Motivazione e performance nelle organizzazioni
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Motivazione e performance nelle organizzazioni
UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO FACOLTÀ DI PSICOLOGIA Corso di Laurea in Discipline Psicosociali Elaborato finale In Psicologia del Lavoro Titolo tesi Motivazione e performance nelle organizzazioni Relatore: Prof. Arrigo Pedon Tutor: Dott.ssa Mariangela Cersosimo Candidato: Marco Sozza Anno Accademico 2014-15 1 Indice Introduzione Capitolo 1: La motivazione nelle organizzazioni 1.1 Il concetto di motivazione 1.2 Motivazione nelle organizzazioni 1.2.1 Teoria dei bisogni di Maslow 1.2.2 Teoria ERG di Alderfer 1.2.3 Teoria dei fattori igienico-motivanti di Herzberg 1.2.4 Teoria dei bisogni di McClelland 1.2.5 Teoria dell'equità di Adams 1.2.6 Teoria del rinforzo di Skinner 1.2.7 Teoria X e Y di McGregor 1.2.8 La teoria dell’aspettativa di Vroom 1.3 Motivazione estrinseca ed intrinseca 1.4 La relazione tra motivazione estrinseca ed intrinseca 1.5 Conclusioni 6 7 8 9 12 14 15 18 20 21 22 23 24 Capitolo 2: Performance nelle organizzazioni 2.1 Performance nelle organizzazioni 2.2 Performance individuale 2.3 Misurazione delle performance 2.4 Conclusioni 26 27 28 31 Capitolo 3: La relazione tra motivazione e performance 3.1 La relazione tra motivazione e performance individuale 3.2 Motivazione intrinseca e performance 3.3 Motivazione estrinseca e performance 3.4 Conclusioni 32 35 37 39 Capitolo 4: Strategie per aumentare motivazione e performance 4.1 Promuovere i fattori incentivanti 4.2 Arginare i fattori disincentivanti 4.3 Il caso Google 4.4 Conclusioni 40 44 46 48 Capitolo 5: Conclusioni 5.1 Conclusioni 49 2 Introduzione Se manca motivazione a svolgere un determinato compito, le abilità e le conoscenze di un individuo possono essere sprecate. E’ capitato a tutti di notare come, in diversi ambiti, individui facciamo il minimo possibile per raggiungere un risultato mentre altri mettano in campo tutte le loro risorse e impegno. Cosa rende diverse queste due tipologie di persone? La risposta è la motivazione. I lavoratori motivati sentono il bisogno di ottenere successo, di fare sempre del proprio meglio in ogni campo e progetto a cui sono stati assegnati. È in corso da anni un dibattito tra molti autori su come sia possibile creare questo desiderio. Molti sono d’accordo nel ritenere che la semplice esortazione non basti e che non esista una metodologia standardizzata per spingere a fare il proprio meglio, in quanto le persone sono troppo diverse fra loro. La motivazione deve essere basata sugli aspetti comuni della natura umana, anziché sulle differenze che esistono fra i vari individui. Alcuni studiosi, inoltre, pensano che sia impossibile che un essere umano possa motivarne un altro e preferiscono utilizzare termini quali “incoraggiare”. Altri, invece, credono che la motivazione sia legata allo stato d’animo e che non esiste una logica che la governa. Essa, quindi, si riduce ad una mera esortazione, in quanto sarebbe sufficiente trattare le persone con sincerità e franchezza. I manager che vogliono ottenere alte performance devono necessariamente lavorare sulla motivazione dei loro collaboratori. Occuparsi di motivazione significa, quindi, capire quali siano le origini di quei processi che esprimono l’agire degli individui, che ne definiscono i moventi ed i motivi e che si propongono di riconoscere tutto ciò che muove e mobilita (G. P. Quaglino, 1999). Nel caso della motivazione lavorativa, si tratta di analizzare la moltitudine di fattori, non esclusivamente interni alla persona, in grado di far comprendere le dinamiche insite nel dispiegamento delle energie psicofisiche nell’attività professionale, ma anche nell’intensità e persistenza di questo investimento di risorse. La conoscenza della struttura motivazionale degli individui e dei relativi meccanismi comportamentali è indispensabile per una gestione consapevole del 3 sistema organizzativo aziendale. Va indagato il processo attraverso il quale l’individuo canalizza l’energia verso il raggiungimento di un incentivo al soddisfacimento di determinati bisogni. Intorno alla metà del secolo scorso sono nate le prime importanti teorie sulla motivazione. Le più influenti sono state quella della gerarchia dei bisogni di Maslow (1943), la teoria dei fattori igienico-motivanti di Herzberg (1959) e la teoria dell’aspettativa di Vroom (1964). Queste ricerche si focalizzano anche sulla motivazione del personale nello specifico. E’ stato dimostrato come vi sono due tipologie di motivazione. La motivazione intrinseca e la motivazione estrinseca. Su questo argomento verranno discussi in particolare i contributi di Amabile e Deci e Ryan e verrà più avanti descritto come questi due tipi di motivazione possono influenzare le prestazioni lavorative. Lo scopo di questa tesi è quello di indagare come tipologie diverse di motivazione possano influenzare le performance in ambito lavorativo. Prima di arrivare ad una conclusione si vuole fare chiarezza su cosa sia la motivazione, per capire come influenza il nostro modo di lavorare e come la prestazione sia correlata ad essa. L’obiettivo di questa tesi è stato raggiunto tramite una rivisitazione delle ricerche eseguite dagli esperti nell’ambito della motivazione lavorativa. In particolare le ricerche di Deci, Hunter, Hackman e Oldham, Amabile. Nel primo capitolo verranno esposte le principali teorie sulla motivazione e le loro implicazioni in ambito lavorativo. Successivamente negli ultimo paragrafi del capitolo verrà introdotto il concetto di motivazione intrinseca, motivazione estrinseca e la loro relazione. Il secondo capitolo si focalizza sulla performance degli individui nell’ambiente professionale. Si descrive come le prestazioni possano essere misurate e quanto esse possano essere determinate dalla motivazione. Il terzo capitolo riguarda la relazione tra motivazione e performance e verrà descritto come il personale possa essere motivato in modo intrinseco ed estrinseco. 4 Nel quarto capitolo si espongono quelli che sono i fattori sui quali fare leva per incrementare motivazione e performance nelle organizzazioni e si parlerà anche ai fattori dei fattori disincentivanti che auspicabilmente un’organizzazione deve arginare. Infine viene esposto un caso reale, quello della Google, Inc. una tra le aziende più prestigiose ed efficienti al mondo, nello specifico verrà esposta la loro politica di gestione del personale focalizzata sulla motivazione intrinseca ed estrinseca. Il quinto capitolo conclude la tesi, esponendo quelle che sono le implicazioni nel settore lavorativo della motivazione intrinseca ed estrinseca. 5 Capitolo 1 La motivazione In questo capitolo verranno introdotte le più influenti teorie sulla motivazione. Successivamente verrà verranno descritte la motivazione intrinseca e quella estrinseca. Nell’ultimo paragrafo si espone la relazione tra le due tipologie di motivazione. 1.1 Il concetto di motivazione Etimologicamente il termine motivazione indica un movimento, il dirigersi di un soggetto verso uno scopo. La dinamica del desiderio implica una spinta, che può essere interpretata come bisogno o pulsione da soddisfare, oppure in un senso più profondo, come tensione sostenuta da aspettative, emozioni, obiettivi. Questa tensione appare da un lato connessa alle modalità per cui un soggetto decide che cosa per lui ha senso e che cosa non lo ha, dall’altro è legata alle attribuzioni di valore dominanti in un determinato contesto (ambiente socioculturale, gruppo, lavoro, istituzioni, ecc.). Già dalla definizione che si ricava da una prospettiva etimologica emerge la complessità teorica del problema della motivazione. Essa si può definire in via preliminare come un costrutto multifattoriale, poiché entrano infatti in gioco diversi aspetti, interrelati ed interagenti tra loro: aspetti emotivi, cognitivi, 6 biologici, psicologici, contestuali, sistemico-relazionali. Tra le varie componenti, come è facile intuire, si intrecciano una moltitudine di relazioni, tanto che non è facile isolare un aspetto dall’altro. Esistono differenti modellistiche motivazionali, che risentono dell’influenza di diversi orientamenti. Nel caso della motivazione al lavoro, si tratta di analizzare un insieme di fattori che non necessariamente risiedono all’interno della persona. Essi sono in grado di far comprendere le dinamiche di comportamento nell’attività lavorativa, la conoscenza della struttura motivazionale degli individui e i relativi meccanismi comportamentali. Tutto ciò è indispensabile per una gestione efficace ed efficiente del sistema organizzativo aziendale. Va indagato il processo attraverso il quale i soggetti canalizzano l’energia verso il raggiungimento di un incentivo al soddisfacimento di determinati bisogni. 1.2 Le teorie motivazionali nelle organizzazioni Nell’ambito della psicologia delle organizzazioni è bene tenere presente che sono stati due i principali orientamenti che ne hanno caratterizzato lo studio della motivazione. Ad ogni orientamento corrisponde una diversa teoria interpretativa. Troviamo le teorie di contenuto che si focalizzano sull’analisi dei bisogni che motivano le persone all’azione. Le teorie di processo pongono invece l’accento su quali fattori influiscono sulle scelte dell’individuo guidandolo verso un determinato comportamento. Le teorie di contenuto più importanti e più applicate negli ambiti professionali sono state quelle di Maslow, Alderfer, Herzberg, McClelland, McGregor e la teoria del rinforzo di Skinner. Tra quelle basate sul processo importanti contributi sono quelli delle teorie di Adams e Vroom. Nei prossimi paragrafi verranno esposti i contenuti teorici di queste teorie tenendo presente quali sono le loro implicazioni nell’ambito professionale. 7 1.2.1 La teoria dei bisogni di Maslow Abraham Maslow è senza dubbio uno tra i più importanti psicologi del 20° secolo e la gerarchia dei bisogni, insieme alla piramide che rappresenta come i bisogni sono classificati, è ben nota molti manager e studenti di business. La teoria di Maslow si basa su una semplice premessa: gli esseri umani hanno dei bisogni e questi bisogni appartengono ad una struttura gerarchica (Maslow, 1973). Per cui ci sono bisogni che sono basilari per tutti gli esseri umani e in loro assenza nient’altro potrebbe importare se non la loro soddisfazione. Una volta soddisfatti questi bisogni basilari, ci si può interessare a bisogni più alti nella gerarchia. Bisogni basilari soddisfatti non sono più fonte di motivazione. I bisogni di base secondo Maslow sono quelli fisiologici che si riferiscono a bisogni vitali come necessità di aria, acqua, cibo. Basti pensare ad una persona che per esempio non beve da due giorni, è abbastanza ovvio che dopo tutto questo tempo senza acqua lo porti a orientare energie e comportamenti verso la ricerca di acqua. Una volta soddisfatto questo bisogno ecco che ci si può dedicare ai bisogni successivi, quelli di sicurezza. Riguardano la sicurezza da pericoli, paure, ma anche da fattori meno tangibili come un futuro incerto ad esempio. Un livello sopra e ci sono i bisogni sociali che si riferiscono al bisogno di avere legami con altri individui, di essere amati e di coltivare relazioni. Di fatto la mancanza di relazioni può danneggiare la salute e il benessere (Maslow, 1973). La soddisfazione dei bisogni sociali rende i bisogni legati all’autostima più salienti. La stima deriva sia da fattori interni che da fattori esterni all’individuo. Infine al più alto livello della gerarchia si trova il bisogno di autorealizzazione che si genera acquisendo nuove abilità, mettendosi in gioco su nuove sfide, realizzando azioni che portano al conseguimento degli obiettivi voluti. 