crescere insieme per crescere meglio

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crescere insieme per crescere meglio
CRESCERE INSIEME
PER CRESCERE MEGLIO
Ciclo annuale di conferenze sul rapporto genitori - figli
Direzione scientifica: prof. Paolo Crepet - 2008/2009
CASTELFRANCO VENETO
SCUOLA PER GENITORI
Crescere insieme per crescere meglio
2008/ 2009
Ciclo annuale di conferenze sul rapporto genitori - figli
Direzione scientifica: Prof. Paolo Crepet
Confartigianato Impresa Famiglia
ringrazia quanti si sono adoperati per la buona riuscita del Progetto.
Un ringraziamento particolare ai docenti per la disponibilità dimostrata
e a “La Tribuna” di Treviso per i testi messi a disposizione.
E’ vietata la riproduzione totale o parziale dei testi effettuata con qualsiasi mezzo,
salvo previa autorizzazione da parte del Credito Trevigiano.
Progetto grafico e impaginazione: Federica Vencato
Casa editrice: Confartigianato Impresa Famiglia S.r.l.
Marzo 2010
Indice
INDICE
Presentazioni a cura di Nicola Di Santo e Paolo Crepet
CALENDARIO SCUOLA PER GENITORI 2008/2009
data
relatore / tema
pag.
13.11.08
Paolo Crepet
Viaggio nella famiglia italiana
7
12.12.08
Lucia Pelamatti
Il ruolo delle emozioni nei processi di apprendimento
11
30.01.09
Mario Polito
Genitori esigenti e figli stressati.
Stiamo chiedendo troppo ai nostri figli?
15
20.02.09
Osvaldo Poli
Le differenze nello stile educativo del padre e della madre
19
13.03.09
Maria Rita Parsi
Come aiutare i figli a superare l’ansia
23
17.04.09
Paola Scalari
Come gestire i conflitti tra fratelli
27
03.06.09
Paolo Crepet
Chiusura della Scuola
Emergenza educativa, emergenza italiana
31
3
Presentazione
PRESENTAZIONE
Cari genitori,
continua il nostro percorso formativo, dallo scorso anno in
doppia sede (Castelfranco e Treviso), perché il mestiere di
genitore non s’impara mai abbastanza, perché il dialogo
con i figli presenta sempre contesti e sviluppi nuovi.
Anche quest’anno abbiamo avuto modo di diventare delle
madri e dei padri ancora più attenti a quanto accade ai nostri
figli e al mondo in cui viviamo. Oggi, come mai prima, la realtà
che ci circonda è in profondo e continuo cambiamento e ci pone di
fronte a situazioni nuove, che a volte riusciamo ad affrontare con successo, a
volte ci colgono impreparati e ci suscitano tanti dubbi ed incertezze. A questi
quesiti, a queste perplessità, i docenti hanno cercato di rispondere nel corso
delle lezioni per favorire l’incontro tra due generazioni, genitori e figli, che sembrano tanto lontane tra loro quanto lo è la società di oggi rispetto a quella di
appena pochi anni fa.
Come ha osservato Paolo Crepet, nel presentare quest’ultima edizione della
Scuola, la crisi economico-sociale che ha interessato anche il nostro Paese può
essere letta come un’occasione. Di fronte infatti agli scossoni economici, le famiglie si sono interrogate, con maggiore preoccupazione di un tempo, circa il futuro dei propri figli, un “domani” che sarà tanto meno fosco quanto più saranno
riscoperti e condivisi alcuni valori.
Ecco perché quest’anno si è molto discusso sull’attualità dei valori, su come trasmetterli ai giovani per prepararli ad affrontare i momenti difficili ed a guardare alla propria maturità con serenità e fiducia. Un percorso non certo facile,
ma doveroso, grazie al quale consentiremo ai nostri ragazzi di diventare adulti
equilibrati, che potranno contribuire a far crescere il nostro Paese non solo economicamente.
Questo è il nostro impegno, che continuerà anche nei prossimi anni per rispondere alle esigenze di una comunità da sempre attenta ai valori della famiglia ed
al futuro delle nuove generazioni.
Dott. Nicola Di Santo
Presidente Credito Trevigiano
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Paolo Crepet
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PAOLO CREPET - 13 Novembre 2008
«Il tempo pieno è fondamentale, perché la scuola deve essere un luogo
educativo». A gettare un sasso nelle
acque già agitate del mondo della
scuola è Paolo Crepet, psicoterapeuta, che questa sera a Castelfranco
aprirà i lavori del secondo anno della
Scuola Genitori “Impresa Famiglia”,
di cui è direttore scientifico, con un
“Viaggio nella famiglia italiana”.
«Se non lo è, lo dobbiamo far diventare tale. Don Milani, scusi, cosa ha
fatto? Non viveva mica in tempi facili.
Non aveva ragazzi facili, però l’ha fatto. E non aveva una scuoletta che alle
12.30 chiudeva. Non cito don Milani a
caso: è stato forse il più coerente e
convinto assertore del tempo pieno.
Quindi volendo si fa, se si ha l’idea di
farlo».
Crepet, vogliamo parlare della scuola o della famiglia italiana?
«Scuola e famiglia sono tutt’uno. Una
delle critiche che si fanno alla riforma
Gelmini è l’abolizione del tempo pieno.
Che è un problema delle famiglie».
Don Milani era don Milani.
«E la Montessori? Il suo metodo non
prevedeva 3 o 4 ore di scuola e poi
tutti a casa. Il metodo Montessori
prevedeva ben altre cose, con un
tempo “educante”, non “istruttivo”,
che va spalmato durante tutta la giornata. Il sabato la scuola chiude e si sta
a casa».
Lei è favorevole o contrario
al tempo pieno?
«Per me il tempo pieno è fondamentale. Pensa che stare da soli alle due
del pomeriggio davanti alla televisione sia educativo?».
Ma la scuola, oggi,
è un ambiente educativo?
srl
PIÙ SCUOLA,
PIÙ FAMIGLIA:
COSÌ CI SALVEREMO»
pe
ha
VIAGGIO NELLA
FAMIGLIA ITALIANA
Cosa vuol dire “tempo educante”?
«Vuol dire che stai in un luogo che è
educante, per tante ragioni, anche se
non fai niente. Perché i ragazzi devono
stare insieme agli altri ragazzi, non da
soli in cameretta con internet. Stare
7
13 Novembre 2008 - Serata di apertura: “Viaggio nella famiglia italiana”
insieme è educante di per sé, si chiama
peer education, educazione tra pari.
Anche una mensa scolastica è educante. Anche poter parlare con un professore dei fatti tuoi, della tua vita».
Quanto è importante il tempo
nell’educazione? Si sente dire che
conta la qualità, non la quantità.
«Queste sono sciocchezze che ci siamo inventati perché abbiamo la coda
di paglia. Per l’ascolto di un adolescente in crisi non bastano 5 minuti
d’oro. Ci vuole tempo. Il tempo è fondamentale, e bisogna darlo ai figli. Si
fa tanta retorica sulla famiglia. Dopo
di che si fa di tutto per rendere la famiglia un ectoplasma».
Vale a dire: il tempo pieno è irrinunciabile, ma non si deve delegare tutto alla scuola…
«Abbiamo la scuola che funziona anche il sabato. Sta passando la proposta di allungare il tempo pensionabile, quindi lavoreremo 4-5-6 anni in più
e non potremo fare più nemmeno i
nonni. Vengono detassati gli straordinari, quindi lavoreremo di più. Dobbiamo decidere: vogliamo lavorare,
lavorare, lavorare? Se lavoriamo e
basta è chiaro che la famiglia diventa
una cornicetta vuota».
Qui ormai si lavora anche di sabato.
E più di 8 ore al giorno.
«Appunto. Quand’è, allora, che una
madre vede i figli? La sera. Dopo aver
fatto i ripassini. Se il lavoro deve durare 12-14 ore al giorno come all’inizio
dell’Ottocento, riapriamo gli orfana8
trofi e rimettiamo i figli dentro perché non ce ne possiamo occupare.
