Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Tutti, almeno una volta nella vita, prima di un appuntamento importante abbiamo pensato “Sono un
disastro, non ce la farò”. Ma che succede se a pensarlo si è in due, e scocca l'attrazione? Da un regista
che finora aveva praticato solo un cinema drammatico e realistico, una favola liberatoria.
scheda tecnica
durata:
80 MINUTI
nazionalità:
BELGIO
anno:
2010
regia:
JEAN-PIERRE AMÉRIS
sceneggiatura:
JEAN-PIERRE AMÉRIS, PHILIPPE BLASBAND
fotografia:
GÉRARD SIMON
montaggio:
PHILIPPE BOURGUEIL
colonna sonora:
PIERRE ADENOT
distribuzione:
LUCKY RED
interpreti:
BENOÎT POELVOORDE (Jean-René Van Den Hugde), ISABELLE CARRÉ
(Angélique Delange), LORELLA CRAVOTTA (Magda), LISE LAMÉTRIE (Suzanne), SWANN ARLAUD
(Antoine), PIERRE NINEY (Ludo), STÉPHAN WOJTOWICZ (Lo psicologo).
Jean-Pierre Améris
Nato il 26 luglio 1961 a Lione, è un regista francese. Prima di Emotivi anonimi, la sua carriera registica
è stata costellata da film drammatici o commedie dai risvolti più che seri. Diplomato all'Institut des
hautes études cinématographiques, nel 1992 mette in scena il suo primo lungometraggio, Le bateau de
mariage, storia di un istitutore nel periodo dell'occupazione tedesca. In seguito, alterna film di fiction a
documentari. Nel 1996 ottiene numerosi riconoscimenti al Festival di Cannes per il film Les Aveux de
l'innocent., vicenda drammatica di un giovane che pur di sfuggire alla miseria e alla criminalità si fa
rinchiudere in prigione, autoaccusandosi di un omicidio che non ha commesso. Nel 1999 ottiene un
riconoscimento al Festival di San Sebastián con Mauvaises fréquentations, la storia di un'adolescente
che nell'amore trova la gioia di vivere, ma anche un abisso da cui è difficile uscire. Con il successivo
C'est la vie si concentra sulla storia d'amore tra una malato terminale e una volontaria che lo assiste.
Poids léger (2003) racconta invece di un giovane pugile dalle tendenze distruttrici. Con Je m'appelle
Elisabeth (2006), narra la difficile crescita di Betty, una bambina che ha paura del buio e dei fantasmi.
Dopo la partenza della sorella, Betty rimane da sola insieme ai genitori in piena crisi matrimoniale, ma
l'amicizia con Yvon cambia la sua giovane esistenza.
la parola ai protagonisti
Intervista a Jean-Pierre Améris
Il film contiene elementi autobiografici? E come mai hai scelto una chiave così ironica?
Il film è molto autobiografico, io stesso ho frequentato, a partire da dieci anni fa e per due anni, gli
Emotivi Anonimi. Ho appreso dell'esistenza di questo gruppo da un giornale, e sono quasi certo che
esista anche in Italia. Funziona secondo lo stesso principio degli Alcolisti Anonimi, o dei gruppi dedicati
ai sex-addicted, o dei Debitori Anonimi: serve ad aiutare chi partecipa ad uscire da questa difficoltà.
Dieci anni fa la mia timidezza, la mia angoscia stavano diventando un vero e proprio handicap per me:
rifiutavo gli inviti a cena, addirittura ai festival avevo grosse difficoltà a partecipare ai cocktail perché,
vista la mia altezza, sarei stato immediatamente notato. Ovviamente quando ho iniziato a frequentare il
gruppo non immaginavo certo che ne avrei realizzato un film. Ma la cosa che più mi ha commosso di
quell'esperienza è che a frequentare gli Emotivi Anonimi sono persone di ogni età, di ogni estrazione
sociale: ad esempio ci sono tantissimi uomini d'affari, che immaginiamo sicuri di loro stessi, abituati al
comando, che invece hanno grandissime difficoltà a parlare in pubblico, e che quando lo devono fare si
inventano ogni genere di scusa per evitarlo. Ho visto anche tante belle ragazze che dicevano di avere
una vita sentimentale disastrosa perché agli appuntamenti arrossivano per niente, finivano per dire le
cose più stupide e inappropriate. La cosa bella è stata proprio scoprire questi aspetti comuni, sapere
che non si è i soli a soffrire di questa ansia, ma che al contrario siamo in tanti a temere lo sguardo
altrui. E su questo si rideva insieme: non l'uno dell'altro, ma tutti insieme si ironizzava, raccontandosi
cosa si era disposti a fare pur di cavarsi d'impaccio. Ridere insieme era molto utile. E' per questo che,
fin dal 2006, ho sempre immaginato questo film come una commedia, perché trovo che la risata sia la
migliore terapia.
