Motivazione e performance nelle organizzazioni

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Motivazione e performance nelle organizzazioni
UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE
UNINETTUNO
FACOLTÀ DI PSICOLOGIA
Corso di Laurea in Discipline Psicosociali
Elaborato finale
In Psicologia del Lavoro
Titolo tesi
Motivazione e performance nelle
organizzazioni
Relatore: Prof. Arrigo Pedon
Tutor: Dott.ssa Mariangela Cersosimo
Candidato: Marco Sozza
Anno Accademico 2014-15
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Indice
Introduzione
Capitolo 1: La motivazione nelle organizzazioni
1.1 Il concetto di motivazione
1.2 Motivazione nelle organizzazioni
1.2.1 Teoria dei bisogni di Maslow
1.2.2 Teoria ERG di Alderfer
1.2.3 Teoria dei fattori igienico-motivanti di Herzberg
1.2.4 Teoria dei bisogni di McClelland
1.2.5 Teoria dell'equità di Adams
1.2.6 Teoria del rinforzo di Skinner
1.2.7 Teoria X e Y di McGregor
1.2.8 La teoria dell’aspettativa di Vroom
1.3 Motivazione estrinseca ed intrinseca
1.4 La relazione tra motivazione estrinseca ed intrinseca
1.5 Conclusioni
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Capitolo 2: Performance nelle organizzazioni
2.1 Performance nelle organizzazioni
2.2 Performance individuale
2.3 Misurazione delle performance
2.4 Conclusioni
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Capitolo 3: La relazione tra motivazione e performance
3.1 La relazione tra motivazione e performance individuale
3.2 Motivazione intrinseca e performance
3.3 Motivazione estrinseca e performance
3.4 Conclusioni
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Capitolo 4: Strategie per aumentare motivazione e performance
4.1 Promuovere i fattori incentivanti
4.2 Arginare i fattori disincentivanti
4.3 Il caso Google
4.4 Conclusioni
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Capitolo 5: Conclusioni
5.1 Conclusioni
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Introduzione
Se manca motivazione a svolgere un determinato compito, le abilità e le
conoscenze di un individuo possono essere sprecate. E’ capitato a tutti di notare
come, in diversi ambiti, individui facciamo il minimo possibile per raggiungere un
risultato mentre altri mettano in campo tutte le loro risorse e impegno.
Cosa rende diverse queste due tipologie di persone?
La risposta è la motivazione.
I lavoratori motivati sentono il bisogno di ottenere successo, di fare sempre del
proprio meglio in ogni campo e progetto a cui sono stati assegnati. È in corso da
anni un dibattito tra molti autori su come sia possibile creare questo desiderio.
Molti sono d’accordo nel ritenere che la semplice esortazione non basti e che non
esista una metodologia standardizzata per spingere a fare il proprio meglio, in
quanto le persone sono troppo diverse fra loro. La motivazione deve essere basata
sugli aspetti comuni della natura umana, anziché sulle differenze che esistono fra i
vari individui. Alcuni studiosi, inoltre, pensano che sia impossibile che un essere
umano possa motivarne un altro e preferiscono utilizzare termini quali
“incoraggiare”. Altri, invece, credono che la motivazione sia legata allo stato
d’animo e che non esiste una logica che la governa. Essa, quindi, si riduce ad una
mera esortazione, in quanto sarebbe sufficiente trattare le persone con sincerità e
franchezza.
I manager che vogliono ottenere alte performance devono necessariamente
lavorare sulla motivazione dei loro collaboratori. Occuparsi di motivazione
significa, quindi, capire quali siano le origini di quei processi che esprimono
l’agire degli individui, che ne definiscono i moventi ed i motivi e che si
propongono di riconoscere tutto ciò che muove e mobilita (G. P. Quaglino, 1999).
Nel caso della motivazione lavorativa, si tratta di analizzare la moltitudine di
fattori, non esclusivamente interni alla persona, in grado di far comprendere le
dinamiche insite nel dispiegamento delle energie psicofisiche nell’attività
professionale, ma anche nell’intensità e persistenza di questo investimento di
risorse. La conoscenza della struttura motivazionale degli individui e dei relativi
meccanismi comportamentali è indispensabile per una gestione consapevole del
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sistema organizzativo aziendale. Va indagato il processo attraverso il quale
l’individuo canalizza l’energia verso il raggiungimento di un incentivo al
soddisfacimento di determinati bisogni.
Intorno alla metà del secolo scorso sono nate le prime importanti teorie sulla
motivazione. Le più influenti sono state quella della gerarchia dei bisogni di
Maslow (1943), la teoria dei fattori igienico-motivanti di Herzberg (1959) e la
teoria dell’aspettativa di Vroom (1964). Queste ricerche si focalizzano anche sulla
motivazione del personale nello specifico.
E’ stato dimostrato come vi sono due tipologie di motivazione. La motivazione
intrinseca e la motivazione estrinseca. Su questo argomento verranno discussi in
particolare i contributi di Amabile e Deci e Ryan e verrà più avanti descritto come
questi due tipi di motivazione possono influenzare le prestazioni lavorative.
Lo scopo di questa tesi è quello di indagare come tipologie diverse di motivazione
possano influenzare le performance in ambito lavorativo. Prima di arrivare ad una
conclusione si vuole fare chiarezza su cosa sia la motivazione, per capire come
influenza il nostro modo di lavorare e come la prestazione sia correlata ad essa.
L’obiettivo di questa tesi è stato raggiunto tramite una rivisitazione delle ricerche
eseguite dagli esperti nell’ambito della motivazione lavorativa. In particolare le
ricerche di Deci, Hunter, Hackman e Oldham, Amabile.
Nel primo capitolo verranno esposte le principali teorie sulla motivazione e le loro
implicazioni in ambito lavorativo. Successivamente negli ultimo paragrafi del
capitolo verrà introdotto il concetto di motivazione intrinseca, motivazione
estrinseca e la loro relazione.
Il secondo capitolo si focalizza sulla performance degli individui nell’ambiente
professionale. Si descrive come le prestazioni possano essere misurate e quanto
esse possano essere determinate dalla motivazione.
Il terzo capitolo riguarda la relazione tra motivazione e performance e verrà
descritto come il personale possa essere motivato in modo intrinseco ed
estrinseco.
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Nel quarto capitolo si espongono quelli che sono i fattori sui quali fare leva per
incrementare motivazione e performance nelle organizzazioni e si parlerà anche ai
fattori dei fattori disincentivanti che auspicabilmente un’organizzazione deve
arginare. Infine viene esposto un caso reale, quello della Google, Inc. una tra le
aziende più prestigiose ed efficienti al mondo, nello specifico verrà esposta la loro
politica di gestione del personale focalizzata sulla motivazione intrinseca ed
estrinseca.
Il quinto capitolo conclude la tesi, esponendo quelle che sono le implicazioni nel
settore lavorativo della motivazione intrinseca ed estrinseca.
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Capitolo 1
La motivazione
In questo capitolo verranno introdotte le più influenti teorie sulla motivazione.
Successivamente verrà verranno descritte la motivazione intrinseca e quella
estrinseca. Nell’ultimo paragrafo si espone la relazione tra le due tipologie di
motivazione.
1.1 Il concetto di motivazione
Etimologicamente il termine motivazione indica un movimento, il dirigersi di un
soggetto verso uno scopo. La dinamica del desiderio implica una spinta, che può
essere interpretata come bisogno o pulsione da soddisfare, oppure in un senso più
profondo, come tensione sostenuta da aspettative, emozioni, obiettivi.
Questa tensione appare da un lato connessa alle modalità per cui un soggetto
decide che cosa per lui ha senso e che cosa non lo ha, dall’altro è legata alle
attribuzioni di valore dominanti in un determinato contesto (ambiente socioculturale, gruppo, lavoro, istituzioni, ecc.).
Già dalla definizione che si ricava da una prospettiva etimologica emerge la
complessità teorica del problema della motivazione. Essa si può definire in via
preliminare come un costrutto multifattoriale, poiché entrano infatti in gioco
diversi aspetti, interrelati ed interagenti tra loro: aspetti emotivi, cognitivi,
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biologici, psicologici, contestuali, sistemico-relazionali. Tra le varie componenti,
come è facile intuire, si intrecciano una moltitudine di relazioni, tanto che non è
facile isolare un aspetto dall’altro. Esistono differenti modellistiche motivazionali,
che risentono dell’influenza di diversi orientamenti.
Nel caso della motivazione al lavoro, si tratta di analizzare un insieme di fattori
che non necessariamente risiedono all’interno della persona. Essi sono in grado di
far comprendere le dinamiche di comportamento nell’attività lavorativa, la
conoscenza della struttura motivazionale degli individui e i relativi meccanismi
comportamentali. Tutto ciò è indispensabile per una gestione efficace ed efficiente
del sistema organizzativo aziendale. Va indagato il processo attraverso il quale i
soggetti canalizzano l’energia verso il raggiungimento di un incentivo al
soddisfacimento di determinati bisogni.
1.2 Le teorie motivazionali nelle organizzazioni
Nell’ambito della psicologia delle organizzazioni è bene tenere presente che sono
stati due i principali orientamenti che ne hanno caratterizzato lo studio della
motivazione. Ad ogni orientamento corrisponde una diversa teoria interpretativa.
Troviamo le teorie di contenuto che si focalizzano sull’analisi dei bisogni che
motivano le persone all’azione. Le teorie di processo pongono invece l’accento su
quali fattori influiscono sulle scelte dell’individuo guidandolo verso un
determinato comportamento. Le teorie di contenuto più importanti e più applicate
negli ambiti professionali sono state quelle di Maslow, Alderfer, Herzberg,
McClelland, McGregor e la teoria del rinforzo di Skinner. Tra quelle basate sul
processo importanti contributi sono quelli delle teorie di Adams e Vroom.
Nei prossimi paragrafi verranno esposti i contenuti teorici di queste teorie tenendo
presente quali sono le loro implicazioni nell’ambito professionale.
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1.2.1 La teoria dei bisogni di Maslow
Abraham Maslow è senza dubbio uno tra i più importanti psicologi del 20° secolo
e la gerarchia dei bisogni, insieme alla piramide che rappresenta come i bisogni
sono classificati, è ben nota molti manager e studenti di business.
La teoria di Maslow si basa su una semplice premessa: gli esseri umani hanno dei
bisogni e questi bisogni appartengono ad una struttura gerarchica (Maslow, 1973).
Per cui ci sono bisogni che sono basilari per tutti gli esseri umani e in loro assenza
nient’altro potrebbe importare se non la loro soddisfazione. Una volta soddisfatti
questi bisogni basilari, ci si può interessare a bisogni più alti nella gerarchia.
Bisogni basilari soddisfatti non sono più fonte di motivazione.
I bisogni di base secondo Maslow sono quelli fisiologici che si riferiscono a
bisogni vitali come necessità di aria, acqua, cibo. Basti pensare ad una persona
che per esempio non beve da due giorni, è abbastanza ovvio che dopo tutto questo
tempo senza acqua lo porti a orientare energie e comportamenti verso la ricerca di
acqua. Una volta soddisfatto questo bisogno ecco che ci si può dedicare ai bisogni
successivi, quelli di sicurezza. Riguardano la sicurezza da pericoli, paure, ma
anche da fattori meno tangibili come un futuro incerto ad esempio. Un livello
sopra e ci sono i bisogni sociali che si riferiscono al bisogno di avere legami con
altri individui, di essere amati e di coltivare relazioni. Di fatto la mancanza di
relazioni può danneggiare la salute e il benessere (Maslow, 1973). La
soddisfazione dei bisogni sociali rende i bisogni legati all’autostima più salienti.
La stima deriva sia da fattori interni che da fattori esterni all’individuo. Infine al
più alto livello della gerarchia si trova il bisogno di autorealizzazione che si
