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la Repubblica la Repubblica MARTEDÌ 10 MAGGIO 2011 MARTEDÌ 10 MAGGIO 2011 @ ■ 34 PER SAPERNE DI PIÙ www.amo-zil.ru http://ladaparts.ru ■ 35 Il punto VINCENZO BORGOMEO orgoglio russo non cede il passo. E basta guardare con quanta forza Dmitri Medvedev continui a criticare il sistema economico russo e il suo ritardo tecnologico. A leader del Cremlino proprio non va giù il fatto di dover viaggiare su ammiraglie tedesche e spinge in ogni modo l’industria domestica a sfornare una super berlina russa. Anche ora che la Zil ha clamorosamente chiuso i battenti. Stesso discorso per l’aero- L’ MA L’ORGOGLIO NON CEDE MAI nautica, un settore — come l’auto — ancora poco competitivo e con problemi negli equipaggiamenti elettronici di cui ha fatto le spese recentemente lo stesso capo dello Stato, quando il carrello d’atterraggio del suo nuovo aereo presidenziale Tupolev 214. «Purtroppo anche i nuovi aerei, prodotti nelle fabbriche russe, hanno problemi di dotazione elettronica e sfortunatamente io stesso ne ho fat- to esperienza», ha dichiarato Medvedev. Nel suo ultimo volo il presidente ha avuto infatti dei problemi al carrello. E ora il suo amato Tu-214, costato 50 milioni di dollari, è in officina. «Se le cose andranno avanti così, il presidente di questo grande Paese non avrà un aereo su cui volare», ha commentato. E infatti per i voli a breve raggio il Cremlino ha acquistato nel 2010 un Falcon 900, un velivolo francese... Ma Medvedev esige che l’industria russa, sia quella automobilistica che quella aeronautica, torni ad essere competitiva. «Bisogna lavorare sodo anziché chiedere soldi», ha sottolineato, annunciando però che verranno stanziati 1,2 miliardi di euro entro il 2020, dieci volte quanto stanziato negli ultimi 10 anni. Un esempio lontano anni luce da quanto succede in Italia dove il nostro presidente del consiglio continua a lasciare in garage la sua Maserati Quattroporte in favore di un’Audi A8. © RIPRODUZIONE RISERVATA Zil- Breznev sull’auto presidenziale Strategie DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NICOLA LOMBARDOZZI MOSCA hiamamolo Sergej e diciamo che ha 48 anni. Abita in una delle tante periferie di Mosca fatte di grattacieli sovietici umanizzati da qualche tinta pastello e aiuole circondate da ringhiere basse. Ha comprato una Kia Sportage color crema che pagherà in tre anni e che ha aspettato per cinque lunghi mesi di proteste e continui solleciti alla concessionaria. Roba da Unione Sovietica, diceva quando si arrabbiava, ma sapeva bene che non era così. Allora si aspettava anni, le proteste non servivano a niente, colore, e perfino modello dovevi accettarli così come arrivavano. Sarà rossa o bianca, o magari ci daranno quell’azzurrino fesso...? E si concludeva come quando si fantastica sul sesso dei nascituri: qualunque colore sia, sarò contento lo stesso. Sergej guida soddisfatto il suo piccolo Suv coreano. E’ il suo riscatto personale dopo l’avvenuta rottamazione della vecchia Zhiguli tenuta insieme dalle continue riparazioni creative del meccanico della ex cooperativa del garage di quartiere. Tutto è più confortevole, godurioso. L’odore di nuovo degli interni, la silenziosità, il servosterzo. Con qualche piccolo svantaggio. Adesso, per esempio, è più difficile trovare parcheggio sottocasa. Ogni giorno è sempre peggio. Il quartiere sembra diventato un piccolo salone dell’auto a cielo aperto. Macchine nuove, cilindrata media, quasi sempre straniere: Ford Focus, Renault, Peugeot, Toyota. Qualche usato di prestigio, Bmw, Mercedes, Volkswagen tirate a lucido e con tanto di garanzia. Sembra che gli impiegati, gli insegnanti, i commessi di negozio del quartiere abbiano fatto tutti insieme la stessa scelta di Sergej: concretizzare il passaggio a una nuova vita con l’acquisto di un’auto. L’unico bene disponibile, con un piccolo sforzo e qualche