Platone - Altervista

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Platone - Altervista
TOMMASO SCAPPINI
APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Platone
Indice generale
1. Notizie bio-bibliografiche
1.1. L’incontro con Socrate
1.2. I viaggi in Sicilia
1.3. Le dottrine di Platone
1.4. I dialoghi
2. La teoria della conoscenza
La doxa e l’epistéme
2.1. L’anamnesi: il Menone
2.2. La metempsicosi
2.3. I gradi della conoscenza: la teoria della linea
Le facoltà conoscitive dell’uomo
2.4. I gradi dell’essere
La corrispondenza ontologia-gnoseologia
2.5. L’allegoria della caverna
2.6. La graduatoria delle discipline
3. La psicagogia o la conduzione dell’anima
3.1. Le ali dell’anima
3.2. Il dualismo ontologico
3.3. L’elevazione tramite Eros
4. La dialettica
Synopsis e diairesis
4.1. Methexis, mimesis e parousia
Esemplificazione dei problemi sorti con la relazione di imitazione
4.2. La comunanza e i generi sommi
Esemplificazione dei generi sommi: l’idea di uomo
Esempio di divisione binaria: l’idea di uomo
La diairesis raffigurata con gli insiemi
5. La teoria dell’anima: tra psicologia e gnoseologia
5.1. L’immortalità dell’anima
5.2. La sorte nel mito di Er
5.3. Le caratteristiche dell’anima
5.4. Il mito della biga alata
6. L’educazione: la pedagogia
6.1. L’armonia dell’anima
6.2. Il paragone con la polis
6.3. L’educazione erotica
7. La teoria politica
7.1. La tripartizione della polis
7.2. Il comunitarismo platonico
7.3. Le forme di governo
8. La filosofia della natura
8.1. La verosimiglianza di un discorso sulla natura
8.2. Il mito del Timeo
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
1. Notizie bio-bibliografiche
Platone nacque ad Atene nel 428 o 427 a.C. da una famiglia di antica nobiltà, legata al governo oligarchico in carica fino al 404. Suo padre si chiamava Aristone e sua madre Perictione, entrambi discendenti di famiglie nobili ateniesi che vantavano tra i loro antenati il re
Codro e il grande Solone.
1.1. L’incontro con Socrate
Platone, prima di incontrare Socrate, si occupava di pittura e di poesia, scrivendo addirittura tragedie. Intorno ai vent’anni, nel periodo della Guerra del Peloponneso che comportò la
decadenza politica di Atene, divenne discepolo di Socrate. Platone non partecipò mai attivamente alla vita politica della sua città, e quando Socrate fu condannato a morte nel 399 a.C.
dal governo democratico, decise di allontanarsi definitivamente dagli affari politici ateniesi.
Iniziò quindi a viaggiare: andò in Egitto e in Magna Grecia, fino ad arrivare a Taranto e poi
a Siracusa.
1.2. I viaggi in Sicilia
Proprio a Siracusa conobbe Dionigi il Vecchio, tiranno della città, e divenne amico di Dione,
cognato di Dionigi. Platone infine tornò ad Atene e nel 388 fondò la sua scuola filosofica
chiamata Accademia. Quando nel 367 morì Dionigi il Vecchio e gli successe Dionigi il Giovane, Platone decise di compiere un altro viaggio a Siracusa, su richiesta di Dione, al fine di
influenzare il governo del nuovo tiranno, ispirandolo secondo principi filosofici. Dionigi
però, credendo che l’interesse di Dione e di Platone fosse volto a spodestarlo, fece rinchiudere i due.
Platone alla fine venne liberato sotto riscatto, ma già nel 361 Dionigi fece richiamare Platone a Siracusa, desiderando ora completare la propria educazione filosofica, lasciata in sospeso durante la precedente permanenza del filosofo. Questo era il terzo viaggio a Siracusa
e anche questo fu un insuccesso: anche in tale occasione Platone, nel tentativo di far riconciliare il tiranno con Dione, fu sospettato di complotto e fu cacciato definitivamente da Siracusa.
Di fatto, qualche anno dopo, Dione tentò di conquistare Siracusa con la forza, ma il suo attacco fallì. Nel frattempo Platone era diventato celeberrimo in tutta la Grecia, ma tramontava così il suo sogno di un «re filosofo» a capo di una città. Morì nel 348.
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1.3. Le dottrine di Platone
Durante la sua vita Platone si dedicò anzitutto all’insegnamento orale e poi alla produzione
di dialoghi scritti: se ne contano 36. Questo significa una svolta nella storia della filosofia,
poiché fino ad allora il sapere filosofico era stato principalmente orale, tanto che Socrate
non aveva scritto niente. Con Platone, invece, l’attività filosofica di insegnamento all’interno di una scuola si associò alla diffusione della dottrina mediante una serie di scritti nella
forma di dialoghi. Platone inventa così un nuovo genere letterario.
Esiste una corrente interpretativa moderna che ritiene che i dialoghi platonici siano solo la
parte superficiale della sua dottrina, poiché gli insegnamenti più profondi erano probabilmente destinati a rimanere segreti. Più precisamente, tali interpreti ritengono che il corpus
platonico si divida in due parti:
–
le dottrine essoteriche → quelle divulgate e messe per iscritto, che ancora noi oggi
studiamo
–
le dottrine esoteriche → quelle segrete, legate all’insegnamento orale trasmesso
solo all’interno della scuola e mai messo per iscritto, se non negli appunti dei discepoli.
In ogni caso, noi ci occuperemo solo delle dottrine essoteriche, cioè quelle trasmesse nei 36
dialoghi tramandati.
1.4. I dialoghi
I 36 dialoghi di Platone si dividono in «dialoghi socratici» o della giovinezza, «dialoghi della
maturità» e «dialoghi della vecchiaia».
–
Tra i dialoghi socratici ricordiamo: il Liside (sull’amicizia), il Protagora (sulla filosofia di Protagora, in particolare intorno all’insegnabilità della virtù), il Gorgia (sulla
filosofia di Gorgia, in particolare sulle caratteristiche dell’uomo politico).
–
Tra i dialoghi della maturità ricordiamo: il Menone (sulla teoria delle idee), il Fedone (sull’immortalità dell’anima), il Simposio (sull’amore), la Repubblica (sullo stato
ideale), il Fedro (sull’amore).
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–
Tra i dialoghi della vecchiaia ricordiamo: il Parmenide (sulla teoria delle idee), il
Sofista (sulla dialettica e sulle idee), il Politico (sulla politica), il Timeo (sulla cosmologia), le Leggi (sullo stato).