Non è mica obbligatorio avere figli. E
non è colpa loro venire al mondo con
della gente che fa altre cose rispetto
agli educatori, giusto?».
Giusto. Soluzioni?
«Basta guardare cosa succede in Europa. Lei vada in Inghilterra o in Svezia e
mi dica se c’è una scuola aperta il sabato. Non c’è. La gente finisce di lavorare il venerdì pomeriggio e ha 2 giorni
e mezzo per la famiglia, per i figli».
In tempi di crisi economica lei invita
a lavorare di meno? Se la sentono i
nostri governanti…
«Guardi, Gordon Brown, qualche giorno fa, intervenendo sulla crisi economica ha detto che c’è una sola strada per uscirne stabilmente: investire
nell’educazione e nelle nuove tecnologie. Se i Paesi europei metteranno
le migliori risorse umane ed economiche al servizio di un progetto educante, ci salveremo da questa e dalle
prossime crisi economiche. Senò continueremo ad andare su e giù come
sull’ottovolante del luna park».
E ritorniamo alla scuola.
«Esatto. La strada è qualificare la
scuola, di ogni ordine e grado, qualificare il corpo insegnanti, qualificare
l’università. E quindi combattere gli
sprechi certo, ma poi fondamentalmente investire nel sistema educativo. Le nuove tecnologie sono
strumenti utili e facilitanti solo se c’è
cultura».
Paolo Crepet
EDUCARE?
UN MESTIERE DA IMPARARE
Crepet: «Oggi è diventato più difficile dire un sano no!»
di Francesca Nicastro
Non si nasce bravi genitori, lo si diventa. È la convinzione che ha spinto il Credito Trevigiano a istituire la
Scuola per Genitori, che prosegue a
Castelfranco con il secondo anno affrontando il tema “I genitori e la fermezza educativa” (inizio questa sera)
e prende avvio a Treviso con il primo
corso (il 19 novembre) per affrontare,
in 8 incontri, l’argomento: “I genitori
e la capacità di educare”.
Educare i figli, oggi, appare come una
vera e propria impresa. Sono tante le
“brutte compagnie” che intralciano, e
a volte minano, la fatica educativa dei
genitori. Ci sono i programmi scemi
alla tv, le insidie di internet, le mode
del branco, la droga facile, il bullismo.
«Ma non credo che oggi educare sia
più difficile di ieri - afferma lo psicoterapeuta Paolo Crepet - Tuttavia
educare in un mondo di grandi privilegi economici e sociali complica il
quadro. È più facile dire di sì se hai a
disposizione tante cose, al contrario
è meno difficile dire di no se non hai
niente. Inoltre siamo in una cultura
che considera la fatica una patologia.
Non vogliamo fare fatica, da nessun
punto di vista. Mantenere un no per
due mesi è faticoso. È più facile dire:
“Fai quello che vuoi”».
La Scuola per Genitori fornisce ricette
efficaci e consigli pratici su come edu-
care i figli all’autonomia, all’autostima, alla sessualità, alla relazione con i
fratelli, a superare l’ansia, a gestire le
emozioni. Mette le mamme e i papà
in guardia contro il “buonismo educativo”. Approfondisce la conoscenza
dei contesti in cui i ragazzi sono immersi, le situazioni e i fenomeni che si
trovano ad affrontare: le dipendenze,
il bullismo, il rapporto con la scuola, il
branco, la sessualità.
Il percorso formativo sponsorizzato
dal Credito Trevigiano si avvale della
direzione scientifica di Paolo Crepet e
del marchio “Impresa Famiglia”, che
identifica le 18 scuole per genitori sorte finora in tutta Italia. Il primo anno,
a Castelfranco, la Scuola Genitori ha
contato 350 corsisti. Il raddoppio della Scuola, con l’edizione di Treviso, è
stato necessario per far fronte al gran
numero di domande.
9
13 Novembre 2008 - Serata di apertura: “Viaggio nella famiglia italiana”
IL RELATORE
Psichiatra e sociologo, Paolo Crepet è autore
di numerose ricerche scientifiche e ha tenuto
corsi in diverse università italiane. Dal 2004
è direttore scientifico Scuola per Genitori
“Impresa Famiglia”, nata a Vicenza, che ormai
conta sedi in molte province italiane.
È autore di numerosi saggi, tra cui Dove abitano
le emozioni (2007), Sull’Amore (2006), I figli non
crescono più (2005), pubblicati con Einaudi. Nel
2008 è uscito il suo ultimo libro: Ad una donna
tradita.
L’avventura umana e professionale di Crepet
è stata segnata dall’incontro con Franco
Basaglia, che considera il suo maestro, proprio
nel momento che vedeva il grande psichiatra
concentrato a tracciare la svolta della
psichiatria italiana, quella che ha cambiato il
concetto di follia fino a generare la chiusura
dei manicomi.
Per saperne di più:
www.paolocrepet.it
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Lucia Pelamatti
IL RUOLO DELLE EMOZIONI
NEI PROCESSI DI
APPRENDIMENTO
LUCIA PELAMATTI - 12 Dicembre 2008
EMOZIONI,
SAPERLE DECIFRARE
PER VIVERE FELICI
Chi comprende e “parla” il linguaggio
delle emozioni è più felice e rende più
felici gli altri. Lucia Pelamatti, psicoterapeuta ed esperta di problematiche
delle famiglia, questa sera a Castelfranco Veneto (nella sala congressi
dell’Hotel Fior, ore 21) accompagnerà i genitori alla scoperta dei delicati
meccanismi che regolano la sfera
emozionale, un universo per lo più
sconosciuto eppure determinante nel
sancire il successo o il fallimento delle relazioni interpersonali. E non solo.
Infatti le emozioni giocano un ruolo
fondamentale nei processi di apprendimento. È il secondo appuntamento
della Scuola Genitori della Castellana
e Pedemontana 2008/2009, sostenuta dal Credito Trevigiano, per la direzione scientifica di Paolo Crepet.
«Le emozioni costituiscono il colore
stesso della nostra vita - afferma Lucia
Pelamatti - Eppure siamo tutti analfabeti in campo emotivo. Le emozioni
le si vive e basta, nessuno ci ha mai
insegnato a fermaci, a interrogarci,
a chiederci quale emozione stiamo
provando in un dato momento, con
che intensità, verso che tipo di comportamento ci può portare, a quale
pensiero è agganciata…» .
Perché è importante
farsi queste domande?
Solo affinando la conoscenza delle
nostre emozioni ed entrando in profonda relazione con il nostro mondo
emozionale possiamo capire quello
di un’altra persona, del partner, dei
figli, degli alunni...
Come si entra in relazione
con se stessi?
Prestando attenzione a ciò che accade a livello interiore. In genere si
crede che di fronte a una stessa situazione tutti si comporterebbero
in modo identico. Ma non è vero. Tra
la situazione e la reazione comporta11
12 Dicembre 2008 - “Il ruolo delle emozioni nei processi di apprendimento”
mentale, in mezzo, ci sono i pensieri e
le emozioni propri di ciascuno.
Sono essi che determinano
i comportamenti?
Sì. L’emozione è a sua volta figlia di
un pensiero. Ed è a livello di pensiero
che si deve lavorare. Se interveniamo
direttamente sull’emozione, infatti,
rischiamo di reprimerla, di soffocarla,
di buttarla nel profondo. Ma in questo modo ci si danneggia: la psicosomatica insegna infatti che molte malattie di oggi derivano proprio da una
cattiva gestione delle emozioni.
Quindi bisogna agire sui pensieri?
Esatto. Dobbiamo imparare a riconoscere i pensieri utili dai pensieri
irrazionali, dannosi, che producono
emozioni negative. Una categoria di
pensieri dannosi è ad esempio quella delle “doverizzazioni”, dell’ “io
devo assolutamente”, che si nutre
di valori, principi, ideali, regole. Tutti
elementi sacrosanti, che però devono viaggiare in concomitanza con il
principio del piacere. La persona armoniosa è quella che riesce a creare
un equilibrio tra le spinte del Super-io
(dovere) e le spinte dell’Es (piacere),
per usare due categorie freudiane, e
si ricava un principio di realtà, cioè riesce a gestire nella quotidianità sia il
dovere che il piacere.