genera acquisendo nuove abilità, mettendosi in gioco su nuove sfide, realizzando
azioni che portano al conseguimento degli obiettivi voluti.
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moralità,
creatività,
accettazione
• Autorealizzazione
autostima,
autocontrollo,
realizzazione,
rispetto reciproco
• Stima
amicizia, affetto familiare,
intimità sessuale
sicurezza fisica, di occupazione,
morale familiare, di salute, di
proprietà
respiro, alimentazione, sesso, sonno,
omeostasi
• Appartenenza
• Sicurezza
• Fisiologici
Fig 1. La piramide di Maslow
La gerarchia dei bisogni di Maslow è un metodo sistematico che vuole individuare
quali siano i bisogni dei dipendenti in determinati momenti della loro carriera e
può aiutare a decifrare perché, pur con lo stesso trattamento, i lavoratori si
comportano in modo diverso. Ad esempio un dipendente impegnato a ricercare la
stima dei colleghi e del responsabile sarà gratificato quando il suo responsabile gli
comunica che sta facendo un bel lavoro. Diversamente, per un'altra persona che
necessita di bisogni di tipo sociale, una gratificazione da parte del responsabile, in
particolare di fronte ai colleghi, potrebbe risultare sconveniente e quindi negativa
per il soggetto.
A questo punto ci si può porre una domanda. Come può quindi un’organizzazione
soddisfare tutti i diversi bisogni dei sui dipendenti?
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Nel lungo termine i bisogni psicologici possono venire soddisfatti dall’entità dello
stipendio ma è importante notare come la paga percepita possa anche soddisfare
anche altri bisogni come quelli di sicurezza e autostima. Una politica retributiva
ricca di benefit come assicurazione, piano per la pensione, ma anche misure
relative alla sicurezza provvede a costruire nel dipendente una percezione di
sicurezza.
Per quanto riguarda i bisogni sociali, l’organizzazione deve adoperarsi per fornire
ambienti, strutture e mezzi che possano incoraggiare le relazioni e la
comunicazione. Sono apprezzati gli eventi di team building anche al di fuori del
contesto lavorativo. E’ inoltre importante il riconoscimento, verbale o sotto forma
di benefit, del lavoro svolto.
Lavorare sull’autorealizzazione significa prendersi carico della crescita e dello
sviluppo del dipendente. Dare la possibilità di misurarsi con nuovi compiti,
opportunità di crescita professionale, mantenendo il lavoro interessante e sfidante.
Agire in modo efficiente su tutti i livelli della piramide di Maslow permette
all’organizzazione di migliorare la motivazione della forza lavoro.
1.2.2 Teoria ERG di Alderfer
Questa teoria ideata Clayton Alderfer si riconduce alla teoria di Maslow (1973)
ma invece che avere i cinque bisogni organizzati in modo gerarchico Alderfer
propone i bisogni di base raggruppati in tre categorie: Esistenza, Relazione,
Crescita. Rispettivamente in inglese Existence, Relatedness, Growth.
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Esistenza
ERG
Relazione
Crescita
Fig. 2 Teoria ERG
L’esistenza coincide con i primi due della piramide di Maslow. Si riferisce alla
soddisfazione dei bisogni necessari alla sopravvivenza sia dal punto di vista fisico
che psicologico.
Necessità di relazione riguarda la necessità delle persone di relazionarsi con gli
altri, di essere amate e stimate. Terzo e quarto punto della piramide di Maslow.
Necessità di crescita per realizzarsi in maniera compiuta le persone hanno bisogno
anche di crescere e svilupparsi nell’ambito individuale e nella sfera professionale.
Qui la differenza rispetto a Maslow sta nel fatto che l’insoddisfazione dei bisogni
posti a questo livello può essere compensata da una forte realizzazione dei due
livelli precedenti.
Come già fatto notare la teoria ERG viene messa in relazione con la teoria di
Maslow, tuttavia ci sono delle differenze concettuali che voglio mettere in
evidenza. Alderfer non classifica i bisogni in un particolare ordine ma riconosce
esplicitamente che più di un bisogno può operare nello stesso momento. Un altro
concetto è l’ipotesi di frustrazione -regressione ovvero se un individuo è frustrato
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nel tentativo di soddisfare un particolare bisogno allora potrebbe regredire verso
un altro tipo di bisogno. Ad esempio un dipendente frustrato nel conseguire
obiettivi di carriera potrebbe spostare la sua motivazione verso bisogni di
relazione e quindi passare più tempo a socializzare con i colleghi. Un punto
importante di questa teoria è che, e qui ci spostiamo sul punto di vista del manager
o del datore di lavoro, riconoscendo la molteplicità dei bisogni dei dipendenti è
possibile capire il perché di un determinato comportamento e di conseguenza
sapere come motivarlo.
1.2.3 Teoria dei fattori igienici-motivanti di Herzberg
Fredrick Herzberg ha approcciato all’argomento della motivazione in maniera
diversa. Studia ciò che nell’ambito lavorativo soddisfa oppure non soddisfa i
dipendenti.
Si basa su una ricerca in cui ai soggetti esaminati si chiedeva di elencare quali
avvenimenti della loro vita professionale avevano provocato soddisfazione e quali
avvenimenti avevano provocato insoddisfazione.
Arriva alla conclusione che gli aspetti che riguardano la soddisfazione di un
individuo nell’ambiente lavorativo sono molto diversi da quelli che riguardano
l’insoddisfazione e sono indipendenti l’uno dall’altro (Herzberg, 1959).
Herzberg prende lo spunto da queste analisi per elaborare una teoria fondata sulla
distinzione tra due grandi classi di fattori. Da un lato vi sono quelli che riguardano
le condizioni esterne al lavoro, come l’ambiente fisico, l’ambiente sociale, la
sicurezza, la remunerazione, e che Herzberg definisce i fattori igienici. Dall’altro
vi sono i fattori che riguardano il contenuto interno del lavoro, e quindi la capacità
di procurare una crescita professionale, definiti come i fattori motivazionali.
Herzberg sostiene che i fattori che avevano maggiormente contribuito a generare
soddisfazione riguardavano i contenuti del lavoro in quanto tali, mentre i fattori di
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insoddisfazione erano maggiormente rappresentati dall’ambiente di lavoro e dalla
remunerazione (Herzberg, 1959).
La tesi di Herzberg è che i fattori igienici non possono in quanto tali procurare
una effettiva soddisfazione. Il miglioramento dei fattori igienici o ambientali (più
salario, più comfort, ecc.) può portare soltanto a una minore insoddisfazione, ma
questa non si tradurrà mai nella comparsa di una soddisfazione in senso positivo.
Per avere una soddisfazione reale in positivo occorre agire su altri fattori
riguardanti la natura stessa del lavoro, nonché le motivazioni dell’uomo ad
eseguire tale lavoro.
Insoddisfazione
e
demotivazione
Non
insoddisfazione
e non
motivazione
Fattori igienici
Agenti motivanti
Condizioni lavorative
Sicurezza
Stipendio
Relazioni lavorative
Politiche aziendali
…..
Responsabilità
Crescita personale
Riconoscimento
Avanzamento
Interesse
…..
Soddisfazione
positiva e
motivazione
Fig 3 La teoria dei due fattori di Herzberg
Questa teoria ha ricevuto diverse critiche, in particolare riguardo alla suddivisione
tra fattori igienici e motivazionali. Per esempio la remunerazione per Herzberg è
un fattore igienico, ma se si pensa alla percezione di avanzamento, di conferma
che si sta lavorando bene allora la remunerazione acquista un connotazione
motivazionale.
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1.2.4 La teoria dei bisogni di McClelland
Nelle teorie motivazionali basate sui bisogni quella di McClelland ha raggiunto
molti consensi e si conferma come una di quelle più influenti. Secondo questa
teoria gli individui, durante la loro esperienza di vita, acquisiscono tre tipologie di
bisogni. Bisogno di successo, affiliazione e potere. Ne possiedono quindi una
combinazione in un mix diverso a seconda del soggetto.
Bisogno di
successo
Bisogno di
affiliazione
Bisogno di
potere
Fig. La teoria dei bisogni di McClelland
I dipendenti con alto bisogno di successo preferiscono ed eseguono compiti che
presentano moderate difficoltà, in modo che il rendimento rifletta le loro abilità.
Sono molto perseveranti quando sono impegnati in compiti gravosi e amano
ricevere un feedback immediato in modo da poter dire a quale buon livello si
collocano le loro azioni. Sempre alla ricerca di una sfida, questi individui cercano,
inoltre, di trovare modi sempre più efficienti per svolgere i loro compiti
(McClelland, 1982).
Il bisogno di affiliazione è inteso come esigenza di stabilire mantenere e
promuovere relazioni affettive positive con altre persone. I soggetti con alto
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bisogno affiliativo prediligono le relazioni e soprattutto il fatto di essere accettati
dagli altri (McClelland, 1925). Questa enfasi verso la costruzione di relazioni
armoniose con i colleghi è un punto di forza soprattutto in occupazioni che
presentano bassa conflittualità e che richiedono qualità e frequenza degli scambi
interpersonali. In occupazioni manageriali invece diventa uno svantaggio
soprattutto per la preoccupazione di questi individui sul giudizio che gli altri
posso avere di loro stessi. Diventano quindi difficili le prese di posizione e la
gestione dei conflitti.
Bisogno di potere è inteso come esigenza di lasciare una traccia significativa di se
nella realtà, di influenzare e di controllare gli altri. I soggetti che presentano alti
punteggi in questo bisogno sono competitivi e interessati a mantenere o ristabilire
il proprio prestigio o potere. McClelland (1976) sostiene che le posizioni
manageriali debbano essere ricoperte da persone in cui coesistano un alto bisogno
di potere e un minore bisogno di affiliazione.
Gli individui differiscono nella nel mix di ognuno di questi motivi, inoltre le
situazioni variano nel grado in cui sono collegate, determinando natura e intensità
della motivazione.
1.2.5 La teoria dell'equità di Adams
La teoria di Adams si focalizza sui meccanismi di valutazione comparativa che un
lavoratore opera rispetto ad altri soggetti oppure rispetto a credenze a cui assegna
particolare valore.
La teoria fa riferimento al senso di giustizia, come determinante che motiva le
persone nelle loro interazioni e che deriva dai confronti sociali compiuti dagli
individui. Più specificamente vengono confrontati i propri input e output con
quelli della persona presa come riferimento. Detto ciò un individuo percepisce
giustizia quando la personale risultante tra input e output non si discosta al di là di
un certo valore rispetto alla risultante di input e output dell’individuo di
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riferimento. La percezione di non equità genera tensione e attiva comportamenti
atti a ridurre la tensione generata.
Ora una domanda può sorgere spontaneamente. Come si valuta quali siano gli
input e quali gli output? Come viene scelta la persona o le persone con cui
confrontarsi?
Rispondendo alla seconda domanda la scelta del riferimento può essere una
persona in particolare oppure un gruppo o una categoria di persone. E’ chiaro che
in generale gli individui presi come riferimento, se scelti in ambito professionale,
saranno lavoratori con un inquadramento e mansioni simili al proprio. Un
impiegato amministrativo non confronterà i suoi bonus con quelli di un CEO.
Gli input si traducono nei contributi che un individuo percepisce di portare in un
certo ambiente. Gli output riguardano le ricompense che la persona percepisce di
ottenere dall’ambiente. In ambito lavorativo esempi di input possono essere
l’impegno, la fedeltà, le competenze, mentre esempi di output possono essere lo
stipendio, i bonus, flessibilità con l’orario.
E’ importante sottolineare che la percezione di equità è la risultante di un processo
soggettivo. Persone diverse possono trovarsi nella stessa esatta situazione e
percepire un diverso grado di equità.
Vediamo ora quali sono le reazioni alla non equità.
Per alleviare il senso di tensione che deriva dalla percezione di iniquità le persone
possono mettere in atto diverse soluzioni:

Modificare gli input, che può tradursi nel lavorare di meno e nella
diminuzione del proprio impegno.

Modificare gli output, ovvero agire sugli output come può essere quello
della ricompensa.

Modificare le rappresentazioni degli input e dei risultati, ovvero avviare un
processo psicologico che comporta l’autoconvincimento che determinati
input non sono importanti.

Modificare input e risultati del soggetto o categoria di soggetti con cui ci si
confronta. Si attiva un processo di giustificazione del gap percepito,
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attribuendolo ad una maggiore preparazione o competenza dei soggetti o
categorie di riferimento.

Cambiare il soggetto di riferimento, cioè identificarne uno diverso per il
confronto.

Abbandonare il campo, cambiare mansione o più probabilmente
organizzazione.
Gli individui tendono ad avere migliori performance e a sviluppare livelli di
commitment verso l’azienda se nel contesto in cui lavorano vengono promosse
percezioni di equità tra i dipendenti. Ciò richiede un importante impegno da parte
dell’organizzazione la quale deve conoscere profondamente i propri collaboratori
ed individuare in ciascuno quali sono le variabili personali e organizzative che
influenzano le percezioni di giustizia (Adams, 1969).
Un’interessante teoria che pone le sue radici sulla teoria di Adams è quella che
riguarda la giustizia procedurale e la giustizia distributiva. I primi studi sulla
giustizia procedura e distributiva sono iniziati alla fine degli anni settanta.
L’ambito della ricerca prende il nome di giustizia organizzativa. La teoria della
giustizia organizzativa si basa sulla percezione del personale di quanto si venga
trattati in modo equo nel lavoro. Gli individui sono sensibili alla condizione di
giustizia procedurale riguardo a molteplici decisioni aziendali. Si possono
menzionare le politiche retributive, i passaggi di carriera e aspetti come la
selezione del personale. Questa senso di giustizia aumenta di intensità quando il
personale non ottiene i risultati che sente di meritare (Brockner et al, 1996). Se un
soggetto all’interno di un contesto lavorativo non riceve le ricompense che si
aspetta di ricevere, tende a colpevolizzare il management (Brockner et al, 2007).
La Teoria distributiva fa riferimento all’impegno e ai risultati lavorati e a quanto
un individuo abbia la percezione di essere trattato equamente rispetto a questi due
fattori. Si rapporta alla percezione di quanto equamente le risorse
nell’organizzazione vengano distribuite oppure assegnate.
Sono stati studiati dei metodi per il raggiungimento di una giustizia procedurale e
distributiva. Per esempio dando ai dipendenti un ragionevole preavviso prima di
prendere decisioni, oppure spiegando ragionevolmente le ragioni relative a
decisioni sensibili. Coinvolgendo i dipendenti nei processi decisionali ascoltando
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il loro parere. Durante i processi di valutazione o riorganizzazione aziendale,
condividere con i dipendenti i loro input aumenta la percezione di giustizia.
Quando non sia possibile la condivisione anche la sola spiegazione alimenta il
senso di giustizia procedurale. Infine gli individui si aspettano coerenza nel
trattamento.
1.2.6 La teoria dell’aspettativa di Vroom
Il punto centrale della teoria di Vroom è che i bisogni non sono sufficienti per
spiegare il comportamento motivato, ma vanno introdotti nuovi elementi
soggettivi come la valenza e l'aspettativa; in altri termini, la soddisfazione del
lavoratore deriva dal raggiungimento di quei risultati per cui ogni individuo è
motivato ad agire.
La teoria dell’aspettativa rivela un approccio sostanzialmente fondato sulla
dimensione della scelta cognitiva (Vroom, 1964). Gli individui indirizzano i
propri sforzi verso le attività che portano all’ottenimento di risultati desiderabili.
In accordo con essa gli individui si pongono tre domande.
La prima riguarda la percezione di quanto un comportamento orientato verso una
prestazione possa condurre ad una ricompensa. Questa domanda riguarda
l’aspettativa che è la percezione di quanto lo sforzo o l’impegno verso una
prestazione possa condurre alla ricompensa attesa. L'aspettativa si basa su
probabilità soggettive ma esistono ulteriori elementi da tenere in considerazione,
come l'autostima, il livello delle capacità possedute, la qualità delle risorse e il
possesso delle informazioni necessarie per compiere il lavoro. Anche i successi
raggiunti in precedenti compiti affini possono aumentare la percezione positiva.
La seconda è legata alle ricompense connesse al risultato di una prestazione. Il
concetto è quello di valenza cioè la valutazione personale sulla soddisfazione, o
insoddisfazione, che un determinato risultato può generare. Se un risultato ha
valenza bassa, così sarà anche la motivazione a raggiungerlo.
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La terza riguarda il legame tra performance e risultato, la strumentalità. La
probabilità che un determinato impegno porti a determinati risultati. Se una risorsa
al lavoro ritiene che l’alto livello di performance sarà strumentale, ovvero
funzionale all’ottenimento di premi/ricompense che possano essere gratificanti,
allora egli attribuirà un elevato valore al lavorare bene.
Le tre variabili sono legate da un relazione funzionale talmente stretta da rendere
nullo il livello motivazionale se si rivela nulla una delle tre variabili:
Motivazione = Aspettativa × Valenza x Strumentalità
La teoria di Vroom sottolinea che gli individui sono attratti da diverse tipologie di
ricompense. Il valore associato a queste ricompense è condizionato da ai bisogni
autorealizzativi e da variabili associate all’autodeterminazione nell’ambiente
professionale. Considerando quanto detto, per aumentare la motivazione degli
individui nelle organizzazioni è necessario definire con cura il rapporto tra la
professione e il conseguimento dell'obiettivo e tra performance e sistemi
premianti.
La sfida dal punto di vista del manager o del datore di lavoro è quella di fare leva
su tutte e tre le variabili (Vroom, 1970). Ciò comporta che la direzione deve saper
studiare un sistema di incentivi che, tenendo conto delle peculiarità individuali,
sappia definire mete, che per la loro elevata aspettativa e per il rilevante valore
che i singoli vi attribuiscono, sappiano dar vita ad una consistente forza
motivazionale al lavoro.
Il conseguimento della soddisfazione non dipende infatti solo dalla progettazione
di adeguate variabili organizzative, ma è soprattutto in funzione della conoscenza
della sfera soggettiva dell'individuo la quale filtra e valuta, in maniera
determinante, le stesse variabili organizzative. Per Vroom, sarebbe un errore
considerare il problema della motivazione lavorativa senza prescindere dalle
peculiarità soggettive degli individui. E’ un errore considerare il problema dal
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punto di vista classe di una classe di riferimento (ad esempio operaio, impiegato,
manager) invece di fare riferimento al soggetto singolo.
1.2.7 Teoria del rinforzo
I principi fondamentali della teoria del rinforzo si basano sul neocomportamentismo skinneriano e sulla ideologia del condizionamento operante.
Il suo assunto di base, infatti, è che un soggetto è portato ad impegnarsi in un
compito o in un’attività se tale comportamento in passato è stato premiato (con
incentivi, complimenti, un buon voto, un regalo, l’approvazione sociale) o se un
comportamento alternativo è stato punito (con un rimprovero, un segno palese di
disapprovazione, un voto insufficiente). Gratifiche e ricompense sono rinforzi che
aumentano la probabilità dei comportamenti perché influenzano le motivazioni.
Esistono però anche rinforzi negativi, che mirano a demotivare il comportamento
oggetto di punizione e quindi ne riducono la probabilità, lo indeboliscono, ne
diminuiscono l’intensità o la frequenza. Se invece un comportamento non viene
più rinforzato, lo si demotiva fino a farlo estinguere. Inoltre, il comportamento
desiderato tende a mantenersi stabile se il rinforzo è dato in maniera continuativa.
Ciò non significa che un comportamento debba essere rinforzato ogni volta che si
manifesta; anzi, per i teorici di questa prospettiva la modalità più efficace è quella
del rinforzo intermittente, ciò dato alcune volte, a caso, senza regola fissa (ad
esempio lodare alcune ma non tutte le azioni corrette di un lavoratore. Ma per
essere motivante, il rinforzo deve essere contingente alla prestazione, cioè
temporalmente vicino al comportamento, e specifico, cioè relativo ad un preciso e
determinato aspetto della prestazione. Rinforzi generici, come le lodi “bravo”,
“bene”, disorientano il lavoratore, il quale non comprende quale aspetto del suo
comportamento ha effettivamente soddisfatto il suo responsabile.
Nell’altro lato della medaglia si è riscontrato che i rinforzi possono avere effetti
paradossali, come diminuire la volontà dei lavoratori di impegnarsi in compiti
20
difficili o in attività sfidanti, abbassare l’autostima, o spingere i soggetti a non
svolgere attività quando queste non sono oggetto di una valutazione corretta. La
lode e la critica, infatti, possono avere effetti inaspettati a causa del loro legame
con le attribuzioni di sforzo, dal momento che di solito si tende a percepire lo
sforzo e l’abilità come inversamente collegati.
1.2.8 Teoria X e Y
McGregor elabora una teoria che in particolare si sofferma sulla responsabilità del
management e come essi possano influenzare la motivazione dei collaboratori.
Anche Mc Gregor prende spunto dalle teorie di Maslow e riconosce a ciascun
individuo il diritto di soddisfare i propri bisogni. Mc Gregor ipotizza
l’organizzazione come sistema esterno che deve adeguarsi all’individuo. La sua
teoria comprende due stili direzionali in funzione di due diversi modi di intendere
l’atteggiamento dell’individuo rispetto al lavoro.
La Teoria X si basa sul fatto che le persone non amano il proprio lavoro per cui
per cui sono molto poco motivati a raggiungere prestazioni migliori. Per i
manager che hanno a che fare con questa categoria di soggetti basano la loro
attività su controllo e di punizione più che sullo sviluppo del potenziale
individuale. Sempre secondo questa teoria il lavoratore stesso predilige mansioni
con poca responsabilità e dà più importanza alla sicurezza piuttosto che alla
crescita professionale.
La Teoria Y è in contrasto con la Teoria X. Sostiene che, date le opportune
condizioni lavorative, il personale possa avere alte prestazioni. La forza lavoro è
considerata come l’entità più importante per una organizzazione. Il personale,
secondo questa teoria, vuole responsabilità, possono risolvere problematiche in
autonomia e con creatività. Quindi un manager deve valorizzare le qualità e le
attitudini dell’individuo utilizzando rinforzi positivi come riconoscimenti, deleghe
decisionali, aumentando l’autonomia e diminuendo il controllo.
21
Nonostante l’apparenza, McGregor sostiene che le due teorie non si trovino su
poli diametralmente opposti. Secondo McGregor per raggiungere la massima
efficienza è necessario un impiego di tecniche derivanti da entrambe le teorie. I
manager devono agire a seconda delle circostanze e a seconda del tipo di
personalità dei dipendenti.
1.3 Motivazione intrinseca ed estrinseca
La motivazione può essere suddivisa in motivazione intrinseca e motivazione
estrinseca. Secondo Amabile (1993) gli individui sono motivati intrinsecamente
quando ricercano nell’ambiente lavorativo: interesse, soddisfazione, espressione
di sé oppure sfida personale. Gli individue sono estrinsecamente motivati quando
la motivazione è legata a fattori esterni all’attività lavorativa. Il personale può
essere motivato solo intrinsecamente, solo estrinsecamente oppure in entrambi i
modi.
Il concetto di motivazione intrinseca esprime il desiderio di intraprendere
un’attività per la soddisfazione ad essa inerente, anziché per una conseguenza da
essa separata (Deci e Ryan, 2008). Una persona intrinsecamente motivata si
attiverà dunque verso quelle azioni che stimolano in lui interesse, sfida, piacere e
che non lo assoggettano a pressioni esterne. La motivazione intrinseca è dunque
auto-determinata. Diversamente, le attività estrinsecamente motivate verranno
intraprese perché strumentali all’ottenimento di una ricompensa sotto forma di
premio, lode, riconoscimento ma anche approvazione di se stessi.
Vroom (1964) sostiene che alcuni individui prediligono fattori estrinseci mentre
altri fattori intrinseci e che i fattori motivanti di tipo estrinseco ed intrinseco
possano avere effetti diversi a seconda della tipologia dell’individuo. Individui
focalizzati sulla motivazione intrinseca prediligono compiti cognitivi sfidanti, il
che significa che incentivi economici, obiettivi e scadenze non avranno grande
effetto sulla loro motivazione.
22
1.4 La relazione tra motivazione estrinseca ed intrinseca
Da quanto sostenuto nel capitolo precedente si è potuto constatare una evidente
distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Nonostante ciò, molte
ricerche sostengono esista una relazione tra le due tipologie motivazionali. Tra i
pionieri, Deci (1972) ritiene che in alcuni casi la motivazione estrinseca possa
ridurre la motivazione intrinseca. Osserva che se gli incentivi economici vengono
somministrati in maniera contingente si verifica un decremento della motivazione
intrinseca. Questo non accade se gli stessi incentivi economici vengono invece
somministrati in modo non contingente.
Rispetto a queste due componenti, grande interesse è stato posto all’effetto
crowding-out (Frey, 2001) ossia alla possibilità che un eccesso di motivazione
estrinseca, causi una riduzione della motivazione intrinseca. Ad esempio un
aumento di stipendio può causare una diminuzione dell’interesse personale e della
volontarietà dell’azione, lasciando inalterato o addirittura facendo decrescere
l’impegno sul lavoro. Questa analisi, come già evidenziato da Deci (1972)
sostiene la possibilità che il salario entri nella funzione di scelta dell’individuo
non più solo come una determinante positiva, ma anche con una componente
negativa, intermediata da effetti distorsivi sulle altre motivazioni.
Per Amabile (1993) la motivazione estrinseca può decrementare quella intrinseca
ma fa notare che in alcuni casi invece potrebbe fare da rinforzo. La combinazione
di tutte e due le tipologie di motivazione può portare ad un alto livello della
soddisfazione e delle performance.
Concludendo, come sostenuto dalle ricerche di Deci (1972), Frey (2001) e
Amabile (1993) si può sostenere che la motivazione intrinseca e quella estrinseca
si influenzano l’una con l’altra. L’utilizzo di entrambe è auspicabile per
raggiungere alti livelli di performance ma in alcuni casi un uso improprio di
fattori motivanti estrinseci può portare ad un indebolimento della motivazione
