacra Famiglia non ci sono distinzioni o
preferenze. Le cariche, i titoli di studio, l'abilità nell'attendere alle
opere danno il diritto soltanto a lavorare con maggior impegno per
l'Istituto, secondo lo spirito del Fondatore.
Solo le malate vengono trattate diversamente, come esige la carità e
la giustizia. «A noi che siamo sane» diceva madre Maria «bastano
polenta e formaggio; alle malate voglio che non manchi niente».'
Materne premure
La Mantovani, in verità, era piena di sollecitudine per le suore inferme. Le assisteva nei bisogni del corpo e in quelli dello spirito. Faceva di tutto per andare incontro ai loro desideri. Pur di alleviare le loro
pene, pur di renderle contente, non badava a spese e a incomodi.
Voleva che anche le superiore locali fossero premurose verso le suddite malate. Se qualcuna era trascurata, quando giungeva a Castelletto veniva ripresa con severità.
Appena veniva a sapere che una suora era caduta in qualche malattia,
la Madre subito si metteva in contatto con lei o con la superiora di
lei. Seguiva la malata da vicino e
1. Testimonianza di suor Anselma Begalli.
all'occorrenza dava disposizioni precise. Medici, medicine, vitto, assistenza: di tutto la Madre si occupava. Se l'inferma subiva un peggioramento, madre Maria stava in pensiero, seguiva gli sviluppi della
malattia e voleva ricevere continue informazioni. La paziente, non
era sua figlia? Pertanto ordinava alle superiore:
Ammalandosi gravemente qualche suora, mandatecene notizia ogni
giorno, magari con semplice cartolina; ma non fateci stare in pena ...
Anche questa è obbedienza!
362
Per le malate gravi si recitavano speciali preghiere in tutta la Congregazione. Quando una suora stava male, la Madre si affrettava a
darne notizia e a chiedere preghiere per mezzo delle lettere circolari.
Anche gli amici e i lettori del Nazareth erano invitati ad elevare preghiere al Signore per la guarigione delle suore inferme, onde potessero riacquistare le forze e riprendere il lavoro sospeso.
Confortatrice
A Castelletto, presso l'infermeria della Casa Madre, la Mantovani poteva assistere le suore ammalate più maternamente. Nei primi tempi
ella stessa curava le inferme: preparava loro dei cibi speciali e si prestava ancora per i servizi delicati, come appunto fa una madre. Con
gli anni aumentarono le suore e le case e le preoccupazioni, ma la
Confondatrice ebbe sempre cura affettuosa delle malate. «Voleva che
fossero trattate con particolare carità, con cordialità e amore».
Le andava a trovare spesso, almeno una volta al giorno. Portava la
benedizione del Padre, quando questi era impedito.
2. Circolare del 15 giugno 1918.
3. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana.
Chiedeva come avessero passato la notte, la giornata; conversava con
loro, le animava a sostenere con pazienza gl'incomodi della malattia,
le incoraggiava. «Sta' tranquilla» diceva con la sua abituale calma,
«che guarirai presto», «che la Madonna ti guarirà». Le malate restavano bene, si sentivano sollevate, offrivano di buon animo le proprie
sofferenze al Signore, e intanto passava un altro giorno.
La Madre conosceva i bisogni di ciascuna e, potendo, vi provvedeva.
Se una convalescente aveva bisogno di rifarsi all'aria natìa, con le
cautele dovute, veniva inviata presso i parenti. Tornata in convento,
la suora continuava le cure, i controlli medici, la dieta, le precauzioni: la Madre non era soddisfatta fino a che la figlia non fosse ristabilita completamente.
Talvolta il bisogno costringeva la Madre a mandare in una filiale la
suora non del tutto guarita. «Va pure» ingiungeva alla partente, «ma
se avverti un lieve peggioramento, non aver riguardi, scrivi direttamente a me: io sono la tua mamma e questa è la tua casa».'
363
Tra le malate v'eran di quelle che guarivano soltanto dopo anni di
degenza, o non guarivano più. Queste erano confortate con particolare affetto dalla Madre Confondatrice. Ella non voleva che fossero
angustiate, o reputandosi inutili alla Congregazione o per le cure dispendiose: la provvidenza c'era anche per loro.
Ti dico di stare tranquilla, di far la cura che ti fu ordinata. Non guardare alla spesa. Il Signore provvederà?
4. Testimonianza di suor Giocondina Mattiello.
5. Lettera a suor Anselma Begalli, d'incerta data.
Peperoni e uccelletti
Le malate avevano grande confidenza con la Madre Confondatrice.
Sapevano che a lei si poteva dire tutto e chiedere tutto, perché la Madre le amava. Alla Madre, come a nessuna altra persona, manifestavano le proprie voglie, sicure d'essere accontentate. Perché non prestarsi a queste inezie puerili, perché negare queste soddisfazioni, se
basta tanto poco a render contento un ammalato?
Un giorno, mentre la Madre visitava le inferme, una suora espresse il
desiderio di mangiare dei peperoni. Madre Maria si allontanò e poco
dopo riapparve, portando dei peperoni in un vassoio. «Mangia, mangia» disse all'inferma, poggiando il vassoio sul comodino; e la suora
malata prese a mangiare i peperoni con tanto gusto, come se mettesse
in bocca della frutta prelibata.
Altra volta, la medesima inferma ebbe voglia di mangiare degli uccelletti, e la Madre «mandò una suora in paese a comperarli»."
«Ecco il Proton»
Le figlie non abusavano della condiscendenza della Madre. Talune,
anzi, erano restie nel procurarsi i medicinali, temendo d'essere di peso all'Istituto. In tali casi la Mantovani prendeva l'iniziativa e provvedeva essa stessa le medicine.
«Dopo il noviziato» scrive una suora «fui mandata in Folgaria, nella
provincia di Trento, ove rimasi per due anni. Poiché lassù non mi
sentivo bene, venni richiamata a Castelletto. Appena mi vide, la Ma364
dre chiese come stavo e che medicine prendevo. «Il Proton» risposi,
«ma ora non ne ho più», La Madre non disse una parola e mi licenziò. Poco dopo mi
6 Testimonianza di suor Serafia Finetti, entrata nel 1913.
mandò a chiamare e col più bel sorriso: «Ecco il Proton» disse;
«prendilo, il Signore ti farà guarire
Un'altra testimone asserisce: «Da tempo soffrivo per una artrite. Conosciuto il male che avevo, la Madre mi chiese come stavo e se avevo fatto la cura prescritta. Le risposi di no, perché la medicina era
troppo costosa. Madre Maria allora aprì l'armadio che teneva nel suo
studio, prese due flaconi di detta medicina: «Prendi» mi disse, «io ne
posso fare a meno, perché sto meglio». Non avrei voluto che la Madre si fosse privata della medicina per me, ma fui costretta ad accettare, per farla contenta, anzi felice, perché era una felicità per la Madre provvedere alle necessità delle sue figlie»."
La nuova infermeria
La premura di madre Maria per le suore malate l'indusse ad ideare la
nuova infermeria. Nuova in rapporto alla vecchia, disadorna, piccola,
e perciò insufficiente al bisogno. Era stata adattata dal Padre Fondatore, nel vecchio fabbricato, e riproduceva la povertà delle origini.
Nel settembre del 1917 venne inaugurata la cappellina, e da allora il
Santissimo rimase «vicino alle carissime inferme, per essere l'amico
e il consolatore più fedele, e soprattutto il presidio più potente per l'eternità»."
Tale, infatti, era considerata l'infermeria nei primi tempi: una palestra
ove si esercitavano la pazienza e la rassegnazione, il noviziato dell'eternità. Le parole «Anticamera del Paradiso», fatte scolpire dal Padre
sulla parete esterna del piccolo reparto, ne indicavano la destinazione: più che di recuperar la salute, s'era preoccupati di prepararsi
all'incontro con Dio. Qui
365
7. Testimonianza di suor Gesualda Degani.
8. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.
9. Nazareth, 12 (settembre 1917) p. 3.
morirono suor Pia Ruffo e molte altre consorelle, passate all'eternità
«col sorriso sul labbro»; le loro virtù e sofferenze, note soltanto a Dio, santificarono i primi decenni dell'Istituto.
I lavori di sterro e di livellamento per la costruzione della nuova infermeria cominciarono nel marzo del 1925; il 3 agosto dello stesso
anno venne posta la prima pietra, e nell'agosto successivo il moderno
fabbricato accoglieva le prime inferme.
La sua posizione è incantevole: «in alto, su per i fianchi del Baldo,
donde il sole nascente ci piove i suoi primi raggi; sul davanti, giù in
basso, la Casa Madre, con la tomba del venerato Fondatore e le tre
cappelle: della Grotta di Lourdes, dell' Addolorata e quella, più grande, per la Comunità; poi giardini, con piante resinose e tigli; più in là
verso ovest: il lago, i monti e i paesi della riviera bresciana. Dalle finestre e dai terrazzini ... si ha sempre aperto davanti agli occhi, uno
dei più magnifici quadri di natura: cielo, monti, lago, che rasserena
gli spiriti, rafforza i corpi, solleva a Dio»."
Per ottenere il nulla osta dalle competenti autorità, l'Istituto dovette
affrontare forti opposizioni. Da principio non si voleva che l'infermeria sorgesse; costruita, non si voleva che fosse abitata. La Madre
Confondatrice pazientava; pregava, faceva pregare, s'abbandonava
alla Provvidenza, che certamente avrebbe protetto le figlie malate.
Infatti ci furono proteste, ricorsi, sopralluoghi, che contribuirono a
mettere in luce la buona causa delle suore e la tendenziosità degli
oppositori.
Il grandioso edificio venne ampliato negli anni 1953 e 1954, Con
l'aggiunta della nuova ala, per volere della superiora generale madre
Ifigenia Maria Salandin, successa alla madre Fortunata Toniolo nel
governo della Congregazione. Anche i locali già esistenti furono trasformati e allestiti conforme alle nuove esigenze sanitarie.
Attualmente l'infermeria è abitata da un centinaio di suore
366
10. Quasi oliva speciosa in campis, pp. 39-40.
ammalate e dalle consorelle che prestan loro amorosa assistenza. Il
centro di attrazione del fabbricato è la cappella devota ove da alcuni
anni si tiene l'adorazione quotidiana. Voluta dalla Madre Generale,
vivamente desiderata dalle inferme inaugurata solennemente dal vescovo di Verona mons. Giuseppe Carraro, l'adorazione quotidiana
rappresenta il dono più gradito offerto alle degenti. Preghiera e sofferenza pazientemente accettata: questa la vita nell'infermeria. Più giù,
nel noviziato e nell'apstolinato, preghiera, lavoro, studio riempiono la
giornata. Gl'ideali sono i medesimi: l'Istituto, la Chiesa, il mondo.
Ma le sorelle malate hanno la parte preminente, versano il contributo
più alto alla comune causa.
E intanto, vicino a Gesù, nell'intimità della cappella a loro riservata,
passano giorni sereni, in attesa che si compia su di loro la volontà di
Dio. O riprenderanno il lavoro sospeso, a salute rifatta. O salperanno
fidenti, in compagnia di Gesù, per l'eterno approdo.
CAPO QUINTO
LE DEFUNTE
Le malattie sono acconti versati alla morte. Le suore malate fanno ricordare spontaneamente le consorelle defunte.
Quando venne il momento di lasciare la terra per madre Maria Mantovani, la sera del 2 febbraio 1934, ben 179 figliuole l'avevano preceduta nell'al di là. Molte furono da lei assistite durante l'agonia, tutte
furono accompagnate dalle sue preghiere; quasi tutte vennero man
mano ricordate o nelle lettere circolari o nei necrologi del Narareth o
su La voce del Padre.
Nel comunicare alla Congregazione che una suora non è più, che è
passata all'eternità, madre Maria dice sovente che la cara defunta «è
367
stata trapiantata nell'aiuole del cielo». La espressione merita d'essere
illustrata.
Quando presso la Casa Madre si tengono le vestizioni e le professioni, la cronaca del Nazareth parla di «fiori di paradiso»; allorché sono
annunciate le suore defunte, si dice «fiori per il paradiso», «fiori trapiantati in paradiso». È un modo tutto proprio di considerare la vita
religiosa, tanto caro alla mente e al linguaggio della Mantovani. Con
la vestizione e la professione, la ragazze lasciano il mondo ed entrano nel giardino del Signore, ove debbono diventare fiori olezzanti di
virtù. A quando a quando, il celeste Giardiniere scende nella sua proprietà a cogliere i fiori più belli e più profumati. Allora avviene il
trapianto, secondo la Madre Confondatrice: dalle aiuole della terra le
sue figlie vengono trasferite nell'aiuole del cielo.
Suor Pia Strapparava
Il primo fioredella Congregazione venne colto il l° giugno dell'anno
1898. Si chiamava suor Pia Strapparava. Da Perzacco (Verona), ov'era nata, venne a Castelletto nel maggio del 1897. Aveva 27 anni e faceva la tessitrice. In convento ebbe l'incarico di preparare la stoffa
per i vestiti delle suore. Stava confezionando anche il suo per la prossima vestizione, che doveva aver luogo il 20 settembre dello stesso
anno. Ammalò gravemente. Il Fondatore e la Confondatrice, che tanto amavano la figliuola, ne furono costernati. Le usarono tutti i riguardi e la sottoposero a diverse cure. Inutilmente: il male precipitò.
Verso la fine del maggio successivo l'inferma era ridotta in fin di vita. Prima di morire, per volontà del Fondatore, fu ammessa alla vestizione e alla professione.
Negli ultimi giorni suor Pia chiedeva cosa avrebbe dovuto fare in paradiso. «Tu farai la Generale!» rispose il Fondatore. Egli stimava
grandemente questa santa creatura; e sebbene ne avvertisse la perdita, si sentiva profondamente consolato, pensando che ora aveva una
delle sue figliuole in cielo. Scriveva infatti in quei giorni: «Adesso
non sento più così forti le pene che il Signore di quando in quando
mi manda, perché ho la nuova fondazione nel cielo. Oh, la memoria
di suor Pia quanto mi è di conforto continuamente! Non ve lo posso
368
dichiarare a parole. Una mia figlia nella gloria dei Santi! Oh, che gioia ineffabile!»!
Altre novizie
Delle Piccole Suore che precedettero la Confondatrice nell'altra vita,
molte morirono ancor giovani. La debole costituzione, l'insalubrità
dei luoghi e delle case ove prestavaLettera del Padre a suor Fortunata Toniolo, 8 giugno 1898.
no servizio senza risparmiarsi, i disagi sofferti durante la guerra, l'assistenza ai contagiosi, le cure inadeguate ne condussero parecchie alla tomba. Alcune vennero meno durante il noviziato ed ottennero la
grazia di emettere i voti prima di morire.
Leggiamo sulle cronache del Narareth, che ci riportano agli ultimi
mesi della guerra mondiale: «Il 15 luglio 1918 la Sacra Famiglia coglieva un fiore d'innocenza dalle aiuole del nostro noviziato per trapiantarlo nei gaudi eterni del paradiso. Sì, il numero 552 doveva essere coperto dalla carissima novizia suor Ilda [Marsetti], la quale,
dopo lunga e dolorosa infermità, se ne volava calma e sorridente agli
amplessi dello Sposo celeste». Sul letto della sua agonia aveva emesso, «con grande amore», la professione religiosa.'
Ai primi dell'anno 1916, la madre Mantovani ricordava una novizia
morta santamente all'ospedale di Lonigo. Prima di spirare, essa pure
aveva emesso i voti alla presenza della superiora di Arcole, che rappresentava la Madre Generale. «Pregate per quest'anima benedetta»
esortava madre Maria, «la quale edificò tutti durante la lunga e dolorosa malattia, per la sua grande pazienza, per il suo ardente amore a
Gesù e all'Istituto».'
L'anno 1925 portò via sei novizie. La precoce scomparsa di queste
sante giovani, «le quali - come osservava la Mantovani - promettevano tanto bene e un giorno sarebbero divenute colonne per il nostro
Istituto», spronava le sorelle viventi a ben operare, onde fossero
sempre pronte al celeste richiamo. «Erano fiori olezzanti e belli»
continuava la Madre, «e il Divin Giardiniere li colse e li trapiantò nei
giardini eterni. Adoriamo
369
2. Quando il Nazareth o le circolari della Confondatrice annunciano
la morte d'una
suora, spesso ne indicano il numero che viene ad occupare tra le consorelle defunte. E
prenderà il numero successivo? L'incertezza della morte è uno stimolo potente alla
Vigilanza e alla pratica delle virtù.
3. Nazareth, 13 (luglio 1918) p. 4.
4. Circolare del l0 gennaio 1916.
i disegni di Dio e procuriamo di vivere come se ogni giorno dovessimo morire. Teniamo la lampada sempre ben fornita di olio ad imitazione delle vergini prudenti».'
Tre bocciuoli
A volte il celeste Giardiniere veniva a cogliere i bocciuoli, prima che
aria malefica li corrompesse. Alludiamo alle piccole orfane, cui le
premure della Madre e le amorevoli cure delle suore assistenti non
valsero a trattener in terra. Cagionevoli fin dalla nascita, denutrite
durante la guerra, le piccine eran votate inesorabilmente alla morte
prima ancora di sbocciare alla vita. Oggi verrebbero salvate, ma in
quei tempi di alta mortalità infantile non c'era scampo per quelle innocenti: andavano ad allietare il paradiso.
