IL MIGLIOR IL MIGLIOR FABBRO

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IL MIGLIOR IL MIGLIOR FABBRO
SUPPLEMENTI DI LEXIS
DIRETTI DA VITTORIO CITTI E PAOLO MASTANDREA
DREA
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IL MIGLIOR FABBRO
STUDI OFFERTI A GIOVANNI POLARA
(a cura di A. De Vivo e R. Perrelli)
ADOLF M. HAKKERT EDITORE
AMSTERDAM 2014
Pubblicato con un contributo del Dipartimento di Studi Umanistici - Università della
Calabria
Pubblicato con un contributo del Dipartimento di Studi Umanistici - Università di Napoli
"Federico II"
ISSN 2210-8866
ISBN 978-90-256-1295-5
Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia
cancelleresca latina in epoca sveva
Lo studio dell’ars dictaminis, ovvero della più originale tra le forme di trattazione
teorica e di relativa applicazione della retorica medievale, ha avuto, soprattutto negli
ultimi decenni, un notevole sviluppo, attraverso la pubblicazione di edizioni e studi
specifici1, nonché l’organizzazione di convegni internazionali2. In questa prospettiva
di rinnovato interesse, l’Edizione nazionale dei testi mediolatini d’Italia, della cui
Commissione scientifica ha fatto a lungo parte e fa tuttora parte Giovanni Polara, ha
accettato il progetto di pubblicazione integrale di un importante manoscritto, il
I.B.25, generalmente noto come “Codice Fitalia”, attualmente conservato a Palermo,
presso la Biblioteca della Società siciliana per la storia patria.
Il codice è pergamenaceo e risale al sec. XIV, probabilmente alla prima metà.
Appartenuto a Girolamo Settimo Principe di Fitalia – da cui deriva il nome con cui è
generalmente noto il codice – reca sulla coperta il titolo «Cronaca di Sicilia
dell’epoca svevo angioina, sec. XIV», che, in realtà, fa riferimento a una cronaca in
volgare con la quale era stato in passato rilegato. Scritto in gotica, comprende 133
carte, e misura mm 286 × 1903. Contiene una raccolta di epistole, genericamente
collegabile con il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna († 1249), il celebre
protonotario e logoteta dell’imperatore Federico II di Svevia, che, però, qui, risulta
assolutamente non ordinato sistematicamente4. D’altra parte, le lettere collegate con
quell’epistolario sono inframmezzate da altre che con esso non hanno nulla a che
fare, oppure che sono riportate unicamente da quel manoscritto, nonché da alcuni
componimenti poetici e ritmici più o meno lunghi.
Le epistole costituirono uno degli ambiti di produzione maggiormente praticati
dai più illustri letterati per un lungo periodo di Medio Evo, ma soprattutto da quelli
di area italiana del XIII secolo. D’altro canto, la produzione epistolografica, già da
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Sull’ars dictaminis cf. soprattutto Murphy 1983, 223-304; Camargo 1991. Cf. anche Schaller
1980, 1034-035. Per la bibliografia sull’argomento cf. Murphy 1971; inoltre, Worstbrock 1989, 142. Per una rassegna di studi si veda anche Sivo 1989, 220-33. Un repertorio dei testi è in
Worstbrock-Klaes-Lutten 1992. Un repertorio dei manoscritti è in Polak 1993 e 1994. Tra le
edizioni più recenti pubblicate dall’Edizione nazionale dei testi mediolatini (poi Edizione
nazionale dei testi mediolatini d’Italia), si segnalano Delle Donne 2003 e 2007b, Bognini 2008,
Bartoli 2014.
In ordine cronologico, si segnalano i seguenti: Les correspondances en Italie, Roma, École
française de Rome, 20-21 giugno 2011, e poi di nuovo 11-13 aprile 2013; Briefkultur im 13. und
14. Jahrhundert, Berlino, Freie Universität, 21-22 ottobre 2011; Dall’ars dictaminis al
Preumanesimo? Per un profilo letterario del XIII secolo, Firenze, SISMEL, 30 marzo 2012; Le
dictamen dans tout ses etats, Parigi, IHRT, 5-6 luglio 2012; L’écriture latine en réseaux. Les
conditions socio-stylistiques d’expansion de l’ars dictaminis (XIIe-XIVe siècle), Roma, École
française de Rome-ISIME, 15 e 16 marzo 2013; Medieval Letters between Fiction and Document,
Università di Siena, 9-11 settembre 2013. Inoltre, è stato di recente finanziato dalla “Deutsche
Forschungsgemeinschaft” il progetto Die lateinische ars dictaminis im Mittelalter.
