Engagement delle risorse

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Engagement delle risorse
Engagement delle risorse: ci servono dati per coglierne la rilevanza strategica ? La dimensione del “non” engagement Sono rimasto recentemente molto colpito dalla straordinaria analisi di Gallup1 sull’impatto dell’engagement delle risorse basato sulle risultanze di un questionario del 2012. Quando si parla di engagement dobbiamo pensare ad uno stato interiore che ha insita non solo la motivazione o la soddisfazione momentanea del lavoratore ma una profonda consapevolezza del proprio ruolo e del significato del proprio lavoro al fine di cooperare pro-­‐
attivamente per il successo dell’azienda. Il questionario di Gallup e’ stato applicato su un campione di 192 organizzazioni in 49 tipologie di azienda in 34 paesi cinvolgendo 49.928 unita’ organizzative e circa 1,4 milioni di addetti. Il tutto utilizzando il tool Gallup di misurazione del livello di engagement (Q12 survey) sin qui applicato ad oltre 25 milioni di persone in 189 paesi. Da questo prodigioso esempio di accurata analisi di trend, sia pur principalmente legato al mercato del lavoro nord americano, derivano indicazioni estremamente chiare che certificano la stretta correlazione tra livello di engagement e risultati delle aziende. Si parte dalla constatazione che il 70% dei lavoratori negli Stati Uniti nel 2012 non e’ “engaged” ed di questo 70% il 18% e’ fortemente “not engaged”, nel gergo “actively disengaged”. In altre parole solo il 30% dei lavoratori del sostanzioso campione lavora con passione ed attaccamento all’azienda, il 52% vivacchia senza entusiasmo e il 18% lavora contro la propria organizzazione. Proseguendo nell’analisi Gallup individua una serie di chiare correlazioni tra livello di engagement e “earning per share” (EPS) in un campione di 49 aziende. Organizzazioni con 9,3 “engaged employee” a fronte di ciascun “actively disengaged employee” hanno registrato nel periodo 2011-­‐2012 un incremento dell’EPS nell’ordine del 147% piu’ alto delle societa’ concorrenti, mentre dove la ratio scende al 2.6 (engaged) per ciascun “actively disengaged” l’EPS e’ del 2% piu’ basso dei concorrenti. Gallup offre una miriade di indicatori degli impatti dei livelli di engagement misurati dal survery di cui sopra su produttivita’, profittabilita’, assenteismo, customer satisfaction, qualita’, incidenti sul lavoro, ecc. Non mi dilungo consigliando caldamente di prendere visione di queste risultanze contenute nello studio in questione. Analogamente altri grandi guru del pensiero dello sviluppo della leadership e dell’engagement quali Dave Ulrich, Zenger Folkman, ci offrono svariati esempi delle correlazioni tra engagement delle risorse e qualita’ delle risorse manageriali e risultati di business. Questa breve premessa mi porta a questo punto a una riflessione, che vuol essere il messaggio chiave di questo scritto. 1
State of the American Workplace . Employee Engagement Insights for U.S. Business Leaders –
http://www.gallup.com/strategicconsulting/163007/state-­‐american-­‐workplace.aspx Dimostrare con i numeri quello che gia’ si sa ma non si vuole riconoscere Come consulenti aziendali o responsabili delle Risorse Umane in azienda dovremmo essere molto convinti della strettissima correlazione che lega il successo delle aziende all’attenzione profonda alla tematica del coinvolgimento delle risorse umane, del loro sviluppo, della loro motivazione e del loro engagement. Siamo anche in grado, grazie agli eminenti studi di cui sopra, di enfatizzare alle Direzioni aziendali, ai nostri colleghi di linea, agli imprenditori che l’investimento (a volte di tempo piu’ che di costi) in questa direzione e’ strategico e ben ripagato. Eppure manca qualcosa. Eppure c’e’ qualcosa che non quadra. Il problema non e’ dimostrare la correlazione tra personale motivato ed engaged e risultati di business. Occorre prima prendere atto del livello di disengagement e ragionare su quali effetti nefasti tale livello di attaccamento al lavoro comporta. I numeri certamente muovono il mondo, orientano comportamenti di organizzazioni. Ma i