Marco Maggiore Note di etimologia romanza a margine della

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Marco Maggiore Note di etimologia romanza a margine della
Marco Maggiore
Note di etimologia romanza a margine della redazione dell’articolo
*/'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/ (quaerĕre) del Dictionnaire Étymologique Roman
1. Premessa
Il contributo presenta osservazioni e spunti di riflessione emersi nel corso della redazione dell’articolo
del Dictionnaire Étymologique Roman */'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/ (quaerĕre). Il DÉRom, progetto europeo
fondato nel 2007 e finanziato dall’ANR (Agence Nationale de la Recherche) e dalla DFG (Deutsche
Forschungsgemeinschaft), riunisce piú di 50 ricercatori di 12 paesi sotto la direzione di Éva Buchi e
Wolfgang Schweickard. Il progetto mira alla realizzazione di un dizionario etimologico panromanzo, primo
tentativo concreto dai tempi del Romanisches Etymologisches Wörterbuch (REW) del Meyer-Lübke, la cui
ultima edizione risale al 1935 (cfr. Schweickard 2012, 173). L’apparizione del DÉRom e le sue innovative
metodologie hanno suscitato un vivace dibattito in seno alla comunità scientifica; nel giro di pochi anni è
apparso un numero non trascurabile di contributi1 in cui si discutono ampiamente i fondamenti teorici e
metodologici dell’impresa. Tali questioni, come la struttura del dizionario, il censimento delle voci apparse,
la bibliografia di base ecc., non saranno direttamente oggetto del presente intervento.
Piú che a problemi di portata generale la discussione sarà infatti dedicata al caso specifico di un articolo,
redatto da chi scrive, che discute gli esiti romanzi della base corrispondente al latino scritto QUAERĔRE; il
complesso di tali forme presenta non pochi motivi d’interesse e ha attratto in passato l’attenzione di studiosi
del calibro di Leo Spitzer, Gerhard Rohlfs, Juan Corominas, Manfred Bambeck, Hans-Wilhelm Klein ed
Ernst Pulgram. Nella prima parte dell’intervento si cercherà di sintetizzare lo stato della questione,
richiamando i principali nodi problematici sollevati dalla bibliografia pregressa; nella seconda parte si
discuteranno gli elementi di novità apportati dalla redazione della voce del DÉRom.
2. Il lat. QUAERĔRE e i suoi continuatori romanzi
Punto di partenza è la voce quaerĕre del REW (n° 6923), che raccoglie sotto questo etimo una dozzina
di forme appartenenti a 11 varietà romanze moderne e ad una antica:
6923. quaerĕre „fragen“, „fordern“.
Rum. cere „bitten“, „fordern“, cerşì, mit -ş- vom Partizip., „betteln“, it. chiedere, val-magg. kuer „kämmen“,
eigentlich wohl „lausen“, Salvioni, RIL, 40, 1154, log. kerrere „wollen“, grödn. kri „suchen“, comel. k(a)rí
„betteln“, friaul. čerí, afrz. querre, nfrz. querir, prov. querre; sp., pg. querer „wollen“, „lieben“, vgl. 9180. –
Ablt.: [...].
Sul versante fonetico si rendono necessarie poche osservazioni. In rumeno e in friulano la perdita
dell’elemento labiale del nesso ereditario [kw] si verifica con tale anticipo da consentire all’elemento velare
di giungere fino alla palatalizzazione (cfr. Meyer-Lübke 1, § 426; Lausberg § 346). Quanto al dittongo latino
AE, è ben noto come esso sia andato incontro alla monottongazione già in epoca molto antica: lo
testimoniano le grafie queres, Letus, etati, tabule comuni nelle iscrizioni di Pompei e della Campania (cfr.
Tagliavini § 49). Il primo risultato di tale processo, a detta di Väänänen (§ 59), dovette essere /ɛ̄/, «fonema
nuovo in latino, poiché la ē primitiva era di timbro chiuso»; il timbro aperto e la tendenziale confluenza coi
prosecutori di Ĕ sono confermati dalla gran parte dei continuatori romanzi (cfr. Tagliavini § 49 n. 53;
Väänänen § 59). Tuttavia non mancano esiti discordanti: può accadere che il dittongo sia trattato alla stregua
di /ɛ/ in talune varietà e di /e/ in talaltre (cfr. MeyerLübke 1, § 292). Il caso di QUAERĔRE sembra ascrivibile
1
In buona parte direttamente legati all’attività dei direttori Buchi e Schweickard e di altri membri del progetto:
Andronache 2010; Buchi 2010a; Buchi 2010b; Buchi, Chauveau, Gouvert & Greub 2010; Buchi & Reinhardt 2012;
Buchi & Schweickard 2008; Buchi & Schweickard 2009; Buchi & Schweickard 2010; Celac & Buchi 2011; Delorme
2011; Florescu 2009; Heidemeier 2011; Kramer 2011; Schweickard 2010; Schweickard 2012. Alle posizioni critiche
espresse da Vàrvaro (2011a; 2011b) replicano Buchi & Schweickard (2011a; 2011b).
a questa fenomenologia, dato che alcuni continuatori presuppongono la vocale medio-bassa (QUAERIT > it.
chiede, sp. quiere, fr.a. quiert), mentre almeno il rum. cere, privo di dittongamento, sembra denunciare un
antecedente in vocale tonica medio-alta (cfr. MeyerLübke 1, §§ 83, 150). Va infine considerato a parte per
ragioni diverse il caso di it. chiedere, che si distingue per uno sviluppo /-d-/ dovuto a un fenomeno di
dissimilazione assai comune in italoromanzo (cfr. Rohlfs § 328), documentato a partire dall’anno 872 nella
forma latina medievale quedere del Codex Diplomaticus Cavensis (cfr. De Bartholomaeis 1901, 261, 354).
Per quanto attiene alla morfologia, si dovrà notare che la voce del REW allinea forme che si dovranno
giudicare pertinenti a modelli flessionali diversi. Considerando a parte il caso dello sp. e port. querer, dato
che il passaggio dalla coniugazione in */'-e-re/ a quelle in */-'e-re/ o in */-'i-re/ risulta sistematico nelle lingue
della penisola iberica (cfr. MeyerLübke 2, § 126), si osserverà infatti che, accanto a forme come rum. cere,
it. chiedere, tic. (Vallemaggia) kuer, prov. querre che presentano la flessione in */'-e-/ già della voce latina,
ne ricorrono altre come gard. kri, comel. k(a)rí e friul. čerí che si direbbero passate alla coniugazione in */-'i/; sono inoltre collocate l’una accanto all’altra le forme del fr.a. querre e del fr. quérir, che si distinguono per
la stessa ragione. Lo stesso Meyer-Lübke mette in evidenza il caso di queste ultime due forme nella sezione
della sua Grammaire des Langues Romanes dedicata alla morfologia verbale, richiamandosi alla forma
moderna quérir «substitué à l'ancienne forme querre sous l'influence de férir (cf. également le greden. kri),
venir, tenir» (MeyerLübke 2, § 121); si tratterebbe dunque, a giudicare da queste parole, di una
modificazione tutta interna alla grammatica storica del francese. Si noterà che anche il FEW di Walther von
Wartburg raccoglie forme appartenenti ai due tipi flessionali alternativi sotto il comune etimo QUAERĔRE:
quaerĕre suchen; begehren.
