Stralcio volume

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Stralcio volume
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Applicabilità della disciplina delle
locazioni c.d. commerciali
SOMMARIO
di Luca Rossi e Manuela Marino *
1. Nozione di immobile urbano: in generale. – 2. Segue: ipotesi atipiche. – 3. Nozione di attività industriali, commerciali e artigianali. – 4. Attività di interesse turistico. – 5. Esercizio del lavoro autonomo. – 6. Attività alberghiere. – 7. Attività particolari. – 8. Attività che comportano il contatto diretto con il pubblico. – 9. Immobili accessori.
1. Nozione di immobile urbano: in generale
Alla disciplina dei contratti di locazione c.d. commerciali è dedicato l’intero capo II del titolo I della legge 27 luglio 1978, n. 392. Detto capo è rubricato
«Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione».
Già dalla stessa rubrica del capo II, pertanto, possono ricavarsi i confini applicativi della normativa in discorso. Essa si dovrà applicare, infatti, ai contratti di “locazione” aventi ad oggetto “immobili” “urbani” “adibiti ad uso diverso
da quello di abitazione”.
Quattro sono, dunque, le nozioni cui si deve avere riguardo.
Affinché un contratto sia astrattamente sussumibile nella disciplina di cui
ci occupiamo, occorre, innanzitutto, che si tratti di un contratto di locazione,
la cui definizione è rinvenibile, nel nostro ordinamento, nell’art. 1572 c.c.
* I parr. 1, 3, 4, 5, 6, 7 sono stati curati dall’Avv. Luca Rossi, mentre i parr. 2, 8, 9 dall’Avv.
Manuela Marino.
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Luca Rossi e Manuela Marino
Normativa
«La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo».
La finalità del contratto è, pertanto, quella di consentire ad una parte, il conduttore, il godimento della cosa locata a fronte del versamento di un corrispettivo.
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La fattispecie si distingue tanto dall’affitto , in cui l’oggetto del contratto è
un bene suscettibile di produrre utilità economiche, il cui sfruttamento spetta
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all’affittuario, quanto dal comodato , in cui manca il corrispettivo per il godimento. Ad entrambe queste ultime tipologie contrattuali non si applica la disciplina delle locazioni c.d. commerciali.
La giurisprudenza ha, ad esempio, escluso l’applicabilità della disciplina dettata dalla legge n. 392/1978 alla concessione dello sfruttamento di una cava di
pietra:
Giurisprudenza
«Il contratto che ha per oggetto la concessione dello sfruttamento di una cava di pietra, che è
un bene produttivo, deve essere inquadrato nello schema dell’affitto e non è, quindi, soggetto
alle leggi di proroga dei contratti di locazione e sublocazione degli immobili urbani né alle norme sulla durata e rinnovazione delle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, contenute nella legge 27 luglio 1978, n. 392»
Cass., Sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11467, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc.10 3.
È, altresì, pacificamente escluso che la medesima disciplina possa applicarsi alle ipotesi di affitto d’azienda;
Giurisprudenza
«che la locazione di immobile, anche se “attrezzato”, e l’affitto di azienda siano rapporti giuridici non assimilabili costituisce ius receptum, condiviso dallo stesso giudice rimettente. Ed
invero la giurisprudenza ha sempre affermato che nell’affitto d’azienda l’immobile viene in
considerazione non nella sua individualità giuridica ma come uno dei beni che costituiscono il
complesso aziendale, in un rapporto di complementarietà e interdipendenza con gli altri elementi organizzati dall’imprenditore per un fine produttivo; mentre nella locazione di immobile,
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Art. 1615 c.c.: «Quando la locazione ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l’affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica
della cosa e dell’interesse della produzione. A lui spettano i frutti e le altre utilità della cosa».
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Art. 1803 c.c.: «Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodato è essenzialmente gratuito».
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Nello stesso senso, Cass., Sez. I, 17 giugno 1998, n. 6039, in Giust. civ. Mass., 1998, 1340;
Cass., Sez. III, 12 aprile 1990, n. 3131, in Dir. e giur. agr., 1990, 611.