8 moralità, creatività, accettazione • Autorealizzazione autostima, autocontrollo, realizzazione, rispetto reciproco • Stima amicizia, affetto familiare, intimità sessuale sicurezza fisica, di occupazione, morale familiare, di salute, di proprietà respiro, alimentazione, sesso, sonno, omeostasi • Appartenenza • Sicurezza • Fisiologici Fig 1. La piramide di Maslow La gerarchia dei bisogni di Maslow è un metodo sistematico che vuole individuare quali siano i bisogni dei dipendenti in determinati momenti della loro carriera e può aiutare a decifrare perché, pur con lo stesso trattamento, i lavoratori si comportano in modo diverso. Ad esempio un dipendente impegnato a ricercare la stima dei colleghi e del responsabile sarà gratificato quando il suo responsabile gli comunica che sta facendo un bel lavoro. Diversamente, per un'altra persona che necessita di bisogni di tipo sociale, una gratificazione da parte del responsabile, in particolare di fronte ai colleghi, potrebbe risultare sconveniente e quindi negativa per il soggetto. A questo punto ci si può porre una domanda. Come può quindi un’organizzazione soddisfare tutti i diversi bisogni dei sui dipendenti? 9 Nel lungo termine i bisogni psicologici possono venire soddisfatti dall’entità dello stipendio ma è importante notare come la paga percepita possa anche soddisfare anche altri bisogni come quelli di sicurezza e autostima. Una politica retributiva ricca di benefit come assicurazione, piano per la pensione, ma anche misure relative alla sicurezza provvede a costruire nel dipendente una percezione di sicurezza. Per quanto riguarda i bisogni sociali, l’organizzazione deve adoperarsi per fornire ambienti, strutture e mezzi che possano incoraggiare le relazioni e la comunicazione. Sono apprezzati gli eventi di team building anche al di fuori del contesto lavorativo. E’ inoltre importante il riconoscimento, verbale o sotto forma di benefit, del lavoro svolto. Lavorare sull’autorealizzazione significa prendersi carico della crescita e dello sviluppo del dipendente. Dare la possibilità di misurarsi con nuovi compiti, opportunità di crescita professionale, mantenendo il lavoro interessante e sfidante. Agire in modo efficiente su tutti i livelli della piramide di Maslow permette all’organizzazione di migliorare la motivazione della forza lavoro. 1.2.2 Teoria ERG di Alderfer Questa teoria ideata Clayton Alderfer si riconduce alla teoria di Maslow (1973) ma invece che avere i cinque bisogni organizzati in modo gerarchico Alderfer propone i bisogni di base raggruppati in tre categorie: Esistenza, Relazione, Crescita. Rispettivamente in inglese Existence, Relatedness, Growth. 10 Esistenza ERG Relazione Crescita Fig. 2 Teoria ERG L’esistenza coincide con i primi due della piramide di Maslow. Si riferisce alla soddisfazione dei bisogni necessari alla sopravvivenza sia dal punto di vista fisico che psicologico. Necessità di relazione riguarda la necessità delle persone di relazionarsi con gli altri, di essere amate e stimate. Terzo e quarto punto della piramide di Maslow. Necessità di crescita per realizzarsi in maniera compiuta le persone hanno bisogno anche di crescere e svilupparsi nell’ambito individuale e nella sfera professionale. Qui la differenza rispetto a Maslow sta nel fatto che l’insoddisfazione dei bisogni posti a questo livello può essere compensata da una forte realizzazione dei due livelli precedenti. Come già fatto notare la teoria ERG viene messa in relazione con la teoria di Maslow, tuttavia ci sono delle differenze concettuali che voglio mettere in evidenza. Alderfer non classifica i bisogni in un particolare ordine ma riconosce esplicitamente che più di un bisogno può operare nello stesso momento. Un altro concetto è l’ipotesi di frustrazione -regressione ovvero se un individuo è frustrato 11 nel tentativo di soddisfare un particolare bisogno allora potrebbe regredire verso un altro tipo di bisogno. Ad esempio un dipendente frustrato nel conseguire obiettivi di carriera potrebbe spostare la sua motivazione verso bisogni di relazione e quindi passare più tempo a socializzare con i colleghi. Un punto importante di questa teoria è che, e qui ci spostiamo sul punto di vista del manager o del datore di lavoro, riconoscendo la molteplicità dei bisogni dei dipendenti è possibile capire il perché di un determinato comportamento e di conseguenza sapere come motivarlo. 1.2.3 Teoria dei fattori igienici-motivanti di Herzberg Fredrick Herzberg ha approcciato all’argomento della motivazione in maniera diversa. Studia ciò che nell’ambito lavorativo soddisfa oppure non soddisfa i dipendenti. Si basa su una ricerca in cui ai soggetti esaminati si chiedeva di elencare quali avvenimenti della loro vita professionale avevano provocato soddisfazione e quali avvenimenti avevano provocato insoddisfazione. Arriva alla conclusione che gli aspetti che riguardano la soddisfazione di un individuo nell’ambiente lavorativo sono molto diversi da quelli che riguardano l’insoddisfazione e sono indipendenti l’uno dall’altro (Herzberg, 1959). Herzberg prende lo spunto da queste analisi per elaborare una teoria fondata sulla distinzione tra due grandi classi di fattori. Da un lato vi sono quelli che riguardano le condizioni esterne al lavoro, come l’ambiente fisico, l’ambiente sociale, la sicurezza, la remunerazione, e che Herzberg definisce i fattori igienici. Dall’altro vi sono i fattori che riguardano il contenuto interno del lavoro, e quindi la capacità di procurare una crescita professionale, definiti come i fattori motivazionali. Herzberg sostiene che i fattori che avevano maggiormente contribuito a generare soddisfazione riguardavano i contenuti del lavoro in quanto tali, mentre i fattori di 12 insoddisfazione erano maggiormente rappresentati dall’ambiente di lavoro e dalla remunerazione (Herzberg, 1959). La tesi di Herzberg è che i fattori igienici non possono in quanto tali procurare una effettiva soddisfazione. Il miglioramento dei fattori igienici o ambientali (più salario, più comfort, ecc.) può portare soltanto a una minore insoddisfazione, ma questa non si tradurrà mai nella comparsa di una soddisfazione in senso positivo. Per avere una soddisfazione reale in positivo occorre agire su altri fattori riguardanti la natura stessa del lavoro, nonché le motivazioni dell’uomo ad eseguire tale lavoro. Insoddisfazione e demotivazione Non insoddisfazione e non motivazione Fattori igienici Agenti motivanti Condizioni lavorative Sicurezza Stipendio Relazioni lavorative Politiche aziendali ….. Responsabilità Crescita personale Riconoscimento Avanzamento Interesse ….. Soddisfazione positiva e motivazione Fig 3 La teoria dei due fattori di Herzberg Questa teoria ha ricevuto diverse critiche, in particolare riguardo alla suddivisione tra fattori igienici e motivazionali. Per esempio la remunerazione per Herzberg è un fattore igienico, ma se si pensa alla percezione di avanzamento, di conferma che si sta lavorando bene allora la remunerazione acquista un connotazione motivazionale. 13 1.2.4 La teoria dei bisogni di McClelland Nelle teorie motivazionali basate sui bisogni quella di McClelland ha raggiunto molti consensi e si conferma come una di quelle più influenti. Secondo questa teoria gli individui, durante la loro esperienza di vita, acquisiscono tre tipologie di bisogni. Bisogno di successo, affiliazione e potere. Ne possiedono quindi una combinazione in un mix diverso a seconda del soggetto. Bisogno di successo Bisogno di affiliazione Bisogno di potere Fig. La teoria dei bisogni di McClelland I dipendenti con alto bisogno di successo preferiscono ed eseguono compiti che presentano moderate difficoltà, in modo che il rendimento rifletta le loro abilità. Sono molto perseveranti quando sono impegnati in compiti gravosi e amano ricevere un feedback immediato in modo da poter dire a quale buon livello si collocano le loro azioni. Sempre alla ricerca di una sfida, questi individui cercano, inoltre, di trovare modi sempre più efficienti per svolgere i loro compiti (McClelland, 1982). Il bisogno di affiliazione è inteso come esigenza di stabilire mantenere e promuovere relazioni affettive positive con altre persone. I soggetti con alto 14 bisogno affiliativo prediligono le relazioni e soprattutto il fatto di essere accettati dagli altri (McClelland, 1925). Questa enfasi verso la costruzione di relazioni armoniose con i colleghi è un punto di forza soprattutto in occupazioni che presentano bassa conflittualità e che richiedono qualità e frequenza degli scambi interpersonali. In occupazioni manageriali invece diventa uno svantaggio soprattutto per la preoccupazione di questi individui sul giudizio che gli altri posso avere di loro stessi. Diventano quindi difficili le prese di posizione e la gestione dei conflitti. Bisogno di potere è inteso come esigenza di lasciare una traccia significativa di se nella realtà, di influenzare e di controllare gli altri. I soggetti che presentano alti punteggi in questo bisogno sono competitivi e interessati a mantenere o ristabilire il proprio prestigio o potere. McClelland (1976) sostiene che le posizioni manageriali debbano essere ricoperte da persone in cui coesistano un alto bisogno di potere e un minore bisogno di affiliazione. Gli individui differiscono nella nel mix di ognuno di questi motivi, inoltre le situazioni variano nel grado in cui sono collegate, determinando natura e intensità della motivazione. 