2. La teoria della conoscenza
A partire dalla «ricerca della definizione» di Socrate, Platone indaga l’essenza della cosa in
questione. L’essenza della cosa non può essere rivelata dai sensi, poiché le sensazioni sono
mutevoli e dipendono da uomo a uomo. Quindi dalle sensazioni dipendono solo le opinioni
(doxai) incerte e instabili. Per questa ragione Platone, seguendo Parmenide, distingue due
facoltà conoscitive umane: l’opinione e la scienza.
La doxa e l’epistéme
• L’opinione o doxa •
1) è legata ai sensi;
2) si occupa del particolare, dell’elemento singolo;
3) è tipica della sofistica, che Platone dipinge con una serie di tratti negativi.
• La scienza o epistéme •
1) non è legata ai sensi ma all’intelletto;
2) riguarda la conoscenza dell’universale;
3) è tipica della filosofia, che si contrappone così alla sofistica.
La vera conoscenza, secondo Platone, non è quella legata ai sensi, ma quella che si attua
nell’anima e che riesce a ritrovare l’aspetto o la forma autentica delle cose: l’aspetto o la
forma autentica è chiamata da Platone «eidos», cioè idea, di cui la cosa è semplice copia.
2.1. L’anamnesi: il Menone
Per Platone conoscere l’idea è possibile solo attraverso una reminiscenza, ossia una anamnesi. Poiché anamnesi (*an-a-mnesi*: negazione dell’assenza di memoria) vuol dire «ricordo», allora la verità delle cose, cioè l’idea di una certa cosa, è rintracciabile solo mediante
un ricordo, una reminiscenza.
Per conoscere la verità non dobbiamo fare altro che ricordare. Ma ricordare cosa? In che
senso? A queste domande risponde il dialogo intitolato Menone [→ 81c-86c]: l’occasione
del dialogo è l’incontro tra Menone e Socrate (il protagonista di quasi tutti i dialoghi di Platone). I due amici s’incontrano in città, e Socrate cerca di dimostrare a Menone che la verità
delle cose sta nelle idee, cioè nella loro forma universale separata dalla cose particolari.
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Inoltre Socrate dà prova del fatto che noi disponiamo già di tutte le idee nella nostra memoria: si tratta solo di ricordarle. E affinché un uomo le ricordi è necessario che trovi qualcuno
così abile da innescare la riattivazione di quei ricordi dimenticati.
Socrate prova a Menone la sua teoria con una dimostrazione pratica: fa chiamare uno schiavo dell’amico e gli induce il ricordo di una verità, ossia di un’idea, che lo schiavo non
avrebbe potuto apprendere da nessuno durante la sua schiavitù. Lo schiavo infatti, sotto la
guida sapiente di Socrate, riesce a risolvere un problema di geometria senza aver mai studiato geometria.
Ciò, secondo Platone, dimostrerebbe che ciascuno di noi possiede già le conoscenze necessarie per giungere alla verità, e che gli occorre solo ricordarle. Conoscere allora significa ricordare le conoscenze che sono addormentate nella nostra memoria, o meglio, nella nostra
anima.
D’altra parte, qualcosa del genere vale quotidianamente per tutti noi, quando ci affidiamo
alla «logica»: qualcuno ci ha forse ‘insegnato’ la logica e le connessioni logiche (come il
principio di non-contraddizione o il principio d’identità o la proprietà transitiva)? Oppure è
più probabile che le conosciamo da sempre? Poiché siamo portati a rispondere che le conosciamo da sempre, cioè da quando siamo nati, per questa teoria si parla di innatismo: ci
sono conoscenze che possediamo sin dalla nascita, come se fossero iscritte in noi.
2.2. La metempsicosi
La conoscenza come anamnesi è spiegabile con la ripresa del mito orfico della metempsicosi
(la trasmigrazione delle anime, o reincarnazione), mutuato quasi certamente dal pitagorismo. Questa teoria platonica è dunque d’influenza pitagorica e, più indietro, orfica.
Ecco la spiegazione mitologica della metempsicosi, così come la fornisce Platone nella Repubblica: l’anima immortale, tra una reincarnazione e l’altra, prende visione di tutta la verità (cioè di tutte le idee); l’ampiezza della visione, però, dipende dal grado di preparazione
dell’anima, ossia dal tipo di vita che ha condotto prima di morire: il filosofo è il più preparato e quindi sarà quello che potrà contemplare per più tempo la verità, cioè le idee. Tuttavia una volta scrutata la verità, l’anima è costretta a bere dal fiume Lete (il fiume dell’oblio):
ciò significa che prima della reincarnazione successiva l’anima dimentica tutto ciò che ha
visto.
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È per tale motivo che conoscere significa ricordare, ed è proprio a questo che serve la maieutica socratica, che Platone ripropone nei dialoghi in cui il protagonista è Socrate. Inoltre
è in questo senso, secondo Platone, che bisogna leggere il «conosci te stesso» socratico: esso
significa qualcosa come «ricorda la verità che è sepolta dentro di te», verità che può essere
riattivata attraverso il dialogo e la conduzione sapiente di Socrate (o del filosofo in generale).
2.3. I gradi della conoscenza: la teoria della linea
Nei suoi dialoghi Platone alterna spiegazioni perfettamente razionali a teoremi di geome tria, citazioni letterarie derivanti per lo più da Omero a spiegazioni mitologiche. E infatti,
oltre che attraverso il racconto mitico della metempsicosi, Platone spiega la gnoseologia
umana (cioè il modo in cui l’uomo conosce) costruendo una proporzione geometrica su una
linea retta, o meglio, su un segmento. Per tale ragione questa teoria contenuta nella Repubblica è detta «teoria della linea»:
A [eikasia] |D
[pistis]
AB = intera conoscenza →
||C
[diànoia]
|E
[nòesis]
B
AC = opinione (conoscenza sensibile, doxa)
→
CB = scienza (conoscenza intelligibile, episteme)
→
AD = immaginazione (eikasia)
[4°]
→
DC = credenza (pistis)
[3°]
→
CE = pensiero discorsivo (diànoia)
[2°]
→
EB = intellezione (nòesis)
[1°]
AC
CB
Platone a questo punto formula una proporzione della conoscenza:
AC : CB = AD : DC = CE : EB
La doxa (AC), in quanto opinione sensibile, è relativa e variabile, mentre l’epistème (CB), in
quanto conoscenza intelligibile, non è sensibile, ma è la conoscenza vera universale permanente. Inoltre è importante notare che doxa ed episteme, essendo forme di conoscenza diverse, hanno di conseguenza oggetti di conoscenza diversi.