Come ti è venuta l'idea di avere due cioccolatai come protagonisti?
E' stata un'idea dello sceneggiatore. In realtà quasi tutta la sceneggiatura è stata scritta in una sala da
tè, piena di pasticcini e cioccolatini, in Belgio, suo Paese d'origine, e quindi è stato il mestiere che ci è
venuto in mente fin da subito. Abbiamo ragionato molto su quale dovesse essere il lavoro dei
protagonisti, e io non volevo, a differenza che nei miei film precedenti, fare qualcosa di troppo realistico:
i protagonisti vivono in un universo a parte, e se è vero che molte delle persone che ho incontrato agli
Emotivi Anonimi erano insegnanti o impiegati di banca, insomma persone che dovevano avere a che
fare con un pubblico e dovevano per forza di cose nascondere la loro timidezza, volevo anche
rappresentare un universo più allegro, qualcosa di meno ancorato alla realtà. Il cioccolato è un mondo
a parte, è un piacere, è sensualità, è qualcosa che si deve condividere, e soprattutto per Angélique il
cioccolato rappresenta quello che rappresenta il cinema per me, fin dall'adolescenza, ovvero il mezzo
per esprimersi e per superare le proprie paure. E poi, è solo quando c'è passione che si va davvero
verso gli altri.
In Italia sono usciti due film, Lezioni di cioccolato e Lezioni di cioccolato 2, in cui il product placement
aveva un ruolo importante. Nel tuo film invece non si vede nessun marchio: è stata una scelta sofferta?
Probabilmente il produttore sarebbe stato ben lieto se qualcuno ci avesse sponsorizzato, perché
sarebbe equivalso a guadagnare più soldi, ma devo dire che non ho mai discusso questo argomento. Il
punto è proprio avere a che fare con una fabbrica piccola, di dimensione artigianale. Io per natura sono
sempre vicino ai più piccoli, non ho niente a che fare con il glamour, e quindi la cioccolateria di JeanRené non poteva somigliare ai laboratori d'oggi, molto più asettici. Quel posto riflette la personalità del
proprio padrone, perché quando si soffre di ansia si tende a lasciare le cose come stanno, non certo a
cambiarle.
Questo film può essere visto come una grande terapia di gruppo?
Io avevo veramente voglia di fare un film che fosse in grado di aiutare chi lo avesse visto. Dopo l'uscita
del film ho ricevuto molte lettere in cui mi si ringraziava perché il mio lavoro aveva aiutato qualcuno a
superare le proprie paure, e soprattutto il proprio senso di colpa: molte persone afflitte da questo
problema infatti lo nascondono, si vergognano a parlarne, e sapere che qualcuno ha avuto il coraggio
di dichiararlo mi fa molto felice. La cosa brutta dell'ansia è che ti impedisce di vivere, di prendere dei
rischi; molti si lamentano dei propri rimpianti, di quello che non hanno fatto per mancanza di fiducia:
spesso si tratta di un amore, ma potrebbe essere anche il sogno di fare i cioccolatai. La cosa triste,
insomma, è che non riescano a vivere la vita che vorrebbero. Anche perché il mondo di oggi è
ossessionato dalla prestazione, abbiamo dei modelli basati sul successo, bisogna sempre essere i
primi nel lavoro, nell'amore, nel sesso, e ovviamente la reazione di molti è quella di pensare "non ce la
farò mai". Un tempo credevo di essere l'unico a temere certe situazioni:odio quando qualcuno sale in
ascensore con me, e se sento qualcuno salire per le scale aspetto a scendere finché non è andato
oltre. Un altro grande problema sono i negozi, specialmente di vestiti: essendo così alto, ho anche
difficoltà nelle taglie, e finisco sempre per comprare in fretta, un po' a caso, pur di mettere fine a quella
pena. Ma siamo in tanti ad avere questa angoscia, così come quella di andare dal parrucchiere, perché
quello che ha a che fare con il corpo dà imbarazzo. Per questo avevo voglia di fare un film in cui
persone più timorose arrivano a quello che realmente desiderano: a loro modo, certo, ma ce la fanno.
Mi ha colpito molto la lettera di una giovane donna che mi raccontava come avesse visto il film con il
proprio fidanzato, in un periodo in cui era angosciata per il matrimonio che stavano progettando: aveva
paura per l'incontro delle famiglie, per la festa, per tutto. E insomma, guardando il mio film, lei e il
ragazzo hanno concluso che il matrimonio per loro non fosse necessario, ma anzi fosse una fonte di
sofferenza più che di gioia. Io non volevo prendermi questa responsabilità, ma se per loro è stato giusto
così, ben venga: in ogni caso, il mio non è un film contro il matrimonio!
Come hai scelto gli attori protagonisti?