Applicabilità della disciplina delle locazioni c.d. commerciali
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questo, anche se caratterizzato dal fatto che il suo godimento deve avvenire per un uso determinato, costituisce l’oggetto esclusivo o quanto meno principale del contratto, con la conseguenza che le eventuali attrezzature di cui l’immobile fosse dotato costituiscono elementi
accessori rispetto all’immobile stesso, considerato nella sua autonoma consistenza»
Corte. cost., 13 luglio 1994, n. 294, in Riv. dir. agr., 1995, II, 394, con nota di Germanò.
Quanto all’oggetto del contratto, la res locata deve, innanzitutto, essere definibile quale “immobile”. In assenza di una differente, più restrittiva, definizione ricavabile dalla legge n. 392/1978, dovrà aversi riguardo alla definizione,
generale, di immobile contenuta nell’art. 812 c.c.
Normativa
«Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente
assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.
Sono mobili tutti gli altri beni».
Ulteriore requisito, ai fini dell’applicabilità della legge n. 392/1978, è che si
tratti di immobile “urbano”.
La distinzione tra immobili urbani o meno non è rinvenibile nel nostro ordinamento positivo.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso che, ai fini della qualificazione dell’immobile quale immobile urbano, venga in rilievo l’ubicazione del medesimo
all’interno della cinta cittadina. La Suprema Corte ha, invero, dato una definizione di immobile urbano per esclusione, sancendo che deve considerarsi locazione di immobile “urbano” quella avente ad oggetto immobili diversi da quelli
“rustici”, adibiti cioè all’attività agricola ed a quelle ad essa strettamente con4
nesse .
In un recente arresto la Corte di Cassazione ha, altresì, escluso che la classificazione urbanistica “agricola” del fondo oggetto del contratto possa impedire l’applicazione della disciplina delle locazioni commerciali, evidenziando come debba aversi riguardo unicamente all’intento dichiarato dalle parti ed alla
sussistenza di un collegamento funzionale tra la disponibilità dell’immobile locato e l’attività del conduttore, purché la destinazione dell’immobile all’uso per
cui è concesso in locazione non sia assolutamente impedita da norme imperative.
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Così, Cass., Sez. III, 14 dicembre 1985, n. 6334, in Giust. civ. Mass., 1985, fasc. 12.
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Luca Rossi e Manuela Marino
Giurisprudenza
«La destinazione del fondo ad uso agricolo, nell’ambito della classificazione urbanistica della
zona, preclude la utilizzazione del bene a scopo edilizio, ma non ad un uso diverso, che sia di
per sé lecito e possibile. Considerato che l’oggetto del contratto è riferibile alla prestazione e
non al bene in sé, devesi ritenere la liceità di esso, quando non contrasti con norme imperative, con l’ordine pubblico e con il buon costume, secondo quanto previsto dall’art. 1343 c.c.
(vedi Cass. 28 aprile 1999, n. 4228). L’attività descritta dal giudice a quo non risulta contrastare con i principi di cui sopra, non consistendo in attività edilizia preclusa dal piano regolatore.
Né sussiste la impossibilità della realizzazione dell’oggetto del contratto da parte del conduttore, ove si tenga conto della motivazione espressa dal giudice a quo, che rende palese la concreta possibilità di godimento dell’immobile secondo gli scopi e le modalità previste nel contratto»
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Cass., Sez. III, 8 agosto 2007, n. 17381, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8 .
Agli usi “diversi dall’abitativo”, cui si applica la disciplina delle locazioni commerciali sono dedicati i parr. 3 e ss.
2. Segue: ipotesi atipiche
La disciplina di cui al capo II, titolo I della legge 27 luglio 1978, n. 392, in
tema di locazione di immobili urbani, trova applicazione non soltanto con riferimento a rapporti aventi ad oggetto interi edifici o singole porzioni di essi,
bensì a tutti gli immobili, di qualunque specie, ove effettivamente si eserciti
una delle attività contemplate dall’art. 27 del testo normativo in commento, in
conformità alla destinazione d’uso stabilita contrattualmente e, comunque, con
il consenso o senza tempestiva opposizione da parte del locatore.
Rientrano pertanto nella nozione di immobile urbano di cui alla normativa
in esame anche le c.d. aree nude, per tali intendendosi superficie non edificate,
ma dotate (o tali da potere essere dotate a cura del conduttore) di attrezzature
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infisse al suolo e facilmente asportabili .