Per una descrizione del codice cf. Agnello 1832, Giannone 1904, 161-63, Giannone 1914, 93-135,
Frugoni 1951, 5-9, Schaller 2002, 225-30, Villa 2003, 1417-427; Delle Donne 2007, 225-45.
Su questo epistolario cf. soprattutto Schaller 1956, 114-59 e Schaller 1986, 95-111. Da ultimo cf.
Delle Donne 2009b, 7-33.
Fulvio Delle Donne
qualche tempo, era tornata a tale livello di raffinatezza stilistica e godeva di tanta
considerazione, da fare in modo che si ritagliasse, all’interno della più generale
normativa retorica, uno specifico ambito di regolamentazione e di applicazione,
acquisendo il nome di ars dictaminis o ars dictandi e rendendo il termine dictamen
quasi sinonimo di componimento retorico epistolare.
In particolare, nell’Italia meridionale soggetta al dominio svevo, fu merito di Pier
della Vigna e del suo gruppo di dictatores l’aver saputo portare lo stile epistolare ad
altezze mai più eguagliate. La sua prosa possedeva il pregio di miscelare portentosamente la ricchezza dell’espressione e la ricercatezza dell’eloquio con la virulenza e
la precisione ideologica. E quello stile dovette servire soprattutto come strumento di
promozione culturale, uno di quelli più efficaci per dare lustro alla figura del
sovrano5. I testi caratterizzati da quello stile ebbero un’enorme influenza sulla
produzione prosastica dell’intera Europa, per molto tempo, fin oltre le soglie
dell’epoca umanistica: la loro importanza è testimoniata dal numero elevatissimo di
codici che li trasmettono, fino al XV secolo e oltre6.
Tra i codici più significativi e rappresentativi della elaborazione formale a cui
giunse quel tipo di stile si colloca il Fitalia. E, proprio in prospettiva della più ampia
matrice culturale che contraddistingue quella produzione, due testi epistolari lì
raccolti ai ff. 95v-96v – pubblicati in Appendice7 – risultano particolarmente
interessanti, oltre che piacevoli e divertenti. Si tratta di lettere fittizie. La prima è
indirizzata dal Leone all’Asino e alla Lepre, suoi fedeli, in cui il più forte degli
animali afferma che si sono sottomessi al suo imperio tutti gli animali, sia docili che
feroci, tranne la Volpe, la quale, citata più volte, non è mai venuta presso la sua
curia. Pertanto, con lo stile cancelleresco che caratterizza i mandati imperiali di
epoca sveva, ordina all’Asino e alla Lepre di convocare la Volpe, perché si presenti
al suo cospetto il giorno 26 marzo – data precisa, ma per noi non pienamente
interpretabile8 – e risponda delle accuse mossele dalle galline.
La seconda lettera è la risposta della Lepre e dell’asino al Leone, in cui si
racconta in che modo hanno obbedito agli ordini ricevuti. Senza indugio essi si
erano recati dalla Volpe, che aveva il proprio rifugio su una rupe altissima e
scoscesa, più dell’orrendo monte Menalo di ovidiana memoria. Non potendo
accedere a un luogo tanto impervio, avevano chiesto al barbuto Capro, fedele e
circospetto amico e compagno, di recarsi sulla cima; il Capro, accettando di buon
grado l’incarico, era salito e aveva ottenuto che la Volpe, non volendo scendere,
almeno si affacciasse a parlare dall’alto della rupe. Così, la Volpe, affacciandosi da
una piccola fenditura col capo coperto da un cappuccio monacale (emisso capite
cucullato), aveva comunicato che non poteva recarsi in curia per due motivi:
innanzitutto perché era ammalata; e poi, volendosi pentire dei peccati commessi,
aveva preso l’abito monacale, decisa a dedicarsi alla vita contemplativa. Non
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Per un approfondimento di questo aspetto si permetta di rimandare a Delle Donne 2005, 157-67.
Cf. Schaller 2002, in cui sono descritti, in totale, 246 codici del cosiddetto epistolario di Pier della
Vigna. Sulla diffusione europea di quello stile cf. Grévin 2008.