I.1. Afr. querre „chercher, rechercher“ (11. jh. – Cotgr 1611), aflandr. guerre (St-Amand 15. jh), coere
Roisin, apik. cuere Jeh Bouche, cuerre Pass Pik, alyon. querre R 30, 254, adauph. id. (Grenoble 1340; S);
afr. querir Bibb, mfr. id. (Froissart; Guill Mach; Ch d’Orléans; Nouv; St-Adrien; Villon; Comm; ScéveD;
Des Périers; Anc Théât; Goub; Hrd Rp 374), quereir Dex, aflandr. guerir (St-Amand 15. jh.), adauph. querir
(Vienne 1389), apr. quesier (Narbonne 1476, RLR 42, 91), lütt. cwèri „chercher qch“, Meuse caïere
„chercher les poux sur la tête d’un enfant“, Fraize couère „chercher qch“, südvog. k w ẹ r , k w ẹ r i , k ī r ,
Châten. tyëri, Montbél. queri, Plagne küərę, Vermes t ś ü ə r , Valtourn. t ś i í „andar cercando“ RLomb 44,
822. Sekundär Afr. mfr. querre „vouloir, désirer, demander à“ (12. – 15. jh., Gff; StMSpr 14, 97); apr.
„demander, réclamer qch“; afr. querre „mendier” PGat, abearn. querer; afr. querre „aller trouver, visiter qn
(sourtout pour le consulter)“ Mon Guill; mfr. querir „acquérir (du butin)“ Chastell, nfr. id. Malherbe 1607;
mfr. „attaquer; défier qn“ Chastell; Lyon quiri „appeler qn“; nfr. quérir son adultère „commettre l’adultère“
Sorel Fr 3, 47.
Nfr. quérir „chercher“ (nur im inf. in den verbindungen aller, venir, envoyer quérir) [...] (FEW 2,1408a)
La struttura della voce quaerĕre del FEW (2, 1408-1410) non prevede infatti alcuna distinzione esplicita
fra i due tipi flessionali. In sede di commento (FEW 2, 1410a), tuttavia, il Wartburg osserva che per lungo
tempo querre e quérir convivono indifferentemente nell’uso degli scrittori («gebrauchen die schriftsteller
unterschiedslos querre und querir») almeno fino a La Fontaine, in cui querre ricorre come arcaismo,
aggiungendo che il tipo ˹querre˺ è ancor oggi vivo in alcuni dialetti (cfr. ALF 22).
Se la presenza di gard. kri, comel. k(a)rí e friul. čerí (su cui cfr. Liver 2001: 118) può già indurre a
sospettare che l’alternanza flessionale non sia un fenomeno esclusivo del francese, altri elementi raccolti
sotto la voce quaerĕre del REW si possono con piú sicurezza ritenere idioromanzi. È ad esempio il caso del
peculiare sviluppo del logudorese kèrrere: come spiega DES (s.v. kerre), la voce rappresenta una formazione
secondaria e analogica a partire dal logud.a. kerre (cfr. campid.a. kerri), esito regolare per caduta della
vocale postonica. Ben piú vistoso il caso del rum. cerşì ‘mendicare’, che il Meyer-Lübke colloca accanto al
diretto continuatore di QUAERĔRE cere aggiungendovi l’annotazione «mit -ş- vom Partizip». Secondo
l’interpretazione piú accreditata, il rum. cerşi (ind.pres. 1 cerşesc) specializzato nell’accezione di
‘mendicare’, cui si connette l’identica voce istrorumena čerşí ‘cercare’ (Byhan 1899, 366), si sarebbe
formato a partire dalle voci del perfetto semplice cerşii e del participio *cerşit, a loro volta derivate dai
regolari continuatori di lat. QUAESĪVĪ e QUAESĪTU *ceşii, *ceşitu per influsso della radice cer-, in séguito
rimpiazzate dalle forme analogiche cerui, cerut attualmente vigenti (cfr. Frăţilă & Bărdăşan 2010, 147 n. 54).
Si tratta dunque di una voce verbale diversa e distinta dal continuatore diretto di QUAERĔRE, e tuttavia
inclusa dal Meyer-Lübke nella sua lista di forme accanto al regolare cere.
Tuttavia alla lettura della voce del REW non sono tanto gli aspetti legati alla fonetica e alla morfologia a
destare interesse, quanto l’ampia gamma di significati coperta dai continuatori romanzi. Se alla base latina
sono ascritte le accezioni ‘domandare’ (fragen) e ‘richiedere’ (fordern), l’elenco di forme proposto dal
Meyer-Lübke allinea i valori ‘pregare, chiedere per avere’ (bitten), ‘richiedere’ (fordern), ‘mendicare’
(betteln), ‘pettinare; spidocchiare’ („kämmen“, eigentlich wohl „lausen“), ‘cercare’ (suchen), ‘volere’
(wollen), ‘amare’ (lieben). Non è un caso che l’attenzione degli studiosi che si sono occupati della
sopravvivenza di QUAERĔRE nel passaggio alle lingue romanze si sia appuntata principalmente su problemi
di natura semantica. Scrive Klein (1961, 151): «En effet, des sens multiples qu’avait le mot en latin, un seul
ou deux tout au plus ont été actualisés dans les différentes langues romanes, de sorte que nous sommes
aujourd’hui en présence de mots romans à étymon latin commun, mais qui ont des sens fort différents».
Si osserverà che tra i principali significati del lat. QUAERĔRE se ne annoverano tre fondamentali: 1)
‘cercare’; 2) ‘cercare di ottenere, desiderare, bramare’; 3) ‘domandare, interrogare’. Queste tre accezioni
sono riconoscibili nei derivati romanzi, benché, come osserva ancora Klein (1961, 151), «pas tous dans
toutes à la fois ni avec la même vitalité»: lo prova, a tacer d’altro, la differente specializzazione dei
continuatori dell’italiano e del rumeno (cfr. Ernout-Meillet s.v. quaerō; FEW 2,1409b-1410a).