1.2.5 La teoria dell'equità di Adams La teoria di Adams si focalizza sui meccanismi di valutazione comparativa che un lavoratore opera rispetto ad altri soggetti oppure rispetto a credenze a cui assegna particolare valore. La teoria fa riferimento al senso di giustizia, come determinante che motiva le persone nelle loro interazioni e che deriva dai confronti sociali compiuti dagli individui. Più specificamente vengono confrontati i propri input e output con quelli della persona presa come riferimento. Detto ciò un individuo percepisce giustizia quando la personale risultante tra input e output non si discosta al di là di un certo valore rispetto alla risultante di input e output dell’individuo di 15 riferimento. La percezione di non equità genera tensione e attiva comportamenti atti a ridurre la tensione generata. Ora una domanda può sorgere spontaneamente. Come si valuta quali siano gli input e quali gli output? Come viene scelta la persona o le persone con cui confrontarsi? Rispondendo alla seconda domanda la scelta del riferimento può essere una persona in particolare oppure un gruppo o una categoria di persone. E’ chiaro che in generale gli individui presi come riferimento, se scelti in ambito professionale, saranno lavoratori con un inquadramento e mansioni simili al proprio. Un impiegato amministrativo non confronterà i suoi bonus con quelli di un CEO. Gli input si traducono nei contributi che un individuo percepisce di portare in un certo ambiente. Gli output riguardano le ricompense che la persona percepisce di ottenere dall’ambiente. In ambito lavorativo esempi di input possono essere l’impegno, la fedeltà, le competenze, mentre esempi di output possono essere lo stipendio, i bonus, flessibilità con l’orario. E’ importante sottolineare che la percezione di equità è la risultante di un processo soggettivo. Persone diverse possono trovarsi nella stessa esatta situazione e percepire un diverso grado di equità. Vediamo ora quali sono le reazioni alla non equità. Per alleviare il senso di tensione che deriva dalla percezione di iniquità le persone possono mettere in atto diverse soluzioni: Modificare gli input, che può tradursi nel lavorare di meno e nella diminuzione del proprio impegno. Modificare gli output, ovvero agire sugli output come può essere quello della ricompensa. Modificare le rappresentazioni degli input e dei risultati, ovvero avviare un processo psicologico che comporta l’autoconvincimento che determinati input non sono importanti. Modificare input e risultati del soggetto o categoria di soggetti con cui ci si confronta. Si attiva un processo di giustificazione del gap percepito, 16 attribuendolo ad una maggiore preparazione o competenza dei soggetti o categorie di riferimento. Cambiare il soggetto di riferimento, cioè identificarne uno diverso per il confronto. Abbandonare il campo, cambiare mansione o più probabilmente organizzazione. Gli individui tendono ad avere migliori performance e a sviluppare livelli di commitment verso l’azienda se nel contesto in cui lavorano vengono promosse percezioni di equità tra i dipendenti. Ciò richiede un importante impegno da parte dell’organizzazione la quale deve conoscere profondamente i propri collaboratori ed individuare in ciascuno quali sono le variabili personali e organizzative che influenzano le percezioni di giustizia (Adams, 1969). Un’interessante teoria che pone le sue radici sulla teoria di Adams è quella che riguarda la giustizia procedurale e la giustizia distributiva. I primi studi sulla giustizia procedura e distributiva sono iniziati alla fine degli anni settanta. L’ambito della ricerca prende il nome di giustizia organizzativa. La teoria della giustizia organizzativa si basa sulla percezione del personale di quanto si venga trattati in modo equo nel lavoro. Gli individui sono sensibili alla condizione di giustizia procedurale riguardo a molteplici decisioni aziendali. Si possono menzionare le politiche retributive, i passaggi di carriera e aspetti come la selezione del personale. Questa senso di giustizia aumenta di intensità quando il personale non ottiene i risultati che sente di meritare (Brockner et al, 1996). Se un soggetto all’interno di un contesto lavorativo non riceve le ricompense che si aspetta di ricevere, tende a colpevolizzare il management (Brockner et al, 2007). La Teoria distributiva fa riferimento all’impegno e ai risultati lavorati e a quanto un individuo abbia la percezione di essere trattato equamente rispetto a questi due fattori. Si rapporta alla percezione di quanto equamente le risorse nell’organizzazione vengano distribuite oppure assegnate. Sono stati studiati dei metodi per il raggiungimento di una giustizia procedurale e distributiva. Per esempio dando ai dipendenti un ragionevole preavviso prima di prendere decisioni, oppure spiegando ragionevolmente le ragioni relative a decisioni sensibili. Coinvolgendo i dipendenti nei processi decisionali ascoltando 17 il loro parere. Durante i processi di valutazione o riorganizzazione aziendale, condividere con i dipendenti i loro input aumenta la percezione di giustizia. Quando non sia possibile la condivisione anche la sola spiegazione alimenta il senso di giustizia procedurale. Infine gli individui si aspettano coerenza nel trattamento. 1.2.6 La teoria dell’aspettativa di Vroom Il punto centrale della teoria di Vroom è che i bisogni non sono sufficienti per spiegare il comportamento motivato, ma vanno introdotti nuovi elementi soggettivi come la valenza e l'aspettativa; in altri termini, la soddisfazione del lavoratore deriva dal raggiungimento di quei risultati per cui ogni individuo è motivato ad agire. La teoria dell’aspettativa rivela un approccio sostanzialmente fondato sulla dimensione della scelta cognitiva (Vroom, 1964). Gli individui indirizzano i propri sforzi verso le attività che portano all’ottenimento di risultati desiderabili. In accordo con essa gli individui si pongono tre domande. La prima riguarda la percezione di quanto un comportamento orientato verso una prestazione possa condurre ad una ricompensa. Questa domanda riguarda l’aspettativa che è la percezione di quanto lo sforzo o l’impegno verso una prestazione possa condurre alla ricompensa attesa. L'aspettativa si basa su probabilità soggettive ma esistono ulteriori elementi da tenere in considerazione, come l'autostima, il livello delle capacità possedute, la qualità delle risorse e il possesso delle informazioni necessarie per compiere il lavoro. Anche i successi raggiunti in precedenti compiti affini possono aumentare la percezione positiva. La seconda è legata alle ricompense connesse al risultato di una prestazione. Il concetto è quello di valenza cioè la valutazione personale sulla soddisfazione, o insoddisfazione, che un determinato risultato può generare. Se un risultato ha valenza bassa, così sarà anche la motivazione a raggiungerlo. 18 La terza riguarda il legame tra performance e risultato, la strumentalità. La probabilità che un determinato impegno porti a determinati risultati. Se una risorsa al lavoro ritiene che l’alto livello di performance sarà strumentale, ovvero funzionale all’ottenimento di premi/ricompense che possano essere gratificanti, allora egli attribuirà un elevato valore al lavorare bene. Le tre variabili sono legate da un relazione funzionale talmente stretta da rendere nullo il livello motivazionale se si rivela nulla una delle tre variabili: Motivazione = Aspettativa × Valenza x Strumentalità La teoria di Vroom sottolinea che gli individui sono attratti da diverse tipologie di ricompense. Il valore associato a queste ricompense è condizionato da ai bisogni autorealizzativi e da variabili associate all’autodeterminazione nell’ambiente professionale. Considerando quanto detto, per aumentare la motivazione degli individui nelle organizzazioni è necessario definire con cura il rapporto tra la professione e il conseguimento dell'obiettivo e tra performance e sistemi premianti. La sfida dal punto di vista del manager o del datore di lavoro è quella di fare leva su tutte e tre le variabili (Vroom, 1970). Ciò comporta che la direzione deve saper studiare un sistema di incentivi che, tenendo conto delle peculiarità individuali, sappia definire mete, che per la loro elevata aspettativa e per il rilevante valore che i singoli vi attribuiscono, sappiano dar vita ad una consistente forza motivazionale al lavoro. Il conseguimento della soddisfazione non dipende infatti solo dalla progettazione di adeguate variabili organizzative, ma è soprattutto in funzione della conoscenza della sfera soggettiva dell'individuo la quale filtra e valuta, in maniera determinante, le stesse variabili organizzative. Per Vroom, sarebbe un errore considerare il problema della motivazione lavorativa senza prescindere dalle peculiarità soggettive degli individui. E’ un errore considerare il problema dal 19 punto di vista classe di una classe di riferimento (ad esempio operaio, impiegato, manager) invece di fare riferimento al soggetto singolo. 1.2.7 Teoria del rinforzo I principi fondamentali della teoria del rinforzo si basano sul neocomportamentismo skinneriano e sulla ideologia del condizionamento operante. Il suo assunto di base, infatti, è che un soggetto è portato ad impegnarsi in un compito o in un’attività se tale comportamento in passato è stato premiato (con incentivi, complimenti, un buon voto, un regalo, l’approvazione sociale) o se un comportamento alternativo è stato punito (con un rimprovero, un segno palese di disapprovazione, un voto insufficiente). Gratifiche e ricompense sono rinforzi che aumentano la probabilità dei comportamenti perché influenzano le motivazioni. Esistono però anche rinforzi negativi, che mirano a demotivare il comportamento oggetto di punizione e quindi ne riducono la probabilità, lo indeboliscono, ne diminuiscono l’intensità o la frequenza. Se invece un comportamento non viene più rinforzato, lo si demotiva fino a farlo estinguere. Inoltre, il comportamento desiderato tende a mantenersi stabile se il rinforzo è dato in maniera continuativa. Ciò non significa che un comportamento debba essere rinforzato ogni volta che si manifesta; anzi, per i teorici di questa prospettiva la modalità più efficace è quella del rinforzo intermittente, ciò dato alcune volte, a caso, senza regola fissa (ad esempio lodare alcune ma non tutte le azioni corrette di un lavoratore. Ma per essere motivante, il rinforzo deve essere contingente alla prestazione, cioè temporalmente vicino al comportamento, e specifico, cioè relativo ad un preciso e determinato aspetto della prestazione. Rinforzi generici, come le lodi “bravo”, “bene”, disorientano il lavoratore, il quale non comprende quale aspetto del suo comportamento ha effettivamente soddisfatto il suo responsabile. Nell’altro lato della medaglia si è riscontrato che i rinforzi possono avere effetti paradossali, come diminuire la volontà dei lavoratori di impegnarsi in compiti 20 difficili o in attività sfidanti, abbassare l’autostima, o spingere i soggetti a non svolgere attività quando queste non sono oggetto di una valutazione corretta. La lode e la critica, infatti, possono avere effetti inaspettati a causa del loro legame con le attribuzioni di sforzo, dal momento che di solito si tende a percepire lo sforzo e l’abilità come inversamente collegati. 1.2.8 Teoria X e Y McGregor elabora una teoria che in particolare si sofferma sulla responsabilità del management e come essi possano influenzare la motivazione dei collaboratori. Anche Mc Gregor prende spunto dalle teorie di Maslow e riconosce a ciascun individuo il diritto di soddisfare i propri bisogni. Mc Gregor ipotizza l’organizzazione come sistema esterno che deve adeguarsi all’individuo. La sua teoria comprende due stili direzionali in funzione di due diversi modi di intendere l’atteggiamento dell’individuo rispetto al lavoro. La Teoria X si basa sul fatto che le persone non amano il proprio lavoro per cui per cui sono molto poco motivati a raggiungere prestazioni migliori. Per i manager che hanno a che fare con questa categoria di soggetti basano la loro attività su controllo e di punizione più che sullo sviluppo del potenziale individuale. Sempre secondo questa teoria il lavoratore stesso predilige mansioni con poca responsabilità e dà più importanza alla sicurezza piuttosto che alla crescita professionale. La Teoria Y è in contrasto con la Teoria X. Sostiene che, date le opportune condizioni lavorative, il personale possa avere alte prestazioni. La forza lavoro è considerata come l’entità più importante per una organizzazione. Il personale, secondo questa teoria, vuole responsabilità, possono risolvere problematiche in autonomia e con creatività. Quindi un manager deve valorizzare le qualità e le attitudini dell’individuo utilizzando rinforzi positivi come riconoscimenti, deleghe decisionali, aumentando l’autonomia e diminuendo il controllo. 