intrinseca.
23
2.5 Conclusioni
La motivazione nell’ambiente lavorativo è un argomento che ha sempre suscitato
molto interesse.
Le prime teorie della motivazione si sono focalizzate sui bisogni individuali.
Bisogni universalmente presenti negli individui e intesi come spinte innate
mettere in campo un determinato comportamento. La prima tassonomia di bisogni
applicata al contesto lavorativo è la piramide di Maslow (1943). Maslow
individua cinque bisogni fondamentali organizzati gerarchicamente, da quelli
fisiologici a quelli di autorealizzazione. La teoria dei fattori igienici-motivanti di
Herzberg (1966) distingue tra i bisogni igienici, necessari per ridurre o eliminare
l’insoddisfazione e non sufficienti per aumentarla, e i bisogni motivanti,
riguardanti la natura stessa del lavoro, nonché le motivazioni dell’uomo ad
eseguire tale lavoro. Entrambe le teorie hanno avuto un importante ricadute in
ambito organizzativo, evidenziando in particolare come siano i bisogni il
principale motore che guidano il personale a mettere in atto determinati
comportamenti. Capire come scoprire quali siano questi bisogni è fondamentale
per chi gestisce le persone nella scelta degli incentivi. Tuttavia, le teorie basate sui
bisogni riconoscono all’uomo un ruolo passivo, il quale agirebbe in modo
automatico in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente.
Le teorie successive come quelle di Adams (1963) e Vroom (1964) riconoscono
l’intenzionalità dell’azione umana nella messa in campo di un comportamento,
prendono inoltre in considerazione i valori, gli interessi e i motivi. Adams
analizza le percezioni di uguaglianza e disuguaglianza, come esse possano portare
i dipendenti ad intraprendere comportamenti allo scopo di ripristinare l’equità. Per
Adams gli individui valutano il rapporto degli input e degli output rispetto alla
propria attività lavorativa. Per Vroom la motivazione è data dal prodotto della
forza dell'aspettativa per la valenza dell’incentivo, che varia per ogni persona e
per ogni azione e la sfida dal punto di vista del manager o del datore di lavoro è
quella di fare leva su queste variabili.
24
Per Skinner è invece possibile influenzare i comportamenti grazie a degli
incentivi: i rinforzi positivi e negativi e le punizioni. Premi e punizioni sono in
genere pensati per influire sui comportamenti in modo automatico, senza
richiedere processi cognitivi complessi.
Si è parlato della distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. La
motivazione intrinseca riguarda attività che le persone trovano di per sé
interessanti e che promuovono la loro crescita. Più le persone sperimentano la
soddisfazione dei bisogni psicologici fondamentali, attraverso determinate attività
e comportamenti, più saranno motivate ad applicarsi in tali compiti. Mentre la
motivazione estrinseca viene generata da stimoli esterni sono al di fuori del
controllo dell’individuo e in questi casi, il soggetto si impegna nell’espletamento
di un compito per ottenere benefici o evitare circostanze negative. Si è osservato
nell’ultimo paragrafo come la motivazione intrinseca ed estrinseca presentino tra
loro una correlazione.
25
CAPITOLO 2
La Performance
E’ possibile definire la performance come il contributo che un soggetto, un
gruppo oppure una organizzazione portano, attraverso la propria azione, al
raggiungimento delle finalità e degli obiettivi. Si deduce come la performance sia
orientata alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata
costituita. Il suo significato si lega strettamente all'esecuzione di un'azione, ai
risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione.
Nell’ambito lavorativo si distinguono due tipologie di prestazione, la performance
organizzativa e quella individuale.
2.1 Performance organizzativa
Esprime il risultato che un'organizzazione consegue ai fini del raggiungimento di
determinati obiettivi. Comprende il rapporto tra i risultati effettivi
dell’organizzazione e quelli desiderati. Un’organizzazione con alte prestazioni è
una organizzazione che raggiunge i suoi scopi, in altre parole l’utilizzo di una
strategia efficace. La performance organizzativa è composta dalla performance
individuale e da altri fattori quali l’ambiente organizzativo (Otley 1999).
26
In questa tesi non verrà presa in considerazione questo tipo di performance poiché
interessa maggiormente la performance individuale della quale ci si occupa a
partire dal prossimo capitolo.
2.2 Performance individuale
La performance individuale esprime il contributo fornito da un individuo, in
termini di risultato e di modalità di raggiungimento degli obiettivi. Una buona
performance individuale è necessaria per le organizzazioni poiché il successo
organizzativo dipende dall’impegno, dalla innovazione e dalla creatività del
personale (Hunter, 1986).
Le prestazioni di una persona aumentano in maniera proporzionale alla
motivazione. La motivazione di per sé non è però del tutto una condizione
sufficiente poiché anche la capacità è una condizione necessaria ai fini del
raggiungimento di una buona performance. In generale, è necessario un livello
minimo di fattori motivanti e di capacità per dare luogo ad una risultato
accettabile. Anche in presenza di una forte spinta motivazionale, non è possibile
raggiungere alte performance qualora siano assenti le capacità. Allo stesso modo,
non si può fornire un alto rendimento quando sono presenti le competenze
adeguate ma manca motivazione per eseguire una determinata attività.
Il concetto di performance individuale è spesso legato al concetto di produttività.
Sono molti i casi dove la prestazione viene misurata rispetto al numero o la qualità
di beni prodotti, indicando il grado di efficacia rispetto al rapporto tra input (costi)
e output (obiettivi).
La performance individuale è stata studiata anche da un lato meno singolare, nel
senso che viene vista come qualcosa di più di un’abilità meramente individuale.
Vi è una componente più manageriale della performance (Herzberg, 1959). Ciò
implica che bisogna prendere in considerazione anche fattori organizzativi e di
distribuzione dei compiti per incrementare le performance del personale.
27
Per Vroom(1964) la performance individuale è basata su fattori soggettivi come la
personalità, abilità, conoscenza, competenze ed esperienza. Molti sono i
ricercatori che concordano con la teoria di Vroom e che sia possibile suddividerla
in queste cinque componenti (Hunter & Hunter 1984). Altri ricercatori come nel
caso di Barrick & Mount (1991) sostengono il fattore della personalità come il più
importante ai fini della performance.
Una linea comune tra gli studiosi nel campo della performance lavorativa è quella
per cui il focus non è trovare l’esatto significato di performance ma riguarda
capire quali siano gli elementi che la compongono e come sia possibile misurarla.
Concludendo, le ricerche di autori come Vroom (1964), Hunter & Hunter (1984),
Hunter (1986) convergono sul fatto che la performance individuale è condizionata
da cinque caratteristiche riferite ad un soggetto ovvero: personalità, competenze,
conoscenza, esperienza e abilità.
Un problema più insidioso e ad oggi ancora non esaustivamente risolto è quello
della misurazione delle performance che sarà descritto nel capitolo seguente.
2.3 La misura delle prestazioni
La capacità di misurare le performance in una organizzazione sono fortemente
influenzate dagli obiettivi che vengono determinati prima della misurazione
stessa. Avere un sistema di misurazione efficace è cruciale per organizzazione in
modo particolare per fornire i feedback che possono dare via ad eventuali azioni
correttive o di miglioramento rispetto agli obiettivi.
Durante la misurazione delle performance è importante prendere in
considerazione che la natura del compito da misurare determina il tipo di misura
che verrà utilizzata per misurare le performance.
Per rendere efficace una misurazione è necessario stabilire quali siano gli obiettivi
da misurare. Questi target devono essere SMART dove S sta per specific, M per
28
measurable, A per attainable, R per realistic e T per time-bounded. E’ inoltre
importante che il manager non imponga gli obiettivi, ma che essi vengano
accordati con i rispettivi collaboratori. Le ricerche dimostrano una correlazione
positiva tra obiettivi che sono stati scelti di comune accordo con una maggiore
possibilità di successo prestazione.
Nella maggior parte delle organizzazioni la performance viene misurata dalle
valutazioni dei manager o dai responsabili di area, questo sistema di valutazione
non risulta essere efficace per il fatto di essere altamente di natura soggettiva.
La componente discrezionale o soggettiva, è imprescindibile in qualsiasi attività
di valutazione fatta dall’uomo. Per questo motivo la componente soggettiva del
processo di misurazione deve essere controllata e quanto più possibile contenuta
entro margini di accettabilità.
Tuttavia non è semplice riuscire ad attuare misure oggettive delle performance
individuali, non è ancora stato dimostrato che esistano metodi di misurazione
esaustivi della produttività e delle prestazioni. Per potere avvicinarsi ad una
misurazione oggettiva si dovrebbe verificare una condizione di stabilità delle
performance. Ciò rende ancora più complicato il problema della misurazione
poiché la stabilità lavorativa è una condizione che nella realtà non può esistere in
modo permanente.
Il problema della misurazione delle performance aumenta considerando il fatto
che i datori di lavoro abbiano la convinzione sia che possibile eseguire
misurazioni delle prestazioni e il più delle volte eseguono misurazioni inefficaci.
Barrick & Mount (1991) sostengono che il fattore più importante di influenza
delle performance è quello delle caratteristiche di personalità. In questo caso, gli
effetti che personalità ed educazione hanno sulle performance è difficile da
interpretare e gli strumenti di valutazione che le misurano sono imprecisi e quindi
non validi.
Breaugh (1981) espone nella sua ricerca che esistono quattro dimensioni diverse
della performance individuale che sono: qualità, quantità, dipendenza e
conoscenza. Hunter (1986) prende spunto dalle teorie di Vroom (1984) ed dà una
29
spiegazione su come la maggior parte dei manager o supervisori misurano la
produttività del personale.
Conoscenza
del lavoro
Valutazione
del manager
Abilità
cognitive
Performance
individuale
Fig. 1 La misura delle performance per Hunter
Secondo Hunter l’elemento chiave della performance è l’apprendimento della
professione e tale apprendimento dipende dalle abilità cognitive generiche. Detto
ciò ci si può rendere conto di come le abilità cognitive siano i predittori chiave
della performance individuale. La combinazione di tali abilità insieme alla
conoscenza caratterizzano la performance e danno modo al supervisore di
compiere una valutazione. Hunter ammette l’estrema semplificazione della sua
tesi ma ritiene comunque che sia un metodo oggettivo ed efficace per la
misurazione della performance individuale.
Il personale con buone abilità ed una minima ma sufficiente esperienza diventano
doppiamente produttivi dopo circa due anni e perciò imparare la professione
diventa aspetto chiave della performance. Nonostante l’alta oggettività della teoria
di Hunter (1986), la tipologia della misurazione resta basata su una valutazione da
parte del manager o del supervisore.
Si è sopra evidenziato come siano evidenti i problemi della misurazione della
prestazione individuale. Comunemente la misurazione avviene per mezzo delle
valutazioni lasciate ai manager o ai supervisori e ciò comporta uno svantaggio di
30
non oggettività della misura. Nel prossimo paragrafo si espongono quali possano
essere dei metodi alternativi per risolvere il problema della misurazione delle
prestazioni.
2.4 Conclusioni
La performance nelle organizzazioni può essere suddivisa in performance
organizzativa e performance individuale. L’accento è stato posto sulla
performance individuale che si lega indissolubilmente al risultato del lavoratore.
In generale, come sostiene Vroom (1964), la performance di un individuo si basa
su fattori come personalità, competenze, conoscenza, esperienza e abilità.
La misurazione delle performance incontra il problema dell’oggettività della
misurazione poiché in gran parte delle organizzazioni questo compito è lasciato ai
manager. Hunter (1986) propone un modello di misurazione più oggettivo
facendo perno su caratteristiche individuali quali le abilità e le conoscenze. Resta
evidente comunque come ad oggi non esistano metodi puramente oggettivi per la
misurazione delle performance.
31
Capitolo 3
Motivazione individuale e performance
In questo capitolo verrà prima definita la relazione tra motivazione individuale e
prestazione e successivamente verrà descritto l’impatto della motivazione
intrinseca ed estrinseca ai fini della prestazione lavorativa.
3.1 La relazione tra motivazione individuale e performance
Negli ultimi cinquant’anni gli psicologi hanno impiegato molte risorse per cercare
di rispondere alla domanda se sia possibile dimostrare che esista una relazione tra
motivazione e performance. I primi studi risalgono a quelli condotti da Vroom
che, pur sostenendo che i due fattori si influenzassero a vicenda, non era
comunque riuscito a dimostrarlo scientificamente (Vroom, 1964). Ricerche più
recenti, che prendono spunto da quelle di Vroom, evidenziano una base più
scientifica a sostegno di questa correlazione.
Un concetto che è necessario introdurre negli studi sulla motivazione,
performance e la loro relazione, è il fattore della soddisfazione. Fu utilizzato
anche da Herzberg (1959) che sostiene che i fattori motivazionali intrinseci
concorrono alla soddisfazione dell’individuo. Le ricerche di Hackman e Oldham
(1976) sostengono l’esistenza di una relazione circolare tra performance,
soddisfazione e motivazione. Proprio la soddisfazione è il principale fattore che
alimenta il ciclo e dipende a sua volta dai valori di performance e motivazione. La
relazione circolare si autoalimenta fino a che uno dei tre elementi viene a
32
mancare. E’ importante tenere presente che questa teoria si basa solo su fattori
intrinseci, per gli autori i fattori estrinseci non portano ad un aumento delle
performance.
Hackman & Oldham (1976), hanno rilevato delle relazioni significative tra la
soddisfazione e il contenuto del lavoro. In generale, infatti, sembra che i lavori
complessi siano più soddisfacenti dei lavori ripetitivi, che spesso sono carenti di
significato e richiedono abilità inferiori a quelle che il lavoratore percepisce di
possedere. Gli stessi autori hanno elaborato il modello delle caratteristiche del
lavoro, che individua cinque dimensioni del lavoro che dovrebbero influenzare la
soddisfazione e alimentare il ciclo introdotto sopra attraverso un aumento delle
prestazioni. Sotto sono esposte le cinque dimensioni:

Varietà di abilità: il grado entro il quale siano necessarie abilità e
competenze diverse per lo svolgimento di una determinata attività. I
dipendenti sperimentano una condizione di maggiore significatività del
lavoro quando esso richiede differenti competenze rispetto ad attività
elementari o di routine.

Identità del compito: riguarda la misura in cui un dipendente sia in grado
di iniziare e completare una attività lavorativa. Poter contribuire ottenendo
risultati visibili e misurabili.

Significato del compito: grado in cui un compito impatta sulla vita degli
altri, all’interno dell’organizzazione ma anche all’esterno.

Autonomia: grado di libertà, indipendenza e discrezionalità che un
individuo ha nell’esecuzione del proprio lavoro. E’ una delle
caratteristiche più importanti tra tutte e cinque.

Feedback: misura in cui un determinato compito fornisce informazioni
sulle prestazioni dei dipendenti Quando un individuo ottiene una
tempestiva informazione riguardo alle proprie performance allora può
intraprendere eventuali azioni correttive o migliorative.
Queste cinque dimensioni impattano su tre diverse condizioni psicologiche le
quali possono condurre ad un aumento delle performance del lavoratore.
Competenze, soddisfazione legata al contesto e aspetti soggettivi come il bisogno
33
di crescita e di sviluppo professionale fanno da moderatori nella connessione tra le
cinque caratteristiche del lavoro, i tre stati psicologici e il risultato lavorativo
(Hackman & Oldham, 1975).
Sotto sono elencate le tre caratteristiche psicologiche:

Significato attribuito al proprio lavoro: cioè il grado in cui il lavoro è visto
come qualcosa di importante.

Responsabilità esperita sulle conseguenze del lavoro: rispecchia quanto i
dipendenti sentono che sono fondamentali per i risultati raggiunti dalla
propria unità organizzativa.