A partire da queste accezioni principali possono spiegarsi in misura piú o meno agevole anche i
significati non appartenuti alla base latina: ad esempio il senso ‘volere’ che abbiamo visto caratterizzare
spagnolo, portoghese e sardo logudorese è giustificabile senza troppi problemi come sviluppo del senso
etimologico ‘cercare di ottenere, desiderare, bramare’. Joan Corominas (DCECH 4,717) non ha dubbi
nell’attribuire a questo mutamento semantico una datazione molto alta: «Ya en la Antiguedad puede
QUAERERE tomar el sentido de ’desear, esforzarse por’ cuando acompaña a un infinitivo en frases, como la
de Horacio speciosa quaero pascere tigres (Od. 3, 27, 56): en el período clásico está esto limitado a ciertos
poetas, pero luego aparece en algún prosista de la Edad de Plata [...], y sobre todo se hace normal en los
Padres de la Iglesia y otros autores cristianos». A riprova dell’antichità di questo passaggio, il Corominas
richiama «la desaparición total de VELLE en castellano», cui fanno eccezione unicamente le forme fossili
pronominali sivuelqual o sivuelque ‘qualsivoglia’, sivuelquando ‘qualsivoglia giorno’ attestate in Berceo
(sec. XIII). A detta del grande studioso, peraltro, la separazione tra l’area in cui QUAERĔRE ha mantenuto il
significato originario e quella in cui «tomó el sentido volitivo» non si era ancora completamente stabilizzata
in epoca medievale, come provano le occorrenze del verbo nel significato di ‘cercare’, ‘procurare’ in alcuni
passi del Cantar de meo Cid: tuerto non querades vos 3600, querer el derecho 3549. Quanto all’ipotesi
ventilata dal Wagner (DES s.v. kerre) per cui l’attuale accezione ‘volere’ del logudorese, estranea alle altre
varietà sarde che conoscono prosecutori di VELLE (cfr. AIS 1638; DES s.v. kerre; DCECH 4,717), si sarebbe
diffusa per l’influenza di sp. querer, si noterà che l’assenza di questo significato nei dialetti dell’Italia
meridionale e della Sicilia, che hanno fortemente subito l’influsso iberico (cfr. Beccaria 1968, 66-75, 139140; Coluccia-Cucurachi-Urso 1995, 177-232; Michel 1995, 47-169), può invece costituire un valido
argomento per considerarla un esito autonomo.
Un’ulteriore evoluzione semantica sembra condurre i soli correlati iberoromanzi al significato di
‘amare’. Tale mutamento ha suscitato grande interesse negli studiosi2. Nella sua classica monografia sulla
differenziazione lessicale delle lingue romanze, Gerhard Rohlfs constata come il latino AMARE sia rimasto
effettivamente popolare solo nelle varietà galloromanze (cfr. Rohlfs 1954, 82)3. In spagnolo cosí come in
portoghese amar esiste, ma è di uso fortemente letterario (DCECH 2,232); la forma davvero popolare per il
concetto di ‘amare’ è querer, che in spagnolo si incontra sin dai testi piú antichi:
Venit acá, Albar Fáñez, el qué yo quiero e amo (Cid 2221)
Ya doña Ximena, la mi mugier tan complida,
Commo ala mi alma yo tanto vos quería (Cid 278-279)
Dell’argomento si è occupato Leo Spitzer in due lavori tra loro lontani nel tempo (Spitzer 1918; Spitzer
1957). Le interpretazioni dello Spitzer, che nella formulazione piú antica prevedevano un collegamento tra la
predilezione per QUAERĔRE (che in origine avrebbe rivestito il significato ‘cercare di possedere una donna’)
col temperamento focoso delle popolazioni meridionali, sono parse poco convincenti al Rohlfs e al
Corominas (cfr. Rohlfs 1954, 81-82 n. 1; DCECH 4,717-718; Klein 1961, 153).
Bambeck (1959, 63-66) ha tentato di dimostrare che già il lat. QUAERĔRE avrebbe conosciuto l’impiego
nel significato ‘amare’, sulla base del passo di Sant’Agostino Dicimus enim etiam praesenti alicui: Non te
2
Si terrà conto dello status quaestionis delineato dallo stesso lavoro di Klein (1961, 151-156).
Dove, come dimostra Orr (1950), ha anche potuto contare sul rinforzo fonetico e semantico del fr.a. esmer (<
AESTIMARE) che sopravvive in catalano nel significato di ‘amare’.
3
quaero: id est non te diligo (Enarrationes in Psalmos 104.3). Tale interpretazione è tuttavia destituita di
fondamento a detta di Klein (1961, 65), che validamente argomenta:
Mais quand on étudie de près tout le passage cité, on ne tarde pas à s’apercevoir que la phrase de Saint
Augustin n’est que l’exégèse du Psaume 72, 28 : « Quaerite faciem eius semper » . Mais exégèse ne signifie
pas explication philologique ! Même en français moderne, chercher Dieu peut avoir le sens de aimer Dieu,
sans que pour autant chercher soit synonyme d’aimer [...].
Nel prendere le distanze dalle interpretazioni di querer ‘amare’ proposte dello Spitzer e del Bambeck, il
Klein dichiara di aderire all’ipotesi interpretativa avanzata da Corominas a proposito di sp. amar e in séguito
esposta compiutamente nel commento alla voce querer del DCECH (4,718). Come già aveva fatto Rohlfs
(1954, 81 n. 3), il Corominas evoca in un primo momento il confronto con l’analogo impiego dei
continuatori di VELLE nel significato di ‘amare’ nei dialetti meridionali estremi («calabr. y pullés illu a vòdi
assai ’la ama mucho’»): se il Rohlfs aveva spiegato tale impiego per influsso del gr. ϑέλω, il lessicografo
spagnolo si dichiara propenso a spiegare questo mutamento semantico come un fatto poligenetico. Ma il
Corominas reputa ancora piú importante il confronto con la locuzione voler be(ne) nel significato di ‘amare’,
ampiamente diffusa in italiano come in altre varietà romanze (cfr. Rohlfs 1954, 81), evidenziando come le
costruzioni querer bien e querer bem ‘amare’ siano appartenute al castigliano e al portoghese: da esse il
mutamento semantico si spiega agevolmente per riduzione al solo elemento verbale4.
Se in spagnolo l’accezione ‘cercare’, già marginale nei testi medievali, scompare presto senza lasciare
traccia, ben diversa è la situazione in area gallormanza: «Il semble que l’ancien provençal et l’ancien français
aient seuls perpétué, à côté d’autres sens d’importance secondaire, celui de chercher» (Klein 1961, 154-155).
L’utilizzo delle forme querre e quérir nell’esclusivo significato di ‘cercare’ appare saldo per una lunga fase
del francese antico, ma almeno a partire da Chrétien de Troyes (tant seüst l’an cerchier ne querre Erec 1668;
Lors ont par tot cerchié et quis Yvain 1186) si registra l’ingresso in questo campo semantico della voce
cerchier, destinata a soppiantare completamente i continuatori di QUAERĔRE. Nell’odierno francese standard
la voce quérir sopravvive solo all’infinito e in combinazione coi verbi aller, envoyer, venir, in locuzioni del
tipo aller quérir con l’accezione specifica di ‘prendere in un luogo noto qualcosa per portarla con sé,
incontrare qualcuno in un luogo noto per farlo venire con sé’5. Già nel 1690 Furetière qualificava quérir
come «vieux mot, qui signifiait autrefois chercher» (Klein 1961, 154-155). La progressiva uscita dall’uso dei
continuatori di QUAERĔRE va dunque di pari passo con l’affermazione dei continuatori di CIRCARE. Questo
verbo, attestato a partire dal IV secolo nel significato di ‘andare intorno, girare’, è sopravvissuto in tutte le
lingue romanze (cfr. Ernout-Meillet s.v. quaerō; REW s.v. cĭrcāre), entrando in forte concorrenza con
QUAERĔRE nel valore di ‘cercare’ in una zona che si estende dall’estremo oriente dacoromanzo fino al
catalano; tuttavia nel resto della penisola iberica, dove il significato di ‘cercare’ è appannaggio del tipo
buscar, CIRCARE si è mantenuto piú vicino al suo valore originario (cfr. Klein 1961, 155).