In prospettiva del lavoro previsto per l’Edizione nazionale dei testi mediolatini, di queste due
lettere si offre l’edizione del solo codice Fitalia, correggendone il testo sulla scorta degli altri mss.
e delle altre edizioni solo nel caso in cui esso risulti irrimediabilmente corrotto.
Su questa data torneremo più avanti.
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Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
credendo alla malattia, l’Asino, esperto di medicina, si era fatto consegnare un
campione di urina, che, analizzata, aveva rivelato la piena sanità della Volpe, la
quale, in ogni caso, non era voluta scendere. Risultando inutile l’attesa, la Lepre e
l’Asino si erano recati a casa del Castrato, per pernottare, ma i lamenti funebri di
galli e galline, che piangevano per i propri congiunti divorati dalla Volpe, avevano
loro impedito di dormire. Essendo, quindi, andati via, avevano incontrato lungo la
strada il Lupo, che li aveva invitati a casa propria; temendo che l’invito nascondesse
insidie, avevano deciso di proseguire, fino a quando era venuto loro incontro il
camerario della Volpe, che li aveva condotti nella sua casa e li aveva sfamati
abbondantemente. Ma, ahimè, al primo canto del gallo, si era presentato alla porta il
Lupo – evidentemente complice della Volpe e del suo camerario – che aveva
sbranato l’Asino, troppo lento alla fuga. La Lepre, invece, appena aveva avvertito il
pericolo, era riuscita a scappare da una piccola apertura, seppure con le ossa peste.
Così, dunque, dopo questo racconto, la Lepre, con la citazione di due versi di
Ovidio, conclude chiedendo al Leone di intervenire prevenendo ulteriori pericoli per
il suo regno, e di prendere il gladius ad vindictam.
Queste due lettere, tràdite anche da altri manoscritti9, rivelano chiari richiami alla
letteratura che ha gli animali come protagonisti, e, in particolar modo, sembrano
riallacciarsi soprattutto alle narrazioni dell’Ysengrimus e del Roman de Renart, ma
anche a quelle dell’Ecbasis captivi, nonché alle favole di tradizione esopica10. Non è
il caso, qui, di scendere nel dettaglio delle fonti specifiche usate dal compilatore
delle due lettere: può darsi che egli abbia tratto ispirazione dalle narrazioni che
circolavano abbondantemente in tutta Europa, soprattutto negli ambienti monastici11; che abbia usato testi in latino, oppure in lingue romanze12. Né è il caso di
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Le due lettere sono tràdite, oltre che dal codice Fitalia, anche dai seguenti mss.: Cortona, Bibl.
Comunale e Accademia Etrusca, 82, ff. 47r-v; Firenze, Bibl. Naz., Landau Finaly, 17, ff. 35v-36r;
Praga, Národní knihovna České Republiky, III G 3 (solo la prima), f. 95v; Sankt Florian,
Stiftsbibl., 615, f. 281r-v; Stuttgart, Württembergische Landesbibl., VIII 18, f. 67r-v; Troyes,
Bibl. Mun., 1482, f. 76v; Wien, Österreichische Nationalbibl., 401, ff. 30v- 31v; Utrecht,
Universiteits-Bibliotheek, 712; Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibl., Helmstad. 298, ff. 92r-93r.
Le lettere sono state già edite più volte, da Wattenbach 1851, 662 (solo la prima lettera, dal ms. di
Praga); Höfler 1859, 109 (solo la prima lettera, dal ms. di Praga); Zacher 1875, 9-12 (entrambe le
lettere dai ms. Fitalia, di Praga, di Wolfenbüttel, di Wrocław); Czerny 1877, 482-84 (entrambe le
lettere dal ms. di S. Florian); Muller 1910, 212-17 (entrambe le lettere dai ms. Fitalia, di Praga, di
Wolfenbüttel, di Wrocław, di Utrecht e di Cortona); Flinn 1963, 693-95 (entrambe le lettere,
dall’edizione di Muller).
Del Roman de Renart, testo assai diffuso e con varie redazioni, esistono diverse edizioni utilizzabili, a partire da quella a cura di E. Martin, Strasbourg - Paris 1882-1887; a quella a cura di A.
