La vita di S.Teresa d`Avila - Voglio andare a

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La vita di S.Teresa d`Avila - Voglio andare a
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Scuola di Preghiera
CASA DEL GIOVANE
IN CAMMINO CON
Pavia
S.TERESA D'AVILA
5° incontro
La vita di S.Teresa d'Avila - Voglio andare a vedere Dio
Il «gioco» (quello del "c'è una vita che è per sempre, sempre, sempre...") divenne così serio che un mattino,
assai presto, i due piccoli (Teresa e il fratello Rodrigo) fuggirono di casa: volevano andare in una
imprecisata «terra dei mori» (la Spagna era stata liberata dal dominio arabo solo da poco), in modo da farsi
uccidere per la fede, come i martiri, e così poter entrare in quella «vita eterna» che tanto li affascinava.
Allo zio che riuscì a rintracciarli (quando ormai quasi li piangevano morti, pensandoli caduti in uno dei
numerosi pozzi aperti nelle campagne), e poi anche alla mamma che li rimproverava inquieta, Rodrigo
rispondeva piangendo d'aver fatto quello che aveva voluto Teresa, ma Teresa, con la voce e gli occhi pieni di
desiderio e di sfida, aveva insistito: «Io voglio andare a vedere Dio».
Nella autobiografia, scriverà poi con tenerezza e humor. «La difficoltà più grave per mettere in atto i nostri
progetti era quella di avere dei genitori».
La piccola comunque non disarmò: se non potevano diventare martiri, potevano almeno vivere come eremiti
(era la seconda categoria di santi che conoscevano), e così convinse il fratellino a costruire assieme, nel
giardino di casa, una specie di celletta in muratura, ma... «accatastavamo piccoli sassi che finivano per
cadere quasi subito».
Certo, noi possiamo sorridere di questi ardori infantili, eppure Teresa, divenuta ormai una grande mistica e
rileggendo questi primi episodi, scrive: «Suscita in me una devota tenerezza constatare come Dio mi abbia
concesso subito, fin da principio, ciò che poi ho perduto per mia colpa».
In fondo è quello che ognuno di noi dovrebbe dire, anche solo pensando al suo battesimo.
La Santa sottolineerà molto l'importanza di quei primi episodi, spiegandoli con una formula un po' strana
ma molto significativa: «Piacque al Signore che mi restasse impresso nell'anima, fin dalla più tenera infanzia, il cammino della verità» (1,4).
Anche se ella spinge la sua analisi fino a sottolineare, con totale sincerità, una certa radice non del tutto sana
che avrebbe avuto poi conseguenze negative nella sua vita spirituale.
Dice: «...desideravo molto di morire così (cioè, da martire), sebbene non perché avessi per Dio un vero
amore, ma piuttosto per andare a godere assai alla svelta e a buon mercato di quei beni che leggevo esserci
in cielo» (1,4).
Amare assieme il Cielo e la terra
Come è esigente Teresa con se stessa bambina! Eppure è proprio in questa prima radice che si nasconde il
problema esistenziale che travaglierà a lungo la sua vita: allora l'attraeva più il «gioco» del paradiso che
l'amore di Dio.
Ed ecco che man mano che Teresa entra nello splendore della sua adolescenza e poi della giovinezza, scopre
sì d'amare Dio così come si ama la bellezza, la felicità, l'eternità, ma scopre anche di amare la vita, il suo
corpo, il fascino degli affetti e delle avventure umane.
Comincia ad amare assieme, per così dire, il cielo e la terra, e non sa bene come le due cose si possano
conciliare.
Come a sei anni aveva letto ripetutamente il Flos sanctorum, così ora, nella prima adolescenza, Teresa legge
di nascosto quei romanzi di cavalleria che allora riempivano la Spagna, con i quali la madre malaticcia si
distrae nelle lunghe ore di degenza...
Vi consuma «tante ore del giorno e della notte», bene attenta a che il papà non la scopra, e se ne imbeve
talmente che sempre col fratello Rodrigo ne scrive uno a due mani: un romanzo cavalleresco che di nascosto
i fratelli e i cugini si passano di mano in mano. E pare sia stato molto apprezzato.
Intanto fiorisce la squisita femminilità di questa fanciulla che per tutta la vita riuscirà sempre ad affascinare
chiunque le si accosti. Dissero di lei: «Teresa aveva le proprietà della seta dorata che si accorda bene con
ogni tipo di tessuto e con ogni gradazione di colore». E lei stessa ammette semplicemente: «Il Signore mi ha
fatto trovare affetto dappertutto, e sempre». Iniziò a coltivare esageratamente―per l'età e l'ambiente in cui
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viveva―la sua persona: «Cominciai a vestirmi con ricercatezza e a desiderare di comparire. Avevo somma
cura delle mani e dei capelli. Usavo profumi e ogni altra possibile vanità: tutte cose che per essere io molto
raffinata, non mi bastavano mai» (2,3).
La sfida del padre
Contemporaneamente, nel gruppo dei cugini e dei parenti, diventa lei la confidente di tutte le piccole
avventure amorose, e il centro dove s'intrecciano le fila di tutte le affezioni. Lo fa con ingenuità e innata
signorilità, ma è nell'età più pericolosa e ciò che osserva e ascolta le si imprime dentro profondamente.
Si va così costruendo quel dramma che abbiamo annunciato all'inizio e che meriterebbe una più profonda
analisi psicologica e teologica assieme. Qui possiamo solo accennarvi.
Da un lato resta inestirpabile in lei la persuasione dei valori eterni, definitivi, ai quali occorre consacrare
interamente la vita (e questo―soprattutto nella mentalità di quel tempo―voleva dire: vocazione monastica),
dall'altro si sviluppa in lei il fascino di tutto ciò che nel mondo è bello, desiderabile, cavalleresco, raffinato,
amabile.
A volte il pensiero del chiostro la affascina col suo radicalismo, e a volte ne prova «fortissima avversione».
E d'altra parte anche il matrimonio le sembra limitare la sua passione per il tutto.
Ma è una hidalga spagnola, i cui fratelli si preparano a partire per conquistare il nuovo mondo.
Così Teresa a vent'anni decide di rischiare tutto: sfida il padre che non vuole neppure sentir parlare di
vocazione monastica e, all'alba del 2 novembre 1535, fugge di casa e si presenta al monastero carmelitano
dell'Incarnazione.
Tra parentesi ― poiché è sempre la Teresa di un tempo―ha convinto uno dei fratelli a fare lo stesso e a
presentarsi contemporaneamente al convento dei domenicani.
Scrive poi: «Rammento, e credo di dire proprio la verità, quando lasciai la casa di mio padre provai un
dolore così lancinante da farmi pensare che non se ne provi uno maggiore neppure quando si sta per
morire: sembrava che le ossa mi si slogassero ad una ad una» (4,1).
Nella sua bella e quasi intraducibile lingua spagnola dice: «No creo serà màs el sentimiento cuando me
muera: non credo che proverò maggior struggimento quando morirò».
O bellezza che sopraffai
tutte le bellezze.
Senza ferire, dai dolore,
e senza dolore, distruggi
l'amore per le creature.
O nodo che così unisti
due cose tanto diverse.
Non so perchè lo sciogli
dopo che legato dai forza
di mutare i mali in bene.
Congiungi quello che non è
con l'essere che non finisce.
Senza finire, finisci.
Senza avere da amare, ami,
aumenta il nostro niente.
S. Teresa d'Avila