numeri nella loro freddezza, dannazione, non sembrano sufficienti a spingere comunque le aziende a sviluppare engagement. Questo e’ il paradosso. Gallup e non solo ci danno sicuramente conferma delle strette correlazione tra engagement e risultati. I numeri quindi esistono ma vorrebbero dimostrare qualcosa che incredibilmente i managers fingono di ignorare. Sembra al contrario che i numeri siano efficacissimi, a condurre le aziende a mettere in cantiere azioni che generino persone “actively disengaged”. Quello che dico e’ che a volte e’ piu’ facile per un manager collezionare una serie di dati per portare alla decisione di una chiusura di unita’ produttiva che reperire una serie di dati, forse ancor piu’ semplici da reperire, per motivare azioni sull’engagement delle risorse che, tra l’altro, molto spesso non costano nulla (o quasi). E’ chiaro quindi che a monte c’e’ un problema di attitudini. I managers cercano e trovano tangibili dati per concretizzare azioni nefaste e non si sforzano di dimostrare l’utilita’ per l’azienda di azioni di sviluppo e di miglioramento dell’engagement delle risorse. Queste ultime azioni hanno il problema di apparire intangibili. La felicita’ ed il benessere sono stati interiori che sembrano non appartenere al mondo delle aziende. Per questo sono spesso bandite, certamente non ricercate. E per questo si crea l’alibi della necessita’ di misurazione di cio’ che appare a prima vista intangibile. Il tragico e’ che Gallup dimostra con i numeri un dato di fatto che dovrebbe di per se’ stesso generare azioni per ridurre una situazione che e’ antitetica alla possibilita’ di avere successo nel business e poco aiuta nel superare le difficolta’. E riflettiamo sul fatto che Gallup ci parla principalmente della realta’ americana che vede gia’ un po’ piu’ di luce in fondo al tunnel, e ci certifica che solo un terzo di chi lavora in azienda e’ “engaged”. Che clima si respira in molte aziende italiane ? Voi che ne dite ? Io ho in mente aziende in cui forse non si supera il 10% di persone “engaged”. Mi chiedo, quindi, come si fa ad uscire dal tunnel senza persone “engaged” ? Forse dovremmo chiedere a Gallup di fare una analisi approfondita, e quindi certificare a molti managers cio’ che non vorrebbero sentirsi dire. Che fare quindi, se il problema appare piu’ attitudinale che effettivamente condizionato da vincoli ? Alcuni steps per impattare sul livello di engagement In presenza di una consapevolezza della necessita’ di agire sul livello di engagement che, ricordo, e’, i managers devono seguire alcuni passi essenziali. 1) Chiarire presupposti dell’intervento sull’engagement (consapevolezza del perche’ intervenire) 2) misurare il livello di engagement (e quindi partire da un corretto approccio scientifico al tema) 3) ipotizzare una serie di azioni per migliorarlo (valutandone l’impatto ed i ritorni) 4) verificare i risultati nel tempo 1) Chiarire i presupposti Mi sia consentito di dire che il primo presupposto andrebbe ricercato proprio nella possibilita’ di abbattere presumibili livelli “patologici” di disengagement e solo in un secondo tempo, se ci fossero problemi nel convincere qualche direziona aziendale, possono essere utilizzati svariati studi empirici sulle correlazioni tra engagement e risultati. Ma attenzione a non fermarsi proprio su quest’ultimo punto. E’ come dire ho piu’ di mezzo equipaggio sott’acqua nella nave che affonda, vediamo se traendone in salvo una certa parte la nave continuera’ a navigare aumentando i profitti della compagnia di navigazione. In altre parole in molti casi il presupposto e’ la sopravvivenza (poi qualcuno potrebbe aggiungere la socialita’ ed il successo dell’azienda). Altro presupposto e’ legato ai ruoli. Non si deve andare lontano nel considerare i managers come gli agenti di qualsiasi azione sull’engagement delle risorse.La cosa importante e’ l’assunzione da parte del management aziendale della consapevolezza nel suo ruolo di agente di cambiamento nel ristabilire adeguati livelli di engagement. Questa consapevolezza non e’ scontata ma normalmente si rinforza quando si misura effettivamente il livello di engagement di partenza. 