La prima ad esser colta fu una delle 25 orfanelle dell'Immacolata di
Lourdes. Era anche iscritta fra i paggi del SS. Sacramento e «con che
gioia - scrive il Nazaretb - attendeva l'ora di adorazione mensile! Allora indossava la tracolla rossa e la medaglia dei paggi, con le mani
giunte, gli occhi bassi, tutta compresa della sua nobile missione di
angioletto terrestre, si recava all'altare assieme alla lunga schiera delle altre paggette. Andava ad adorare il Re dei re, nascosto sotto i veli
eucaristici e a riceverlo nel suo piccolo cuore che tanto ardeva d'amore per Gesù». La piccina venne colpita da una misteriosa febbre, che
la tenne in letto per più mesi. «Ogni mattina si cibava del pane eucaristico; ed anche negli ultimi giorni, sebbene fosse stremata di forze,
appena vedeva avvicinarsi il sacerdote con la sacra pisside, la cara
orfanella si alzava da sola sul letto con grande fatica, incrociava le
manine sul petto e con raccoglimento e con vera edificazione degli
astanti faceva la comunione».
370
5 Circolare del 21 dicembre 1926.
Rita De Franceschi, così si chiamava la piccola inferma, aveva cinque anni. Ebbe appena il tempo di spuntare sulla terra, ove passò
«come candida visione», poi subito fece ritorno al suo Dio."
Due anni dopo, moriva Fiore Tonioli, che da tre anni era stata ospitata nell'orfanotrofio di Desenzano sul lago di Garda. Trascriviamo,
senza commenti, quanto scrisse per l'occasione il Nazareth, sotto il
titolo «Fiore di paradiso».
Aveva soli undici anni, ma fiore eletto, mandava già grato profumo
di elette virtù. Serena, docile, obbediente, era amante della preghiera
e specialmente di Gesù in Sacramento, che ogni giorno riceveva con
singolare devozione. Era fiore di paradiso, e il Signore la volle con
sé. Raccolta sul letto dell'agonia, poche ore prima di volarsene tra gli
angeli, desiderò fortificarsi del loro cibo. Che edificante comunione!.
.. Le scarne braccia incrociate sul petto ... i vividi occhi fissi al cielo
... sul cereo volto tutta un'aria di paradiso ... pareva una visione!. ..
E Gesù allontanò da lei gli orrori della morte e la favorì della più soave consolazione. Pochi istanti prima di morire, gli occhi della fanciulla ritornano al cielo; ella sorride, esulta, chiama le suore e la zia a
godere la dolce visione della Madonna, di san Giuseppe, dell'angelo
custode e della mamma, che dal paradiso muovono ad incontrarla ...
»
Da Desenzano torniamo a Castelletto, ove nel settembre dello stesso
anno 1921 viene reciso un altro «fiore di paradiso», per essere portato in cielo. Leggiamo sul Nazareth: «La celeste Giardiniera in
quest'anno scese nuovamente nel giardino a lei consacrato, cioè tra le
nostre care orfanelle dell'Immacolata, e ne scelse il fiore più gentile e
delicato per tra pian tarlo nell'aiuole del paradiso. Celestina Zoldon,
d'anni sette e mezzo, fu colpita da febbri infettive che in pochi giorni
la condussero alla tomba). Alla mamma, ch'era accorsa al suo capezzale e che supplicava, «non morirmi, Celestina, non morirmi», la figliuola morente rispose: «No, mamma; lasciami andare in
371
6. Nazareth, 14 (aprile 1919) p. 3.
7. Nazareth, 16 (aprile 1921) p. 3.
paradiso». Il delicato fiore reclinò su lo stelo, dolcemente, e si spense
«per andare a godere i dolci amplessi della sua Madre celeste».
Fior da fiore
Su la scorta del Nazareth, che pubblica i nomi e gli elogi delle defunte, entriamo nel giardino delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.
Vogliamo cogliere un mazzo tra quei fiori che vi crebbero nei tempi
d'oro dell'Istituto e andarono a profumare il cielo prima della Confondatrice. Il mazzo celebra tutto il giardino e mette in luce l'abilità
di coloro che l'andavano coltivando. Le virtù delle suore defunte descrivono il fervore delle prime generazioni, ed esaltano pertanto l'opera del Padre Fondatore e della Madre Confondatrice, che di quel
fervore furono animatori costanti e vigili custodi.
Dopo la scomparsa di suor Pia Strapparava, avvenuta nel giugno del
1898, morirono altre sedici suore nello spazio di otto anni e mezzo.
Di esse non si hanno notizie, poiché «a nessuno mai passò per la
mente in quei primi anni di registrare nomi e fatti che avessero potuto servire un giorno come soggetti d'ammirazione e d'encomio. Più
che a registrare le buone azioni sui quaderni, si pensava a farIe, lasciando al Signore il tenerne il debito conto nel libro della vita»." Ma
da quando prese a uscire periodicamente il Nazareth, le consorelle
defunte vennero ricordate e raccomandate alle preghiere delle persone buone, e furono pure esaltate, a comune edificazione, le loro virtù.
La prima a comparire sulle colonne della rivista è suor Elena Colombo. Moriva all'età di 29 anni, il i- gennaio del 1907. «Era una colomba per il candore» si dice di lei; «nuova Elena, aveva
8. Narareth, 16 [settembre 1921) p.3.
9. GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 735.
trovato la croce di Gesù nella malattia che da tempo la tormentava.
Ella fu contenta di portare quella croce e morì, sperando di trovare in
cielo la gloria riservata a chi quaggiù piange, ama e spera»."
All'età di 39 anni, suor Carolina Battistoni «moriva santamente, dopo
aver consumata la breve ma laboriosa vita al servizio di Dio ed a
372
vantaggio del prossimo ... L'angelico sorriso, che conservò fino
all'ultimo respiro, e il ricordo delle sue preclare virtù, come ne rendono più sacra e consolante la memoria, così ne fanno più dolorosa la
perdita»."
Suor Eva Ceriani lasciava la terra a 28 anni, il 9 luglio del 1915. «La
sua lunga malattia fu un continuo spasimo, l'agonia fu dolorosissima.
Ma lei sempre calma, sempre serena come un angelo. Dal letto dei
suoi dolori ci fu maestra di fortezza, di umiltà di spirito e di grande
preghiera. Per ricevere il suo caro Gesù ogni mattina, quanta sete,
quale arsura tollerava durante la notte! Per non ailliggere i suoi amati
superiori e le sue sorelle, quanti spasimi sopportava in silenzio!»
Di suor Adeodata Bovi, morta a 26 anni, si attesta che la sua vita religiosa, benché brevissima, fu profumata dall'esercizio costante delle
più belle virtù. Si distinse, in particolar modo, per la sua eroica obbedienza e per la tenera devozione che nutriva verso il SS. Sacramento.
Durante la malattia, che fu dolorosissima, suor Adeodata pregava
sempre «ed era costantemente unita al suo Sposo celeste»."
Suor Tranquilla Gaiani moriva poco dopo la professione temporanea.
Sapeva murare e tinteggiare, poi si prestava ancora in cucina e
nell'infermeria. Una crisi intestinale, refrattaria a tutte le cure, la condusse precocemente alla tomba. La sua morte fu preceduta da quella
del fratello, rimasto ucciso al fronte. Dalla madre che amorosamente
l'assisteva, si fece
10. Nazareth, 2 (gennaio 1907) p. 4.
11. Nazareth, 4 (giugno 1909) p. 4.
12. Nazareth, 10 (luglio 1915) p. 4.
13. Nazareth, II (luglio 1916) p. 4.
promettere che avrebbe sopportato serenamente la morte del figlio e
della figlia. La madre promise. «Allora muoio tranquilla» disse l'inferma. Morì infatti, tranquillamente, alle ore 3 pomeridiane del venerdì 15 settembre 1917.
Nel medesimo giorno si spegneva suor Provvidenza Rossi. Era la
giardiniera della Madonna della Grotta; e la Madonna, improvvisamente, venne a prenderla per portarla con sé, nel giorno dedicato a
celebrare i suoi Dolori. Paziente, amante della povertà, suor Provvidenza era particolarmente abile nel preparare i bambini deficienti alla
373
prima comunione. Amava la preghiera; e quando non le bastava il
giorno, pregava a lungo di notte."
Suor Barsabidea Maddalena moriva nella casa filiale di Guidizzolo
(Mantova), il 28 dicembre del 1917. «Professa da tre anni» commentava il Nazareth, «essa è volata a portare al suo Sposo celeste il giglio
della sua intemerata purezza di cui andava gelosa, lieta di metterlo
presto al sicuro da ogni contatto che potesse menomarne la freschezza»."
L'instancabile direttrice della tipografia dell'Istituto, suor Mansueta
Orcese ebbe la grazia di morire il 19 marzo 1923, festa di S. Giuseppe. Era conosciuta dentro e fuori la Congregazione, e tutti la stimavano, tutti si sentivano migliori a trattare con lei. «Pareva quasi una
bambina, tanto l'anima bella le si leggeva negli occhi grandi e sereni». Per la sua semplicità e schiettezza era molto cara ai Fondatori.
Amò l'Istituto e le sue opere, amò il proprio lavoro. Suor Mansueta
«fece onore» al suo nome. «Irritarsi, andare in collera, uscire in parole offensive, non le era possibile». Attuò con perfezione il programma della Piccola Suora: lavorare, pregare, soffrire. Quando non poté
più lavorare, intensificò la preghiera e l'offerta della sofferenza che
da tempo' andava purificando la sua anima eletta.
14. Nazareth, 12 (settembre 1917) p. 4.
15. Narareth, 12 (settembre 1917) p. 4.
16. Narareth, 13 (gennaio 1918) p. 4.
17. Nazareth, 18 (marzo 1923) p. 3.
Vittima della guerra
Ricordiamo una sola delle consorelle generose, che morirono durante
la guerra mondiale: suor Onofria Dalla Via. «Suora e superiora modello» dice di lei il Nazareth, «si distinse per la sua straordinaria diligenza, per la sua grande pazienza e carità». Da principio si dedicò
all'assistenza dei vecchi nel ricovero di Canal san Bovo, nella provincia di Trento, e li seguì, profughi, a Firenze e a Pistoia. I disagi ne
scossero la salute. Suor Onofria venne chiamata presso la Casa Madre per un periodo di riposo; «poi con novella energia - continua il
Naearetli - riprese la sua santa missione di carità nell'ospedale militare di Peschiera, e da ultimo in quello di Parma». Quivi, con sollecitu374
dine materna, assisteva i soldati colerosi. Ne contrasse il morbo, e in
soli cinque giorni «se ne volava allo Sposo celeste per ricevere la duplice corona di vergine e di martire della carità e del dovere». Suor
Onofria aveva 31 anni."
Di fronte alla morte
Un'altra vittima della guerra fu suor Degna Guarise. Soffrì la prigionia, durante la quale si consacrò alla cura dei feriti. Si valse del particolare ascendente che aveva su di loro per convertirne molti, e molti
aiutò a morire santamente. I patimenti sofferti allora ne minarono la
salute per sempre. Nel 1921 venne ricoverata nell'infermeria dell'Istituto ove rimase ferma in letto per otto mesi.
Durante questo tempo, fu a tutte esempio di rara fede, di coraggio, di
amore ardente al suo caro Gesù, per il quale non era mai sazia di patire ... «Tutto per Gesù!" ripeteva negli accessi di tosse che continuamente la tormentavano; e ai desolati genitori, che vennero a raccogliere l'ultimo suo respiro, diceva: «Non piangete ... fatevi coraggio ... io non ho paura della
18. Nazareth, 13 (settembre 1918) p. 4.
morte, anzi muoio volentieri, perché spero di unirmi per sempre al
mio Dio». Passò gli ultimi giorni in serena e santa letizia, a guisa di
chi è vicino ad un premio, a una corona.
Ugual serenità di fronte alla morte ebbe suor Geltrude De Beni. Venne a mancare nel marzo del 1929, dopo avere assistiti tanti poveri
vecchi presso il ricovero di Arsiero (Vicenza), che morirono in quel
crudo inverno. Polmonite doppia, otite acuta, paralisi, la ridussero agli estremi in dieci giorni.
Abituata com'era al disprezzo di se stessa, suor Geltrude non si mise
a letto se non quando si sentì sopraffatta dal male, ed anche in letto
aiutava gli altri con esortazioni e consigli. Fino all'ultimo della sua
vita, pensò più per gli altri che per sé. Dalla sua bocca non uscì un
lamento. Il suo sguardo era sempre buono e sereno, l'animo calmo e
tranquillo, anche quando il male maggiormente infieriva. Sempre
soddisfatta dell'assistenza e dei rimedi, essa non sperava che nel Signore, perché sapeva che egli solo l'avrebbe potuta salvare. Affrontò
la morte senza timori. Essa stessa si espresse così: «Non ho paura di
morire. Perché temere la morte? Quando si è fatto il proprio dovere,
375
la morte non deve spaventare». Ed essa l'accettò senza dare il minimo segno di turbamento."
Materna compiacenza
Il trapasso sereno delle figlie consolava la Madre Confondatrice.
Sebbene sentisse profondamente la loro perdita, restava confortata al
vedere come le sue suore andavano incontro all'eternità. La morte
sollevava i veli e metteva in luce meriti e valori nascosti. Madre Maria si compiaceva grandemente nel riscontrare nelle defunte quelle
medesime virtù, che ella stessa prediligeva e che inculcava alle figlie
nelle lettere circolari o durante gli esercizi annuali o a colloquio con
ognuna di loro.
Carissime nella Sacra Famiglia: Il buon Dio pare goda cogliere i
19. Nazareth, 17 (aprile 1922) p. 4.
20. La voce del Padre, 8 (aprile 1929) p. 8.
fiori del nostro Istituto, ch'è suo. Altre tre anime belle sono volate al
suo divino cospetto: suor Servidea, suor Elisabetta, suor Severina. La
prima fu modello di mitezza e di mortificazione, la seconda di perfetta
conformità al volere di Dio, la terza di una costanza eroica nell'esatto
adempimento dei suoi doveri,"
Le fuoruscite
Non tutte le suore lasciavano la Madre e le con sorelle per andare in
cielo, a ricevere la corona. Qualcuna - la strada dell'eroismo è cosparsa di feriti e disertori - abbandonava l'Istituto per rientrare nel
mondo.
Finché deponevano l'abito le novizie o le professe di voti temporanei,
madre Maria non si rammaricava molto. Erano in prova; anzi avevano diritto alla scelta: o restare in convento o tornare in famiglia. Anche la Chiesa è sommamente gelosa di questa libertà. Ma quando disertava una professa che aveva giurato fedeltà eterna allo Sposo Divino, quando veniva meno una suora cui ella stessa aveva messo l'anello in dito nel giorno santo della professione perpetua, in tal caso la
Madre avvertiva tutta la gravità del traviamento e se ne doleva, inconsolabile, quasi avesse perduta la figlia per sempre.
376
E che altro potevano fare le sorelle fedeli, all'infuori di raccogliersi in
preghiera davanti allo Sposo «abbandonato», espiando e implorando
per la sventurata? Perciò la Madre scriveva:
Col cuore trafitto da acutissimo dolore, devo pregarvi di fare tre
giorni di fervorose riparazioni per una grande offesa recata al Cuore
Sacratissimo di Gesù da una nostra suora, la quale ora non è Più nel
nostro Istituto. Presso la Casa Madre si terrà esposto il SS. Sacramento per tre giorni; e voi tutte, nessuna eccettuata, fate in comune
per tre giorni continui un'ora di adorazione, ma proprio davanti al SS.
Sacramento,"
21. La voce del Padre, 7 (giugno 1928) p. l.
22. Circolare del 19 dicembre 1921.
Nella cappella dell'Istituto si pregava tutta la notte, allorché una consorella tradiva la vocazione; e quella preghiera espiatrice era fatta altresì per ottenere dal Signore il dono della perseveranza. Col medesimo intento la Madre Confondatrice supplicava le figlie:
Preghiamo, carissime, preghiamo e mortifichiamoci. Teniamoci strette a Gesù, osserviamo scrupolosamente la santa Regola, i santi voti;
teniamo cara la vocazione come un tesoro inestimabile. Serviamo il
Signore con timore e tremore, perché Gesù è geloso del cuore delle
sue spose ... Quando vede in una suora un cuore guasto per affetti disordinati, egli l'abbandona; e senza Gesù, carissime, non si può che
rotolare da un precipizio all'altro,finirla in mezzo al mondo e, Dio
non voglia, perdere eternamente l'anima:"
Piuttosto che le suore abbandonassero l'Istituto, venendo meno alla
parola data al Signore, la Mantovani preferiva vederle morte. Anche
questo sentimento rivelava il suo grande amore di madre. «O Signore» così pregava durante la funzione conclusiva degli esercizi annuali, «fate che tutte abbiano a corrispondere alla grazia della loro vocazione. Nessuna di queste, o Signore, faccia divorzio da Voi! Meglio
vederle morte qui ai vostri piedi ... »
23. Circolare del 13 agosto 1923.
24. Vedi sopra, p. 255.
377
CAPO SESTO
FUORI DELL'ISTITUTO
La carità materna della Confondatrice delle suore di Castelletto sul
Garda s'irradiava anche fuori della Congregazione. Indirettamente,
anzi tutto, attraverso le numerose suore sparse nelle filiali, ch'essa
stessa aveva formato alla vita religiosa e all'apostolato. Ed anche direttamente, presso gli abitanti del paese ed a contatto con le persone
che venivano a Castelletto per trattare con lei.
Abbiamo già rilevato il gran bene che la Mantovani faceva alle giovani della riviera, allorché queste si raccoglievano in ritiro presso la
Casa Madre. Abbiamo pure accennato alla bontà che la Confondatrice diffondeva attorno a sé, quando andava a visitare le case dell'Istituto: le autorità locali, i medici, gli infermieri, i malati erano attratti
dai suoi modi semplici e materni, e parecchi ne parlavano a lungo
con venerazione.