Tale lavoro di analisi su di sé aiuta
anche a entrare in relazione positiva
con gli altri?
Un’attività importantissima è quella
che Thomas Gordon chiama l’“ascol12
to attivo”. Si tratta di imparare a scendere dal livello delle parole a quello
delle emozioni. La parola, in fondo, è
solo la punta dell’iceberg. Dobbiamo
andare a ciò che sta sotto, a ciò che
ha veicolato la parola e fare da specchio alle emozioni degli altri.
Fare da specchio?
Faccio un esempio. Di fronte ad una
porta sbattuta da parte di un adolescente, il genitore può reagire in maniera automatica, alzando la voce,
magari sbattendo a sua volta la porta.
Ma questa reazione moltiplica la condizione di stress emozionale e porta
a nuovi comportamenti problematici,
che avranno nuove reazioni automatiche negative. Si va dunque a star
male, si va al conflitto negativo.
Qual è invece la reazione corretta?
L’adulto dovrebbe impedirsi questa
reazione automatica e fare da specchio all’altro e con voce molto calma,
con un sorriso, dire: “Ma tu in questo
momento sei davvero tanto arrabbiato”. Quando l’altro si sente capito
dentro, in genere depone le armi, entra in connessione emozionale e vive
un momento di benessere emotivo.
Questo aiuta molto a costruire legami forti e duraturi.
Lucia Pelamatti
VA MALE A SCUOLA?
FORSE È SOLO TRISTE
Gli studi più recenti rimettono al centro il quadro emotivo
di Francesca Nicastro
I disturbi a livello emotivo possono
minare l’apprendimento scolastico.
C’è infatti una stretta interdipendenza tra la sfera emozionale e quella
cognitiva. Ciò spiega perché molti
bambini e ragazzi, seppur intelligenti,
a scuola possono andare male.
«Siamo sempre stati erroneamente
convinti che l’apprendimento dipendesse prevalentemente da processi
di ordine cognitivo - spiega Lucia Pelamatti, che stasera (ore 21, Hotel Fior)
parlerà ai genitori della Scuola - Oggi
invece, il ruolo del quoziente intellettuale è stato ridimensionato a favore
del quoziente emozionale. Gli ultimi
studi di Daniel Goleman ad esempio
dimostrano che se una persona ha un
problema a livello affettivo o emotivo, le sue risorse vengono bloccate e
non riescono a salire al cognitivo».
La personalità umana può essere immaginata come un triangolo. «L’angolo in alto è il cognitivo, che è sostenuto dai due angoli alla base, che
rappresentano l’uno la sfera emotivo-affettiva, l’altro quella relazionale
- illustra la docente - Se il ragazzo ha
problemi a questo livello, può essere
anche molto intelligente, cioè avere
un quoziente intellettuale nella norma o addirittura superiore, ma non
arriverà all’apprendimento».
Si tratta di casi molto frequenti: ra-
gazzi intelligenti, ma con difficoltà
scolastiche. «Ce ne sono tanti per
tutta una serie di problemi, legati
alle difficoltà di accordo famigliare,
alla mancanza di sicurezza – conferma Lucia Pelamatti - Il ruolo stesso
del padre, parecchio “sbiadito”, un
padre che sempre di più si confonde
con il “mammo”, è uno dei fattori di
insicurezza nel bambino. Oggi c’è il rischio concreto di generare tanti “io”
fragili».
Tra i fattori emotivi che maggiormente ostacolano o facilitano l’apprendimento ci sono l’autostima e l’ansia,
due stati d’animo di cui la docente
analizzerà le cause e i rimedi educativi, fornendo alle mamme e ai papà
chiavi di lettura e strumenti operativi
utili al loro difficile compito di educatori.
13
12 Dicembre 2008 - “Il ruolo delle emozioni nei processi di apprendimento”
IL RELATORE
Lucia Pelamatti, psicoterapeuta ed esperta
in sessuologia, si occupa principalmente di
problematiche relative alla coppia e alla famiglia e dirige un Consultorio familiare a Breno,
in Valcamonica. Ha insegnato in vari ordini di
scuola, è stata dirigente scolastica e ha collaborato con l’Università di Siena. Scrive per diverse riviste indirizzate a genitori, insegnanti
ed educatori.
È autrice di numerosi saggi, tra cui: Un incontro tra mondi emozionali. Quando si comunica
in famiglia (2001); L’amore sofferto. Quando la
sessualità divide la coppia (2003); Gonna e pantaloni. Maschile e femminile nella coppia (2004);
Usa la testa. Intelligenza, autonomia e apprendimento nel bambino da 0 a 12 anni (2006); Pensare bene rende giovani. Intelligenza, autonomia
e apprendimento nella stagione della maturità
(2007); La fatica di imparare. Adolescenti e
scuola (2007). Tutti pubblicati da Edizioni San
Paolo.
14
Mario Polito
GENITORI ESIGENTI
E FIGLI STRESSATI
STIAMO CHIEDENDO TROPPO AI NOSTRI FIGLI?
MARIO POLITO - 30 Gennaio 2009
«Caricare di minori impegni i figli e
trascorrere invece più tempo con
loro, magari riscoprendo insieme il
contatto con la natura». È il consiglio
che Mario Polito, psicoterapeuta,
darà alle mamme e ai papà che questa sera a Castelfranco (Hotel Fior,
ore 20.30) seguiranno la terza lezione
della Scuola per Genitori 2008/2009,
diretta da Paolo Crepet e sostenuta
dal Credito Trevigiano. Tema dell’incontro: “Genitori esigenti e figli stressati. Stiamo chiedendo troppo ai nostri figli?”.
Professor Polito, la risposta
alla domanda è: “Sì”?
La risposta è sì. Oggi verso i nostri ragazzi noi genitori abbiamo un atteggiamento di maggiore dedizione che
però consideriamo come un investimento. Un investimento che ci deve
garantire nel tempo un alto ritorno.
Chiediamo ai figli di essere i primi, i
migliori, i più bravi, a scuola come nello sport, nell’inglese, nel computer.
Tante richieste che vengono percepite dai ragazzi come un sovraccarico.
È colpa della società
sempre più competitiva?
È colpa del narcisismo dei genitori.
Vogliamo che lui
sia il migliore, il più
bello, il più bravo perché rappresenterebbe la parte migliore di noi stessi, quella che non abbiamo potuto realizzare. È l’illusione
narcisistica di avere ancora un’altra
possibilità attraverso i figli, di prolungare se stessi attraverso la loro vita.
Un giochetto un po’ rischioso, però.
Dove sta il rischio?
Quando gli adolescenti si accorgono
di questa sorta di annidamento nella
loro vita, non gridano, non sbattono
porte, ma innalzano un muro, elevato, di silenzio a difesa della propria
privacy.
In tutte le epoche i genitori hanno
riversato aspettative nei confronti
dei figli. È naturale, no? Un tempo,
addirittura, i figli erano costretti a
continuare il lavoro dei padri…
Quando nel passato si chiedeva al figlio di continuare il lavoro dei genitori si era in una dimensione realistica,
di passaggio di consegne tra generazioni, del tipo: “Noi arriviamo fin
qua, ecco il testimone, continua tu”.
Ma oggi si chiede ai propri ragazzi di
realizzare sogni di gloria, di inseguire
15
30 Gennaio 2009 - “Genitori esigenti e figli stressati”
ambizioni eccessive, di emergere in
questo mondo dell’immagine. Pensiamo alle mamme che si fanno in
quattro per seguire le bambine come
veline, le ragazze come ballerine…
C’è nel genitore il desiderio di emergere con il figlio. E così i ragazzi sembra che vivano nei sogni dei genitori
più che nel proprio sogno.
Dunque i figli non hanno bisogno di
tutte le “opportunità” che offriamo
loro?
No, non ne hanno bisogno. Però da
bambini si adattano facilmente a fare
tutte le cose che gli chiediamo. Poi,
quando arrivano a 13, 14, 15 anni, improvvisamente, mollano tutto: niente più violino, niente più danza… Gli
adolescenti si prendono una decina
d’anni di “moratoria”, un lungo periodo di apatia, di demotivazione e
disimpegno totale.