2) Misurare il livello di engagement Intanto occorrerebbe misurare in qualche modo il livello di engagement. Per i patiti dei sistemi di misurazione non si pensi che gli strumenti non esistano. Indagini di clima (tipo il survey Q12 di Gallup), interviste individuali, 360° e tanto ascolto. Il vincolo e’ solo attitudinale. L’attitudine a voler comprendere il livello di “engagement” Perche’ manca questa attitudine ? Perche’ i managers hanno una serie di paure. Principalmente paura del giudizio e paura dell’accendere aspettative, come se rifiutandosi di volere apertamente cercare di capire giudizio e aspettative non si alimentassero comunque nelle persone. E invece eccome si alimentano ! Ho visto nella mia esperienza lavorativa di fronte a risultati di indagini di clima e 360°tangibili segni di “cambiamento” attitudinale in managers che mai avrei pensato potessero mutare approcci e comportamenti. Questi feedback scuotono e comunque generano dubbi e ripensamenti sui comportamenti manageriali sin qui espressi. Certamente piu’ di qualsiasi vetusta e politica valutazione annuale da parte del proprio capo. 3) Definire le azioni Ciascun manager potra’ valutare una gamma di azioni concrete da mettere in atto avendo attentamente analizzato i risultati dei feedback. Azioni anche a costo zero che pero’ devono avere una sola caratteristica, la concretezza. Concretezza significa la possibilita’ di implementarle in tempi ragionevolmente brevi. Certamente a questo punto il nostro manager dovra’ fare i conti con i sistemi decisionali, le aspettative della capogruppo, le priorita’, i budget ed affrontare l’inevitabile filtro del “ritorno sull’investimento”. Siamo ritornati al punto di partenza. Occorre concretizzare l’intangibile dimostrando il ritorno economico di azioni rivolte al miglioramento dell’engagement. Ma se l’analisi della situazione e’ stata efficace e denotasse una situazione di disengagement come quella evidenziata da Gallup, non ci saranno difficolta’ nel convincere qualsiasi direzione aziendale avveduta sulla necessita’ di intervenire in qualche modo Prima di definire, semmai con il coinvolgimento degli stessi collaboratori le azioni piu’ idonee, vanno smontati tutti gli ultimi alibi. Esaminiamo gli alibi piu’ tipici. a) La crisi rende tutto piu’ difficile. Certo, la crisi sembrerebbe non favorire l’engagement ma proprio Gallup ci dimostra che non e’ cosi’ in termini di trend. Le difficolta’, se ci si pensa, dovrebbero portare a sviluppare nelle persone umilta’, spirito di collaborazione, maggiore collaborazione, abbandono di status e privilegi, e quindi aiutare nell’organizzazione lo sviluppo di engagement. b) Costi e ritorni economici. Qui ci sono due risposte. La prima e’ che la maggior parte di azioni rivolte allo sviluppo di engagement sono a costo zero. Un cambiamento di stile manageriale, un mutamento di attitudini possono fare di piu’ di molte iniziative …. di sola facciata. Per calcolare i ritorni invece, come gia’ detto, i dati non mancano. Ma prima di trovare una correlazione sempre valida tra engagement e reddito d’impresa continuiamo a porci la domanda: ma come facciamo a superare le difficolta’ con il 10% di persone engaged ? Qualche maligno potrebbe rispondere, eliminando il 90% dei not engaged !!! Scherzi a parte credo sia molto facile comunque ottenere a livello di correlazioni l’impatto di azioni di engagement sul livello di soddisfazione del cliente. Quante volte ci siamo lamentati per essere stati trattati male in un albergo, in un negozio o in ufficio pubblico dal personale addetto, certamente “disengaged”. Credo sia facile veramente dimostrare la correlazione in questo caso agendo sul livello di engagement (ottimo argomento per convincere le direzioni aziendali). c) Tempo e priorita’ Anche se ci fosse l’attitudine la pressione sui risultati non ci consente di mettere in atto concrete ed efficaci azioni per lo sviluppo di engagement. Manca il tempo e le priorita’ ci obbligano ad occuparci d’altro. Il tempo. Proviamo solo a ragionare quanta mancata efficienza comunque si ottiene con il 90% (ma anche con il 70%) di