Paolo Bartolozzi - SIEF Società Italiana di Educazione Fisica

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Paolo Bartolozzi - SIEF Società Italiana di Educazione Fisica
I.D. Educazione Fisica
Paolo Bartolozzi
Insegnante di Educazione Fisica e Maestro di Ginnastica
EFFICIENZA FISICA E SCOLIOSI - INTERVISTA A DUE ADULTI CON SCOLIOSI GRAVE.
Rossano T. ha sempre avuto la passione per la bicicletta e voleva continuare a coltivare questa
passione senza che lo affliggesse il mal di schiena. Per questo ha scelto di fare ginnastica secondo
le tecniche I.D.: per mantenere la sua efficienza. Circa 20 anni fa è arrivato alla mia palestra con la
prescrizione ortopedica: “ginnastica medica per mal di schiena e scoliosi grave”.
Ascoltando l’intervista (DVD allegato) attentamente, si capirà come Rossano abbia nell’adolescenza vissuto male questa sua situazione, fino ai 25 anni, quando dice di essersi fatto una ragione di tutto ciò, anche perché ha iniziato un’attività professionale in proprio con soddisfazione.
La scelta di non operarsi, come gli era stato proposto a 18 anni, pesava notevolmente, in quanto
per continuare la sua attività lavorativa era costretto all’uso di antidolorifici quasi continuo, fino a 20
anni fa quando ha iniziato a fare ginnastica medica secondo le tecniche I.D. presso la mia palestra.
“Ora finalmente sto bene, posso fare 40 o 50 km ogni volta che salgo in bici” afferma soddisfatto Rossano. Con questa intervista voglio far capire come molte persone con scoliosi possono
avvicinarsi con tranquillità alla ginnastica medica con tecniche I.D., non per guarire la scoliosi ma
per migliorare la loro efficienza fisica nella vita di tutti i giorni. La capacità di inclinarsi senza flettere la colonna lombare e di avere le articolazioni dell’anca sciolte, oltre alle capacità di equilibrio e
di sospensione attiva con potenziamento del torchio addominale, fanno sì che Rossano abbia recuperato la buona salute.
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Monica S. ha avuto due parti naturali e mi ha confessato che:
…è stata la mia forza… ce l’ho fatta da sola…
Queste sono le parole di una donna arrabbiata, che dall’età di 13 anni ha iniziato un peregrinare continuo con diagnosi sempre contrastanti, fino ad arrivare ai 17 anni, quando le viene proposto
l’intervento chirurgico per scoliosi. La madre firma e porta via la figlia, la quale, come dice anche
nell’intervista, per puro caso conosce la mia palestra e quindi l’opportunità di una possibile alternativa. Monica crede nel mio programma di ginnastica medica secondo le tecniche I.D. ed i risultati non tardano a venire; la scoliosi non è peggiorata e la sua efficienza fisica è migliorata, come
sono migliorati i rapporti interpersonali, fino ad allora terribili: adesso si accetta e non evita più il
contatto con gli altri.
Secondo alcune diagnosi Monica non avrebbe potuto avere un parto naturale. Però oggi lei ha
due splendidi bambini nati naturalmente, non ha bisogno della donna delle pulizie in casa, perché
gode di buona salute e di una efficienza fisica invidiabile. Continua la ginnastica medica per contrastare le lombalgie che ogni tanto si presentano quando esagera nel lavoro quotidiano.
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Anche in questo caso, la capacità di inclinarsi senza flettere la colonna lombare e di avere le articolazioni dell’anca sciolte, oltre alle capacità di equilibrio e di sospensione attiva con potenziamento del torchio addominale, fanno si che Monica abbia recuperato la buona salute.
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Francesca Reitano
Insegnante di Educazione Fisica e Maestro di Ginnastica
EFFICIENZA FISICA E SCOLIOSI - DUE CASI DI SCOLIOSI NON OPERATA
1° caso:
Alessandra: 52 anni (nata nel 1956).
Scoliosi destro-convessa del rachide al passaggio dorso-lombare del rachide di 50° Cobb.
Le è stata diagnosticata quando frequentava la scuola elementare.
A 11 anni le era stata fatta la proposta chirurgica, ma i suoi genitori l’avevano rifiutata.
Ricorda di avere portato un busto per pochissimo tempo.
Nella radiografia del 1967 si vede una lieve scoliosi.
Nel 1979 era diventata di 23° Cobb.
Ha praticato ginnastica generica fino al 2005, quando è arrivata da noi perché soffriva di mal di
schiena e da allora frequenta regolarmente due volte a settimana i corsi di “ginnastica di mantenimento secondo le tecniche I.D.“
I dolori alla schiena sono scomparsi.
Alessandra conduce una vita normalissima ed ha avuto quattro figli (di cui tre gemelli).
2° caso:
Carla: 61 anni (nata nel 1947).
Scoliosi destro convessa del rachide al passaggio dorso-lombare di 40° Cobb.
Le viene diagnosticata quando è una ragazzina e le viene consigliato il nuoto.
Lo pratica per 20 anni anche a livello agonistico.
Pratica anche ginnastica generica e soffre per molti anni di mal di schiena.
Nel 1994, all’età di 47 anni fa diverse visite ortopediche e riceve proposte di chirurgia.
In particolare un ortopedico francese le assicura che ha solo due mesi di tempo per operarsi e non
ritrovarsi in sedia a rotelle.
Carla a questo punto si dispera, ha paura , ma non vuole operarsi.
La conosco in questo periodo e le consiglio di farsi visitare dal dottor Pecchioli, che le consiglia di
non operarsi e di iniziare a praticare la ginnastica secondo le tecniche I.D.
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Da 14 anni Carla frequenta i corsi di mantenimento due volte a settimana.
Non soffre più di mal di schiena e conduce una vita normale.
Ha avuto due figli.
Da due anni la notte indossa un corsetto di tipo Chêneau.
Nel filmato (DVD allegato) è possibile vedere quale ginnastica praticano Carla e Alessandra, ginnastica che consente loro di mantenere una buona efficienza fisica e di stare e di sentirsi bene.
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Francesca Barontini
Insegnante di Educazione Fisica e Maestro di Ginnastica
EFFICIENZA FISICA E SCOLIOSI - UN’ESPERIENZA PERSONALE
Questa relazione ha come soggetto la mia esperienza personale.
Io sono un’insegnante di educazione fisica e maestra di ginnastica, ho 36 anni e, come si può
notare dalle radiografie, ho una scoliosi grave di circa 54°, diagnosticata all’età di 6 anni (15° Cobb).
Evoluzione della scoliosi dal 1979
1988 - 52° Cobb
1997- 54° Cobb
Con l’aggravarsi della scoliosi, all’età di 13 anni mi fu prescritto l’uso del corsetto Milwaukee per
la notte e il corsetto Lyonese per il giorno.
Chissà se indossando da subito il corsetto Chêneau, lo stato della mia scoliosi sarebbe diverso
oggi. Fin da subito il consiglio dell’ortopedico fu quello di fare sport come cura specifica (nuoto e
pallavolo).
Giunta all’età di 18 anni, dopo aver sentito diversi pareri specialistici, l’alternativa prospettatami
da quasi tutti è stata quella di un intervento chirurgico e soprattutto di evitare drasticamente esperienze importanti per il fisico, quali ad esempio una gravidanza.
Si può facilmente immaginare l’impatto che una soluzione cosi drastica e limitante possa aver
avuto su una ragazza che si stava appena affacciando alla vita.
L’idea di un intervento è stata da me sempre scartata e, fin da subito mi sono indirizzata verso
un’intensa attività fisica per mantenere una buona efficienza motoria.
La mia inclinazione verso l’educazione fisica si è trasformata in vera e propria passione, tanto
da indurmi a scegliere l’insegnamento di questa disciplina come indirizzo di vita.
Nonostante la mia deformità, sono riuscita a superare le prove di ammissione all’ I.S.E.F., scuola
a numero chiuso (visita medica - prova pratica).
Terminati i corsi di studio, ho aperto una palestra dove si pratica la ginnastica correttiva e
medica, secondo le tecniche I.D.
Il mio percorso di vita, insieme alla mia formazione teorica e pratica, hanno fatto sì che io mi
identifichi in tutti quei soggetti affetti da scoliosi che incontro quotidianamente e che ho incontrato
nel corso della mia esperienza, incitandoli costantemente a praticare la ginnastica secondo le tecniche I.D., a mantenere delle posizioni corrette per la colonna vertebrale e, se prescritto, a indossare con regolarità il corsetto.
Pertanto l’obiettivo fondamentale è fornire alla persona con scoliosi idiopatica, come la mia,
un’alternativa valida all’intervento chirurgico, talvolta utilizzato in maniera troppo superficiale.
