Aristotele e il cinema

Transcript

Aristotele e il cinema
FILOSOFIA E ALTRI LINGUAGGI
Aristotele e il cinema
L’interesse crescente circa il rapporto tra cinema e filosofia, oltre ad approfondire gli aspetti
filosofici del linguaggio cinematografico relativamente al tempo, allo spazio e al concetto di
realtà, si è indirizzato recentemente anche verso un uso didattico del cinema, per far «capire
la filosofia attraverso i film». Recita proprio così il sottotitolo del libro di Julio Cabrera dedicato a questo argomento (J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i
film, Milano, Bruno Mondadori, 2000). I migliori film rappresentano visioni del mondo, ricche
di filosofia implicita che può essere ricondotta, direttamente o più spesso indirettamente, al
pensiero dei principali filosofi. Naturalmente non potevano mancare riferimenti ad Aristotele, presenti già nel titolo. Più recentemente un altro studioso, Andrea Sani, ha scritto un
ulteriore saggio su filosofia e cinema, dando anch’egli molto spazio ad Aristotele (A. Sani, Il
cinema tra storia e filosofia, Firenze, Le Lettere, 2002).
Vediamo quali film vengono messi in relazione con il nostro filosofo dai due autori, e
perché.
Cabrera: Ladri di biciclette e la realtà
Nel capitolo dedicato ad Aristotele (La questione del verosimile: Aristotele e i ladri di biciclette), Cabrera muove dalla distinzione tra le diverse scienze (teoretiche, pratiche e poietiche), soffermandosi sulla poetica. Ricorda il carattere di mimesi dell’arte, sottolineando
però che la poesia non ha come oggetto i fatti realmente accaduti, come la storia, ma i fatti
come potrebbero accadere. Occupandosi quindi del possibile, non ripropone semplicemente la
realtà, ma ne individua i caratteri universali e tipici. Questa chiave di lettura viene applicata
al film di Vittorio De Sica Ladri di biciclette (1948). Nonostante sia considerato uno dei capolavori del neorealismo italiano, esso, infatti, non descrive la realtà in modo calligrafico, ma,
forse al di là delle stesse intenzioni del regista, la rappresenta mediante «concettimmagine»,
come li definisce Cabrera (è la caratteristica peculiare del linguaggio cinematografico), cioè
la rappresentazione di concetti in forma visiva: il cinema non dimostra ma mostra, o propone
argomentazioni in forma di immagini.
Tutte le risorse [...] per ottenere il tanto agognato avvicinamento al reale vengono di fatto utilizzate da Vittorio De Sica: impiego di attori non professionisti [...], riprese di tipo
documentaristico e prive di effetti visivi, consequenzialità nello sviluppo dell’azione ecc.
Però il linguaggio cinematografico è di per sé ricco di inquadrature e tagli strategici, nonché elaborati allestimenti di ciò che viene mostrato. Tutti i film potrebbero benissimo
esser fatti in un’altra maniera: è il regista ad aver scelto i punti di vista, i dialoghi, l’ordine
in cui vengono mostrati gli avvenimenti e, con ciò, il particolare potenziale emotivo del
film. Il montaggio disfa di per sé qualsiasi abbozzo di consequenzialità, anche quando il
risultato finale risulti di fatto consequenziale, e ciò perché tale risultato è stato ottenuto
in un determinato modo. Il montaggio è l’istanza sintetica del film, la sua temporalità,
la sua caratterizzazione storica ed espressiva. Anche un film neorealista, pertanto, soggiace a un artificio instauratore: artificio che determina la particolare maniera in cui si
dispongono le immagini e in cui esse ci colpiranno. Tutta quell’emotività trasmessa dal
film, Inonostante sia molto convincente, non è mai «immediata». [...] Quando guardiamo
Ladri di biciclette ci rendiamo conto che l’emozione che proviamo non viene dal fatto che
la realtà sia stata rappresentata «così com’è», ma dall’efficienza della mediazione estetica e
della drammatizzazione, e dal fatto che, forse, è proprio quel pizzico d’inverosimiglianza a
rafforzare l’impressione di realtà e l’impatto visuale sui nostri sensi durante la proiezione
del film. In un film, lungi dall’essere un riferimento esterno, la «realtà» è un qualcosa che
va accuratamente preparato assieme a tutto il resto. In esso nulla può esser detto o trattato filosoficamente senza prima aver raffinato i fatti nudi e crudi perché perdano la loro
apparente prestanza per acquisire quella conferita loro dall’immagine. Ciò che coinvolge
in Ladri di biciclette (come in ogni film neorealista e forse in qualsiasi film) è qualcosa che
potrebbe essere, cioè una struttura fortemente mediata dalla possibilità, e mai una «registrazione diretta del reale».
(J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg, a cura di M. Di Sario,
Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 59-61)
Per un aspetto, tuttavia, il neorealismo si discosta nettamente da Aristotele. Questi distingueva fra tragedia
e commedia, considerando la prima come imitazione
delle azioni di uomini nobili e superiori, la seconda
come imitazione di uomini umili. Il neorealismo, al
contrario, individua nella quotidianità la dimensione
tragica e fa della vita e dei problemi quotidiani l’oggetto principale dell’arte.
Fotogramma da Ladri di biciclette,
1948, di Vittorio De Sica.