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A loro volta queste due forme di conoscenza si suddividono in sottospecie, e ogni forma di
conoscenza ha un oggetto di conoscenza ben specifico:
Le facoltà conoscitive dell’uomo
immaginazione (eikasia) → oggetti: immagini/ombre
doxa
credenza (pistis) → oggetti: realtà percepite dai sensi
pensiero discorsivo (diànoia) → oggetti: enti intelligibili (numeri, figure geometriche)
episteme
intellezione (nòesis) → oggetti: idee, forme intelligibili e universali
2.4. I gradi dell’essere
Dunque c’è un parallelismo tra i gradi della conoscenza e i gradi dell’essere, poiché a una
forma di conoscenza corrisponde un diverso oggetto di conoscenza, che è ontologicamente
diverso dagli altri oggetti. Secondo Platone c’è allora una corrispondenza tra la ontologia e
la gnoseologia. Vediamo questa corrispondenza:
La corrispondenza ontologia-gnoseologia
I
intellezione
↔
idee
II
pensiero discorsivo (o matematico)
↔
enti matematici
III
credenza
↔
realtà sensibile
IV
immaginazione
↔
immagini e ombre
Per quanto riguarda la gnoseologia, passando dalla 1° forma di conoscenza (noesis) alla 4°
forma (eikasia), diminuisce sempre più la certezza della conoscenza.
Per quanto riguarda invece l’ontologia, dal 1° grado della realtà (idee) al °4 grado (ombre),
diminuisce la consistenza ontologica dell’oggetto conosciuto: il massimo di realtà è costituito dalle idee, il minimo dalle ombre.
Tuttavia nel passaggio tra la 2° e la 3° forma di conoscenza c’è uno scarto netto, tra verità
e menzogna: prendiamo l’esempio del triangolo, in cui si capisce come il vero triangolo non
sia quello disegnato, cioè quello che si percepisce coi sensi, ma il triangolo razionale, di cui
s’intuisce l’idea universale.
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Secondo Platone, l’idea è la cosa in sé, la pura forma intelligibile che non ha nulla da spartire con la cosa particolare di cui facciamo ogni giorno esperienza. Ad esempio, il bello in sé
è diverso dalla particolare cosa bella. Le idee hanno la consistenza ontologica maggiore, ossia sono la realtà suprema: esse sono le cose nella loro piena autenticità, in quanto eterne e
incorruttibili.
2.5. L’allegoria della caverna
Nella Repubblica Platone fa raccontare a Socrate una sorta di mito, o più precisamente
un’allegoria: la scena si svolge in una grotta e sul fondo di questa grotta sono incatenati alcuni schiavi.
–
Gli schiavi non hanno mai visto la luce del sole e per tutta la vita sono confinati in
quella grotta, incatenati al muro in modo che la faccia sia sempre rivolta verso la
parete rocciosa e mai verso l’apertura lontana. Quindi l’unica cosa che gli uomini
riescono a vedere sono alcune ombre che si agitano sul fondo della grotta.
–
Quasi all’imbocco della grotta, infatti, c’è un muro di mattoni al di là del quale passa una strada parallela al muro, sopra l’apertura della grotta.
–
Sempre nella caverna, al di là della strada c’è una collinetta sulla quale torreggia un
fuoco. Le ombre che gli schiavi vedono sul fondo della grotta sono causate dal fuoco sul limitare della grotta.
–
Ma il fuoco non rimanda le ombre degli uomini che passano lungo la strada, dato
che le ombre di questi si stagliano sul muro di mattoni, ma rimanda le ombre delle
statue e degli oggetti che gli uomini portano sui carri o sopra le loro teste. Queste
statue e oggetti sono più alti del muro e, illuminati dal fuoco, gettano sul fondo della grotta le loro ombre. Queste ombre sono l’unica cosa che gli schiavi incatenati
riescono a vedere.
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La raffigurazione della caverna nella Repubblica di Platone
L’allegoria della caverna vuole essere una metafora della conoscenza umana: noi tutti viviamo la nostra vita come gli schiavi incatenati, e l’unica cosa che vediamo sono le ombre,
niente affatto la verità. L’unico modo per raggiungere la verità e vedere davvero le cose è
liberarsi dalle catene e uscire dalla grotta all’aria aperta.
Sempre nel racconto di Socrate, infatti, a un certo punto uno schiavo riesce a liberarsi e a
raggiungere l’aperto:
1. inizialmente, abituato al buio, non crederà ai propri occhi;
2. in seguito riuscirà a vedere i riflessi delle cose negli specchi d’acqua;
3. poi vedrà le cose vere e proprie;
4. infine vedrà il sole dal quale sarà accecato.
Poi però, una volta ambientato alla luce, non vorrà più tornare sul fondo della caverna. Cionondimeno, dice Socrate, è suo dovere ridiscendere e liberare i suoi compagni ancora incatenati.
Cerchiamo di capire più in dettaglio l’allegoria:
A) la caverna rappresenta il corpo dell’uomo che imprigiona l’anima e le impedisce di
vedere davvero;
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B) lo schiavo incatenato sul fondo è l’uomo che si affida solo alla doxa;
C) lo schiavo liberato è il filosofo che libera la sua anima dalle catene del corpo;
D) le cose dentro la grotta rappresentano le copie delle idee, le imitazioni della vera
realtà;
E) le cose fuori dalla grotta rappresentano le idee;
F) il sole sta per l’idea suprema, ossia l’idea del bene che permette di vedere tutte le altre idee;
G) il fuoco è una luce sbiadita che non permette di vedere fino in fondo la natura delle
cose.
Raffigurazione complessiva dell'allegoria della caverna
Oltre a ciò c’è anche un parallelismo tra gli oggetti dell’allegoria e gli oggetti delle varie
forme di conoscenza (→ «teoria della linea»):
a) le ombre sul fondo della caverna rappresentano l’oggetto di conoscenza dell’immaginazione (eikasia) – cioè le immagini;
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b) le statue che generano le ombre rappresentano l’oggetto di conoscenza della credenza (pistis) – cioè le cose percepite dai sensi;
c) i riflessi nell’acqua delle cose fuori dalla caverna rappresentano l’oggetto di conoscenza del pensiero discorsivo (dianoia) – cioè gli enti matematici;
d) le cose vere fuori dalla caverna rappresentano l’oggetto di conoscenza dell’intellezione (noesis) – cioè le idee.