Conoscenza dei risultati effettivi delle attività lavorative: riguarda la
percezione che i dipendenti hanno rispetto a quanto bene o male svolgono
il proprio lavoro.
Fig. 1 Il modello di Hackman & Oldham
Concludendo, in questo paragrafo si è discusso di come la relazione tra
motivazione e performance appaia essere di tipo circolare. Un fattore importante
34
in questa relazione è quello della soddisfazione. La prestazione porta a
soddisfazione e la soddisfazione aumenta la motivazione individuale. Alta
motivazione porterà a sua volta il lavoratore a migliorare la sua prestazione nel
futuro. Livelli positivi nei cinque fattori evidenziati da Hackman e Oldham
concorrono nell’avvio di questa relazione circolare. Considerando anche altre
ricerche nel campo, ai fini di un aumento delle performance, è necessario
considerare però anche fattori estrinseci.
3.2 Motivazione intrinseca e performance
La motivazione intrinseca è una motivazione indipendente da incentivi esterni,
esprime l’autonoma capacità di darsi dei fini anche in modo non strumentale e al
di fuori di una logica di scambio. La motivazione intrinseca dipende da una serie
di fattori: gli scopi (in parte legati a caratteristiche del compito), la persona, il
contesto. Essa può inoltre modificarsi nel tempo, e può venire influenzata da
mediatori, come l’esperienza positiva vissuta durante la performance.
Le cinque caratteristiche del lavoro introdotte nel paragrafo precedente (Hackman
e Oldham, 1976) fanno riferimento a fattori motivazionali intrinseci. La teoria
prende spunto dal lavoro di Herzberg che sostiene che solo fattori di tipo
intrinseco possano portare ad un aumento della motivazione. Herzberg infatti
ignora i fattori estrinseci, che possono portare ad un decremento della motivazione
solo quando non presenti. Deci (1972) sostiene che sono due i principali aspetti
che concorrono a motivare intrinsecamente il personale. Il primo riguarda la
tipologia del lavoro, ovvero occuparsi di compiti ritenuti interessanti. Un compito
non interessante per il lavoratore non produrrà questo tipo di motivazione. Il
secondo riguarda l’autonomia, ovvero il poter influenzare decisioni riguardo al
lavoro svolto. Quando una persona si sente artefice delle proprie scelte (locus of
causality) mostra una motivazione intensa, solida e duratura. Secondo Deci (1972)
un altro elemento importante è il feedback, con il quale il lavoratore può avere
riscontro sulla sua attività e avere indicazioni su come eventualmente porre
35
miglioramenti. Individui che ricevono feedback positivi tendono a migliorare la
loro motivazione intrinseca. E’ poi emerso che gli incrementi di motivazione
intrinseca e performance sono ancora più marcati quando il feedback è autoamministrato a seguito della natura stessa dell’attività. I feedback negativi
provocano invece una diminuzione de senso di competenza del soggetto causando
una diminuzione della motivazione intrinseca e della performance.
Anche Deci fa riferimento alla teoria delle cinque caratteristiche del lavoro
(Hackman e Oldham, 1976), nelle quali è necessario avere alti punteggi per fare in
modo di ottenere una alta motivazione intrinseca e di conseguenza un
miglioramento delle performance.
Come già discusso sopra, la personalità è un fattore che influenza la motivazione.
Dalle ricerche Barrick & Mount (1991), la personalità sembra essere correlata al
livello di impegno.
Seligman (2002) fa riferimento alla motivazione intrinseca distinguendo tre tipi di
orientamento lavorativo. L’attività lavorativa si può svolgere come un job, ovvero
come una serie di compiti che si eseguono all’esclusivo fine di ricevere in cambio
una remunerazione (per lo più motivato estrinsecamente). La si può intraprendere
come career, ovvero una certa attività lavorativa non viene svolta per la
remunerazione che permette di guadagnare nel presente, quanto per le prospettive
che offre nel medio-lungo periodo, in termini di retribuzione, potere e status
sociale. Infine, un’attività lavorativa può essere svolta come calling (vocazione),
ossia come appassionato impegno a lavorare per il piacere del lavoro stesso.
Quando si lavora in questo modo, la retribuzione e il prestigio sociale connessi
alla propria occupazione passano in secondo piano: tutta l’attenzione è rivolta al
fine che essa promuove, un fine costituito da un bene molto più ampio rispetto a
quello strettamente personale. Csikszentmihalyi (1997) definisce questa
condizione col termine flow, caratterizzata da un totale coinvolgimento
dell'individuo: focalizzazione sull'obiettivo, motivazione intrinseca, positività e
gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Le condizioni
identificate nel flusso coincidono con le condizioni di massima motivazione e
prestazione.
36
Concludendo, si è discusso dell’impatto che hanno le cinque caratteristiche del
lavoro sulla motivazione intrinseca. Alti valori sulle cinque caratteristiche portano
ad un aumento della motivazione che a sua volta incide positivamente sulle
performance. Altri due fattori importanti che influenzano la motivazione
intrinseca e la prestazione sono la personalità e le abilità del lavoratore.
3.3 Motivazione estrinseca e performance
La motivazione estrinseca entra in gioco quando la ragione per svolgere
un’attività risiede all’esterno dell’attività stessa. Il comportamento è alimentato
dal desiderio di una ricompensa esterna e l’individuo si impegna ad attuare il
comportamento per il tempo e con lo sforzo necessari ad ottenere la ricompensa.
Si evince che gli incentivi motivazionali vengono ricercati al di fuori dell’attività
lavorativa.
Secondo Amabile (1993) la motivazione estrinseca non è inerente ai compiti
svolti, secondo l’autrice è un meccanismo inteso a controllare le performance. Gli
esempi sono quelli degli incentivi economici, bonus, scadenze, controllo.
Riprendendo la teoria di Seligman (2002), una persona che è estrinsecamente
motivata svolge l’attività lavorativa come un job, ovvero come una serie di
compiti che si eseguono all’esclusivo fine di ricevere un incentivo come
remunerazione o bonus. Si lavora per essere remunerati.
Amabile (1993) ha evidenziato nelle sue ricerche, che ricompensare direttamente
l’ideazione creativa tende, ben presto, ad inibirla e, in alcune circostanze, giunge
perfino ad estinguerla completamente. La persona, infatti, tende a spostare la
propria attenzione e le proprie energie dal compito alla ricompensa riducendo
drasticamente le performance.
Sono state eseguite molte ricerche che sostengono che gli incentivi esterni
possano portare ad un aumento della motivazione. Tuttavia vi sono altrettante
ricerche che dimostrano come la motivazione di tipo estrinseco possa danneggiare
37
quella intrinseca. Un noto studio di Lepper, Green & Nisbett (1973) fatto in
questo caso su bambini ha dimostrato come l’introduzione di un incentivo esterno
durante l’esecuzione di un’attività che era già di per sé interessante possa far
decrementare questo interesse intrinseco. Quindi, se non più estrinsecamente
incentivati i soggetti rinunciano ad eseguire l’attività.
Deci & Ryan (1972) i quali hanno dimostrato che se eventuali remunerazioni non
vengono presentate con una certa continuità si assiste ad una riduzione della
motivazione intrinseca dell’attività per la quale si riceve la remunerazione. La
ricompensa monetaria sposta il locus della causalità percepito dall’interno verso
l’esterno e provoca un calo della motivazione intrinseca dell’individuo. I
ricercatori distinguono fra due tipi di ricompensa: contingente e non contingente.
Per meglio chiarire i due concetti possiamo dire che lo stipendio di fine mese è
una ricompensa non contingente al compito mentre i premi di produzione sono
una ricompensa contingente.
Tra le ricompense contingenti Deci & Ryan (1972) si occupano di quelle
contingenti al compito e quelle contingenti alla prestazione. Le ricompense
contingenti alla prestazione si differenziano da quelle legate al compito perché si
focalizzano sulla qualità della prestazione offerta e non solo sulla sua esecuzione.
Implicano quindi un certo riconoscimento implicito di competenza e non solo di
efficienza. In generale le ricompense legate alla prestazione mostrano, se
applicate, un miglioramento delle performance.
Si può concludere che fattori motivazionali estrinseci, come l’aumento dello
stipendio, i bonus e la sicurezza lavorativa, possano, soprattutto nel breve termine
avere effetto sull’incremento delle performance (Amabile, 1993). Manager e
datori di lavoro devono comunque prestare attenzioni all’utilizzo di questi
incentivi poiché, come evidenziato sopra, possono decrementare la motivazione
intrinseca e avere effetti negativi sulle performance (Deci & Ryan 1972).
38
3.4 Conclusioni
Per trovare riscontri sulla correlazione tra motivazione individuale e performance
bisogna fare riferimento alle più recenti ricerche nel campo. La ricerca di
Hackman & Oldham introduce il concetto di un ciclo di performance che si