Come la mia esperienza può dimostrare, la pratica di ginnastica medica può permettere,
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nonostante la gravità della scoliosi, di condurre una vita “normale”, fatta di tutte quelle esperienze,
tipo una “gravidanza”, che gli ortopedici spesso sconsigliano.
Infatti, a dispetto di tutte le limitazioni che mi erano state prospettate, ho avuto 2 gravidanze
bellissime, che non hanno portato alcun tipo di problema alla mia colonna vertebrale (vedi filmato).
Conduco una vita “normale” e senza dolori particolari, cosa che si verifica invece per molte persone senza evidenti deficit fisici.
In sequenza alcune foto che ritraggono lo stato attuale della mia schiena.
Segue filmato (DVD allegato).
Grazie per l’attenzione.
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Marco Pecchioli
Medico Ortopedico - Direttore Istituto Duchenne - Scuola Nazionale di Educazione Fisica
CONSEGUENZE DEL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLA SCOLIOSI A LUNGA DISTANZA DI
TEMPO
Il nostro gruppo di lavoro, da me coordinato, ha avuto modo di osservare diversi casi di scoliosi
operate da molto tempo (ciò significa decenni dal primo intervento chirurgico per scoliosi).
Alcuni di questi casi saranno presentati nel corso di questo nostro Congresso e saranno la nostra
testimonianza della veridicità di quanto sarà affermato in questa comunicazione.
Per noi non è possibile effettuare delle indagini su grandi numeri perché non disponiamo di una
struttura ospedaliera propria, né possiamo contare sulla collaborazione dei colleghi chirurghi della
scoliosi, perché essi, per lo più, non condividono il nostro pensiero su come affrontare questa patologia deformante e neppure sul trattamento conservativo che noi conduciamo da decenni. Essi non
soltanto non lo conoscono, ma non ne vogliono proprio sapere e si rifiutano di documentarsi su di
esso.
Considerata la originalità di questa nostra comunicazione, noi abbiamo trascurato di consultare
la bibliografia esistente su questo specifico argomento delle conseguenze a lungo termine della
chirurgia della scoliosi, e ci siamo attenuti soltanto a quanto abbiamo constatato noi stessi; questo
è il motivo per cui non viene riportato nessun riferimento bibliografico.
Uno tra i casi più gravi (ma non il più grave) da noi visto è stato pubblicato sulla rivista “La
Ginnastica Medica”, organo ufficiale della S.I.G.M. Società Italiana di Ginnastica Medica (M.
Pecchioli, Storia di una scoliosi, Volume LIV – Fasc. 6 – Anno 2006) ed è il racconto, fatto dalla
persona stessa, delle vicissitudini sofferte dalla diagnosi della sua scoliosi, al momento della stesura di tale racconto.
Le conseguenze da noi riscontrate nei casi di nostra osservazione, alcuni dei quali saranno
mostrati nel corso di questo Congresso (DVD allegato), sono state le seguenti:
1 - Elementi radiografici
• Discopatia e artrosi a livello della giunzione inferiore, ma anche a quella superiore, tra il
tratto artrodesizzato ed il tratto libero.
• Rottura delle barre
• Distacco degli uncini
• Perdita di correzione della angolazione misurata in gradi secondo il metodo Cobb.
• Pseudoartrosi.
• Reintervento (o per inconvenienti nella strumentazione, o per pseudoartrosi, o per tentativo
di ripristino dell’assetto fisiologico del rachide - ripristino della lordosi lombare dopo che il
primo intervento aveva abolito tale curva).
• Abbiamo osservato anche un caso di scoliosi gravissima, ma associata a marcata rigidità
delle anche bilateralmente, per esiti di m. di Perthes, ancora deambulante, che era stata
artodesizzata alla colonna vertebrale con esito negativo sul piano estetico e con esito drammatico sul piano funzionale, tanto da diventare incapace di rimettersi in piedi da sé, se si
fosse distesa per terra. La rigidità in flessione delle anche era all’origine della rottura delle
barre e della pseudoartrosi, quale elemento scatenante nei tentativi di raggiungere i piedi
con le mani nel vestirsi, infilarsi i calzini, le mutande, ecc. In questo caso estremo, la rigidità delle anche, (compensata - prima della chirurgia vertebrale - dalla mobilità della colonna
vertebrale malgrado la scoliosi, nella gestualità della vita quotidiana) era stata scompensata dal bloccaggio chirurgico della colonna vertebrale, con le prevedibili conseguenze: rottura dello strumentario e reintervento per rimuoverlo…lasciando la colonna vertebrale in
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condizioni peggiori di prima dell’intervento e la efficienza fisica, ma soprattutto l’autosufficienza, in condizioni peggiori.
È risaputo, ma è anche e semplicemente ovvio, che non si deve artrodesizzare la colonna
vertebrale, anche se gravemente scoliotica, ad un soggetto che abbia una rigidità delle
anche.
2 - Elementi clinici
• Rachialgie anche di forte intensità, alcune così invalidanti al punto di richiedere il reintervento.
• Appiattimento della lordosi lombare, con cedimento del tronco verso l’avanti e flexum delle
ginocchia.
• Impossibilità a stare fermi in piedi per un periodo anche non eccessivo.
• Insufficienze muscolari a vari livelli ed in particolare dei mm. addominali
• Difficoltà di vario genere nella gestualità della vita quotidiana.
Questa breve comunicazione potrebbe anche concludersi qui, ma resterebbe da dire la cosa più
importante e che dà il colpo di grazia alle eventuali contestazioni dei principi da noi affermati e cioè
che:
(1) la scoliosi non deve essere operata, se non in casi gravissimi e nei quali comunque l’intervento ha un grosso margine di risultato rispetto alla situazione naturale. Nello specifico è il momento di smettere di agire in base alla classificazione in gradi Cobb, per cui è lecito sottoporre a chirurgia scoliosi al di sopra dei 50 gradi. Non è affatto lecito questo criterio ed agire così, semplicemente in base a tale constatazione è un errore grave e condannabile.
(2) la ginnastica correttiva e/o medica deve essere praticata sempre. Essa deve essere eseguita secondo le tecniche I.D., perché queste tecniche sono quelle che vengono studiate con la verifica dei risultati ed i risultati sono buoni in ogni caso ove l’indicazione sia corretta.
La cosa più importante è questa: nei nostri corsi di ginnastica capita che si presentino dei
soggetti adulti ed anche anziani che sono portatori di scoliosi gravi, anche molto gravi, mi riferisco
a curve di 80 e più gradi Cobb, con gibbi visibili e che non si sono operati mai per motivi vari.
Essi vengono per lo più a chiedere di frequentare i nostri corsi di ginnastica perché hanno mal di
schiena a vari livelli e spesso insufficienze muscolari e/o rigidità articolari diffuse.
Tra queste persone ce ne sono anche alcune a cui è stato detto che ormai non c’è più niente da
fare e che l’unica soluzione può essere chirurgica, anche se in tarda età. Ebbene queste persone,
incluso quelle a cui da più esperti è stata prescritta la chirurgia per la loro grave scoliosi, con la
pratica della nostra ginnastica migliorano e migliorano anche esteticamente
Nel filmato relativo alla relazione di Giovanni Lombisani che seguirà (DVD allegato) vi sarà
mostrato il confronto tra un soggetto portatore di gravissima scoliosi non operato ed un soggetto
con grave scoliosi operata in età adolescenziale. Questo confronto è drammatico, a favore ovviamente del soggetto scoliotico non operato. Questi può accedere a quasi tutte le esercitazioni motorie,
oltre ad avere risolto i problemi algici a causa dei quali si era avvicinato alla nostra ginnastica,
mentre la persona operata, pur beneficiando anch’essa della ginnastica medica che le viene proposta secondo le tecniche I.D. (che sono specifiche per soggetti già operati di scoliosi e prevedono
esercizi adattati caso per caso, pur sempre sulla base dei principi affermati da tali tecniche) ha delle
grosse limitazioni motorie e prospettive quantomeno incerte di risultato, con probabilità non piccole di doversi rioperare.
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Giovanni Lombisani
Insegnante di Educazione Fisica e Maestro di Ginnastica
CONSEGUENZE DEL TRATTAMENTO CHIRURGICO A LUNGA DISTANZA DI TEMPO.
IL CASO DI MONICA
Monica è una signora di 36 anni, operata di scoliosi. Le foto che seguono mostrano come appare
ora e le sue radiografie dove si vede lo strumentario usato per l’intervento.
La sua scoliosi viene notata per la prima volta all’età di 4 anni. Quindi iniziano una serie di trattamenti ortopedici ( busti, gessi) e una serie infinita di visite specialistiche, quasi tutte concordi nel
ritenere che la soluzione migliore fosse la chirurgia precoce.
Si arriva così all’età di circa quattordici anni e qualcuno le consiglia che sarebbe stato utile praticare della ginnastica correttiva, che lei pratica per circa due anni.