Da un eccesso all’altro.
Esatto, si tratta di una reazione. Ci
troviamo ad avere bambini accelerati, che a 4 anni iniziano a fare karatè,
e adolescenti rallentati, quando invece dovrebbe essere l’inverso: rallentare la crescita e poi all’adolescente
chiedere la virata.
Da cosa si riconosce
se un ragazzo è stressato?
Il primo indicatore è il venir meno
della gioia, che è un sentimento interiore per quello che si è fatto, magari
anche solo una passeggiata. Quando
un figlio perde il sentimento della
gioia, qualunque cosa gli si proponga
16
sbuffa. È un primo segnale d’allarme.
Poi gli altri sono la caduta degli interessi, l’apatia, la scuola che va come
va, nessuno che gli fa battere il cuore,
entusiasmo per nulla, nemmeno per
il gioco…
Se è vero che ai figli non fa bene avere una vita super organizzata e con
troppi impegni, qual è l’alternativa?
Il tempo libero da impegni, per entrambi, genitori e figli. Un tempo per
poter apprezzare una passeggiata,
condividere una risata con un amico, dare una mano a una persona in
difficoltà. Un tempo da dedicare al
contatto quotidiano con il proprio figlio. Un dialogo che non si riduca a:
“Come è andata oggi a scuola, cosa
hai fatto?”, ma che si sviluppi all’interno di un tempo lungo, naturale, ad
esempio durante una camminata al
parco, in cui il papà tiene il bambino
per mano o l’adolescente sottobraccio, e non sta rispondendo alle telefonate dell’ufficio.
Più tempo libero, dunque?
Certo, se il tempo libero non lo si ha
bisogna crearselo. E ai figli va fatto
scoprire il contatto con la natura.
Perché se l’uomo non trova il tempo
e il contatto con la natura, può guadagnare tutto il mondo ma perde
l’anima.
Mario Polito
TORNIAMO AI RAGAZZI
DELLA VIA PAAL
Più liberi, più responsabili: è il free-range parenting
di Francesca Nicastro
L’hanno battezzato free-range parenting (genitori a campo libero) o
free-range child (figli a campo libero)
ed è l’ultima tendenza americana in
fatto di educazione. A lanciarla, alcuni genitori, tra cui la giornalista canadese Leonore Skenazy, che ha aperto
il cliccatissimo blog http://freerangekids.wordpress.com.
I genitori che adottano il free-range
approch compiono un passo indietro
a vantaggio del tempo libero (e non
organizzato) dei figli.
Obiettivi del nuovo metodo educativo sono: da un lato liberare i genitori
dall’hyperparenting, l’ipergenitorialità, che li spinge a organizzare con mille attività la vita dei figli fin dai primi
mesi di vita; e, dall’altro, naturalmente, liberare i figli dai troppi impegni
spesso inutili, dando loro la possibilità di gestire a piacimento il proprio
tempo (pure di annoiarsi), ma anche
di muoversi nel mondo esterno in più
autonomia, a cominciare dal percorrere da soli il tragitto casa-scuola.
Mamme come la Skenazy, che mandano il figlio di 9 anni da solo nella
gigantesca metropolitana di Toronto,
asseriscono che lasciare giocare i propri ragazzi per la città li protegge da
un possibile fallimento futuro nel corso della loro vita perché acquisiscono
maggiori abilità sociali tramite reali
esperienze di vita.
A ben vedere, basta tornare indietro
di una generazione e tale approccio
educativo era pratica comune nelle
nostre comunità: i bambini e ragazzi
andavano a scuola da soli a piedi o in
corriera (non vi erano certo mamme
con il suv disposte a trasportarli a
destra e a manca) e, dopo le lezioni,
scorazzavano liberi per bande, fuori
dal controllo degli adulti per lunghe
ore, inventando giochi di fantasia nei
cortili, sotto i portici dei paesi, lungo i
fossi in campagna.
Il mondo di oggi non è quello di ieri,
anche nelle nostre “tranquille” contrade, non solo nelle metropoli d’oltreoceano: l’obiezione è pertinente.
Dobbiamo dunque rassegnarci al fatto che la stagione dei “ragazzi della
via Paal” sia una dimensione irrimediabilmente perduta? O invece è ancora possibile tentare la riscoperta,
per il bene dei ragazzi, di dimensioni
analoghe, più salutari perché a contatto con i codici reali, non virtuali
della vita? Se sì, come? Il dibattito è
aperto.
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30 Gennaio 2009 - “Genitori esigenti e figli stressati”
IL RELATORE
Mario Polito è psicologo, psicoterapeuta e pedagogista. In ambito didattico si è interessato
particolarmente al problema del metodo di
studio, alle varie tecniche di apprendimento e
di memorizzazione (antiche e moderne), alla
motivazione, all’apprendimento cooperativo,
alla dinamica di gruppo. In campo pedagogico, si è interessato alla relazione educativa tra
insegnanti e allievi e tra genitori e figli. Ha approfondito soprattutto il tema della comunicazione in vari ambiti: nella coppia, nella famiglia,
nella scuola, in ambienti lavorativo, pubblici e
privati.
È autore di numerosi saggi, tra cui: Atleti della
mente. Il potere dell’attenzione e della concentrazione (Editori Riuniti, 2007); Educare il cuore
(La Meridiana, 2005); Comunicazione positiva e
apprendimento cooperativo. Come intrecciare
benessere in classe e successo formativo (Edizioni Erickson, 2003); oltre ad una serie di guide
allo studio.
Per saperne di più:
www.mariopolito.it.
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Osvaldo Poli
LE DIFFERENZE NELLO STILE
EDUCATIVO DEL PADRE
E DELLA MADRE
OSVALDO POLI - 20 Febbraio 2009
MAMMA E PAPÀ, DUE
FACCE DELL’EDUCAZIONE
Madre e padre hanno stili educativi
differenti, entrambi necessari alla
crescita dei figli. Lo psicoterapeuta
Osvaldo Poli illustrerà le caratteristiche distintive dei due “codici”,
paterno e materno, questa sera a
Castelfranco (Hotel Fior, ore 20.30),
nell’ambito del terzo incontro della
Scuola per Genitori della Castellana
e della Pedemontana. Il percorso
formativo, giunto al secondo anno, è
sponsorizzato dal Credito Trevigiano.
Professor Poli, c’è dunque un modo di
educare maschile e uno femminile?
Madre e padre hanno due modi di
educare molto diversi, che sono
complementari. Esistono un codice
materno e uno paterno. Il codice materno “dice” protezione, quello paterno “dice” incoraggiamento. Sono
entrambi necessari per la crescita dei
figli.
opportunamente corretta dal dialogo
con il marito, rischia di eccedere. La
madre è tentata di attribuire a sé tutti gli errori del figlio. Questo eccesso
di protezione la porta a caricare su di
sé le fatiche dell’educazione, e quindi
ad essere stressata, eccessivamente
affaticata.
Quali sono le differenze
tra i due codici?
Il codice materno è imperniato sulla
protezione. La madre istintivamente
protegge, una tendenza che, se non
Come si devono integrare questi due
codici nell’educazione dei figli?
Nel primo tempo della partita educativa è giusto che prevalga il codice
materno, infinitamente più dotato
Quello paterno, invece?
Il codice paterno è incentrato sulla
forza e il coraggio. Tocca al padre trasmettere il coraggio di affrontare la
vita, insegnare a non aver paura delle
richieste impegnative della realtà. Le
parole maschili sono: fiducia, fatica e
sacrificio. Sono parole ardue. È l’insegnamento del padre che aiuta il figlio
a crescere, che gli fa capire quali sono
le cose giuste da perseguire anche
pagando il prezzo della rinuncia e del
sacrificio.
19
20 Febbraio 2009 - “Le differenze nello stile educativo del padre e della madre”
dal punto di vista psicologico e affettivo per crescere il figlio piccolo.
L’infanzia è pertanto la stagione della
mamma.
Quando entra in gioco
il padre, allora?