autoalimenta. In questo ciclo oltre a motivazione e performance troviamo la
soddisfazione lavorativa. Il personale raggiunge una alta performance grazie alle
proprie abilità e a determinate caratteristiche lavorative. E’ proprio dalle
performance ottenute che il lavoratore trae soddisfazione, e tale soddisfazione lo
porterà a essere motivato nel futuro.
Livelli positivi nei cinque fattori evidenziati da Hackman e Oldham concorrono
nell’avvio di questa relazione circolare. I cinque fattori sono: varietà di abilità,
identità del compito, significato del compito, autonomia e feedback. Alti punteggi
su questi cinque fattori implicano una più alta motivazione e performance. Si
sostiene inoltre come sia possibile motivare in modo estrinseco ai fini di
migliorare la performance. Fattori come stipendio, bonus, sicurezza lavorativa e
supervisione possono contribuire alla soddisfazione lavorativa e in questo modo
alimentare motivazione e prestazione.
Nello scenario lavorativo si riscontra che le organizzazioni che motivano solo
estrinsecamente sono molto maggiori in numero rispetto alle aziende che
utilizzano incentivi motivazionali solo di tipo implicito. Nella maggior parte dei
casi di successo le organizzazioni tendono ad utilizzare un mix di tecniche per
motivare il personale sia intrinsecamente che estrinsecamente.
Si è discusso inoltre di come delle ricerche sostengano che fattori estrinseci non
portino ad un aumento delle performance e di come ci siano casistiche nelle quali
un aumento di fattori estrinseci possa portare ad un netto decremento della
motivazione intrinseca.
39
Capitolo 4
Strategie per motivare il personale e aumentare le
performance
4.1 Promuovere i fattori incentivanti
Sembra che l’incentivo economico sia tra le principali e le più influenti forme di
incentivo, capace di mantenere un individuo motivato verso il raggiungimento di
alte performance. C’è da tenere presente che l’incentivo economico è anche un
mezzo che permette al lavoratore di soddisfare altre tipologie di bisogni oltre a
quello puramente ti tipo economico. Ecco perché ha un importante impatto nel
promuovere maggior impegno nei dipendenti. Però, come già discusso nei capitoli
precedenti, ricerche hanno dimostrato che nel lungo periodo l’incentivo
economico non produce un aumento delle performance (Amabile, 1993. Whitley,
2002) . Inoltre, focalizzarsi solo sugli incentivi economici può ridurre la
motivazione intrinseca degli individui e produrre un calo delle prestazioni (Deci,
1972).
Ci sono altri fattori di tipo non economico che possono influenzare positivamente
motivazione e performance. Tra questi i benefit non strettamente economici
troviamo autonomia, elasticità dell’orario lavorativo, assistenza medica,
riconoscimento sociale e il feedback rispetto alla performance. Sono molte le
ricerche che sostengono che il riconoscimento porta alla soddisfazione lavorativa
la quale, a sua volta, induce ad un aumento delle performance. Tuttavia, la
maggior parte delle organizzazioni utilizza incentivi economici, promozioni,
40
bonus ecc. per motivare i propri dipendenti e favorire un incremento delle
prestazioni.
Un altro fattore importante è quello della leadership, dal momento che la
leadership è focalizzata sul raggiungimento degli obiettivi. Per ottenere questa
finalità è importante costruire relazioni basate sulla fiducia, e per ottenere fiducia
dai propri collaboratori è necessario che essi vengano motivati (Latham, 2012). La
fiducia è una base importante per incoraggiare lo sviluppo di un altro fattore
importante che è la comunicazione tra i colleghi di lavoro. Perciò, sviluppare e
implementare programmi di training del personale è una strategia necessaria per
favorire la motivazione.
Secondo Bacal (2004), la priorità del management è quella di individuare e
mettere in esecuzione un ampio numero di strategie che possano soddisfare i
bisogni dei dipendenti e nello stesso tempo i valori dell’organizzazione. Infatti
organizzazione e personale dipendono l’un l’altro nel processo di realizzazione di
delle proprie aspettative. Il management deve sapere raccogliere e valutare
attentamente le indicazioni che vengono dal basso della gerarchia per potere
mettere in azione strategie che portano alla soddisfazione dei loro bisogni. I
bisogni, come esposto sopra nel capitolo delle teorie motivazionali, sono
eterogenei e per ogni individuo possono avere importanza e priorità diverse. Essi
includono bisogni fisiologici, di sicurezza e successo (Vroom, 1990).
Focalizzandosi sul personale ad ogni livello e ruolo nell’organizzazione porta ad
una migliore rilevazione delle loro preoccupazioni e i loro bisogni, ciò fornisce
soluzioni più rapide per affrontare eventuali problematiche (Yeo, 2003).
L’incentivo economico è un mezzo influente e diffuso per indurre aumento di
motivazione e come già discusso la sua importanza è dovuta anche fatto che una
somma di denaro può essere utilizzata per soddisfare desideri di genere diverso.
Ecco perché gli incentivi economici possiedono questa forza nel potenziare
l’impegno del personale. Per Fisher (2005) l’incentivo economico è considerate il
motivatore chiave delle organizzazioni. Contrariamente altri studi sostengono che,
nel lungo termine, non porta verso un aumento delle performance. Inoltre, sempre
nel lungo termine, gli individui si demotivano a livello implicito poiché
tenderanno a lavorare solo per il fatto di ottenere l’incentivo economico. In ogni
41
caso tra i fattori principali che inducono all’aumento di motivazione e
performance l’incentivo economico non è l’unico, ci sono anche una serie di
incentivi non di tipo economico come ricompense non monetarie, riconoscimento
sociale e feedback sulla prestazione che sono ottimi motivatori nel mondo
aziendale (Latham, 2012)
Negli ambienti lavorativi dove il lavoro è monotono e con pochi stimoli i
lavoratori si annoiano facilmente e manifestano malessere a causa di questa
condizione lavorativa. Permettere al personale di lavorare in team aumenta
competenza, motivazione e flessibilità dei soggetti. Ciò permette di migliorare la
qualità dei prodotti e dei servizi richiesti dal cliente. Un altro aspetto è il
coinvolgimento nelle decisioni operative e di processo. Se il personale viene
coinvolto si crea un sentimento di devozione del dipendente verso
l’organizzazione insieme a quello di entusiasmo verso un miglioramento delle
prestazioni (Ford, 2005). Si assiste inoltre ad una diminuzione dell’assenteismo
dal momento che i dipendenti sono più fedeli al proprio lavoro e non hanno
intenzione di mettere in difficoltà il team di lavoro (Fisher, 2005).
Aiutare i dipendenti a sviluppare sicurezza nelle proprie capacità è un altro punto
fondamentale. L’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha sulle proprie
capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione. Il senso di autoefficacia
corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le
sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati (Bandura, 2000).
Sviluppare negli individui alta sicurezza di sé è considerato uno degli obiettivi più
importanti ai fini di favorire un aumento della motivazione e della performance.
E’ fondamentale che i dipendenti abbiano la consapevolezza di avere le capacità
di portare a termine una determinata attività lavorativa. E’ quindi compito
dell’organizzazione assicurarsi che il personale lavori con questa consapevolezza.
Secondo Bandura (2000) è importante acquisire sicurezza di sé non in via
generale ma rispetto alle attività da svolgere nello specifico e questa specificità ha
un effetto maggiore sulla motivazione lavorativa. Ad esempio se l’autoefficacia è
bassa la persona ritiene che le proprie azioni raramente ottengano i risultati
desiderati. Chiaramente una persona con bassa autoefficacia sarà portata a
scegliere obiettivi più limitati e a impegnarsi di meno per raggiungerli e, a parità
42
di complessità del compito, proverà maggiore stress. I livelli di autoefficacia
influenzano le prestazioni in ambito scolastico, sociale, nelle abitudini rilevanti
per la salute, nelle prestazioni lavorative.
Nell’ambito della motivazione e performance in campo lavorativo l’impatto delle
emozioni viene spesso ignorato. Emozioni positive come felicità, buon umore,
gioia migliorano l’impegno e le prestazioni lavorative mentre emozioni come
frustrazione, rabbia influiscono le scoraggiano. Dipendenti frustrati o depressi
focalizzano la loro attenzione su eventi negativi del passato e non sugli obiettivi
imminenti. Riuscire a modificare le emozioni del personale non è tuttavia compito
facile e ci sono idee e teorie diverse su come poterlo fare. Le emozioni non sono
sempre basate su eventi particolari, sono influenzate da fattori legati alla
personalità, biologici ecc.
Gordon Bower (1995) ha condotto una ricerca riguardo all’impatto del buon
umore sulle performance lavorative. L’autore fornisce alcune linee guida per
favorire emozioni positive e contribuire alla costruzione di un clima positivo.

