Le istituzioni parlamentari nella revisione costituzionale francese del

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Le istituzioni parlamentari nella revisione costituzionale francese del
Le istituzioni parlamentari nella revisione costituzionale francese
del 2008: réinventer le Parlement?
Paolo Ridola
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Un giudizio costituzionalistico alternativo. – 3. La revisione nel 2008. – 4. Lo statuto dell’opposizione. – 5. Il procedimento legislativo. – 6. Conclusioni.
1.
Premessa.
Prima di affrontare il tema che mi è stato affidato, ritengo necessaria una premessa, che ha carattere metodologico, ma sopratutto
segna i limiti della mia relazione. Discutiamo infatti di riforme costituzionali molto recenti, sulle quali è prematuro esprimere un giudizio compiuto, il quale non potrebbe non tener conto delle ricadute
di esse sulla fisionomia degli assetti di governo della V Repubblica.
Aggiungo che parlo non a caso di “assetti” anziché di “forma” di governo, locuzione, quest’ultima, molto familiare alla dottrina costituzionalistica italiana (diversamente che in altre tradizioni culturali), e
che tuttavia a me sembra problematica, in quanto essa lascia intravedere la tendenza ad una sopravvalutazione eccessiva dei congegni di
“formalizzazione” degli assetti di governo predisposti dai testi costituzionali1. Questa premessa è particolarmente necessaria quando si
vogliano “comprendere” le riforme costituzionali degli assetti di governo nel loro significato effettivo. E ciò vale anche per la riforma
Sarkozy del 2008, della quale occorrerà valutare nel tempo gli effetti,
i concreti sviluppi, le dinamiche di tipo convenzionale cui essa darà
luogo. Non ritengo infatti sufficiente limitarsi all’“esegesi” delle
nuove disposizioni costituzionali, per quanto attenta alla loro collocazione sistematica nell’ispirazione complessiva della riforma, né an1 Ho
sviluppato questo aspetto in P. RIDOLA, L’evoluzione storico-costituzionale del
partito politico, in “Annuario 2008 dell’Associazione italiana dei costituzionalisti”, Napoli, Jovene, 2009, pp. 13 ss.
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cora è appagante un approccio circoscritto all’esame dei lavori preparatori ed alla Entstehungsgeschichte, quando esso rischi una cristallizzazione, una Versteinerung degli intenti originari, separandoli
dalle “esperienze” cui tali intenti hanno dato vita2.
In una prima valutazione della riforma costituzionale francese,
infine, non vanno trascurati il forte significato simbolico che il
“preannuncio” del mutamento istituzionale ha avuto nella storia
della V Repubblica3, e, più in generale quello che i processi di revisione costituzionale posseggono nella società dell’informazione di
massa, un significato sul quale Sarkozy ha giocato con molta forza la
sua partita riformatrice. Isolando il commento della riforma dalla
considerazione dell’impatto mediatico atteso per essa dal suo trainer
istituzionale, così come dal quadro della contingenza politica e dei
recenti tentativi di ricomposizione del sistema partitico francese nel
quale essa si colloca, ed in mancanza, peraltro, di prassi applicative
consolidate, si corre il rischio di fraintendimenti. In breve, per una
valutazione compiuta della riforma Sarkozy sarà necessario attendere
che le modifiche costituzionali “si radichino” negli assetti di governo
anche attraverso adattamenti di tipo convenzionale, diventino “esperienza” vissuta nei comportamenti e nelle relazioni dei soggetti costituzionali e delle forze politiche.
Allo stato attuale, credo che sia importante in primo luogo interrogarsi sul modo in cui la riforma Sarkozy si inserisca in tendenze (e
in contraddizioni) di lungo periodo che percorrono la storia costituzionale francese Mi riferisco, in particolare, alla tensione fra parlamentarisme absolu e monocrazia plebiscitaria, fra la concezione dell’unità politica e del potere sovrano incarnati da un’assemblea rappresentativa capace di dar voce alla volonté générale, e la concezione
di un potere supremo derivante dall’investitura plebiscitaria4. In se2 Sul valore dell’“esperienza” nello studio del diritto costituzionale v. ora A.A.
CERVATI, Per uno studio comparativo del diritto costituzionale, Torino, Giappichelli, 2009,
spec. pp. 22 ss., 218 ss.
3 Su ciò v. indicazioni in S. BARTOLINI, Riforma istituzionale e sistema politico, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 109 ss.; e in G. QUAGLIARELLO, De Gaulle e il gollismo, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 32 ss.
4 Nell’amplissima letteratura si v. almeno il fondamentale affresco storico di P. ROSANVALLON, La démocratie inachevée. Histoire de la souveraneité du peuple en France, Paris, Gallimard, 2000; nonché M. VOLPI, La democrazia autoritaria, Bologna, Il Mulino,
1979, pp. 7 ss.
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condo luogo, mi propongo di tratteggiare in che modo la revisione
del 2008 si armonizzi con le linee ispiratrici del progetto costituzionale della V Repubblica, tentando anche di rispondere all’interrogativo se (ed in qual misura) essa corrisponda alla percezione diffusa
nella società francese del significato degli assetti di governo della V
Repubblica. Si tocca qui il tema della continuità degli assetti di governo dal ’58 ad oggi5. Per quel che interessa la questione relativa al
ruolo del parlamento nella V Repubblica, essa si presta ad essere declinata secondo due differenti angolazioni. Da un lato, rivisitandone
l’evoluzione nell’arco di mezzo secolo alla luce delle soluzioni proposte dalla dottrina per inquadrare gli assetti di governo della V Repubblica, giacché ad approcci differenti, che hanno fatto leva ora
sulla ricerca dei limiti estremi di tensione del “governo parlamentare
razionalizzato”, ora sull’autonomia della categoria del “governo semipresidenziale”, ora sulle contraddizioni del “governo presidenzialista”, sono corrisposte evidentemente ricostruzioni differenti del ruolo
del parlamento negli assetti di governo6. Dall’altro considerando la
5 Su di esso v., nella letteratura francese, soprattutto P. AVRIL, Le régime politique
de la V République, Paris, LGDJ, 1967; J. GICQUEL, Essai sur la pratique de la V République, Paris, 1968; O. DUHAMEL, Une démocratie à part, in “Pouvoirs. La V République”, n. 126, 2008, pp. 35 ss. Nella letteratura italiana, v. la bella monografia di P. PICIACCHIA, La forma di governo della IV e V Repubblica. Recenti trasformazioni e caratteri
del costituzionalismo francese, Milano, Giuffrè, 1998.; nonché A. GIOVANNELLI, Aspetti
della V Repubblica da De Gaulle a Mitterrand, Milano, Giuffrè, 1984; M. VOLPI, Forma
di governo e revisione della costituzione, Torino, Giappichelli, 1998, pp. 73 ss.
6 L’“anomalia” del ruolo del parlamento nella Costituzione del 1958 ha rappresentato uno dei temi centrali nelle prime, classiche ricostruzioni degli assetti di governo
della V Repubblica: si v., senza pretesa di esclusività, P. AVRIL, Il parlamento francese
nella V Repubblica (1972), ediz. ital. a cura di M. Romei, Milano, Giuffrè, 1976; M. DUVERGER, La monarchie républicaine ou, Paris, 1974, pp. 165 ss. Nella letteratura italiana
v. A.A. CERVATI, Appunti sul procedimento di approvazione delle leggi con “voto bloccato”
nella quinta repubblica francese, in Giur. cost., 1969, 1265 ss. Sull’interpretazione degli
assetti di governo della V Repubblica v., nella dottrina italiana, i contributi pionieristici
di S. GALEOTTI, La nuova Costituzione francese. Appunti sulla recessione del principio democratico, Milano, Giuffrè, 1960; e di L. ELIA, Forme di governo (1970), Milano, Giuffrè, 1985, pp. 36 ss.; nonché, per un quadro aggiornato del dibattito sulla “classificazione” degli assetti di governo della V Repubblica v., anche per ulteriori indicazioni, M.
VOLPI, op. ult. cit., pp. 57 ss.; nonché M. BAUDREZ, B. RAVAZ, La Quinta Repubblica: regime semipresidenziale o parlamentarismo presidenzialista?, in L. PEGORARO, A. RINELLA
(a cura di), Semipresidenzialismi, Padova, Cedam, 1997, pp. 45 ss.; nonché i contributi
di F. LUCHAIRE, P. AVRIL e J.L. PARODI in A. GIOVANNELLI (a cura di), Il semipresidenzialismo: dall’arcipelago europeo al dibattito italiano, Torino, 1998, 15 ss. Sulla elaborazione
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riforma del 2008 come l’ultimo atto di un processo evolutivo iniziato
con le riforme del biennio 2000-2001, che hanno istituito l’allineamento della durata del mandato presidenziale con quella della legislatura e disciplinato il nesso cronologico fra l’elezione del presidente e
l’elezione dell’Assemblea Nazionale, riforme essenziali, a mio avviso,
per comprendere il “nuovo” ruolo disegnato per il Parlamento dalla
riforma Sarkozy 7.
Nel 1977, in un pamphlet dal titolo provocatorio Réinventer le
parlement, Pierre Birnbaum, Francis Hamon e Michel Troper tracciavano una diagnosi molto severa del declino (e della marginalizzazione) dell’istituzione parlamentare nella V Repubblica8. Quasi all’indomani della riforma costituzionale del 1974, che pure aveva introdotto la saisine delle minoranze parlamentari dinanzi al Conseil
constitutionnel, gli autori denunciavano il “declino” del parlamento
in Francia, un fenomeno nel quale essi scorgevano un’anomalia rispetto all’itinerario delle grandi democrazie occidentali, nelle quali la
posizione privilegiata del parlamento nella lotta politica appariva
fuori discussione. E concludevano auspicando che, nel recupero del
ruolo insostituibile di esso nelle democrazie rappresentative, in
quanto «représentant fidele, législateur démocratique, contrôleur efficace», la Francia potesse riscoprire radici profonde e solidissime
della sua tradizione costituzionale9. Rispetto ad essa, gli autori non
esitavano a cogliere nell’elezione diretta e nella posizione costituzionale del presidente una rottura. Il ruolo “insostituibile” del parlamento come pivot del sistema rappresentativo non potrebbe essere
invero rimpiazzato da quello esercitato dal presidente, nella cui figura l’elezione popolare resta divaricata dalla funzione espressiva
del modello “semipresidenziale” a partire dalla esperienza della V Repubblica la letteratura è vastissima. Per limitarmi a quella italiana v. A. RINELLA, La forma di governo semipresidenziale. Profili metodologici e “circolazione” del modello francese nell’Europa centro-orientale, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 83 ss.; L. MEZZETTI, V. PIERGIGLI (a cura
di), Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi: modelli comparati e riforme
costituzionali in Italia, Torino, 1997; A. LUCARELLI, Teorie del presidenzialismo. Fondamento e modelli, Padova, Cedam, 2000; A. CANEPA, Il sistema semipresidenziale. Aspetti
teorici e di diritto positivo, Torino, Giappichelli, 2000.
7 Il nesso fra i due aspetti era stato già segnalato in modo efficace da H. PORTELLI,
La présidentialisation des partis, in Pouvoirs, n. 14, 1980, pp. 97 ss.
8 Cfr. P. BIRNBAUM, F. HAMON, M. TROPER, Réinventer le Parlement, Paris, Flammarion, 1978.
9 Cfr. P. BIRNBAUM, F. HAMON, M. TROPER, op. cit., pp. 7 ss.
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della sovranità nazionale, racchiusa nella legge, che fa delle istituzioni parlamentari veri organi di “rappresentanza”, in quanto si accorpano in essi investitura democratica ed espressione della sovranità nazionale10. Gli autori si richiamavano ad una ricostruzione del
nesso fra rappresentanza e funzione legislativa profondamente radicata nella cultura costituzionale francese: una ricostruzione a fondamento della quale sta la premessa che l’unità politica – nel che risiede il fulcro della rappresentanza – trovi la sua espressione più alta
e compiuta nella legge, in quanto espressiva della sovranità nazionale. Sotto questo profilo gli autori del saggio del ’77 coglievano una
questione centrale. La svolta, che la V Repubblica ha rappresentato
rispetto al lungo, e pressoché ininterrotto, itinerario della III e della
IV, non riguarda solo la posizione del presidente, ma si appunta nella
drastica riduzione del domaine della legge entro le maglie dell’art.
34, ed a vantaggio dei poteri normativi dell’Esecutivo. Secondo gli
autori del pamphlet, si realizzerebbe in tal modo «una trasformazione profonda del principio di legalità», perché le persone soggette
ai regolamenti autonomi dell’esecutivo «non sono più, come un
tempo, soggette direttamente alla legge, espressione della volontà generale, ma solamente alla volontà del governo»11.
2.
Un giudizio costituzionalistico alternativo.
Ho voluto richiamare i passaggi essenziali di uno scritto oramai
datato per anticipare una delle mie conclusioni. La riforma del 2008
non ha toccato – mi sembra – i due pilastri, entrambi fortemente riduttivi del ruolo del parlamento, sui quali si regge l’edificio costituzionale, la figura del presidente da una parte e l’impianto del rapporto fra legge e regolamento dall’altra. In questo quadro, è difficile
sfuggire all’impressione che le disposizioni sul parlamento introdotte
dalla riforma, le quali pur presentando peraltro profili interessanti di
novità, costituiscano solo un’operazione di maquillage di un assetto
di governo rimasto sostanzialmente inalterato.
Occorre domandarsi peraltro se esiti differenti fossero plausibili,
e soprattutto coerenti con l’ispirazione “antiparlamentaristica”, la
10 Cfr.
11 Cfr.
P. BIRNBAUM, F. HAMON, M. TROPER, op. cit., pp. 25 ss.
P. BIRNBAUM, F. HAMON, M. TROPER, op. cit., pp. 103 ss.
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quale fu fortissima nel disegno genetico così come nella fase del consolidamento della V Repubblica, ed ha peraltro nella cultura costituzionale francese radici altrettanto robuste e risalenti quanto quella
“assembleare”. La valutazione delle nuove disposizioni della riforma
del 2008 dedicate al parlamento non può prescindere dalla premessa
che l’assetto di governo della V Repubblica si è formato, si è sviluppato e si è consolidato nel quadro di un “progetto” costituzionale sostanzialmente alternativo rispetto all’itinerario della coniugazione fra
democrazia e parlamentarismo, che ha rappresentato “uno” dei filoni
delle esperienze costituzionali europee del Novecento12.
In uno scritto del 1931, pubblicato nella fase più accesa del dibattito sulla crisi del “parlamentarismo assoluto” della III Repubblica13, Raymond Carré de Malberg, un maestro il cui pensiero
avrebbe esercitato, soprattutto per il tramite di Michel Debré e di
René Capitant, un’influenza profonda sul progetto costituzionale
della V Repubblica14, si interrogava problematicamente sugli effetti e
sulle virtualità della combinaison fra parlamentarismo e democrazia
diretta. Effetti radicalmente eversivi – secondo l’autore – delle basi
del parlamentarismo, dal momento che la democrazia diretta mette in
discussione il dogma di un parlamento monopolizzatore del «pouvoir
de formuler la volonté générale», e ciò pone l’interrogativo «s’il est
souhaitable que le régime parlementaire soit amendé et régéneré par la
méthode qui consiste à le faire fonctionner sous les restrictions résultant
de la possibilità des interventions populaires»15. Un esito inevitabile,
peraltro, in considerazione della forza dirompente dell’affermazione
del principio democratico nei confronti del principio rappresentativo,
e solo in parte aggirabile attraverso meccanismi di razionalizzazione,
perché esso lascia intravedere, sullo sfondo, uno scenario radical12 Per
qualche ulteriore svolgimento su ciò v. P. RIDOLA, Diritti di libertà e costituzionalismo, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 144 ss.
13 Se ne può leggere una rassegna critica in Y. GOUET, Qu est-ce-que le régime
parlementaire, in Rev. droit public, 1932, pp. 220 ss.
14 Del secondo si v., sopratutto, R. CAPITANT, Ecrits politiques. 1960-1970, Paris,
1971. Sul debito di Capitant con Carré de Malberg v. ancora R. CAPITANT, Carré de
Malberg et le régime parlementaire (1966), in ID., Ecrits constitutionnells, Paris, ed. du
CNRS, 1982, pp. 260 ss.
15 Cfr. R. CARRÉ DE MALBERG, Considérations theoriques sur la question de la
combinaison du referendum avec le parlementarisme, in “Annuaire de l’Institut de droit
public”, 1931, pp. 261 ss.
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mente nuovo, nel quale «le parlementarisme est un régime de transition, dont la destinée normale est d’aboutir, sinon nécessairement à la
démocratie integrale, du moins à un mélange d’institutions démocratiques et représentatives»16. Al fine di cogliere le linee ispiratrici di
fondo del progetto costituzionale della V Repubblica, il saggio di
Carré de Malberg si rivela illuminante. Il maestro che nella Contribution aveva offerto una sistemazione poderosa dell’idea della sovranità nazionale, metteva in dubbio, in sostanza, che nelle democrazie le tecniche del parlamentarismo potessero ancora bastare, da sole,
a offrire prestazioni di unità politica. E la messa in discussione del
parlamentarismo era anche, allo stesso tempo, quella dei concetti fondamentali sui quali poggia “l’organizzazione statale della nazione”17.
Nonostante qualche iniziale oscillazione, gli itinerari della V Repubblica si sarebbero sviluppati lunga la direttrice di fondo della divaricazione dalle esperienze del parlamentarismo razionalizzato. Una
divaricazione anticipata programmaticamente da De Gaulle già nel
1946, quando, nel discorso di Bayeux, egli additava un modello costituzionale fondato su istituzioni «al di sopra dei partiti», capace di
offrire prestazioni di unità politica «al di sopra delle contingenze politiche», ed invocava «regole della vita nazionale che tendono a riunirci quando, senza sosta, siamo costretti a dividerci»18. Era, come è
evidente, un pensiero costituzionale antitetico rispetto a quello che
fa leva sulle dinamiche (e sulle risorse) del principio rappresentativo,
e che fa scaturire l’unità dallo scontro delle opinioni e, molto diversamente dall’approccio gaullista, dalla “contingenza” politica. Certamente, il bersaglio diretto del discorso di Bayeux erano i partiti, non
le istituzioni parlamentari. Ma non c’è dubbio che, nelle esperienze
costituzionali europee del Novecento, il recupero del parlamentarismo ed il distacco di esso dalle matrici dello stato liberalborghese
passano attraverso la combinaison delle sue regole con il quadro di
una “democrazia di partiti” e con la centralità della mediazione parlamentare-partitica. Se nelle esperienze del parlamentarismo razionalizzato resta assolutamente prioritaria l’idea della rappresentanza
16 Cfr.
R. CARRÉ DE MALBERG, op. cit., pp. 264 ss.
R. CARRÈ DE MALBERG, op. ult. cit., p. 275.
18 Il testo del discorso può leggersi in S. RIALS, Textes politiques francais, Paris,
Puf, 1989, pp. 119 ss. Su di esso v. J.L. DEBRÉ, Les idees constitutionnelles du generale
De Grulle, Paris, LGDJ, 1974, pp. 75 ss.
17 Cfr.
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come topos dell’unità politica, alimentato peraltro da un sostrato pluralistico, altre, profondamente altre, sono state le basi sulle quali è
stato progettato l’edificio della V Repubblica. La contraddizione fra
l’ispirazione antipartitica ed antiparlamentare della Costituzione del
1958 e gli spazi rilevanti che il sistema dei partiti ha progressivamente conquistato nelle dinamiche istituzionali della V Repubblica è
solo apparente, trattandosi di spazi sostanzialmente strumentali alla
elezione del presidente ed alla legittimazione del ruolo di questi.
3.
La revisione nel 2008.
Mi sono soffermato su questi aspetti generali del mio tema, perché ritengo che da essi una prima valutazione della riforma del 2008
non possa prescindere. Di essa vanno segnalati infatti gli elementi di
novità, anche per quanto riguarda il ruolo del parlamento e soprattutto le prerogative dell’opposizione, elementi che mi sembra peraltro non modifichino l’impianto degli assetti di governo della V repubblica. Ne farò ora una rapida rassegna.
Va menzionato anzitutto il nuovo incipit dell’art. 24 I al., il
quale “scolpisce” con molta enfasi la collocazione del parlamento
nell’assetto costituzionale («vota la legge, controlla l’azione di governo, valuta le politiche pubbliche»). Vi si potrebbe intravedere una
scelta che tende a far uscire il parlamento da una collocazione “di
nicchia”. Né va trascurato che questa indicazione di principio non
resta avulsa da soluzioni puntuali e che essa trova sviluppi significativi in un complesso di regole del procedimento parlamentare le
quali si indirizzano, piuttosto che a ridimensionare, a configurare
congegni di contrasto delle ben note corsie privilegiate del “governo
in parlamento”.
E tuttavia questo incipit di principio è destinato a “convivere”
nel sistema costituzionale anzitutto con il quadro sostanzialmente
immutato dell’asimmetria fra legge e attività normativa del governo.
In secondo luogo, la nuova definizione del ruolo delle istituzioni parlamentari, più ariosa e comprensiva, ne rende ancora più problematico il raccordo con la posizione del presidente, la quale sembra
uscire valorizzata dalla riforma del 2008, anche sotto il profilo degli
strumenti attraverso i quali ad esso è consentito stabilire ed alimentare un rapporto diretto, a valenza spiccatamente plebiscitaria, con
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l’opinione pubblica. L’asimmetria nel rapporto fra presidente e parlamento si converte pertanto non in un riequilibrio, ma in un dualismo con potenziali, più accentuati elementi di conflittualità. Non
sembra invero in controtendenza, rispetto al disegno di valorizzare
gli strumenti di raccordo diretto nella combinaison con le dinamiche
del parlamentarismo, il nuovo II alinea dell’art. 18, secondo il quale
«il Presidente può prendere la parola davanti al Parlamento riunito a
tal fine in Congresso», avendo cura di precisare, peraltro, che «la sua
dichiarazione può dare luogo, al di fuori della sua presenza, ad un
dibattito che non è oggetto di alcun voto». Il superamento del divieto per il presidente francese di accedere alle camere non conduce
pertanto a configurare una qualche forma di responsabilità politica
di tipo “istituzionale” del presidente di fronte al parlamento, mentre
le potenzialità di forme di responsabilità di tipo “diffuso” restano
peraltro ancora neutralizzate nella loro portata effettiva dalla stessa
“statura” del ruolo presidenziale.