Con Isabelle avevo già girato quattro anni fa un film per la televisione, e questa sceneggiatura è stata
scritta pensando a lei, ispirandomi anche a lei, perché è molto simile al personaggio di Angélique. Può
sembrare strano, ma anche lei ha molte paure, come del resto le hanno molti grandissimi attori, che
spesso hanno scelto di fare gli attori proprio per questo: recitare è una delle migliori maniere per
nascondersi. Lei mi ha anche dato diverse idee: ad esempio anche Isabelle canta tra sé e sé quando
deve affrontare un incontro importante, una conferenza stampa, insomma qualcosa che le mette ansia.
Io adoro dirigere attori che mettono qualcosa di loro nei propri personaggi, e sia Isabelle che Benoit lo
hanno fatto. Non conoscevo personalmente Benoit, ma anche il suo personaggio è stato scritto
pensando a lui: avevo visto parecchi film in cui interpretava ruoli comici, ma sentivo che in lui ci fosse
anche dell'altro, e ho cercato di farlo emergere in questo film. Nella vita reale è un tipo estroverso,
sempre al centro dell'attenzione, ma questo rappresenta il suo mettere in atto una strategia per trovare
la propria collocazione nel mondo, per essere apprezzato. E' stato Benoit stesso a dirmi che il modo
migliore per nascondersi è fare rumore, ma ognuno ha la propria formula. Pensate che in un'intervista,
quando gli hanno chiesto se avesse avuto delle difficoltà a immedesimarsi nel personaggio, ha risposto
che gli bastava imitare il regista!
L'uscita del film è stata per te una fonte di ulteriore ansia o una liberazione? E il successo del film ti ha
stupito?
Una persona ansiosa troverà sempre motivi per alimentare la propria ansia. In passato, in occasione
dei miei precedenti film, che avevano avuto molto meno successo, mi dicevo "il mio lavoro non piace a
nessuno, se potessi fare un film di successo starei molto meglio", e invece assolutamente no! L'ansia è
come un mostro che va nutrito, non ci si libera dall'ansia. Questa è la mia prima commedia e voi siete
fortunati a non aver visto gli altri miei film, che erano molto più dark, ed essere riuscito in questo
cambiamento è per me già un grande passo. Fare un film che può fare del bene mi fa stare bene a mia
volta, e credo che se durante la mia adolescenza avessi visto un film così mi avrebbe fatto molto bene.
Pensare all'incasso milionario del film che sensazione ti dà?
Non ho idea di quanto il film abbia incassato. Però, al di là dei calcoli, sono molto felice: da un anno a
questa parte ho girato il mondo seguendo il film, sono stato negli Stati Uniti, in Giappone, e proprio lì i
giornalisti mi hanno sorpreso, dicendo che il mio era un film sui giapponesi. Io non me lo sarei mai
immaginato, ma col senno di poi, pensando alla loro sensibilità, al loro riserbo, era logico concludere
che questo atteggiamento nascondesse una grande paura. Quello di cui si parla nel mio film è un
argomento universale, che accomuna tutto il mondo, e mi rende felice che, anche nei confronti di un
pubblico più limitato come può essere quello giapponese, abbia avuto una sua forza.
Come riesci ad affrontare queste conferenze stampa?
Ormai ho cinquant'anni, sono cresciuto, e ho imparato a gestire questo aspetto. Non sono mai
tranquillo, ho la stessa paura che provano gli attori prima di salire sul palcoscenico. Ma proprio questa
paura è il motivo che mi spinge a non evitare di agire: sin da piccolo sognavo di fare il regista, amavo il
cinema, e nonostante la paura sapevo di doverlo fare. Quindi, adesso più una cosa mi fa paura, e più
sono convinto di doverla fare, anche perché più si evitano le cose che ci spaventano più si diventa soli,
e meno fiducia si ha in se stessi. Questa ansia adesso è un mio alleato, la vivo come un gioco: quando
ho paura di qualcosa, significa che quella cosa la devo assolutamente fare.
Pensi di raccontare, in futuro, nuove avventure degli Emotivi Anonimi?
In Francia mi dicono che le commedie mi riescono meglio rispetto a quello che facevo prima, e che
quindi dovrei continuare a farne. Però non è che fare commedie mi riesca più facile, ed è difficile
calcolare a priori cosa avrà più o meno successo. Di sicuro conserverò tanti elementi di questa
esperienza. In realtà il filo conduttore dei miei film è la paura: delle relazioni, come in questo caso, o
dell'incertezza politica, e una volta ho fatto un film, ispirato a una storia realmente accaduta, in cui un
ragazzo si autoaccusa di un crimine non commesso pur di finire in carcere, e di essere quindi al riparo
dal mondo esterno. Ma sono anche una persona positiva, voglio far vedere che questa paura si può
vincere.
