La dignità della persona umana - Movimento Rinascita Cristiana

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La dignità della persona umana - Movimento Rinascita Cristiana
La dignità della persona umana
Il concetto di dignità della persona si è fatto strada, nella cultura occidentale, attraverso un
processo di graduale maturazione, le cui tappe fondamentali sono contrassegnate dall’intreccio
fecondo del pensiero laico e della tradizione ebraico-cristiana. La percezione del particolare rispetto
dovuto all’uomo in ragione della sua singolarità è già presente nell’ambito del mondo greco, dove
esso risulta tuttavia limitato a una categoria ristretta di soggetti – gli uomini liberi – che possono
fruire pienamente dei diritti di cittadinanza. Il mancato riconoscimento della originaria uguaglianza
di tutti gli uomini impedisce che si pervenga all’ammissione della dignità assoluta di ogni uomo, a
prescindere da qualsiasi distinzione di sesso, di censo, di etnia, di cultura, di religione, ecc.
La stessa modernità, che coincide con l’affermarsi della civiltà dei diritti dell’uomo, restringe di
fatto il campo del loro esercizio a coloro che hanno il potere di farli valere, cioè a quanti per la
condizione sociale, per la cultura e per il sesso di appartenenza – l’esclusione delle donne dal diritto
di voto (e non solo) è in proposito emblematico e perdurerà ancora a lungo – vengono considerati, a
tutti gli effetti, cittadini. La dignità della persona è stata dunque per molto tempo vincolata da
precise condizioni, che ne limitavano la portata.
Alla ricerca del fondamento
La piena affermazione di tale concetto ha luogo soltanto a partire dall’ultimo dopoguerra.
L’esperienza tragica del nazismo e del fascismo e gli orrori della guerra hanno contribuito, per
reazione, a consolidare nelle coscienze la consapevolezza della dignità assoluta dell’uomo – di ogni
uomo – e a rendere trasparente l’esigenza del rispetto dei suoi fondamentali diritti. Le Costituzioni,
nate in quel periodo nei vari paesi democratici dell’Occidente, e le Carte dei diritti umani, a partire
da quella delle Nazioni Unite del 1948, pongono chiaramente al centro dell’azione sociale e politica
la tutela della dignità della persona umana.
A fornire un contributo determinante a tale fine sono stati soprattutto gli sviluppi di una
riflessione filosofica (e più in generale culturale) incentrata sul ricupero dell’idea di “persona” in
tutta la ricca gamma dei suoi significati, andando oltre la prospettiva individualista che ha
largamente dominato la modernità. L’influenza del pensiero ebraico-cristiano si è fatta, in questo
caso, particolarmente sentire, non solo attraverso la presenza di scuole e pensatori che ad esso
direttamente si riferivano – si pensi soltanto all’importante contributo di Jacques Maritain alla
redazione della Carta delle Nazioni Unite – ma anche attraverso l’acquisizione in chiave laica di
una visione dell’uomo che affonda le sue radici ultime nella rivelazione biblica e che è divenuta
progressivamente appannaggio della cultura occidentale.
Il riconoscimento della assoluta dignità dell’uomo costituisce infatti un dato costitutivo, della
tradizione ebraico-cristiana. All’interrogativo “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, / il
figlio dell’uomo, perché te ne curi?”, il salmista risponde con parole mirabili e sconcertanti:
“Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, / di gloria e di onore lo hai coronato. / Gli hai dato potere
sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi; / tutte le greggi e gli armenti / e anche
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le bestie della campagna, / gli uccelli del cielo e i pesci del mare, / ogni essere che percorre le vie
dei mari” (Salmo 8, 5-9).
