Estela González de Sande, Leonardo Sciascia e la cultura spagnola

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Estela González de Sande, Leonardo Sciascia e la cultura spagnola
Estela González de Sande, Leonardo Sciascia e la cultura spagnola
di Serena Sartore
“Avevo la Spagna nel cuore”. L’ho ancora.
Leonardo Sciascia, Ore di Spagna
Pubblicata dalla catanese la Cantinella nel 2009, questa monografia di Estela
González de Sande ha innanzitutto il pregio di essere riuscita a focalizzare uno dei
temi più attuali della critica sciasciana. Si tratta, ovviamente, del rapporto di Sciascia con la cultura spagnola, che è diventato materia di dibattito soprattutto
nell’ultimo decennio, ma ha preso l’avvio a partire dalla pubblicazione, nel 1988,
di Ore di Spagna, raccolta di articoli risalenti agli anni 1980-1985 e tutti incentrati
sulla letteratura, la cultura e la storia spagnola.
Il testo di González de Sande rappresenta un buon punto d’arrivo per il filone
di studi incentrati sul binomio Sciascia-Spagna, perché porta a compimento
l’ambizioso progetto di passare al setaccio l’intera produzione dello scrittore siciliano per far emergere l’ininterrotto fil rouge che lo lega al mondo ispanico. Come
afferma Sarah Zappulla Muscarà nella prefazione, quello di Estela González de
Sande è «uno straordinario viaggio di conoscenza che ripercorre tutte le tappe
dell’opera del racalmutese restituendoci […] la mappatura precisa di luoghi reali e
della mente di civiltà consanguinee, e perpetuando così quella fraternità intellettuale dallo scrittore insistentemente ribadita» (p. 10).
Sciascia considera infatti la realtà siciliana e quella spagnola profondamente
somiglianti, per ragioni storiche, culturali e perfino caratteriali, per cui «se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo
di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo»1. Ad accomunare le due realtà sarebbero, secondo Sciascia,
l’accentuato individualismo, l’intrinseco senso della morte, lo spirito di contraddizione, il gusto per l’apparenza, la religiosità profonda e al contempo esteriore. Peculiarità che lo scrittore siciliano non riscontra nel resto del Paese e che fa derivare direttamente dal lungo periodo di dominazione spagnola nell’isola. «La “spagnolità” in Sicilia, cercata, difesa e coltivata da Leonardo Sciascia, è profondamente impressa nella sua mente ed è un modo per scandagliare nella sicilianità o
“sicilitudine”» (p. 37), ossia diventa uno strumento di conoscenza e di analisi tanto storico quanto letterario.
González de Sande segue quindi le tracce della “spagnolità” per ripercorrere i
periodi e i fatti della storia spagnola sui quali Sciascia si è soffermato maggiormente: l’Inquisizione e la guerra civile in primis. La guerra di Spagna riveste un
peso considerevole nella presa di coscienza antifascista di una larga fetta del
1
L. Sciascia, Pirandello e la Sicilia, , Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 1968, poi Adelphi, Milano 1996, p. 13.
mondo intellettuale italiano, che anche a causa di quel conflitto si vede costretta
ad affrontare i nodi oscuri della propria relazione con il regime e fare finalmente i
conti con «il ritorno del problema etico nella politica»2. È il caso di Davide Lajolo, che racconta il suo personale percorso verso l’antifascismo nell’opera Il voltagabbana, e di Elio Vittorini, che fin dal principio della guerra civile abbraccia la
causa repubblicana, ponendosi apertamente in contrasto con le direttive del governo italiano e lanciando i suoi strali contro l’avvento di Franco dalle pagine de
«Il Bargello».