Unica condizione alla quale si subordina l’applicabilità della disciplina dettata dalla legge n. 392/1978 in tema di locazione di immobili urbani alle aree
nude è la concreta esistenza di un collegamento funzionale tra il bene di cui
trattasi e una delle specifiche attività economico-sociali ritenute meritevoli di
tutela dalla legge c.d. sull’equo canone.
In altre parole, la legislazione speciale in materia di locazione di immobili
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Nel senso che deve aversi riguardo alla sussistenza, o meno, di un collegamento funzionale
tra la disponibilità dell’immobile locato e l’attività del conduttore, si veda anche Cass., Sez. III,
2 giugno 1995, n. 6200, in Foro it., 1995, I, 3499.
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In questo senso, Cass., Sez. III, 27 febbraio 1987, n. 2112, in Mass. Giur. it., 1987.
Applicabilità della disciplina delle locazioni c.d. commerciali
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ad uso diverso dall’abitativo trova applicazione anche alle aree inedificate in
tanto in quanto il rapporto risulti costituito in vista dello svolgimento di una
delle specifiche attività di cui all’art. 27, legge n. 392/1978.
La giurisprudenza di legittimità così come quella di merito è, invero, conforme e consolidata nello statuire che:
Giurisprudenza
«Le disposizioni degli artt. 27 e 67, legge 27 luglio 1978, n. 392 sul cosiddetto equo canone,
circa la durata (in via ordinaria e transitoria) delle locazioni di “immobili urbani” ad uso diverso
da quello abitativo, concernono, in considerazione del dato letterale delle norme medesime,
correlato alle finalità complessivamente perseguite dalla citata legge (rivolta a superare la precedente regolamentazione d’emergenza attraverso una disciplina organica e tendenzialmente
completa dei rapporti locativi), gli immobili di qualunque specie che siano ubicati nell’ambito
del territorio oggetto della normativa urbanistica e che siano adibiti ad una delle attività contemplate nei primi due commi del suddetto art. 27 (industriali, commerciali, artigianali, ecc.), e,
quindi, includono le superfici inedificate od aree nude (nella specie: terreno adibito a deposito
di materiali), le quali, pur senza attrezzature artificiali od edificatorie, costituiscano corredo e
supporto dell’organizzazione di quelle attività, ancorché in termini di accessorietà e non indispensabilità; tale principio non subisce delimitazioni od esclusioni per il caso in cui, nel concedersi il godimento di una di dette aree, si contempli la facoltà del conduttore di costruirvi dei
manufatti, con o senza l’obbligo di rimuoverli alla cessazione del rapporto, trattandosi di patti
che rientrano nell’ambito della tuttora vigente disciplina dei miglioramenti e delle addizioni dettata dagli artt. 1592 e 1593 c.c., e non consentono di per sé una qualificazione del negozio
come contratto misto o comunque diverso dalla locazione»
Cass., Sez. III, 5 marzo 1986, n. 1418, in Arch. locazioni, 1986, 233.
Ai fini dell’operatività delle disposizioni di cui alla legge n. 392/1978, quindi,
non rilevano la natura e la consistenza, anche strutturale, dell’immobile locato,
quanto piuttosto la natura dell’attività ivi svolta che deve, necessariamente, essere una di quelle contemplate dai primi due commi dell’art. 27 della legge
stessa, e quindi la destinazione d’uso convenzionalmente attribuita dalle parti
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al bene oggetto di concessione in godimento .
Non sussiste, infatti, alcuna ragione tecnico-giuridica per escludere dal novero degli immobili urbani destinati ad attività industriali, commerciali, artigianali o di interesse turistico aree nude, i.e. aree che pur senza attrezzature arti7
Così, ex plurimis, ed a mero titolo esemplificativo, Cass., Sez. III, 4 febbraio 2004, n. 2069,
in Arch. locazioni, 2004, 369; Cass., Sez. III, 2 giugno 1995, n. 6200, in Mass. Giur. it., 1995;
Cass., Sez. III, 9 luglio 1992, n. 8386, in Mass. Giur. it., 1992; Cass., Sez. III, 20 ottobre 1988, n.