Ora vogliamo rammentare la carità della Madre verso i compaesani,
e il suo interessamento per i genitori delle suore e per i sacerdoti.
Verso il paese
La Mantovani aveva una particolare affezione per il suo paese. Visse
sempre in Castelletto, a contatto con gli abitanti della zona, con i
quali condivideva le gioie e le feste, le preoccupazioni e le calamità.
Da principio conobbe le famiglie, trattando con le mamme dei bimbi
cui insegnava il catechismo o attraverso le ragazze delle associazioni
parrocchiali. Poi il raggio delle sue conoscenze s'ampliò e s'intensificò. Con l'andar degli anni la Mantovani venne a conoscere intimamente le persone e le famiglie, con tutti i loro problemi: religiosi,
morali, economici. Seguiva con particolare interessamento i poveri e
i malati. Nei proponimenti dell'anno 1895 ribadiva:
Con gl'infermi e con i poveri sarò Più premurosa del passato nel soccorrere le loro miserie. Sacrificherò volentieri il sonno e la quiete, e
con l'aiuto della Sacra Famiglia cercherò di essere tutta a tutti.
Non poteva agire altrimenti. Oltre essere cresciuta In mezzo a loro, la
Mantovani considerava i compaesani come figli spirituali del servo
378
di Dio mons. Nascimbeni. Erano, dunque, i figli del Padre della sua
anima e di tutte le sue figlie: come avrebbe osato trascurarli?
Perciò si donò a loro generosamente. Anche da suora, potendo, andava a visitare i malati." Assisteva le famiglie bisognose; e ai poverelli
che venivano a chiedere l'elemosina, dava sempre e dava molto, «dava tutto ciò che di più bello aveva nel suo guardaroba».' Agli operai
del paese, occupati per anni nei fabbricati del rinnovato Istituto, trovò il lavoro. «E non solo dava lavoro, non pagava solo puntualmente
la mercede, dava il cuore e il sorriso: ristorava il corpo e lo spirito».'
Cosi per molti lustri, sino alla morte. Nessuna meraviglia, pertanto,
se quando la Madre venne meno, gli uomini della contrada vollero
portarne la salma sulle spalle per tutto il paese, «quasi fosse stata la
mamma di tutti». E in quel giorno mesto, molti andavano rimpiangendo: «Ah, la Madre! ... Quale perdita! ... »
1. Proponimenti dell'anno 1895: prop. 5.
2. Testimonianza di suor Agnese Brighenti.
3. Testimonianza di suor Adina Petroselli.
4. Suor MARGHERITA MARIA DE PAOLI, La nostra Madre, in
Nazareth, 29 (febbraio
1934) p. 5.
5. Testimonianza di suor Alessia Feller.
I genitori delle suore
Il bene che voleva alle suore portava la Confondatrice ad amare i loro genitori. Le esortava ad essere generose nel distacco dai parenti,
nell'evitare visite e corrispondenze superflue che tardassero, in qualche modo, il loro cammino verso la perfezione religiosa. Ma riguardo
ai genitori voleva che restassero figlie affezionate: più volte all'anno
dovevano scrivere al papà e alla mamma, per dimostrar loro il proprio attaccamento, per consolare la loro vecchiaia.
A Suor Fortunata Toniolo, che all'inizio della vita religiosa eccedeva
talvolta nell'osservanza della Regola, madre Maria scriveva:
Questa mattina abbiamo ricevuto una cartolina da don M., il quale
dice che tua mamma desidera saper notizie di te. Dunque, per obbe379
dienza scrivi subito una bellissima lettera a tua mamma, consolandola; manda ad essa il tuo indirizzo, che lo desidera tanto?
La Mantovani aveva particolari attenzioni per i genitori che giacevano a letto infermi o ch'erano rimasti soli. Per seguire la chiamata del
Signore, una suora aveva lasciato a casa la mamma sola. Quando
questa invecchiò, la suora venne mandata nella filiale più vicina al
paese di origine, «perché la mamma, di quando in quando, potesse
vederla».'
Tutti i genitori poi erano accolti festosamente a Castelletto, quando
venivano per la vestizione o per la professione delle figlie. Quelle erano veramente feste di famiglia: della famiglia naturale in cui le figliuole erano cresciute e della famiglia religiosa che le accoglieva
per sempre. In quei giorni, con particolare efficacia, venivano stretti i
vincoli spirituali, che neppur la morte avrebbe sciolti. I genitori delle
suore sono considerati come i primi benefattori dell'Istituto e partecipano ai meriti e ai suffragi di tutta la Congregazione.
6. Lettera a suor Fortunata Toniolo, del 28 ottobre 1899.
7. Testimonianza di suor Aurea Meneghini.
I sacerdoti
Madre Maria venerava i sacerdoti. Li stimava per quello che sono: i
ministri del Signore, i mediatori tra Dio e gli
uomini, i dispensa tori della divina grazia; senza di loro gli uomini
sarebbero soltanto uomini, cioè peccatori irrimediabili, impediti per
sempre di raggiungere le gioie del cielo.
La Mantovani trattava tutti i sacerdoti con devozione, senza preferenze o riguardi umani. Non solo riveriva i vescovi e i prelati, ma aveva eguale fede e rispetto per i parroci di campagna e perfino verso
gli umili fraticelli. «Capitò un giorno un padre francescano. La Madre si prostrò davanti a lui con tutte e due le ginocchia e baciò ripetutamente il cordone»."
Dal Padre Fondatore la Mantovani apprese a trattar bene chi chiedeva alloggio. Il Servo di Dio infatti era molto ospitale. «Aveva una
particolare predilezione per i poveri, per i sacerdoti e per i religiosi; e
sempre, anche quando riceveva un fratello laico questuante, a tavola
gli cedeva il posto e si metteva alla sinistra di lui»."
380
Diversi ecclesiastici, tra cui qualche vescovo, vennero a Castelletto
per rimettersi in salute. Il clima rivierasco e la quiete del convento
offrivano un valido ristoro al corpo e allo spirito. Appena l'ospite
metteva piede nell'Istituto, la Madre diceva: «Reverendo, faccia conto d'essere in casa sua», e disponeva perché fosse trattato bene. Non
voleva ricever nulla per l'ospitalità offerta, e se il sacerdote insisteva,
«faccia qualcosa - diceva la Madre - per le nostre orfanelle»." Gli ospiti di passaggio concorrevano al sostentamento delle ospiti permanenti.
Alle suore e alle orfanelle madre Maria inculcava la fede verso i ministri del Signore. Insegnava loro come dovevano comportarsi, quando trattavano con i sacerdoti: con quel
8. Testimonianza di suor Ildemarca Canton, entrata nel 1922.
9. Testimonianza della Confondatrice, raccolta da suor Solide a Calliari.
10. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
riserbo, cioè, e con quella devozione che conviene avere verso chi affidiamo noi stessi, perché ci aiuti ad andare a Dio. Alle bambine diceva: «Dovreste baciare la terra ove pone il piede il sacerdote».
A loro volta, i sacerdoti avevano grande venerazione verso la Confondatrice. Ne ammiravano le singolari virtù ed erano felici quando
potevano offrirle i loro buoni uffici. Quelli che venivano a Castelletto
in occasione delle vestizioni e professioni, restavano edificati per il
trattamento umile e premuroso che usava loro la Madre Generale;
tornati a casa, continuavano a parlarne bene. E don Giuseppe Trecca,
il geniale biografo del Nascimbeni, che nel lodare ecclesiastici e suore era per natura parco, aveva una particolare devozione verso la madre Mantovani, e andava dicendo: «Questa donna non ha studiato,
ma ha il buon senso e il criterio d'una che abbia studiato»."
11. Testimonianza di suor Maria Eletta Molucchi.
12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
OLTRE LA MORTE
I santi non cercano la gloria degli uomini. Abituati a trattare con Dio,
vedono le cose come le vede Dio. Sub specie aeternitatis: alla luce
381
dell'eternità. Nessun bene finito, per quanto appetibile, attira la loro
volontà. Quella sete d'infinito e di eterno, ch'è nel fondo del cuore
umano, nei santi ha preso via via proporzioni immense, incolmabili.
La stima degli uomini non li seduce più. Appare loro per quella che
è: superficiale, mutevole, quasi sempre interessata. Cercano,
pertanto, il compiacimento di Dio. Lavorano per lui solo. Faticano
per accrescere ciò che di eterno Dio ha posto in loro e nei loro fratelli.
È questa la via per conseguire la gloria vera anche sulla terra. Costantemente fuggita in vita, la fama insegue i santi oltre la morte; e
quel ch'è più, li segue l'amore. Dopo decenni e secoli, i santi ricevono ancora onori, sono amati e invocati: continuano a diffondere il
bene tra gli uomini.
Madre Maria Mantovani rifuggiva la gloria umana. Quando dichiarò
che «le Piccole Suore debbono stare nascoste, nascoste sempre, sino
al giorno del giudizio», rivelava un atteggiamento abituale del suo
spirito. Era persuasa di non meritare la considerazione altrui. All'infuori degl'insegnamenti impartiti alle suore, i quali ripetevano quelli
del Padre Fondatore, madre Maria non scorgeva nulla che fosse degno d'essere ricordato dopo la sua morte.
Quelli che la conobbero - ed eran tanti - pensavano diversamente. E
quando la Confondatrice venne a mancare,
1. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.
tutti sentirono la grande perdita. Personaggi illustri, prelati e sacerdoti, enti pubblici ed autorità espressero il loro cordoglio, esaltando i
meriti e le virtù insigni della Defunta. Principalmente le suore e le orfanelle piansero la Madre, strappata quasi improvvisamente al loro
filiale affetto. Pareva loro che non dovessero perderla mai, tanto eranoavvezze a vederla, ad intrattenersi con lei, a sentire le sue parole
buone.
La presenza si cambiò in ricordo. Il ricordo sovente divenne ricorso
fiducioso e invocazione. La Madre restò, e rimane tuttora, accanto
382
alle figlie. Dal cielo, assieme col venerato Fondatore, ella continua a
proteggerle e a guidarle.
CAPO PRIMO
GLORIOSO TRAMONTO
Le superiore e le altre suore vocali, convenute a Castelletto per il capitolo generale del novembre 1933, erano ben lontane dall'immaginare che, trascorse alcune settimane, sarebbero state richiamate per i
funerali della Confondatrice e Superiora Generale.
La morte della Madre giunse inattesa per tutti. Sino alla vigilia del
trapasso, né il medico curante, né la vicaria generale, né le suore che
prestavano amorosa assistenza, supponevano che l'indisposizione
della cara Inferma fosse il preludio della fine irreparabile.
E madre Maria ne aveva il presentimento? Pochi mesi prima le avevano regalato alcuni metri di stoffa; ella pregò la suora addetta alla
sartoria perché le confezionasse due camicie, una delle quali, come
diceva, avrebbe indossato dopo la morte. La sentiva ormai vicina?
È certo che Pio andava preparando alla sua Serva il grande avvenimento. Nelle ultime settimane, che precedettero la fine, la Madre era
molto raccolta e silenziosa. Le pene morali, causate da recenti avvenimenti e incomprensioni, purificavano la sua anima eletta e disponevano il cuore al supremo distacco.
L'ultima festa della Sacra Famiglia
La festa titolare dell'Istituto venne celebrata con straordinario fervore
nell'anno in cui morì la Madre. Ella aveva stabilito che, da allora in
poi, la rinnovazione dei voti si compisse nella festa della Sacra Famiglia. Un triduo preparatorio o almeno una giornata di ritiro doveva
disporre l'animo delle suore alla grande solennità.
La Casa Madre precedette le filiali nell'entusiasmo. Fu cantata la
messa nella cappella dell'Istituto e nel pomeriggio si svolsero i vespri
solenni con la predica di circostanza. A mezzogiorno la Madre scese
in refettorio fra le suore, particolarmente acclamata dalle novizie e
dalle probande. La segretaria generale, suor Solidea Calliari, lesse un
indovinato discorso, in cui celebrò il grande merito di quante avevano rinnovato i voti religiosi. Rilevò poi, con particolare compiacimento, la protezione della Sacra Famiglia e del venerato Padre sull'I383
stituto, ed auspicò che la medesima festosa carità, che teneva unite le
consorelle in terra, le avesse poi ricongiunte nella gioia del cielo. In
quello stesso giorno fu dispensato un pranzo più abbondante a tutti i
poveri del paese.
La Madre è indisposta
Venti giorni dopo, la mattina del 27 gennaio 1934, la Confondatrice
rimane in letto, colpita da leggera afonia. Il dì seguente, essendo domenica, vuole alzarsi per la messa; ma la vicaria generale, suor Fortunata Toniolo, la prega di tenersi riguardata. Chiamato il medico
della casa, dottor Torre, esamina accuratamente la malata, riscontrando un leggero attacco influenzale.
La febbre persiste. Il mattino del 30 gennaio la temperatura sale a 37
e 8. La segretaria generale pensa di avvertire con circolare tutte le case filiali, invitando a pregare per la Madre inferma; suor Fortunata
dissuade, temendo d'impressionare le suore. Ella, tuttavia, è in preda
a forte apprensione. Non abbandona la camera della Confondatrice: lì
prega, lì mangia, lì fa lo spoglio della corrispondenza che giunge alla
Casa Madre.
Quando la mattina del 31 gennaio ripassa il medico, rileva un po' di
catarro bronchiale; «nulla di allarmante» dichiara, pur ordinando una
cura per prevenire la broncopolmonite.
La Madre si aggrava
Madre Maria passa benino la mattina del lo febbraio, dopo una notte
assai inquieta. L'applicazione del termoforo ai bronchi le reca un notevole sollievo. La notte seguente invece è tormentosa: l'inferma è
molto agitata e in preda a forte arsura. È cessata l'afonia, ma gli attacchi catarrali sono più violenti. Temperatura: 38 e 8.
Mattino, 2 febbraio: festa della Purificazione di Maria e primo venerdì del mese. La Madre riceve devotamente la comunione. Nessuno avrebbe pensato che la comunione del mattino fosse anche viatico.
Alle ore 9 ha luogo un consulto medico del dottor Torre e del dottor
Raus di Torri, i quali dicono alle suore presenti: «Vogliono troppo
bene alla Madre; la credono grave e non lo è» .. A sentir loro, non c'è
nulla da temere.
384
Suor Fortunata però non è persuasa: la prima infermiera della Congregazione che, avanti di prendere il velo, era stata accanto ai malati
per quattro anni, è fortemente impressionata ed ha tristi presentimenti. «Avvisiamo le suore con circolare» propone, «che non le spaventi
ma le prepari!». Viene stampata e spedita la circolare, che dice:
Carissime nella Sacra Famiglia: Addoloratissime vi partecipiamo che
la reverendissima Madre la mattina del 27 ultimo scorso rimase a letto con una lieve indisposizione e sfebbrata. Così continuò per quattro
giorni, dopo i quali si spiegò una forte bronchite. La notte scorsa si è
aggravata. Perciò la raccomandiamo caldamente alle vostre fervorose
preghiere, perché la Sacra amiglia, il venerato Padre e le Consorelle
defunte le impetrino dal buon Dio la grazia d'una sollecita e perfetta
guarigione.
La Sacra Famiglia ed il venerato Padre ci benedicano e ci consolino.
Vi terremo informate.
Circolare del 2 febbraio 1934, spedita dalle consigliere.
Morte serena
Nella cappella dell'Istituto, suore, novizie, probande e orfanelle pregano ininterrottamente davanti al Santissimo esposto. L'inferma peggiora e si fa rossa in viso. Sale la febbre, che a mezzogiorno ha raggiunto i 40 gradi e 2. Chiamato d'urgenza il medico, appena vede
l'ammalata, esclama: «È perduta!».
Si decide un ultimo disperato consulto. Per telefono viene chiamato
da Verona il dottor Faccioli, e intanto arriva anche il medico condotto di Malcesine, dottor Sisini. Verso le ore 16 giunge il dottor Faccioli portando ossigeno. Troppo tardi. Egli infatti asserisce, sorpreso:
«È inutile chiamarmi, quando ormai è morta: soltanto un miracolo
può salvarla». L'ammalata è giunta alla fase preagonica.
Un'ora prima suor Fortunata aveva chiesto a madre Maria se desiderava confessarsi. «Non ho bisogno» rispondeva tranquilla la Confondatrice. «È contenta, Madre, di ricevere l'olio santo?» insisteva la vicaria. «E perché no?»,
385
Le viene amministrato dal cappellano della casa, don Giovanni Battista Gasperini, che le resta accanto sino al trapasso. In cappella si continua a pregare, sconsolatamente. Pregano le suore nella camera della
Madre che sta morendo, prega il cappellano leggendo le formule liturgiche. Una densa nube di tristezza avvolge la Casa Madre e il paese.
Verso le 16 e 30 l'inferma perde la parola. Poco dopo anche la conoscenza si assopisce.
Passano quattro ore, «orribilmente lunghe, orribilmente brevi» confessa la cronista, suor Solidea Calliari, e continua: «Chi può dire l'intima dolcezza e la forza divina d'attrazione che rapisce madre Maria
dell'Immacolata alle sue figlie?».
Mentre queste attorniano il letto di lei, assieme con i parenti accorsi,
l'anima della Madre è tutta assorta in Dio, non si occupa che di lui
solo.
Alle 21, senza emettere un gemito, «placida, calma, serena com'è
sempre vissuta», madre Maria Mantovani chiude la sua giornata terrena.
I funerali
La lugubre notizia si sparse per tutti i fabbricati della Casa Madre.