In questo stesso periodo il medico che la tiene in cura dichiara che quello che si poteva fare era
stato fatto e che l’unica cosa da fare era l’intervento, se non voleva vedere la sua schiena spezzata e finire poi in carrozzina.
Intanto passano gli anni: lei non fa più niente, si sposa e nasce il primo figlio.
Da lì a poco comincia ad accusare mal di schiena. Si arriva all’età di 26 anni e ricomincia il pellegrinaggio dei vari specialisti, così nel novembre del 1999 (all’età di 27 anni) viene operata.
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Dopo 4 mesi dall’intervento la sua vita sembra molto migliorata, i dolori sono quasi del tutto
scomparsi.
Esegue periodicamente tutti i controlli ed in uno di questi chiede al chirurgo che l’ha operata se
sarebbe tornata a fare una vita normale e se poteva avere altri figli.
A queste domande il chirurgo le rispose che sarebbe tornata a fare una vita normale e che
avrebbe potuto fare tutto quello che voleva, qualunque cosa.
Felice come non mai e forte delle risposte sentite, comincia a vivere una nuova vita. Comincia
così a fare ciò che le piaceva, frequenta corsi di aerobica, corsi di acquagym, scarpinate in alta
montagna ecc. e dopo due anni arriva il secondo figlio con parto naturale.
Da qui a poco la sua vita ricambia: ricomincia ad accusare dolore alla schiena ( le sole faccende di casa non sono più fattibili) ricomincia a zoppicare e le sembra quasi di essere più curva.
Fa un’ennesima visita ortopedica (2008) per il mal di schiena e le viene prescritta una nuova
radiografia, da queste risulta che una delle due barre si è rotta, e la curva è anche peggiorata.
Rx del 2001 – 45°Cobb
Rx del 2008 – 51°Cobb
Particolare della precedente
Quindi le imposta una terapia per il dolore e le consiglia un ciclo di fisioterapia. In questo periodo assume una quantità incredibile di antidolorifici. Da settembre 2008 ha iniziato a frequentare un
corso di Ginnastica Medica secondo le tecniche I.D.
Vediamo di seguito alcune delle sue abilità fisiche.
La sua capacità di inclinazione:
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La mobilità delle sue anche
La lunghezza dei muscoli I.C.
Seguirà adesso un breve ma significativo filmato (DVD allegato) dove si vede quello che una
persona operata può fare.
Essendo la ginnastica per tutti e per tutte le età, anche queste persone devono farla, ed in questi
casi si parla di Ginnastica Medica. Questa deve essere ben condotta, e fatta da insegnanti di ginnastica ben preparati, sia nel campo della ginnastica che della patologia.
La ginnastica Medica secondo le tecniche I.D. ha i seguenti scopi:
• Educare lo scoliotico a rispettare le regole igienico – posturali durante la vita quotidiana.
• Strutturare nella mente il giusto assetto ed il controllo del corpo.
• Evitare esercizi, sport, o attività motorie dannose.
• Rafforzare tutti quei muscoli che si sono indeboliti in seguito all’intervento e alla mancanza di esercizio, con esercizi efficaci, ma che non siano dannosi.
• Mantenere una buona mobilità di tutte quelle articolazioni (spalle, anche ecc),che in qualche modo condizionano la colonna vertebrale.
• Migliorare la ventilazione polmonare attraverso la ginnastica respiratoria.
• Educare queste persone a conoscere i propri limiti oltre i quali non bisogna andare, e le
tecniche I.D. si fermano a queste abilità residue. Anzi non avrebbe nemmeno senso provare o voler fare certe cose,poiché queste persone con la colonna vertebrale che si ritrovano
potrebbero correre un grave rischio di rompersi qualcosa o farsi male.
• Apprendere tutti quelli accorgimenti, le scelte ed i comportamenti da prediligere nelle attività della vita quotidiana. Si va per esempio dallo stare seduti in modo composto, ad evitare
certi movimenti o eseguirli in modo particolare ecc.
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Nell’ultima parte del filmato si mette invece in evidenza ed in modo incontestabile come l’efficienza fisica tra una persona operata e altre due non operate, nonostante la grave scoliosi, sia
molto diversa.
Possiamo vedere come essa sia notevolmente maggiore in quelle non operate.
Queste oggi possono fare quello che vedrete perché non hanno la loro colonna vertebrale bloccata (non sono operate) e perché hanno fatto e continuano a fare questa ginnastica, che ha permesso loro di acquisire e, perché no, persino migliorare tutte queste abilità fisiche, per potersele poi
mantenere il più a lungo possibile e usarle di volta in volta per divertimento, necessità, ecc. mantenendo così la qualità della vita ai più alti livelli. Diversamente da quelle persone operate, con la
colonna vertebrale bloccata e quindi incapace di muoversi liberamente, dove le abilità fisiche sono
limitate, e molte altre non potranno mai più essere acquisite.
Nel filmato ho trascritto, perché vorrei che voi la leggeste, una parte di una lettera che Monica
ha scritto.
Vorrei fare un ringraziamento particolare da parte mia a Monica, Roberto e Roberta per la loro
disponibilità, e sicuramente anche in nome di tutti voi e della SIEF, poiché è grazie a loro e a queste
iniziative che queste storie possono avere una voce ed essere portate così a conoscenza di tutti.
Sperando che possano essere occasione di riflessione per chi si occupa in prima persona di queste
problematiche, ma soprattutto che siano d’aiuto a tutte quelle persone che soffrono.
Grazie.
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Giorgio Pini, Irene Baldi, Beatrice Felloni, Maria Flora Scusa
Centro di Riferimento Regionale per la Sindrome di Rett, ed UO Complessa di
Neuropsichiatria Infantile ASL 12 Viareggio - Ospedale Versilia, Lido di Camaiore - Regione
Toscana - Corrispondenza e mail: [email protected]
LA SINDROME DI RETT, UN QUADRO CLINICO COMPLESSO
La Sindrome di Rett (RTT), è un disturbo raro, che colpisce quasi esclusivamente le bambine
(1:10.000 nate femmine), caratterizzato da un arresto dello sviluppo psicomotorio tra i sei ed i
diciotto mesi di vita e da una successiva regressione cognitiva, linguistica e prassica. A questi
elementi nucleari di patologia si associano, nell’evoluzione del quadro clinico, stereotipie manuali,
epilessia, disturbi respiratori e compromissione delle competenze motorie.
La patogenesi del disturbo è correlata con la mutazione del gene MECP2, che si trova sul cromosoma X, evidente in oltre il 90% dei casi classici ed è pertanto una patologia X-linked; questo spiega
il coinvolgimento pressoché esclusivo nelle femmine; i maschi, dove la mutazione è incompatibile
con la vita, generalmente non sopravvivono oltre il primo anno di vita a meno che non si verifichino
condizioni estremamente rare come il mosaicismo. Recentemente sono stati identificate mutazioni
in altri geni (CDKL5 e FOXG1) associate ad altre varianti.
La diagnosi è ancora prevalentemente clinica, data la possibile negatività dell’analisi molecolare, così come nella fase iniziale di malattia il sospetto è possibile sulla base della espressione dei
sintomi e sull’ andamento a stadi. Ciò comporta la necessità di stabilire precisi criteri internazionalmente condivisi.
La letteratura specialistica converge sulla presenza di criteri necessari di diagnosi, che si riferiscono agli aspetti nucleari della sindrome, e di criteri accessori o di supporto. I primi sono la decelerazione della crescita della circonferenza cranica tra i 4 mesi ed i 2 anni, la perdita delle abilità
manuali, comunicative, linguistiche e relazionali acquisite fino al momento dell’arresto, le stereotipie manuali, la presenza di atassia della marcia, aprassia e disturbi del sistema nervoso autonomico (disturbi respiratori, ridotta variabilità dell' intervallo R-R, stipsi, disfagia, cianosi delle estremità). I criteri di supporto sono invece la presenza di scoliosi, disturbi extrapiramidali, deficit d’accrescimento. La RTT, nonostante la peculiarità del quadro clinico, spesso comporta una sovrapposizione sintomatologica con numerosi altri disturbi, soprattutto all’esordio della patologia, quando il
quadro appare particolarmente drammatico essendo dominato dall’irritabilità e dalla perdita di
competenze. A tal scopo sono stati definiti anche dei criteri di esclusione: organomegalia, retinopatia o atrofia ottica, microcefalia già alla nascita, ritardo di accrescimento intrauterino, danno cerebrale acquisito accertato. Dal punto di vista sintomatologico, la RTT è una patologia caratterizzata
da un’evolutività in stadi, discreti e ben identificabili, ognuno dominato da un particolare aspetto
clinico. Gli stadi della malattia sono quattro: I° Stadio o della stagnazione, II° Stadio o della regressione precoce, III° Stadio o pseudostazionario, IV° Stadio o della regressione tardiva. Le caratteristiche dei singoli stadi sono riassunte in Tab. 1.