2.6. La graduatoria delle discipline
In generale, dall’allegoria della caverna e dalla teoria della linea emerge con chiarezza la
preminenza gnoseologica della filosofia: essa è infatti l’unica disciplina che si basa sulla
noesis. Una disciplina importante per la conoscenza, ma non quanto la filosofia, è la matematica, che invece si avvale anzitutto della dianoia. Ogni altra disciplina è decisamente inferiore a filosofia e matematica, poiché si avvale delle forme di conoscenza inferiori (eikasia
e pistis), che si occupano di mere ombre e di opinioni.
In questa graduatoria delle discipline l’arte ha un posto del tutto subordinato: la conoscenza basata sui sensi è inferiore alla conoscenza intellettiva, ma l’arte è persino inferiore alla
conoscenza sensibile. Parlando di arte Platone si riferisce anzitutto alla pittura e alla scultura, le quali sono due volte lontane dalla verità:
•
il primo gradino della verità è rappresentato dalla idee che sono colte prima dalla
filosofia e poi dalla matematica;
•
il secondo gradino della verità è inerente alle cose sensibili che sono solo copie delle idee, cioè copie della verità originale, e sono colte dai sensi;
•
il terzo gradino della verità, quello più distante dalla fonte, è espresso dai manufatti
artistici (in particolare, dipinti e scolpiti), che sono due volte lontani dalla verità,
perché sono solo copie di copie, cioè copie di cose sensibili che al loro volta sono copie di idee.
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3. La psicagogia o la conduzione dell’anima
3.1. Le ali dell’anima
Sempre in maniera mitica, Platone cerca di spiegare la relazione tra l’anima dell’uomo e gli
oggetti di conoscenza, cioè il mondo delle idee. In generale, il mondo delle idee è chiamato
da Platone iperuranio, cioè un mondo al di sopra del cielo (uper-uranos). Soltanto l’anima
può giungere a questo mondo attraverso la conoscenza intellettuale.
L’anima, tra un’incarnazione e l’altra, è dotata di ali con le quali può raggiungere le vette
della conoscenza. Ma per una qualche colpa commessa nella vita precedente l’anima perde
le ali e viene incarcerata in un corpo: per tale motivo, finché rimane troppo legata al corpo,
essa può conoscere solo attraverso i sensi; e solo sforzandosi di conoscere attraverso la noèsis, l’anima può recuperare almeno in parte le sue ali, scoprendo così l’idea che sta alla base
di ogni cosa.
3.2. Il dualismo ontologico
Questo schema conoscitivo (o gnoseologico) mostra la relazione triangolare tra idee, cose e
anima. In esso è evidente che nei diversi gradi di conoscenza è presente uno sbalzo ontologico tra le idee universali e le cose particolari. Si parla in questo caso di dualismo ontologico: da un lato il mondo sensibile, il regno del divenire delle cose che si corrompono, dall’altro il mondo intelligibile, il regno dell’essere eterno. Le cose sensibili e transeunti sono
solo copie dei modelli perfetti ideali e eterni (le idee).
Da questa posizione deriva però un problema così notevole e di così difficile soluzione da
impegnare Platone per tutta la vita: qual è il rapporto che lega le cose alle idee? Platone fornisce diverse risposte, senza riuscire a rispondere mai del tutto: tra cose e idee sussisterebbe
1) un rapporto di imitazione (mìmesis), 2) oppure un rapporto di partecipazione (mèthexis),
3) oppure ancora una relazione di presenza dell’idea nella cosa (parousia). Vedremo in seguito quali problemi sollevino tutte e tre queste soluzioni [→ § 4.1.].
3.3. L’elevazione tramite Eros
Intanto cerchiamo d’affrontare un altro problema legato alla psicologia platonica: com’è
possibile l’elevazione al mondo delle idee, se la nostra vita è vissuta per lo più nel mondo
delle cose?
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Nel Simposio [→ 201d-209c] Platone cerca di dare una risposta: Socrate, parlando del dio
Eros (Amore), afferma che tale dio è a metà tra la pienezza d’ingegno e la povertà, e infatti
è figlio di Poros (la ricchezza) e Penia (la povertà). Per questa ragione Eros è sempre alla ricerca di ciò che gli manca, in quanto intrinsecamente carente di qualcosa (siccome è figlio
della Povertà), ma anche rivolto alla pienezza (siccome è figlio della Ricchezza).
Eros allora, secondo Socrate, è la personificazione dell’anima del filosofo: è sempre a metà
strada tra la pienezza della conoscenza e l’assoluta povertà di conoscenza. In altro parole,
egli non sa tutto ma non è neanche assolutamente ignorante, perché piuttosto sa di non sapere, e per questo è sempre alla ricerca di ciò che gli manca, ossia della conoscenza.
Ecco perché il filosofo si chiama «amante del sapere» (philo-sophos) e non si chiama invece
solo «sapiente» (sophos): egli non sa ancora, ma cerca sempre di sapere. Il filosofo può così
risalire i vari gradi della conoscenza fino alle idee grazie allo stimolo che gli proviene
dall’amore e in particolare dalla bellezza. La cosa bella particolare, infatti, pur non essendo
il bello in sé, mostra già in sé qualcosa dell’idea del bello, e spinge chi contempla a cercare
il bello in sé. L’idea del bello è l’unica idea che traluce davvero nelle cose sensibili belle, e
dunque ha un valore fondamentale nell’indicare la strada della conoscenza, perché il primo
passo per arrivare alla verità, cioè alle idee, è ammirare le cose belle per trovare il bello in
sé [→ § 6.3].
4. La dialettica
Come già accennato, il vero problema della teoria delle idee consiste nel rapporto che sussiste tra mondo sensibile (le cose) e mondo ideale (le idee). Una parziale soluzione, o almeno
una chiarificazione del problema, è data nelle opere della maturità in cui Platone discute il
tema fondamentale della dialettica. La dialettica è l’essenza della scienza filosofica e si divide in due parti:
•
sinossi → la visione (sinottica) d’insieme tale da ricondurre il molteplice all’unità
ideale;
•
diairesi → la divisione concettuale che ricava dall’unità dell’idea la molteplicità
delle sue componenti.
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Synopsis e diairesis
• Synopsis •
idea di banco
↗
↖
banco A
banco B
• Diairesis •
idea di mobile
↙
↘
mobilia per interni
↙
per la scuola
↙
idea di sedia
mobilia per esterni
↘
per la casa
↘
idea di banco
4.1. Methexis, mimesis e parousia
Il problema delle idee è in definitiva il loro rapporto con la molteplicità delle cose: qual è il
rapporto tra l’idea unica ed eterna – poniamo – della sedia e le varie sedie particolari?