Suore, novizie, probande, orfanelle: centinaia di cuori furono oppressi da un dolore senza nome. «Fu un solo grido, un unico pianto: abbiamo perduto la Madre! La Madre è morta!»
Dalle 22 all'una del 3 febbraio furono spediti 110 telegrammi alle case filiali, a personalità amiche e a sacerdoti; altri vennero inviati durante il giorno; alcune case e persone furono avvisate per telefono.
Ovunque la notizia giunse tanto più infausta quanto meno attesa. Migliaia di cuori, risvegliati quasi da un sogno funesto, si volsero a Castelletto, attorno alla Madre defunta, e molte persone si misero in viaggio.
Pertanto «mani pietose e tremanti» composero la venerata salma, che
il dì seguente venne portata nella vecchia sala del noviziato, trasformata in camera ardente. Tra i ceri accesi e i fiori sparsi su la bara
spiccava il volto della «Madre», bianco e roseo, sereno nell'immuta-
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bilità della morte, e la bocca ampia «era atteggiata a materna dolcezza».
Mentre le suore e le orfanelle si alternano in amorosa veglia, giungono i primi pellegrini. Molti piangono, pregano tutti. Alcuni accostano
oggetti religiosi alle mani della Morta, ancora flessibili; altri portan
via un fiore, che toccava la salma. Così per tre giorni e due notti, sino
alla sera del 5, quando il
2. Le notizie intorno alla malattia e alla morte della Confondatrice,
come pure le seguenti che riguardano i funerali e la tumulazione, sono prese da: Cronaca: dal 1931 al 1939, pp. 27-40; Diario giornaliero: dall'Il novembre 1933 al 31 agosto 1935, pp. 16-25. Vedi, inoltre:
Nazareth, febbraio 1934; Il Gazzettino (di Verona), 4 febbraio 1934,
p. 3; 8 febbraio, p. 6.
cadavere vien chiuso in doppia cassa di zinco e di noce, con vetro sul
coperchio all'altezza del volto. Dalla camera ardente portata nella
grande cappella dell'Istituto, la Madre è vegliata tutta la notte da suore e da orfanelle oranti.
Alle 6 del mattino seguente mons. Erminio Viganò, venuto appositamente da Roma per rendere l'omaggio estremo alla Confondatrice,
celebra la prima messa. La cappella è gremita di suore, davanti alle
quali il celebrante, a messa finita, pronuncia un commosso discorso.
Egli esalta le virtù della Scomparsa, ch'era l'anima della casa, dagli
inizi incerti e poveri al fastigio attuale.
Nata da genitori poveri ed analfabeti, frutto di fede profonda e di non
comune pietà religiosa, la giovane Domenica Mantovani si rivelò costantemente anima limpida, in cui nulla nascondevasi che potesse offuscare la nettezza ed il chiarore. Limpida perché la luce di Dio vi irradiò soavemente, limpida perché l'aroma della grazia la preservò
dalla corruzione del mondo, limpida perché le nubi delle passioni
non l'oscurarono mai, limpida perché la fiamma dell'amore divino e
della carità l'avvolse e la purificò. Fu tale semplicità e limpidezza di
spirito che la fece conoscere, ammirare e perseguire quel gran bene,
che essa operò in tutta la sua vita religiosa, per la sua perfezione in387
dividuale, per l'incremento e la santificazione del suo Istituto, per il
vantaggio del prossimo, per la gloria di Dio e della Chiesa.
lo volgo lo sguardo attorno, e come d'un colpo solo vedo strette attorno a questa bara, tante fiorenti istituzioni che, uscite dalla bella
mente e dal grande cuore del Padre, vennero conservate, accresciute,
santificate dal grande amore e dalla semplicità ed insieme prudente
bontà della Madre ...
Le 150 filiali sparse in tutta Italia e all'estero, in cui più di 1000 suore
sviluppano le opere di carità più svariate, la Casa Madre rinnovata, lo
stupendo Noviziato, la moderna Infermeria, le case di Milano per le
suore infermiere, di Verona per le orfane, di Sottomarina per le cure
al mare, di Trento, di Viterbo, ecc., stanno a dimostrare la grande attività della venerata Madre; e sono frutto di tanti pensieri, di tante
preoccupazioni, di tante trattative ed anche di tanti sacrifici da parte
sua, mentre sono ancora l'opera divina che si è manifestata e si manifesta nelle risorse umili e semplici di questa grande Suora e Madre.
3 L'intero discorso dattiloscritto di mons. Viganò è conservato
nell'archivio della Casa Madre.
Nella cappella continuano ininterrottamente le messe di suffragio.
Alle 9 ha inizio l'imponente corteo che dalla chiesa dell'Istituto, girando attorno al monumento ai caduti, accompagna la salma nella
chiesa parrocchiale! Le panche dell'unica navata sono state preventivamente asportate, per fare luogo alle tremila persone presenti. La
chiesa è gremitissima: le cappelle di sinistra sono occupate dalle
scuole femminili, quelle di destra dalle maschili; le orfanelle, dalle
cantorie, accompagnano l'ufficiatura e la solenne messa di requiem. I
riti funebri durano quasi due ore; e prima che si chiudano, don Angelo Boscolo, arciprete di S. Giacomo a Chioggia, legge l'elogio della
Defunta.
Il più eloquente elogio, al dire dell'oratore, sono i numerosrssirru
presenti, convenuti da ogni parte per rendere omaggio alle spoglie
della venerata Madre Confondatrice; sono le opere da lei lasciate.
Data da Dio in aiuto al santo parroco don Giuseppe Nascimbeni,
Domenica Mantovani ne appoggiò gl'ideali e le molteplici istituzioni,
388
dividendo con lui per ben ventinove anni: stenti, fatiche, ansie, lotte,
contraddizioni, ma soprattutto la preghiera, la preghiera confidente e
costante. Nei dodici anni che sopravvisse al Padre, madre Maria ne
completò la missione, sia nel formare le figlie secondo gl'insegnamenti paterni, sia nel far progredire l'Istituto e le sue opere. Né dimenticò il paese, che anzi fu sempre provvida benefattrice, massimamente nei momenti difficili e calamitosi.
Con felice riferimento, don Boscolo ricorda che nel 1892 madre Maria, assieme alle tre prime compagne, proveniente da Verona, scendeva dal piroscafo incoronata di rose. Grandi accoglienze furono in
quel giorno tributate alle quattro sorelle, inghirlandate. Quella stessa
corona, oggi, la Madre la porta sul capo. Allora era caparra e promessa; oggi, dopo più di quarant'anni di santa vita religiosa ed apostolica, è ricompensa, è gaudio.
Mentre la banda suona accoratamente, si riordina il lungo corteo che
accompagna la bara, adagiata su carro funebre fatto venire da Bardolino, al camposanto di Castelletto. La cassa viene deposta momentaneamente nella chiesa cimiteri aie di
4. Su Il Gazzettino (ed. di Verona) dell'8 febbraio 1934 vengono descritti ampiamente i riti esequiali e il grandioso corteo che, nonostante l'inclemenza del tempo, accompagnò la venerata salma della Mantovani al lontano cimitero di Castelletto.
5. Il manoscritto del discorso funebre, tenuto da don Boscolo, si trova presso l'archivio della Casa Madre.
S. Zeno, affinché le suore trattenute dalle bufere di neve possano arrivare in tempo a fissare, per l'ultima volta, «la immutata cara immagine materna».
Qui è calma solenne, scrive il cronista per Il Gazzettino: il lago a
specchio, il Baldo in candore verginale, il cimitero affollato e silente,
il sole appena sorto e già al meriggio dànno l'idea non di funerale, ma
di trionfo. Le campane, per tre giorni, nello scroscio dei singulti,
suonano il mezzodì per chi torna, non per chi resta tra le figlie defunte e compì sua giornata innanzi sera ed è già nel giorno che non ha
tramonto:
389
La tumulazione
La sera dello stesso giorno, alle ore 17, ebbero inizio gli esercizi spirituali per le suore che si trovavano a Castelletto. Pochi corsi, si
rammenta, furono tanto fervorosi ed efficaci. Dal Diario giornaliero'
trascriviamo le annotazioni di questi giorni, così espressive nella loro
laconicità:
7 febbraio. Oggi pellegrinaggio continuo di suore, orfanelle e parrocchiani al cimitero. Vanno a visitare la salma della Madre, esposta
nella piccola chiesa del camposanto.
8 febbraio. Anche oggi continua il pellegrinaggio al cimitero. Giunge
suor Agnese, una delle ultime ad arrivare, a causa del tempo nevoso
e della lontananza, poiché si trova nell'Italia media.
9 febbraio. Continua il pellegrinaggio al cimitero.
10 febbraio. Pellegrinaggio al cimitero di suore, orfanelle e parrocchiani. La Morta è sempre uguale: nessuna alterazione sul suo corpo,
nessunissima macchia.
12 febbraio. Pellegrinaggio delle suore esercitanti al cimitero, per
porgere
l'ultimo saluto alla salma della Superiora Generale [nel pomeriggio
molte
facevano ritorno alle filiali]. Il cappellano della casa ha celebrato a
suffragio
della Madre, cui ha fatto seguito il canto delle esequie.
6. Il Gazzettino, 8 febbraio 1934, p. 6.
7. Diario giornaliero, pp. 22-25.
13 febbraio. Ultimo saluto alle venerate spoglie della Superiora Generale. Verso le ore 9 del mattino, presenti suor Agnese [Brighenti] e
suor Veneranda [Garagna] ed altre suore, la bara venne collocata nei
due loculi gentilmente concessi dal signor Podestà. Prima che venissero chiusi, suor Agnese e suor Veneranda deposero sulla cassa un
390
bigliettino, chiedendo alla cara Defunta la materna benedizione su
tutte le suore, sull'intero Istituto e sulle sue opere.
Quivi le spoglie mortali della Confondatrice riposeranno per circa
vent'anni, dopo i quali verranno riesumate e trasportate nella cappellina del cimitero della Congregazione, costruito accanto a quello comunale.
CAPO SECONDO
IL GIUDIZIO DEGLI UOMINI
Non erano trascorse ancora 24 ore da che la Madre Confondatrice era
piamente spirata, che già arrivarono a Castelletto i primi telegrammi
di condoglianza; poi ne giunsero altri, poi altri ancora, da tutta Italia
e dall'estero. Con i telegrammi si alternavano gli scritti, ove le espressioni di cordoglio erano accompagnate da sensi di stima e di venerazione per la Defunta.
Quanti ebbero occasione di conoscere la Madre durante il suo lungo
generalato, non la dimenticarono più. E adesso ch'è scomparsa, i ricordi si fanno più vivi e commossi. È un coro di voci, vicine e lontane, umili e insigni, che si fondono con quelle delle figlie e delle orfanelle nel celebrare le lodi della cara Estinta.
Dal copioso carteggio, pervenuto in quei giorni alla Casa Madre,
scegliamo alcuni scritti di per sé validi a «testimoniare» quanto fosse
ammirata e benvoluta la Prima Suora della Congregazione. Ai consensi espressi per lettera premettiamo alcuni
Giudizi della stampa
Anzi tutto rammentiamo Il Gazzettino di Verona. Nell'annunciare il
«grave lutto» che ha colpito Castelletto e l'Istituto della Sacra Famiglia, il quotidiano illustra le benemerenze della Madre Generale defunta, e dice:
1. Il Gazzettino, 4 febbraio 1934, p. 3.
Aveva l'età del Fondatore; aveva celebrato l'anno scorso il 40.mo
dell'Istituto, inaugurando il grandioso noviziato eretto da lei; era da
391
pochi mesi confermata Superiora Generale, dal capitolo e dalla santa
Sede, era matura per il cielo.
La giovane trentenne Domenica Mantovani, scelta dal Padre nel
1892 prima tra le sue figlie spirituali, pietra angolare del suo Istituto,
plasmata da lui, ne trasfuse lo spirito nella crescente famiglia: e allorché 12 anni fa mancò mons. Nascimbeni e i facili censori prevedevano l'estinguersi della Congregazione, questa invece, retta dalla
prudenza ferma e cordiale della Madre, crebbe sino a contar oggi
1200 figlie.
Intuizione precisa, buon senso, costanza e rettitudine, gran cuore,
pietà soda, le conciliavano il rispetto e la stima degl'intelligenti, l'obbedienza volonterosa e l'amore delle figlie, la gratitudine del paese
intero, e giustificavano il titolo di Madre divenuto suo nome esclusivo e proprio. Nelle 160 filiali, migliaia di bimbi, di orfanelle, di vecchi, di malati negli ospedali in pace e in guerra, nel Comune e per
tutta la riviera, col nome di «Madre» intendevano lei. E lo era.
Anche da suora si tenne figlia del paese natìo, e ne divenne precipua
benefattrice, sia con i lavori continui dell'Istituto contro la disoccupazione, sia con gli acquisti e il movimento, con la beneficenza periodica invernale, con la carità nascosta, e ora esplosa nella riconoscenza, ché niuno ricorse mai invano a lei.
Identico tributo di lode rendeva alla Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto L'Osservatore Romano? dal quale stralciamo il passo
seguente:
Prima Superiora Generale delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,
madre Maria Mantovani ben a ragione è detta la Confondatrice della
Pia Congregazione. Prudente e saggia, ella seppe trovare nella generosità inesauribile del suo cuore e nella fiducia grande nella divina
Provvidenza, la forza e la capacità per superare le difficoltà che parevano ostacolare i primi passi del nuovo Istituto; e dopo la morte del
Fondatore mons. Nascimbeni, continuò da sola a sostenere il grave
peso dell'ormai prospera comunità.
Dotata di squisita sensibilità e di amorevolezza veramente materna,
prodigò tutta se stessa per le sue figlie spirituali: a tutto e a tutte pensava e provvedeva con quella sollecitudine che mostrava la preoccu-
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pazione del suo cuore e che si traduceva nelle opere di apostolato
delle sue figlie.
2. L'Osservatore Romano, 5-6 febbraio 1934, p. 6.
Sotto il suo governo le Piccole Suore della Sacra Famiglia fiorirono
in modo inaspettato: preparate le sue suore con le cure più premurose, educandole ad una santa vita di preghiera e di lavoro, madre Maria vide, poco a poco, dischiudersi al suo Istituto sempre più vasti e
fecondi campi di apostolato ... dall'educazione degli orfani e degli
abbandonati, alla cura dei malati, all'opera prestata presso seminari e
collegi, perché a tutto le Piccole Suore si dedicano nella umiltà e nel
silenzio, secondo i saggi ammonimenti della loro Superiora Generale.
Da Loco della Svizzera il sacerdote A. Mocetti informa i lettori del
Messaggero Serafico' su la morte di madre Maria dell'Immacolata,
«grande terziaria francescana». «Il Fondatore aveva bisogno di un
aiuto - dice, tra l'altro, lo scrittore ed essa fu ai suoi fianchi a dividerne le prove». E continua:
Come san Benedetto, san Francesco d'Assisi, san Francesco di Sales,
il beato don Bosco, il beato Cottolengo si affidarono all'opera di santa Scolastica, di santa Chiara, di santa Giovanna Chantal, della Mazzarello, di Marianna Nosi, così il servo di Dio Giuseppe Nascimbeni
associò nella fondazione suor Maria Mantovani, e da questo mistico
connubio ne sorse l'Istituto ora rigoglioso, i cui rapidi progressi manifestano evidentemente l'intervento di Dio.
È un ramo innestato sul grande albero della grande famiglia francescana; o meglio, è un germoglio scaturito dalla vitalità prodigiosa di
quest'albero, perché mons. Nascimbeni era terziario francescano lui
pure.
Le prime suore compirono il loro noviziato a Verona nel convento
delle Terziarie e tutte s'improntarono nello spirito della regola francescana ... regola degna delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, che
nella povertà dovevano francescanamente imitare la povertà di Gesù,
Maria e Giuseppe ...
393
Il piccolo albero cresceva spinoso, ma ogni anno la fioritura di rose
era traboccante, sicché il mistico giardino ampliò le sue proporzioni
fino a varcare i confini d'Italia ... Il Fondatore e la Fondatrice poterono inviare l'esercito delle loro Figlie, sempre più crescenti in numero,
nel ministero di diverse opere di carità. Furono richieste anche in
Svizzera, a Linthal, ad Haetzingen, a Schwanden, a Loco, a Osogna,
a Morcote, ove è noto lo spirito ottimo di religiose esemplari ed apostoliche.
L'anno 1922 il Padre se n'andava a ricevere il premio dei suoi grandi
meriti e madre Maria restò sola al governo della Congregazione; ma
aveva in sé la nobile robustezza di un'anima dalla tempra veramente
cristiana, e poté
3. Messaggero serafico - Madonna del Sasso, 24 (marzo 1934) pp.
71-72.
attendere all'ampliamento della Casa, con l'aiuto di un valido Consiglio. Piccola di statura, aveva però un aspetto che incuteva rispetto e
amore. A lei guardavano le figlie, vicine e lontane, come a faro che
segna la via: a lei guardavano, come a madre, a maestra, a guida della più alta perfezione religiosa.
Sacerdoti ed altre personalità
La notizia della morte di madre Maria Mantovani produsse, in quanti
la conoscevano, sorpresa, cordoglio, gioia. Sorpresa, perché giunse
inaspettata; cordoglio, a motivo della perdita che subivano l'Istituto e
tutti coloro cui giungeva la carità spirituale e materiale della Confondatrice; e gioia altresì, causata dalla persuasione che la cara Scomparsa godesse di già la felicità del cielo. È una convinzione, quest'ultima, comune a tutti gli scritti pervenuti alla Casa' Madre in quei
giorni di lutto. Essa si fonda sulla vita santa della Defunta, le cui virtù sono ricordate con devota ammirazione.