Infine non tocca che in misura parziale problemi di linguistica romanza un breve saggio di Ernst von
Pulgram apparso nel 1979 sulla rivista Eranos (Pulgram 1979) che prende le mosse da un intervento di Fridh
(1976) per discutere casi di omonimia e sviluppi semantici in scritture di epoca tarda nelle flessioni dei verbi
latini QUAERĔRE e QUERI, quest’ultimo privo di continuatori nelle lingue romanze.
3. Dalle lingue neolatine al protoromanzo: la voce */'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/ del DÉRom
Il quadro sin qui ricostruito nei suoi punti essenziali offre un’immagine di grande complessità. La
situazione dell’eredità romanza di QUAERĔRE si può, ancora una volta, sintetizzare al meglio con le parole
del Klein (1961, 156): «un seul étymon latin aux sens multiples, a donné naissance dans les langues romanes,
à des mots fort différents et qui ne sont apparentés entre eux que par leur attache latine commune». Una
situazione di questo tipo si direbbe poco propizia all’applicazione del metodo ricostruttivo su cui si basa la
redazione di un articolo del DÉRom. E tuttavia ci si propone di dimostrare come la possibilità di
sperimentare tale metodologia e di avvalersi della collaborazione del gruppo di studio radunato e coordinato
4
Completa queste considerazioni Klein (1961, 154) col richiamo alla costruzione latina BENE VELLE, «qui s’opposait à
et explique le voler bene de l’italien»; dal momento che in spagnolo e portoghese QUAERĔRE ha
completamente rimpiazzato la forma latina volgare *VOLERE, non stupisce che ne abbia preso il posto anche nelle
locuzioni *VOLERE BENE e *VOLERE MALE.
5
Sono grato di questa precisazione al prof. Jean-Paul Chauveau.
MALE VELLE
da Eva Buchi e Wolfgang Schweickard, capace di riunire una pluralità di competenze altrimenti difficilmente
attingibili al singolo specialista (nel caso specifico, un dottorando in storia della lingua italiana), consenta di
fare emergere elementi finora sfuggiti all’attenzione degli studiosi.
Un primo dato che colpisce l’attenzione del redattore, sul piano semantico, riguarda l’appartenenza delle
accezioni ‘volere’ e ‘amare’ anche a varietà romanze non incluse nella voce del REW. Sfogliando
l’Etymologisches Wörterbuch der rumänischen Sprache di Sextil Pusçariu, una delle fonti di consultazione
obbligatoria del DÉRom6, ci si imbatte in un’interessante annotazione:
mgl. tser auch „wünschen, lieben (wie span)“ (EWRS s.v. III cer)
Dall’indicazione dell’EWRS, che è peraltro una fonte utilizzabile principalmente per il rumeno, si
evincerebbe che uno dei dialetti dello spazio linguistico dacoromanzo, il meglenorumeno, «parlato da
qualche migliaio di uomini a NE di Salonicco, intorno alla cittadina di Nanta e da gruppi di emigrati in
Dobrugia e nell’Asia Minore» (Tagliavini § 64), conservi una voce caratterizzata da significati affini a quelli
di sp. pg. querer, ‘desiderare’ e ‘amare’. Danno conferma dell’accezione ‘volere’ anche fonti specificamente
dedicate a questo dialetto rumeno, e soprattutto è illuminante in merito una consulenza del 2.12.2011 di Petar
Atanasov, professore emerito dell’Università di Skopje, esperto di meglenorumeno e membro dell’équipe de
révision del DÉRom, il quale conferma come il meglenorum. ţireari abbia tre significati fondamentali: 1)
‘chiedere’, comune al dacorumeno, 2) ‘volere’, 3) ‘amare’. Dei tre significati il prof. Atanasov fornisce i
seguenti esempi d’uso:
1.
ăń ţeari ună miľă di liri
Mi chiede mille lire
2.
Petri ţeri si ducă si sirbească ăn America Pietro vuole andare a lavorare in America
Ţi ţer di la míni ?
Che cosa vuoi da me?
3.
Măria ăl ţeari meu frati
Măria şi meu frati si ţer
Noi̯ doi̯ ľ nă ţirem
Maria ama mio fratello
Maria e mio fratello si amano
Noi due ci amiamo
A ciò si aggiungerà che il continuatore dacorumeno presenta tra le sue accezioni quella, assai vicina a
‘volere’, di ‘cercare di ottenere’ (cfr. DA s.v. cére). I dati impongono qualche ulteriore riflessione: la
distribuzione spaziale in aree estreme e conservative (spagnolo e portoghese con l’aggiunta di asturiano e
galiziano; sardo logudorese; dacorumeno e meglenorumeno) non sembra d’ostacolo all’ipotesi che il senso
‘volere’ (da cui in alcune varietà l’ulteriore e verosimilmente piú tardo sviluppo ‘amare’), lungi dal
rappresentare una particolarità iberoromanza eventualmente trasmessa al sardo, caratterizzasse già in epoca
molto antica la varietà orale comune precedente l’apparizione delle lingue romanze: la tesi di Corominas
trova dunque conferma.
Non è l’unico elemento di novità. Dagli studi sin qui richiamati era emerso il dato saliente della
convivenza nel francese medievale di due tipi morfologici alternativi: alla forma querre, in diretta continuità
col tipo di III coniugazione del latino scritto, si affianca ben presto la variante quérir con passaggio alla
coniugazione in */-'i-/, destinata a soppiantare nell’uso (sia pur in un uso via via piú ristretto) il tipo
morfologico piú antico, sopravvissuto a livello dialettale. Si è già osservato come al tipo quérir sia possibile
accostare forme di area grigionese, ladina e friulana (cfr. Liver 2001: 117-118), fatto che induce a sospettare
che il cambiamento di coniugazione possa non essere un mero fenomeno idioromanzo innescato da moventi
analogici. Il fenomeno del passaggio dalla coniugazione in */'-e-/ a quella in */-'i-/, è del resto ben
documentato nelle lingue romanze (cfr. MeyerLübke 2, § 119; Jatteau 2012 in DÉRom s.v. */'ɸug-e-/).
L’approfondimento e l’allargamento dello scrutinio all’intero panorama delle lingue romanze conferma
l’ipotesi: si allineano infatti allo sviluppo del fr. quérir anche it.sett.a. e tosc.a. cherire, friul. cirî, lad. chirì,
romanc. kurír, fr.prov. querir, occit. querir, guasc.a. querir, cat.a. querir. L’insieme di queste forme antiche
e moderne testimonia in favore di una distribuzione compatta e centrale di questo tipo morfologico. È
importante osservare che una buona parte di queste varietà ha conosciuto la coesistenza col tipo
coniugazionale in */'-e-/ che ci si attenderebbe considerando come punto di partenza la base latina: l’it.a.
chèrere con la forma moderna chiedere, friul. céri (specializzatosi nel significato ‘spidocchiare’), b.engad.