Il padre esprime meglio il proprio ruolo educativo nel secondo tempo della
partita, quando il figlio è adolescente. L’adolescenza è dunque il tempo
del padre. In questa fase della vita dei
figli, è lui il genitore di riferimento,
sia per i maschi che per le femmine.
Sono gli stessi ragazzi a preferire lui
alla madre, che è bene faccia un passo indietro.
Ma non è un po’ tardi per il padre entrare in gioco in adolescenza?
È chiaro che egli deve essere presente in tutte le età della vita dei figli.
Ma se nell’infanzia è bene che si faccia guidare dalla sensibilità materna,
molto più attenta, delicata, fine, nella
stagione dell’adolescenza l’educatore protagonista deve essere lui.
I codici di cui parla
sono genetici o acquisiti?
In parte sono genetici e in parte acquisiti. Entrambi i genitori possiedono una parte femminile e una maschile. In genere nella mamma prevale il
codice materno, nel padre quello paterno, ma capita che ci siano mamme
che assorbono il codice paterno con
una facilità impressionante e rappresentano esse all’interno della famiglia
il codice maschile. E viceversa.
20
Per il figlio ci sono conseguenze se in
una famiglia è la madre ad “indossare i pantaloni”, per così dire?
Ci si arrangia con quello che si ha in
casa. Non è importante da chi sia rappresentato il codice paterno ma è importante che ci sia. E le dirò di più…
Cosa?
Spesso quando è la mamma ad interpretare il codice paterno, o spontaneamente per natura o per il suo
percorso di crescita personale, lo fa
addirittura meglio del maschio, con
una profondità, una finezza maggiori.
Sembra che lei attribuisca al codice
materno una valenza negativa e a
quello paterno positiva.
Non è così. Semplicemente punto a
valorizzare il codice paterno perché
nella società attuale è in crisi. Oggi infatti a prevalere è il materno, che è un
codice di protezione, che vuole evitare ai ragazzi tutti i dolori del mondo.
Prevale nella famiglia, nella scuola,
nelle istituzioni. Si tratta di una giusta
e legittima reazione ai secoli passati
in cui aveva la meglio il codice maschile, con il suo portato di autoritarismo
e dunque di repressione psicologica.
Ma è anche vero che si è buttato via il
bambino con l’acqua sporca.
Osvaldo Poli
I PADRI?
«NÉ MAMMI NÉ ASSENTI»
di Francesca Nicastro
È una vera e propria missione quella dello psicoterapeuta mantovano
Osvaldo Poli: rivalutare la cultura paterna, valorizzando il ruolo del padre
in una società in cui «si sono perse le
buone ragioni per apprezzarlo». «La
mia riflessione - dice - è uno sport
estremo».
“Né assenti né mammi” è lo slogan
che egli propone ai papà d’oggi, nel
suo saggio Cuore di papà (2006, San
Paolo Editore), che caldeggia “il ritorno dei padri, al fianco delle madri, per
una cultura educativa di coppia”.
L’apporto della cultura paterna
nell’educazione è, per Poli, molto
importante: il padre è colui che non
risparmia al figlio il confronto con i
propri limiti, doveri e responsabilità.
«Il segno del padre è la ferita - spiega
- Il suo compito infatti è dire la verità
al figlio, anche a costo di ferirlo, perché solo con la verità e la sua accettazione si cresce. In questo senso il
padre è una figura di fede».
Anche la madre, beninteso, può assumere questo compito ma, secondo
l’esperto, «al padre viene più naturale perché, a differenza di lei, ha un’immedesimazione solo parziale con il
figlio».
L’amore paterno dunque «nasconde un coltello»: il padre deve essere
pronto anche a ferire suo figlio per
farlo crescere, deve saper «amare la
verità più di lui». «L’amore maschile è più misterioso, è più difficile da
credere, perché è più arduo credere
che dietro al dolore ci possa essere
amore - spiega Poli - Culturalmente è
diffusa l’idea che l’amore sia capacità
di accoglienza, vicinanza emotiva, ma
questa è solo la versione dell’amore nella sua declinazione femminile.
L’amore invece è anche altro: è forza,
capacità di esporsi al rischio, di sopportare il peso dell’incomprensione,
è lotta per l’altro. E questa è la declinazione maschile dell’amore».
Senza il “linguaggio” del padre, dunque, i figli non possono diventare
adulti. «Quando nell’educazione non
interviene la cultura paterna - conclude lo psicoterapeuta - i ragazzi non
crescono, rimangono immaturi, non
si formano la spina dorsale. Basta
guardarsi intorno: in questa società
in cui domina il codice materno, i ragazzi rimangono immaturi e con la
tendenza a scappare di fronte alle
difficoltà».
21
20 Febbraio 2009 - “Le differenze nello stile educativo del padre e della madre”
IL RELATORE
Osvaldo Poli, psicologo e psicoterapeuta, si
occupa principalmente della consulenza e della formazione dei genitori e della coppia. Ha
caldeggiato la creazione e la diffusione delle
Scuole dei Genitori, per sostenere la capacità
educativa della famiglia e la sintonia della coppia. Tra i temi più frequentemente affrontati: il
genitore “scoppiato”, la fermezza educativa ,
la conoscenza dei punti deboli del proprio carattere , l’immaturità affettiva , come seguire
i figli nell’esperienza scolastica , cosa significa
amare i figli, l’educazione alla gratitudine, i doveri dei figli nei confronti dei genitori, l’adolescenza non è una malattia, gli aspetti positivi
dell’educazione al maschile, gli effetti della
mancanza della visione educativa paterna
nell’educazione dei figli. È autore di numerosi
saggi, tra cui: Né asino né re (2008), Cuore di
papà (2006), Non ho paura a dirti di no (2004),
pubblicati con San Paolo Editore.
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Maria Rita Parsi
COME AIUTARE I FIGLI
A SUPERARE L’ANSIA
MARIA RITA PARSI - 13 Marzo 2009
ANSIA, QUANDO
I FIGLI HANNO PAURA
DELLA VITA
Spesso è trasmessa dalla famiglia:
Rita Maria Parsi spiega come capire e cosa fare
Presenza, amore e tante parole. Sono
gli strumenti con cui i genitori possono aiutare i figli a superare l’ansia. La
psicoterapeuta e pedagogista Rita
Maria Parsi lo spiegherà stasera (Castelfranco, Hotel Fior, ore 20.30) alle
mamme e ai papà della Scuola per
Genitori della Castellana e della Pedemontana, diretta da Paolo Crepet
e sostenuta dal Credito Trevigiano
- Banca di Credito Cooperativo. L’ingresso è riservato ai soli iscritti.
Dr.ssa Parsi, in base alla sua esperienza professionale ci sono tanti bambini ansiosi oggigiorno?
Ci sono tanti bambini ansiosi perché
ci sono tanti genitori ansiosi.
Di quali ansie soffrono,
in genere, i genitori?
Di varia natura, legate ai ritmi della
famiglia, alle situazioni lavorative. I
genitori possono ad esempio essere
preoccupati e vivere con il senso di
colpa il fatto che, lavorando entram-
bi, lasciano i figli troppo da soli… C’è
poi l’ansia del cambiamento che il primo figlio porta nella coppia, la preoccupazione di come gestire le gelosie
tra fratelli all’arrivo del secondo…
Le risulta che sono più ansiose
le mamme o i papà?
In genere le mamme. Sono preoccupate che i bambini si trovino bene,
siano ben collocati all’asilo, a scuola o
con le persone a cui li affidano quando sono via. Ci sono poi ansie tipicamente femminili come, in gravidanza,
l’ansia dell’attesa: come sarà il bambino, come avverrà il parto…
Tutte queste preoccupazioni
vengono trasmesse ai figli?
Esatto. Fin dalla nascita e ancora prima. Perché un bambo, soprattutto
se piccino, non le decodifica ancora
ma le vive con la memoria del corpo.
Mano a mano che il figlio cresce, poi,
le ansie dei genitori si trasformano
in controllo: “Stai attento a quello”,
23
13 Marzo 2009 - “Come aiutare i figli a superare l’ansia”
“Non andar lì”, “Cosa hai fatto”…
stare fiducia nell’adulto.