Queste importanti affermazioni hanno il loro fondamento nella concezione dell’uomo che
attraversa l’intera rivelazione e che è anzitutto al centro dei racconti della creazione. L’idea
dominante attorno alla quale ruotano questi racconti e che è – come giustamente rilevano gli esegeti
– il tema più significativo dell’antropologia biblica è la visione dell’uomo come “immagine di Dio”:
“E Dio creò l’uomo a sua immagine; / a immagine di Dio lo creò: / maschio e femmina li creò”
(Gen. 1, 27). L’interpretazione che di tale tema è data nell’ambito del pensiero occidentale, dove
l’immagine viene soprattutto ricondotta al possesso da parte dell’uomo delle facoltà superiori –
intelligenza e libertà –, è solo parzialmente vera e pecca in realtà di un eccesso di astrazione e di
intellettualismo. Per il linguaggio biblico molto più concreto ed esistenziale l’uomo è immagine di
Dio, in quanto è l’unico tra gli esseri da lui creati capace di entrare con lui in un rapporto da
soggetto a soggetto; egli è il partner di Dio, l’interlocutore che Dio dà a se stesso, colui che è in
grado di ascoltare Dio che parla e di rispondergli..
Questa concezione relazionale dell’immagine, che lega l’uomo a Dio, è anche la ragione della
strutturale relazionalità dell’umano – proprio qui inizia implicitamente ad affermarsi il concetto di
persona – ; l’immagine di Dio è nell’unità che caratterizza l’Adam originario (a immagine di Dio lo
creò): unità che ha il suo archetipo fondamentale nel rapporto uomo-donna (maschio e femmina li
creò) in quanto paradigma di ogni forma di relazione interumana. La realtà ha dunque i connotati di
un tessuto di relazioni che si estendono agli animali e alla stessa natura e che giustificano il “potere”
dell’uomo sull’universo al quale il salmo 8 si riferisce: un potere non dispotico perchè soggetto alla
signoria superiore di Dio. Il giardino di Eden, uscito dalle mani di Dio, è immediatamente rimesso
alle mani dell’uomo perché lo “coltivi” e lo “custodisca” (2, 15). La relazione privilegiata che
l’uomo intrattiene con il Signore, che è la ragione profonda della sua grandezza, è pertanto la radice
ultima dell’ordine delle relazioni: da quelle interumane a quelle con il cosmo. Questo assunto trova
conferma nel racconto del peccato di origine: la rottura del rapporto con Dio porta infatti con sé la
rottura degli altri rapporti e la lacerazione interiore dell’uomo (Gen 3).
Ma la dignità umana raggiunge soprattutto il suo culmine nell’evento-persona di Gesù di
Nazaret, nei misteri dell’incarnazione e della pasqua attraverso i quali si è attuata la riconciliazione
dell’uomo con il Padre. Il Figlio di Dio, “immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la
creazione” (Col 1, 15), facendosi “carne” (Gv 1, 14), cioè umanizzandosi, divinizza l’uomo,
conferendogli il potere di diventare “figlio di Dio”: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito
di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi, per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà!
Padre!’. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli,
siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze
per partecipare anche alla sua gloria” (Rom 8, 14-17). E’ questo il senso della “vita nuova” che fa
del cristiano un rigenerato, cittadino del regno e chiamato alla pienezza della vita eterna il cui corso
è già iniziato.