Cinema e cioccolata
Il cioccolato al cinema ha sempre avuto un posto importante. Ecco alcuni titoli legati all'antidepressivo
più amato. In ordine cronologico decrescente.
Lezioni di cioccolato 1 e 2, Claudio Cupellini, 2007 e Alessio Maria Federici, 2011. Amore, cioccolato e
… marchette pubblicitarie. Il cioccolato è ovunque e in ogni forma, ma grazie allo sponsor. Un product
placement lungo due film e 200 minuti.
La fabbrica di cioccolato, Tim Burton, 2005 (remake di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Mel
Stuart, 1971). Dal capolavoro di Roald Dahl, va in scena la fabbrica magica nella quale scorre un fiume
navigabile di cioccolato. Il destino di alcuni bambini è deciso da una barretta di cioccolato Wonka, ma
anche dal comportamento loro e … dei loro genitori.
Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, Alfonso Cuarón, 2004. Non un film sul cioccolato, eppure il
bruno dolciume ha un ruolo importante: è infatti il rimedio per liberarsi dalla tristezza infusa dai terribili
Dissennatori. Preferire Cioccorane o una barretta di cioccolata babbana.
Chocolat, Lasse Hallström, 2000. Vianne è la custode di una ricetta segreta, molto antica, per una
cioccolata dalla proprietà particolari. Uno dei 'film al cioccolato' più noti, per l’alto tasso di cioccolato che
ricopre ogni cosa e per il suo inevitabile legame con il trionfo dell'amore.
Grazie per la cioccolata, Claude Chabrol, 2000. Il cioccolato prodotto dalla fabbrica ereditata dalla
protagonista (Isabelle Huppert) diviene strumento di seduzione e di morte.
Come l'acqua per il cioccolato, Alfonso Arau, 1992. Dall’omonimo romanzo di Laura Esquivel: una
donna, costretta a non sposarsi per accudire la madre, si innamora del cognato; l’unico modo per
conquistarlo è ideare piatti afrodisiaci.
Fragola e cioccolato, Tomas Gutierrez Alea e Juan Carlos Tabio, 1993. Dall’omonimo romanzo di Senel
Paz. Lo strano abbinamento di gusti nel gelato corrisponde al rapporto che si instaura all’Avana tra
David, studente dell’Unione dei Giovani Comunisti, e Diego, omosessuale che ostenta la propria
diversità in opposizione alla chiusura culturale delle autorità cubane.
Cioccolata Calda - Amore Al Cioccolato, Josee Dayan, 1993. Una bellissima miliardaria texana (Bo
Derek) si reca in Francia dal conte Hubert De la Cannelle per rilevare la sua fabbrica di cioccolatini.
Volere volare, Maurizio Nichetti e Guido Manuli, 1991. Martina (Angela Finocchiaro) è una call-girl
animata da aspirazioni di assistenza sociale. I suoi clienti le chiedono strane prestazioni: un pasticcere
la ricopre di cioccolato per farne una scultura vivente.
Cioccolato bollente, Giles Foster, 1988. Racconto grottesco tratto da una commedia dei Monty Python,
in cui si spiega come ottenere un cioccolato squisito mescolando cacao e carne umana. Dei Monty
Python si ricorda anche l'episodio Gli anni del declino, de Il senso della vita, per l'effetto devastante
prodotto da quello che pare proprio essere un sottile, raffinato cioccolatino alla menta.
Bianca, Nanni Moretti, 1984. Un professore pieno di fobie, in preda ad una crisi d’ansia, trova conforto
in un enorme barattolo di crema al cioccolato.
Recensioni
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Pare che gruppi terapeutici come la Emotivi anonimi , destinati ai disadattati del viver sociale, esistano
davvero. Il regista Jean-Pierre Ameris confessa di avervi preso parte e che i protagonisti del film
rispecchiano questa sua esperienza di timido compulsivo. Non stentiamo a credergli perché nella
commedia da lui realizzata come una fiaba romantica, seppur sui generis, risuona un accento di verità
che ispira la simpatia. Angelique (Isabelle Carrè) è una eccellente cioccolataia, ma nella vita di tutti i
giorni si sente inadeguata e quasi si scusa di esistere. Jean-René (Benoit Poelvoorde) è il proprietario
di una fabbrica di cioccolatini che è terrorizzato dal gentil sesso, non sopporta contatti fisici con il
prossimo e suda sette camicie alla sola idea di cenare con una donna.
L’incontro fra i due è tutto un esplosivo susseguirsi di sintomi nevrotici, di incauti passi in avanti e di
precipitose fughe all’indietro: e però, alla fine, si dovrà concludere che sono anime gemelle. Deliziosi gli
interpreti, calda e incantata la fotografia, Emotivi anonimi è la dimostrazione che si può far sorridere, e
persino ridere, giocando di grazia e senza mai ricorrere alla volgarità.