21 Nonostante l’apparenza, McGregor sostiene che le due teorie non si trovino su poli diametralmente opposti. Secondo McGregor per raggiungere la massima efficienza è necessario un impiego di tecniche derivanti da entrambe le teorie. I manager devono agire a seconda delle circostanze e a seconda del tipo di personalità dei dipendenti. 1.3 Motivazione intrinseca ed estrinseca La motivazione può essere suddivisa in motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. Secondo Amabile (1993) gli individui sono motivati intrinsecamente quando ricercano nell’ambiente lavorativo: interesse, soddisfazione, espressione di sé oppure sfida personale. Gli individue sono estrinsecamente motivati quando la motivazione è legata a fattori esterni all’attività lavorativa. Il personale può essere motivato solo intrinsecamente, solo estrinsecamente oppure in entrambi i modi. Il concetto di motivazione intrinseca esprime il desiderio di intraprendere un’attività per la soddisfazione ad essa inerente, anziché per una conseguenza da essa separata (Deci e Ryan, 2008). Una persona intrinsecamente motivata si attiverà dunque verso quelle azioni che stimolano in lui interesse, sfida, piacere e che non lo assoggettano a pressioni esterne. La motivazione intrinseca è dunque auto-determinata. Diversamente, le attività estrinsecamente motivate verranno intraprese perché strumentali all’ottenimento di una ricompensa sotto forma di premio, lode, riconoscimento ma anche approvazione di se stessi. Vroom (1964) sostiene che alcuni individui prediligono fattori estrinseci mentre altri fattori intrinseci e che i fattori motivanti di tipo estrinseco ed intrinseco possano avere effetti diversi a seconda della tipologia dell’individuo. Individui focalizzati sulla motivazione intrinseca prediligono compiti cognitivi sfidanti, il che significa che incentivi economici, obiettivi e scadenze non avranno grande effetto sulla loro motivazione. 22 1.4 La relazione tra motivazione estrinseca ed intrinseca Da quanto sostenuto nel capitolo precedente si è potuto constatare una evidente distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Nonostante ciò, molte ricerche sostengono esista una relazione tra le due tipologie motivazionali. Tra i pionieri, Deci (1972) ritiene che in alcuni casi la motivazione estrinseca possa ridurre la motivazione intrinseca. Osserva che se gli incentivi economici vengono somministrati in maniera contingente si verifica un decremento della motivazione intrinseca. Questo non accade se gli stessi incentivi economici vengono invece somministrati in modo non contingente. Rispetto a queste due componenti, grande interesse è stato posto all’effetto crowding-out (Frey, 2001) ossia alla possibilità che un eccesso di motivazione estrinseca, causi una riduzione della motivazione intrinseca. Ad esempio un aumento di stipendio può causare una diminuzione dell’interesse personale e della volontarietà dell’azione, lasciando inalterato o addirittura facendo decrescere l’impegno sul lavoro. Questa analisi, come già evidenziato da Deci (1972) sostiene la possibilità che il salario entri nella funzione di scelta dell’individuo non più solo come una determinante positiva, ma anche con una componente negativa, intermediata da effetti distorsivi sulle altre motivazioni. Per Amabile (1993) la motivazione estrinseca può decrementare quella intrinseca ma fa notare che in alcuni casi invece potrebbe fare da rinforzo. La combinazione di tutte e due le tipologie di motivazione può portare ad un alto livello della soddisfazione e delle performance. Concludendo, come sostenuto dalle ricerche di Deci (1972), Frey (2001) e Amabile (1993) si può sostenere che la motivazione intrinseca e quella estrinseca si influenzano l’una con l’altra. L’utilizzo di entrambe è auspicabile per raggiungere alti livelli di performance ma in alcuni casi un uso improprio di fattori motivanti estrinseci può portare ad un indebolimento della motivazione intrinseca. 23 2.5 Conclusioni La motivazione nell’ambiente lavorativo è un argomento che ha sempre suscitato molto interesse. Le prime teorie della motivazione si sono focalizzate sui bisogni individuali. Bisogni universalmente presenti negli individui e intesi come spinte innate mettere in campo un determinato comportamento. La prima tassonomia di bisogni applicata al contesto lavorativo è la piramide di Maslow (1943). Maslow individua cinque bisogni fondamentali organizzati gerarchicamente, da quelli fisiologici a quelli di autorealizzazione. La teoria dei fattori igienici-motivanti di Herzberg (1966) distingue tra i bisogni igienici, necessari per ridurre o eliminare l’insoddisfazione e non sufficienti per aumentarla, e i bisogni motivanti, riguardanti la natura stessa del lavoro, nonché le motivazioni dell’uomo ad eseguire tale lavoro. Entrambe le teorie hanno avuto un importante ricadute in ambito organizzativo, evidenziando in particolare come siano i bisogni il principale motore che guidano il personale a mettere in atto determinati comportamenti. Capire come scoprire quali siano questi bisogni è fondamentale per chi gestisce le persone nella scelta degli incentivi. Tuttavia, le teorie basate sui bisogni riconoscono all’uomo un ruolo passivo, il quale agirebbe in modo automatico in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente. Le teorie successive come quelle di Adams (1963) e Vroom (1964) riconoscono l’intenzionalità dell’azione umana nella messa in campo di un comportamento, prendono inoltre in considerazione i valori, gli interessi e i motivi. Adams analizza le percezioni di uguaglianza e disuguaglianza, come esse possano portare i dipendenti ad intraprendere comportamenti allo scopo di ripristinare l’equità. Per Adams gli individui valutano il rapporto degli input e degli output rispetto alla propria attività lavorativa. Per Vroom la motivazione è data dal prodotto della forza dell'aspettativa per la valenza dell’incentivo, che varia per ogni persona e per ogni azione e la sfida dal punto di vista del manager o del datore di lavoro è quella di fare leva su queste variabili. 24 Per Skinner è invece possibile influenzare i comportamenti grazie a degli incentivi: i rinforzi positivi e negativi e le punizioni. Premi e punizioni sono in genere pensati per influire sui comportamenti in modo automatico, senza richiedere processi cognitivi complessi. Si è parlato della distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. La motivazione intrinseca riguarda attività che le persone trovano di per sé interessanti e che promuovono la loro crescita. Più le persone sperimentano la soddisfazione dei bisogni psicologici fondamentali, attraverso determinate attività e comportamenti, più saranno motivate ad applicarsi in tali compiti. Mentre la motivazione estrinseca viene generata da stimoli esterni sono al di fuori del controllo dell’individuo e in questi casi, il soggetto si impegna nell’espletamento di un compito per ottenere benefici o evitare circostanze negative. Si è osservato nell’ultimo paragrafo come la motivazione intrinseca ed estrinseca presentino tra loro una correlazione. 25 CAPITOLO 2 La Performance E’ possibile definire la performance come il contributo che un soggetto, un gruppo oppure una organizzazione portano, attraverso la propria azione, al raggiungimento delle finalità e degli obiettivi. Si deduce come la performance sia orientata alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita. Il suo significato si lega strettamente all'esecuzione di un'azione, ai risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione. Nell’ambito lavorativo si distinguono due tipologie di prestazione, la performance organizzativa e quella individuale. 2.1 Performance organizzativa Esprime il risultato che un'organizzazione consegue ai fini del raggiungimento di determinati obiettivi. Comprende il rapporto tra i risultati effettivi dell’organizzazione e quelli desiderati. Un’organizzazione con alte prestazioni è una organizzazione che raggiunge i suoi scopi, in altre parole l’utilizzo di una strategia efficace. La performance organizzativa è composta dalla performance individuale e da altri fattori quali l’ambiente organizzativo (Otley 1999). 26 In questa tesi non verrà presa in considerazione questo tipo di performance poiché interessa maggiormente la performance individuale della quale ci si occupa a partire dal prossimo capitolo. 2.2 Performance individuale La performance individuale esprime il contributo fornito da un individuo, in termini di risultato e di modalità di raggiungimento degli obiettivi. Una buona performance individuale è necessaria per le organizzazioni poiché il successo organizzativo dipende dall’impegno, dalla innovazione e dalla creatività del personale (Hunter, 1986). Le prestazioni di una persona aumentano in maniera proporzionale alla motivazione. La motivazione di per sé non è però del tutto una condizione sufficiente poiché anche la capacità è una condizione necessaria ai fini del raggiungimento di una buona performance. In generale, è necessario un livello minimo di fattori motivanti e di capacità per dare luogo ad una risultato accettabile. Anche in presenza di una forte spinta motivazionale, non è possibile raggiungere alte performance qualora siano assenti le capacità. Allo stesso modo, non si può fornire un alto rendimento quando sono presenti le competenze adeguate ma manca motivazione per eseguire una determinata attività. Il concetto di performance individuale è spesso legato al concetto di produttività. Sono molti i casi dove la prestazione viene misurata rispetto al numero o la qualità di beni prodotti, indicando il grado di efficacia rispetto al rapporto tra input (costi) e output (obiettivi). La performance individuale è stata studiata anche da un lato meno singolare, nel senso che viene vista come qualcosa di più di un’abilità meramente individuale. Vi è una componente più manageriale della performance (Herzberg, 1959). Ciò implica che bisogna prendere in considerazione anche fattori organizzativi e di distribuzione dei compiti per incrementare le performance del personale. 27 Per Vroom(1964) la performance individuale è basata su fattori soggettivi come la personalità, abilità, conoscenza, competenze ed esperienza. Molti sono i ricercatori che concordano con la teoria di Vroom e che sia possibile suddividerla in queste cinque componenti (Hunter & Hunter 1984). Altri ricercatori come nel caso di Barrick & Mount (1991) sostengono il fattore della personalità come il più importante ai fini della performance. Una linea comune tra gli studiosi nel campo della performance lavorativa è quella per cui il focus non è trovare l’esatto significato di performance ma riguarda capire quali siano gli elementi che la compongono e come sia possibile misurarla. Concludendo, le ricerche di autori come Vroom (1964), Hunter & Hunter (1984), Hunter (1986) convergono sul fatto che la performance individuale è condizionata da cinque caratteristiche riferite ad un soggetto ovvero: personalità, competenze, conoscenza, esperienza e abilità. Un problema più insidioso e ad oggi ancora non esaustivamente risolto è quello della misurazione delle performance che sarà descritto nel capitolo seguente. 