Con vera sorpresa e sommo dolore appresi la preziosa morte della
vostra reverendissima Madre Generale. Così volle il buon Dio: così
sia! Pure non è meno doloroso per chi ama. Certo, ella è fra il numero di quelle anime che sono predilette dal Signore, e la sua memoria
è in benedizione .. .'
394
Oh la dolorosissima notizia! Qual perdita per il caro Istituto! Ti confesso che sento così vivo dispiacere e così profondo dolore, che mi
sento muta e inconsolabile ... Insomma, faccio mio tutto il tuo dolore.
E che possiamo noi ripetere al Signore? Egli aveva dato una Fondatrice ed una Generale santa ... Per l'anima benedetta si può godere,
giacché è andata alla Patria, è volata in seno a Dio ... Che cumulo di
meriti, quale gloria si sarà procacciata con la sua vita di santa Fondatrice!'
Celebrai subito la santa Messa pro defuncta, che spero, con 99 di certezza, sarà già a godere col Padre in paradiso il premio della sua santa vita di sacrificio e di bontà..
4. Sac. Luigi Pizzini, Serravalle Trentino, febbraio 1934.
5. Suor Alacoque Calliari, Figlia del Sacro Cuore, sorella di suor Solidea,
segretaria generale: Trento 3 febbraio 1934.
6. Sac. Pietro Giudici, Cologno Monzese 26 febbraio 1934.
A nome del venerato Padre superiore don Giovanni Calabria, porgo a
Lei e a codesta venerata Famiglia Religiosa, le più vive condoglianze, per la morte 'della loro Madre Generale. Il Padre stava per celebrare la santa messa quando ne udì la prima notizia e la ricordò subito, specialissimo modo, nel divin sacrificio. Del resto, ella, ricca di
tanti meriti, volò diritta al bel paradiso. Sarà questo il pensiero più
consolante per loro, perché così nel cielo hanno acquistato una ben
valida protettrice.
Con profondo dolore ricevetti la notizia della morte della loro santa
Madre Generale, che ebbi il bene di conoscere in occasione di una
mia visita alla tomba del venerato Fondatore. Non posso descrivere
l'impressione di santità e di pietà che ne riportai. Compresi di essere
alla presenza di una figura di purissima suora, di una mente superiore, di un cuore occupato totalmente da Dio e dissi tra me: «Fortunata
la Congregazione retta da un'anima sì rara!»!
Siamo proprio alla presenza d'una santa che dal cielo perorerà sempre e meglio la causa della sua Congregazione e delle sue tanto amate figlie. Il plebiscito dei funerali è senza dubbio eloquente, come lo
395
è anche il fatto della venerata Salma non ancora intaccata dai germi
della corruzione. lo penso che non tarderanno a far inserire nel catalogo dei santi il nome della venerata Madre.'
Solo da due giorni ebbi l'inaspettata e dolorosa notizia. Povera e cara
Madre! La pensavo sempre e se avevo dei desideri, erano di poterla
vedere almeno una volta e che campasse fino a tarda età, a bene
dell'Istituto. Ma quest'ultimo non perderà certo per la morte di lei,
ché la reverendissima Madre è una santa e dal cielo sarà grandemente
propizia ... Fino dalla mia tenera età l'ho veduta come santa, sempre
mantenni questa persuasione, ed ora me ne sento sicura.
L'assicuro che mons. Vescovo (di Vicenza) ed io, che molto abbiamo
sperimentato le rare doti dell'animo della Defunta, pregheremo perché il suo spirito riceva in cielo un premio degno di tanti meriti."
La venerata Madre lascia dietro di sé una scia luminosa di esempi da
imitare. L'attività intesa in uno spirito squisitamente evangelico non
aveva
7. Sac. Luigi Pedrollo, Casa Buoni Fanciulli, Verona 5 febbraio
1934.
8. Sac. Giuseppe Calori, Nomi (Trento) 7 febbraio 1934.
9. Sac. Angelo Riva, Osogna (Svizzera) 13 febbraio 1934.
10. Madre Concetta Cova, Gavardo (Brescia) 12 febbraio 1934.
11. Sac. Giacomo Pieropan, delegato vescovile per le religiose, Vicenza 12 febbraio 1934.
altro fine che il bene del prossimo e la gloria di Dio! La sua venerata
figura sarà ricordata in benedizione, oltreché dalla sua Famiglia religiosa, anche da tutti quanti ebbero la fortuna di conoscerla ... "
Fiore di bontà, margherita eletta di Castelletto, giglio di candore e di
purezza, da codesto mistico giardino, ove perenne resterà il profumo
delle sue virtù, venne trapiantato nelle eterne aiuole del paradiso. Più
volte ebbi l'onore di conoscere e di ammirare le belle e singolari doti
della loro degnissima Madre, ma devo confessare che quello che mi
colpiva maggiormente era la sua grande umiltà, per cui la vedevo intrattenersi familiarmente non solo con le sue ottime suore, ma altresì
con le novizie e con la più piccola delle sue orfanelle. È questo il se396
greto che plasma le anime grandi, forma l'abito alla virtù e popola il
cielo di santi. E allora siamo più che certi che la bell'anima della loro
Madre Generale e prima superiora dell'intero Istituto è passata dalla
terra al cielo a raccogliere il premio di una vita attiva e virtuosa, passata nel nascondimento e nella preghiera."
Da poco più di un mese avevo conosciuto la Madre defunta. È stato
sufficiente questo tempo perché si generasse in me come un fascino,
una venerazione verso la grande Scomparsa. Perciò ho sentito il bisogno di affrontare ogni sacrificio pur di arrivare a porgere l'estremo
saluto a lei che ci ha lasciati. Lasciati con la sua presenza materiale,
ma non col suo spirito, ma non col suo cuore, che sarà sempre con le
sue figlie, come sempre vi è quello del venerato Padre."
Voci di figlie
Nessuno tanto soffrì per la morte della Mantovani quanto le sue figlie
spiritual. Da principio non riuscivano a persuadersi che la Madre fosse morta davvero e che si potesse continuare a vivere senza di lei.
Lei, le aveva ricevute in convento; lei presente, avevano vestito l'abito religioso ed emessi i santi voti: avevano fatto il noviziato vicino a
lei, confortate dalla sua materna amorevolezza, guidate dai suoi esempi ed ammaestra12. Signor Emilio Turco, Verona febbraio 1934.
13. Sac. D. Surriena, Carouge (Ginevra) 7 febbraio 1934.
14. Sac. Giovanni Baravelli, Serravalle Ferrarese 7 febbraio 1934.
menti. Ora non era più; e quando sarebbero venute a Castelletto, non
l'avrebbero trovata, non si sarebbero più intrattenute con lei nell'intimità del suo studio.
Le suore che non poterono essere presenti ai funerali, scrissero alla
vicaria suor Fortunata, dando sfogo al loro dolore. Dalle filiali infatti
giunsero decine e decine di lettere che ripetono, con maggior accoramento, i motivi già noti. La persuasione che la Madre gioisca nella
gloria e che dal cielo continui ad amare ed a proteggere le figliuole,
lenisce l'angoscia della perdita e sprona ad imitarne le virtù.
Sorpresa dolorosissima ci fu la notizia della morte della nostra amatissima Madre, molto più che non la sapevamo ammalata. Dio nei
suoi imperscrutabili decreti ha voluto togliere dal nostro giardino
397
quel fiore che emanava dappertutto soave fragranza per le sue rare
virtù e trapiantarlo nel giardino celeste ... Oh! il pensiero che ci conforta è quello che la nostra buona Madre avrà già ricevuto il premio
delle sue fatiche, dei suoi dolori fisici e morali, sostenuti per il bene
dell'Istituto e di noi sue figlie."
Non so trattenere le lacrime al pensare che, dopo trent'anni di vita religiosa, abituata a scrivere sempre alla nostra cara Madre Generale,
ella ora non è più ... Il sapere che avevamo una Madre così cara, sollecita del nostro bene, forte e soave nel tempo stesso, tutta a tutte
senza distinzione di sorta, ci spronava a sopportare le tante croci, che
incontriamo sul nostro cammino."
Il nostro cuore è talmente straziato dal dolore che non troviamo le
parole per esprimerlo. A quel telegramma, «È morta la Madre Generale», siamo rimaste ammutolite ... Non si voleva credere ... Non abbiamo più la Madre! Pensiero che strazia l'anima! Siamo lontane, ma
il cuore è costì, unite alle sorelle che piangono, vicine alla bara funebre ... Non abbiamo il bene di vederla, ecco il nostro dolore. Dal cielo ci guarderà; benedirà le sue figlie, unitamente al venerato Padre."
Ci troviamo ancora immerse nel più crudo dolore per la mancanza
quasi repentina della carissima Madre Generale, però la pensiamo in
paradiso
15. Suor Placidia Capri e suor Elpidia Marziali, Chioggia 3 febbraio
1934.
16. Suor Cieli a Balanti, Luzzara (Reggio Emilia) 16 febbraio 1934.
17. Suore di Pontelagoscuro (Ferrara), 4 febbraio 1934.
vicina al carissimo Padre, a godere insieme la pienezza della felicità,
guadagnata quaggiù con l'esercizio delle virtù, di cui ci diedero ambedue così grandi esempi."
Non ci possiamo rendere persuase d'essere orfane di tanta Madre,
buona e santa. Non troviamo parole valevoli e confortanti, perché la
mancanza della carissima Madre non ha conforti quaggiù. Solamente
ci consoliamo, sapendo come Ella goda già il premio del gran bene
fattoci e dalla beatitudine eterna ancora vigilerà e proteggerà le sue
figlie."
398
La Sacra Famiglia l'ha chiamata con sé nel bel paradiso, a godere il
grande premio che si è meritata con la sua vita tutta santa ed operosa
... ma noi non l'abbiamo più!"
Il nostro dispiacere è grande, tutte lo sentiamo, perché l'affetto e la
gratitudine ci portava ad amarla quale Madre tenerissima, per le molteplici virtù e la carità grande che aveva per le sue figlie ... Siamo più
che sicure, che la nostra carissima Madre gode il premio dei beati nel
soggiorno del paradiso, col nostro amato Padre."
Quando fui privata della mia mamma adorata, madre Maria mi ripeteva spesso: «Ti farò io da mamrna!». Ed eccomi orfana una seconda
volta, e questo dolore è dieci volte ben più grande del primo."
Oh! se ella ci ha amate fin qui, non cesserà ora di amarci e di pregare
perché diventiamo buone, come c'insegnò e fece ella stessa."
Abbiamo promesso sulle sacre spoglie della nostra carissima Madre
di fare il possibile per imitarne le virtù, specialmente la semplicità, la
rettitudine, la purezza del cuore; di amarci a vicenda e di amare il nostro Istituto, di stare unite in un sol cuore, di concentrare i nostri affetti in Dio solo ... "
18. Suor Letizia Fondrieschi, Legnaro (Padova) 10 febbraio 1934.
19. Tre suore di Arcola (La Spezia), febbraio 1934.
20. Suor Gennara Chirico, Montottone (Ascoli Piceno) 12 febbraio
1934.
21. Suor Ernesta Valtorta (per tutte), Trieste 9 febbraio 1934.
22. Suor Luciana Faccin, Viterbo Il febbraio 1934.
23. Suor Lambertina Capparuccia e suor Leonilde Vignolo, Bellante
(Teramo) 6
febbraio 1934.
24. Suor Marcella De Muri e sorelle, Merano (Bolzano) 8 febbraio
1934.
Il pianto delle orfanelle
Le piccole ospiti dei diversi orfanotrofi rimasero doppiamente orfane. La scomparsa della «Madre» provocò un tale vuoto nei loro cuori, che nessuno riuscì a colmare. In parti colar modo le più vicine,
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quelle che si trovavano a Castelletto, soffrirono grandemente per la
perdita della loro benefattrice. Erano abituate a vederla tutti i giorni:
a ricreazio- ne, in refettorio, in chiesa. Andavano frequentemente da
lei; la visitavano nel suo studio, sentivano la sua voce, ricevevano i
piccoli regali che tanta gioia mettevano nei loro cuori.
Ora passano le giornate, e le piccine non vedono mai la Madre, non
sentono più le sue parole buone. Vanno però spesso a trovarla nel
camposanto, vanno a pregare sulla sua tomba e a promettere d'essere
più buone. Ma qualcosa di cambiato c'è sul loro volto da quando la
Madre è partita: qualcosa di mesto e di grave, che le rende precocemente pensierose, quasi preoccupate.
Pertanto le orfanelle lontane, che si trovano a Verona e a Milano, ed
anche le ex allieve che da tempo hanno lasciato il caro nido, saputa la
morte della Madre, mandano lettere commoventi a Castelletto. Le parole dicono poco nei momenti dei grandi dolori: eppure esse rivelano
segreti stati d'animo, ove la riconoscenza e l'affetto lasciano impronte
indelebili.
Ho perso ormai colei che mi amava tanto, quella cara mamma che
sempre pensava per le sue sventurate figlie lontane, che sono al
mondo senza padre e senza madre."
Mi unisco al suo dolore ed a quello delle care orfanelle ... Seppi la
notizia per mezzo della superiora e subito ne restai muta, senza saper
dir niente. Speriamo che quell'angelo di bontà, assieme al venerato
Padre e a tutte le Consorelle defunte, preghino per noi ... La prego di
tenermi presente quando faranno stampare l'immagine-ricordo."
25. Maria Bertoletti, Brescia febbraio 1934.
26. Rosina Tezza, Longaron (Belluno) 13 febbraio 1934.
Con grande dolore intesi la triste notizia: la perdita della cara Madre.
Non avrei mai pensato di non vederla più ... Sebbene lontana col corpo, sono presente con lo spirito ed innalzo preghiere, perché dal cielo, ove certamente si trova, benedica la sua orfanella .. ."
Dev'essere ben triste la grande Casa senza la Madre! Le assicuro che
questo pensiero mi dà l'impressione di vuoto così grande, che com-
400
prendo bene il pianto delle orfanelle e di tutte le suore, cresciute sotto
le sue continue e materne cure."
La lettura del Nazareth ci ha fatto rivivere quei giorni di tristezza e di
pianto, specialmente nel punto ove parlava delle orfanelle ... Non
facciamo altro che rileggere quella vita, guardare commosse e rimirare e baciare quelle care sembianze, che per tanti anni supplirono col
sorriso e con la bontà, alla lontananza o alla perdita dei nostri cari
genitori. La rivediamo in ogni momento della sua vita: specialmente
seduta là nella sua semplice poltrona, in attesa delle sue colombine ...
Per noi la Madre era eterna, ci sembrava che la legge della morte per
lei non esistesse ... "
Il dolore della Madre è ancora forte in noi, e il ricordo ci ruba le ore
di studio. Povera mamma nostra! Preghiamo e soffriamo!. .. Ce la saluti quando va al cimitero."
Noi sentiamo più vivo il ricordo del giorno in cui ci accolse amorosamente in codesto collegio, dove abbiamo poi trascorso un po' di
tempo, avendo modo così di apprezzare in lei una bontà sconfinata.
Nella tristezza che ci opprime, volgiamo al Signore le nostre preghiere per la cara Estinta, la quale dedicò tutta la sua vita a sollevare ogni
pena, ad insegnare alle sue più piccole figlie la via del cielo."
La trigesima
La comune venerazione per la madre Mantovani viene attestata ancora dai numerosi riti funebri che si svolsero nel giorno del funerale,
nel settimo e nel trigesimo. Durante tutto il
27. Serafina Mazzola, senza data.
28. Adriana G., Trento 18 marzo 1934.
29. Un gruppo di orfanelle, studenti a Milano, 1° marzo 1934.
30. Le medesime, Milano 9 marzo 1934.
31. Tre ex allieve, 9 marzo 1934.
mese di febbraio, nelle case filiali della Congregazione si tennero
funzioni di suffragio con messe cantate, comunioni, e solenne ufficiatura.
Tra i paesi, ove risiedevano le case filiali, ricordiamo: Brugherio,
Ponte dell'Olio, Fontaniva, Tiarno di Sotto, Petritoli, Ambrogio,
401
Montegiberto, Pontelagoscuro, Cologno Monzese, Campiano, Schilpario, Donada, Marano Vicentino, Barbarano Romano, ecc.
Particolari suffragi furono offerti dalla scuola apostolica Bertoni a
Verona, dal seminario serafico di Trento, nella casa generalizia dei
Figli dell'Immacolata a Roma, nei serinari regionale e diocesano di
Viterbo.
Meritano speciale menzione le case filiali della Svizzera: Osogna,
Morcote, Loco, Carouge (Ginevra), ove le Piccole Suore riscuotono
comune ammirazione anche da parte dei protestanti.
A Trieste, nell'ospedale militare si tenne ufficio solenne, cui presenziarono il Direttore, gli ufficiali con le loro signore, i soldati. L'arciprete di Poviglio (Reggio Emilia) fece stampare un'immaginericordo, che, prendendo parte al dolore dell'Istituto, esalta «il lavoro
amoroso, solerte ed umile» delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,
«nel curare gli ammalati e nell'istruire i piccoli bambini» del paese.
A ricordo della grande Estinta, parroci ed enti pubblici fecero cospicue offerte per le orfanelle.
«Fu un vero plebiscito di pietà per la Defunta, di stima e di affetto
all'Istituto»."
32. L'Avvenire d'Italia, 13 marzo 1934.
Omaggio filiale
La vita di madre Maria fu veramente santa. Ella era distaccata dalle
cose di quaggiù, interamente uniformata alla volontà di Dio; viveva
in profondo raccoglimento, era un'anima di grande preghiera. Era
fortemente innamorata della Madonna di Lourdes, della quale imitava le virtù.