Alberto Crespi. L’Unità
Con gli attori italiani è normale (quando sono bravi). Con quelli belgi è meno consueto. Uno vede
Benoit
Poelvoorde
in
Niente
da
dichiarare,
di
Dany
Boon:
fa
il
doganiere
belga
leghista/fascista/razzista, e vira il personaggio tutto sul versante grottesco, urlato, estroverso. Ok. Bella
prova, ma sapendo pochissimo di lui e degli attori belgi in genere uno può anche pensare che Benoit
sappia fare solo quella «cosa» lì. Poi lo rivede in Emotivi anonimi: fa il proprietario di una fabbrica di
cioccolato molto diverso dal famoso Willy Wonka di Johnny Depp, bloccato con le donne, afasico,
incapace di avere un rapporto normale con il prossimo. Tutto sotto le righe, una recitazione sommessa,
interiorizzata. Ed è lo stesso attore. L'unica conclusione possibile è che si tratta di un grande, ma
davvero grande attore. Che però non è l'unica cosa grande di Emotivi anonimi, davvero un piccolo
grande film. È a malapena un lungometraggio, visto che è lungo solo 70 minuti o giù di lì, ma nel breve
arco di tale aurea durata racconta cose tutt'altro che banali. Gli «emotivi anonimi» del titolo esistono
davvero, e si battezzano alludendo ai più noti alcolisti: sono gruppi di autocoscienza e di terapia in cui
persone altrimenti incapaci di comunicare sono costrette, per amore o per forza, a parlare di se
medesime davanti ad altri esseri umani con i loro stessi problemi. I due protagonisti del film fanno parte
di questa categoria. Angélique è una giovane donna terrorizzata dagli uomini, e con enormi difficoltà
relazionali anche nel lavoro; trova impiego in una piccola cioccolateria diretta da Jean-René, che a sua
volta rifugge i contatti umani e gestisce con molti problemi anche i propri lavoratori. È ovvio che i due si
piacciono, altrettanto ovvio che nessuno farà mai il fatidico primo passo (una sera a cena, al ristorante,
si trasforma in tragicomico disastro). Ma pronubo non sarà qualche chaperon umano, bensì il
cioccolato, che in questioni di amore e soprattutto di sesso può molto, quasi tutto. Angélique è
probabilmente la più grande cioccolataia del mondo, i suoi bon-bon farebbero resuscitare i morti, ma è
talmente timida e complessata da dover fingere davanti ai colleghi di eseguire soltanto le indicazioni di
un misterioso «maestro» che vorrebbe, a sentir lei, mantenere l'anonimato. La maschera, prima o poi,
cadrà. E dovrà cadere anche la barriera emotiva che separa Angélique e Jean-René, le mura di Gerico
tanto per citare un'antica commedia, Accadde una notte, che parlava di gente magari più estroversa,
ma comunque incapace di amare che stavolta cadranno non al suono di una tromba, ma grazie ai
poteri del cacao. Jean-Pierre Améris, regista da tener d'occhio, ha realizzato un film che è un piccolo
miracolo di dolcezza e ironia. Farlo uscire a Natale è, da parte della Lucky Red, un gesto coraggioso,
ma con un suo perché. Tutto sommato in questi giorni si consuma molto cioccolato e si desidera molto
amore. E chissà che il cinecioccolatino non faccia le scarpe al cinepanettone.
Natalia Aspesi. La Repubblica
Un piccolo film francese, di un regista a noi sconosciuto, con attori che forse non abbiamo mai visto,
risulta essere più natalizio di un cartone animato, di una commediola italiana romantico-ridanciana, di
un grandioso film americano con celebri attori. Emotivi anonimi sembra una fiaba di Andersen, zeppo di
Piccole Fiammiferaie ambosessi. Ma pare soprattutto una collettiva risposta consolatoria alle tante
lettere inviate alle poste del cuore da timidi angosciati, solitari ansiosi, mezze mele che non trovano
l’altra metà perché la temono, uomini che fan finta di essere sicuri di sé ma annegano nella paura,
donne prese dal panico ogni volta che un uomo le guarda.
Il film di Jean-Pierre Améris pare uno di quegli angioletti di zucchero che si appendono all’albero di
Natale: è infatti carino e zuccheroso, risaputo e piacevole. Ed è una prevedibile, accidentata storia
d’amore tra due adulti chiusi nella loro desolata timidezza e terrorizzati dalla vita, con indispensabile
lieto fine. A rendere il tutto adatto alle Sante Feste del tipo infantile e gourmand, sia lei che lui si
occupano di cioccolata: Jean-Renè (Benoît Poelvoorde) è il proprietario di un piccolo laboratorio di
cioccolatini, Angélique (Isabelle Carré) è una favolosa creatrice di bon bon squisiti: l’esagerata
emotività impedisce a lui di affrontare quei cambiamenti che renderebbero i suoi prodotti ancora graditi
alle pasticcerie alla moda, e obbliga lei a tener nascosta la sua genialità attribuita a un misterioso
maestro dolciario.