6
Per la bibliografia di consultazione obbligatoria nella redazione degli articoli del DÉRom si rinvia all’indirizzo
internet < http://www.atilf.fr/Perso/buchi/telechargement/DERomLBBiblioObligatoire.pdf >.
quirer, fr.-prov. querre, occit. querre, guasc. quèrre, cat.a. querre. L’alternanza ˹querre˺ ~ ˹quérir˺ non è
dunque limitata al francese. Si noti in particolare l’appartenenza delle stesse forme alle fasi antiche del
catalano, che dunque per quanto riguarda questo tipo lessicale è decisamente coerente al percorso della
varietà galloromanze. Merita una considerazione a parte la voce del ladino della Val Gardena crì, menzionata
dal Meyer-Lübke: essa, pur presentando all’infinito una forma pertinente al tipo innovativo, nella maggior
parte della sua flessione si comporta come un verbo della coniugazione in */'-e-/: si ha dunque la 4a persona
chiron (non *chirion) con la 5a chireis (in luogo di *chiriëis); anche le forme del futuro, del gerundio e del
participio sono pertinenti al tipo in */'-e-/; soltanto l’imperfetto indicativo e l’imperfetto congiuntivo, al pari
dell’infinito, si riportano alla coniugazione in */-'i-/ (cfr. Forni 2002, 572)7. Questa forma ibrida gardenese,
collocata nel cuore dell’area in cui è presente il tipo innovante, potrebbe costituire un’ulteriore testimonianza
dell’antica convivenza fra i due tipi flessionali. Ben difficilmente dunque si potrà ridurre il tipo in */-'i-/ alla
forma QUAERĔRE del latino scritto; sarà piú ragionevole postulare un’entità appartenuta alla varietà orale
che, operando in un’ottica tradizionale, si presenterebbe nella grafia *QUAERIRE (cosí ad esempio Liver
2001: 118) e che nella codificazione del DÉRom assume la veste della base protoromanza ricostruita */kue'ri-re/. Tale innovazione dev’essersi irradiata dal centro della Romània in età abbastanza antica, ma non tanto
da raggiungere le aree laterali che non ne evidenziano traccia.
Considerando anche il tipo piú antico e piú diffuso appartenente alla coniugazione in */'-e-/, l’insieme
delle forme romanze sembra inoltre caratterizzarsi per una differenziazione interna di natura fonetica: se la
maggioranza dei continuatori presuppone una base protoromanza con vocale tonica /-'ɛ-/, un gruppetto di
varietà (rumeno e suoi dialetti, friulano, romancio) rinvia a una base in /-'e-/; dal confronto sopra evocato con
la forma del latino scritto sappiamo come ciò sia da porre in relazione con la resa oscillante del suono che
corrispondeva al dittongo AE della varietà alta scritta.
Esaurito l’elenco delle questioni legate al significante, è possibile dire ancora qualcosa sulle
problematiche di natura semantica. Ribadita la probabile antichità dell’accezione ‘volere’, si riconoscerà che
il significato ‘cercare’ è testimoniato, sia pure con modi e gradi di vitalità differenti, da un numero altamente
significativo di varietà (friulano, ladino, romancio, francese, francoprovenzale, occitano e guascone), ed è
attestato per le fasi antiche dello spagnolo e del catalano. Le voci romanze sono tuttavia interessate da
un’ampia variazione semantica, a proposito della quale andranno richiamate e approfondite le considerazioni
del Klein sulla concorrenza con i continuatori di CIRCARE (cui si può far corrispondere il protorom. */kır'k-are/): l’ingresso di questo verbo e la sua progressiva occupazione del campo semantico di ‘cercare’ hanno
esercitato un influsso evidente sul destino delle voci concorrenti. Questa situazione ha determinato in alcuni
casi l’estinzione della parola (cosí in catalano) oppure la sua sopravvivenza parziale (francese), ma ha piú
spesso indotto delle specializzazioni o delle modificazioni semantiche: i correlati romanzi hanno assunto
volta per volta non solo l’accezione ‘domandare, richiedere’, nota a tutti i dialetti del rumeno e all’italiano,
ma anche quelle di ‘domandare qualcosa come un’elemosina, mendicare’ e ‘cercare uova di pidocchio nei
capelli, spidocchiare’8.
Tali elementi di novità confluiscono ordinatamente nella voce del DÉRom */'kuer-e-/ ~ /'kuɛr-e-/, la cui
sezione dedicata alla presentazione del materiale è strutturata in modo da offrire un quadro sinottico il piú
possibile chiaro ed esaustivo della questione. A questo scopo si sono operate le seguenti suddivisioni,
gerarchicamente ordinate: sotto I. e II. si raccolgono le forme pertinenti rispettivamente alla coniugazione in
/'-e-/ e a quella in /-'i-/; entro il tipo I. si distinguono le forme con vocale tonica medio-alta (1.) o mediobassa (2.); un terzo livello concerne la struttura semantica, che prevede una suddivisione tra il significato
‘cercare’ (1.) e quello ‘volere’ (2.). Tale distinzione non si è resa necessaria per il tipo innovativo II, che
conosce solo il significato ‘cercare’. Rispetto alla voce del REW che ne costituiva l’imprescindibile
7
Esprimo la mia gratitudine al prof. Paul Videsott per la segnalazione di questa peculiarità.
Il REW attribuiva la prima di queste due accezioni, ‘mendicare’, alla forma friulana e allo sviluppo cerşi limitato al
rumeno; in realtà questo valore è noto anche al dacorumeno, dove tuttavia risulta disusato (cfr. Tiktin3 s.v. cére), e
stando a FEW 2,1408a è appartenuto anche al francese antico: pur non potendosi trascurare l’eventualità della
poligenesi, tale distribuzione impedisce di escludere completamente l’esistenza di questa accezione ab antiquo.
Probabilmente per la particolarità del significato di ‘pettinare’, ‘spidocchiare’ il Meyer-Lübke ha incluso nella voce
quaerĕre del REW anche la voce del dialetto italoromanzo di Cavergno in Vallemaggia (Canton Ticino) ku̯ er (cfr.
Salvioni-Merlo 1937, 31). FEW (2,1408a) attesta in modo analogo caïere « chercher les poux sur la tête d'un enfant »
per la regione francese della Meuse; ancora alla zona ticinese ci riconduce la forma kwẹ́r v.tr. ‛cercare pidocchi,
pettinare’ del dialetto di Locarno (Val Verzasca) documentata da Keller 1937; a queste si può infine aggiungere il lomb.
(Bormio) kirír ‛spidocchiare i bambini’ (Merlo 1953, 414). Anche qui non è possibile affermare con certezza né
inficiare pregiudizialmente l’ipotesi di una specializzazione semantica antica.
8
antecedente, la nuova redazione ha il pregio di offrire, in una formulazione esplicita e priva di ambiguità, un
quadro piú aggiornato e piú rappresentativo della vasta realtà dello spazio linguistico romanzo, e concentra la
sua attenzione su quanto effettivamente accomuna gli idiomi storicamente sorti in questo spazio linguistico,
evitando di porre sullo stesso piano tratti comuni e sviluppi idioromanzi: è il caso del rum. cerşi, nuova
coniazione tutta interna allo spazio linguistico dacorumeno, che non ha ragione di trovare collocazione nella
struttura sopra descritta.