2.3 La misura delle prestazioni La capacità di misurare le performance in una organizzazione sono fortemente influenzate dagli obiettivi che vengono determinati prima della misurazione stessa. Avere un sistema di misurazione efficace è cruciale per organizzazione in modo particolare per fornire i feedback che possono dare via ad eventuali azioni correttive o di miglioramento rispetto agli obiettivi. Durante la misurazione delle performance è importante prendere in considerazione che la natura del compito da misurare determina il tipo di misura che verrà utilizzata per misurare le performance. Per rendere efficace una misurazione è necessario stabilire quali siano gli obiettivi da misurare. Questi target devono essere SMART dove S sta per specific, M per 28 measurable, A per attainable, R per realistic e T per time-bounded. E’ inoltre importante che il manager non imponga gli obiettivi, ma che essi vengano accordati con i rispettivi collaboratori. Le ricerche dimostrano una correlazione positiva tra obiettivi che sono stati scelti di comune accordo con una maggiore possibilità di successo prestazione. Nella maggior parte delle organizzazioni la performance viene misurata dalle valutazioni dei manager o dai responsabili di area, questo sistema di valutazione non risulta essere efficace per il fatto di essere altamente di natura soggettiva. La componente discrezionale o soggettiva, è imprescindibile in qualsiasi attività di valutazione fatta dall’uomo. Per questo motivo la componente soggettiva del processo di misurazione deve essere controllata e quanto più possibile contenuta entro margini di accettabilità. Tuttavia non è semplice riuscire ad attuare misure oggettive delle performance individuali, non è ancora stato dimostrato che esistano metodi di misurazione esaustivi della produttività e delle prestazioni. Per potere avvicinarsi ad una misurazione oggettiva si dovrebbe verificare una condizione di stabilità delle performance. Ciò rende ancora più complicato il problema della misurazione poiché la stabilità lavorativa è una condizione che nella realtà non può esistere in modo permanente. Il problema della misurazione delle performance aumenta considerando il fatto che i datori di lavoro abbiano la convinzione sia che possibile eseguire misurazioni delle prestazioni e il più delle volte eseguono misurazioni inefficaci. Barrick & Mount (1991) sostengono che il fattore più importante di influenza delle performance è quello delle caratteristiche di personalità. In questo caso, gli effetti che personalità ed educazione hanno sulle performance è difficile da interpretare e gli strumenti di valutazione che le misurano sono imprecisi e quindi non validi. Breaugh (1981) espone nella sua ricerca che esistono quattro dimensioni diverse della performance individuale che sono: qualità, quantità, dipendenza e conoscenza. Hunter (1986) prende spunto dalle teorie di Vroom (1984) ed dà una 29 spiegazione su come la maggior parte dei manager o supervisori misurano la produttività del personale. Conoscenza del lavoro Valutazione del manager Abilità cognitive Performance individuale Fig. 1 La misura delle performance per Hunter Secondo Hunter l’elemento chiave della performance è l’apprendimento della professione e tale apprendimento dipende dalle abilità cognitive generiche. Detto ciò ci si può rendere conto di come le abilità cognitive siano i predittori chiave della performance individuale. La combinazione di tali abilità insieme alla conoscenza caratterizzano la performance e danno modo al supervisore di compiere una valutazione. Hunter ammette l’estrema semplificazione della sua tesi ma ritiene comunque che sia un metodo oggettivo ed efficace per la misurazione della performance individuale. Il personale con buone abilità ed una minima ma sufficiente esperienza diventano doppiamente produttivi dopo circa due anni e perciò imparare la professione diventa aspetto chiave della performance. Nonostante l’alta oggettività della teoria di Hunter (1986), la tipologia della misurazione resta basata su una valutazione da parte del manager o del supervisore. Si è sopra evidenziato come siano evidenti i problemi della misurazione della prestazione individuale. Comunemente la misurazione avviene per mezzo delle valutazioni lasciate ai manager o ai supervisori e ciò comporta uno svantaggio di 30 non oggettività della misura. Nel prossimo paragrafo si espongono quali possano essere dei metodi alternativi per risolvere il problema della misurazione delle prestazioni. 2.4 Conclusioni La performance nelle organizzazioni può essere suddivisa in performance organizzativa e performance individuale. L’accento è stato posto sulla performance individuale che si lega indissolubilmente al risultato del lavoratore. In generale, come sostiene Vroom (1964), la performance di un individuo si basa su fattori come personalità, competenze, conoscenza, esperienza e abilità. La misurazione delle performance incontra il problema dell’oggettività della misurazione poiché in gran parte delle organizzazioni questo compito è lasciato ai manager. Hunter (1986) propone un modello di misurazione più oggettivo facendo perno su caratteristiche individuali quali le abilità e le conoscenze. Resta evidente comunque come ad oggi non esistano metodi puramente oggettivi per la misurazione delle performance. 31 Capitolo 3 Motivazione individuale e performance In questo capitolo verrà prima definita la relazione tra motivazione individuale e prestazione e successivamente verrà descritto l’impatto della motivazione intrinseca ed estrinseca ai fini della prestazione lavorativa. 3.1 La relazione tra motivazione individuale e performance Negli ultimi cinquant’anni gli psicologi hanno impiegato molte risorse per cercare di rispondere alla domanda se sia possibile dimostrare che esista una relazione tra motivazione e performance. I primi studi risalgono a quelli condotti da Vroom che, pur sostenendo che i due fattori si influenzassero a vicenda, non era comunque riuscito a dimostrarlo scientificamente (Vroom, 1964). Ricerche più recenti, che prendono spunto da quelle di Vroom, evidenziano una base più scientifica a sostegno di questa correlazione. Un concetto che è necessario introdurre negli studi sulla motivazione, performance e la loro relazione, è il fattore della soddisfazione. Fu utilizzato anche da Herzberg (1959) che sostiene che i fattori motivazionali intrinseci concorrono alla soddisfazione dell’individuo. Le ricerche di Hackman e Oldham (1976) sostengono l’esistenza di una relazione circolare tra performance, soddisfazione e motivazione. Proprio la soddisfazione è il principale fattore che alimenta il ciclo e dipende a sua volta dai valori di performance e motivazione. La relazione circolare si autoalimenta fino a che uno dei tre elementi viene a 32 mancare. E’ importante tenere presente che questa teoria si basa solo su fattori intrinseci, per gli autori i fattori estrinseci non portano ad un aumento delle performance. Hackman & Oldham (1976), hanno rilevato delle relazioni significative tra la soddisfazione e il contenuto del lavoro. In generale, infatti, sembra che i lavori complessi siano più soddisfacenti dei lavori ripetitivi, che spesso sono carenti di significato e richiedono abilità inferiori a quelle che il lavoratore percepisce di possedere. Gli stessi autori hanno elaborato il modello delle caratteristiche del lavoro, che individua cinque dimensioni del lavoro che dovrebbero influenzare la soddisfazione e alimentare il ciclo introdotto sopra attraverso un aumento delle prestazioni. Sotto sono esposte le cinque dimensioni: Varietà di abilità: il grado entro il quale siano necessarie abilità e competenze diverse per lo svolgimento di una determinata attività. I dipendenti sperimentano una condizione di maggiore significatività del lavoro quando esso richiede differenti competenze rispetto ad attività elementari o di routine. Identità del compito: riguarda la misura in cui un dipendente sia in grado di iniziare e completare una attività lavorativa. Poter contribuire ottenendo risultati visibili e misurabili. Significato del compito: grado in cui un compito impatta sulla vita degli altri, all’interno dell’organizzazione ma anche all’esterno. Autonomia: grado di libertà, indipendenza e discrezionalità che un individuo ha nell’esecuzione del proprio lavoro. E’ una delle caratteristiche più importanti tra tutte e cinque. Feedback: misura in cui un determinato compito fornisce informazioni sulle prestazioni dei dipendenti Quando un individuo ottiene una tempestiva informazione riguardo alle proprie performance allora può intraprendere eventuali azioni correttive o migliorative. Queste cinque dimensioni impattano su tre diverse condizioni psicologiche le quali possono condurre ad un aumento delle performance del lavoratore. Competenze, soddisfazione legata al contesto e aspetti soggettivi come il bisogno 33 di crescita e di sviluppo professionale fanno da moderatori nella connessione tra le cinque caratteristiche del lavoro, i tre stati psicologici e il risultato lavorativo (Hackman & Oldham, 1975). Sotto sono elencate le tre caratteristiche psicologiche: Significato attribuito al proprio lavoro: cioè il grado in cui il lavoro è visto come qualcosa di importante. Responsabilità esperita sulle conseguenze del lavoro: rispecchia quanto i dipendenti sentono che sono fondamentali per i risultati raggiunti dalla propria unità organizzativa. Conoscenza dei risultati effettivi delle attività lavorative: riguarda la percezione che i dipendenti hanno rispetto a quanto bene o male svolgono il proprio lavoro. Fig. 1 Il modello di Hackman & Oldham Concludendo, in questo paragrafo si è discusso di come la relazione tra motivazione e performance appaia essere di tipo circolare. Un fattore importante 34 in questa relazione è quello della soddisfazione. La prestazione porta a soddisfazione e la soddisfazione aumenta la motivazione individuale. Alta motivazione porterà a sua volta il lavoratore a migliorare la sua prestazione nel futuro. Livelli positivi nei cinque fattori evidenziati da Hackman e Oldham concorrono nell’avvio di questa relazione circolare. Considerando anche altre ricerche nel campo, ai fini di un aumento delle performance, è necessario considerare però anche fattori estrinseci. 