Sciascia, di una decina d’anni più giovane di Lajolo e Vittorini, assiste allo
scoppio della guerra civile con l’animo di un adolescente che ha vissuto l’avvento
del fascismo senza una precisa consapevolezza della propria ideologia; non ha
mai dovuto mettere in discussione il regime, e anche nei fatti di Spagna accetta inizialmente la versione diffusa dalla stampa italiana, secondo cui il pericolo è costituito dai ribelli “rossi” e il pronunciamento di Franco rappresenta la giusta reazione che riporterà l’ordine nel Paese. Presto, però, anche lo scrittore siciliano si
rende conto che la realtà è meno limpida e univoca di quella che trapela dai dispacci ufficiali, e contestualmente al suo precoce laicismo mostra i primi segni di
insofferenza nei confronti del fascismo, che con la definitiva rivelazione di ciò
che realmente simboleggia la guerra di Spagna si tramutano in un «istintivo antifascismo». È lo stesso Sciascia a raccontare la sua rapida presa di coscienza:
Avevo sedici anni quando in Spagna esplose la guerra civile; ma non ne seppi niente, fin quando non vidi partire «i volontari», i braccianti disoccupati del mio paese. Non poteva essere giusta
una guerra in cui come «volontari» venivano cacciati i morti di fame: ci doveva essere qualcosa,
nell’Italia di Mussolini e nella Spagna di Franco, di ingiusto, di insensato, di indegno. E poi, ecco,
c’erano i preti: e dicevano che Mussolini e Franco stavano dalla parte di Dio; mentre dall’altra parte, dalla parte della Repubblica, c’erano Dos Passos (il cui 42° parallelo mi aveva fatto grande impressione) e Chaplin.3
Come mostra l’accurata indagine di González de Sande, i riferimenti alla guerra di Spagna sono costanti nell’opera di Sciascia, che non cessa mai di interrogarsi
sulla questione e ne fa l’argomento principale del romanzo breve L’antimonio,
pubblicato nel 1961 nella seconda edizione de Gli zii di Sicilia. Ma già ne Le parrocchie di Regalpetra il ricordo della guerra di Spagna agisce come stimolo narrativo, mescolando l’amore per una terra ormai assurta a simbolo di libertà con il
dolore empatico per i compaesani siciliani, considerati vittime sacrificali del fascismo:
Ora quei nomi delle città di Spagna mi s’intridevano di passione. Avevo la Spagna nel cuore.
Quei nomi – Bilbao Malaga Valencia; e poi Madrid, Madrid assediata – erano amore, ancor oggi li
pronuncio come fiorissero in un ricordo di amore. E Lorca fucilato. E Hemingway che si trovava a
Madrid. E gli italiani che nel nome di Garibaldi combattevano dalla parte che chiamavano rossi. E
2
3
A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Einaudi, Torino 1959, p. 456.
L. Sciascia, La generazione degli anni difficili, Laterza, Bari 1962, p. 259.
a pensare che c’erano contadini e artigiani del mio paese, d’ogni parte d’Italia, che andavano a morire per il fascismo, mi sentivo pieno d’odio.4
L’altro principale merito dello studio di González de Sande risiede nella documentata ricostruzione della fitta trama di relazioni, intellettuali e umane, che Sciascia instaurò con i principali esponenti della letteratura spagnola. Nessun autore
viene tralasciato, ma a conti fatti la gerarchia dei nomi è evidente: a partire da
Cervantes, che con Don Chisciotte ha creato un archetipo e un simbolo universale,
per arrivare a Ortega y Gasset, attraverso le cui Obras Sciascia dice di aver appreso a leggere il mondo contemporaneo, a Unamuno, considerato interprete del
“chisciottismo” anche nelle sue scelte di vita, e infine a Borges e Vázquez Montalbán.
Una menzione a parte meritano i poeti riuniti sotto l’etichetta di Generazione
del ’27. Con alcuni di loro, come Guillén e Dámaso Alonso, Sciascia instaurò duraturi rapporti d’amicizia, di altri tradusse in prima persona singole poesie, qui utilmente riprodotte e commentate: non soltanto il famoso Lamento per Ignazio
Sánchez Mejías di Lorca, simbolo delle tertulias fiorentine degli anni Trenta e che
vanta traduttori d’eccezione come Bo, Vittorini e Caproni, ma anche le meno
scontate Morte del sogno e Tempo d’isola di Salinas. Di questa pleiade, scoperta
in gioventù a ridosso dello scoppio della guerra civile e seguita con affetto per il
resto della vita, Sciascia ammira soprattutto lo spirito di fratellanza che accomuna
il gruppo di poeti e che si rispecchia in un parallelo spirito di fratellanza con il
proprio popolo martoriato.
Il saggio di González de Sande è introdotto e, si può dire, incorniciato da una
bella galleria fotografica di Giuseppe Leone, che immortala alcuni momenti di
uno dei tanti viaggi di Sciascia in Spagna: scatti fugaci di «verità momentanea»,
come li avrebbe definiti lo scrittore siciliano.
4
L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Roma-Bari 1963 (I ed. 1956), p. 53.