sacrificio, per una classe media che sta appena cominciando a crescere e che fatica a trovare il modo di spendere i suoi risparmi. Inarrivabili le case comode e spaziose del centro (minimo ventimila euro al metro quadro) per gente che ancora paga un centinaio di euro al mese di “tasse e manutenzione” per i piccoli appartamenti concessi dopo anni di attesa dal regime sovietico. Troppo costosi i cosiddetti generi di lusso di negozi e boutique che spuntano in ogni angolo della città ma che restano riservati alle “fasce più alte”. Il solo sfizio che rimane al lavoratore medio è proprio la macchina, grazie ai nuovi incentivi e alle scelte del governo che hanno trasformato la Russia nel più appetitoso C Dopo la rinuncia Sollers la Fiat cerca la riscossa Viaggio nel mondo dell’automobile nell’ex territorio sovietico L’incredibile exploit delle vendite che fanno di questo mercato uno dei più appetibili in Europa Ecco cosa succede e i progetti futuri SALVATORE TROPEA C ne sentazio e r p a ll a il Putin Yo-mobttura ibrida della ve Dossier Casa Russia mercato del mondo, uno dei pochi dove il settore automobilistico, invece di arrancare a fatica, vola alto come non mai. Seguire Sergej lasciare i vicoli della sua periferia e immergersi a venti all’ora nel traffico paralizzante delle grandi arterie cittadine, rende l’idea meglio di qualsiasi tabella commerciale o di tante analisi sociologiche. A riempire le immense corsie delle prospettive e dei boulvart in lunghe code senza fine c’è tutto il campionario della realtà cittadina della Russia di oggi. Qualche vecchio camion anni Sessanta che testimonia l’arretratezza delle piccole imprese nazionali; le sempiterne Zhiguli costruite sul telaio della vecchia 124 Fiat a Togliattigrad e tuttora in produzione per una clientela di immigrati e provinciali; le tante macchine per nuovi ricchi piene di accessori più vistosi che utili, sedili in pelle, borchiature aggiuntive, super cerchi in lega. Marchi prestigiosi come Ferrari, Lamborghini, Bentley presenti in proporzione da emirato arabo. E poi, loro, le testimoni del nuovo che avanza: le “medie” moderne e colorate che segnalano la voglia di emergere di milioni di Sergej. La regina, almeno in questo trimestre, è la Renault. L’azienda francese, che insieme a Nissan produce negli stabilimenti AvtoVaz di Togliattigrad, deve molto del suo successo alla Logan che una volta produceva con il marchio rumeno Dacia. Molta plastica dappertutto, leggerina per la asperità delle strade e dell’inverno russo, ma di ottimo prezzo, con buone agevo- Nelle città i soliti problemi come quelli del traffico e della ricerca di un parcheggio i sono momenti in cui è facile difendere un posto nella storia piuttosto che conquistarne uno nella cronaca. È quanto ha sperimentato la Fiat in un giorno di febbraio del 2011 quando, dopo un accordo preliminare seguito da un negoziato andato avanti per ben dodici mesi, si è vista sfumare un business da mezzo milione di vetture all’anno con la russa Sollers, ex Severstal Auto. Un business che, nel giro di poche ore e senza nessun imbarazzo da parte dello zar Vladimir Putin che lo aveva benedetto in partenza, è passato dalle mani dei torinesi a quelli della Ford. Al punto che il Lingotto ha dovuto correre precipitosamente ai ripari, mettendo in piedi un piano da 300 mila vetture all’anno e, questa volta da sola, senza alleati locali. Che altro avrebbe potuto fare Sergio Marchionne? Poco, salvo rilanciare per poter difendere una posizione nella previsione di rafforzarla senza perdere terreno rispetto ai big mondiali dell’auto che la precedono nel mercato russo. Non soltanto nel nome della storia ma soprattutto perché la Russia promette di diventare presto una delle più importanti aree per i costruttori. A est dell’Europa, dopo la Cina, è il paese che ha la maggior forza di attrazione. La conferma si legge nei numeri: 1 milione 465 mila 742 