Che conseguenze hanno
sulla crescita del bambino?
I bambini sono capaci di contenere
l’incontenibile, specialmente se vengono aiutati a decodificare e se hanno
altri adulti di riferimento. Però queste
situazioni li portano a crescere prima
e insieme a rimanere infantili dentro,
aspettando il momento in cui poi possano veramente esprimere tutto il
dolore che non hanno mai espresso,
e la rabbia e la paura.
E se invece il figlio è più piccolo?
Il racconto di una storia non è solo razionale, è sempre anche un’emozione. I bambini più piccoli però hanno
anche bisogno di essere riconfortati
con la presenza, con lo stare insieme,
di essere abbracciati, di ricevere un
affetto grande. Di recuperare tutto quel contenimento, quel tempo,
quella disponibilità, tutte le parole, i
racconti, insomma tutta quella presenza, quel clima calmo e caldo che è
mancato. Insomma: presenza, amore
e tante spiegazioni, che sono strumenti. Mente, corpo e immaginario
vanno nutriti allo stesso tempo.
Per evitare di trasmetterla ai figli,
come può un adulto tenere sotto
controllo la propria ansia?
Con una buona conoscenza di sé,
dunque osservando i propri comportamenti e confrontandoli con quelli
degli altri. Molto utile sarebbe allargare questo percorso ad altre coppie
di genitori, per scambiarsi esperienze
e poi organizzare delle modalità di
comportamento, dei percorsi e dei
protocolli. Sulla base dei quali verificare come vanno le cose con i bambini e con noi stessi, con la coppia,
con la famiglia. E poi ricominciare con
l’osservazione.
Come deve comportarsi?
Deve raccontare al ragazzo come le
ha superate o le sta superando. Deve
dirgli: “Guarda, io ho fatto questa
strada per arrivare in vetta, sai? Anche io son partito da qua, avevo tanta paura, ma poi piano piano ce la sto
facendo…” Il ragazzo ha bisogno di
sentirsi dire queste cose e di riacqui24
L’ansia è un sentimento che dobbiamo considerare sempre e solo negativo?
No, se non è patologica, se non diventa strumento di controllo e dunque di
tortura e di oppressione, è anche uno
stimolo. Come la paura è madrina del
coraggio, così l’ansia è madrina della
possibilità di difendersi e della capacità di raggiungere gli obiettivi.
Maria Rita Parsi
TENSIONE, PERFEZIONISMO,
COLLERA: LA SOGLIA
DEL PERICOLO
Scuola e sport, i segnali d’allarme
di Francesca Nicastro
Come poter valutare se, nel proprio
figlio, l’ansia è diventata o sta diventando un vero e proprio disturbo?
Ecco alcuni criteri di riconoscimento (fonte: www.psicologia-sviluppo.
com).
“Nei bambini e negli adolescenti l’ansia patologica (‘disturbi d’ansia generalizzata’) si manifesta principalmente con preoccupazioni relative agli
impegni scolastici o alle prestazioni in
generale, come gli impegni sportivi, o
gli impegni sociali.
Può essere presente una tendenza al
perfezionismo che genera uno stato
di tensione, che può causare o un impegno eccessivo o comportamenti di
evitamento.
L’ansia si manifesta in varie forme,
per esempio il bambino può presentare un atteggiamento di sfida, oppure essere molto irritabile o vivere
momenti di chiusura e isolamento.
Il bambino ansioso vive costantemente un vago sentimento d’oppressione, associato a un atteggiamento
di attesa di un avvenimento vissuto
come spiacevole e imprevisto.
L’angoscia nei bambini trova espressione attraverso il corpo, sotto forma
di sintomi somatici, come cefalea,
vomito, dolori addominali o agli arti,
oppure può diminuire la capacità di
attenzione e possono manifestarsi
distrazione e svogliatezza.
A partire dalla preadolescenza (11-12
anni) l’angoscia si esprime anche attraverso crisi di collera, atteggiamenti di continua richiesta, alterazioni
comportamentali. In questa fase si riscontra una sintomatologia complessivamente più grave, con un maggior
numero di sintomi, una maggiore
compromissione del funzionamento
sociale e personale e una maggiore e
più evidente sofferenza soggettiva”.
Che fare in questi casi? «Un intervento psicologico tempestivo – scrive
la psicologa Letizia Maduli - impedisce che il disturbo interferisca con
lo sviluppo cognitivo, relazionale e
affettivo del soggetto. L’intervento
psicologico può essere rivolto principalmente alla famiglia, ritenuta una
importante risorsa e il principale strumento di supporto, con lo scopo fornire informazioni e indicazioni per una
migliore comprensione dei sentimenti del bambino, e dell’importanza di
adottare determinati comportamenti
che rassicurano il bambino permettendogli di sviluppare una graduale
sicurezza per affrontare le situazioni
che destano preoccupazione».
25
13 Marzo 2009 - “Come aiutare i figli a superare l’ansia”
IL RELATORE
Psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, svolge
da anni un’intensa attività didattica e di formazione presso università, istituti specializzati,
associazioni private. Ha elaborato una metodologia psicologica della “Psicoanimazione”,
fondando e dirigendo la SIPA (“Scuola Italiana
di Psicoanimazione”). In 30 anni, ha formato
migliaia di persone con la metodologia a mediazione creativo-corporea per lo sviluppo del
potenziale umano.
Nel 1991 ha dato vita alla Fondazione Movimento Bambino che conta quattro centri (Roma,
Milano, Cosenza e Vittorio Veneto) e fulcri in
tutta Italia e nella Svizzera italiana, per la diffusione del pensiero e dell’arte dei bambini contro gli abusi e i maltrattamenti, e per la tutela
giuridica, sociale, culturale dei ragazzi.
Collabora con quotidiani e periodici con rubriche settimanali e ha partecipato a numerose
trasmissioni televisive in qualità di esperta di
psicologia e di opinionista. Al suo attivo ha
numerose pubblicazioni di tipo scientifico e
divulgativo. È consulente della Commissione
Parlamentare per l’Infanzia dal 2002 a oggi.
26
Paola Scalari
COME GESTIRE
I CONFLITTI
TRA FRATELLI
PAOLA SCALARI - 17 Aprile 2009
«I fratelli sono fondamentali per la
crescita. Poi, da adulti, diventano “testimoni” delle reciproche esistenze».
Questa sera a Castelfranco (Hotel
Fior, ore 20.30) la psicoterapeuta Paola Scalari affronterà il tema “Come
gestire i conflitti tra fratelli”, nell’ambito del sesto incontro della Scuola
per Genitori della Castellana e della
Pedemontana, diretta da Paolo Crepet e sostenuta dal Credito Trevigiano – Banca di Credito Cooperativo.
L’ingresso è riservato ai soli iscritti.
Dottoressa Scalari, la rivalità
tra fratelli è inevitabile?
Rivalità, gelosia, competizione fanno parte di quel gioco di conflitti e
contrapposizioni che avviene sempre all’interno di un gruppo di pari e
che ha la valenza positiva di aiutare a
trovare soluzioni creative alla rabbia,
al senso di ingiustizia, alla delusione,
sentimenti che fanno parte della vita
e del rapporto con gli altri.
Per cosa competono i fratelli?
L’aspirazione di ogni bambino - comprensibile ma non possibile - è di
essere l’unico amato dalla mamma.
I sentimenti di gelosia che i figli provano sono solo apparentemente
rivolti al fratello; i
veri destinatari sono
i genitori, in particolare
la madre.
Tale competizione
è positiva o negativa?
Il desiderio di avere tutta la mamma
per sé non è un sentimento negativo, ma naturale. Tuttavia è molto
utile nella vita imparare a rinunciare al privilegio di essere al centro
dell’attenzione, a sopportare di essere messi da parte senza uscirne
distrutti, ad accettare che gli altri ci
vengano preferiti. Certo, sono sentimenti che creano dolore, ma aiutano
a rafforzarsi e insegnano a superare
le situazioni complesse nel rapporto
con l’altro che si presenteranno sempre nel corso dell’esistenza.
Quindi avere un fratello
è un buon allenamento alla vita?