5701, in Mass. Giur. it., 1988. La giurisprudenza di merito, richiamando precedenti pronunce
del Supremo Collegio, ha avuto occasione di specificare che l’applicazione della legge n. 392/1978
anche alle aree nude sulle quali si eserciti una delle attività di cui all’art. 27 dello stesso testo
normativo si giustifica «sia per il carattere ordinario di tale normativa che per assicurare stabilità e
sviluppo alle attività economiche e professionali ancorché non esercitate in forma di impresa (Cass.
9 luglio 1992, n. 8386; 7 marzo 1991, n. 2390; 16 gennaio 1990, n. 161; 21 luglio 1989, n. 3465; 29
novembre 1985, n. 5930» (Trib. Monza, Sez. II, 4 maggio 2006, in Massima redazionale, 2006).
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Luca Rossi e Manuela Marino
ficiali – meramente eventuali – o edificatorie costituiscano corredo o supporto
dell’organizzazione di una delle attività di cui all’art. 27, legge n. 392/1978.
In quest’ottica, si ritiene pacificamente che la disciplina delle locazioni di
immobili urbani destinati ad uso diverso dall’abitazione dettata dalla normativa in esame trovi applicazione anche con riferimento ad un terreno da destinare all’esercizio commerciale di una stazione di servizio per il rifornimento di car8
burante .
Analogamente, le disposizioni della legge n. 392/1978 hanno trovato piana
applicazione anche con riferimento ad un’area destinata ad impianto di auto9
lavaggio .
È stata, altresì, ritenuta l’operatività della disciplina dettata in tema di locazione di immobili urbani anche con riferimento ad un terreno da destinarsi al
deposito ed alla vendita di materiali edilizi, proprio in considerazione della stru10
mentalità del bene rispetto all’esercizio di un’attività commerciale .
Altre ipotesi di applicazione della legislazione speciale in tema di locazioni
ad uso diverso dall’abitativo possono rinvenirsi quanto ad aree nude destinate
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ad attività estrattiva o turistica , all’installazione di impianti di sciovia ovvero
a lidi balneari.
Caso peculiare di applicazione della normativa in esame riguarda, poi, la
locazione di un’area nuda destinata a “postazione televisiva” con facoltà per il
conduttore di installarvi un traliccio ed un casotto ove dislocare le necessarie
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apparecchiature .
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Sul punto, si vedano Cass., Sez. III, 7 marzo 1991, n. 2390, in Mass. Giur. it., 1991; Cass.,
Sez. III, 27 giugno 1990, n. 6537, in Mass. Giur. it., 1990; Trib. Napoli 30 settembre 1983, in
Locazioni urbane, 1984, 218; in senso contrario, per ragioni di completezza, si segnala una risalente pronuncia del Supremo Collegio, peraltro superata dall’orientamento successivo, secondo
la quale «il contratto con il quale una parte concede il godimento di un’area nuda da destinare a
stazione di servizio, con facoltà per l’altra parte di costruirvi impianti ed attrezzature per il rifornimento di carburante, pur presentando elementi prevalenti propri della locazione, non è soggetto alle
norme della legge 27 luglio 1978, n. 392, le quali riguardano gli immobili adibiti ad uso abitativo
e non abitativo e, quindi, non si applicano alle locazioni di aree nude» (Cass. 3 settembre 1982,
n. 4801, in Mass. Giur. it., 1982).
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Così, Cass. 29 novembre 1985, n. 5930, in Mass. Giur. it., 1985.
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In questo senso, Cass., Sez. III, 21 luglio 1989, n. 3465, in Arch. locazioni, 1990, 266;
Cass., Sez. III, n. 1418/1986, cit.
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Il Supremo Collegio ha, tuttavia, affermato che la locazione di un terreno di cui sia pattuita
l’esclusiva destinazione ad uso turistico, con conseguente costruzione dei relativi impianti (nella
specie, ad uso esclusivo di complesso di alloggi decentrati per convogliare nella zona correnti turistiche), configura la locazione non di area nuda bensì di immobile destinato all’esercizio di attività
comprese tra quelle di cui all’art. 2, legge n. 326/1968 ed è quindi soggetta alla normativa di cui
alla legge n. 392/1978 (Cass. 2 febbraio 1983, n. 913, in Arch. loc. e cond., 1983, 53).