Si offre di séguito la versione definitiva dell’articolo9:
*/'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/ v.tr. « s'efforcer de trouver ; avoir le désir (de) »
I. Flexion originelle en */'-e-/
I.1. Variante phonématique */'kuer-e-/
I.1.1. Sens « chercher »
*/'kuer-e-re/ > dacoroum. cere v.tr. « chercher à obtenir, demander » (dp. 1491/1516 [date du ms.], Psalt.Hur.2
118 ; Tiktin3 ; EWRS ; Candrea-Densusianu n° 317 ; DA ; Cioranescu n° 1671 ; MDA ; ALRSN 1945, 1946,
2010, 2062), istroroum. ┌čåre┐ (FrăţilăIstroromân 1, 146-147 ; MaiorescuIstria 115 ; PuşcariuIstroromâne 3, 328
; SârbuIstroromân 204 ; ScărlătoiuIstroromânii 299, 303 ; KovačecRječnik 60), méglénoroum. ţireari « s'efforcer
de trouver, chercher » (Candrea,GrS 7, 216 ; AtanasovMeglenoromâna50, 227, 229, 237, 283 ; EWRS ; ALDM 1,
510), aroum. ţeru (EWRS ; BaraAroumain)1, frioul. céri « débarrasser (qn) de ses poux en les cherchant un par
un, épouiller » (PironaN2 ; Crevatin in DESF), gherd. crì (EWD ; ForniGherdëina 572)2, abas-engad. quirer
(LombardinMs ; Merlo,RIL 86, 413 ; Decurtins in DRG 5, 603)3.
I.1.b. Sens « vouloir »
*/'kuer-e-re/ > dacoroum. cere v.tr. « avoir le désir (de), vouloir » (DA), méglénoroum. ţireari (EWRS [tser
prés. 1]).
I.2. Variante phonématique */'kuɛr-e-/
I.2.a. Sens « chercher »
*/'kuɛr-e-re/ > ait. cherere v.tr. « demander » (ca 1230/1250 [atosc.] – 1321, LEIMatériaux ; GDLI ;
TLIOCorpus)4, asard. kerre (14e s. [cherre], Stat. Sass. 8 ; DES), fr. querre « chercher » (fin 11e s. – 1629, Gdf ;
FEW 2, 1408ab [encore wall. pic. norm. poit. bourb. champ. lorr. frcomt.] ; TL ; TLF ; ANDEl s.v. quere1 ;
Frantext)5, frpr. querre (dp. 1220/1230, ProsalegMussafia 98 ; FEW 2, 1408a ; HafnerGrundzüge 23, 28, 95 ;
ALF 22 ; DuraffourGlossaire n° 5024), occit. querre (dp. ca 1060 [queir ind. prés. 1], SFoiHA 1, 292 ; Raynouard
; Levy ; AppelChrestomathie ; FEW 2, 1408a ; Pansier 5 ; BrunelChartes), gasc. quèrre (dp. 1125 [ms. 1ère m. 15e
s. ; querent part. prés], CartBigRC 63 ; Palay [“ rare ”] ; ALG 181, 181* ; ALF 22 p 548, 632, 635, 637, 682, 690,
760), acat. querre (fin 12e s. [quer prés. 3] – 1460, DCVB ; DECat 6, 939-940 ; MollSuplement n° 2723), aesp.
querer (1140, Kasten/Cody ; DCECH 4, 717).
9
Per le fonti di séguito citate, al fine di non appesantire eccessivamente il corredo di riferimenti bibliografici del
presente contributo, si rinvia direttamente alla versione digitale dell’articolo pubblicata sul sito del DÉRom
<http://www.atilf.fr/DERom>: è ivi possibile disambiguare tali riferimenti cliccando sulle rispettive sigle.
I.2.b. Sens « vouloir »
*/'kuɛr-e-re/ > logoud. kèrrere v.tr. « vouloir » (DES ; AIS 1638 p 923, 937-938, 941-943, 949, 954)6, esp.
querer (dp. 1022, Kasten/Cody ; DCECH 4, 717-720 ; DME ; NTLE ; Kasten/Nitti), ast. querer (dp. 1029 [queria
impf. 3], DELlAMs ; DGLA), gal./port. querer (dp. 13e s., DDGM ; DELP3 ; DdD ; DRAG1 ; Houaiss2 ;
CunhaVocabulário2).
II. Flexion innovante en */-'i-/ (sens « chercher »)
*/kue'r-i-re/ > aitsept. cherire v.tr. « demander » (1ère m. 13e s. [alomb. querir] – av. 1246/1250, Sarti in TLIO ;
GDLI ; DEI), frioul. cirî « chercher » (PironaN2 ; Doria in DESF ; Salvioni,RIL 32, 150 ; AIS 636 p 327, 338,
348 ; 1506 p 327-328, 338, 348), lad. chirì (dp. 1763, Kramer/Schlösser in EWD ; Merlo,RIL 86, 413-414 ; Faré
n° 6923 ; AIS 636 p 305, 312, 315; 1506 p 305, 312-313 ; ALD-I 139 p 81-91, 94-100), bas-engad. Kurír
(Decurtins in DRG 5, 603-606), fr. quérir (dp. 1327, Klein,Orbis 10, 154 ; TL ; TLF ; FEW 2, 1408ab ; Frantext ;
ALF 22)7, frpr. querir (dp. 1389, DevauxEssai 99 ; FEW 2, 1408ab ; ALF 22 ; DuraffourGlossaire n° 5024),
occit. querir (dp. 1228/1229, CroisAlbMa 2, 86, 88 ; Levy ; Raynouard ; AppelChrestomathie ; FEW 2, 1408b),
agasc. querir (15e s. [querissen subj. impf. 6], ForsBéarnOG 140), acat. querir (fin 13e s., DECat 6, 939-940 ;
DCVB ; MollSuplement n° 2723).
Commentaire. – À l'exception du dalmate, toutes les branches romanes présentent des cognats conduisant à
reconstruire, soit directement, soit à travers un type morphologiquement évolué, protorom. */'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/
(['kwer-e-] ~ ['kwɛr-e-]) v.tr. « s'efforcer de trouver, chercher ; avoir le désir (de), vouloir ».
Les issues romanes ont été subdivisées selon les types morphologiques, phonologiques et sémantiques dont
elles relèvent. On a observé une première distinction entre un type originel appartenant à la flexion en */'-e-/ (cidessus I.), régulièrement continué dans tous les idiomes romans ayant hérité du protolexème, et un type innovant
relevant de la flexion en */'i-/ (ci-dessus II.). Le type II. est caractérisé par une innovation morphologique, le
passage de la classe flexionnelle en */'-e-/ à celle en */-'i-/, changement bien documenté dans les parlers romans
(cf. MeyerLübkeGLR 2, § 119 ; cf. */'ɸug-e-/). On observe, par ailleurs, la coexistence des deux types
morphologiques en frioulan, en romanche et en francoprovençal, de même que dans les phases anciennes de
l'italien, du français, de l'occitan, du gascon et du catalan, ce qui permet de postuler que l'oscillation a déjà
caractérisé la phase protoromane8. De plus, on peut remarquer que le type II. a une distribution aréale compacte et
centrale, comprenant l'italien septentrional, le frioulan, le ladin et le romanche (" Italia [septentrionalis]
maxima "), le français, le francoprovençal, l'occitan, le gascon et le catalan (" Gallia maxima "), qui montre que le
type II. est une innovation ancienne et originaire du centre de la Romania, qui n'a pas atteint les zones latérales.