METHEXIS –
Nei dialoghi giovanili Platone parla di partecipazione (methexis) delle cose parti-
colari all’idea unica. Questa posizione però ha un problema (rilevato da Platone stesso):
se la cosa partecipa dell’idea, partecipa (a) dell’idea intera oppure (b) solo di una parte di
essa?
a) Nel primo caso l’idea unica dovrebbe essere presente in tutte le cose che di lei partecipano, ma come può l’unicità stare nel molteplice?
b) Nel secondo caso invece l’idea unitaria risulterebbe divisibile e suddivisa nelle varie
cose, ma ciò è impossibile per definizione.
Queste conclusioni portano all’esclusione della soluzione partecipativa di idea e cose.
MIMESIS –
Nei dialoghi della maturità Platone pensa il rapporto tra idea e cose come imitazio-
ne (mimesis). In tal caso le cose particolari sarebbero copie dell’idea corrispondente presa come modello, pertanto il legame tra cose e idee è un legame di somiglianza.
Anche così però sorge un problema, perché alla teoria si può muovere la seguente obiezione: se il modello ideale, ad esempio l’«idea di bianco», è ciò che conferisce l’uguaglianza tra due cose bianche che ne imitano la bianchezza, dobbiamo ammettere nondimeno che anche le cose bianche e l’idea di bianco sono tra loro uguali rispetto alla comu14
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ne bianchezza. Questo allora significa che dovrebbe esserci un’altra idea superiore di
bianco, una «super-idea di bianco», che stabilisce la somiglianza tra l’idea di bianco e le
cose bianche. Questa risalita a un’idea sempre superiore di bianco, però, può proseguire
all’infinito, perché è necessario postulare una «super-super-idea di bianco» che giustifichi il legame tra la «super-idea di bianco» e l’«idea di bianco», e così via di seguito.
Questo è stato chiamato da Aristotele l’«argomento del terzo uomo» e vanifica l’ipotesi
d’imitazione per la relazione idea-cose, poiché complica soltanto gli elementi in gioco,
aumentandoli all’infinito.
Esemplificazione dei problemi sorti con la relazione di imitazione
• 1° livello •
Idea del bianco
⇙
⇘
cosa bianca (a)
⇔
cosa bianca (b)
Riconosciamo che la «cosa bianca (a)» è simile alla «cosa bianca (b)» perché entrambe imitano l’«idea del bianco».
• 2° livello •
Super-idea del bianco
⇙
⇘
idea del bianco
⇔
cose bianche
In questo caso, tuttavia, possiamo riconoscere che le «cose bianche» sono simili all’«idea del bianco» soltanto
perché imitano entrambe una «super-idea del bianco» che permette una relazione imitativa tra l’idea del bianco e le cose bianche.
• 3° livello •
Super-super-idea del bianco
⇙
⇘
super-idea del bianco
⇔
idea del bianco
Ma a questo punto dovremmo ipotizzare anche un «super-super-idea del bianco» per poter connettere la «super-idea del bianco» con l’«idea del bianco», e così via all’infinito. Questo problema di regresso all’infinito vanifica la soluzione imitativa del rapporto tra idee e cose.
PAROUSIA – La
soluzione del rapporto come presenza (parousia) viene scartata subito in quanto
troppo vaga. Non è chiaro, infatti, cosa voglia dire che l’idea è «presente» nella cosa o
nelle cose.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
4.2. La comunanza e i generi sommi
Alla fine, negli scritti della vecchiaia, Platone propone un’altra soluzione, che tuttavia è
solo parziale. Si attua qui una modificazione del rapporto di partecipazione chiamandolo
ora «comunanza», ma riferito stavolta non al rapporto idee-cose bensì al rapporto tra le
idee stesse. In questo tipo di rapporto le idee non sono statiche ma più duttili e mobili, in
modo da adattarsi alla molteplicità delle cose.
L’attenzione ora viene spostata sul processo dialettico della divisione (diairesis) che permette di ritrovare l’articolazione e la molteplicità delle cose all’interno delle idee. In un certo
senso Platone costruisce una sorta di ‘molteplicità delle idee’ che ricalca la molteplicità delle cose. Il mondo delle idee diviene allora qualcosa di molto ramificato che si articola secondo 5 generi sommi, cioè cinque gruppi molto generali di idee.
Esemplificazione dei generi sommi: l’idea di uomo
-
l’essere → l’uomo è (esiste)
-
l’identico → l’uomo è identico a sé
-
il diverso1 → l’uomo è diverso da ogni altra cosa
-
la stasi o quiete → l’uomo può essere in quiete
-
il movimento → l’uomo può essere in movimento
Questi generi sommi si possono riferire a qualsiasi idea in modo da caratterizzarla compiutamente. Dopo aver qualificato le idee secondo i generi sommi, si può trovare l’articolazione delle diverse idee in base ai vari rapporti di comunanza, attuando la diairesis o divisione
binaria, raffigurabile anche mediante insiemi e sottoinsiemi.
1 Platone si riferisce qui al non-essere, inteso come «esser-diverso», che però non ha niente a che
vedere con il non-essere di Parmenide. Platone intende il «diverso» come non-essere nel senso
che diamo a una frase del genere: «il bianco non è nero», ossia «il bianco è diverso dal nero».
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Esempio di divisione binaria: l’idea di uomo
volatile
idea di animale
quadrupedi
pedestre
piumato
bipede
?
implume
uomo
L’idea di uomo è definibile a partire dall’idea di animale, e dunque come animale, pedestre, bipede, implume (in
base alla diairesis), che esiste, è identico a sé, è diverso da ogni altra cosa, può essere in quiete o in movimento
(in base ai generi sommi). Inoltre, ogni elemento presente nella diairesis dell’idea di uomo è ugualmente scomponibile e definibile in base ai generi sommi.
La diairesis raffigurata con gli insiemi
animale
pedestre
bipede
volatile
quadrupede
piumato
?
implume
uomo
Alla diairesis presiedono due regole principali:
•
Ogni idea va distinta da quella opposta;
•
Ogni idea va inserita nell’idea superiore (cioè nell’insieme maggiore) a cui partecipa, così da evidenziare le varie comunanze tra idee.