3.2 Motivazione intrinseca e performance La motivazione intrinseca è una motivazione indipendente da incentivi esterni, esprime l’autonoma capacità di darsi dei fini anche in modo non strumentale e al di fuori di una logica di scambio. La motivazione intrinseca dipende da una serie di fattori: gli scopi (in parte legati a caratteristiche del compito), la persona, il contesto. Essa può inoltre modificarsi nel tempo, e può venire influenzata da mediatori, come l’esperienza positiva vissuta durante la performance. Le cinque caratteristiche del lavoro introdotte nel paragrafo precedente (Hackman e Oldham, 1976) fanno riferimento a fattori motivazionali intrinseci. La teoria prende spunto dal lavoro di Herzberg che sostiene che solo fattori di tipo intrinseco possano portare ad un aumento della motivazione. Herzberg infatti ignora i fattori estrinseci, che possono portare ad un decremento della motivazione solo quando non presenti. Deci (1972) sostiene che sono due i principali aspetti che concorrono a motivare intrinsecamente il personale. Il primo riguarda la tipologia del lavoro, ovvero occuparsi di compiti ritenuti interessanti. Un compito non interessante per il lavoratore non produrrà questo tipo di motivazione. Il secondo riguarda l’autonomia, ovvero il poter influenzare decisioni riguardo al lavoro svolto. Quando una persona si sente artefice delle proprie scelte (locus of causality) mostra una motivazione intensa, solida e duratura. Secondo Deci (1972) un altro elemento importante è il feedback, con il quale il lavoratore può avere riscontro sulla sua attività e avere indicazioni su come eventualmente porre 35 miglioramenti. Individui che ricevono feedback positivi tendono a migliorare la loro motivazione intrinseca. E’ poi emerso che gli incrementi di motivazione intrinseca e performance sono ancora più marcati quando il feedback è autoamministrato a seguito della natura stessa dell’attività. I feedback negativi provocano invece una diminuzione de senso di competenza del soggetto causando una diminuzione della motivazione intrinseca e della performance. Anche Deci fa riferimento alla teoria delle cinque caratteristiche del lavoro (Hackman e Oldham, 1976), nelle quali è necessario avere alti punteggi per fare in modo di ottenere una alta motivazione intrinseca e di conseguenza un miglioramento delle performance. Come già discusso sopra, la personalità è un fattore che influenza la motivazione. Dalle ricerche Barrick & Mount (1991), la personalità sembra essere correlata al livello di impegno. Seligman (2002) fa riferimento alla motivazione intrinseca distinguendo tre tipi di orientamento lavorativo. L’attività lavorativa si può svolgere come un job, ovvero come una serie di compiti che si eseguono all’esclusivo fine di ricevere in cambio una remunerazione (per lo più motivato estrinsecamente). La si può intraprendere come career, ovvero una certa attività lavorativa non viene svolta per la remunerazione che permette di guadagnare nel presente, quanto per le prospettive che offre nel medio-lungo periodo, in termini di retribuzione, potere e status sociale. Infine, un’attività lavorativa può essere svolta come calling (vocazione), ossia come appassionato impegno a lavorare per il piacere del lavoro stesso. Quando si lavora in questo modo, la retribuzione e il prestigio sociale connessi alla propria occupazione passano in secondo piano: tutta l’attenzione è rivolta al fine che essa promuove, un fine costituito da un bene molto più ampio rispetto a quello strettamente personale. Csikszentmihalyi (1997) definisce questa condizione col termine flow, caratterizzata da un totale coinvolgimento dell'individuo: focalizzazione sull'obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Le condizioni identificate nel flusso coincidono con le condizioni di massima motivazione e prestazione. 36 Concludendo, si è discusso dell’impatto che hanno le cinque caratteristiche del lavoro sulla motivazione intrinseca. Alti valori sulle cinque caratteristiche portano ad un aumento della motivazione che a sua volta incide positivamente sulle performance. Altri due fattori importanti che influenzano la motivazione intrinseca e la prestazione sono la personalità e le abilità del lavoratore. 3.3 Motivazione estrinseca e performance La motivazione estrinseca entra in gioco quando la ragione per svolgere un’attività risiede all’esterno dell’attività stessa. Il comportamento è alimentato dal desiderio di una ricompensa esterna e l’individuo si impegna ad attuare il comportamento per il tempo e con lo sforzo necessari ad ottenere la ricompensa. Si evince che gli incentivi motivazionali vengono ricercati al di fuori dell’attività lavorativa. Secondo Amabile (1993) la motivazione estrinseca non è inerente ai compiti svolti, secondo l’autrice è un meccanismo inteso a controllare le performance. Gli esempi sono quelli degli incentivi economici, bonus, scadenze, controllo. Riprendendo la teoria di Seligman (2002), una persona che è estrinsecamente motivata svolge l’attività lavorativa come un job, ovvero come una serie di compiti che si eseguono all’esclusivo fine di ricevere un incentivo come remunerazione o bonus. Si lavora per essere remunerati. Amabile (1993) ha evidenziato nelle sue ricerche, che ricompensare direttamente l’ideazione creativa tende, ben presto, ad inibirla e, in alcune circostanze, giunge perfino ad estinguerla completamente. La persona, infatti, tende a spostare la propria attenzione e le proprie energie dal compito alla ricompensa riducendo drasticamente le performance. Sono state eseguite molte ricerche che sostengono che gli incentivi esterni possano portare ad un aumento della motivazione. Tuttavia vi sono altrettante ricerche che dimostrano come la motivazione di tipo estrinseco possa danneggiare 37 quella intrinseca. Un noto studio di Lepper, Green & Nisbett (1973) fatto in questo caso su bambini ha dimostrato come l’introduzione di un incentivo esterno durante l’esecuzione di un’attività che era già di per sé interessante possa far decrementare questo interesse intrinseco. Quindi, se non più estrinsecamente incentivati i soggetti rinunciano ad eseguire l’attività. Deci & Ryan (1972) i quali hanno dimostrato che se eventuali remunerazioni non vengono presentate con una certa continuità si assiste ad una riduzione della motivazione intrinseca dell’attività per la quale si riceve la remunerazione. La ricompensa monetaria sposta il locus della causalità percepito dall’interno verso l’esterno e provoca un calo della motivazione intrinseca dell’individuo. I ricercatori distinguono fra due tipi di ricompensa: contingente e non contingente. Per meglio chiarire i due concetti possiamo dire che lo stipendio di fine mese è una ricompensa non contingente al compito mentre i premi di produzione sono una ricompensa contingente. Tra le ricompense contingenti Deci & Ryan (1972) si occupano di quelle contingenti al compito e quelle contingenti alla prestazione. Le ricompense contingenti alla prestazione si differenziano da quelle legate al compito perché si focalizzano sulla qualità della prestazione offerta e non solo sulla sua esecuzione. Implicano quindi un certo riconoscimento implicito di competenza e non solo di efficienza. In generale le ricompense legate alla prestazione mostrano, se applicate, un miglioramento delle performance. Si può concludere che fattori motivazionali estrinseci, come l’aumento dello stipendio, i bonus e la sicurezza lavorativa, possano, soprattutto nel breve termine avere effetto sull’incremento delle performance (Amabile, 1993). Manager e datori di lavoro devono comunque prestare attenzioni all’utilizzo di questi incentivi poiché, come evidenziato sopra, possono decrementare la motivazione intrinseca e avere effetti negativi sulle performance (Deci & Ryan 1972). 38 3.4 Conclusioni Per trovare riscontri sulla correlazione tra motivazione individuale e performance bisogna fare riferimento alle più recenti ricerche nel campo. La ricerca di Hackman & Oldham introduce il concetto di un ciclo di performance che si autoalimenta. In questo ciclo oltre a motivazione e performance troviamo la soddisfazione lavorativa. Il personale raggiunge una alta performance grazie alle proprie abilità e a determinate caratteristiche lavorative. E’ proprio dalle performance ottenute che il lavoratore trae soddisfazione, e tale soddisfazione lo porterà a essere motivato nel futuro. Livelli positivi nei cinque fattori evidenziati da Hackman e Oldham concorrono nell’avvio di questa relazione circolare. I cinque fattori sono: varietà di abilità, identità del compito, significato del compito, autonomia e feedback. Alti punteggi su questi cinque fattori implicano una più alta motivazione e performance. Si sostiene inoltre come sia possibile motivare in modo estrinseco ai fini di migliorare la performance. Fattori come stipendio, bonus, sicurezza lavorativa e supervisione possono contribuire alla soddisfazione lavorativa e in questo modo alimentare motivazione e prestazione. Nello scenario lavorativo si riscontra che le organizzazioni che motivano solo estrinsecamente sono molto maggiori in numero rispetto alle aziende che utilizzano incentivi motivazionali solo di tipo implicito. Nella maggior parte dei casi di successo le organizzazioni tendono ad utilizzare un mix di tecniche per motivare il personale sia intrinsecamente che estrinsecamente. Si è discusso inoltre di come delle ricerche sostengano che fattori estrinseci non portino ad un aumento delle performance e di come ci siano casistiche nelle quali un aumento di fattori estrinseci possa portare ad un netto decremento della motivazione intrinseca. 39 Capitolo 4 Strategie per motivare il personale e aumentare le performance 4.1 Promuovere i fattori incentivanti Sembra che l’incentivo economico sia tra le principali e le più influenti forme di incentivo, capace di mantenere un individuo motivato verso il raggiungimento di alte performance. C’è da tenere presente che l’incentivo economico è anche un mezzo che permette al lavoratore di soddisfare altre tipologie di bisogni oltre a quello puramente ti tipo economico. Ecco perché ha un importante impatto nel promuovere maggior impegno nei dipendenti. Però, come già discusso nei capitoli precedenti, ricerche hanno dimostrato che nel lungo periodo l’incentivo economico non produce un aumento delle performance (Amabile, 1993. Whitley, 2002) . Inoltre, focalizzarsi solo sugli incentivi economici può ridurre la motivazione intrinseca degli individui e produrre un calo delle prestazioni (Deci, 1972). Ci sono altri fattori di tipo non economico che possono influenzare positivamente motivazione e performance. Tra questi i benefit non strettamente economici troviamo autonomia, elasticità dell’orario lavorativo, assistenza medica, riconoscimento sociale e il feedback rispetto alla performance. Sono molte le ricerche che sostengono che il riconoscimento porta alla soddisfazione lavorativa la quale, a sua volta, induce ad un aumento delle performance. Tuttavia, la maggior parte delle organizzazioni utilizza incentivi economici, promozioni, 40 bonus ecc. per motivare i propri dipendenti e favorire un incremento delle prestazioni. Un altro fattore importante è quello della leadership, dal momento che la leadership è focalizzata sul raggiungimento degli obiettivi. Per ottenere questa finalità è importante costruire relazioni basate sulla fiducia, e per ottenere fiducia dai propri collaboratori è necessario che essi vengano motivati (Latham, 2012). La fiducia è una base importante per incoraggiare lo sviluppo