Quant au type I., il se subdivise en deux sous-types qui témoignent d'une fluctuation de l'aperture dans le
phonème vocalique accentué : */'kuer-e-/ (ci-dessus I.1.) et */'kuɛr-e-/ (ci-dessus I.2.), le premier occupant
substantiellement une aire orientale de la Romania (roum. frioul. lad. romanch.), le second, une large aire centrooccidentale (it. sard. fr. frpr. occit. gasc. cat. ast. esp. gal./port., cf. RohlfsGrammStor 1, § 84 ; MeyerLübkeGLR
1, § 291). Au niveau pré-protoroman, */'kuer-e-/ et */'kuɛr-e-/ s'expliquent comme deux formes évolutives de
latarch. */'kuair-e-/ issues de la réduction de la diphtongue accentuée */-ai-/, laquelle aboutit en général à */-ɛ-/,
plus rarement à */-e-/ (cf. MeyerLübkeGLR 1, § 291-292, 637 ; RohlfsGrammStor 1, § 44, 51, 104 ;
LausbergSprachwissenschaft 1, § 241-242 ; VäänänenIntroduzione § 59 ; LloydLatin 105-106 ; */'ɸen-u/ ~
*/'ɸɛn-u/)9.
Au plan sémantique, la reconstruction fait apparaître deux sémèmes fondamentaux : « chercher » (ci-dessus
I.1.1., I.2.1. et II.) et « vouloir » (ci-dessus I.1.2. et I.2.2.)10. Dans le sens « chercher », les issues de */'kuer-e-/ ~
*/'kuɛr-e-/ ont subi presque partout la concurrence des continuateurs de */'kɪrk-a-/(cf. Ernout/Meillet4 s.v.
quaerō ; FEW 2, 1410a ; REW3 s.v. cĭrcāre). Cette situation a déterminé dans certains cas l'extinction à date
historique du continuateur de */'kuer-e-/ ~ */'kuɛr-e-/ (catalan) ou bien sa survivance partielle (français), mais a le
plus souvent induit des spécialisations sémantiques comme « demander » ou « épouiller »11. En revanche, le
protosémème « chercher » s'est maintenu en frioulan, ladin, romanche, français, francoprovençal, occitan, gascon
et dans les phases anciennes de l'espagnol et du catalan. Le second protosémème, « vouloir », ne se conserve que
dans des aires marginales du domaine roman : sarde, dacoroumain et méglénoroumain à l'est, espagnol, asturien et
galégo-portugais à l'ouest. Une telle distribution spatiale et l'absence de ce signifié dans les représentants du type
innovant II. montrent qu'on a bien affaire à un protosémème12.
Le corrélat de I.1.1. et de I.2.1., lat. quaerere v.tr. « chercher », est connu durant toute l'Antiquité (dp. Plaute
[* ca 254 – ✝ 184], OLD), tandis que le latin écrit de l'Antiquité ne connaît pas de corrélat de la flexion en */-'i-/
ni du sens « vouloir » (types I.1.2., I.2.2. et II.).
Du point de vue diasystématique (“ latin global ”), la flexion en */-'i-/ et le sens « vouloir » sont à considérer
comme des particularismes (oralismes) de la variété B qui n'ont eu aucun accès à la variété H : la diversité de la
première s'oppose à l'unité de la seconde.
Bibliographie. – MeyerLübkeGLR 1, § 291-292, 426 ; 2, § 119-129, 174, 283, 286, 331, 339,
345 ; REW3 s.v. quaerĕre ; von Wartburg 1945 in FEW2, 1408a-1410b, QUAERĔRE ; LausbergLingüística 2, §
241, 345, 346 ; Ernout/Meillet4 s.v. quaerō ; HallPhonology 155 ; SalaVocabularul 542 ;StefenelliSchicksal 70,
95, 123, 164, 166, 185, 264 ; MihăescuRomanité 234 ; LEIMatériaux.
Signatures. – Rédaction : Marco MAGGIORE. – Révision : Reconstruction, synthèse romane et révision
générale : Jean-Pierre CHAMBON. Romania du Sud-Est : Petar ATANASOV ; Cristina FLORESCU ; Maria ILIESCU ;
August KOVAČEC ; Nikola VULETIĆ. Italoromania : Giorgio CADORINI ; Rosario COLUCCIA ; Simone PISANO ;
Paul VIDESOTT. Galloromania : Jean-Paul CHAUVEAU. Ibéroromania : Maria Reina BASTARDAS I RUFAT ;
Ana BOULLÓN ; Ana María CANO GONZÁLEZ. Révision finale : Éva BUCHI. – Contributions ponctuelles :
Simone AUGUSTIN ; Pascale BAUDINOT ; Myriam BENARROCH ; Pauline BUQUAND ; Xosé Lluis GARCÍA ARIAS ;
Yan GREUB ; Christel NISSILLE ; Florin-Teodor OLARIU ; Jan REINHARDT ; Fernando SÁNCHEZ MIRET.
Date de mise en ligne de cet article. – Première version : 24/08/2012. Version actuelle : 24/08/2012.
1. L'aroumain ne connaît presque plus l'infinitif verbal (cf. Saramandu,Tratat 460 ; Kramer,LRL 3, 429-430) ; la forme
citationnelle est la première personne du singulier du présent.
2. Gherd. crì présente une flexion mixte : tandis que l'infinitif et l'imparfait relèvent de la conjugaison en */-'i-/ (cf. cidessous lad. chirì), le reste du paradigme appartient à celle en */'-e-/ (cf. ForniGherdëina 572).
3. La majorité du domaine romanche a remplacé cette issue régulière par un préfixé en en- (cf. DRG 5, 603-606).
4. Ce représentant régulier de l'étymon a été évincé par it. chiedere v.tr. « id. » (dp. 1267/1268 [atosc. chied' prés.
3], ScuolaSicColuccia 1150 ; TLIOCorpus ; DELI2 ; GDLI ; AIS 636 p 182, 305, 312, 315, 318-319, 327, 338, 348, 359 ; 736 p
523* ; 1506 p 305, 312-313, 327-328, 338, 348, 359 ; cf. latméd. quedere, 872, DeBartholomaeis,AGI 15, 261, 354), qui en est issu
par dissimilation (cf. RohlfsGrammStor 1, § 328).