Lui tenta di superare la sua infelicità andando da uno psicanalista, lei frequentando un gruppo di
“Emotivi Anonimi”, il cui programma assomiglia a quello degli Alcolisti Anonimi. Sono due persone come
tante, non più molto giovani, fisicamente qualsiasi, molto sole, costrette dalla scarsa stima di se stessi e
dalle crisi di panico a un continuo scontro col mondo. È la cioccolata a farli incontrare ed è amore a
prima vista, il che impegna subito i due a difendersi da quel sentimento pericoloso e intrusivo, che non
sanno come affrontare. Allo psicanalista dai suggerimenti terrorizzanti Jean-René racconta della sua
infanzia inquinata da un padre depresso che diceva continuamente “Auguriamoci che non succeda
niente”, Angélique confida al suo gruppo di iperemotivi il terrore di farsi notare, di uscire dalla
protezione dell’invisibilità.
Spinto dall’analista, lui osa invitare lei a cena. Lei si è scritta su foglietti gli argomenti di una non
pericolosa conversazione, lui corre alla toilette a cambiare continuamente la camicia sudata, e alla fine
scappa. Si susseguono situazione ovvie da cinema parrocchiale anni ‘50, i due innamorati intenti a
sfuggirsi e cercarsi, gli scatti di timidezza e sfrontatezza che si accavallano, l’ovvio episodio da film anni
’30 (Accadde una notte) in cui arrivati in una città per partecipare al Salone Internazionale del
Cioccolato, sono costretti per affollamento a dormire nella stessa camera. Troppo, per i disperati
emotivi, ed è fuga. Ma siamo a Natale e chi scrive alle poste del cuore si aspetta promesse di roseo
futuro: immancabile quindi l’happy end.
Film buonista e gentile, adatto sia alle famiglie che a bruttini e bruttine stagionati, ci rivela l’esistenza di
questa associazione “Emotivi Anonimi”, nata negli Stati Uniti nel 1971, arrivata nel 1979 in Germania,
dove oggi si contano più di 350 gruppi, 1300 nel mondo, in Italia non si sa. In Francia ne ha fatto parte
anni fa anche il regista Améris, vittima sin da bambino di un’emotività che gli rovinava la vita.
Frequentando queste persone come lui angosciate, che scansano la vita per paura di soffrire, ha capito
di non essere solo, di condividere con tanta gente una ferita comune: la sua medicina è stata il cinema,
sia quando ci si rifugiava per sentirsi protetto dal buio, sia quando ha cominciato a fare il regista, il che
gli ha consentito di creare storie che lo liberavano dal panico. Questo suo settimo film (ha girato anche
quattro fiction televisive, che, come i film, non mi pare siano state date in Italia) è il più autobiografico,
se si esclude la cioccolata, di cui è comunque ghiotto.
Giancarlo Usai. Ondacinema.it
Come in ogni periodo natalizio, quando andiamo al cinema ci piacerebbe ridere. Arriviamo al termine
dell'anno solare con tante di quelle preoccupazioni, paure, delusioni che, possibilmente, in famiglia, in
coppia, da soli, nel buio della sala cinematografica cerchiamo di risollevarci con le avventure di
qualcuno che ci distragga dalle fatiche quotidiane.
Ecco perché abbiamo fatto la fortuna di decine di commedie italiane arrivate in questo periodo, lungo
l'arco di decenni, sul grande schermo. Ma, quasi sempre, ci siamo sbagliati. Abbiamo sempre scelto il
titolo più comodo, quello della tradizione, quello che è proiettato nel multisala vicino casa nostra. Ci
siamo sempre fatti trascinare un po' dall'abitudine, un po' dalla pigrizia. Quasi sempre, a Natale, il
tempo consacra invece un film uscito di soppiatto, distribuito in modo molto discutibile, ma cresciuto a
scoppio ritardato grazie al passaparola e ai propri meriti.
Diciamolo con chiarezza: Emotivi anonimi di Jean-Pierre Améris è il film delle vacanze di Natale del
2011. Commedia raffinata e nostalgica, la pellicola che arriva dalla Francia di francese ha solo la
provenienza, la lingua e l'ambientazione. Ma il modus operandi dell'autore, in vero pressoché
sconosciuto in Italia, è tutto fuorché transalpino. Il suo stile, il tono che dà al film, sono palesemente
orientati verso quella commedia hollywoodiana di un tempo straordinario che è stato e che, purtroppo,
non tornerà più. Il tono fiabesco, gli intermezzi musicali, il sottile equilibrio tra il comico e il tenero che si
crea tra i due (straordinari) protagonisti fa venire alla mente più di chiunque altro l'Ernst Lubitsch degli
anni 40 e i suoi indimenticati personaggi di "Scrivimi fermo posta" o "Vogliamo vivere".
