a daytona ho aperto la strada
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a daytona ho aperto la strada
A DAYTONA HO APERTO LA STRADA Franco Farnè Un passo indietro, per dire di quanto sia profondo il legame tra Franco Farnè e la Ducati. Corre l'anno di grazia 2002, quando Pierfrancesco “Frankie” Chili, pilota bolognese orgoglioso delle proprie radici, rientra col sorriso della festa nella grande famiglia di Borgo Panigale, dalla quale si era allontanato per tentare una sfortunata avventura in Suzuki. Rientra, e subito manda un abbraccio, una carezza fatta di parole lievi, alla sua gente. “E' bello ritrovare grandi professionisti, gente come Franco Farnè per cui la Ducati è una famiglia, e che ti trasmette la stessa sensazione”. Appunto. Farnè in casa Ducati ci ha abitato per oltre mezzo secolo. Ne è diventato un simbolo. “Ci sono entrato nel '51, avevo diciassette anni e presi il posto di mia madre, che era andata in pensione. Prima avevo fatto di tutto: garzone di fornaio, saldatore, meccanico. Stare in mezzo ai motori mi piaceva, e mi attiravano le due ruote. Ricordo che dopo la morte di papà, avevo soltanto dieci anni, mamma andava a lavorare e mi lasciava da parenti che avevano un negozio di biciclette. Allora andava di moda motorizzarle, e io presi confidenza con il Mosquito, con il Cucciolo”. La Ducati fece il resto, mettendo il giovanissimo Franco a contatto col mondo che sognava. Il posto giusto, se uno ha la vocazione. “Mi misero subito in sala prove. Lavoravo sul Cucciolo e sul Cruiser, una moto fantastica, un 175 quattro tempi con avviamento elettrico e cambio idromeccanico. Intanto, mi preparai un Ibis 48, naturalmente portandolo a 60 cc., e presi a scorazzare per Bologna. Il gas lo aprivo, ma erano altri tempi... c'era meno traffico, sapete... Mi vide il caporeparto, Eugenio Lolli, che cercava ragazzi che avessero voglia e capacità per disputare il Motogiro d'Italia, e mi fece provare il Cucciolo tre marce sul rettifilo della Persicetana. Evidentemente lo convinsi, perché decise di mettermi in squadra”. Quattro stagioni memorabili, quelle vissute sulle strade del Motogiro. “La prima volta l'affrontai con il Cucciolo 48, l'anno dopo col '98. Poi fu la volta del 100 Marianna ideato dall'ingegner Taglioni. L'ultima volta fu con un Desmo 100, e partii col passo giusto vincendo le prime tre tappe. Ma andò a finire male: scendevo da Verbania a Riccione sotto la pioggia, e sul bagnato me la sono sempre cavata bene, ma al controllo di Lugo ruppi un pistone mezzo chilometro dopo la partenza. La mia storia al Motogiro finì lì. Epilogo amaro, ma mi resta il ricordo di una grande manifestazione, ed è intenso e fantastico. Noi della Ducati eravamo una bella squadra, giovane, e io ero la mascotte del gruppo”. Non finisce qui, la storia. Franco Farnè va oltre, bandiera di un motociclismo che oggi vive ancora dentro certe foto in bianco e nero. Quello dei circuiti cittadini sulla Riviera adriatica, la mitica Mototemporada romagnola, quello in cui i soldi erano contati ma i sogni non avevano limiti. “Io non mi sento proprio di giudicare, di dire se oggi sia meglio o peggio di allora. So soltanto che sono nato e cresciuto dentro quel motociclismo, e naturalmente era un'altra storia. Più genuino, direi, quasi fatto in casa. Ruspante. Oggi arriviamo in un circuito e passiamo mezza giornata ad allestire il box, stendiamo anche la moquette per terra. Allora era tanto se c'era, il box. Un foglio di giornale sotto la moto e si lavorava. E non toccava solo a me, anche uno come Jarno Saarinen, per dire, viveva in quel modo. Se vincevi, anche i meccanici si mettevano qualcosa in tasca, se andava male si rischiava di saltare tutti quanti la cena. Si viveva con poco e ci si faceva bastare quello che c'era. Arrivavi sui circuiti di Riccione, di