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Si veda sul punto, la pronuncia risalente della Pret. Salerno 26 marzo 1990, in Rass. equo
canone, 1990, 55.
Applicabilità della disciplina delle locazioni c.d. commerciali
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La giurisprudenza di merito ha, inoltre, ritenuto che il contratto con il quale
il proprietario di un fabbricato concede ad un terzo, verso corrispettivo, l’uso
della terrazza dello stabile per la installazione di un’antenna radio rientri nello
schema tipico della locazione e sia soggetto alla disciplina di cui agli artt. 27 e ss.,
legge n. 392/1978, attesa la natura imprenditoriale-commerciale dell’attività svolta dal conduttore.
Il caso da ultimo considerato offre lo spunto per alcune riflessioni in tema di
locazione delle parti comuni di un edificio costituito in condominio per l’installazione di antenne e stazioni radio.
Il tema risulta di particolare attualità in considerazione della sempre maggiore diffusione dei ripetitori di telefonia mobile che sempre più spesso si vedono svettare sui tetti dei fabbricati condominiali nelle nostre città.
Ci si è, infatti, domandati se l’installazione di antenne nonché di stazioni radio base per la telefonia cellulare su lastrici e tetti condominiali, che presuppone un rapporto contrattuale tra il condominio e il gestore del servizio, possa
ricondursi alla locazione di aree nude, in quanto tale soggetta alla normativa
di cui alla legge n. 392/1978.
In difetto, allo stato, di pronunce giurisprudenziali in materia, in considerazione dell’orientamento sopra richiamato espresso dalle corti di merito con
riferimento a postazioni televisive e antenne radio, si può verosimilmente ritenere che anche la locazione di spazi condominiali per l’installazione di un ripetitore di telefonia mobile si configura come locazione di un immobile urbano e,
segnatamente, di area nuda, in quanto tale riconducibile alle previsioni di cui
agli artt. 27 e ss., legge n. 392/1978.
Analogamente, deve ritenersi l’applicabilità della legislazione speciale in tema
di locazione di immobili urbani destinati ad uso diverso dall’abitativo anche all’ipotesi di concessione in godimento di spazi condominiali e, segnatamente, di
tetti e lastrici solari, per l’installazione di pannelli fotovoltaici, altro argomento
di grande attualità attesa la recente risonanza del c.d. solare fotovoltaico.
Invero, si è visto che, secondo l’orientamento giurisprudenziale conforme e
consolidato, si ammette l’operatività della disciplina dettata dagli artt. 27 e ss.,
legge n. 392/1978 anche con riferimento a spazi non edificati, con facoltà per
il conduttore di costruirvi manufatti che possono essere rimossi o meno alla
scadenza del rapporto contrattuale in conformità a quanto previsto dalla nor13
mativa civile in tema di addizioni .
Nulla sembra quindi escludere la possibilità di disciplinare la locazione di
tetti o lastrici, che – a mente dell’art. 1117 c.c. – costituiscono beni condominiali, salvo che il contrario risulti dal titolo, applicando la legislazione
speciale in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso dall’abitativo
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In questo senso, Cass., Sez. III, n. 2069/2004, cit.; Cass. n. 1418/1986, cit.
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Luca Rossi e Manuela Marino
anche quando il potenziale conduttore intenda installarvi impianti di tipo fotovoltaico.
Le disposizioni normative di cui alla legge n. 392/1978 in materia di locazioni commerciali trovano altresì pacifica applicazione con riferimento alla locazione di parti comuni di edifici costituiti in condominio, come e.g. la facciata o
il tetto, per la posa di cartelloni pubblicitari.
Sussistono, infatti, anche nel caso da ultimo considerato le condizioni richieste dalla giurisprudenza per l’operatività delle disposizioni di cui alla legge c.d.
sull’equo canone con riferimento alle c.d. aree nude.
3. Nozione di attività industriali, commerciali e artigianali
Gli usi, “diversi dall’abitativo”, cui si applica la disciplina delle locazioni
commerciali sono indicati nei primi tre commi dell’art. 27, legge n. 392/1978,
norma, dedicata alla durata dei contratti, con cui si apre il capo II del titolo I
della legge medesima.