Strubel, con la collaborazione di R. Bellon, D. Boutet, S. Lefèvre, Paris 1998; a quella a cura di
N. Fukumoto, Paris 2005; o, da ultimo, a quella a cura di J. Dufournet, L. Harf, M.-T. de
Medeiros, J. Subrenat, Paris 2013. Per l’Ysengrimus, invece, si veda l’edizione con traduzione
inglese curata da J. Mann, Leiden 1987. Per l’Ecbasis captivi si veda l’edizione di C. Munier,
Turnhout 1998. Sul genere, la bibliografia è molto abbondante, ma cf. soprattutto gli studi più
complessivi (da cui si può ricavare più specifica bibliografia) di Jauss 1959, Knapp 1979,
Ziolkowski 1993, Mann 1993, Bonafin 2006.
Cf. Muller 1910, 219-20.
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Fulvio Delle Donne
analizzare specificamente tutti i più precisi riferimenti diegetici alle avventure della
volpe Renart tramandate dalla letteratura narrativa che la vedono protagonista: è già
stato fatto circa un secolo fa da uno studioso molto esperto13. Ad ogni modo, però, è
particolarmente interessante notare le interferenze culturali tra una letteratura per dir
così ‘di evasione’, da un lato, che, seppure raffinata e colta, era orientata soprattutto
al divertimento e al piacere del lettore/ascoltatore, e, dall’altro, una produzione
letteraria ‘ufficiale’ e cancelleresca, per sua intrinseca natura più misurata e
impegnata, perché fonte giuridica di riferimento per tutti i destinatari.
Certo, se è abbastanza sorprendente il ricorso a testi e modelli favolistici e
romanzeschi che avrebbero avuto particolare sviluppo nelle letterature volgari, non
è, invece, assolutamente insolito un simile tipo di interferenze o di sovrapposizioni
culturali tra produzione cancelleresca epistolare e tematiche facete. I dictatores
dell’epoca, infatti, sebbene obbligati a quotidiane fatiche cancelleresche, non di rado
amavano concedersi distrazioni letterarie, dedicandosi a forme più lievi di scrittura
epistolare, non finalizzate ad alcuna trasmissione di informazioni o notizie, ma
piuttosto ispirate al semplice piacere della scrittura. In questo contesto si inseriscono
alcuni certami dettatorî, consistenti in scambi di epistole retoricamente ornate che
non avevano alcun’altra funzione, se non quella di mettere alla prova l’elaborazione
della propria e dell’altrui prosa14. L’impulso a confronti di questo tipo era dato,
probabilmente, dal desiderio di sfuggire alla routine di un lavoro faticoso, che non
permetteva di dare libero sfogo alla fantasia creativa, troppo vincolata dai rigidi
impegni formali e professionali di una cancelleria15.
Un esempio può essere offerto da uno scambio epistolare – ovvero una controversia, come si dice nel codice che lo conserva16 – che ebbe luogo, intorno al 1246,
tra Nicola da Rocca e Pier della Vigna, che, senza essere generato da un’esigenza
concreta di comunicare qualcosa di preciso, occupa ben 8 lettere17. Si tratta di una
vera e propria occasione di svago, proposta dal più influente dictator capuano, Pier
della Vigna, che spiega chiaramente i motivi che lo spingono a rivolgersi al più
giovane corrispondente e collega d’ufficio: «credo quod labores asperos homo
facilius tolerat quos mollire potest colloquiis amicorum. Propter quod ego […] te,
carissime, deprecor […] ut litterarum tuarum solaciis penas meas frequenter allevies,
sciturus quod tibi etiam verborum lenimenta proficiunt qui laborum similia pateris
detrimenta»18.
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Sull’uso possibile di modelli latini cf. Muller 1910, 219-20, contraddetto da Flinn 1963, 542-48, e
da Grévin 2014, che, nel quadro di un più ampio discorso sull’influenza della lingua d’oil in
epoca normanno-sveva, sottolinea i più stretti rapporti col Roman de Renart.
Cf. Muller 1910, 220-28.
Per agoni di questo tipo cf. Sambin 1955, nonché i vari contenuti sia in Delle Donne 2003 sia in
Delle Donne 2007b.
Sulla questione cf. l’introduzione a Delle Donne 2003, XXXI-LVI, da cui si riprendono qui
alcune considerazioni; nonché Grévin 2008, 341-57, e Grévin 2007-2008, 145-58. Da ultimo, per
un approfondimento ulteriore della questione, sia consentito rimandare a Delle Donne 2012, 10726.