Coinvolgere il personale nelle decisioni su come personalizzare il proprio
ambiente lavorativo e dare loro la possibilità di personalizzarlo.

Permettere ai dipendenti di ascoltare musica privatamente mentre lavorano
se questo non interferisce sulla loro efficienza lavorativa.

Eliminare regole e politiche che impattano negativamente sul buon clima
lavorativo a meno che non producano benefici maggiori dell’impatto
negative che causano. E’ buona norma chiedere ai dipendenti quali regole
o politiche, se tolte, migliorerebbero il clima lavorativo.

Invitare tutto il personale, compresa la dirigenza, a manifestare più
entusiasmo, supporto e ottimismo.
Nelle organizzazioni (e non solo) anche il feedback è un mezzo utile per
aumentare le performance, in particolare il feedback a 360° nel quale il soggetto
confronta la sua percezione soggettiva della performance con le informazioni,
generalmente anonime, fornite da manager, colleghi di livello diverso circa alcuni
comportamenti specifici. In questo processo chiamato anche feedback a circolo
completo, possono venire coinvolti anche soggetti esterni all’organizzazione.
43
Dalle ricerche eseguite da (Frone, 2008) si dimostra che è più probabile che si
ottengano miglioramenti quando il feedback indica che un cambiamento è
necessario. In questo modo si verifica una ricezione positiva del feedback e viene
meglio percepita la necessità di modificare il proprio comportamento. Ciò si
traduce con un miglioramento delle capacità e dalla performance. Secondo
(Wright, 2009) la fiducia è alla base dell’utilizzo di questa forma di feedback e un
modo per aumentare la fiducia è quello di utilizzare il feedback in modo
confidenziale e al fine di fare crescere l’azienda. Vengono scoraggiati i
collegamenti tra feedback e decisione che concernono aumenti retributivi e
promozioni.
Per utilizzare al meglio un feedback di questo tipo è auspicabile tenere presente
concentrare il feedback sulla performance e non sulla personalità e incanalarlo
verso aree importanti per l’organizzazione. Altro aspetto importante è collegare il
feedback ad aspettative ben definite di miglioramento.
4.2 Arginare i fattori disincentivanti
Per un manager è importante sapere quali sono gli elementi che possono portare
ad un decremento delle prestazioni lavorative. Gli elementi che verranno descritti
sotto sono presenti nella quotidianità di molte organizzazioni. Attivarsi per
diminuire o addirittura estirpare questi fattori disincentivanti favorirebbe un
aumento della motivazione e performance del personale.
Percezioni di ingiustizia e disonestà da parte dell’organizzazione appartengono a
reazioni soggettive diverse, la percezione di uno dei due fattori scritti appena
sopra porta a conseguenze negative sulla motivazione, quindi sui comportamenti e
sulla prestazione delle persone. Le percezioni di disonestà portano i dipendenti a
reagire e comportarsi nello stesso modo di chi le produce (Bandura, 2000). Questo
suggerisce all’azienda la necessità di impostare politiche di gestione del personale
che rientrano nella valutazione dello scambio, dove vengano coltivate trasparenza,
44
chiarezza e condivisione nei confronti dei dipendenti. Trasparenza e condivisione
anche su quali sono le attese dell’azienda nei confronti dei dipendenti, di come
sono valutate le prestazioni, di quali sono gli elementi che concorrono a
determinare i passaggi di livello e variazioni retributive.
Le percezioni e valutazioni soggettive dell’individuo meritano sempre di essere
indagate, sia nell’ambito delle relazioni quotidiane tra manager e collaboratori, sia
in momenti dedicati appositamente. Questi momenti sono importanti per far
emergere quei vissuti e quei disagi che, non intercettati e non gestiti, possono
condurre a pericolosi cali di motivazione e rendimento del personale.
Un altro punto negativo sono gli obiettivi non chiari, non raggiungibili e
costantemente in cambiamento. L’assenza di una visione chiara degli obiettivi può
portare il personale ad assumere che i propri obiettivi, e quindi il loro lavoro, non
abbia benefici per l’organizzazione. Senza una chiara definizione degli obiettivi e
senza feedback sulle prestazioni i dipendenti non si impegneranno ma piuttosto
saranno inclini a non dare il meglio di se stessi (Latham, 2012). Per aumentare
motivazione e prestazioni è necessario che il manager definisca obiettivi tenendo
presente tre caratteristiche: sfidante (ma non impossibile), concreto (capibile e
misurabile) e che abbia una scadenza non troppo protesa nel futuro (Latham,
2012).
Nelle organizzazioni spesso non ci si pone la domanda se alcune politiche e regole
siano ancora necessarie. Il fatto che queste politiche siano sempre esistite, in un
certo senso ne giustifica la messa in atto. Sono molti gli studi che dimostrano che
le regole e politiche non più necessarie danneggiano la motivazione lavorativa
(Spitzer, 1995). E’ bene che il management si interroghi sugli effettivi benefici
delle proibizioni e se ci potrebbero essere dei benefici se tali regole fossero
eliminate. Questa è una delle azioni che, con minimo investimento, possono
portare ad un veloce aumento delle performance e della motivazione.
Una sana competizione tra colleghi può che essere un esperienza motivante per
alcune persone. Ne sono esempio i venditori di molte aziende del mondo
occidentale che fanno gara su chi vende di più. Tuttavia è da tenere presente che
una costante e intensa rivalità può attivare un livello distruttivo di competizione
interna che sposterebbe attenzione ed energie lontano dagli obiettivi di business.
45
La competizione porta a dover sopportare un grande stato di stress che molte volte
porta a rovinare sia la carriera propria che quella degli altri. Nel mondo del lavoro
di oggi lavorare in team è meglio che lavorare soli e l’appoggio di un collega può
essere fondamentale per crescere nel proprio lavoro. Un lavoratore competitivo
tende a isolarsi e di conseguenza allontanare da se tutti i colleghi. Per non parlare
dei molteplici conflitti che nascono per questo problema, le aziende hanno infatti
capito che la competitività può portare ad un abbassamento della produttività. Per
questo è fondamentale analizzare le capacità di ogni individuo per creare così un
team di lavoro equilibrato, distribuendo inoltre ad ognuno compiti ed obbiettivi
distinti.
4.3 Il caso Google
Nello scenario odierno, l’obiettivo principale di ogni organizzazione è quello di
massimizzare i profitti. Diventa importante attirare e fidelizzare i talenti, motivarli
allo scopo di aumentare le loro performance individuali. Come già descritto sopra,
le performance individuali sono correlate alla performance aziendale, quindi è
chiaro che un aumento delle performance del personale porta un importante
beneficio nell’organizzazione.
Google, Inc. è stata classificata nei primi posti delle migliori aziende per le quali
lavorare, posizionandosi per ben sette volte su dieci al primo posto. Google, sin
dagli albori, circa alla metà degli anni novanta, si è basata sul principio che per
attirare i talenti migliori era necessario offrire un ambiente lavorativo dove il
personale potesse divertirsi, realizzare i propri sogni ed essere ricompensato per il
duro lavoro. (Lashinsky, 2012)
Google si assicura di elargire benefit innovativi, flessibilità, di dare al personale la
possibilità di provare a realizzare le loro idee. Il CEO Erin Schmitt si basa sul
principio fun is good e sostiene che l’idea di fondo è che il lavoro deve essere
sfidante e che la sfida deve essere divertente. Sempre secondo il CEO di Google, è
46
necessario rendersi consapevoli dei diversi bisogni che possono avere i singoli
impiegati, questa diversità richiede flessibilità da parte dell’organizzazione. La
priorità è quella di offrire programmi customizzabili, specifici per i bisogni di
ogni singolo individuo. Google, Inc. si basa sia su fattori intrinseci che estrinseci
per aumentare la motivazione dei dipendenti.
Insieme ai benefici estrinseci più tradizionali come i costi sanitari e dentistici
gratuiti, conti bancari flessibili, assicurazione e pacchetti vacanza, pasti gratis ogni
giorno, si aggiunge anche una maternità fino a 18 settimane di riposo a quasi il
100% di paga. Inoltre, le nuove madri e padri ottengono benefits riguardanti i
pasti portati a domicilio durante i primi tre mesi dopo la nascita del figlio. Inoltre,
Google, Inc. fornisce benefit per la cura dei bambini. Con il programma assistenza
adozione, Google, Inc. assiste i propri dipendenti offrendo assistenza finanziaria
nel caso di adozione di un bambino.
Nella sede di Google in California i dipendenti hanno la possibilità di fare visite
mediche in loco. E’ possibile fare in loco il cambio olio, lavaggio auto, lavaggio a
secco, fare massaggi, allenarsi in palestra, usufruire di un parrucchiere,
partecipare a lezioni di fitness e far riparare la bicicletta. (Google, 2009).
Google, Inc. riconosce che questi agenti motivazionali di tipo estrinseco sono
importanti ma non sono sufficienti a motivare il dipendente e che questi vantaggi
non sono le principali leve che attirano e fidelizzano i dipendenti.
Il punto di forza di Google, Inc. sta in quelle che chiamano ricompense
intrinseche. Tra colleghi non esistono gerarchie, la struttura è piatta per
massimizzare la creatività. Nemmeno il flusso dell’informazione è strutturato, non
ci sono canali ufficiali. Questo permette alle idee di fluire e crescere all’interno
dei gruppi. In questa struttura senza gerarchie si ha la possibilità di organizzarsi in
gruppi ma senza avere l’obbligo di doverci rimanere per forza. I dipendenti
possono scegliere con che gruppi lavorare.
Un altro vantaggio, piuttosto insolito, è che l’organizzazione consente ai
dipendenti di impiegare ben il venti per cento del loro tempo per lavorare sui
propri progetti, indipendentemente dal loro gruppo di lavoro. E’ stato dimostrato
che questo opportunità che si lascia ai dipendenti si traduce in oltre il venti per
47
cento di lanci di nuovi prodotti derivanti da tali progetti personali. Il fatto che il
dipendente senta la libertà di esplorare è uno dei maggiori vantaggi che lo
mantiene entusiasta e motivato. Altro fattore motivante di tipo intrinseco è
l’estrema flessibilità dell’orario lavorativo insieme ad un ambiente lavorativo che
è reso il più rilassante possibile. Un ambiente rilassato e divertente per Google,
Inc. fornisce un beneficio psicologico e incoraggia i dipendenti ad essere più
impegnati, più creativi e più produttivi. (Google, 2016).
4.4 Conclusioni
In questo capitolo sono stati esposti alcuni importanti fattori sui quali puntare, e
sui quali non puntare, per promuovere motivazione e aumento delle performance
in un organizzazione.
E’ vero che l’incentivo economico è una tra le principali strumenti per favorire la
motivazione ma c’è da tenere presente che l’incentivo economico è anche un
mezzo che permette al lavoratore di soddisfare altre tipologie di bisogni oltre a
quello puramente ti tipo economico.
E’ bene per un manager considerare altri fattori di tipo non economico che
possono influenzare positivamente motivazione e performance. Questi fattori non
implicano necessariamente un impiego di risorse finanziare ma possono tradursi
con azioni frutto di strategie messe in atto dal management. Lavorare sul senso di
autoefficacia dei dipendenti, definire obiettivi smart e dare feedback che
includano rinforzi positivi è un primo passo per portare cambiamenti verso un
aumento delle prestazioni del personale. Lavorare in modo efficace su questi
aspetti significa anche sapere indagare e conoscere bisogni e aspettative dei
dipendenti. Per quanto riguarda questioni di più ampio raggio, che riguardano
anche l’organizzazione, è auspicabile intraprendere azioni per migliorare la
comunicazione e il clima aziendale.
48
Capitolo 5
Conclusioni
In questa tesi si è indagato sulla motivazione, sulla performance e sulla relazione
tra motivazione e performance.
Si è approfondito il concetto di motivazione intrinseca ed estrinseca e si è esposto
come entrambe le tipologie motivazionali possano portare, sebbene in modo
diverso, ad un miglioramento della prestazione.
La maggior parte delle organizzazioni di successo tende a motivare i dipendenti
sia utilizzando fattori intrinseci che estrinseci. Dalle ricerche prese in
considerazione si evince che la motivazione intrinseca contribuisca
maggiormente, rispetto a quella estrinseca, ad un aumento della prestazione e che
per motivare intrinsecamente sia auspicabile raggiungere alti punteggi in cinque
fattori legati all’attività lavorativa: varietà di abilità, identità del compito,
significato del compito, autonomia e feedback.
Per quanto riguarda la motivazione esplicita è importante curare gli incentivi
economici, i bonus, il controllo e la sicurezza. Bisogna tenere però presente che
fare leva sulla motivazione per incrementare la prestazione potrebbe non bastare.
Vi sono altri fattori, come la leadership per esempio, che possono portare ad un
aumento o ad una diminuzione delle performance. Tuttavia in generale è possibile
sostenere che, lavorare su fattori motivazionali intrinseci può fortemente
contribuire ad un aumento della prestazione.
Per quanto riguarda le ricerche prese in considerazione in questa tesi, alcune teorie
sono contradditorie e le conclusioni quasi opposte. Per esempio alcune ricerche
49
sostengono che la motivazione estrinseca contribuisce ad un aumento delle
performance mentre altre sostengono l’opposto. Lo stipendio per alcuni ricercatori
è uno dei migliori incentivi per aumentare la motivazione mentre altri dimostrano
che lo stipendio non produce aumento della motivazione ma risulta essere
elemento neutrale. Molti leader, in particolare nelle aziende, commettono l’errore
di considerare il denaro come la prima esigenza per la motivazione. Certamente,
tutti desidererebbero guadagnare di più, tanto che, con l’aumentare del reddito,
aumentano anche le pretese in una rincorsa che non ha mai fine. Uno stipendio
elevato è importante perché assicura i mezzi necessari per vivere e stimola,
quindi, a lavorare. Inoltre, la retribuzione svolge un compito di comunicazione,
verso l’esterno, della propria posizione nella scala gerarchica sociale, oltre al fatto
che un suo aumento conferma il successo professionale. Tuttavia, l’importanza del
denaro come fattore motivazionale è stata sopravvalutata. Quando il reddito è
abbastanza elevato da permettere di soddisfare i bisogni quotidiani e risparmiare
qualcosa, un ulteriore aumento di stipendio non spinge a lavorare di più. Ciò che
stimola realmente all’impegno, non è il denaro, ma il benessere psicologico e
sociale dell’individuo. E’ importante sottolineare, però, che dalla consistenza della
retribuzione si misura anche lo status all’interno della gerarchia aziendale. Tutti,
infatti, confrontano i propri introiti con quelli percepiti dagli altri, ritenendo,
spesso, di essere sottoretribuiti.
Mettendosi nei panni dei manager è auspicabile curare entrambi le motivazioni sia
di tipo intrinseco che estrinseco. Infatti, fattori di tipo intrinseco si correlano in
modo robusto ad un aumento della motivazione, mentre quelli di tipo estrinseco
possono portare ad insoddisfazione se mancanti. Una strategia che contempli un
mix di incentivi rispetto alle due tipologie di motivazione sembra essere ad oggi
una strategia vincente. Ne sono esempio le maggiori società di successo nel
panorama internazionale. E’ bene che i manager tengano anche presente che
questo mix di tecniche di incentivazione deve essere pensato tenendo conto che
gli incentivi di tipo estrinseco possono portare ad una diminuzione della
motivazione intrinseca.
Non è un lavoro facile motivare il personale, ci sono molti altri fattori da tenere
presente come quello dell’orientamento motivazionale degli individui che è
50
correlato alla personalità. Alcuni soggetti raggiungono migliori performance per
mezzo di incentivi intrinseci (o estrinseci) rispetto ad altri soggetti. In generale si
può dire che la performance è influenzata da fattori individuali come la
personalità, le abilità, la conoscenza, l’esperienza e le competenze. Sono tutte
variabili che i manager devono tenere in considerazione per motivare i loro
collaboratori. Un’ulteriore difficoltà è relativa alla misurazione delle performance
che nella maggior parte delle organizzazione è eseguita dai manager. Si è
evidenziato come, ad oggi, non esistano metodologie di misurazione puramente
oggettive.
Infine, dalla lettura di questa tesi è possibile dedurre quanto sia fondamentale
considerare il valore che il singolo associa ad una determinata ricompensa, sia
materiale che non materiale. Per alcuni, infatti, un premio può essere visto in
maniera diversa rispetto ad altri. Per questo motivo, è necessario porre sempre la
massima attenzione alle esigenze degli individui e a ciò che esprimono, in modo
da sapere quali azioni mettere in campo.
51
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