di un altro fattore importante che è la comunicazione tra i colleghi di lavoro. Perciò, sviluppare e implementare programmi di training del personale è una strategia necessaria per favorire la motivazione. Secondo Bacal (2004), la priorità del management è quella di individuare e mettere in esecuzione un ampio numero di strategie che possano soddisfare i bisogni dei dipendenti e nello stesso tempo i valori dell’organizzazione. Infatti organizzazione e personale dipendono l’un l’altro nel processo di realizzazione di delle proprie aspettative. Il management deve sapere raccogliere e valutare attentamente le indicazioni che vengono dal basso della gerarchia per potere mettere in azione strategie che portano alla soddisfazione dei loro bisogni. I bisogni, come esposto sopra nel capitolo delle teorie motivazionali, sono eterogenei e per ogni individuo possono avere importanza e priorità diverse. Essi includono bisogni fisiologici, di sicurezza e successo (Vroom, 1990). Focalizzandosi sul personale ad ogni livello e ruolo nell’organizzazione porta ad una migliore rilevazione delle loro preoccupazioni e i loro bisogni, ciò fornisce soluzioni più rapide per affrontare eventuali problematiche (Yeo, 2003). L’incentivo economico è un mezzo influente e diffuso per indurre aumento di motivazione e come già discusso la sua importanza è dovuta anche fatto che una somma di denaro può essere utilizzata per soddisfare desideri di genere diverso. Ecco perché gli incentivi economici possiedono questa forza nel potenziare l’impegno del personale. Per Fisher (2005) l’incentivo economico è considerate il motivatore chiave delle organizzazioni. Contrariamente altri studi sostengono che, nel lungo termine, non porta verso un aumento delle performance. Inoltre, sempre nel lungo termine, gli individui si demotivano a livello implicito poiché tenderanno a lavorare solo per il fatto di ottenere l’incentivo economico. In ogni 41 caso tra i fattori principali che inducono all’aumento di motivazione e performance l’incentivo economico non è l’unico, ci sono anche una serie di incentivi non di tipo economico come ricompense non monetarie, riconoscimento sociale e feedback sulla prestazione che sono ottimi motivatori nel mondo aziendale (Latham, 2012) Negli ambienti lavorativi dove il lavoro è monotono e con pochi stimoli i lavoratori si annoiano facilmente e manifestano malessere a causa di questa condizione lavorativa. Permettere al personale di lavorare in team aumenta competenza, motivazione e flessibilità dei soggetti. Ciò permette di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi richiesti dal cliente. Un altro aspetto è il coinvolgimento nelle decisioni operative e di processo. Se il personale viene coinvolto si crea un sentimento di devozione del dipendente verso l’organizzazione insieme a quello di entusiasmo verso un miglioramento delle prestazioni (Ford, 2005). Si assiste inoltre ad una diminuzione dell’assenteismo dal momento che i dipendenti sono più fedeli al proprio lavoro e non hanno intenzione di mettere in difficoltà il team di lavoro (Fisher, 2005). Aiutare i dipendenti a sviluppare sicurezza nelle proprie capacità è un altro punto fondamentale. L’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha sulle proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione. Il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati (Bandura, 2000). Sviluppare negli individui alta sicurezza di sé è considerato uno degli obiettivi più importanti ai fini di favorire un aumento della motivazione e della performance. E’ fondamentale che i dipendenti abbiano la consapevolezza di avere le capacità di portare a termine una determinata attività lavorativa. E’ quindi compito dell’organizzazione assicurarsi che il personale lavori con questa consapevolezza. Secondo Bandura (2000) è importante acquisire sicurezza di sé non in via generale ma rispetto alle attività da svolgere nello specifico e questa specificità ha un effetto maggiore sulla motivazione lavorativa. Ad esempio se l’autoefficacia è bassa la persona ritiene che le proprie azioni raramente ottengano i risultati desiderati. Chiaramente una persona con bassa autoefficacia sarà portata a scegliere obiettivi più limitati e a impegnarsi di meno per raggiungerli e, a parità 42 di complessità del compito, proverà maggiore stress. I livelli di autoefficacia influenzano le prestazioni in ambito scolastico, sociale, nelle abitudini rilevanti per la salute, nelle prestazioni lavorative. Nell’ambito della motivazione e performance in campo lavorativo l’impatto delle emozioni viene spesso ignorato. Emozioni positive come felicità, buon umore, gioia migliorano l’impegno e le prestazioni lavorative mentre emozioni come frustrazione, rabbia influiscono le scoraggiano. Dipendenti frustrati o depressi focalizzano la loro attenzione su eventi negativi del passato e non sugli obiettivi imminenti. Riuscire a modificare le emozioni del personale non è tuttavia compito facile e ci sono idee e teorie diverse su come poterlo fare. Le emozioni non sono sempre basate su eventi particolari, sono influenzate da fattori legati alla personalità, biologici ecc. Gordon Bower (1995) ha condotto una ricerca riguardo all’impatto del buon umore sulle performance lavorative. L’autore fornisce alcune linee guida per favorire emozioni positive e contribuire alla costruzione di un clima positivo. Coinvolgere il personale nelle decisioni su come personalizzare il proprio ambiente lavorativo e dare loro la possibilità di personalizzarlo. Permettere ai dipendenti di ascoltare musica privatamente mentre lavorano se questo non interferisce sulla loro efficienza lavorativa. Eliminare regole e politiche che impattano negativamente sul buon clima lavorativo a meno che non producano benefici maggiori dell’impatto negative che causano. E’ buona norma chiedere ai dipendenti quali regole o politiche, se tolte, migliorerebbero il clima lavorativo. Invitare tutto il personale, compresa la dirigenza, a manifestare più entusiasmo, supporto e ottimismo. Nelle organizzazioni (e non solo) anche il feedback è un mezzo utile per aumentare le performance, in particolare il feedback a 360° nel quale il soggetto confronta la sua percezione soggettiva della performance con le informazioni, generalmente anonime, fornite da manager, colleghi di livello diverso circa alcuni comportamenti specifici. In questo processo chiamato anche feedback a circolo completo, possono venire coinvolti anche soggetti esterni all’organizzazione. 43 Dalle ricerche eseguite da (Frone, 2008) si dimostra che è più probabile che si ottengano miglioramenti quando il feedback indica che un cambiamento è necessario. In questo modo si verifica una ricezione positiva del feedback e viene meglio percepita la necessità di modificare il proprio comportamento. Ciò si traduce con un miglioramento delle capacità e dalla performance. Secondo (Wright, 2009) la fiducia è alla base dell’utilizzo di questa forma di feedback e un modo per aumentare la fiducia è quello di utilizzare il feedback in modo confidenziale e al fine di fare crescere l’azienda. Vengono scoraggiati i collegamenti tra feedback e decisione che concernono aumenti retributivi e promozioni. Per utilizzare al meglio un feedback di questo tipo è auspicabile tenere presente concentrare il feedback sulla performance e non sulla personalità e incanalarlo verso aree importanti per l’organizzazione. Altro aspetto importante è collegare il feedback ad aspettative ben definite di miglioramento. 4.2 Arginare i fattori disincentivanti Per un manager è importante sapere quali sono gli elementi che possono portare ad un decremento delle prestazioni lavorative. Gli elementi che verranno descritti sotto sono presenti nella quotidianità di molte organizzazioni. Attivarsi per diminuire o addirittura estirpare questi fattori disincentivanti favorirebbe un aumento della motivazione e performance del personale. Percezioni di ingiustizia e disonestà da parte dell’organizzazione appartengono a reazioni soggettive diverse, la percezione di uno dei due fattori scritti appena sopra porta a conseguenze negative sulla motivazione, quindi sui comportamenti e sulla prestazione delle persone. Le percezioni di disonestà portano i dipendenti a reagire e comportarsi nello stesso modo di chi le produce (Bandura, 2000). Questo suggerisce all’azienda la necessità di impostare politiche di gestione del personale che rientrano nella valutazione dello scambio, dove vengano coltivate trasparenza, 44 chiarezza e condivisione nei confronti dei dipendenti. Trasparenza e condivisione anche su quali sono le attese dell’azienda nei confronti dei dipendenti, di come sono valutate le prestazioni, di quali sono gli elementi che concorrono a determinare i passaggi di livello e variazioni retributive. Le percezioni e valutazioni soggettive dell’individuo meritano sempre di essere indagate, sia nell’ambito delle relazioni quotidiane tra manager e collaboratori, sia in momenti dedicati appositamente. Questi momenti sono importanti per far emergere quei vissuti e quei disagi che, non intercettati e non gestiti, possono condurre a pericolosi cali di motivazione e rendimento del personale. Un altro punto negativo sono gli obiettivi non chiari, non raggiungibili e costantemente in cambiamento. L’assenza di una visione chiara degli obiettivi può portare il personale ad assumere che i propri obiettivi, e quindi il loro lavoro, non abbia benefici per l’organizzazione. Senza una chiara definizione degli obiettivi e senza feedback sulle prestazioni i dipendenti non si impegneranno ma piuttosto saranno inclini a non dare il meglio di se stessi (Latham, 2012). Per aumentare motivazione e prestazioni è necessario che il manager definisca obiettivi tenendo presente tre caratteristiche: sfidante (ma non impossibile), concreto (capibile e misurabile) e che abbia una scadenza non troppo protesa nel futuro (Latham, 2012). Nelle organizzazioni spesso non ci si pone la domanda se alcune politiche e regole siano ancora necessarie. Il fatto che queste politiche siano sempre esistite, in un certo senso ne giustifica la messa in atto. Sono molti gli studi che dimostrano che le regole e politiche non più necessarie danneggiano la motivazione lavorativa (Spitzer, 1995). E’ bene che il management si interroghi sugli effettivi benefici delle proibizioni e se ci potrebbero essere dei benefici se tali regole fossero eliminate. Questa è una delle azioni che, con minimo investimento, possono portare ad un veloce aumento delle performance e della motivazione. Una sana competizione tra colleghi può che essere un esperienza motivante per alcune persone. Ne sono esempio i venditori di molte aziende del mondo occidentale che fanno gara su chi vende di più. Tuttavia è da tenere presente che una costante e intensa rivalità può attivare un livello distruttivo di competizione interna che sposterebbe attenzione ed energie lontano dagli obiettivi di business. 