«Controversia habita inter Petrum de Vinea et Nicolaum de Rocca» viene intitolato l’intero
scambio nel ms. conservato a Parigi, Bibl. Nat., Lat. 8567, f. 100v.
Cf. Delle Donne 2003, 34-42 (nrr. 16-23).
Cf. Delle Donne 2003, nr. 16, 34.
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Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
Tuttavia, al di là di questo confronto epistolare, disimpegnato sì, ma combattuto a
colpi di raffinatissime e ricercatissime invenzioni retoriche, non mancano, nello
stesso ambiente, lettere pienamente scherzose e ben più divertenti. È il caso, ad
esempio, di alcune lettere contenute nello stesso codice Fitalia e riportate immediatamente prima di quelle del leone, della lepre e dell’asino: si tratta di uno scambio
epistolare fittizio tra alcune meretrici, «carnalium voluptatum cathedrales magistre»,
e i maestri dello Studium, ovvero dell’università di Napoli; scambio epistolare
attribuibile al maestro Terrisio di Atina, un dictator attivo in epoca sveva presso il
medesimo studium19. La più gustosa è soprattutto la prima lettera, nella quale le
meretrici chiedono ai dottori che non venga arrecato danno alla loro attività, dato
che gli studenti sono ormai privati di denaro dai maestri: «in exactionibus et
collectis vestris ita denudatis eosdem [scolares], quod facti sunt non solvendi; et sic
evacuato in nobis meretricio nomine, mercedem, quam meremur, non possumus
obtinere». Dunque, gli studenti davano tutto quanto avevano ai maestri e non
possedevano più non solo oro e argento, ma neanche «codices et digesta, decreta
cum decretalibus», con i quali essi erano soliti pagare le meretrici per le loro lezioni
notturne. Lo stesso codice Fitalia, una decina di carte prima, riporta, poi, una lettera
con versi finali dello stesso Terrisio, con la quale, in periodo di Carnevale, chiedeva
ai suoi studenti di donargli pingui capponi, come compenso per tutti i suoi preziosi
insegnamenti20.
Data la sequenza delle lettere nel codice Fitalia, si sarebbe tentati di attribuire allo
stesso ambiente, se non allo stesso autore, anche le lettere del leone, della lepre e
dell’asino. Tuttavia, una differenza significativa distingue la tradizione delle lettere
di carattere zoologico da quelle di Terrisio, o a lui attribuibili: queste ultime sono
riportate dal solo codice Fitalia, quelle degli animali, invece, come si è detto, sono
trasmesse da almeno 11 manoscritti, a quanto mi è stato possibile ricostruire.
Quindi, avendo avuto una più ampia circolazione, è possibile che abbiano anche
origine diversa. Purtroppo, i codici non forniscono informazioni sulla loro collocazione cronologica o sulla loro provenienza. Un indizio potrebbe essere fornito
dalla data di comparizione intimata, nella lettera del leone, alla volpe: «septimo
kalendis aprilis». Jacob Wijbrand Muller avanzava l’ipotesi che potesse fare
riferimento alla Pasqua, perché nella tradizione connessa con il Roman de Renart la
volpe veniva convocata per l’Ascensione o per la Pentecoste21. Se fosse così,
secondo Muller, che però interpretava inspiegabilmente quella data come
equivalente al 25 marzo (che tra l’altro sarebbe il giorno dell’Incarnazione di Cristo,
ovvero dell’Annunciazione, inizio dell’anno indizionale in alcune zone come
Firenze e Pisa ma adottato anche da alcuni pontefici), le lettere potrebbero essere
datate al 1201, 1212, 1285, 1296, 1380; invece, più correttamente, dovremmo dire
che la Pasqua capitò il 26 marzo negli anni 1217, 1228, 1307, 1312, 1391. Tuttavia,
aldilà del fatto che la coincidenza con una importante festività liturgica sarebbe stata
esplicitamente dichiarata, c’è da segnalare anche che il ms. di Cortona (f. 47r) data
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Le lettere sono edite in Delle Donne 2009, 221-24 (nrr. 29-30) e in Delle Donne 2010, 153-57
(nrr. 29-30).
Lettera edita Delle Donne 2009, 220-21 (nr. 28) e in Delle Donne 2010, 152-53 (nr. 28).
Muller 1910, 217 e 224.