Il suo volto, come quello di Maria, era sempre atteggiato a un dolce
sorriso, anche quando il suo cuore lacrimava. Del dolore aveva fatto
una scala che la portava, giorno per giorno, più vicina a Dio. La sua
volontà era sempre uguale, tanto nelle prospere che nelle avverse vicende, nelle quali vedeva sempre la volontà di Dio. Di tutto era autore il suo amato Sposo: perciò non v'era nulla che la potesse conturba-
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re, anche quando la prova più dolorosa bussava alla porta del suo
cuore e lo lacerava.
Spesso ci diceva: «Dobbiamo osservare i santi voti per amore, perché
per amore ci siamo fatte suore. Gesù sarà contento se noi, sue spose,
saremo fedeli ai suoi desideri. Amiamo tanto il nostro caro Gesù: il
nostro cuore sia suo, tutto suo, non ammettiamo altri affetti».
Nell'osservanza della povertà precedeva tutte con l'esempio. Ripeteva
spesso: «Viviamo da povere, come abbiamo promesso a Gesù. Basta
quel tanto ch'è necessario per coprirei, senza desiderare cose migliori
... ».
Pure nell'obbedienza era di grande esempio. Eseguiva ogni comando
scrupolosamente. Ci ammoniva con la frase: «L'obbedienza forma i
santi».
Madre Maria aveva una profonda umiltà. Quando veniva mortificata,
il suo volto non cambiava aspetto; conservava il sorriso, e serenamente domandava perdono. Il Padre l'aveva ben conosciuta e ne apprezzava la virtù. Quando la Madre non era presente, rivolto a noi diceva: «Ringraziate il Signore, ché avete una Madre santa. È semplice
come una bambina; ella conserva la sua santa innocenza».
Circa il voto di castità madre Maria era delicatissima. Temeva anche
l'ombra del peccato. Da tutto il suo aspetto la si poteva giudicare un
angelo. Ci raccomandava di non guardare nessuno durante i viaggi,
di leggere la santa Regola, di stare unite al Signore.
Aveva poi una grande carità. Tutti i giorni distribuiva la minestra ai
poveri. E quando in casa si faceva una festicciola, voleva che si desse
loro anche la porzione di carne, affinché fossero contenti anche loro.
Con le suore era proprio una mamma. Consigliava ed esortava a farei
presto sante. Quando doveva correggere, usava tanta delicatezza e
tanto amore, che subito si rimaneva convinte, provando vivo dispiacere per la mancanza commessa.
Con ragione si può dire che madre Maria era la Regola vivente. Era
di esempio a tutte. Era un'anima di grande sacrificio e di profonda carità. Per tutto e per tutte sapeva sacrificarsi, portando alle sue suore
un bene di mamma. Per sé desiderava sempre l'ultimo posto, in qualsiasi luogo si trovasse.
403
Nei dolori fisici conservava inalterato il suo abituale sorriso, ed esortava pure le suore a soffrire in silenzio, senza farlo sapere agli altri.
Aveva fatto suo il motto del Padre Fondatore: «Spacchiamo il minuto
e tutta la nostra vita sarà santa»."
Abbiamo posto alla fine di questo capitolo, che prova la venerazione
e l'affetto di tanti cuori per la Confondatrice, questa lunga «testimonianza» d'una delle sue figlie. Essa riassume, in breve, quanto è stato
detto diffusamente in questo volume, dove abbiamo raccolto l'abbondante documentazione che riguarda la madre Maria Mantovani. Le
numerose «testimonianze», orali e scritte, meritano l'assenso. Interrogati in diversi tempi, senza reciproche interferenze o accordi prestabiliti, i «testi» hanno affermato le stesse cose, hanno espresso identiche impressioni: tanto la vita della protagonista doveva apparire
chiara e virtuosa a tutti.
Sembra poi che Dio abbia voluto confermare il giudizio degli uomini
concedendo particolari favori, che furono ottenuti per la intercessione
della sua Serva.
3. Testimonianza di suor Adele Ferrari, entrata nel 1902.
CAPO TERZO
DIVINA CONFERMA
Ai fatti che stiamo per riferire, ritoccando solamente la forma letteraria dei documenti, I non intendiamo prestare altro credito, che non sia
quello prudentemente dato a simili narrazioni. Ad altri, e con ben altra autorità, spetterà esaminare questi ed analoghi avvenimenti, per
vedere se meritino una fede che vada oltre l'umana. Qualora Dio abbia stabilito di glorificare anche sulla terra la Confondatrice delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia, al tempo designato interverrà. Se
poi non è predestinato che la Confondatrice venga elevata agli onori
degli altari, la sua vita resta egualmente virtuosa e degna pertanto
d'essere proposta all'ammirazione e all'imitazione dei fedeli.
Sembra che la Mantovani avesse il dono di scrutare i cuori. Diverse
suore assicurano che la Madre «leggeva» nel loro mondo interiore,
404
prima ancora che parlassero e addirittura quando non avevano intenzione di parlare.
Altrettanto riguardo al futuro: pare che la Confondatrice a volte lo
prevedesse e lo predicesse, in parti colar modo ad alcune giovani che,
loro malgrado, un giorno avrebbero preso il velo nella Congregazione.
Il 16 luglio del 1927 una giovane si trovava a Castelletto con i genitori, per assistere alla vestizione della sorella. Non era affatto incline
alla vita religiosa, che anzi rimproverava la sorella d'aver scelto la
via del convento.
Nel pomeriggio avvenne un colloquio tra la Madre Generale e i genitori della neo-vestita, presenti le due figliuole. La Confondatrice
chiese ai genitori
1. Giacciono presso l'archivio della Casa Madre, sotto la voce: Grazie attribuite a
madre Maria.
se la cerimonia del mattino li aveva soddisfatti, se erano lieti d'aver
dato una figlia al Signore. Alla loro risposta affermativa, la Madre
riprendeva il discorso e domandava se erano disposti a fare un ulteriore sacrificio, lasciando in convento anche l'altra figliuola. «Se oggi
rimane con noi» continuava la Madre, «prima di sera la vesto da probanda e le condono tutto, dote e corredo». Il padre e la madre sarebbero stati pronti a dare a Dio anche la figlia diciassettenne, sempre
che questa fosse stata chiamata alla vita di convento; ma la ragazza,
cui tale proposta apparve per lo meno «irriflessiva», sbottò: «Madre,
quando troverà nel calendario una settimana con tre giovedì, lei mi
aspetti qui». Ci fu una risata generale. Nondimeno la Confondatrice
confermò: «Questa signorina un giorno varcherà la soglia di questo
convento». «Non sarà mai!», concluse la ragazza.
La settimana dei tre giovedì non arrivò, ma venne la vocazione religiosa. Per cinque anni la giovane non sentì alcuna attrattiva per il
convento, e quando andava a trovare la sorella continuava a rinfacciarle d'aver preso il velo.
A ventitré anni scoppia la crisi interiore: la chiamata al chiostro si fa
sentire forte. La giovane resiste, disprezza quella voce dolce ed insi405
stente, fa di tutto per soffocarla, ma non ha pace, «né di giorno né di
notte», e dopo alcuni mesi di lotta deve arrendersi. Per ritrovare la
serenità, la figliuola va a Castelletto dove da tempo l'attende madre
Maria, e si fa suora.'
Gli episodi che ora presentiamo, accaddero dopo la morte della Confondatrice e furono attribuiti alla sua sollecita intercessione presso
Dio.
«È proprio guarita!»
Il 30 gennaio del 1934, la novizia suor Pia Concetta Sartori scendeva
la scala della cantina e cadde battendo il ginocchio sinistro sui gradini e sul recipiente di rame che reggeva in mano. Due giorni dopo fu
costretta a rimanere in letto, accusando forti dolori al ginocchio offeso. Venne il medico, il quale sentenziò che sarebbe stata necessaria
l'incisione, qualora non fosse scemata la tumefazione prodotta dal
sangue guasto. Il male aumentò e il gonfiore si estese a tutta la gamba.
Ormai era inevitabile l'intervento chirurgico, che la novizia avrebbe
dovuto subire nell'ospedale di Bussolengo verso la fine di febbraio.
Ella
2. Testimonianza di suor Carlinda Cazzaniga, entrata nel 1933.
pertanto pregava la Madre Confondatrice da poco morta, con tanta
maggior fede, quanto più grave era il timore di non poter più proseguire il noviziato, a causa del ginocchio tumefatto. Il ricorso fiducioso alla Madre defunta durò tre giorni. Alle ore quindici e un quarto
del terzo giorno, la malata avvertì una forte scossa alla gamba e dopo
pochi secondi le parve d'essere guarita. Anche la febbre era scomparsa.
Quando alle sedici venne l'infermiera, la novizia disse con grande
gioia: «Mi sento guarita». La suora infermiera non voleva credere,
ma quando, tolte le fasce, vide il ginocchio, disse sorpresa: «È proprio guarita!».
406
La novizia scese dal letto e camminava bene. Il giorno dopo riprese
tutti gli atti comuni, senza avvertire più alcun disturbo.
«Sentii una stretta forte forte alla gola ... »
Trascorse alcune settimane, una postulante venne improvvisamente
sanata dal mal di gola. Da tre giorni ne era affetta, con attacchi di
febbre che la costringevano al letto. Cessata la febbre, la giovane si
alzò per la scuola, ma la voce non le veniva. Prese anzi del freddo e il
mal di gola tornò. Durante la giornata aveva pregato la Madre Confondatrice, toccandosi più volte la gola con un fiorellino ch'era stato
a contatto con la salma della Madre.
Il mattino seguente la postulante doveva scendere per la messa delle
sei, ma, fatti alcuni passi, non riusciva ad andare oltre. Tornò indietro
e si rimise in letto con l'intenzione di andare alla messa delle otto.
«Dopo alcuni minuti da che mi ero coricata» attesta la giovane, «avvertii una scossa. Presi spavento; e poco dopo, sentii una stretta forte
forte alla gola, che m'impediva di respirare. Voltandomi, vidi accanto
al letto la reverendissima Madre, che mi guardava ... Volevo parlare,
ma non potevo perché la Madre mi teneva stretta a quel modo ...
Mentre recitavo con la mente un requiem, la buona Madre mi lasciò
... ed io non sentivo più il male. Ero completamente guarita».
“Qui c'è il dito di Dio”
Durante la prima guerra mondiale, il signor Patuzzo Giuseppe era
stato fatto prigioniero dai tedeschi e venne internato in Germania.
Quando rimpatriò dopo trenta mesi di prigionia, era mal ridotto in salute. Dovette infatti sottoporsi ad una operazione allo stomaco, e dopo quindici mesi fu necessario un altro intervento per calcoli al fegato ed appendicite. L'operazione riuscì; ma, a causa di disfunzioni biliari, il paziente rimase in letto per altri otto mesi, servendosi di un
cannello artificale. L'ammalato deperiva di giorno in giorno e in capo
agli otto mesi era ridotto agli estremi.
Conosciute le gravi condizioni, la sorella suor Lodovica iniziò subito
con grande fede una novena, «perché il Signore, per intercessione
della venerata madre Maria, si degnasse accordare la grazia», non
soltanto per il bene che voleva al fratello, ma in vista ancora dei
quattro figliuoli che sarebbero rimasti orfani e della carissima con-
407
sorte. Finita la novena senza effetto, la Patuzzo ne cominciò un'altra,
ma al quinto giorno ricevette un espresso ove il fratello diceva:
«In una delle lunghe notti insonni, s'avvicinò al mio letto una suora
vestita di nero, la quale delicatamente scoprì la ferita, tolse il tubo e
la bottiglia che v'era attaccata, la mise per terra, e sparì. lo rimasi
sorpreso per questo sogno (tale infatti m'è apparso) e sentivo in me
un benessere insolito. Guardai la mia ferita, e per vedere meglio, feci
accendere la luce più forte ... Vidi sopra la ferita una pelle leggera e
fresca ... lo poi non avvertivo più né dolori né fastidi.
Da tempo il professore aveva perduto ogni speranza sulla mia guarigione; e quando passava a visitare gli ammalati, non si avvicinava
più al mio letto.
Il mattino seguente al mio sogno, lo invito a controllare quanto è accaduto durante la notte. Il professore stenta a credere, esamina diligentemente, poi, rivolto al suo seguito, dice: Qui c'è il dito di Dio».
In quello stesso giorno il Patuzzo si alzò e riprese a mangiare; il dì
seguente uscì dall'ospedale, e poco dopo riprese a lavorare.
Duplice grazia
Nel settembre dell'anno 1934 la stessa suor Lodovica Patuzzo prestava servizio, come infermiera, presso un ospedale della Romagna.
Una signorina trentenne, operata di tumore all'addome, era ridotta in
fin di vita. Per molti giorni persistettero alte febbri e conati di vomito, che non permettevano alla paziente di bere neppure un sorso d'acqua.
Non meno precaria era la vita morale della trentenne. Da tempo ella
conviveva con un uomo ed aveva una bambina di cinque anni, tuttora
da battezzare.
Quando ormai era perduta ogni speranza di guarigione tanto da parte
del primario dell'ospedale che della paziente, la suora infermiera
pensò di ricorrere all'intercessione della Confondatrice madre Maria
dell'Immacolata. Ne parlò con la degente, facendosi promettere che,
a grazia ottenuta, la giovane avrebbe regolato la sua posizione morale
e cristiana.
La suora mise sotto il guanciale della malata una reliquia di madre
Maria, e tutte le sere, inginocchiata per terra, pregava con grande
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fervore per l'inferma. La quinta notte della novena, la suora provò a
dare un po' d'acqua zuccherata, che la degente riuscì ad inghiottire.
Dopo un'ora fu rinnovata, con buon esito, la prova. Passate due ore,
la suora infermiera riprovò con un po' di caffè, e tutto andò bene. AI
mattino servì latte e caffè, che la malata riuscì a trattenere. Era cessato il vomito. «Ci pareva di sognare» scrive la Patuzzo, «ma era la realtà».
Quando il primario dell'ospedale fu invitato a visitare la paziente e
venne a conoscere quello che essa aveva inghiottito senza rimettere,
si meravigliò e disse: «Ebbene, se la malata continua a migliorare,
vuol dire che qui è intervenuto il soprannaturale, perché a quest'ora
doveva essere già morta».
La degente migliorò, dopo alcuni giorni lasciò il letto e riprese a
mangiare di tutto. Trascorso un mese, si svolse una festa commovente nella cappella dell'ospedale. Nel medesimo giorno la giovane trentenne e l'uomo col quale conviveva si confessarono, si comunicarono, si unirono sacramentalmente in matrimonio, e la loro bambina ricevette il battesimo.
«Ho ottenuto la grazia»
«Dai primi di luglio [1934] mi trovavo ammalato di sciatica. Non so
descrivere i dolori che soffrivo, tanto che nel mese di settembre restai
immobilizzato in letto. Per colmo di sventura, mia moglie era all'ospedale in preda a forte esaurimento. Restai a casa solo con sei figliuoli, e nessuno guadagnava. Unico mio conforto era la fede; dal
canto mio non cessavo di pregare.
Dopo il 20 ottobre ebbi un sogno. Mi parve di vedere la loro Madre
defunta, tutta splendente, la quale mi disse:
«Bepi, come state?»
«Male» risposi.
«Pregate e sperate» aggiunse la Madre, e sparì.
La visione della santa suora, che io tenni sempre in alta venerazione,
m'indusse a cominciare subito una novena implorando la grazia della
guarigione.
Il l° novembre ebbi un consulto di tre medici, che mi trovarono in
pessime condizioni. Il giorno 4 finiva la novena, fatta con viva fede,
quando, tutto d'un tratto, mi parve di vedere la santa suora che mi di409
ceva: «Alzati! ... » Provai e vi riuscii subito: i dolori erano scomparsi. Allora emisi un grido: - Ho ottenuto la grazia dalla Madre di Castelletto!
I miei di casa rimasero sbalorditi per questo miracolo. Mai più si
cancellerà dalla mia mente la santa figura della Madre, che, per dovere di riconoscenza, sempre ricorderò nella preghiera».'
«Incominciò a vederci ... »
La signora Corinna Biaggi Battistelli di Rodigo (Mantova) scriveva il
2 marzo 1959: «La mia defunta mamma aveva un occhio con cateratte e l'altro che doveva subire l'operazione; non ci vedeva quasi più,
tanto che non riusciva a lavorare.
Mi rivolsi con grande fiducia alla madre Maria e con grande gioia
mia e della mamma, fatta la novena, [la mamma] cominciò a vederci
e a lavorare come prima. Ebbi pertanto la grazia d'essere esaudita nel
mio desiderio, poiché non volevo vedere la mamma morire cieca».
3. Dalla lettera di Giuseppe Ebranati, scritta da Salò Campoverde il
25 dicembre 1934.
CAPO QUARTO
TRA LE FIGLIE MORTE
Presso le Piccole Suore della Sacra Famiglia domina un forte spirito
di unione e di collaborazione. A crearlo hanno contribuito i Fondatori
ed alcune istituzioni, che favoriscono l'affiatamento degli animi e il
sincero amore all'Istituto.
Ricordiamo, tra le molteplici opere, il noviziato unico presso la Casa
Madre, ove più facilmente si apprende lo spirito delle origini e la coltura delle vocazioni è uniforme; l'unica infermeria, che raccoglie dalle diverse case le consorelle ammalate e bisognose di riposo; la
«Nuova Casa Gioiosa», specchiantesi nel lago, con la scuola media e
l'istituto magistrale parificati dal 1950, dove le apostoline, le pro
bande e le professe di voti temporanei vengono avviate agli studi dalle sorelle maggiori, diplomate e laureate ...