Il processo della diairesis porta dall’idea più generale all’idea più particolare, ma questo
processo di divisione deve avere un limite e non può procedere all’infinito, altrimenti si arriverebbe alla cosa particolare: in base alla teoria della comunanza attraverso la divisione
binaria, le idee si avvicinano sempre di più alla molteplicità delle cose, ma questo solo fino
a un certo punto, ossia fino alle idee atomiche, come quella di uomo, oltre la quale non ci si
può spingere.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
In realtà si potrebbe spingere la divisione dell’idea di uomo – poniamo – fino a «italiano» o
«tedesco», o anche a «giovane» o «vecchio», ecc., ma non fino al singolo uomo, cioè fino
all’individuo «Socrate», perché Socrate non è più un’idea, ma un individuo, un uomo particolare.
5. La teoria dell’anima: tra psicologia e gnoseologia
5.1. L’immortalità dell’anima
L’uomo rappresenta un ente particolare perché incarna l’unione di due elementi eterogenei,
cioè ontologicamente diversi:
•
l’anima legata al mondo eterno delle idee, e quindi eterna;
•
il corpo legato al mondo sensibile e corruttibile, e quindi mortale.
Nel Fedone Platone fornisce ben tre dimostrazioni dell’immortalità dell’anima, ma la più importante afferma che l’anima è immortale perché partecipa dell’idea di vita e di conseguenza, per la definizione stessa di anima, non può morire. Nel Fedone le varie prove dell’immortalità dell’anima hanno tutte come presupposto la teoria della anamnesi: poiché l’uomo
ha ricordi innati, allora la sua anima deve essere immortale.
5.2. La sorte nel mito di Er
Nella Repubblica è riportato un altro mito che completa la descrizione della vita dell’anima
al di là della vita terrena e corporea. Questo mito è chiamato «Mito di Er»: Er è un soldato
morto in battaglia e resuscitato dopo alcuni giorni, il quale può così raccontare la sua esperienza dopo la morte. Nell’aldilà, al momento di scegliere il proprio destino, le anime sono
chiamate a raccolta appena prima della reincarnazione: ogni anima deve scegliere una sorte,
cioè una tessera, da cui dipenderà la propria vita futura, il proprio stile di vita, le proprie inclinazioni ecc (che non saranno necessariamente umane, ma animali o addirittura vegetali).
Tuttavia la scelta della sorte è determinata dalle conoscenze maturate nella vita precedente.
Per questa ragione, al momento della scelta, sono avvantaggiati i filosofi, che hanno le conoscenze più utili a determinare come dovrà essere la vita futura: essi infatti dispongono
della conoscenza delle idee e del bene.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Una volta compiuta la scelta della sorte, le anime berranno dal fiume Lete e dimenticheranno quanto hanno visto nell’aldilà. Al contrario Er, dal momento che risorge e la sua anima
ritorna nel medesimo corpo, non subisce il ciclo normale di reincarnazione, evitando quindi
di bere l’acqua dell’oblio e serbando memoria delle sue esperienze.
Dal mito di Er otteniamo alcuni informazioni preziose per la concezione platonica:
•
Il proprio destino non è dovuto al caso e ciascuno di noi è responsabile della vita
che ora conduce, perché al momento opportuno abbiamo avuto la possibilità di scegliere la sorte. Questa scelta però non è del tutto libera, poiché la capacità di scegliere al meglio è determinata dal tipo di vita condotta precedentemente e dalla
quantità di verità acquisita nell’ultima vita.
•
Inoltre Platone ammette altrove che l’obiettivo dell’anima è interrompere la condanna ciclica delle reincarnazioni. Questa interruzione è possibile, secondo lui, solo
se l’anima si reincarna per tre volte consecutive in un filosofo. È superfluo notare
che la stragrande maggioranza delle anime è condannata alla reincarnazione continua, e anzi, che molte anime di uomini finiranno per reincarnarsi in corpi di anima li, precludendosi così per sempre la possibilità di tornare uomini.
5.3. Le caratteristiche dell’anima
Indipendentemente dalla sorte scelta, l’anima possiede una serie di caratteristiche che la
contraddistinguono:
1. è il principio vitale per se stessa e per il corpo;
2. è il soggetto della conoscenza: la sua conoscenza è direttamente proporzionale all’allontanamento dal corpo, e quindi tende verso il mondo vero che è il mondo delle
idee eterne;
3. è incarcerata nella tomba del corpo (→ Pitagora e l’orfismo), il quale è l’origine dell’illusione e dell’errore;
4. essa deve quindi cercare di purificarsi dal corpo e separarsi da esso dopo la morte;
5. inoltre l’anima risulta essere tripartita:
a) parte razionale o calcolatrice (legata alle idee);
b) parte irascibile (neutrale: si allea o con la prima o con la terza parte);
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
c) parte concupiscibile (legata ai sensi).
5.4. Il mito della biga alata
Per spiegare la tripartizione dell’anima Platone ricorre ancora una volta a un mito, conte nuto nel Fedro. L’anima è paragonata a una biga, cioè a un cocchio, che vola trainata da due
cavalli e guidata da un auriga. L’auriga rappresenta la parte razionale, il primo cavallo che
è bianco rappresenta la parte irascibile, il secondo cavallo che è nero rappresenta la parte
concupiscibile.
Il problema è che il cavallo nero tira sempre verso il basso, ossia verso il mondo sensibile,
mentre il cavallo nero tira verso la direzione che gli indica l’auriga, ossia verso l’alto se la
parte razionale intende raggiungere il mondo delle idee, oppure verso il basso se la parte
razionale è soggiogata dai sensi.
Più precisamente, le anime che subiscono l’intemperanza del cavallo nero sono costrette a
(ri)cadere nei corpi, a essere incarcerate nel mondo della generazione e della corruzione. Invece le anime che dirigono saggiamente la propria biga verso l’alto sono sottratte al circolo
eterno di nascita e morte, e possono così rimanere sempre a contatto con gli dèi e con la verità delle idee.
Questo significa che secondo Platone il fine ultimo della conduzione saggia della nostra anima, possibile solo attraverso la filosofia, è l’abbandono del ciclo continuo di nascita e morte
(cioè la cessazione della metempsicosi), al fine di rimanere per tutta l’eternità nell’iperuranio.
6. L’educazione: la pedagogia
Secondo Platone è fondamentale per l’educazione l’identificazione fra virtù e sapere. La
vera sapienza, infatti, riguarda prima di tutto l’idea del bene come idea morale e come idea
a capo di tutte le idee. Questo significa che la massima conoscenza teoretica è anche la massima conoscenza pratica (il bene) che orienta il comportamento umano.