5. L'attestation de la fin du 10e siècle citée par TLF s.v. quérir est extraite de la Passion de Clermont, texte composé dans un
idiome dont l'identification n'est pas assurée (peut-être occitan, cf. DePoerck,RLiR 27 ; DEAFBiblEl s.v. PassionA). – Fr. querre n'a
pu pas connaître la diphtongaison en raison de la précocité de la syncope de la voyelle posttonique (cf. LaChausséePhonétique 111).
6. Infinitif refait à partir de kerre sous la pression analogique (cf. DES). – Asard. kerre n'étant pas attesté dans le sens
« vouloir », Wagner in DES propose d'y voir l'effet d'une influence d'esp. querer, mais l'absence d'un tel hispanisme dans les
dialectes de l'Italie méridionale (y compris Sicile), où l'influence ibérique a été très forte (cf. BeccariaSpagnolo 66-75, 139140 ; Coluccia,CoFIM 9, 177-232 ; MichelVocabolario 47-169), amène à considérer le sens « vouloir » comme héréditaire.
7. En français standardisé, le verbe survit seulement à l'infinitif (Frantext ne propose pas d'attestations de formes fléchies
après 1601), dans des locutions du type aller quérir « aller chercher ». Il est non seulement défectif, mais tout à fait inusité dans la
langue parlée courante générale (cf. Klein,Orbis 10, 154-155). Par ailleurs, la locution ┌aller quérir┐ bénéficie d'une certaine vitalité
au niveau dialectal, au moins à en juger par ALF 22 (« aller chercher des violettes ») : le type dialectal le plus diffusé est ┌krí┐, qui
couvre une large partie du territoire de la France centro-septentrionale. On relève aussi un certain nombre de continuateurs du
type ┌k/(w)ér┐ plus ancien (pic. saint. lorr. ; aussi lang. lim. périg. gasc.) : la distribution aréale minoritaire et moins compacte par
rapport aux formes avec passage à la conjugaison en */-'i-/ confirme qu'il s'agit d'un type récessif, confiné à un nombre réduit de
parlers dialectaux.
8. L'intrication entre les conjugaisons en */'-e-/ et en */-'i-/, dont la première n'est plus productive dans les langues romanes
(cf. MeyerLübkeGLR 2, § 124), est telle qu'on les a considérées comme « due classi della stessa macroclasse, piuttosto che come due
macroclassi distinte » (SpinaConiugazione 42) ; l'observation, exprimée à propos de la conjugaison de l'italien, pourrait facilement
être étendue à d'autres parlers romans.
9. Comme seul l'infinitif est considéré ici, la question de l'aperture du */e/ ne se pose pas pour l'étymon du type II. Les
formes rhizotoniques du paradigme flexionnel du verbe français reposent sur */'ɛ/ (afr. quiert prés. 3 < */'kuɛr-i-t/, FouchéVerbe 72 ;
afr. quist prét. 3 < */'kuɛs-i-t/,NyropGrammaire 1, 313). Pour ce qui est du domaine italien, les formes rhizotoniques – qui reposent
également sur */'ɛ/ – ne peuvent pas être attribuées avec certitude au type I. ou au type II. (cf. n. 8).
10. Malgré l'absence du sens « chercher » en sarde, qui s'explique aisément par un évincement idioroman. Par ailleurs, le
passage de « chercher » à « vouloir » (ou inversement) se justifie à travers le sémème « chercher à obtenir, demander »
(cf. Klein,Orbis 10, 151), qui est attesté au niveau idioroman (dacoroum. [I.1.1.] et ait. [I.2.1. ; II.]).
11. On relève de manière analogue lorr. caïere « épouiller » (FEW 2, 1408a) et lomb. ┌kwẹ́r┐ « id. » (KellerTessiner 173 ;
Salvioni,ID 13, 31), appartenant au type I, de même que lomb. kirír « id. » (Merlo,RIL 86, 414), qui se rattache à II.
12. Dans les autres variétés romanes, cette valeur sémantique est assumée par les continuateurs de */'βɔl-e-/ (cf. REW3 s.v.
vĕlle, 2. *vŏlēre). – Par ailleurs, l'acception « aimer », connue des idiomes présentant le sémème « chercher » à l'exception du
dacoroumain et du sarde, est à considérer comme un développement sémantique secondaire post-protoroman (cf. DCECH 4,
717 ; Klein,Orbis 10, 154 ; malgré BambeckWortstudien 63-66, réfuté parKlein,Orbis 10, 153-154).
4. Conclusioni
La voce del DÉRom qui presentata, al pari delle altre sin qui redatte e in corso d’opera, rappresenta
dunque una messa a punto coerente e ordinata del già noto e, al contempo, uno strumento di ricerca in grado
di apportare nuove e significative acquisizioni. I suoi risultati si pongono al contempo come traguardo e
come punto di partenza utile ad alimentare la discussione in seno alla comunità scientifica, offrendo elementi
d’indagine e spunti innovativi in merito a questioni che si ritenevano ormai risolte e non suscettibili di
sostanziali approfondimenti.
A questi elementi positivi si aggiunge, dall’umile punto di vista di uno studioso in formazione, la
possibilità offerta dalla redazione di una voce del DÉRom di dialogare con i testi fondanti delle discipline
etimologiche e lessicografiche, e di allacciare una proficua collaborazione con un gruppo di lavoro che per
ampiezza di competenze e organizzazione tecnica non ha precedenti nella storia della romanistica. Da tutto
ciò si può intuire l’apporto positivo che il Dictionnaire Étymologique Roman non mancherà di esercitare
sugli studi etimologici e linguistici in generale.
Marco Maggiore
Università di Roma
“La Sapienza”
Riferimenti bibliografici
AIS = Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweitz, a cura di Karl Jaberg & Jacob Jud, 8 voll., Zofingen,
Schumann und Heinimann, 1928-1940.
ALF = Atlas linguistique de la France (ALF), a cura di Jules Gilliéron & Edmond Edmont, 20 voll., Paris,
Champion 1902-1920.
Andronache, Marta 2010, Le Dictionnaire Étymologique Roman (DÉRom): une nouvelle approche de l’étymologie
romane, in «Dacoromania», XV, 129-144.
Bambeck, Manfred 1959, Lateinisch-romanische Wortstudien, Wiesbaden, Steiner.
Beccaria, Gian Luigi 1968, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del
Seicento, Torino, Giappichelli.
Buchi, Éva 2010a, Pourquoi la linguistique romane n’est pas soluble en linguistiques idioromanes. Le témoignage
du Dictionnaire Étymologique Roman (DÉRom), in Alén Garabato, Carmen, Álvarez, Xosé Afonso & Brea, Mercedes
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Buchi, Éva 2010b, Where Caesar’s Latin does not belong: a comparative grammar based approach to Romance
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Lexicography and Lexicology held at St Anne’s College, Oxford, 16-18 June 2010, Oxford, Oxford University Research
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Buchi, Éva & Reinhardt, Jan 2012, De la fécondation croisée entre le LEI et le DÉRom, in Lubello, Sergio &
Schweickard, Wolfgang (a cura di), Le nuove frontiere del LEI. Miscellanea di studi in onore di Max Pfister in
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Buchi, Éva & Schweickard, Wolfgang 2008, Le Dictionnaire Étymologique Roman: en guise de faire-part de la
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