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Fulvio Delle Donne
«quarto kalendis aprilis», e che il ms. di Sankt Florian (f. 281v), attualizzando un
testo sicuramente più antico, data la seconda lettera in questo modo: «datum in
Nigra Silva trans Danubii fluminis ripas, anno Domini 1408, idus iulii, indiccione
eiusdem». Insomma, in assenza di ulteriori elementi, non è possibile assegnare una
collocazione cronologica più precisa ai due testi. D’altra parte, ribattendo alle ipotesi
di Constantin Höfler, che rinveniva nelle due lettere zoologiche richiami alla
convocazione papale dell’imperatore Federico II al Concilio di Lione del 1245 –
quello in cui sarebbe stato dichiarato deposto – oppure alla convocazione del re
boemo Ottocaro II Premislide alla dieta dei principi elettori tedeschi nel 1274127522, sempre Muller affermava che la ricerca di riferimenti precisi a particolari
eventi storici fosse vana, e che quelle lettere non rappresentavano altro che un centone di reminiscenze tratte da diversi rami del Roman de Renart e da altri racconti
favolistici, e che esse dovevano essere interpretate solo come interessanti contributi
alla conoscenza della più complessiva diffusione della letteratura di animali,
soprattutto nel nord Italia, dove egli – in maniera certamente non convincente,
basandosi solo su percorsi simili di diffusione della letteratura provenzale e antico
francese – determinava la provenienza delle due lettere23.
Tuttavia, l’ipotesi che le lettere di animali possano fare riferimento a situazioni
piuttosto contingenti – sebbene, al momento, non precisamente identificabili – non
solo non è da scartare, ma, anzi, sembra avvalorata da un’altra lettera, piuttosto
simile, anche se meno spassosa24. Si tratta di un’epistola contenuta in un manoscritto
pergamenaceo custodito a Reims, Bibliothèque Municipale, 1275, databile al tardo
XIII secolo e anch’esso connesso con la tradizione non sistematicamente organizzata
del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna25. Questa epistola – che pure viene
pubblicata in appendice26 – è diretta a tutti gli animali del Regno dell’Italia meridionale (chiamato Regnum Apuliae), perché accorrano e si uniscano a combattere per
mantenere la libertà che è garantita dal sovrano di quella terra. Quel sovrano, infatti,
aveva concordato una tregua col re degli animali, garantendo la sicurezza per tutti: la
lepre non ha bisogno della sua agilità, né la volpe della sua scaltrezza e non ci sono
più animali feroci; la terra sembra tornata all’età dell’oro, perché non ci sono più
lance aguzze, trappole e cani aizzati da cacciatori sanguinari.
Il riferimento al re degli animali, nonché alla lepre e alla volpe, rivela una
relazione abbastanza precisa con le due lettere sopra esaminate. Però, qui il
riferimento a una realtà contingente è esplicito, e non soltanto per la menzione del
Regnum Apuliae, ma anche per il modo in cui è caratterizzato il princeps gentium:
«cui terra favet, quo mare stupet, de cuius potencia sol et luna mirantur». Infatti, tale
caratterizzazione appare molto ben connotata e strettamente connessa con la cultura
di età sveva e con la figura di Federico II in particolare.
In realtà, l’espressione «sol et luna mirantur» è tratta dalla liturgia, dal mattutino
di S. Agnese vergine e martire, nell’antifona ispirata alla Passio sanctae Agnesis, del
V secolo, «cuius pulchritudinem sol et luna mirantur, ipsi soli servo fidem»; ma è
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Höfler 1859, 110.
Muller 1910, 227-28.
Su altre lettere zoologiche cf. Feo 1985, 67-73.
Per una descrizione accurata del codice cf. soprattutto Schaller 2002, 314-21.
Essa, in ogni caso, era già stata edita da Wattenbach 1892, 94-95.
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Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
usato anche nell’ordo consecrationis virginum, nell’antifona «ipsi sum desponsata,
cui angeli serviunt, cuius pulchritudinem sol et luna mirantur». Tuttavia, essa si
ritrova ampiamente usata nell’ambiente svevo, per rappresentare l’idea della
signoria sugli elementi naturali; innanzitutto in un elogio di Nicola da Rocca scritto
in onore di Pier della Vigna, che rappresenta il riflesso umano dell’entità divina
imperiale: «[…] magnus ubique Cesar, de cuius potentia sol et luna mirantur»27. