30 Anni di esperienza nel processo del lavoro. Adeguatezza e
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30 Anni di esperienza nel processo del lavoro. Adeguatezza e
30 Anni di esperienza nel processo del lavoro. Adeguatezza e criticità nella tutela delle parti. Luigi Perina∗ 1. La linea di tendenza normativa in materia di giurisdizione del giudice del lavoro con riferimento al primo grado, si è progressivamente spostata nel tempo dalla giurisdizione diffusa sul territorio (il luogo più vicino a quello dove si sono svolti i fatti oggetto del giudizio) davanti a giudici parzialmente specializzati (preture mandamentali) verso una tipologia di giurisdizione concentrata in sede centrale (preture circondariali) e specializzata (solo giudici del lavoro). Nel grado d’appello pure la giurisdizione era diffusa sul territorio (tribunali provinciali) davanti a giudici non specializzati. Con l’introduzione del giudice unico di primo grado si è realizzata invece la concentrazione della giurisdizione davanti al g.l. del tribunale, specializzato in materia) e così è avvenuto anche per l’appello (davanti alla Corte, sez. lavoro) . Coerentemente con la evoluzione normativa, la rassegna di giurisprudenza che da trent’anni si pubblica in Vicenza si è evoluta divenendo da raccolta giurisprudenziale vicentina a raccolta di sentenze regionali . Essa rappresenta un ottimo osservatorio dal quale evidenziare la idoneità o meno della normativa, anche processuale, a raggiungere lo scopo, atteso che la trasformazione del mondo del lavoro e delle regole giuridiche che lo governano vede i giudici del Veneto in prima linea nel recepire le novità organizzative dell’impresa e delle relative evoluzioni normative, sia sul versante strettamente giuslavoristico sia su quello previdenziale di recupero della contribuzione. Qui più che altrove si è concretizzata rapidamente la trasformazione del modello di impresa da quello “fordista” a quello moderno del decentramento produttivo (c.d outsourcing; frammentazione e decentramento dell’attività produttiva estranea al c.d core businness dell’azienda). Qui più che altrove si nota la necessità di stabilire nuove relazioni sindacali e si è dovuto prendere atto delle nuove forme contrattuali di espletamento del lavoro, degli strumenti di flessibilità, della rilevanza della contrattazione collettiva aziendale (legata soprattutto alla produttività, ossia al risultato). Modifiche che sono state tutte gestite, anche attraverso gli strumenti processuali vigenti e dunque da questo territorio si può legittimamente esprimere un giudizio sulla capacità del processo del lavoro di rispondere in modo tempestivo e certo alle predette problematiche. 2. Per verificare se lo strumento processuale sia o meno idoneo allo scopo di dare risposte certe e tempestive alle problematiche emergenti non può non essere esaminata la ragione storica della creazione del processo del lavoro, ossia con rito specializzato e magistrature specializzate. Sin dal 1900 era nota la peculiarità del processo del lavoro: il prof. Enrico Redenti 1 nel 1906 osservava: “alle controversie di lavoro, di limitato valore, in cui una e una sola delle parti è normalmente ignorante e senza mezzi, è effettivamente inadeguato il processo civile ordinario, così favorevole alla parte più facoltosa, lento, fatalmente aperto alle interminabili questione de jure apicibus, appesantito ancor più dal sistema dei gravami, incomprensibile e pertanto ripugnante a quella parte povera e ignorante , per cui soltanto tali controversie hanno, di solito, una urgente importanza. La prova dei fatti e la dimostrazione del diritto riescono in questa sede irraggiungibili per essa, * Luigi Perina è giudice del lavoro in Vicenza Relazione presentata al seminario “30 anni di esperienza nel processo del lavoro - Adeguatezza e criticità delle parti” organizzato dalla Associazione Industriali di Vincenza il 31 maggio 2004. 1 Sulla finzione delle magistrature, p. 618 cit. in Andrioli, Barone, Pezzano, Proto Pisani, le controversie in materia di lavoro, p. 27 1 perciò che il contratto di lavoro è sempre sprovvisto di prove precostituite, spesso di qualsiasi prova, ed è di solito rudimentale e non trova nel diritto scritto alcun regolamento speciale; mentre il giudice togato d’altra parte è di solito digiuno di ogni nozione tecnica e di ogni conoscenza dell’ambiente”. Queste osservazioni sono rimaste attuali fino alla riforma del processo del lavoro del 1973 se si pensa che comunque il processo di allora aveva durata abnorme tant’è vero che nel biennio 1967/68 la durata media delle controversie in primo grado era di 824 giorni e di secondo grado di 634 giorni, e sono tutt’oggi attualissimi dopo la riforma del 1973, atteso che i tempi medi del processo del lavoro non sono dissimili da quelli citati (anche se vi sono uffici più rapidi nella definizione delle cause, tra cui Vicenza, Treviso nel Veneto; Brescia e Milano in Lombardia, processi molto lenti nella gran parte d’Italia e particolarmente al sud, anche se vi sono organici della magistratura del lavoro più ampi che nelle altre parti della nazione) . Non può allora che concludersi per la eccessiva durata del processo del lavoro non ostante la riforma del 1973, salvo uffici e situazioni particolari di tal che il processo non appare del tutto adeguato a tutelare le parti . Si ritiene di prospettare tuttavia alcuni rimedi processuali che possono rendere più funzionale il processo allo scopo (adeguata tutela delle parti in tempi ragionevoli). La questione non può tuttavia essere esaminata scindendo le questioni del processo previdenziale e del lavoro, attesa la incidenza prevalente sul ruolo del giudice delle cause previdenziali. 3. Il rito di per sé sembra astrattamente idoneo allo scopo (oralità, concentrazione, immediatezza della decisione all’esito della discussione) . Il problema è quello dell’organico che anche aumentato secondo le disposizioni vigenti ma non ancora operative è insufficiente. Operando a organico costante e con il rito del lavoro vigente, il problema della efficienza e tempestività del servizio giustizia nel settore così determinante per il cittadino utente del servizio non è di facile soluzione e dall’esperienza giurisprudenziale le possibili soluzioni processuali prospettabili e finalizzate alla effettività – tempestività della tutela delle parti, vanno nella direzione: a) di ridurre la platea delle posizioni soggettive e delle questioni da portare all’esame del giudice, con riferimento alle questioni a basso contenuto giuridico (ad esempio in materia previdenziale le questioni sulle prestazioni; in materia del lavoro le questioni relative alle mansioni) incentivando la composizione stragiudiziale delle controversie. b) di introdurre ulteriori strumenti processuali che consentano decisioni rapide a cognizione piena e non sommaria su questioni ad alto contenuto giuridico (ad esempio: questioni sulla interpretazione di clausole contrattuali o norme di legge relativamente alle c.d. cause seriali quali possono essere i contratti a termine – vedi settore Poste), ovvero di elevato impatto sociale (questioni individuali plurime o collettive cui sono sottesi importanti conflitti sociali come i ricorsi per soppressione dell’attività antisindacale, in concomitanza spesso con il rinnovo dei contratti collettivi), ovvero di rilevante importanza a livello individuale (ad esempio licenziamenti collettivi , individuali e trasferimenti). In questi casi da un lato il giudice pronunzia molte sentenze seriali sullo stesso problema giuridico - casi identici - e non vi è uno strumento per accelerare tale tipologia di cause o per rendere pronunzia definitiva sulla materia; dall’altro la cognizione è sommaria per i ricorsi ex art. 28 St.lav. o per i licenziamenti individuali o trasferimenti (ricorsi ex art. 700 cpc) e la decisione con cognizione piena nel merito sopraggiunge in tempi poco ragionevoli. Con i correttivi di cui ai punti a) e b) il processo del lavoro può essere lo strumento idoneo anche dopo 30 anni dalla sua elaborazione a dare una risposta adeguata alla richiesta delle parti. 2 4. Possibili interventi normativi e la normativa recente. 4.1 La materia previdenziale. a) prestazioni Sarebbe opportuna la incentivazione delle procedure stragiudiziali presso commissioni mediche (non sembra essere in linea con questo suggerimento l’art. 42 comma 3, legge 326/2003 che prevede di non dar corso ai ricorsi amministrativi bensì alla domanda giudiziale a fronte del provvedimento amministrativo con cui l’ente previdenziale risponde alla domanda amministrativa). Sembra in linea invece la norma sulle spese che ha modificato l’art. 152 disp. Att. Cpc . b) I recuperi contributivi in questa materia il compito del legislatore appare rilevantissimo, atteso che la normativa non appare chiara e certa, né sempre compatibile con lo stato della giurisprudenza. Spesso si ricorre alle norme omnibus della finanziaria, ovvero a quelle interpretative (“oscure” quanto le norme interpretate). E’ importante attribuire poteri conciliativi agli enti impositori, anche su input del giudice nel corso del processo. Positiva la previsione del d.lgs. n. 124/2004, art. 11 sulla “conciliazione monocratica”. Molto dipenderà anche dal corretto funzionamento dell’istituto della certificazione; vedasi il riferimento alla qualifica dei rapporti di lavoro di cui all’art. 17 comma 2, del d.lgs. 124/2004 – ricorsi al comitato regionale contro i verbali di accertamento delle DPL e degli enti previdenziali. 