I fratelli hanno un’opportunità in
più dei figli unici perché imparano a
gestire i sentimenti negativi e le frustrazioni. Nella fratria si apprende il
linguaggio della relazione tra pari,
i “movimenti” tipici del gruppo che
poi serviranno per farsi amici a scuola, nella “compagnia” da adolescen27
17 Aprile 2009 - “Come gestire i conflitti tra fratelli”
ti, da adulti con i colleghi in ufficio…
C’è più rivalità fra fratelli dello stesso
sesso o tra fratelli di sesso diverso?
Rivaleggiano di più i fratelli nati molto vicini. In due bimbi che nascono,
ad esempio, ad appena 16 mesi di
distanza, il maggiore non ha avuto il
tempo di rifornirsi a dovere dell’esclusività. Se la differenza di età è invece
di 3 anni, il primogenito si sente già
grande, sa che andrà all’asilo, sente
di aver già avuto…
Quando i figli litigano tra di loro,
come devono comportarsi i genitori?
Lasciare che si arrangino e non mettersi mai in mezzo. Se è vero che la
competizione è per l’amore e l’attenzione del genitore, qualora l’adulto intervenga facendo il processo
all’uno o all’altro, cercando di capire
chi ha ragione e chi torto, punendo
uno piuttosto che l’altro, la rivalità
tra fratelli non potrà che aumentare.
Bisogna lasciare che si arrangino, troveranno da soli ottime soluzioni.
E se insistono?
Se insistono e rompono l’anima va
data una punizione uguale a entrambi, l’importante è rimanere fuori dal
“gioco” perché è proprio quel gioco
lì che loro vogliono.
Quali sono gli errori più frequenti
che commettono i genitori?
Pensare di essere di essere equi e imparziali con i propri figli. Non è possibile esserlo, dato che i bisogni dei figli
sono diversi. Equità non è dare a tutti
28
le stesse cose, ma dare di più a chi ha
più bisogno. I figli devono accettare
che ognuno ha secondo le sue necessità. Se un figlio è malato, ha un esame, cioè ha più necessità, il genitore
sta più vicino a lui, e i fratelli devono
saperlo e accettarlo. L’educazione è
diversità non uguaglianza.
Come si evolve il rapporto
tra fratelli nell’età adulta?
Se prima in fratelli sono fondamentali
per crescere, un giorno lo diventano
per poter condividere i ricordi. Il “si
aiuteranno quando noi non ci saremo
più” - che comunemente pensano e
dicono i genitori - non riguarda solo
la vita pratica e materiale, ma anche
la “testimonianza” delle reciproche
esistenze.
Paola Scalari
ARRIVA UN FRATELLINO?
SPIEGATEGLI TUTTO
Come aiutare i bimbi a superare il trauma più difficile
di Francesca Nicastro
L’arrivo del fratellino è sempre un
trauma per il primo figlio, specie se
ancora piccolo. Con qualche accorgimento, però, i genitori possono rendere meno doloroso l’evento. «Quando la mamma rimane incinta bisogna
comunicarlo al bambino senza aspettare troppo tempo - consiglia la psicoterapeuta Paola Scalari, autrice del
libro Essere fratelli. Scontri e incontri
(Armando Editore, Roma, 1998) - I
bambini infatti sanno leggere nell’atmosfera ed è meglio che vengano a
sapere la novità dalla mamma piuttosto che da altri, magari per caso. La
notizia va accompagnata da un piccolo rito festoso, ad esempio portare
il bambino a mangiare le pastine o il
gelato». Altra buona regola: in gravidanza evitare al piccolo qualsiasi
angoscia, in modo che non associ la
sofferenza della mamma al fratello
in arrivo. «Se la mamma invece sta
male e deve stare al letto - continua
l’esperta - bisogna assicurarsi che ci
sia un adulto, affinché il bambino non
si senta abbandonato».
Arriva quindi il momento fatidico:
l’ingresso in casa del nuovo nato.
«Quando lo vede in carne e ossa, per
lui è una grande delusione - racconta la Scalari - Lo aveva immaginato
come compagno di giochi e si trova
davanti un lattante, con cui non può
interagire. Potrà quindi uscire con
domande del tipo: “Perché non lo
cambiamo con qualcos’altro? Perché
non lo riportiamo indietro?” In questi
casi gli adulti devono stare al gioco e
rispondere ad esempio: “Proviamo
a tenerlo una settimana e vediamo
come va…”».
Una buona strategia è coinvolgerlo
fin dal giorno in cui il neonato varca
la soglia di casa, magari mettendoli a
letto entrambi con la mamma. Niente
drammi nemmeno se il primo figlio
regredisce: pipì a letto, richiesta di biberon e ciucci, somatizzazioni varie.
«Non bisogna mai drammatizzare, né
mai prendere in giro il bambino per
le cose che dice, mai farlo sentire in
colpa - conclude la psicoterapeuta - è
importante manifestargli molta comprensione, parlargli molto, raccontare, fargli sentire che non deve cancellare i sentimenti che prova, perché
se li ributta negli “abissi” gli daranno
fastidio per sempre. Sono sentimenti in fondo che spariranno nel giro di
qualche mese».
29
17 Aprile 2009 - “Come gestire i conflitti tra fratelli”
IL RELATORE
Psicoterapeuta, psicologa e psicosocioanalista,
Paola Scalari è docente di Psicopatologia
della coppia e della famiglia presso la Scuola
di specializzazione per psicoterapeuti
COIRAG, sede di Milano, e docente di
Tecniche di conduzione di gruppo operativo
dell’associazione ARIELE Psicoterapia, a
Brescia. È direttore scientifico della rivista
on-line www.figliadolescenti.it. Nel 1988 ha
fondato i “Centri età evolutiva” del Comune
di Venezia per sostenere la famiglia nel suo
compito di far crescere i figli e ora si occupa
della progettualità del servizio Infanzia
Adolescenza della Città di Venezia.
Tra le sue pubblicazioni: Paure. Bambini
spaventanti (Armando Editore, 1997); Essere
fratelli. Scontri e incontri (Armando Editore,
1998); I sì e i no. Concedere o proibire (Armando
Editore,1997); Qui comando io. Come farsi
obbedire dai bambini (Armando Editore, 2003);
E adesso basta. Ascoltami (La Meridiana, 2004);
Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola
(La Meridiana, 2005); Figli spezzati. Aiutare
i genitori in crisi, separati e divorziati (La
Meridiana, 2006).
30
Paolo Crepet
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PAOLO CREPET - 3 Giugno 2009
Il tema dell’«emergenza educativa» è
tornato prepotentemente alla ribalta
sulla scia del caso Noemi-Berlusconi.
Il cardinale Bagnasco ne ha parlato
per ben due volte in pochi giorni…
Guardi, in questo Paese non ci si occupa dell’educazione anche perché ci
sono due categorie professionali che
dovrebbero farlo ma non lo fanno.
Quali?
I politici e i giornalisti. E se uno ha
la coda di paglia riguardo a un argomento, è evidentemente che non lo
affronta, che fa di tutto per evitarlo.
I politici e i giornalisti, con gli orari di
lavoro che hanno, i propri figli li sentono al massimo al telefonino.
E allora?
E allora esiste un meccanismo psicologico che si chiama “rimozione”:
evito di affrontare i temi sui quali mi
sento personalmente in colpa. E così
i politici che dovrebbero fare le
leggi sull’educazione e i giornalisti
che dovrebbero sollecitarle non lo fanno.
srl
A chiudere l’edizione 2008/2009 della
Scuola per Genitori della Castellana
e della Pedemontana, questa sera a
Castelfranco (Hotel Fior, ore 21), sarà
lo psicoterapeuta Paolo Crepet, che
ne è il direttore scientifico. In questa
intervista in due puntate (domani la
seconda) affronta a 360 gradi la questione dell’«emergenza educativa in
Italia».
pe
ha
EMERGENZA EDUCATIVA,
EMERGENZA ITALIANA
Dunque il caso Noemi ha squarciato
un velo su un argomento tabù della
politica italiana?