45 La competizione porta a dover sopportare un grande stato di stress che molte volte porta a rovinare sia la carriera propria che quella degli altri. Nel mondo del lavoro di oggi lavorare in team è meglio che lavorare soli e l’appoggio di un collega può essere fondamentale per crescere nel proprio lavoro. Un lavoratore competitivo tende a isolarsi e di conseguenza allontanare da se tutti i colleghi. Per non parlare dei molteplici conflitti che nascono per questo problema, le aziende hanno infatti capito che la competitività può portare ad un abbassamento della produttività. Per questo è fondamentale analizzare le capacità di ogni individuo per creare così un team di lavoro equilibrato, distribuendo inoltre ad ognuno compiti ed obbiettivi distinti. 4.3 Il caso Google Nello scenario odierno, l’obiettivo principale di ogni organizzazione è quello di massimizzare i profitti. Diventa importante attirare e fidelizzare i talenti, motivarli allo scopo di aumentare le loro performance individuali. Come già descritto sopra, le performance individuali sono correlate alla performance aziendale, quindi è chiaro che un aumento delle performance del personale porta un importante beneficio nell’organizzazione. Google, Inc. è stata classificata nei primi posti delle migliori aziende per le quali lavorare, posizionandosi per ben sette volte su dieci al primo posto. Google, sin dagli albori, circa alla metà degli anni novanta, si è basata sul principio che per attirare i talenti migliori era necessario offrire un ambiente lavorativo dove il personale potesse divertirsi, realizzare i propri sogni ed essere ricompensato per il duro lavoro. (Lashinsky, 2012) Google si assicura di elargire benefit innovativi, flessibilità, di dare al personale la possibilità di provare a realizzare le loro idee. Il CEO Erin Schmitt si basa sul principio fun is good e sostiene che l’idea di fondo è che il lavoro deve essere sfidante e che la sfida deve essere divertente. Sempre secondo il CEO di Google, è 46 necessario rendersi consapevoli dei diversi bisogni che possono avere i singoli impiegati, questa diversità richiede flessibilità da parte dell’organizzazione. La priorità è quella di offrire programmi customizzabili, specifici per i bisogni di ogni singolo individuo. Google, Inc. si basa sia su fattori intrinseci che estrinseci per aumentare la motivazione dei dipendenti. Insieme ai benefici estrinseci più tradizionali come i costi sanitari e dentistici gratuiti, conti bancari flessibili, assicurazione e pacchetti vacanza, pasti gratis ogni giorno, si aggiunge anche una maternità fino a 18 settimane di riposo a quasi il 100% di paga. Inoltre, le nuove madri e padri ottengono benefits riguardanti i pasti portati a domicilio durante i primi tre mesi dopo la nascita del figlio. Inoltre, Google, Inc. fornisce benefit per la cura dei bambini. Con il programma assistenza adozione, Google, Inc. assiste i propri dipendenti offrendo assistenza finanziaria nel caso di adozione di un bambino. Nella sede di Google in California i dipendenti hanno la possibilità di fare visite mediche in loco. E’ possibile fare in loco il cambio olio, lavaggio auto, lavaggio a secco, fare massaggi, allenarsi in palestra, usufruire di un parrucchiere, partecipare a lezioni di fitness e far riparare la bicicletta. (Google, 2009). Google, Inc. riconosce che questi agenti motivazionali di tipo estrinseco sono importanti ma non sono sufficienti a motivare il dipendente e che questi vantaggi non sono le principali leve che attirano e fidelizzano i dipendenti. Il punto di forza di Google, Inc. sta in quelle che chiamano ricompense intrinseche. Tra colleghi non esistono gerarchie, la struttura è piatta per massimizzare la creatività. Nemmeno il flusso dell’informazione è strutturato, non ci sono canali ufficiali. Questo permette alle idee di fluire e crescere all’interno dei gruppi. In questa struttura senza gerarchie si ha la possibilità di organizzarsi in gruppi ma senza avere l’obbligo di doverci rimanere per forza. I dipendenti possono scegliere con che gruppi lavorare. Un altro vantaggio, piuttosto insolito, è che l’organizzazione consente ai dipendenti di impiegare ben il venti per cento del loro tempo per lavorare sui propri progetti, indipendentemente dal loro gruppo di lavoro. E’ stato dimostrato che questo opportunità che si lascia ai dipendenti si traduce in oltre il venti per 47 cento di lanci di nuovi prodotti derivanti da tali progetti personali. Il fatto che il dipendente senta la libertà di esplorare è uno dei maggiori vantaggi che lo mantiene entusiasta e motivato. Altro fattore motivante di tipo intrinseco è l’estrema flessibilità dell’orario lavorativo insieme ad un ambiente lavorativo che è reso il più rilassante possibile. Un ambiente rilassato e divertente per Google, Inc. fornisce un beneficio psicologico e incoraggia i dipendenti ad essere più impegnati, più creativi e più produttivi. (Google, 2016). 4.4 Conclusioni In questo capitolo sono stati esposti alcuni importanti fattori sui quali puntare, e sui quali non puntare, per promuovere motivazione e aumento delle performance in un organizzazione. E’ vero che l’incentivo economico è una tra le principali strumenti per favorire la motivazione ma c’è da tenere presente che l’incentivo economico è anche un mezzo che permette al lavoratore di soddisfare altre tipologie di bisogni oltre a quello puramente ti tipo economico. E’ bene per un manager considerare altri fattori di tipo non economico che possono influenzare positivamente motivazione e performance. Questi fattori non implicano necessariamente un impiego di risorse finanziare ma possono tradursi con azioni frutto di strategie messe in atto dal management. Lavorare sul senso di autoefficacia dei dipendenti, definire obiettivi smart e dare feedback che includano rinforzi positivi è un primo passo per portare cambiamenti verso un aumento delle prestazioni del personale. Lavorare in modo efficace su questi aspetti significa anche sapere indagare e conoscere bisogni e aspettative dei dipendenti. Per quanto riguarda questioni di più ampio raggio, che riguardano anche l’organizzazione, è auspicabile intraprendere azioni per migliorare la comunicazione e il clima aziendale. 48 Capitolo 5 Conclusioni In questa tesi si è indagato sulla motivazione, sulla performance e sulla relazione tra motivazione e performance. Si è approfondito il concetto di motivazione intrinseca ed estrinseca e si è esposto come entrambe le tipologie motivazionali possano portare, sebbene in modo diverso, ad un miglioramento della prestazione. La maggior parte delle organizzazioni di successo tende a motivare i dipendenti sia utilizzando fattori intrinseci che estrinseci. Dalle ricerche prese in considerazione si evince che la motivazione intrinseca contribuisca maggiormente, rispetto a quella estrinseca, ad un aumento della prestazione e che per motivare intrinsecamente sia auspicabile raggiungere alti punteggi in cinque fattori legati all’attività lavorativa: varietà di abilità, identità del compito, significato del compito, autonomia e feedback. Per quanto riguarda la motivazione esplicita è importante curare gli incentivi economici, i bonus, il controllo e la sicurezza. Bisogna tenere però presente che fare leva sulla motivazione per incrementare la prestazione potrebbe non bastare. Vi sono altri fattori, come la leadership per esempio, che possono portare ad un aumento o ad una diminuzione delle performance. Tuttavia in generale è possibile sostenere che, lavorare su fattori motivazionali intrinseci può fortemente contribuire ad un aumento della prestazione. Per quanto riguarda le ricerche prese in considerazione in questa tesi, alcune teorie sono contradditorie e le conclusioni quasi opposte. Per esempio alcune ricerche 49 sostengono che la motivazione estrinseca contribuisce ad un aumento delle performance mentre altre sostengono l’opposto. Lo stipendio per alcuni ricercatori è uno dei migliori incentivi per aumentare la motivazione mentre altri dimostrano che lo stipendio non produce aumento della motivazione ma risulta essere elemento neutrale. Molti leader, in particolare nelle aziende, commettono l’errore di considerare il denaro come la prima esigenza per la motivazione. Certamente, tutti desidererebbero guadagnare di più, tanto che, con l’aumentare del reddito, aumentano anche le pretese in una rincorsa che non ha mai fine. Uno stipendio elevato è importante perché assicura i mezzi necessari per vivere e stimola, quindi, a lavorare. Inoltre, la retribuzione svolge un compito di comunicazione, verso l’esterno, della propria posizione nella scala gerarchica sociale, oltre al fatto che un suo aumento conferma il successo professionale. Tuttavia, l’importanza del denaro come fattore motivazionale è stata sopravvalutata. Quando il reddito è abbastanza elevato da permettere di soddisfare i bisogni quotidiani e risparmiare qualcosa, un ulteriore aumento di stipendio non spinge a lavorare di più. Ciò che stimola realmente all’impegno, non è il denaro, ma il benessere psicologico e sociale dell’individuo. E’ importante sottolineare, però, che dalla consistenza della retribuzione si misura anche lo status all’interno della gerarchia aziendale. Tutti, infatti, confrontano i propri introiti con quelli percepiti dagli altri, ritenendo, spesso, di essere sottoretribuiti. Mettendosi nei panni dei manager è auspicabile curare entrambi le motivazioni sia di tipo intrinseco che estrinseco. Infatti, fattori di tipo intrinseco si correlano in modo robusto ad un aumento della motivazione, mentre quelli di tipo estrinseco possono portare ad insoddisfazione se mancanti. Una strategia che contempli un mix di incentivi rispetto alle due tipologie di motivazione sembra essere ad oggi una strategia vincente. Ne sono esempio le maggiori società di successo nel panorama internazionale. E’ bene che i manager tengano anche presente che questo mix di tecniche di incentivazione deve essere pensato tenendo conto che gli incentivi di tipo estrinseco possono portare ad una diminuzione della motivazione intrinseca. Non è un lavoro facile motivare il personale, ci sono molti altri fattori da tenere presente come quello dell’orientamento motivazionale degli individui che è 50 correlato alla personalità. Alcuni soggetti raggiungono migliori performance per mezzo di incentivi intrinseci (o estrinseci) rispetto ad altri soggetti. In generale si può dire che la performance è influenzata da fattori individuali come la personalità, le abilità, la conoscenza, l’esperienza e le competenze. Sono tutte variabili che i manager devono tenere in considerazione per motivare i loro collaboratori. Un’ulteriore difficoltà è relativa alla misurazione delle performance che nella maggior parte delle organizzazione è eseguita dai manager. Si è evidenziato come, ad oggi, non esistano metodologie di misurazione puramente oggettive. Infine, dalla lettura di questa tesi è possibile dedurre quanto sia fondamentale considerare il valore che il singolo associa ad una determinata ricompensa, sia materiale che non materiale. Per alcuni, infatti, un premio può essere visto in maniera diversa rispetto ad altri. Per questo motivo, è necessario porre sempre la massima attenzione alle esigenze degli individui e a ciò che esprimono, in modo da sapere quali azioni mettere in campo. 51 Bibliografia Adams, J. S. (1969). 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