Per chi, come chi scrive, si troverà ad essersi trovato spesso, nella vita, a soffrire di timidezza ed
emotività cronica, la visione del film di Améris avrà una funzione terapeutica. Il protagonista, che lo
stesso regista non ha fatto mistero di aver immaginato proprio sul modello delle proprie debolezze, ha
una fabbrica di cioccolato in una Parigi da favola in cui va a lavorare una giovane talentuosa
cioccolataia. I due hanno tutto in comune, compresa la loro insopprimibile paura del mondo. "Purché
non ci succeda niente", è il motto delle loro esistenze. L'incontro tra i due sarà ovviamente occasione di
esplosione sentimentale, ma anche di situazioni comiche tra le più esilaranti viste nelle ultime
commedie dell'anno.
Sì, perché il merito vero della sceneggiatura di Emotivi anonimi non si ferma all'aver fotografato con
grande realismo e intuito un tipo di carattere così diffuso e così difficile da tratteggiare al cinema. Si
estende invece, da un punto di vista strettamente cinematografico, all'averci regalato una serie di
"situazioni comiche" come non se ne vedevano da tempo. Congegnato come un meccanismo
perfezionista, che mira a incastrare al meglio il procedere equilibrato dell'innamoramento con
l'improvviso momento comico, il film scivola via con grande piacere per tutti i brevi ottanta minuti. Alla
fine, il messaggio ottimista che resta, per una volta, risulta non consolatorio o fuori posto. E il finale a
metà tra il sognante e il gioioso non tradisce neanche lo spettatore più severo o esigente: ogni
momento di felicità costa fatica per chiunque.
Paola Casella. Europa
La casa di distribuzione Lucky Red si è fatta una reputazione per il suo anticonformismo, qualità di cui
dà prova anche oggi, uscendo sotto Natale con un film che è un vero e proprio contro-cinepanettone.
Emotivi anonimi, di Jean-Pierre Améris, è infatti una commedia sentimentale francese leggera come
una piuma, interpretata da due bravissimi caratteristi che si rifiutano di fare i prim’attori anche quando
sono protagonisti della storia, e giocata sul filo della sensibilità fragile e sfuggente dei due personaggi
principali.
Jean-René (lo strepitoso attore belga Benoit Poelvoorde, che abbiamo visto di recente in Niente da
dichiarare?) e Angélique (Isabelle Carré, già protagonista, in avanzato stato di gravidanza, del film di
Francois Ozon Il rifugio) sono due timidi patologici, talmente paralizzati dalla violenza tutta interiore
delle loro emozioni da frequentare un gruppo di supporto psicologico per iperemotivi simile agli alcolisti
anonimi (di qui il titolo del film).
Entrambi riescono a canalizzare la loro emotività solo attraverso la loro comune passione per il
cioccolato: Jean-René è il proprietario di una cioccolateria di alto livello, Angélique è una pasticciera
bravissima ma, a causa della sua timidezza, costretta a nascondersi dietro l’identità posticcia di un
leggendario chef.
Naturalmente l’inevitabile accade, ovvero Jean-René e Angélique si incontrano (lei va a lavorare da lui,
nel tentativo di svecchiare il suo prodotto che, pur di alta qualità, ha bisogno di energia nuova) e
altrettanto inevitabilmente si innamorano. Ora, quale può essere il futuro romantico di due individui
talmente emotivi da non riuscire neppure a rivolgersi la parola? È qui che comincia la commedia vera e
propria, condita di palpitazioni e svenimenti di lei, sudorazione copiosa di lui, e incontri (o non incontri)
all’insegna della reciproca imbranataggine.
E poiché la forma del film aderisce al suo contenuto, Emotivi anonimi è una commedia che procede per
sottrazioni, i cui protagonisti sfuggono regolarmente alla convocazione del destino (in sceneggiatura
questo si chiama proprio «rifiuto della chiamata», e di solito si presenta solo all’inizio della trama, non
prosegue quasi fino all’ultima scena!), con dialoghi che privilegiano il silenzio alle parole sovvertendo le
regole della scrittura cinematografica.
E seguendo la tradizione della commedia francese contemporanea iniziata nel ’97 da Parole, parole,
parole (che precede di molto la nostra sitcom Tutti pazzi per amore...) quando l’emozione tracima si
trasforma in canzone invece che in battuta, trasformando temporaneamente la storia in musical.