Il dato interessante è che per la prima volta i politici italiani, ai massimi
livelli, accennino all’idea di essere padri. Nessun leader politico aveva mai
parlato pubblicamente prima d’ora
di cosa significhi essere educatore.
Mi piacerebbe che il dibattito andasse oltre la querelle “bugia sì” “bugia no” e ci si confrontasse invece
sui problemi educativi della famiglia
italiana.
Quali sono?
Il fatto che la famiglia esiste in media 45 minuti al giorno, come riporta
uno studio inglese pubblicato da la
Repubblica nei giorni scorsi. E se andassimo a vedere cosa accade in quei
45 minuti ne vedremmo delle belle,
magari scoprendo che vengono impiegati davanti alla tivù… E questo
non è certo essere famiglia.
Quali leggi dovrebbero
fare i politici?
31
3 Giugno 2009 - “Emergenza educativa, emergenza italiana”
Ad esempio, dovrebbero porsi il
problema di come possa dedicarsi
all’educazione dei figli una famiglia
di Treviso che esce alle 8 di mattina
per andare al lavoro e rientra alle 7
di sera. Quando si parla di aiuti alle
famiglie, la politica non sa fare di più
di uno sconto sul 740 della dichiarazione dei redditi. Ma cosa vuole che
importi a una madre e a un padre che
non hanno tempo di stare con i propri figli 100 euro in meno a fine anno?
Cosa ha a che fare, secondo lei, il
caso Noemi-Berlusconi con l’«emergenza educativa»?
Come padre sarei molto preoccupato
se mia figlia di 17 anni frequentasse
un certo mondo, che io considero
deleterio, pieno di disvalori, dove circolano droga e prostituzione. Sarei
allarmato anche solo se mia figlia volesse intraprendere quel tipo di vita e
comincerei a farmi domande su me
stesso, su dove ho sbagliato come
genitore.
Dario Fo e altri lo hanno additato
come sintomo di un degrado culturale del Paese. È d’accordo?
È senz’altro sintomo di un malessere generale. Noemi è una ragazzina
di appena 18 anni che fa una vita da
donna fatta e matura. Oggi si bruciano tutte le tappe. Nelle trasmissioni
televisive a cui partecipo incontro
ragazzine ancora più giovani, di 13-14
anni, che stanno giro fino alle 5 del
mattino a sbaciucchiarsi con i morosi e a bere. E che, quando tornano a
casa, non trovano nessuno che dica
32
loro niente. Siamo al disastro educativo.
Che domande dovrebbe porsi il Paese di fronte a questo?
Se è giusto che a 17 anni una ragazzina vada a certe feste e frequenti uomini di un certo tipo.
Scusi, non le pare più preoccupante
il fatto che un Presidente del Consiglio frequenti una minorenne e le
lasci intendere che questo rapporto
compiacente favorirà la sua carriera
nel mondo dello spettacolo e della
politica?
De Gasperi non l’avrebbe mai fatto.
Il potere oggi è diseducativo?
Oggi il potere non serve più solo a governare, ma anche a fare la bella vita.
È stato Bettino Craxi che ha abbattuto la muraglia che divideva la classe
politica di ieri da quella di oggi. Quella
di ieri, pur con tutti i suoi difetti, pensava al bene del Paese e non alle belle brasiliane, e quantomeno diceva:
“Giù le mani dai bambini”. Se lo immagina lei Aldo Moro in una camera
d’albergo con tre ballerine?
Francamente no.
Con il Craxismo c’è stata la rottura
epistemologica della politica italiana:
si è passati in pochi anni da Fanfani
alla bandana. Con il risultato che oggi
il potere si arroga il diritto di governare anche le leggi morali.
Paolo Crepet
«È STATO UN SUCCESSO
STRAORDINARIO»
Nicola Di Santo: ora sconti ai padri e più zoom tematici
di Francesca Nicastro
«Sconti ai papà per incentivarli a partecipare ai prossimi corsi per genitori». A tirare il bilancio dell’edizione
2008/2008 della Scuola per Genitori
della Castellana e Pedemontana, e ad
anticipare i prossimi obiettivi, è Nicola
Di Santo, presidente del Credito Trevigiano - Banca di Credito Cooperativo,
principale sponsor dell’iniziativa.
Presidente Di Santo, stasera si chiuderà il secondo anno della Scuola,
che in sette incontri ha trattato il
tema della fermezza educativa. Quale bilancio tirare?
Straordinario. Eccezionale. Abbiamo
constatato un notevole coinvolgimento emotivo da parte dei genitori,
un grande interesse. Significa che il
problema educativo c’è e che quindi
c’è tanto bisogno di iniziative come
questa. Le mamme e i papà, impegnati nel difficile compito di educatori,
avvertono la necessità che qualcuno
li prenda per mano e offra loro chiavi
di lettura.
Lei, come padre,
ne ha tratto beneficio?
Moltissimo. Spesso sono uscito dai
corsi con rimorsi di coscienza, ripercorrendo errori commessi con i miei
figli. Però ho anche acquisito nuovi
strumenti. La Scuola infatti non è solo
teoria. Ad esempio io e mia moglie
abbiamo scoperto che la mediazione
è molto efficace con il nostro figlio di
14 anni. Ho potuto constatare inoltre
come il metodo educativo di stampo
patriarcale usato dai miei con me non
era buono allora né oggi sarebbe più
applicabile.
Come mai una banca decide di sponsorizzare una scuola per genitori?
L’articolo 2 del nostro statuto dice
che dobbiamo promuovere lo sviluppo della persona e della società. Tale
indicazione statutaria noi la interpretiamo offrendo formazione ai genitori, che sono il perno della famiglia e
dunque della comunità. Ed è proprio
questa attenzione al territorio in cui
siamo inseriti che fa la differenza tra
le banche di credito cooperativo e le
altre.
Avrà un seguito quest’esperienza?
Certo. E non solo. Il prossimo anno
vorremmo incentivare la presenza dei
padri, che è stata di molto inferiore a
quella delle madri. E così prevedremo
degli sconti per il secondo coniuge
che si iscriverà. In più, ridurremo le
lezioni del corso base e per ampliare
invece i seminari tematici, visto l’alto gradimento riscontrato dal corso
sull’autostima.
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3 Giugno 2009 - “Emergenza educativa, emergenza italiana”
Oltre la Scuola per Genitori, il Credito
Trevigiano promuove molte altre iniziative a sfondo sociale, come il concorso rivolto ai ragazzi delle scuole “I
piedi nel locale, la testa nel globale” e
l’educazione al risparmio. Per ulteriori informazioni: www.bcctrevigiano.
it
IL RELATORE
Psichiatra e sociologo, Paolo Crepet è autore
di numerose ricerche scientifiche e ha tenuto
corsi in diverse università italiane. Dal 2004
è direttore scientifico Scuola per Genitori
“Impresa Famiglia”, nata a Vicenza, che ormai
conta sedi in molte province italiane.
È autore di numerosi saggi, tra cui Dove abitano
le emozioni (2007), Sull’Amore (2006), I figli non
crescono più (2005), pubblicati con Einaudi. Nel
2008 è uscito il suo ultimo libro: Ad una donna
tradita.
L’avventura umana e professionale di Crepet
è stata segnata dall’incontro con Franco
Basaglia, che considera il suo maestro, proprio
nel momento che vedeva il grande psichiatra
concentrato a tracciare la svolta della
psichiatria italiana, quella che ha cambiato il
concetto di follia fino a generare la chiusura
dei manicomi.
Per saperne di più:
www.paolocrepet.it
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ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI
Si ringraziano per la collaborazione
CASTELFRANCO V.
Assessorato alle Politiche
Sociali e Sanitarie
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI TREVISO
CREDITO TREVIGIANO
Segreteria generale
Via Roma, 15 - 31050 Vedelago (TV)
Tel. 0423.701212 / Fax 0423.401228
E-mail: [email protected]
www.creditotrevigiano.it
Confartigianato Impresa Famiglia
Via E. Fermi, 134 - 36100 Vicenza (3° piano)
Tel. 0444.168520 - 525 - 383 - 300 / Fax 0444.386709
E-mail: [email protected]
www. scuolagenitori.it - www.impresafamiglia.it