6.1. L’armonia dell’anima
Inoltre la virtù, cioè l’aderenza al bene, è qualcosa che riguarda unicamente l’anima e non
il corpo, pertanto insegnare la virtù significa mantenere nell’anima un certo equilibrio ottimale. Abbiamo visto che l’anima è composta da tre forze diverse (quella razionale, quella
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
irascibile, quella concupiscibile), dunque un uomo sarà virtuoso se la sua anima è in equilibrio per quanto concerne le tre diverse forze. L’equilibrio dell’anima è per Platone la salute
dell’anima. Come la bellezza fisica consiste nella proporzione delle membra, e come la salute del corpo sta nell’equilibrio degli elementi che compongono l’organismo, così la bellezza
e la salute dell’anima consistono nell’armonia fra le tre forze che la compongono.
L’armonia dell’anima è strutturata secondo una gerarchia ben precisa: la parte razionale
deve comandare affinché ogni altra parte svolga la sua funzione e non si arroghi un ruolo
che non le compete.
6.2. Il paragone con la polis
D’altronde l’anima sana ed equilibrata è paragonata da Platone a una città ben amministrata, in cui ogni classe sociale svolge il suo compito senza interferire con il compito delle altre
classi. In ogni caso quel che conta è che, sia nel paragone con la salute fisica sia nel paragone con la città giusta, l’anima sana corrisponde all’anima giusta, in modo che salute e giustizia per l’anima siano la stessa cosa. La vera utilità per l’uomo, cioè per la sua anima, è la
scelta del bene: solo scegliendo ciò che è giusto l’anima è sana.
L’uomo equilibrato la cui anima è armonica è detto da Platone uomo libero, mentre l’uomo
schiavo è quello la cui anima è disarmonica, cioè che non sa dominare le passioni. La libertà
e la schiavitù allora non rappresentano tanto due condizioni sociali, ma due stati psicologici:
•
l’uomo libero è l’uomo temperante, equilibrato, armonico, razionale, padrone di se
stesso;
•
l’uomo schiavo invece è schiavo delle passioni e dei piaceri, totalmente in balia dei
sensi, irrazionale e intemperante.
6.3. L’educazione erotica
L’equilibrio dell’anima, cioè la sua libertà, è qualcosa che si raggiunge attraverso l’educazione (paideia), che però non è un processo puramente intellettuale, ma un’attività che
coinvolge sia le forze razionali sia quelle irrazionali dell’uomo e che intende trovare il giusto rapporto tra esse.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
La teoria dell’eros riguarda proprio il processo educativo adatto a trovare l’equilibrio
dell’anima. L’eros è l’amore: ciò significa che gli impulsi più profondi della passione umana
non devono essere lasciati a se stessi, ma devono e possono essere educati, e addirittura utilizzati nel processo educativo. In quest’ottica ha una funzione fondamentale nell’educazione
di un uomo l’eros omosessuale tipicamente aristocratico.
L’amore fra gli uomini ha un valore estremamente positivo per educazione: Platone però
non intende tanto l’attrazione fisica che spinge l’amante verso l’oggetto d’amore, bensì interpreta Eros come un grande demone (Daimon megas), che fa da intermediario fra gli uomini e gli dèi, e che funge da tramite tra il mondo terreno delle cose e il mondo eterno delle
idee [→ § 3.3].
L’incontro amoroso vero è educativo (pedagogico e psicagogico assieme) perché è un’importantissima occasione per esercitare l’arte della maieutica da parte dell’amante verso l’amato: con questa pratica erotica l’amante può aiutare l’anima dell’amato a realizzare la propria
natura, cioè la propria libertà, il proprio equilibrio.
Il maestro, affinché sia davvero in grado di insegnare la verità, deve amare il discepolo e viceversa essere amato: negli ambienti aristocratici greci era infatti molto diffusa la relazione
omosessuale tra discepolo e maestro. Tuttavia Platone prospetta questo amore in veste anzitutto spirituale e non fisica: tale tipo di amore è incarnato dalla pratica di Socrate nei confronti dei giovani che egli riesce a indirizzare verso la verità.
L’amore tra due persone infatti, ossia quella passione che insegue la bellezza di un corpo, è
già il segno che dietro a quella bellezza particolare e a quel corpo particolare l’amante tende alla bellezza ideale, cioè verso l’idea del bello. In tal caso è preferibile l’amore omosessuale perché è meno legato alla bellezza corporea che invece attrae due amanti di sesso diverso. Al contrario, amare una persona dello stesso sesso significa superare la bellezza del
corpo e concentrarsi maggiormente sulla bellezza spirituale o ideale, avvicinandosi così al
mondo delle idee2 [→ Simposio, 210a-212c].
2 È nota la vicenda di Socrate e Alcibiade, com’è narrata nel Simposio. Al termine del banchetto in
onore di Agatone, il bello e giovane Alcibiade cerca in ogni modo di giacere durante la notte con
il saggio Socrate. Ma questi, pur acconsentendo, trascorre la notte dormendo accanto ad Alcibiade «come se fosse per lui un figlio», dimostrando che l’interesse di Socrate è tutto rivolto alla bellezza spirituale e non a quella fisica. Alcibiade invece fraintende del tutto gli intenti di Socrate.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
7. La teoria politica
In Platone è centrale il problema sulla condotta umana, tanto che tutta la sua filosofia converge su una teoria politica (→ Repubblica, Politico, Leggi). Nella Repubblica il tema centrale è quello della giustizia, intesa come massima virtù. In questo dialogo Platone ricerca il
modello di uno stato, cioè dello stato ideale, in cui l’uomo possa esercitare fino in fondo la
sua virtù politica, ossia la giustizia: l’uomo non può essere davvero giusto se non vive in
uno stato giusto.
7.1. La tripartizione della polis
Lo stato (la polis) nasce perché ciascun uomo non sa vivere da solo e ritiene utile consociarsi, in modo che ognuno si dedichi a una sola attività a vantaggio della collettività: ad esempio, uno esercita il mestiere di calzolaio, uno di guerriero, uno di contadino ecc. Ci sono
però, secondo Platone, tre attività fondamentali:
1. economiche/alimentari,
2. difensive,
3. governative.
Le tre funzioni devono essere assegnate a tre gruppi di persone distinte, proprio perché gli
uomini sono tra loro diversi e ciascuno è più abile in un’attività piuttosto che in un’altra.
Inoltre i tre gruppi corrispondono alla tripartizione dell’anima:
1. anima razionale
→
gruppo dei governanti
2. anima irascibile
→
gruppo dei difensori
3. anima concupiscibile →
gruppo dei lavoratori
C’è dunque uno stretto parallelismo tra stato e anima dell’uomo, al punto che il primo è la
traduzione in caratteri più grandi, e quindi più leggibili, della seconda: cioè, lo stato rappresenta a livello macroscopico ciò che l’anima è a livello microscopico.