Rimini, di Cesenatico, e provavil il sabato pomeriggio, a volte addirittura il mattino della domenica. Con un treno di gomme facevi mezza stagione, oggi ne occorrono sei ad ogni weekend. Erano, s'intende, altre velocità, e le moto potevano avere potenze diverse. Oggi c'è molta professionalità, ma quello che allora ti gratificava era il contatto con la gente, che ti ripagava di tutti i sacrifici”. La carriera di Franco Farnè, pilota Ducati, è sbocciata sulle strade del Motogiro ed è maturata ben oltre. “Nel '56 la Ducati smise e io proseguii da privato, tra gli Junior, con moto di 100, 125 cc di cilindrata e uno scatolone di pezzi di ricambio che mi avevano lasciato e che mi feci bastare per diverse stagioni. Spaggiari e Gandossi, che correvano con me, passarono tra i Senior. Mi divertii parecchio, e anche in questo caso ho ricordi bellissimi. Come il debutto nella 125 del '59, quando sotto la pioggia arrivai primo davanti al grande Walter Villa. O ancora la vittoria nella Coppa d'Oro Shell a Imola nel '61, davanti a Philips e Redman, vinta con la mia Ducati gestita da casa. Mi fidavo di quella moto, ci avevo lavorato io e sapevo quello che potevo chiederle. Per come era stata conseguita, quella di Imola fu davvero un'impresa”. Un'altra è appesa al vetro del capannone Ducati, alla Cicogna. Il ritaglio di un giornale americano. Daytona, 1959. Farnè è il primo italiano ad affrontare quella pista leggendaria. “Arrivo e mi dicono che devo correre nella categoria Amateurs, perché lì nessuno mi conosceva. Va bene, accetto le regole: vinco col mio 175, rifilando quaranta secondi a quello che mi seguiva. Poi ci sono tornato, a Daytona, ma correndo in condizioni di inferiorità: con una 350 in mezzo alle 500”. Aveva i numeri, Franchino Farnè. E il talento, e quel pizzico di incoscienza che ogni tanto lo scaraventava giù dalla moto. “Non cadevo spesso, ma quando capitava mi facevo male. Ho cinquantasei punti sparsi per il corpo. Nel '63 caddi a Modena e rimasi venti giorni in coma. Avevo appena avuto contatti con la Derby per correre il Mondiale 125. Finì tutto lì, anche se qualche gara, diciamo pure della mutua, l'ho fatta anche dopo. Avevo perso anche due titoli italiani, per colpa delle cadute. Dopo Modena ripensai a tutto, feci un bilancio: avevo un bambino piccolo, una famiglia, ventinove anni. A una certa età capisci quando il treno ti sta scappando”. Basta velocità, basta circuiti. Ma Ducati nel destino, sempre e comunque. Anche dopo. “Nel '64 sono diventato responsabile del reparto corse, e a parte una breve parentesi con la Bimota sono rimasto qui fino alla pensione, nel '99. E anche oltre. Qui mi sento in famiglia. Il mio maestro è stato l'ingegner Taglioni, professionista e uomo unico. Ci capivamo con uno sguardo, era un grande proprio perché non saliva mai sul piedistallo, sapeva sempre rimettersi in gioco. Se mi guardo alle spalle, credo di essere stato fedele alla Ducati. Ho lavorato giorno e notte per questa passione, ma l'ho voluto io. Mi sono divertito da matti e rifarei tutto”. FRANCO FARNE' è nato a Bologna nel 1933. E' un pezzo di storia del Reparto Corse Ducati: già correva con il Cucciolo prima che l'ingegner Fabio Taglioni si legasse alla casa bolognese. Da pilota annovera diverse partecipazioni al Motogiro e alcuni successi storici, come la Coppa d'Oro Shell del '61. Come collaudatore e meccanico ha preso parte a tutti i grandi successi Ducati, dal trionfale ritorno di Hailwood al Tourist Trophy alla vittoria di Smart alla 200 miglia di Imola nel '72. Con Nepoti, Caracchi e sotto l'ala dell'ingegner Taglioni mantenne vivo il reparto corse nei periodi di crisi degli anni Settanta, attraverso la struttura NCR. Dopo un'esperienza in Bimota, per il Mondiale Superbike, nel 2000, passò al team NCR legato a filo doppio con la casa madre.