Normativa
«La durata delle locazioni e sublocazioni di immobili urbani non può essere inferiore a sei anni
se gli immobili sono adibiti ad una delle attività appresso indicate:
1) industriali, commerciali e artigianali;
2) di interesse turistico comprese tra quelle di cui all’articolo 2 della legge 12 marzo 1968, n. 326.
La disposizione di cui al comma precedente si applica anche ai contratti relativi ad immobili
adibiti all’esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.
La durata della locazione non può essere inferiore a nove anni se l’immobile, anche se ammobiliato, è adibito ad attività alberghiere o all’esercizio di attività teatrali».
Ai sensi del n. 1 del comma 1 della norma in discorso, pertanto, la disciplina vincolistica si applica agli immobili destinati all’esercizio di attività «industriali, commerciali e artigianali».
Già dai lavori preparatori emerge come, quanto alla definizione di attività
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industriali e commerciali, occorra fare riferimento all’art. 2195 c.c. , mentre
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Il comma 1 dell’art. 2195 c.c. recita: «Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro
delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un’attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti».
Applicabilità della disciplina delle locazioni c.d. commerciali
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la norma di riferimento per le attività artigianali era stata individuata nel comma
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1 dell’art. 2, legge 8 agosto 1985, n. 443, «Legge-quadro per l’artigianato» .
Stando alla volontà del legislatore, pertanto, la disciplina delle locazioni ad
uso diverso dall’abitativo doveva applicarsi ad ogni immobile in cui fosse esercitata un’attività imprenditoriale, con la sola esclusione di quella agricola.
Fin dai primi tempi di applicazione della norma, tuttavia, la giurisprudenza
di legittimità ha avuto modo di precisare che la disciplina vincolistica doveva
applicarsi anche ai contratti aventi ad oggetto immobili adibiti ad attività commerciale o industriale accessoria e complementare all’attività propria dell’im16
prenditore agricolo .
Sul punto è, poi, intervenuta la Corte costituzionale, dichiarando infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1 e 2, legge 27 luglio 1978, n. 392 che, nel disciplinare la durata delle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, considerano soltanto le attività
industriali, commerciali, artigianali, turistiche e professionali e non menzionano esplicitamente anche le attività agricole, poiché la protezione attribuita agli
altri imprenditori dalle norme sulle locazioni di immobili urbani deve ritenersi
estesa anche agli imprenditori agricoli.
Così motiva il giudice delle leggi:
Giurisprudenza
«Sembra alla Corte che, per quanto riguarda le attività agricole connesse, deve ritenersi, in
base al “diritto vivente”, che esse sono comprese nell’ambito dell’art. 27, legge sull’equo canone e conseguentemente in quello dei successivi artt. 29, 67 e 73.
Invero, la mancanza di una esplicita previsione nel ricordato art. 27 non ha impedito alla dottrina, che si è occupata della materia, e alla giurisprudenza, che ha preso in esame il problema, di ritenere che le attività agricole connesse siano comprese nella previsione delle norme
impugnate. In particolare, va osservato che la Corte di Cassazione è pervenuta a detto risultato sul rilievo che la disposizione dell’art. 2135, comma 2, c.c. trova il suo fondamento nell’intento legislativo di estendere per esigenze unitarie la disciplina dell’impresa agricola ad attività
le quali, pur avendo un intrinseco carattere industriale o commerciale, sono intimamente collegate con l’agricoltura; ciò – osserva la Cassazione – non esclude che tali attività vadano
considerate nella loro effettiva essenza, sicché, tra l’altro, alle stesse deve essere applicato il
nuovo regime delle locazioni previsto dal citato art. 27 (e quindi anche dagli artt. 29, 67 e 73).
Tutto ciò non è stato tenuto presente nelle ordinanze di rimessione, le quali, essendosi limitate a considerare soltanto l’elemento letterale della formula legislativa, hanno ritenuto di inferir-
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Art. 2, legge n. 443/1985, comma 1: «È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo».
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Sul punto si vedano, ad esempio, Cass., Sez. III, 7 febbraio 1987, n. 1307, in Giust. civ.,
1988, I, 239; Cass., Sez. III, 21 luglio 1983, n. 5020, in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 7; Cass. n.
1418/1986, cit.