•
Il gruppo dei governanti dovrà essere quello che ha maggiori facoltà di raziocinio,
che conosce il bene e la giustizia.
•
Il gruppo dei difensori è quello con passioni più vigorose, più generose e più irascibili.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
•
Il gruppo dei lavoratori è quello meno dotato, legato com’è alla componente psicologica più bassa, ossia a quella istintuale.
Ecco dunque le tre classi:
1. i filosofi: governanti della città;
2. i guerrieri: difensori della città;
3. gli operai: lavorano per produrre i beni sia per sé sia per guerrieri e filosofi.
L’organizzazione politica sarà allora strutturata in questo modo:
•
i lavoratori, che hanno proprietà economiche, non hanno alcun diritto politico;
•
i guerrieri e i governanti non posseggono alcuna proprietà: vige infatti comunitarismo dei beni e anche delle donne. Essi però sono gli unici ad avere diritti politici, e
devono sacrificare tutto, compresa la loro felicità personale, per il bene della polis.
Tuttavia le tre classi non sono classi chiuse: se tra i lavoratori nasce un bambino dotato razionalmente, allora potrà essere integrato nella classe dei governanti, e ovviamente potrà
accadere anche il contrario.
7.2. Il comunitarismo platonico
Abbiamo visto che il gruppo di guerrieri e governanti, che Platone chiama con un temine
unico «phylakes», non ha alcun diritto di proprietà. Questa condizione di chiama «comunitarismo» (o anche «comunismo»), e riguarda in particolare tre aspetti: 1. i beni, 2. le donne,
3. i figli.
La condivisione di bene, donne e figli ha come obiettivo evitare invidie, gelosie e favoritismi. Parallelamente, le donne – afferma Platone – dovranno avere gli stessi diritti a governare che hanno gli uomini, ovviamente sempre all’interno della classe dei governanti.
7.3. Le forme di governo
In base a quanto detto finora, il modello ideale di stato è una specie di aristocrazia, che tuttavia si confronta con le altre forme di governo, dimostrandosi la migliore. Le altre forme di
governo sono la «timocrazia», l’«oligarchia», la «democrazia», la «tirannide» e la «monar chia».
Possiamo distinguere le forme di governo in base al numero dei governanti:
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
•
se governa una sola persona: monarchia e tirannide;
•
se governano in pochi: aristocrazia, oligarchia e timocrazia
•
se governano in molti: democrazia/oclocrazia.
Si possono poi distinguere le forme di governo in base all’obiettivo che si prefiggono e alla
giustizia che vige tra le parti che compongono la polis:
•
se non c’è giustizia e l’obiettivo prefissato è parziale:
◦ timocrazia → prevale la ricerca degli onori;
◦ oligarchia → fondata sulle ricchezze (è detta anche «plutocrazia);
◦ democrazia → prevale l’anarchica libertà in cui ciascuno fa tutto, anche ciò
che non sa fare, e tenta di appagare il piacere immediato (è detta anche «oclocrazia»);
◦ tirannide → è la peggiore forma di governo, poiché il potere è nelle mani di un
singolo che di solito è il peggiore di tutti. È contemporaneamente la forma di
governo più pericolosa ma anche la più facile da sovvertire, perché il tiranno
può essere convertito e diventare un vero e proprio re illuminato, instaurando
così la monarchia, che è una forma di governo potenzialmente ottima;
•
se c’è giustizia e l’obiettivo del governo è universale:
◦ aristocrazia → il governo dei migliori, cioè dei filosofi;
◦ monarchia → il governo di un solo uomo educato alla filosofia.
8. La filosofia della natura
8.1. La verosimiglianza di un discorso sulla natura
Nel Timeo Platone parla del cosmo e della realtà naturale. Spiega la nascita dell’universo attraverso un mito cosmogonico: il mondo è prodotto (e non creato) da un artefice divino,
detto «demiurgo», che usa le idee come modelli per il mondo. In altre parole, il demiurgo
utilizza l’iperuranio come modello a cui adattare il mondo naturale.
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TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Nondimeno la verità della realtà naturale non può raggiungere la certezza dell’idea, perché
la realtà naturale ci è nota soltanto attraverso l’osservazione, ossia attraverso i sensi; perciò
non se ne può avere un sapere definitivo e apodittico, ma solo probabile e verosimile. Per
tale ragione Platone riesce a spiegare la sua filosofia della natura solo utilizzando un mito
verosimile e non una legge scientifica: di ciò che riguarda i sensi, infatti, non esistono leggi
scientifiche.
8.2. Il mito del Timeo
Il mito racconta che il demiurgo, ossia un’intelligenza esclusivamente ordinatrice, plasma la
materia informe, dandole la forma a partire dai modelli ideali. Quindi abbiamo diversi elementi:
1. il demiurgo → l’artefice;
2. la materia informe eterna, già da sempre esistente → chiamata da Platone «chora»;
3. le idee → i modelli trascendenti in basi ai quali dare forma alla materia informe.
Da questi ingredienti viene alla luce il mondo come noi lo conosciamo.
•
La chora però è solo una materia informe, che per costituire tutto ciò che c’è deve
prima diventare sostanza: deve diventare, cioè, il substrato che sta alla base di tutti
i corpi.
•
Questo substrato o sostanza è una miscela dei 4 elementi fondamentali che il demiurgo ha plasmato a partire dalla chora: terra, aria, fuoco, acqua – ogni elemento
ha una struttura geometrica ben precisa.
•
Tuttavia il demiurgo non realizza solo i corpi, ma produce anche la cosiddetta «anima del mondo» e il tempo (che Platone definisce come «l’immagine mobile dell’eternità»).
•
Producendo l’anima del mondo e il tempo, il demiurgo dà avvio al moto degli astri
che, per l’appunto, misurano lo scorrere del tempo.
In conclusione, ecco che cosa produce il demiurgo: 1. l’anima del mondo, 2. il corpi sensibili
(dai fiumi alle stelle), 3. il tempo. Tutto ciò che il demiurgo produce è di per sé eterno, senza
fine. Ma allora come possono nascere le cose che si corrompono, cioè per esempio tutti gli
esseri viventi? Platone risponde che questi non sono stati prodotti direttamente dal demiur26
TOMMASO SCAPPINI – APPUNTI DI STORIA DELLA FILOSOFIA
go, ma da semidei che il demiurgo ha precedentemente formato affinché producessero tutti
gli esseri viventi, che perciò sono mortali e non eterni: essi infatti sono soltanto il prodotto
di un prodotto del dio, e non direttamente un prodotto del dio.
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