Tab. 1.: Gli stadi evolutivi della RTT
I° Stadio (9-24 mesi)
•Arresto dello sviluppo motorio •Riduzione significativa
capacità prassiche •Disturbo relazionale e del contatto
oculare •Arresto dello sviluppo linguistico e cognitivo
•Strabismo transitorio.
II° Stadio (da1 a 4 anni)
•Marcata irritabilità •Disturbi del sonno •Regressione
abilità acquisite •Contatto oculare assente (autismo
transitorio) •Stereotipie manuali •Sintomatologia similencefalitica o che simula un processo tossico in atto
(raro) .
III° Stadio (età prescolare e seconda infanzia)
•Ritardo mentale •Ripresa competenze relazionali
•Atassia del cammino e del gesto •Epilessia
•Disturbi del sonno •Stipsi •Disturbi respiratori e
cardio-vascolari.
IV° Stadio (adolescenza ed oltre)
•Miglioramento ulteriore delle abilità comunicative
•Aumentata spasticità con deformità mani e piedi
•Progressiva scoliosi/cifosi •Possibile riduzione crisi
epilettiche •Riduzione disturbi del sonno •Riduzione
disautonomia •Cachessia
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Oltre ad una peculiare evoluzione sintomatologica, occorre considerare che, nonostante la fondamentale gravità della patologia, il quadro clinico è molto variabile. E’ pertanto distinguibile una
forma classica di RTT, caratterizzata dai segni riassunti nella Tab 1 , e alcune varianti con un ampio
spettro di severità.
Le varianti riconosciute in ambito internazionale sono:
• la variante a linguaggio conservato o preseved speech variant o variante di Zappella, caratterizzata da una certa conservazione e/o sviluppo delle competenze linguistiche;
• la variante Frusta, in cui non si manifesta la microcefalia acquisita ed il quadro clinico è per
definizione più lieve;
• la variante congenita o di Rolando, in cui non si osserva un periodo libero da malattia;
• la variante ad esordio precoce di epilessia o di Hanefeld, con crisi epilettiche gravi (spasmi
infantili) fin dai primi mesi di vita.
• la variante a regressione tardiva o di Hagberg, in cui il disturbo si manifesta più tardivamente: fino a 5 anni.
• la variante maschile.
La variabilità clinica infine costituisce un ulteriore elemento di difficoltà diagnostica, per cui
appare ancora più necessaria un’approfondita conoscenza della RTT ad opera dei pediatri di base.
Infatti occorre considerare come un ritardo diagnostico comporti una ritardata presa in cura e l’assenza di una sorveglianza mirata alla prevenzione delle complicanze.
Problematiche ortopediche nella RTT
La RTT è una malattia pervasiva dello sviluppo che interessa vari organi ed apparati, che comporta una gestione delle pazienti integrata e multidisciplinare.
Tra le complicanze maggiormente invalidanti per la qualità di vita si hanno quelle a carico dell’apparato osteo-articolare, che rende assolutamente necessario un attento monitoraggio ortopedico.
I principali “nemici” da contrastare sono la scoliosi e l’osteoporosi.
1. La scoliosi
La scoliosi rappresenta il problema ortopedico di maggiore rilievo nella RTT, sia per la sua alta
frequenza sia per le gravi implicazioni cliniche e funzionali. L’età di insorgenza è in genere precoce
ed è usuale una spiccata evolutività. La curva scoliotica è solitamente toraco-lombare, ma si osservano anche curve toraciche e, più raramente, doppie.
L'intervento sanitario al riguardo si basa principalmente sulla prevenzione attraverso consigli sull'
igiene posturale, la fisioterapia, le attività della vita quotidiana (favorire la deambulazione, attività in
acqua) e la ginnastica. Il trattamento della scoliosi non si differenzia nella sindrome di Rett da quelli
classici con l'uso di ausili ed in casi selezionati con la correzione chirurgica. Sebbene quest’ ultima
sia maggiormente invasiva e comporti un’alta spesa sia in termini di gestione della paziente che di
costi sanitari, nelle forme più gravi rappresenta un intervento quasi inevitabile. Ciò soprattutto al
fine di contrastare le complicanze che la scoliosi comporta, in termini di compromissione della
funzionalità respiratoria e della deambulazione. Pertanto nelle forme più gravi dovrebbe essere
sempre valutata l’opportunità di una correzione chirurgica. Gli esiti dell’ intervento talora sono
sorprendenti: esistono infatti casi documentati di pazienti che in seguito alla correzione chirurgica
hanno ripreso a camminare ed hanno migliorato le funzioni respiratorie.
In letteratura si parla di un’incidenza molto variabile dal 35% di Naidu al 100% di Hagberg e WittEngerstrÖm. Queste differenze sono almeno in parte dovute ai differenti metodi di valutazione utilizzati (clinici e/o strumentali) e all’età delle persone RTT esaminate, dal momento che il tasso di
prevalenza della scoliosi in età evolutiva aumenta in maniera proporzionale all’età.
Uno degli studi eseguito su una casistica molto ampia è quello di Cardiff, ove è stata valutata
una popolazione di 279 pazienti RTT di età compresa tra 5 e 19 anni, di cui il 75% mostrava scoliosi, giudicata di grado lieve nel 55%. Inoltre solo il 7% delle pazienti affette era dovuta ricorrere a
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correzione chirurgica. La nostra casistica fa riferimento a 117 pazienti, afferite al Centro di
Riferimento da Ottobre 2006 a Marzo 2009, di età compresa tra 2 e 41 anni, suddivise sulla base
della forma clinica presentata (Tab 2). Nella nostra popolazione circa la metà dei soggetti non
presentava scoliosi e soltanto nel 19.6% si evidenziava una forma grave.
Inoltre sempre in base ai nostri dati la scoliosi appare maggiormente presente nelle forma classica (65%) rispetto alle altre forme, soprattutto alla PSV ed alla forma frusta. Ciò suggerisce che la
scoliosi sia non solo uno dei criteri identificati della RTT, ma rappresenti anche un ulteriore elemento di differenziazione tra le forme cliniche.
Nella nostra popolazione abbiamo anche valutato l’influenza del grado di scoliosi rispetto alla
capacità di deambulare: il 20,5% dell’intera popolazione, cioè 24 soggetti non camminano in modo
autonomo e di questi ultimi la metà presenta una scoliosi grave.
Nella nostra casistica infine il numero delle pazienti che è stato sottoposto ad intervento chirurgico è limitato (circa il 3,4%).
Tab. 2: La scoliosi nella nostra popolazione
Assente
Lieve
Grave
Tipica (63)
22 (34,9%)
23 (36,5%)
18 (28,5%)
PSV (17)
14 (82,3%)
3 (17,6%)
-
Frusta (18)
12 (66,6%)
3 (16,7%)
3 (16,7%)
Congenita (7)
4 (57,1%)
2 (28,5%)
1 (14,3%)
Hanefeld (7)
4 (57,1%)
3 (42,8%)
-
Tardiva (4)
2 (50%)
1 (25%)
1(25%)
Maschile (1)
1(100%)
-
-
Totale (117)
59 (50,4%)
35 (30%)
23 (19,6%)
Una precauzione particolare da osservare nella RTT, nell'ipotesi di correzione chirurgica, è relativa
all'anestesia che risulta particolarmente pericolosa, specie se ottenuta con farmaci oppiacei e
benzodiazepine. Tale rischio si aggrava nel caso di un fenotipo cardiorepiratorio flebile. Si consiglia
al riguardo di valutare il fenotipo cardiorespiratorio, nella RTT e specialmente nell'ipotesi di un'anestesia importante. Lo strumento idoneo allo scopo è il "neuroscope" che utilizziamo ormai da quasi
tre anni nel nostro ospedale e che consente una registrazione simultanea di una grande quantità di
parametri (cardiologici, respiratori, emogasometrici), di breve durata (un'ora) e non invasivo.
2. L’ Osteoporosi
L’osteoporosi nella RTT riguarda circa il 75% delle bambine e compare generalmente a partire dai
9 anni di età. Le fratture femorali rappresentano la principale complicanza e si verificano nel 40%
delle ragazze prima dei 15 anni.
L’eziologia dell’osteoporosi nella RTT rimane in gran parte sconosciuta, seppure siano noti alcuni
fattori di rischio: deambulazione assente o ridotta, difficoltà di nutrizione, bassa calcemia e alimentazione povera di vitamina D, assunzione di farmaci antiepilettici, immobilizzazione prolungata
dovuta a fratture o a operazioni chirurgiche.
In letteratura sono presenti alcune ipotesi eziopatogenetiche quali il coinvolgimento del gene nel
metabolismo osseo o quello del la leptina. Dati recenti infatti hanno mostrato la forte correlazione
fra l’ormone leptina e il tono nervoso simpatico nel regolare la formazione ossea. Il deficit di leptina e lo squilibrio del sistema nervoso autonomo, documentati nella RTT, potrebbero pertanto essere
implicati nel processo osteoporotico.