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Luca Rossi e Manuela Marino
ne l’esclusione denunciata, esclusione che, invece, non è consentita in base alla comune interpretazione delle norme impugnate.
In termini non proprio coincidenti si presenta il problema rispetto alle attività essenzialmente
agricole, ma ciò non impedisce, in definitiva, che la soluzione debba essere la medesima.
Per esse infatti non è possibile individuare un “diritto vivente”, poiché manca, oltre a qualsiasi
apprezzabile apporto dottrinale, anche una giurisprudenza di merito, mentre la Corte di Cassazione, nei soli due casi in cui ha preso in esame il problema, si è orientata in senso contrastante, affermando in uno che le attività agricole ora ricordate non rientrano nella previsione
del cit. art. 27 (e conseguentemente dei successivi artt. 29, 67 e 73) e ritenendo invece nell’altro che la formula legislativa si riferisce a tutte le attività produttive e quindi non consente di
escludere quelle agricole.
In tale situazione spetta a questa Corte procedere direttamente all’interpretazione della norma.
Già si è visto, rispetto alle attività agricole connesse, come l’argomento tratto dall’elemento
letterale non abbia una effettiva consistenza, e ciò vale intuitivamente anche per l’ipotesi qui
considerata.
È invece importante osservare, sotto il profilo logico, come nel sistema accolto dal vigente codice civile, ricorrendo la previsione dell’art. 2135, l’agricoltura è considerata come attività d’impresa, e non già di mero godimento, sul presupposto della sua preponderante funzione produttiva diretta a soddisfare le necessità del mercato e, come tale, creativa di ricchezza.
Sotto altro profilo, va rilevato che l’agricoltura non può essere considerata come a sé stante e
senza alcun rapporto con gli altri settori della economia, sussistendo invece strette connessioni e
reciproche integrazioni, le quali si sviluppano in misura sempre crescente, specie per quanto riguarda il settore agroalimentare: e questo esige, tra l’altro, l’impiego di tecnologie nuove, per cui
sono necessari macchinari di notevoli dimensioni, da custodire necessariamente in appositi locali.
Dalle superiori osservazioni consegue che il legislatore non poteva prescindere dalla comunanza
della natura imprenditoriale e dello stretto nesso ora ricordato ed escludere perciò l’imprenditore
agricolo dalla più ampia protezione che le norme denunciate attribuiscono agli altri imprenditori in
tema di locazioni di immobili, al fine di maggiormente tutelarne l’attività economica. Il che tanto più
è da ritenere se si considera che il citato art. 27, come sopra è stato ricordato, comprende anche
“qualsiasi attività di lavoro autonomo”, sicché non poteva essere escluso il lavoro svolto nell’agricoltura e, in particolare, quello del coltivatore diretto (sulla cui nozione vedasi anche l’art. 6, legge
3 maggio 1982, n. 203), che l’art. 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore.
Indubbiamente, gli statuti dell’imprenditore agricolo e di quello commerciale sono diversi, ma tale
eterogeneità non può avere riflessi in subiecta materia, rispetto alla quale l’esigenza di una maggiore tutela (relativa all’immobile utilizzato per l’esercizio dell’impresa) ricorre in maniera sostanzialmente analoga anche per colui che svolga l’attività prevista dal cit. art. 2135, comma 1, c.c.
Conclusivamente deve dirsi che, per entrambe le categorie di attività agricole ora indicate, non
ricorre il presupposto ritenuto dalle ordinanze di rimessione, sicché le sollevate questioni risultano prive di fondamento»
Corte cost. 22 febbraio 1984, n. 40, in Foro it., 1984, I, 910.
Sulla scorta della pronuncia che precede deve, pertanto, ritenersi che sono
soggette alla disciplina della legge n. 392/1978 anche le locazioni di immobili urbani, ivi comprese le aree nude, i quali costituiscano corredo o supporto dell’organizzazione di una delle attività agricole connesse (art. 2135 cpv. c.c.), oppure di attività funzionalmente collegate a quelle primarie, svolte altrove dallo stesso imprenditore agricolo (quali: ricovero di animali, deposito di attrezzi o di
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prodotti agricoli, sementi, concime, ecc.) .
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Così, Cass., Sez. III, 16 gennaio 1990, n. 161, in Arch. locazioni, 1990, 508.