Sani: La funzione catartica del cinema
Anche Andrea Sani dedica un intero capitolo ad Aristotele, privilegiando però un diverso aspetto
della sua Poetica. Dopo aver brevemente ricordato la concezione dell’arte come imitazione del
possibile e non dei singoli fatti e quindi dell’universale e non del particolare, sottolinea la funzione catartica attribuitale da Aristotele. L’arte suscita passioni, coinvolge emotivamente e questa
caratteristica, a differenza di quanto sosteneva Platone, non è negativa. Infatti, la rappresentazione oggettiva di sentimenti e passioni consente una purificazione nello spettatore. L’analisi di
Sani è però più articolata:
Secondo lo Stagirita, la tragedia ideale deve suscitare due emozioni fondamentali: pietà
(éleos) e paura (phóbos). Durante una rappresentazione teatrale, si prova pietà, cioè compassione, quando si assiste a una sofferenza del prossimo non del tutto meritata, mentre
si prova paura quando lo sventurato eroe della tragedia è simile a noi. Siamo atterriti dalle
vicende di un personaggio se ci identifichiamo con lui: trepidiamo per le vicende di Edipo,
Agamennone e Medea, perché ciò che accade a loro potrebbe accadere anche a noi, se non
nello stesso modo, almeno con lo stesso significato.
Pietà e paura sono appunto le emozioni su cui la tragedia, per Aristotele, esercita un’azione catartica. Così, infatti, si esprime lo Stagirita allorché definisce il genere tragico
nel VI libro della Poetica: «La tragedia è opera imitativa di un’azione seria, completa, con
una certa estensione; eseguita con un linguaggio adorno distintamente nelle sue parti
per ciascuna delle forme che impiega; condotta da personaggi in azione, e non esposta in
maniera narrativa; adatta a suscitare pietà e paura, producendo di tali sentimenti la purificazione che i patimenti rappresentati comportano» (Poetica, VI, 1449, b. 24-28).
(A. Sani, Il cinema tra storia e filosofia, Firenze, Le Lettere, 2000, p. 94)
Da questo punto di vista, il riferimento filmografico immediato è costituito dai capolavori di
Alfred Hitchcock, basati appunto sulla combinazione di pietà e paura che prende il nome di suspense. Sani analizza secondo questa chiave di lettura alcuni capolavori di Hitchcock, in particolare La finestra sul cortile. Approfondisce poi altri aspetti della tragedia che, secondo Aristotele, concorrono a produrre la catarsi: la metabasi, un cambiamento di situazione per cui l’eroe
passa da una situazione gratificante e felice all’infelicità; la peripezia, che si riferisce al modo
repentino e imprevisto di tale cambiamento; il riconoscimento, cioè la trasformazione del rapporto tra due personaggi per cui chi si riteneva amico si rivela come nemico o viceversa. Questi,
e altri, aspetti della Poetica aristotelica vengono rintracciati nella produzione di Hitchcock, da
L’uomo che sapeva troppo a Psycho. «Perché andiamo al cinema? – si chiede Hitchcock – Per
vedere la vita riflessa sullo schermo, certo, ma che tipo di vita? Naturalmente, non il tipo di vita
che viviamo tutti i giorni, oppure la stessa vita ma con una differenza; la differenza consiste in
sconvolgimenti emotivi che chiamiamo, per convenienza, “brividi”».
Dopo aver ricordato le principali interpretazioni della «catarsi» aristotelica (come purificazione delle passioni, nobilitandole, oppure come liberazione dalle passioni, dando loro uno sfogo
virtuale per eliminarle), Sani conclude:
Hitchcock ritiene che la suspense e la sorpresa producano nel pubblico dei suoi film dei
veri e propri «sconvolgimenti emotivi» – ossia i cosiddetti «brividi» – e che tali choc abbiano sugli spettatori un effetto terapeutico e «vitalistico». Il grande regista ammette,
dunque, la funzione «catartica» del cinema, interpretandola nel secondo significato che
abbiamo distinto trattando della catarsi di cui parla Aristotele, e cioè come una forma di
«sfogo» dei nostri stati emozionali.
(Ivi, p. 99)
Fotogramma da Psycho, 1960, di Alfred Hitchcock.
DALLA
FILOSOFIA
ALL’
ESPERIENZA
XXConosci
qualcuno dei film ricordati sopra? In caso positivo, concordi con le analisi di Cabrera e
di Sani? Motiva le tue affermazioni.
XXSe
non conosci questi film, documentati sulla trama e leggi qualche recensione (puoi trovare
materiali in Internet, ad esempio nei siti: www.cinematografo.it, oppure www.mymovies.it), poi
prova a rispondere alla domanda precedente.
XX Il
coinvolgimento emotivo che attiva il meccanismo della catarsi è presente anche in altri film. Ne
ricordi qualcuno che ti ha dato reazioni simili a quelle descritte sopra? Discutine con i tuoi compagni.
XXIn
base alla tua esperienza, relativa a film, a rappresentazioni teatrali, a concerti musicali o ad
altre forme di espressione artistica, quale funzione ritieni che sia prevalente nell’arte: la purificazione delle passioni o la liberazione dalle passioni? Motiva la tua risposta o spiega il tuo dissenso
se ritieni che l’arte non abbia alcuna di queste funzioni.