Anche l’idea di affidare a Benoit Poelvoorde il ruolo del protagonista maschile è innovativa, perché
l’attore è una sorta di Louis de Funès per i nostri tempi, con un’immagine cinematografica di spaccone
sempre pronto alle esplosioni di collera che è diametralmente opposta a quella di Jean-René, il cui
rischio semmai è quello di implodere.
La recitazione di Poelvoorde in Emotivi anonimi è tutta in levare, costantemente sottotono, e la sua
fisicità comica, qui messa a frutto in alcune scene chiave come quella del primo appuntamento fra
Jean-René e Angélique, si sottrae alla cinepresa, rifiutandosi (programmaticamente) di occupare il
centro della scena, cosa che di solito è una specialità dell’attore.
Isabelle Carré, dal canto suo, mette la sua corporeità eterea a servizio del ruolo di Angélique, rivelando
una notevole abilità interpretativa (e comica) nelle scene in cui la sua timidezza si manifesta al livello
fisico (i rossori improvvisi, i mancamenti). In una stagione di grasse risate (quando se ne fanno...) e
corna cinematografiche plateali Emotivi anonimi si intrufola con la delicatezza e l’afflato romantico di
una poesia di Prévert o di una vignetta di Peynet, tenero Davide di fronte ai Golia della crassa comicità
natalizia. Anche solo per questo, merita il sostegno di quel pubblico che non ne può più dell’avvilente
offerta filmica che ci propinano ogni anno sotto l’albero.
Giulia Pietrantoni. Comingsoon.it
La ragione di cronica timidezza e ritrosia da contatto che sta alla base di questo film, e delle traiettorie
disegnate dai due interpreti, ci è sembrata subito un’introduzione consapevole e sensibile. Non geniale
ma autentica. La commedia arriva all’amore spesso parlando di incompatibilità e difetti dell’altro (ama
troppo la sua indipendenza, non ha i miei stessi interessi, vuole collezionare molti cuori insieme), non
Emotivi anonimi, dove le due anime sono davvero gemelle. Compatibili e affini per solidarietà emotiva e
tuttavia terrorizzate all’idea di darlo a vedere.
Jean- Pierre Améris, abituato a mettere al centro delle sue storie la paura di qualcosa, lascia che quella
più autobiografica e privata fornisca il senso della sua prima commedia. Angélique (Isabelle Carré) e
Jean-René (Benoît Poelvoorde) sono abitati da insicurezza, timidezza, timore del confronto con il vicino
o lo sconosciuto; appassionati di cioccolato ne hanno fatto un mestiere che li fa incontrare nel piccolo
laboratorio (poco)gestito da Jean-René. Il loro è affetto e terrore a prima vista, contenimento titubante e
desiderio, perciò uno stimolo a trovare la forza dell’intimità.
La declinazione divertente e ironica di questa vulnerabilità personale viene mostrata con una serie di
situazioni, fughe, silenzi, escamotage che hanno presa sul reale, perché spesso il tentativo di
nascondersi al centro dell’attenzione e mascherare i propri timori, ci rende goffamente protagonisti. In
questo rientrano i bigliettini a supporto della prima uscita per Angeliqué, l’accettazione di un lavoro
sgradito per non affrontare l’equivoco, la buffa messa in opera dei compiti a casa dati dallo psicologo a
Jean-René.
Francese, timido, educato, non anonimo, il film di Améris visualizza la volontà iperemotiva di mantenere
tutto, il più possibile, immobile con una dimensione contemporanea presente, e insieme fuori dal
tempo, dove i colori degli abiti, la fisicità degli interpreti e alcuni intermezzi canori spingono alla fiaba. Il
cioccolato rientra in questa visione fanciullesca che Isabelle e Benoît genuinamente, e con ottimo
mestiere, riescono ad esprimere con rossori, piccole manie e idiosincrasie ribadite ma non ridicole,
ansia ed energia. La sincerità di Poelvoorde è resa poi ancor più singolare dalla sua estraneità a ruoli
introversi o impacciati (Niente da dichiarare?, Il mio peggior incubo)
Poiché l’armonia del risultato e l’universalità del tema (con accenti più o meno forti l’emotività interessa
tutti e conforta pronunciarlo) rischiava di rendere emozionale anche il giudizio, questo è stato
sottoposto a razionalizzazione. Sebbene non ci siano ricercate complessità narrative (o patologiche) e
la fiaba a tratti riduce l’empatia, nel racconto di Améris si coglie una direzione autentica, una commedia
fatta anche di tic leggeri ma non stucchevoli, dove la cioccolata è utile alla dolcezza senza lusinghe.
Questo ingrediente (condiviso e non ruffiano) serve piuttosto a evidenziare il talento della protagonista
(brava cioccolataia) che pur di non essere valutata, quasi si scusa del dono, offuscandolo.
E poi è un film che non si esaurisce con il primo bacio, ma ce ne saranno altri, quando l’attrazione
scavalca il “non facciamoci notare”.