Il significato di un impegno
La dignità ricevuta in dono non è un tesoro che va semplicemente conservato, sotterrandolo; è
un germe, una caparra, un inizio che sollecita l’impegno responsabile dell’uomo. Il dono fa appello
alla risposta; si trasforma in compito a diventare “nuova creatura” camminando in novità di vita. La
consapevolezza che la salvezza non è un affare individuale ma una realtà che ha una chiara
dimensione comunitaria – non ci si salva da soli ma sempre soltanto insieme – e, ancor più
radicalmente che la dignità inerisce, come si è visto, alla persona in quanto soggetto relazionale,
obbliga ciascuno ad impegnarsi in un’azione volta a promuoverne la possibilità di una vera
fruizione da parte di tutti, a partire da coloro che soffrono ancor oggi di uno stato di grave
marginalità. Il divario tra l’affermazione di principio della dignità della persona e la sua traduzione
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sul terreno della prassi concreta è tuttora persistente; anzi, tende ad accentuarsi. Le sperequazioni
crescenti tra Nord e Sud del mondo e l’avanzare di vecchie e nuove povertà anche nei paesi
sviluppati – povertà che l’attuale crisi finanziaria ha contribuito ad accentuare – denunciano
l’esistenza di una estesa condizione di disagio con il misconoscimento, in molti casi, della dignità
umana a intere categorie di persone. A questo si aggiunge – e costituisce un fatto per molti aspetti
nuovo – il boom del fenomeno migratorio, con lo spostamento di intere popolazioni dai paesi più
poveri verso l’Occidente in cerca di benessere. Alla richiesta di tutela di alcuni diritti fondamentali
– in primo luogo i diritti al lavoro, alla casa e alla salute – si associa, in questo frangente, il bisogno
di essere accettati nelle proprie diversità etniche, culturali e religiose e la domanda di spazi (anche
pubblici) per la libera espressione di tali diversità.
Il riconoscimento nei fatti della dignità della persona umana (di ogni persona) implica il rifiuto
di ogni forma di discriminazione sociale e culturale. Il che deve anzitutto tradursi nell’impegno
responsabile a dare vita a “strutture giuste”, che salvaguardino i diritti di tutti, cioè a fornire il
proprio contributo perché a ogni persona vengano garantite le condizioni per un effettivo esercizio
della cittadinanza. Il passaggio dallo “Stato di diritto” allo “Stato sociale”, con l’affermazione dei
“diritti di giustizia o di solidarietà” – passaggio avvenuto agli inizi dell’ultimo dopoguerra che ha
ricevuto piena consacrazione nelle Costituzioni degli Stati democratici – ha rappresentato un vero e
proprio salto di civiltà. La democrazia sociale è l’anima della democrazia, la cui misura è data dalla
quantità e qualità della partecipazione. L’impegno a preservare tale forma democratica deve essere
oggi ancora maggiore, in un momento in cui l’ideologia del mercato, divenuta “pensiero unico”,
tende a sostituire i valori tradizionali di libertà, di giustizia, di uguaglianza e di solidarietà con le
logiche dell’efficienza produttiva, della competitività e del consumo, minando le basi più serie della
convivenza civile.
Ma questo non basta. Accanto ai diritti sociali e alla doverosa tutela dello “Stato sociale” (sia
pure reso più agile e più efficiente), si impone la necessità, per dare piena espressione alla dignità
delle persone, di fare spazio ai “diritti delle culture”, creando le condizioni per il passaggio dalla
multiculturalità, che è ormai un dato incontrovertibile, alla interculturalità, cioè ad uno scambio
positivo tra culture diverse che convivono sullo stesso territorio. La difficoltà di conciliare
cittadinanza e rispetto delle diversità culturali non deve costituire un alibi per eludere una questione
che riveste oggi particolare urgenza e che non può essere affrontata soltanto in termini di
integrazione, ma aprendosi anche a forme di interazione che favoriscano il reciproco arricchimento.
Il rispetto della dignità delle persone passa anche attraverso il riconoscimento della dignità delle
culture dalle quali le persone non possono essere scorporate. L’ampliamento della democrazia,
lungi dal dover comportare una riduzione delle possibilità di libera manifestazione delle identità
individuali e collettive, implica piuttosto un loro sempre maggiore coinvolgimento.
Le motivazioni che i credenti hanno per rendere ragione della dignità umana si intrecciano
pertanto con le motivazioni razionali che coinvolgono tutti gli uomini di buona volontà. Le modalità
concrete volte ad assicurare la tutela e la promozione di tale dignità vanno ricercate, di volta in
volta, nel vivo delle situazioni mediante l’esercizio di un discernimento responsabile. Resta, in ogni
caso, il doveroso riconoscimento del suo significato e l’impegno a fornire a tutte le categorie sociali
la possibilità della sua reale espressione.
GIANNINO PIANA
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