Infine, la nuova definizione del ruolo del parlamento lascia inalterato il quadro che disciplina la relazione fiduciaria tra primo ministro e Assemblea nazionale, che non appare modificato in particolare, dalla previsione dell’art. 34-1, il quale attribuisce alle due camere il potere di votare delle risoluzioni, precisando peraltro, sulla
scia della nota decisione del Conseil del 1959, che esse non possono
mettere in causa la responsabilità del governo né rivolgere a questo
«ingiunzioni». In conclusione, le potenzialità racchiuse nell’indicazione di principio dell’art. 24 I al. rischiano di restare sostanzialmente avulse dal contesto degli assetti di governo, poiché da un lato
resta solidissimo l’impianto del bicefalismo fra presidente e primo
ministro, il quale ha funzionato peraltro, come è noto, a geometria
non troppo variabile”, e dall’altro si resta molto lontano dal costruire
un “dualismo equilibrato” fra presidente e parlamento, il rapporto
fra i quali fa intravedere ora (come segnalerò più avanti accennando
alle novità in tema di referendum) scenari di conflittualità che il disegno gaullista originario aveva tentato di neutralizzare.
4.
Lo statuto dell’opposizione.
Un secondo blocco di modifiche costituzionali riguarda la dialettica fra le forze parlamentari e lo statuto dell’opposizione. Di esse va
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segnalata anzitutto la nuova formulazione della norma dedicata ai
partiti, il cui ruolo era stato originariamente circoscritto dall’art. 4 in
funzione de «l’expression du suffrage», mentre ne viene ora riconosciuta dal III al. la più ricca ed articolata collocazione come soggetti
del pluralismo politico, «expressions pluralistes», dunque, alle quali
deve essere garantita la «participation équitable à la vie démocratique
de la Nation». A questa indicazione di principio, che estende l’ambito
del riconoscimento delle espressioni del pluralismo politico e corregge la lettura riduttiva dell’art. 4 a lungo prevalsa, secondo la quale
l’inedito riferimento ai partiti in una costituzione a forte ispirazione
antipartitica sarebbe apparsa essenzialmente come un freno ad una
“democrazia di partiti” e come una clausola di “contenimento” dell’invadenza dei partiti, fanno seguito le misure di garanzia dell’opposizione parlamentare, solo prefigurate dal nuovo testo costituzionale,
ma sostanzialmente rimesse poi all’autonomia regolamentare, salvo la
clausola di riserva di un giorno di seduta al mese alle proposte dell’opposizione e dei gruppi di minoranza (art. 48 V al.).
Mi riferisco al nuovo art. 51-1, il quale attribuisce al regolamento interno di ciascuna Camera la determinazione dei «diritti dei
gruppi parlamentari costituiti al suo interno» e il riconoscimento «di
diritti specifici ai gruppi di opposizione dell’assemblea interessata
nonché ai gruppi minoritari». Personalmente non sarei indotto peraltro a sopravvalutare questa innovazione. Sono convinto che i profili più significativi di garanzia nei confronti del blocco maggioritario
non siano racchiusi nelle disposizioni che, sebbene in modo assai incerto, tentano di dare corpo ad uno “statuto dell’opposizione”, ma
restino quelli già delineati nel 1974 con la saisine del controllo di costituzionalità riconosciuta alle minoranze parlamentari, ed ora potenziati dalla riforma del 2008 con l’ampliamento delle vie di accesso al
Conseil.
Segnalo infine che sulla operatività delle innovazioni introdotte
dalla riforma in tema di garanzia delle minoranze parlamentari peseranno in modo determinante le soluzioni attraverso le quali il legislatore darà ad esse il necessario sviluppo. Ciò va detto anche per il giudizio su un’altra misura di garanzia su un profilo di grande rilievo,
quella relativa al ritaglio dei collegi elettorali. La riforma prefigura
infatti soluzioni procedimentali che, attraverso l’intervento di istituzioni neutrali, offrano argini o “misure di contrasto” al potere di di-
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sposizione delle maggioranze parlamentari, in particolare attraverso
la previsione, nell’art. 25 III al., di una commissione indipendente,
disciplinata dalla legge, alla quale è attribuito il compito di dare un
parere pubblico sui progetti di testo o sulle proposte di legge che delimitino le circoscrizioni per l’elezione dei deputati o modifichino la
ripartizione dei seggi dei deputati o dei senatori.
5.
Il procedimento legislativo.
Vengo ora all’ultima parte di questa rassegna, relativa alle nuove
disposizioni sul procedimento legislativo. Fra le innovazioni più significative, segnalo anzitutto l’attivazione di un circuito procedimentale nel caso di dissensi fra Conferenza dei presidenti e Governo in
ordine all’applicazione di una legge organica che disciplini l’iter della
presentazione dei progetti di legge: un circuito “procedimentale”
che può sfociare in una saisine davanti al Conseil da parte del presidente dell’assemblea interessata o del governo (art. 39, III e IV al.).
Va sottolineata, inoltre, la valorizzazione del ruolo delle commissioni,
in particolare nella definizione del “testo” dal quale deve prendere le
mosse la discussione in assemblea (art. 42). È interessante osservare
che ciò vale sia per i progetti di iniziativa parlamentare che per quelli
di iniziativa governativa, sebbene con alcune eccezioni importanti
per le quali resta determinante il testo proposto dal governo, fra queste, significativamente, i progetti di revisione costituzionale, il cui iter
viene pertanto sostanzialmente mantenuto nella disponibilità della
maggioranza di governo. Merita di essere menzionata, ancora, la fissazione di “spazi” minimi della discussione parlamentare (art. 42, III
al.)19, una misura di garanzia che può peraltro essere “aggirata” dal
ricorso governativo alla procedura di urgenza.
Lascio per ultima l’innovazione che in materia mi sembra più significativa. Essa riguarda il potere di fissare l’ordine del giorno dei lavori parlamentari, il quale viene ricondotto dall’art. 48 fra le prerogative dell’assemblea, il che comporta sicuramente il ridimensionamento di una fra le più significative opportunità riservate al governo
nell’attività parlamentare. Sebbene la volontà del governo resti priori19 Ad esso fanno rinvio anche, per le leggi organiche, l’art. 46, II al., e per le leggi
di revisione costituzionale l’art. 89, II al.
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taria, anche in questo caso, in materie politicamente rilevanti, ed il
rendimento effettivo di questa modifica sia evidentemente condizionata dagli equilibri politici dell’assemblea e della sua conferenza dei
presidenti, non sembra dubbio che il nuovo art. 48 tenda per lo meno
ad inquadrare il “governo in parlamento” in un contraddittorio procedimentalizzato con tutti i gruppi politici. È questo – mi sembra – il
profilo più interessante della revisione del 2008 per la parte riguardante il parlamento, in quanto la modifica dell’art. 48 può “movimentare” la dialettica parlamentare, introducendovi potenziali elementi di disturbo del fait majoritaire. Qualora si volessero recuperare
gli spunti offerti dalla nota discussione fra Luhmann e Habermas, si
potrebbe osservare che il nuovo art. 48 potrà determinare una oscillazione significativa dal procedimento parlamentare come strumento
di una riduzione della complessità appiattita sulla stabilizzazione del
fait majoritaire, al procedimento parlamentare come luogo di moltiplicazione delle chances della “comunicazione pubblica”.
6.
Conclusioni.
E tuttavia restano, in conclusione, zone d’ombra ed interrogativi
aperti, i quali rendono difficile declinare la riforma del 2008 come
una sia pur moderata torsione degli assetti di governo verso la parlamentarizzazione. Concordo pienamente con il rilievo di Mauro
Volpi, il quale ha osservato che il ruolo del parlamento dopo le recenti modifiche va letto in connessione (ed in una linea di continuità)
con le riforme del biennio 2000-200120. L’aver omologato la durata
del mandato presidenziale a quella della legislatura dell’Assemblea
nazionale e l’aver poi puntualmente regolato lo svolgimento delle
due scadenze facendo precedere di poco l’elezione presidenziale rispetto al rinnovo dell’Assemblea hanno come obiettivo principale (e
nell’esperienza recente hanno già provocato) un effetto di trascinamento della maggioranza presidenziale, il quale che non potrà che
neutralizzare di fatto le aperture della riforma nella direzione del potenziamento del contraddittorio nei procedimenti parlamentari.
Aggiungo che le aperture della riforma nella direzione della garanzia del procedimento parlamentare molto difficilmente potranno
20 Si v. M. VOLPI, La forma di governo in Francia alla luce della riforma costituzionale del luglio 2008, in corso di pubblicazione negli “Scritti in onore di A.A. Cervati”.
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contribuire a ristabilire un equilibrio nei rapporti fra presidente e
parlamento, in un quadro che non può non tener conto di altri profili di innovazione che rischiano di favorire l’insorgere di situazioni
di conflittualità. È il caso dell’iniziativa del referendum ex art. 11,
estesa ora ad un quinto dei membri del parlamento. La circostanza
che l’iniziativa parlamentare debba essere sostenuta da un numero
elevato di elettori, ciò che neutralizza in modo significativo le potenzialità di un referendum “attivato” dal basso e “organizzato” dalle
minoranze parlamentari, non impedisce (indipendentemente dal suo
successo) un uso dell’iniziativa referendaria in funzione di mobilitazione contro il presidente e la sua maggioranza. Non può negarsi che
l’innesto di modalità di tipo weimariano del referendum rappresenti
una novità rispetto al disegno originario. Tale disegno, mettendo lo
strumento referendario a disposizione del presidente, era indubbiamente orientato a contenere all’interno di uno schema di tipo plebiscitario le potenzialità “eversive” del referendum, imbrigliate – e raccordate strettamente con l’indirizzo politico – dal “medio istituzionale” chiamato a gestire l’appello diretto al corpo elettorale21.
Concludo con alcune osservazioni di carattere generale. A fronte
delle sfide della democrazia in società caratterizzate da una sempre
più marcata, complessità irriducibile ai cleavages tradizionali del conflitto politico, la riforma del 2008 appare certo ispirata da obiettivi
ambiziosi, ma nondimeno suscita un’impressione complessiva di arretratezza e di inadeguatezza. Alla luce di queste sfide, certamente il
nesso fra democrazia e parlamentarismo è divenuto oggi ben altrimenti problematico che nell’epoca della poderosa tutela esercitata dai
partiti sul processo politico. Su entrambi i versanti sui quali si muove
una recente, affascinante ricostruzione di Pierre Rosanvallon, quello
della democrazia come «principio di giustificazione» e quello della
democrazia come «tecnica di decisione»22. Ma, se la complessità del
pluralismo contemporaneo, non più sostanzialmente ordinato né agevolmente aggregabile, mette in discussione – come ancora osserva Rosanvallon – la tenuta stessa del principio di maggioranza23, ciò solleva,
21 Lo rilevarono molto efficacemente C. MEZZANOTTE, R. NANIA, Referendum e
forma di governo, in Dem. dir., 1981, pp. 49 ss.
22 Cfr. P. ROSANVALLON, La Légitimité démocratique. Impartialité, reflexivité, proximité, Paris, 2008, pp. 10 ss.
23 Cfr. P. ROSANVALLON, op. ult. cit., pp. 12 ss.
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LA V REPUBBLICA FRANCESE
a ben vedere, non minori interrogativi sulle risorse di tipo plebiscitario dispiegate dagli assetti di governo della V Repubblica. Anche queste costrette a misurarsi con una società che non si presenta più come
una massa omogenea, ma come «una successione di storie singolari»,
e che si fa comprendere partendo, piuttosto che dalla prospettiva
maggioritaria, dall’idea di minorité. La quale non è più peraltro essa
stessa raffigurabile come la minor pars, ma come la formula che sintetizza le svariate, e disarticolate, espressioni della totalità sociale, perché la società si manifesta oramai come «una vasta declinazione di
condizioni minoritarie»24. Sullo sfondo di questo scenario, il quale
sembra richiedere non solo vaste arene di comunicazione, ma anche
luoghi di decisione inclusivi, la revisione costituzionale del 2008 ha
preferito battere le vie più rassicuranti della commistione – secondo il
vecchio schema di Ernst Fränkel – fra componenti rappresentative e
componenti plebiscitarie della democrazia25, senza che tuttavia le une
e le altre riescano ancora a trovare un punto di equilibrio.
24 Cfr.
25 Su
P. ROSANVALLON, op. ult. cit., pp. 14 s.
ciò sia consentito rinviare a P. RIDOLA, Diritti di libertà, cit., pp. 188 ss.