4.2 Il lavoro alle dipendenze della P.A. Desta qualche perplessità la difesa atecnica della pubblica amministrazione tramite funzionario che per altro si difende con riferimento ai vizi dell’atto e non sul rapporto; problema delle cause seriali, spesso di poco valore e comunque su questioni di diritto risolte univocamente dalla giurisprudenza, in cui la PA non addiviene a possibili conciliazioni e resiste in giudizio al di fuori di ogni ragionevole opportunità. 4.3 Il lavoro alle dipendenze del datore privato a) Le mansioni In questa materia di derivazione contrattuale – sindacale, appare molto opportuno utilizzare le commissioni bilaterali, ovvero di derivazione sindacale, per le questioni sulle declaratorie contrattuali legate alle mansioni, con definizione in sede non giudiziaria. b) Il risarcimento danni da infortunio e malattie professionali Sarebbe opportuno che al Tentativo Obbligatorio di Conciliazione partecipasse la compagnia assicurativa (sulla quale spesso ricade l’onere economico) a pena di improcedibilità della chiamata in causa se non si è svolto il t.c.o. con la compagnia stessa; sarebbe necessario un coordinamento chiaro per legge tra risarcimento del danno biologico secondo criteri civilistici e indennizzo del danno biologico Inail. c) I licenziamenti e i trasferimenti 3 c.1 .Sarebbe essenziale ce il legislatore introducesse un termine “decadenziale” entro il quale proporre l’azione. La recente normativa prevede termini decadenziali di 6 mesi per la domanda giudiziale per prestazioni previdenziali (art. 43 comme 3, l. 326/2003) e un siffatto termine potrebbe essere previsto per il licenziamento. Sul punto la Commisione “Foglia” del 2001 ha previsto un termine decadenziale di 120 gg per la impugnazione del licenziamento ovvero per la proposizione della domanda giudiziale ( art. 7). c.2 Manca uno strumento rapido a cognizione piena per la definizione di questo contenzioso in tempi rapidi, non essendo spesso adeguato il ricorso ex art. 700cpc e il relativo reclamo; non esiste una corsia preferenziale previsto per legge o un termine massimo entro cui debba celebrarsi e concludersi il giudizio (in Spagna a quanto consta la decisione deve avvenire entro 60 giorni dal deposito del ricorso e superato questo termine spetta allo Stato versare i “salari de tramitaciòn “ossia le retribuzioni dovute dal licenziamento alla sentenza). La Commissione Foglia, sul punto, ha previsto una cognizione definita “piena e completa” ma vi sono elementi di ambiguità in quanto si dice che il giudice procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo urgente del procedimento, alla acquisizione ed alla valutazione degli elementi di prova relativi ai fatti allegati (articolo 2). La Commissione prevede che la ordinanza del giudice di primo grado possa essere impugnata entro il termine perentorio di 30 gg. davanti alla Corte d’Appello, sez. lav., che decide in sede di reclamo; entro 30 gg. può essere proposta la causa di merito davanti alla stessa Corte; contro la sentenza della Corte d’Appello è previsto il ricorso per Cassazione. La proposta della Commissione non prevede tuttavia la introduzione di un procedimento a cognizione piena , da definire in tempi rapidi , ed impugnabile in termini perentori negli ulteriori gradi di giudizio. La Commissione ha invece proposto di introdurre dei criteri di priorità nella trattazione di licenziamenti e trasferimenti configurando anche un tipico illecito disciplinare per il magistrato che non li rispetti . c.3 Con riferimento in particolare alla materia dei licenziamenti, l’esperienza giurisprudenziale consente di svolgere ulteriori osservazioni. Il contenzioso del lavoro in materia di licenziamenti individuali non è particolarmente consistente nel Veneto (territorio ove opero), non ostante l’alta densità industriale della zona. Probabilmente ciò dipende