410
Vogliamo ricordare ancora il cimitero della Congregazione, eretto a
Castelletto accanto a quello comunale, che ospita e tiene unite le
consorelle defunte, visitate spesso dalle viventi. Un solo noviziato,
che domina la Casa Madre e la chiesa costruita dal Fondatore, e a
due chilometri, un solo camposanto: la culla e la tomba; e tra loro, la
vita spesa nelle filiali, in Italia e all'estero, servendo Dio e il prossimo secondo lo spirito del Padre e della Madre.
In vita il servo di Dio mons. Nascimbeni aveva fatto erigere un sacello per le suore nel cimitero parrocchiale; dopo la sua morte, il Comune lo fece atterrare. La Confondatrice allora, validamente appoggiata
dalla vicaria suor Fortunata Toniolo, iniziò le pratiche per la fondazione d'un camposanto, riservato esclusivamente alle sue figlie. L'iniziativa venne ostacolata dalle autorità civili, e le pratiche andarono
per le lunghe. La Mantovani non poté vedere realizzato il progetto; e
quando nell'aprile del 1937 il nuovo cimitero accoglieva la prima
salma, quella della Confondatrice giaceva da più di tre anni nel camposanto comunale.
Prima che la Madre venga a prendere il suo posto tra le figlie morte,
passeranno altri sedici anni, durante i quali il lembo di terra benedetta viene occupato da altri corpi, consunti nel servizio del Signore e
del prossimo. Nel frattempo, madre Fortunata Toniolo provvede
all'erezione d'una cappella sul lato orientale, con la facciata rivolta
verso il lago: essa custodirà i resti mortali della Confondatrice e delle
prime consorelle, suor Anna Chiarani, suor Teresa Brighenti, suor
Giuseppina Nascimbeni; poi verranno ad abitarla le salme delle Superiore Generali. Le prime suore, con la Madre Mantovani a capo,
costituiscono le fondamenta; le Superiore Generali sono il muro maestro che, poggiando sulle fondamenta, tiene unito e saldo tutto l'edificio della Congregazione. La disposizione delle salme nel camposanto dell'Istituto ne ricorda, pure nell'austera immobilità della morte,
l'organizzazione e la vitalità.
Esumazione
L'esumazione della salma di madre Maria Mantovani è avvenuta il
29 settembre del 1953. L'operazione s'è svolta alla presenza dell'ufficiale sanitario dottor Michelangelo Sollazzo, che rappresentava anche il sindaco, del geometra Bruno Brighenti, primo assessore comu411
nale, del P. Giulio Daldoss O.F.M., cappellan\\\o della Casa Madre,
della superiora generale madre Ifigenia Maria Salandin con le consigliere e la segretaria generale, di madre Fortunata Toniolo, ex superiora generale, del nipote della defunta Nino Mantovani; presenziavano inoltre Battista Veronesi, Giovanni Vernesoni, i fratelli Bonetti
di Torri e molte altre persone di Castelletto.
Il lo culo, che raccoglieva da quasi vent'anni i resti mortali della Madre, era pregno di umidità e la cassa ammuffita. La bara venne trasportata nella vicina chiesa di S. Zeno, ove si procedette alla rimozione del cassone protettivo. Gli astanti erano presi da un profondo
senso di commozione, quasi di trepidazione. Venne mosso anche il
coperchio della prima cassa, rivestito internamente di zinco. «Attraverso il vetro scrive la cronista, ch'era presente - si è potuto rivedere
il volto della Fondatrice ancora intatto. Si scorgono perfettamente i
tratti fisionomici. Il viso è come ricoperto da uno strato di cera. Si
pensa di rimuovere il vetro per un controllo più attento e diretto».
D'accordo con l'ufficiale sanitario, fu deciso l'incontro per l'indomani
mattina. Pertanto i fabbri, tra cui il nipote della Madre, prese le misure del coperchio, prepararono quello di ricambio.
Il giorno seguente, alle ore 10, si procede all'apertura della cassa di
zinco. «Il volto della Madre e tutto il busto, come già si era intraveduto attraverso il vetro, si presentano ricoperti da uno strato ceroso.
Nessuna traccia di putrefazione, nessuna esalazione sgradevole. La
tonaca è intatta e presenta solo una lieve scoloritura, anche il cingolo
di canapa è intatto; i piedi sono ancora tumidi come di persona, più
che morta, addormentata».
Volutamente sorvoliamo gli episodi di devozione avvenuti nella circostanza, come pure passiamo sotto silenzio i giudizi espressi dai testimoni.
«Intanto si lavora attorno alla salma» continua la cronista. Due suore
stendono un drappo nero pulito sul corpo della defunta, sostituiscono
con uno nuovo il soggolo bianco inamidato, e intorno al capo, ove
ancora restano petali della corona di rose, pongono un drappo di seta
azzurra per coprire il guanciale alterato. La cassa viene di nuovo sigillata con la sovrapposizione d'un coperchio di zinco, che porta un
412
vetro più ampio del precedente, «tale che permetta a tutti la vista del
caro volto materno».
Ripulita, ornata di fiori, la cassa viene esposta sulla predella dell'altare della vetusta chiesa, in attesa d'essere trasportata, il 3 ottobre, nella
cappellina cimiteriale dell'Istituto.
Come vent'anni prima, allorché la salma, rimase esposta per più
giorni nella medesima chiesetta di S. Zeno, cominciano i devoti pellegrinaggi. Da Trento, da Verona, da Ferrara, da Bologna, da Arco,
da Negrar, da Adro, da Bussolengo, ecc., accorrono sempre più numerose le figlie, desiose di rivedere «il volto della Madre».
La mattina del 3 ottobre, quattrocento suore, tra cui le superiore delle
case filiali, vanno processionalmente al camposanto, assieme con le
apostoline, le alunne della «Nuova Casa Gioiosa», le orfanelle e numerosi intervenuti, ed assistono alla messa che celebra il vicario generale della diocesi, mons. Pietro Albrigi.
I pii pellegrinaggi al cimitero continuano sino al giorno 13 ottobre, in
cui la cassa della Confondatrice viene provvisoriamente chiusa nella
nuova cappellina, dentro al loculo più vicino all'altare, a sinistra di
chi entra.
Tumulazione definitiva
La tumulazione definitiva di madre Maria avvenne alla morte della
seconda superiora generale, madre Fortunata Toniolo del Santo Crocifisso.
La Toniolo poté finalmente lasciare il governo della Congregazione
nel capitolo dell'ottobre 1952, allorché venne eletta a succederle suor
Ifigenia Maria Salandin. Di lì a poco si ritirava nella quiete dell'infermeria, presso la Casa Madre, ove santificò gli ultimi mesi della
sua lunga vita, pregando e soffrendo.
1. Le notizie riguardanti l'esumazione della salma di madre Maria,
sono prese da:
Suor MARGHERITA MARIA DE PAOLI, Il volto di una Santa, in
Nazareth, 47 (novembre
1953) pp. 1-2; Cronaca: dal 1948 al 1953, pp. 518-543.
413
Il 1° marzo del 1954 la Toniolo ebbe un forte collasso. Le premurose
cure delle consorelle non valsero a sottrarla alla morte, che venne a
prenderla poco dopo la mezzanotte, tra il 10 e l'11 marzo. Il giorno
13 si svolsero i solenni funerali, che richiamarono alla mente quelli
imponenti del Fondatore e della Confondatrice. Due giorni dopo si
procedeva all'esumazione di suor Anna Chiarani e suor Teresa Brighenti, i cui resti furono chiusi in due nuove casse. L'indomani veniva celebrata una messa nella cappellina cimiteriale, presenti le quattro casse, poiché anche la salma della Mantovani era stata tolta
dall'avello provvisorio; poi le quattro bare prendevano definitivamente il proprio posto. Quella della Confondatrice veniva messa al centro
della parete occidentale sopra la porta d'ingresso; e accanto alla Confondatrice erano collocate suor Anna Chiarani e suor Teresa Brighenti, mentre sul lato destro, nel loculo inferiore più vicino all'altare, era
posta la salma della seconda superiora generale suor Fortunata Toniolo.
Il 15 dicembre del 1960 veniva riaperta la parete occidentale, che in
alto porta la scritta I NOSTRI GRANI DI SENAPE, ed accoglieva
suor Giuseppina Nascimbeni, la quarta ed ultima consorella della
prima ora.
L'indelebile memoria
Mentre l'anima della Confondatrice - pensiamo - gode in cielo assieme al Fondatore e alle consorelle che l'hanno preceduta e seguita
nell'eternità, la sua memoria vive nel
2.Trascriviamo l'epigrafe scolpita sulla tomba:
MADRE FORTUNATA TONIOLO
DEL SANTO CROCIFISSO
414
SECONDA SUPERIORA GENERALE
EREDE E CONTINUATRICE
DELLO SPIRITO DEI VEN. FONDATORI
11 GIUGNO 1867 11 MARZO 1954
3. La parete con le epigrafi è riprodotta a p. 22, fuori testo.
riverente ricordo delle figlie .. Particolarmente quelle che l'hanno conosciuta, che hanno avuto modo di apprezzare le sue virtù e di godere la sua bontà, pensano a lei con affetto e con venerazione. Le suore
anziane parlano di lei con spontaneità e calore, e ricorrono alla sua
intercessione con la medesima confidenza che le portava a Castelletto, nello studio della Madre, per aprirsi con lei, vicino alla statua incoraggiante della Madonna Immacolata.
«La Madre sa quante volte l'ho invocata e mi ha sempre
esaudita» dice una di loro.' «Dopo il suo santo trapasso» afferma
un'altra, «non l'ho mai dimenticata ed anche adesso mi rivolgo a lei,
dopo Dio, perché mi aiuti a compiere bene i miei doveri di santa religiosa, come desiderava e mi voleva lei».
Nelle lettere circolari che periodicamente inviava a tutte le suore,
madre Fortunata Toniolo parlava spesso dei «venerati Fondatori», del
«Padre» e della «Madre». Ne ricordava gli insegnamenti, rinnovava
le loro esortazioni, ne celebrava gli esempi virtuosi perché fossero
imitati.
Madre Ifigenia Maria Salandin, terza Superiora Generale, cui tanto
stava a cuore la rievocazione della Confondatrice, ha voluto che alla
memoria di lei fosse dedicata la casa di Colà di Lazise, sulle colline
veronesi prossime al lago di Garda. Il rinnovato fabbricato, con la
devota cappella ricostruita e benedetta dal cardinale Giovanni Urbani
il 12 settembre del 1958, ospita alcune decine di suore a riposo ed
uno stormo di orfanelle: la vita all'alba e al tramonto. Dal 2 febbraio
1959, XXV anniversario della santa morte della Confondatrice, la casa di Colà si chiama appunto: Istituto madre Maria dell'Immacolata.
Nello stesso anno 1959, durante il Convegno per le suore addette
all'insegnamento della Dottrina Cristiana, tenuto
415
4. Testimonianza di suor Adina Petroselli,
5. Testimonianza di suor Armella Mora.
presso la Casa Madre dal 5 al 12 luglio, venne commemorata la madre Mantovani come «prima insegnante di catechismo dell'Istituto».
Il 12 novembre 1962 cadeva il primo centenario della sua nascita. La
prima sessione del Concilio Vaticano II in pieno corso non ha consentito di commemorare con la desiderata solennità l'avvenimento.
Pur rimettendo a tempo più opportuno le celebrazioni centenarie, tutte le Piccole Suore della Sacra Famiglia hanno ricordato con particolare devozione la Madre Confondatrice, desiderose di conoscerla
sempre più attraverso una diligente rievocazione, per meglio imitarla.
Con simili intendimenti, due anni dopo, veniva largamente diffusa la
presente biografia della Madre che si ispira ai suoi stessi scritti e alle
numerosissime testimonianze, rilasciate dalle sue figlie con commosso rimpianto e con rinnovata ammirazione.
Il «ritorno» della Madre
Il 12 novembre 1987, 125° anniversario della sua nascita, la Madre
«rientra» tra le figlie viventi, dopo aver trascorso oltre cinquant'anni
nel camposanto in compagnia delle figlie defunte.
La traslazione delle spoglie mortali presso la culla dell'Istituto che la
Mantovani aveva allevato con dedizione di figlia e con cuore di madre, era stata predisposta da tempo. Ultimamente l'aveva sollecitata
l'apertura del Processo Cognizionale diocesano, avvenuta nella cappella della Casa Madre il 10 febbraio 1987. Durante l'estate furono
eseguiti i lavori di allestimento della nuova tomba, collocata nella
parte superiore dell'artistico mausoleo che, a partire dall'anno 1923
sino al 1984, ha custodito il corpo del Fondatore. Ora questi, ricomposto negli abiti prelatizi, riposa nel sacello appositamente costruito
presso la grande cappella dell'Istituto. Attende la glorificazione e il
culto degli altari, cui verrà elevato il 17 aprile 1988, quando il papa
Giovanni Paolo II visiterà la diocesi di Verona.
Seguiamo la Madre che «ritorna» in paese. L'accolgono, con devoto
stupore, un folto stuolo di suore convenute dalle case filiali ed alcune
decine di fedeli, mentre dal campanile tripudiano le campane.
416
Dopo una breve sosta nella chiesa parrocchiale, ove viene eseguita
una densa liturgia della Parola, la cassa è trasportata nell'oratorio attiguo, a pochi metri dall'urna del servo di Dio Giuseppe Nascimbeni.
La Figlia, quasi giunta ad un appuntamento predestinato e lungamente atteso, è finalmente vicina al Padre.
Viene tolto il coperchio della cassa e dal vetro inserito nel rivestimento protettivo dello zinco appare il volto della Defunta. È lei! proprio lei, la Madre di un tempo, amabile e quasi sorridente, sebbene la
morte e la corrosione degli anni l'avvolgano di silenzio e di mistero.
Alla concelebrazione eucaristica pomeridiana, presieduta dall'ausiliare di Verona mons. Andrea Veggio, le due ali della grande cappella
non riescono a contenere le suore e i fedeli. Il gruppo della Sacra
Famiglia che domina dalla parete di fondo illuminata sembra avere
ispirato le parole del presule celebrante che, appunto all'omelia, illustra il mistero della Sacra Famiglia di Nazareth con opportune applicazioni al carisma e alla vita della famiglia religiosa, sbocciata a Castelletto di Brenzone sulla riva del Garda nel lontano 1892. I nomi
stessi dei Fondatori, Giuseppe Nascimbeni e Maria Mantovani, ne
evocano la «memoria», e naturalmente tocca alle figlie assumere il
ruolo di Gesù. È mistero ed è consegna, la quale impegna a vivere responsabilmente di fede gagliarda, di assidua preghiera, di umiltà
convinta e di zelo operoso. Questa, la preziosa eredità affidata alle
figlie che sono e che verranno.
Alla liturgia eucaristica, e dopo le firme apposte al verbale della traslazione, tiene dietro l'imponente processione che accompagna la
Madre alla nuova condegna dimora. Nell'aria mite dell'autunno inoltrato, mentre le acque del lago si rinfrangono sommessamente contro
la scogliera, riecheggiano le parole del Magnificat. In questo vespero
carico d'implorazione e di giubilo, chinandosi su Castelletto, Dio «ha
guardato l'umiltà della sua Serva» (Luca 1,48).
Vorrà Egli glorificarla ancora di più, destinandola all'onore degli altari, sulla scia del beato Giuseppe Nascimbeni, suo Padre e Maestro?
417
EPILOGO
LA “TESTIMONIANZA”
DI MADRE DOMENICA MANTOVANI
Nei primi sessant'anni di vita dell'Istituto, che ha avuto origine in Castelletto del Garda, tre personaggi emergono con particolare evidenza: il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni, madre Maria Mantovani dell'Immacolata di Lourdes, madre Fortunata Toniolo del Santo Crocifisso: il Fondatore, la Confondatrice, la seconda Madre Generale.
La Mantovani viene a trovarsi nel mezzo, tra il Nascimbeni e la Toniolo. In ordine di tempo, anzi tutto: poiché il Fondatore nacque nel
1851 e madre Fortunata nel 1867, quando la futura Confondatrice
aveva quattro anni e sette mesi. Nel governo della Congregazione:
che la Madre regge assieme col Fondatore sino alla morte di questi
(1892-1922); da sola, per altri dodici anni (1922-1934); ad essa succede per diciotto anni la Toniolo che dà l'assetto definitivo all'Istituto, guidandolo con rara saggezza e tenacia (1934-1952). Anche per il
temperamento madre Maria viene a trovarsi nel mezzo: la sua «bontà» mite e bonaria s'inserisce tra la bontà aperta ma talvolta impetuosa del Padre e quella piuttosto chiusa ed austera di madre Fortunata.
Tutti e tre i personaggi hanno amato profondamente l'Istituto; tutti e
tre l'hanno servito con costante generosità, secondo la propria missione. Il Nascimbeni fu ideatore, legislatore, maestro. La Mantovani
fu la realizzazione più perfetta dei desideri del Padre, la discepola fedele, «la Regola vivente». Madre Fortunata Toniolo, vissuta accanto
ai Fondatori, collaborò con essi nel consolidamento dell'Istituto in
formazione; ne ereditò lo spirito, che custodì gelosamente e trasmise
alle future generazioni.
418
Senza la Mantovani, al Nascimbeni sarebbe mancata la «molle cera»,
cui imprimere in maniera plastica, vivente, i suoi ideali di apostolo e
di fondatore. Senza la Mantovani, la Toniolo, che per natura era più
portata a mettersi a capo d'un reggimento di soldati che a guidare una
falange di donne consacrate a Dio, sarebbe stata meno materna.
La testimonianza data da madre Maria Mantovani va oltre i confini
dell'Istituto, del quale è la Confondatrice. Le sue virtù e le sue opere
interessano tutti i credenti e s'irradiano nella Chiesa intera.