La presenza di uno o più fattori di rischio, oltre alla sintomatologia conclamata (dolore, fratture spontanee) dovrebbe rappresentare un’indicazione alla valutazione della massa ossea con densitometria ossea (MOC) o con TAC. Ciò al fine di un intervento terapeutico mirato sia a rallentare la perdi87
I.D. Educazione Fisica
ta ossea sia a favorire la formazione di nuovo osso. Nello specifico la terapia dell’osteoporosi si
basa sull’igiene posturale, come il favorire il più possibile la statica eretta ed il movimento, e su
consigli alimentari, cioè un aumento nell’assunzione di proteine e calcio e l’implementazione di Vit
D. La vitamina D infatti rappresenta un utile presidio per favorire la sintesi di nuova massa ossea,
specialmente in quelle bambine che assumono farmaci antiepilettici. Anche i bifosfonati sono risultati efficaci, valutati tuttavia su popolazioni di pazienti con osteoporosi, secondaria a paralisi cerebrale infantile. I bifosfonati infatti costituiscono un mezzo efficace per incrementare la massa
ossea, diminuendo il dolore e le fratture e, soprattutto, riducendo i tempi di immobilizzazione.
Il limite all’utilizzo di bifosfonati è rappresentato dalla povertà del numero di studi randomizzati in
età evolutiva, soprattutto per quel che riguardo l’efficacia di questa classe di farmaci nel ridurre le
fratture spontanee.
Conclusioni
La RTT è un disturbo raro ma estremamente invalidante anche per le frequenti complicazioni d’organo che comporta. Tra queste la scoliosi e l’osteoporosi sono tra le più invalidanti.
La diagnosi della RTT è un percorso talvolta difficile sia per la scarsa conoscenza di questa patologia sia per l’alta variabilità clinica, che spesso maschera il quadro clinico sottostante.
In presenza di una diagnosi precoce di RTT è indispensabile intervenire preventivamente, proprio in
ragione del grave rischio di sviluppare in età successiva una scoliosi. E' dunque auspicabile progettare interventi posturali e motori da calare nella vita quotidiana, istruendo adeguatamente gli adulti
di riferimento.
Infine si deve sottolineare l’importanza di attuare per queste pazienti una presa in carico precoce e
multidisciplinare, per il coinvolgimento di molti organi ed apparati, con la necessità spesso di interventi ultraspecialistici. Prendersi cura della persona e della sua famiglia è una condizione complessa ed indispensabile, che deve essere accompagnata da azioni atte a favorire la massima diffusione delle conoscenze su questa sindrome sia negli ambienti specialistici che in quelli che più tradizionalmente se ne occupano, accelerando e facilitando il percorso diagnostico.
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88
I.D. Educazione Fisica
Cristina Baroni
Insegnante di Educazione Fisica e Maestra di Ginnastica - Presidente SIEF
IL SIGNIFICATO DELLA GINNASTICA NELLA SINDROME DI RETT.
IL NOSTRO LAVORO CON SILVIA
La nostra relazione si riferisce a due bambine con la Sindrome di Rett che abbiamo avuto modo,
come insegnanti di Educazione Fisica e membri della SIEF, di conoscere e con le quali abbiamo
avviato un lavoro di “GINNASTICA secondo le tecniche I.D.” in palestra.
Si tratta di Silvia, una bambina Rett di 20 anni, con una scoliosi importante, e Giulia, che invece
ha sei anni, non presenta scoliosi e che ha una forma tra le più lievi della malattia (sindrome).
I concetti che ci hanno guidato sono gli stessi, però i due casi sono molto differenti, e abbiamo
lavorato separatamente, in luoghi e contesti molto diversi tra loro.
Per questo presenteremo due relazioni distinte, la prima riguardante il nostro lavoro con Silvia
(C. Baroni), la seconda la storia di Giulia (S. Pini).
Questa è la mia palestra, uno studio professionale dove svolgo i miei corsi e le mie lezioni di
educazione fisica e ginnastica.
Questi gli attrezzi maggiormente utilizzati per Silvia:
Spalliera
La pallona
Gli anelli
89
I.D. Educazione Fisica
La tavoletta d’equilibrio
L’asse d’equilibrio
A questo proposito, occorre sottolineare che nella ginnastica esistono sì degli attrezzi “codificati” nel corso della storia della materia, però, all’interno di quella che si definisce come una “scienza dell’esercizio fisico”, in presenza di certe difficoltà e proprio per arrivare a superarle, tutto può
diventare un attrezzo, come vedremo specialmente nel filmato con Giulia.
Questa è Silvia:
Silvia cammina, ma solo se sorretta e per ora ancora solo su trascinamento (stimolo) esterno,
come vedremo nel filmato.
C’è uno sfregamento delle mani molto forte, insistente, con una intrarotazione dell’avambraccio
sinistro (ormai irrigidito in questo atteggiamento), dovuta probabilmente proprio al persistere di
questa operazione.
Silvia, come ho già detto, ha una scoliosi importante.
Quando è arrivata da me (nel settembre 2003), portava un corsetto che non correggeva quasi
90
I.D. Educazione Fisica
Silvia senza il corsetto
per nulla la sua postura: l’asimmetria nelle contrazioni muscolari
(cioè il “tirare” dei muscoli da una parte sola), che sicuramente in
questo caso ha un ruolo importante nel determinismo della scoliosi, provoca tendenzialmente l’abbassamento della spalla sinistra e
l’innalzamento del bacino, e quindi di tutta la gamba sinistra, come
vedremo anche nel filmato relativo agli inizi del nostro lavoro.
Questa asimmetria si ritrova anche negli arti inferiori stessi, per cui
nella gamba destra sono tendenzialmente contratti gli estensori
(gamba “intirizzita”), nella sinistra i flessori (gamba flessa).
Tutto ciò comporta il fatto che, soprattutto agli inizi del nostro
lavoro ma ancora ora se sta senza il corsetto, quando Silvia sta
ferma in piedi, sta su una gamba sola (la destra) con l’altra sollevata in atteggiamento flesso.
Ritrovare un buon assetto, in piedi ma anche seduta, della colonna vertebrale è stato il primo
nostro obiettivo, attuato in primo luogo attraverso la sostituzione del corsetto precedente con un
corsetto Chêneau, molto più efficace, in secondo luogo lavorando sulla “educazione fisica” sia di
Silvia che delle persone a lei vicine, in primo luogo i genitori, invitandoli a osservare la regola dell’appoggio il più possibile ben bilanciato sulle due gambe, quando Silvia sta ferma in piedi.
Silvia con il corsetto Chêneau
Il plantoscopio, attrezzo usato nelle
“tecniche I.D.” per la correzione del
Piede Piatto, utilizzato in questo caso
per verificare e ricercare l’appoggio il
più possibile bilanciato sui due piedi
Da qui tutto un lavoro nella ricerca di questo bilanciamento del peso, attuato con esercizi di
spostamento alternato del peso del corpo, prima su una gamba e poi su quell’altra, che costituisce
poi una componente importante, sicuramente non la sola, dell’atto del camminare (“dondolamenti”, da in piedi, da in ginocchio, gli spostamenti laterali, i passaggi di qua e di là dell’asse d’equilibrio, gli esercizi alla tavoletta d’equilibrio, e via dicendo).
Tutto ciò agisce anche in senso preventivo sulla retrazione del tendine d’Achille, perché l’appoggio completo del piede (90°) tiene comunque il tendine ad una lunghezza sufficiente.
• L’importanza di un buon corsetto.
Va chiarito che in questo caso il corsetto Chêneau, essendo stato messo all’età già piuttosto
avanzata di 16 anni (Silvia è nata nel 1988) con una scoliosi già avanzata, non può che essere di
91
I.D. Educazione Fisica
contenimento, e non più di correzione. Riteniamo che sia comunque importante usarlo, in quanto
dal mantenimento, protratto nel tempo (Silvia porta il corsetto “Chêneau” tutto il giorno, salvo pochi
momenti) di una corretta postura conseguono importanti conseguenze:
• Si continua a permettere la deambulazione, anche se assistita. E sappiamo quanto questa sia
importante per la stimolazione del nervo vago, come ha sottolineato anche la dott.ssa Alison
Kerr (Livorno, 2004)
• Sicuramente consente un miglior funzionamento degli apparati digestivo e respiratorio, che si
trovano a lavorare in uno spazio più ampio, più simmetrico e più naturale di quanto non lo
sarebbero se la scoliosi fosse “lasciata a sé stessa”
• Consente alla bambina, anche se in carrozzina, di avere una visione non distorta, diritta, del
mondo che la circonda e di avere quindi in rapporto migliore con esso. E questo io credo abbia
la sua importanza anche in senso inverso, in senso che tenere queste bambine più diritte
favorisce un approccio più positivo delle persone verso di loro, e ciò non può che ripercuotersi in modo positivo sulle bambine e sui loro famigliari.
• Costituisce un elemento di contrasto all’aggravamento della scoliosi.
Su quest’ultimo punto, vorrei soffermarmi un attimo.
Quando Silvia, nel marzo 2004, ha cominciato a mettere il corsetto Chêneau, aveva già 16 anni.
La radiografia del 2004, confrontata con quella di oggi, non presenta grandi differenze. Se “scorriamo” le radiografie di Silvia disponibili degli anni precedenti, possiamo vedere che a 12 anni (nel
2000), la scoliosi era già piuttosto importante, così come già a dieci anni (1988).
Quella del ‘93 invece, mostra una colonna vertebrale ancora abbastanza diritta.
Possiamo pensare che ALLORA era il momento per intervenire con un buon corsetto, e forse si
sarebbe potuto “arginare” in parte almeno, l’aggravamento di questa scoliosi.
Possiamo inoltre indicare, almeno per quanto riguarda Silvia, l’età tra i cinque ed i dieci anni
come quella in cui maggiormente si è aggravata la scoliosi, e forse questo dato, confrontato con
quello di tutte le altre bambine, potrebbe aiutarci ad individuare il “momento critico” per lo sviluppo della scoliosi in queste bambine.
1993
1998
92
2000
2004
2008
I.D. Educazione Fisica
• I cardini della ginnastica.
Detto tutto questo, passerei ad illustrare brevemente i contenuti della ginnastica.
In primo luogo, vorrei sottolineare la sua definizione, indicataci da Girolamo Mercuriale e accettata dalla nostra Società:
“la ginnastica è la scienza che studia l’esercizio fisico, gli effetti che con esso si possono produrre sull’organismo umano e che ha per fine il conseguimento ed il mantenimento
della buona salute (“efficienza fisica”)
(da G. Mercuriale, De Arte Gymnastica, Venezia 1601, modificata).
Le tecniche I.D. sono attualmente le uniche che studiano, attraverso la sperimentazione e l’analisi specifica dei risultati ottenuti, il ruolo dell’esercizio fisico nella ginnastica, in relazione sia alla
normalità che a qualunque forma di patologia, temporanea o stabilizzata.
Esse prevedono necessariamente il dovere, da parte dell’insegnante, di ATTUARE UNA SCELTA
ACCURATA degli esercizi da proporre, in base a due criteri, che sono:
1) UTILITA’ (del singolo esercizio): e questo vale per tutta quanta la ginnastica, per tutte le persone. Questo concetto è infatti presente in tutti i più grandi “maestri di ginnastica” del nostro
passato.
2) PRIORITA’ (su cosa è più urgente lavorare?): esse verranno stabilite caso per caso, specialmente quando siamo di fronte a delle disabilità.
Nel caso in cui la persona che abbiamo di fronte è affetta da scoliosi, questa scelta dovrà tener
conto di questo fatto, e la selezione degli esercizi, o delle POSIZIONI, dovrà essere ancor più attenta: non solo, ma come insegnanti di Educazione Fisica (“pratica razionale delle leggi igieniche”) provvederemo affinché vengano attuate tutte le misure perché questa (la scoliosi) possa essere controllata nel miglior modo possibile, come ad esempio, come abbiamo visto prima, nell’attenzione all’appoggio ben bilanciato sulle due gambe quando Silvia sta ferma in piedi.
Un altro aspetto che caratterizza la ginnastica, e che costituisce una difficoltà, ma non una
impossibilità, come vedremo, nel lavoro con le bambine Rett, deriva dalla definizione di esercizio
fisico come “atto motorio voluto e precisato” (Emilio Baumann, 1848-1916) ed è relativo quindi
alla PRESENZA DEL GESTO VOLONTARIO.
Nel caso della Sindrome di Rett, sappiamo quanto ciò sia difficile ad ottenersi, a causa della
APRASSIA che la caratterizza.
Pur tuttavia, vedremo nel filmato quanto spazio ci sia anche per uno studio di questo tipo.
Ed ecco allora che entrando nello specifico del lavoro sulla Sindrome di Rett, questi sono i cardini che abbiamo individuato nel corso del nostro lavoro (le PRIORITA’ di cui abbiamo parlato):
1. Mobilizzazione, in estensione, degli arti tendenzialmente flessi, che altrimenti si irrigidirebbero. Pensiamo a quanto ciò sia importante anche per le persone che quotidianamente devono
vestirle. In questo ha avuto un ruolo importantissimo, nel nostro lavoro con Silvia, lo STUDIO
DEL RILASSAMENTO, con attrezzi adeguati (pallona) e soprattutto creando un ambiente di
lavoro molto sereno (attraverso la musica, il tono della voce, la ricerca di un rapporto profondo, oculare, ma anche tattile, con la bambina).
Mobilizzazione degli arti, NON della colonna vertebrale, che le tecniche I.D. hanno verificato
debba essere “lasciata in pace”, in tutte le persone ma specialmente in caso di scoliosi (NO
quindi alla posizione prona, magari anche con braccia estese in appoggio, mantenuta a lungo).
2. Ricerca del movimento volontario. E’ molto importante secondo noi l’uso di “comandi” semplici, brevi, sempre gli stessi e soprattutto comuni a tutta la comunità educativa (famiglia,
scuola, insegnante di sostegno, tutti coloro che circondano la bambina). La conoscenza delle
tecniche della Comunicazione Aumentativa Alternativa può contribuire alla sempre migliore
applicazione di questi concetti.
3. Lavoro specifico sulle MANI. Le mani perché sono lo strumento di relazione per eccellenza, le
93
I.D. Educazione Fisica
mani che possono attuare ciò che la mente vuole (ad es, indicare dove si sente dolore), che ci
mettono in relazione affettiva con le persone, le mani che possono sorreggerci se stiamo per
cadere. Dal punto di vista della Ginnastica, obiettivo ultimo sarà la conquista dell’atto della SOSPENSIONE COMPLETA, così importante anche e soprattutto in presenza di scoliosi.
• FILMATO - Commento
Il filmato consiste in una serie di confronti tra il 2003, anno d’inizio del nostro lavoro con Silvia,
e il 2008. I numeri all’inizio di ogni paragrafo identificano all’interno del filmato il punto preciso al
quale si fa riferimento.
Il cammino – la postura
Inizio
0:00:57
(2003) Qui possiamo notare il tipo di cammino prevalente, con la mamma che la sostiene e determina il passo. Fin dall’inizio, abbiamo cercato in palestra un tipo di cammino
diverso: con la persona che la sostiene messa frontalmente, il passo è meno facile,
meno “trascinato”, impegna maggiormente Silvia per quanto riguarda l’iniziativa del
passo. In più, questa posizione consente il contatto oculare, così importante nel lavoro
con queste bambine. Da notare la postura molto inclinata verso sinistra, che un busto
non efficace non correggeva.
(2008) Da notare, con il nuovo corsetto Chêneau preparatole dal dr. Marco Pecchioli, la
postura molto più diritta, per cui il cammino risulta molto più facilitato, e possibile anche
il dondolamento. Ancora oggi è a volte molto difficile farla “partire”, a causa della aprassia caratteristica, però poi una volta partita il “passo” (uno dei “comandi brevi”) diventa
più fluido.
Posizione in ginocchio
0:02:04
0:02:55
(2003) Qui stiamo cercando di mettere Silvia in ginocchio. Si nota (allo specchio) la
gamba sinistra sempre flessa, e come Silvia non riesca minimamente a “sentire” la posizione.
(2008) Lo stesso esercizio ripetuto oggi. Possiamo notare come anche l’insegnante sia
migliorata, nel senso che ha acquisito una maggior consapevolezza di come proporre
l’esercizio e come muovere Silvia per arrivare a farle raggiungere questa posizione non
facile. Abbiamo imparato che è sempre meglio, così come nel cammino, stare frontali e
a sempre dire prima a Silvia ciò che intendiamo proporle. Si può osservare come Silvia
stia molto meglio in questa posizione, nella quale è possibile effettuare sia il dondolamento che le “spintine” (naturalmente reggendo Silvia per una mano), per stimolare
l’equilibrio.
Ricerca della distensione (rilasciamento) degli arti
0:03:57
0:06:04
94
(2003) Notiamo come la forza dei muscoli flessori della gamba sinistra la mantengano
flessa anche nella posizione supina, e come sia difficile distendere ambedue le braccia.
Abbiamo lavorato tantissimo su questo, basandosi sullo studio del rilassamento, inteso
nelle tecniche I.D. come rilasciamento muscolare volontario. Per ottenere questo abbiamo iniziato con delle indicazioni tattili (“colpettini” sul gomito) uniti a particolari suoni
emessi dalla nostra voce (tipo “sonaglino”), per arrivare poi al comando vero e proprio
(“lascia”), sul quale chiaramente stiamo ancora lavorando. Notiamo come anche la
gamba destra sia rigida, non però, come la sinistra, in estensione bensì nella flessione
(non si lascia “piegare”).
(2008) ) Oggi riusciamo a far fare a Silvia un movimento di flesso-estensione delle braccia, sia alternate che unite. Pensiamo che, anche in questo caso, l’utilizzo di un suono
(tipo “treno”) possa facilitare a Silvia la comprensione di ciò che vogliamo fare.
I.D. Educazione Fisica
Ricordiamo l’importanza della ricerca della distensione degli arti ai fini della prevenzione
delle deformità: un arto che resta continuamente flesso poi si irrigidisce in questo atteggiamento, e allora davvero non si può più estenderlo. Lo stesso vale anche per la muscolatura delle mani, che l’atto dello “sfregamento” tipico della Sindrome di Rett tende
spesso a tenere strette, chiuse in flessione (diverso è il discorso sul movimento volontario dell’ “apri mano”, che vedremo successivamente). Per gli arti inferiori, questo esercizio della “bicicletta”, oltre a mantenere “vive” le articolazioni delle anche e delle ginocchia, che nella vita quotidiana difficilmente hanno modo di muoversi se non per quel
pochino che basta per camminare e stare seduta, ha un grande valore anche da un punto
di vista del miglioramento della circolazione sanguigna (ritorno venoso).
L’uso della “pallona”
0:08:09
(2008) E’ stata utilizzata sempre, fin dall’inizio, perché lì sopra Silvia sta bene, si rilassa
(è una delle posizioni nella quali meglio abbiamo potuto realizzare la completa distensione di braccia e mani) e viene favorita l’estensione del collo, importante per contrastare
la tendenza di Silvia a stare sempre con il capo basso. Inoltre, questa posizione favorisce l’espulsione dell’aria intestinale e Silvia era spesso meno gonfia dopo essere stata
su questo attrezzo.
Ricerca del movimento volontario
0:09:08
La posizione prona si è rivelata utilissima per lo studio dell’“apri mano”, vale a dire ad
uno dei nostri “comandi” (il termine è proprio della “ginnastica”) volti alla ricerca del
movimento volontario. Questa ricerca si avvale dei concetti di ripetizione (i comandi
devono essere ripetuti ad ogni lezione e dovrebbero essere comuni a tutta la “comunità
educativa”) e di rinforzo positivo, vale a dire che occorre evidenziare sempre, mediante
espressioni di soddisfazione, la risposta giusta alla nostra richiesta. Non sappiamo se
sia dovuto, anche solo in parte, al nostro lavoro, ma sta di fatto che da quando abbiamo
cominciato a lavorare in modo sistematico sul “chiudi bocca”, Silvia ha smesso di sbavare… Allo stesso modo stiamo lavorando ancora su altri comandi, come “seduta”, o “giù”,
quando vogliamo l’estensione delle braccia (esercizio iniziato dalla posizione supina, e
ripetuto anche nelle posizioni in ginocchio e in piedi). Riteniamo importante, in particolare quando si lavora sulle mani, sollecitare Silvia non solo attraverso l’udito, ma anche
attraverso la vista (per questo la posizione prona è secondo noi la migliore, perché Silvia
può vedere bene le sue mani) e soprattutto il tatto, accarezzando e toccando ciò che si
sta nominando, nella ricerca di una presa di coscienza volontaria di queste parti.
Lavoro specifico sulla presa delle mani
0:12:04
0:13:38
(2003) La ricerca della presa (“stringi”) e del rilascio (“lascia”) volontari delle mani è
stata una costante del nostro lavoro, fin dall’inizio. Qui vediamo che, messa di fronte alla
spalliera o agli anelli, Silvia non si regge minimamente. Tra l’altro, abbiamo capito più
tardi che questo esercizio poteva essere svolto molto meglio con uno specchio messo
dietro la spalliera, cosa che consente di mantenere il contatto oculare.
(2008) Oggi Silvia si regge abbastanza bene: qui la vediamo in piedi agli anelli, che riesce
a mantenere la presa in modo autonomo mentre io smuovo abbastanza fortemente gli
anelli (la mamma sta comunque dietro, per sicurezza). Sempre agli anelli, stiamo studiando, come preparazione alla semisospensione (e poi alla sospensione?) il rilascio delle
braccia mantenendo la presa delle mani, cosa assolutamente non facile…Pensiamo di
riuscire presto a fare questo esercizio senza bisogno del nostro aiuto sulle sue mani, e
da qui andremo avanti…
E con questa immagine di Silvia che “guarda la luce” posta dietro a lei, concludiamo il nostro filmato.
95
I.D. Educazione Fisica
• Conclusioni
Il lavoro con Silvia sta dando dei piccoli risultati, piccoli ma importanti.
Questi risultati pensiamo possano essere molto maggiori, qualora le bambine comincino prestissimo, prima possibile, questa attività di ginnastica, che comunque si caratterizza per essere svolta
“secondo le tecniche I.D.”, che sono tecniche studiate presso l’Istituto Duchenne di Firenze, Scuola
Nazionale di Educazione Fisica riconosciuta dalla SIEF.
Questa precisazione è importante, perché oggi ci sono tante proposte di “attività fisica” che però
non sono “ginnastica “ (nello specifico: “ginnastica medica”), così come ci sono anche tante “ginnastiche”, che però non seguono gli stessi concetti e non hanno la stessa base scientifica delle “tecniche I.D.”.
Un altro concetto che riteniamo debba essere sottolineato, e che vorremmo fosse il messaggio
forse più importante dalla giornata di oggi, è questo:
“E’ sempre possibile fare qualcosa per migliorare la qualità della vita. Non è mai troppo tardi.”
Ciò deriva in modo diretto dalla conoscenza di quelli che sono i presupposti all’esercizio fisico,
vale a dire:
- I muscoli si rafforzano se lavorano
- I muscoli se non tenuti in esercizio perdono la loro forza
- Le articolazioni se adeguatamente esercitate possono aumentare la loro escursione
- Le articolazioni se non vengono mobilizzate si irrigidiscono
- Le ossa si rafforzano se sollecitate meccanicamente
- Le ossa tendono a perdere il loro tono calcico, se manca la stimolazione meccanica
- Il Sistema Nervoso Centrale necessita anch’esso di esercizio, con ripetizioni abbondanti e
protratte nel tempo.
Tutto questo giustifica la necessità della Ginnastica, sempre, per tutti e per tutta la vita.
96
I.D. Educazione Fisica
Stefano Pini
Insegnante di Educazione Fisica
IL SIGNIFICATO DELLA GINNASTICA NELLA SINDROME DI RETT.
LA STORIA DI GIULIA.
La mia relazione è strettamente collegata a quella della mia collega Cristina Baroni, che ha già
esaurientemente inquadrato molti degli aspetti generali di queste esperienze di ginnastica in queste
due bambine “ugualmente diversamente abili”, colpite purtroppo dalla stessa “malattia” ma, come
spesso succede, diversissime per caratteristiche specifiche di partenza.
Tra queste differenze la più significativa è sicuramente l’età di inizio del percorso di ginnastica.
Devo anche sinceramente evidenziare che, benché sia molti anni che mi occupo di Ginnastica per
l’Handicap, per me era la prima volta che vedevo una bambina con diagnosi di Sindrome di Rett e
che non sapevo assolutamente di cosa si trattava.
Inoltre è utile spiegare che lo spazio nel quale ho svolto il mio lavoro è una anonima stanza di
30 mq in un ex centro riabilitativo nel Comune di Terranuova Bracciolini in provincia di Arezzo, dove
da qualche anno sto realizzando un progetto di ginnastica rivolto a ragazzi e adulti disabili con il
finanziamento del comune stesso.
L’attrezzatura che si vede nel filmati è stata da me acquistata gradualmente per rendere più
“stimolanti ed efficaci” le lezioni per questi miei allievi.
Molto spesso però mi è capitato, come altre volte in questi anni, di fare quello che ha preannunciato Cristina: applicare la scienza dell’esercizio fisico con attrezzi non convenzionali, vuoi perché
non c’erano, vuoi perché quelli codificati non erano “adatti” e propedeutici all’obiettivo che era
necessario provare a raggiungere in quel caso ed in quel momento:
TRASFORMARE IL PENSIERO IN MOVIMENTO E IL MOVIMENTO IN PENSIERO!
• La situazione di partenza.
Quando ho incontrato Giulia per la prima volta aveva 5 anni ed era nel Marzo del 2007.
La sua situazione è quella visibile nei primi cinque minuti del filmato e descritta nella successiva lettera della mamma e visibile nelle fotografie allegate.
In seguito all’intervista fatta alla madre, allo studio della documentazione medica e neurologica,
alle mie esperienze, alle prime lezioni di valutazione e contemporaneamente all’inizio di un intenso
periodo di studio per una rapida conoscenza delle caratteristiche di tale sindrome decisi, dopo
ancora un mese di tentativi di approccio e di lezione, di iniziare a definire e di propormi dei precisi
obiettivi anche se parziali.
Tra questi ne emergevano alcuni: a) la necessità di recuperare una capacità di equilibrio sufficiente ad una deambulazione minimamente sicura ed autonoma ; b) il tentativo di limitare le tipiche
stereotipie e far (ri)scoprire un uso volontario e funzionale delle mani e delle braccia; c) l’apprendimento di motricità non sviluppate nell’infanzia (strisciamento e andatura carponi).
Le proposte didattiche, le difficoltà, i fallimenti e i piccoli successi sono solo parzialmente visibili nella prima parte del filmato perché esso fu fatto dopo qualche mese di attività, quando ci
sembrò di cominciare a notare che, invece della prospettata e temuta regressione, si stavano
evidenziando alcuni piccoli ma significativi apprendimenti.
Tra le “regressioni” più temute c’era quella della perdita completa della deambulazione per cui,
fin dall’inizio, molto del programma didattico era rivolto allo stimolo dei presupposti di una buona
deambulazione: l’equilibrio della camminata, i riflessi posturali di raddrizzamento e le reazioni “paracadute”.
Da ultimo, ma sicuramente non il minore, l’altro grande “scoglio” era quello psichico, motivazionale e volitivo.
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La facile stancabilità agli stimoli, la quasi completa assenza di “agganci” motivazionali e la
”aprassia” tipica della sindrome di Rett rendevano le lezioni molto difficili e faticose per TUTTI.
• Il filmato.
Come potrete vedere, il filmato è un vero “patchwork” di molti spezzoni ricavati da almeno cinque
filmati principali realizzati nel periodo che vanno dall’estate 2007 (primo filmato) all’estate 2009
(ultimo filmato). Esso è stato creato con il duplice scopo di mettere in evidenza sia i progressi
graduali di Giulia negli apprendimenti motori verso gli obiettivi preventivati sopra citati sia per dare
l’opportunità, ai tecnici interessati, di venire a conoscenza di una proposta didattica e una progressione di esercizi che, forse, non troveranno pubblicata in nessun altro materiale.
Nei vari filmati non è stato possibile fare una suddivisione troppo rigida tra un “prima, durante e
dopo” perché la mia continua ricerca di stimoli e “problemi motori” da far risolvere alla bambina in
modo “voluto e precisato”, nel suo continuo evolversi e in adattamento alle sue condizioni emotive
e motivazionali, ha trasformato l’apprendimento in un percorso senza soluzione di continuità.
Ad oggi, come è possibile vedere nella parte finale del filmato e come ben descritto nella lettera
della mamma di Giulia (che leggerete di seguito a questa relazione), la situazione si è molto evoluta.
• La situazione attuale.
Adesso la bambina durante le lezioni non manifesta
quasi più le sue stereotipie, non ha più bisogno di rinforzi
positivi di tipo alimentare o musicale, comprende quasi
sempre le richieste fatte con parole chiave semplici ma
ripetute, sempre uguali, sia dall’insegnante di ginnastica
sia dalla maestra di sostegno sia dalla psicomotricista sia
dai genitori stessi (una sorta di vocabolario condiviso!).
Pur cosciente che questo lavoro possa essere ritenuto
valido soprattutto per questo caso specifico (nella sua
variante molto lieve) e cosciente che si sarebbe sicuramente potuto fare meglio, mi auguro che almeno sia utile ad
attivare un proficuo dibattito sulla ginnastica nella
Sindrome di Rett, mettendomi a disposizione per qualsiasi domanda e chiarimento per quanto non
potuto (o saputo) spiegare in queste poche righe e nel mio lavoro di apprendista regista.
Alla fine non mi resta che ringraziare tutti coloro che mi hanno dato l’opportunità di fare questa
esperienza emozionante e coinvolgente (dal punto di vista umano) e di notevole accrescimento
professionale, ma un ringraziamento speciale lo devo sicuramente a Cristina Baroni (amicizia,
competenza, determinazione ed energia) e ai genitori di Giulia (Cinzia e Riccardo) che hanno avuto
il “coraggio” di assecondarmi ed aiutarmi in tutte le mie “folli” proposte di questi anni, compresa
quella di mettere “in piazza” tutta la vita della loro bambina dagli occhi belli.
GRAZIE!
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• LA TESTIMONIANZA DELLA MAMMA
Dalla nascita ad oggi: la difficile storia di Giulia.
Giulia è nata il 4 settembre 2002. Pesava 3,700 Kg. Ha
avuto all’inizio una crescita normale: contatto oculare, utilizzo delle mani nella norma, lallazione. A un anno camminava
e pronunciava le sue prime paroline. Ancora la vedo sfogliare i libri del fratello, giocare con le costruzioni, spingere il
passeggino e mangiare un pezzo di pane con le sue mani.
Intorno ai sedici mesi (inizi del 2004) c’è stato un blocco
del linguaggio ed ha iniziato a fare movimenti strani con le
mani: contorceva le dita battendole continuamente sulla
bocca.
In pochi mesi la sua situazione peggiora ulteriormente:
perdo il suo sguardo, nulla la interessa più, i suoi occhi mi
oltrepassano senza vedermi.
Peggiora rapidamente anche nel camminare: il suo equilibrio diminuisce e basta un piccolo dislivello del terreno per
mandarla nel panico più completo, si blocca davanti alle
scale, inizia a tremare e il suo pianto è spesso inconsolabile.
Nel frattempo la diagnosi: SINDROME DI RETT con mutazione del gene MECP2 (Y141X).
Nel primo certificato (2006) si legge: ”Patologia degenerativa ed invalidante del sistema nervoso centrale che porta
alla compromissione delle facoltà cognitive, motorie e del linguaggio.“
Quel giorno il mondo ci è crollato addosso! Eravamo impauriti, distrutti ma anche molto disorientati perché nessuno sapeva dirci cosa potevamo fare.
Dopo un periodo di smarrimento aggravato da diagnosi di altri medici che ci suggerivano di non
avere troppe speranze (!?) e spesso si contraddicevano tra loro sulle terapie più opportune, ci siamo
messi da soli a capire e a cercare.
A capire più possibile lo “stato dell’arte” su quella malattia, cercare di capire quali terapie/cure
ufficiali e/o meno ufficiali potevano aiutare la nostra bambina ma, soprattutto, quali erano le persone giuste per lei. Quelle, cioè, che oltre alle competenze tecniche avessero la voglia di mettersi in gioco e di provarci con
entusiasmo ed energia, anche quando le aspettative (secondo la medicina) erano in quel momento meno di zero, in quanto
non solo non erano previsti cambiamenti ma, anzi, con il
passare del tempo era probabile una degenerazione/regressione che poteva portare Giulia a perdere completamente la sua
autonomia.
Decisivo è stato il 2007 quando, all’età di 5 anni, dopo
tanto peregrinare, grazie anche all’aiuto dei servizi sociali del
comune di Terranuova Bracciolini, abbiamo iniziato ad incontrare alcune persone “giuste”.
La psicomotricista, la maestra di sostegno, la logopedista e
l’insegnante di ginnastica: Stefano appunto.
Gli inizi con lui sono stati molto duri: Giulia era capace di
piangere ed urlare ininterrottamente per tutta l’ora di lezione.
Ma gradualmente le cose sono poi cambiate.
Questa estate, dopo l’ultima parte del filmato che vedrete
nel video ho riportato Giulia da uno di quei medici che l’aveva99
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no vista qualche anno prima dandoci poche speranze: non l’ha
quasi riconosciuta (!) e ha affermato che non credeva che
Giulia potesse sviluppare quelle abilità, quella autonomia e
quella “presenza” che vedeva sotto i propri occhi.
Come vedrete, Giulia ha imparato a gattonare, a strisciare
sotto i tappeti, a rimanere attaccata alla spalliera con le sue
mani, ha camminato su una trave di 10 centimetri, abbassa la
testa od alza i piedi per superare gli ostacoli, sale e scende le
scale con un semplice aiuto di una mano.
Stefano l’ha portata anche a pattinare sul ghiaccio e in
piscina.
Adesso, quando le capita di cadere perché gioca con i fratelli o con il cane, mette le mani avanti
e si rialza da sola!
La cosa più bella, comunque, e vederla correre ogni volta verso il suo “torturatore” con il sorriso e la curiosità negli occhi: questo mi fa capire che è la strada giusta anche se ci sarà molto da
soffrire.
Questa settimana Giulia è sfuggita un attimo al nostro controllo e l’abbiamo ritrovata tranquillamente seduta sul divano che abbiamo nel rustico: aveva sceso da sola e molto silenziosamente i
10 scalini della rampa che parte dal nostro salotto.
Cinzia Pasqui
Terranuova Bracciolini, 10 Ottobre 2009
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