auto- lazioni di pagamento e soprattutto con un aspetto “molto straniero” che è poi il fascino maggiore per l’unico bene di lusso consentito. Nell’ufficio di rappresentanza della Renault non si nasconde la soddisfazione: “Anche gli altri modelli vanno bene, la Fluente, la Megane. In questo mercato offriamo proprio quello che il mercato vuole. Arriveremo a una quota di vendita di 160mila auto entro fine anno”. Ottimismo motivato dalla lunga rincorsa alle rivali più tenaci: le giapponesi. Nissan e Toyota, che negli ultimi mesi avevano guidato le classifiche hanno subito un calo preoccupante in primavera. Continuano a vendere tanto, con incrementi da favola per gli altri mercati mondiali: 146 per cento la Nissan, 168 la Toyota. Ma cominciano a vedere vicina la saturazione. Nè hanno giovato, per i marchi del Sol Levante, il rallentamento della produzione e delle consegne dovuto al disastro dello Tsunami. Come del resto la paura della radioattività. Quelle cinquanta auto, provenienti da Tokyo e bloccate la settimana scorsa al porto di Vladivostok perchè ricoperte di cesio e di stronzio radioattivi, hanno certo convinto molti acquirenti a cambiare marchio, almeno per il momento. Crescono, e di molto, le coreane Kia, Hiunday, Daewoo. Competitive per i prezzi rispetto alle più fascinose europee, possono permettere qualche scatto in più in termini di dimensioni o di semplice vanità consentendo a un impiegato come Sergej il brivido del Suv, seppure economico, o al- Sul mercato le giapponesi sembrano rallentare la corsa, crescono le coreane meno della Station Wagon. Se non altro per non guardare dal basso i nuovi ricchi che si accostano ai semafori dai loro altissimi bestioni fuoristrada 4x4. L’acquisto è ancora un sacrificio, ma ne vale la pena. L’effetto delle rottamazioni introdotte per la prima volta nel 2010 è stato fondamentale. Una vecchia Zhigulì, o anche un vero rottame di Moskvich, (le utilitarie mal copiate dalla Opel Kadett e dalla Simca 1000 e fuori produzione dal 2001) possono essere valutate fino a 1500 euro. Le banche restano ancora molto diffidenti a fornire finanziamenti ma le case venditrici si sono organizzate con finanziarie private che offrono perfino tassi ragionevoli. Anche le spese sono alte ma possibili. La benzina costa appena 26 rubli al litro, circa 60 dei nostri centesimi. L’assicurazione obbligatoria, Osago, per una cilindrata media non supera i 150 euro l’anno. Se si pensa poi che, nono- stante il boom, solo il 43 percento delle famiglie in tutto il Paese possiede un’automobile e che l’età media del parco macchine nazionale resta ancora attestata sui 13 anni, si puo’ capire perchè la Russia appaia comunque l’ultima frontiera per le industrie automobilistiche di tutto il mondo. In questo mercato, praticamente ancora vergine, e così pieno di entusiasmo cerca di tuffarsi proprio lo Stato. Il premier Vladimir Putin e i suoi fidati oligarchi del settore sanno bene che ci sono ancora milioni di auto da vendere e fanno di tutto per cercare di sfatare l’antico tabu’ della macchina russa, imposta per troppi anni con i suoi difetti e i suoi limiti per essere ben accetta a chi la vede come simbolo di nuovo benessere. Non è facile, e il brusco calo delle vendite della Lada, il modello più famoso della fabbrica russa è un ennesimo campanello d’allarme. Nissan e Renault ne approfittano per acquisire sempre più il controllo di Avtovaz e assemblare i propri modelli continuando a Togliattigrad e dintorni la loro gara privata nelle classifiche di vendita. Le nuove Lada, lo giurano anche gli esperti neutrali, non sono male. Macchine cittadine pratiche e maneggevoli portano però la pesante eredità di un marchio sovietico che evoca milioni di ricordi negativi in tutta la Russia, di guasti improvvisi, macchie di ruggine affioranti alle prime piogge, tenuta di strada ridicola. Consapevole di non poter vincere la battaglia