Massimamente ai nostri giorni, in cui s'avverte l'urgenza della collaborazione dei laici all'apostolato sacerdotale, la vita della Mantovani
assume un particolare significato ed è ricca di insegnamenti. Fino
all'età di trent'anni, la giovane si dedicò alle opere parrocchiali, secondo gli schemi e i metodi di allora; e per rendere più duratura questa sua cooperazione, ella rimase in paese, a disposizione del parroco,
rinunciando ad entrare in una famiglia, religiosa esistente e già formata, ve avrebbe facilmente appagato i suoi sogni di vita claustrale.
In tal modo la collaborazione della Mantovani all'opera del servo di
Dio mons. Nascimbeni diventò più stretta e preziosa. Per vie misteriose, attraverso incertezze e stenti, si giungeva alla fondazione del
nuovo Istituto religioso, sorto a Castelletto e per Castelletto, e che in
seguito, moltiplicatosi prodigiosamente, si espandeva in tanti altri
paesi. La Provvidenza attuava i suoi disegni; e la futura Confondatrice fu magnanima nel lasciarsi condurre dagli avvenimenti, fidando in
Dio e nel Sacerdote che la guidava in nome di Dio.
La filiale docilità al Nascimbeni, come parroco e come fondatore,
scandisce la grandezza della Mantovani e ci dà la misura della sua
eminente personalità. Se l'umile figlia di Gian Battista e di Zamperini
Prudenza non si fosse piegata all'azione della grazia, se non avesse
accettato il suo posto accanto al Servo di Dio, nessuno forse oggi
parlerebbe di lei: essa sarebbe passata nell'oscurità, ignorata, come
una viola mammola nascosta tra il muschio delle pendici del Baldo, o
come una perla dentro la sua conchiglia, sepolta nel chiostro d'un
convento. La costante fedeltà alla sua personale vocazione, che la
pose decisamente sulla via del sacrificio, ha reso grande madre Maria
Mantovani, non solo al cospetto di Dio ma ancora in faccia al mondo. La sua vita brilla luminosamente, come un faro acceso su un sal419
do muro. Da Castelletto ove nacque, operò, morì, la Confondatrice
invita tante altre giovani al servizio della Sacra Famiglia e col fulgore dei suoi esempi illumina il loro cammino.
Un altro aspetto della missione di madre Maria Mantovani amiamo
mettere in luce: la testimonianza «mariana». La sua nascita coincide
quasi con l'inizio del «secolo di Maria», che, prendendo le mosse dalla definizione dommatica dell'Immacolata Concezione, è andato via
dilatandosi sino al fastigio dei nostri giorni.
La vita interiore della Mantovani s'inserisce in questo movimento
mariano, s'accresce 'col passar degli anni, raggiunge la perfezione in
una costante e filiale unione con la Madonna. Ormai la Confondatrice vive sotto lo sguardo della Madre del cielo, a lei ricorre di continuo, a lei affida ogni cosa, in lei riposa tranquilla, ancorché gli avvenimenti avversi vorrebbero turbare la consueta serenità.
La pietà mariana di madre Maria non fu appresa dai libri e le pratiche
esteriori di quei tempi non hanno influito in maniera determinante
nel suo sviluppo. Rappresenta piuttosto un seme, depositato col battesimo, che raggiunge la piena maturità sotto l'influsso della grazia di
adozione. Ed è mirabile riscoprire tutto questo: poiché mentre lo Spirito Santo moveva i sommi pontefici a promuovere il culto alla Madonna e guidava i teologi ad approfondire «con intelletto d'amore» il
mistero di Maria, il medesimo Spirito conduceva le anime semplici ai
piedi della celeste Madre, avvicinava i loro cuori al Cuore di lei, additando praticamente nella sincera devozione alla Vergine uno dei
mezzi più efficaci, scelti dalla divina sapienza per condurre gli uomini alla salvezza e alla santità.
Della Madonna la Mantovani apprezzava tutto: la vita, le virtù, i privilegi, e tutte le feste di Maria le erano care. Ma poiché anche nella
devozione alla Madre del cielo ciascun figlio di adozione si distingue
dagli altri figli, dobbiamo dire che madre Maria coltivava di preferenza l'Immacolata, in parti colar modo la Vergine Immacolata di
Lourdes. Ed anche in ciò la Confondatrice si armonizza con i tempi
in cui vive, nei quali si celebra con grande entusiasmo il singolare
privilegio di Maria e le folle accorrono ai piedi della Bianca Signora
dei Pirenei. Vista in questa luce, la testimonianza di madre Maria
Mantovani è preziosa, perché la sua vita, spiccatamente «mariana»,
420
può venire considerata come una delle più ricche e significative dei
tempi che vanno dagli ultimi decenni del secolo scorso alla metà del
nostro.
La «testimonianza» più vivida, offerta al mondo dalla Confondatrice
delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, è l'Istituto stesso, del quale
ella resta il ritratto vivente, la maestra incomparabile, la madre buona. I movimenti religiosi, che lo Spirito Santo suscita di secolo in secolo nella Chiesa, stanno ai loro inizia tori come il tronco e i rami alla radice, come i frutti al seme.
Nelle figlie rivive la Madre. Rivive nelle superiore, alle quali la Mantovani ha insegnato a condurre le suddite con bontà materna, con
prudenza, con fermezza; rivive in tutte le suore che, distribuite nelle
numerose case, osservano la medesima regola, con quello spirito di
semplicità, di umiltà e concretezza, che caratterizzò tutta la vita della
Confondatrice.
Nelle parrocchie, negli asili e orfanotrofi, nelle case di riposo, negli
ospedali e negli istituti di cura, nei laboratori per operaie, nelle scuole elementari, medie, magistrali e liceo linguistico, nelle missioni
dell' America Latina (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay), le suore di Castelletto di Brenzone «testimoniano» Cristo in faccia al mondo e dànno altresì testimonianza al Fondatore e alla Confondatrice.
Per le figlie, principalmente, abbiamo rievocato la vita di madre Maria: per le presenti e per quelle che verranno. La santità dei Fondatori
rende più santa la divisa ch'esse indossano e più apprezzata la loro
operosità. Ma soprattutto abbiamo scritto perché, dietro le orme della
Madre, riesca loro più facile e più dilettevole attuare i desideri del
Padre.
INDICE
Presentazione di Sua Em. il Cardo Giacomo Lercaro
pago
Prefazione dell'Autore
……………………………………………………………”
7
421
5
Avvertenza per la seconda edizione “
INTRODUZIONE
10
Preliminari . “
13
Il «volto» della Mantovani, 13 - Il metodo seguito, 14 Divisione dell'opera, 15.
Le fonti
.“
14
Scritti della Madre, 17 - Testimonianze sulla Madre, 19 Dall'archivio della Casa Madre, 19 - I libri della
Congregazione, 20 - Pubblicazioni ove si parla della
Madre e dell'Istituto, 21.
Date principali
.“
25
PARTE PRIMA
DISCEPOLA E COLLABORATRICE (1862-1892)
Incontri provvidenziali
.“
31
Nel mondo . “
35
Fanciulla predestinata, 35 - Giovinezza virtuosa, 37 - In
famiglia, 39 - La chiesa, 42 - Bambini, 45 - Malati e poveri, 47.
La vocazione . “
48
Tra le Figlie di Maria, 48 - Antonia Gaioni, 50 - Il voto di
verginità, 51 - Quale via scegliere?, 52.
PARTE SECONDA
CONFONDATRICE E PRIMA SUPERIORA GENERALE
(1892-1934)
422
Le misteriose vie della Provvidenza………………………….................”
57
La fondazione (1892)
……………………………………………”
59
La pianta in embrione, 59 - Il primo progetto fallito, 61 - Gli
«Ziparei», 64 - Nuovo contributo di amarezze e di dolore, 64 Istanze e ripulse, 66 - Il consiglio di mons. Bacilieri, 68 - Il
conventino, 70 - Le candidate a Verona, 71 - Presso le Terziarie
Francescane, 74 - La Regola, 75 - Vestizione e Professione, 76 Ritorno a Castelletto, 78 - 6 novembre 1892, 80.
Dalla fondazione al Decreto di lode (18921910)……………………………………………”
82
I primi passi, 82 - Nel segno di madonna povertà, 84 - «Sarà
come il grano di senape ... », 85 - Madre Fortunata Toniolo, 87 La primogenita delle filiali, 90 - La secondogenita, 96 - La
terzogenita, 98 - Le altre sorelle, 100 - Rinnovata approvazione
delle Costituzioni, 103 - Il Decreto di lode, 104.
L'Istituto dal 1910 al
1914…………………………………………………………………
………………………………”
108
Il compiacimento del papa S. Pio X, 108 - Il Padre è nominato
«Protonotario Apostolico», 109 - La vita dell'Istituto in questi
anni, 112.
Durante la guerra mondiale (19141918)…………………………………………………………………
…”
115
Scoppia la guerra, 115 - Suore internate, 116 - A servizio dei
feriti, 116 - La generosa prestazione nelle altre case, 119.
Malattie e morte del Fondatore (1916-1922)
.
Il primo attacco del male, 121 - Il venticinquesimo dell'Istituto,
123 - La «spagnola», 127 - Si ammala la Madre Generale, 128 Visita alla filiale di Trento, 129 - La Madre in cura a Bologna,
130 - Suor Pia Ruffo, 130 - Il Padre peggiora, 135 - Santa morte
del Fondatore, 137 - I funerali, 139.
423
Dopo la morte del Fondatore (19221934)…………………………………………………………………..
.”
121
A capo della Congregazione senza il Padre, 141 - Confermata
Madre Generale (1924 e 1927), 143 - Approvazione temporanea
delle Costituzioni (1932), 145 - La festa delle «Mille e due»,
147 - Ancora Superiora Generale (1933), 148.
PARTE TERZA
RITRATTO DELLA PICCOLA SUORA
Maestra senza patente………………………………………………………………………
”
155
“
Umiltà e semplicità
……………………………………………………………………….”
157
Polenta fredda e formaggio, 157 - «L'umiltà in persona», 158 Con l'aiuto del Padre, 159 - Resa a discrezione, 159 - Il Padre
«umilia» la Madre, 160 - Una «bella cotta» per il Padre ... , 162 La pratica dell'umiltà, 164 - Nell'orto, 165 - In cucina, 166 - A
ricreazione, 167 - In visita alle filiali, 168 - Elogio riassuntivo,
168.
Il programma della Piccola Suora…………………………………………………………………….”
170
424
Il modello della Congregazione, 170 - La Sacra Famiglia
c'insegna ... , 171 - ... a pregare ... , 173 - .. .lavorare
... , 177 - ... e patire, 181 - Memento mori, 184.
Le devozioni………………………………………………………………………
...................”
188
La Sacra Famiglia, 189 - Sulla bocca, 190 - Nella vita, 191 - Il SS.
Sacramento, 192 - Nel mondo, 192 - In convento, 193 Giardiniera e sagrestana, 194 - Fiducioso ricorso, 194 - «Ai
piedi del Tabernacolo», 196 - S. Giuseppe, 197 - Le veglia
Giuseppina, 198 - «L'Economo dell'Istituto», 201 - «S. Giuseppe
ha fatto bene la sua parte», 203 - Ritratto vivo, 204.
PARTE QUARTA
MAESTRA
«La voce del Padre»………………………………………………………………”
209
Alle superiore
………………………………………………………………………
….”
211
«Le colonne dell'Istituto», 211 - «Il perno della casa», 212 Fermezza, 213 - Bontà, 214 - Prudenza, 215 - Umiltà, 216.
Alle suddite ….”
218
«Libri aperti», 218 - La confidenza, 220 - «Come l'asinello»,
220.
A tutte
“
224
«Farsi piccola, piccola», 224 - «Il più bel distintivo del nostro
Istituto», 226 - Zelo, 230 - «Templi vivi del Signore», 232 «Vere spose di Gesù», 234 - Le piccole cose, 236 - L'orario, 237
- Preziosità del tempo, 239 - «Impastate di preghiera», 241 «La chiave del paradiso», 244.
Gli esercizi spirituali “
247
«Questa specialissima grazia
», 247 - Condegna preparazione,
425
249 - Nel Cenacolo con la Confondatrice, 250 - «Pregare Iddio
per i morti ... », 252 - « ... e per i vivi», 253 - La chiusura degli
esercizi, 254 - Vestizioni e Professioni, 256 - «Gli esercizi
cominciano adesso!», 256 - Il ritiro mensile, 257.
Magistero efficacissimo
…………..”
259
La concretezza, 259 - La vivacità, 262 - I superlativi, 265 - Le
ripetizioni, 266 - «Sembrava il Padre continuato ... », 266.
PARTE QUINTA
FIGLIA SPIRITUALE DEL FONDATORE
«Un aiuto simile a lui»
271
»
Docile . ….”
273
La preoccupazione del Fondatore, 274 - Paterna benevolenza,
275 - «Le obbedienze del carissimo Padre», 276 - «Ho sempre
preso le sue parole come vangelo», 278.
Infaticabile . ….”
280
«La parrocchia del Padre», 280 - Per la chiesa nuova, 281 - Le
giovani, 283 - La gioventù femminile di A. C., 285 - «Dell'orfano tu sei l'aiuto», 287 - Altre iniziative del Padre, 288 L'Istituto, 291 - Inculca l'amore all'Istituto, 292 - L'indefettibile collaborazione, 293.
426
Premurosa………………………………………………………………………
……….”
294
Anni di trepidazioni e di speranze, 295 - Confortatrice, 296 Per due mesi lontana dal Padre, 299 - Gli ultimi giorni del
Padre, 301 - A suffragio dell'Anima eletta, 302 - «Il ricordo del
Padre», 303 - La traslazione delle venerata Salma, 304 - Presso
la tomba del Padre, 306.
PARTE SESTA
FIGLIA DELLA MADONNA
Nel secolo dell'Immacolata .
311
Vita «mariana» nel mondo .
313
Atteggiamento filiale, 313 - Apostolato mariano, 314 - Il mese
di maggio, 315.
Apostola di Maria tra le figlie
.
317
«Ella è nostra Madre», 317 - Il mese di maggio nell'Istituto,
318 - Il mese di ottobre, 319 - Maria Bambina, 320 - La
Madonna Addolorata, 321 - Per Mariam ad Jesum, 323.
L'Immacolata .
325
La Mantovani e l'Immacolata, 326 - Filiale ricorso, 326 - «lo ce
l'ho la compagnia», 327 - «La Madonna ti aspettava», 329 Mater virginum, 329.
La B. Vergine di Lourdes
.
331
La Grotta, 332 - L'inaugurazione, 334 - Pellegrinaggi e grazie,
335 - La devozione delle figlie ... , 337 - ... e della Madre, 337 Un'aureola d'oro e di perle, 338 - L'Il febbraio a Castelletto,
341 - Fede e pietà, 342.
427
PARTE SETTIMA
MADRE
« Voi siete la vita dell'anima mia» ………………………….
347
Le orfanelle .
349
Le orfanelle dell'Immacolata, 350 - Prime comunioni, 352 Formazione integrale, 354 - «S. Lucia», 356 - Il contraccambio
delle innocenti, 357.
Probande e novizie .
360
Dietro le orme della Madre, 361 - Le prime impressioni, 363 Accanto alla Madre, 363 - «Mi godo tanto!», 365 - «Se non ci
fosse stata la Madre ... », 366 - Delicatezze materne, 367 - Il
noviziato nuovo, 369.
Con le suore .
371
«La mamma di tutte», 371 - Una lettera a suor Fortunata
Toniolo, 372 - Sollecita, 373 - «Te ghe rason», 375 - Avvocata,
376 - Forte, 377 - Durante gli esercizi spirituali, 378 Riconoscente, 380 - Incoraggiante, 381 - Quando correggeva ... ,
383 - «Il bel sorriso della Madre», 384.
Le malate
.
386
Materne premure, 386 - Confortatrice, 387 - Peperoni e uccelletti,
389 - «Ecco il Proton», 389 - La nuova infermeria, 390.
Le defunte
.
393
428
Suor Pia Strapparava, 394 - Altre novizie, 394 - Tre bocciuoli,
396 - Fior da fiore, 398 - Vittima della guerra, 401 - Di fronte
alla morte, 401 - Materna compiacenza, 402 - Le fuoruscite, 443
Fuori dell'Istituto
……………………………………………………………….
405
Verso il paese, 405 - I genitori delle suore,
407 - I sacerdoti, 408
405
PARTE OTTAVA
INCONTRO ALLA GLORIA (1934-1987)
Oltre la morte .
413
Glorioso tramonto .
415
L'ultima festa della Sacra Famiglia, 415 - La Madre è
indisposta, 416 - La Madre si aggrava, 417 - Morte serena, 418
- I funerali, 419 - La tumulazione, 422.
Il giudizio degli uomini
.
424
Giudizi della stampa, 424 - Sacerdoti ed altre personalità, 427 Voci di figlie, 429 - Il pianto delle orfanelle, 432 - La trigesima,
433 - Omaggio filiale, 435.
Divina conferma
.
437
«È proprio guarita!», 438 - «Sentii una stretta forte forte alla
gola ... », 439 - «Qui c'è il dito di Dio», 439 - Duplice grazia, 440
- «Ho ottenuto la grazia», 441 - «Incominciò a vederci ... », 442.
429
Tra le figlie morte
.
443
Esumazione, 444 - Tumulazione definitiva, 446 - L'indelebile
memoria, 447 - Il «ritorno» della Madre, 449.
EPILOGO
La «testimonianza» di Maria Domenica Mantovani
…………………………………………………
430