personale non engaged ? Semplice ragionamento. Ho 10 collaboratori. Solo 3 collaborano con entusiamo e 7 “dormono”. Quanto riuscirei di piu’ a delegare se avessi non dico 10 ma almeno 7 collaboratori veramente engaged ? Gli alibi di solito sono il vero problema per il management. Comunque sia a questo punto cosa possiamo fare concretamente per rivitalizzare un ambiente disengaged ? Una miriade di piccole azioni. Azioni giornaliere. Azioni correlate al superamento delle difficolta’ puntando sull’armonia di un team. Giocando con le leve dell’empowerment. Del coinvolgimento e del sempre fondamentale ascolto. E poi comportamenti che “relativizzano” le tensioni rilevanti che di solito infettano le realta’ aziendali. La tensione sui risultati, sana ma se diventa demenziale, genera disengagement. Tanto piu’ quando i risultati nella prassi aziendale significano bonus piu’ alti solo per i managers e questo, deve essere chiaro, e’ ben noto in azienda. La chiave di tutto sta pertanto nel cambiamento di attitudini. Le persone che vedono un management piu’ attento alle loro difficolta’ ed alle loro aspettative gia’ denotano livelli di engagement crescenti. 4) Verificare i risultati A seguito di una misurazione del livello di engagement delle risorse, trascorso un arco temporale di norma non superiore ad un anno e’ utile e necessario ripetere la rilevazione, indagine o analisi esperita. Ci si rendera’ conto del “probabile” ed auspicato miglioramento percepito e si potranno valutare anche le tanto amate correlazioni con i risultati aziendali. Ci saranno sempre sorprese, positive o negative ed occorrera’ analizzarne le cause. Ma ancora una volta il manager deve andare al di la’ dei numeri, soppesando con la giusta profondita’ la dimensione ed i vantaggi del cambiamento. In particolare del “suo” cambiamento. E certamente un grande successo sara’ rendersi conto di avere fatto tutto il possibile per vivere al meglio in azienda, malgrado le difficolta’ che ci saranno sempre. Conclusioni Concludo quindi queste considerazioni raccomandando l’approfondimento tramite consultazione della ricca bibliografia2 che si sta formando per dar risposta alla domanda “Perche’ generare engagement”. Considerazioni logiche ed ora anche numeri ci confortano e danno forza e consistenza alle risposte ma ripeto per l’ultima volta che il vero sforzo per un manager non sta nel cercare dimostrazioni ma lavorare prima di tutto nella propria sfera interiore. Pensiamo solo ai nostri figli. Ci piace vederli dinamici, pieni di entusiasmo, di idee, alla ricerca di prospettive. Cosa faremmo per i nostri figli per vederli sempre cosi’ ? Senza moralismo ne’ ideologia ne’ buonismo poniamoci il quesito se non valga la pena vedere i nostri colleghi in azienda come dei figli, giacche’ probabilmente passiamo piu’ tempo con loro che in famiglia. Di solito i figli non possiamo licenziarli, ne’ cambiarli, ma abbiamo la pretesa di farli crescere, di dare loro il buon esempio ed alla fine di vederli realizzati e felici. La famiglia non e’ una azienda ma una famiglia “funziona” se c’e’ armonia ed engagement da parte dei componenti. Come padri o madri creiamo engagement con ascolto, umilta’ e vediamo quanto sia facile nel contempo generare “disengagement” e quali conseguenze spiacevoli siano generate nel momento in cui l’armonia scompare. 2 Dave Ulrich e Wendy Ulrich – Il perche’ del lavoro – Franco Angeli 2012 / John H. Zenger -­‐ Joseph R. Folkman – Il leader straordinario – Ed. Franco Angeli, 2010 / Forse qui c’e’ il vero sottile punto di svolta. Vogliamo vivere nell’armonia o affrontare, da soli, la tempesta ? Vogliamo dare “senso” alle nostre azioni facendolo percepire a chi ci circonda o non lasciare traccia del nostro passaggio ? Credo che il senso profondo dell’engagement delle risorse sia prima di tutto da rintracciare nel nostro personale engagement. Come managers dobbiamo essere prima di tutto “engaged”. Ovvero consapevoli di portare nel lavoro passione ed entusiasmo, malgrado le difficolta’, perche’ animati da finalita’ profonde. La vera leva per creare valore e perseguire il successo. Tommaso Raimondi Agosto 2013