del presente, Putin ha dunque deciso di puntare sul futuro e ha incaricato il suo amico Mikhail Prokorov, il terzo uomo più ricco di Russia, boss dell’acciaio e delle nanotecnologie, di brevettare la prima auto ibrida russa. Il prototipo si chiama Yo e lo stesso Putin l’ha guidata per Mosca da perfetto testimonial. Entrerà in commercio nel 2012 e promette la svolta tanto attesa per le auto ibride, da curiosità per saloni dell’auto a veicolo di uso comune. Tecnologia top secret ma dalle promesse accattivanti: due motori elettrici, uno per asse, che si ricaricano quando è in funzione il motore centrale capace di andare sia a benzina che a gas naturale. Dunque nessuna dipendenza dalle prese di corrente. Discreta accelerazione (da 0 a 100 km/h in otto secondi). Look il più occidentale possibile con colori e cruscotti a metà tra la Smart e la macchina di Paperino. Prokorov scomoda Gagarin: “Siamo stati i primi a mandare un uomo nello spazio, riusciremo a lanciare definitivamente le vetture ecologiche”. E spera di convincere Sergej e gli altri che per sentirsi veramente fuori dal tunnel non c’è più bisogno di correre dietro ai modelli stranieri. © RIPRODUZIONE RISERVATA I manager Sergio Marchionne, ad del gruppo Fiat e, a destra, l'ad della Jeep, Mike Manley con la Grand Cherokee Il gruppo torinese senza alleati locali mette in piedi un piano da 300 mila vetture l’anno mobili vendute nel 2009 e 1 milione 910 mila 573 nel 2010, con un incremento del 30 per cento che, riferito a un periodo in quasi tutto il resto del mondo segnato dalla crisi, è più che interessante. A dicembre l’aumento è stato addirittura del 60 per cento con una tendenza che si mantiene in questa prima metà del 2011. Ma la Russia non è un posto facile. Vent’anni dopo la caduta del comunismo resta un paese complesso, di una complessità diversa da quella del Far East ma pur sempre difficile da maneggiare. Anche per chi, come la Fiat, era partita col piede giusto a metà degli anni Sessanta già allora con oltre mezzo secolo di rapporti importanti alle spalle tra Torino e Mosca. La realizzazione di Togliattigrad aveva stupito il mondo e la Fiat di Valletta s’era imposta con un colpo che sarebbe rimasto a lungo un primato. Ma poi non andò esattamente così e già ai tempi di Romiti e Cantarella si cominciò a capire che in Russia la strada sarebbe stata sempre più in salita. Più volte annunciata l’operazione Elabuga non andò mai in porto. Fino a quando con l’arrivo di Marchionne a Torino non si avvertirono i primi segnali di quella che promet- teva di essere una vera e propria inversione di tendenza. Da allora ci sono state diverse tappe a cominciare da quella che già nel 2005 ha visto il Lingotto stringere un’alleanza che faceva di Severstal l’importatrice e la distributrice in Russia di auto italiane in attesa di un lavoro di assemblaggio iniziato l’anno dopo con la Fiat Albea a Nabiriezhni Cielni, in Tatarstan. Con cadenza annuale sono seguiti gli accordi per l’assemblaggio del Doblò, la produzione di motori diesel a Elabuga (sempre in Tatarstan) e poi di trattori agricoli con CNH. Fino alla lettera di intenti di un anno fa con Sollers per l’assemblaggio della Linea e di altri nove modelli Fiat-Chrysler, un affare da 2,4 miliardi di dollari. Che però non si è trasformata in un’alleanza. Al punto da costringere Marchionne alla immediata contromossa con la presentazione del memorandum al ministero dello Sviluppo economico della Federazione russa riguardante il progetto per la produzione di 300 mila vetture e veicoli commerciali all’anno. Un’azione di recupero che sta procedendo, secondo quanto ha dichiarato lo stesso ad del Lingotto e di Chrysler il quale, per il presente e per il futuro, è più che convinto della necessità di doversi ritagliare una fetta della torta russa che, alle porte dell’Europa, sarebbe assai pericoloso lasciare ad altri. © RIPRODUZIONE RISERVATA