anche dalla funzione preventiva esercitata dall’art. 18 stat. lav., di tal che il ricorso al licenziamento rappresenta una ipotesi particolarmente meditata dalle parti e limitata a casi particolari. La funzione preventiva dell’art. 18 è molto importante, e ciò lo si ricava anche dal fatto che allo stato sono meno numerosi i licenziamenti in area di tutela reale rispetto a quelli in area a tutela obbligatoria. I limitati licenziamenti tutelabili ex art. 18 stat. lav. difficilmente vengono conciliati, a differenza di quelli in area a tutela obbligatoria e rappresentano uno dei momenti di maggior difficoltà nello svolgimento della attività giurisdizionale. Tra queste controversie poche riguardano la questione del requisito numerico (più o meno di 15 dipendenti; periodo di riferimento per la verifica della consistenza numerica media dell’impresa) e in questo caso uno dei problemi ancora aperti riguarda la ripartizione dell’onere probatorio del requisito numerico (che sembra spetti al lavoratore, ma vi è contrasto di giurisprudenza, anche di Cassazione, sul punto). 4 Quanto alle conseguenze della pronuncia giudiziale ex art. 18 si rileva che in concreto quasi mai viene dato corso alla originaria richiesta di reintegra , e sempre più spesso il ricorrente formula già con il ricorso la opzione per l’indennità sostitutiva (15 mensilità) non essendo interessato alla reintegra. E ciò spesso perché il lavoratore propone ricorso dopo aver trovato nuovo lavoro a condizioni di equivalenza retributiva ovvero perché ha trovato nelle more del giudizio nuova occupazione (il tasso di disoccupazione nella zona è al 3,5% circa; i tempi di disoccupazione sono molto ristretti: normalmente non superano i 5 mesi e raramente superano gli 8-12 mesi). In concreto dunque la condanna in caso di illegittimità del licenziamento non supera le 20 mensilità (le 5 forfetarie oltre alle 15 per l’opzione). Si viene in concreto a realizzare una situazione non dissimile a quella relativa al licenziamento del dirigente, con la significativa differenza che in questo caso il giudice modula l’entità del risarcimento tra un minimo ed un massimo previsto dalla contrattazione collettiva, mentre nel caso in esame la misura è fissa e predeterminata per legge . Ne consegue che in concreto il problema della reintegra viene superato dalla “monetizzazione” prevista in via automatica e fissa dalla legge . Si rileva inoltre che in molti casi la liquidazione riguarda posizioni lavorative in cui il lavoratore ha avuto un danno economico limitato rispetto a quanto determinato in giudizio in forza del predetto automatismo indennitario. Appare opportuna una riforma normativa che consenta al giudice di modulare l’indennizzo tra un limite minimo e quello massimo . Dall’esame della situazione esistente si ricava che l’argomento delle deroghe all’art. 18 stat. lav. previste nella nota legge delega è di tipo “neutro” rispetto al contenzioso non avendo particolari riflessi deflattivi; ciò non vuol dire che alcuni chiarimenti in materia possano essere importanti: ad esempio è apprezzabile la disposizione contenuta nel cosiddetto” Patto per l’Italia “sottoscritto dalle organizzazioni sindacali, e idoneo a chiarire che se per effetto della regolarizzazione di posizioni lavorative l’azienda rientrerebbe nel requisito numerico della tutela reale, di tale fatto non si tenga conto per gli effetti dell’art. 18 stat. lav. Tuttavia si ritiene che per evitare gli effetti distorsivi e maggiormente patologici legati alla problematica dell’art. 18 stat. lav. e per ridurre il contenzioso gli interventi più significativi andrebbero effettuati sul piano del processo del lavoro, come sopra evidenziato sub C.1 e C.2. d) Le cause seriali La Commissione ha proposto la definizione legislativa della fattispecie e ha ritenuto che possa essere elaborato una procedura per le cause seriali relative alla interpretazione della legge e del contratto in analogia con quanto preveduto per la interpretazione delle clausole contrattuali collettive dall’art. 64 d.lgs. n. 165/2001 (ex art. 68 bis d.lgs. n. 29/1993) e ha ritenuto comunque che la questione vada risolta mediante l’istituto della riunione opportunamente modificato . La proposta appare criticabile in quanto il ricorso all’istituto della riunione è troppo discrezionale; sembra più congrua l’introduzione del procedimento dell’art. 64 cit., anche con riferimento alle cosiddette clausole generali (es. contratto a termine). 5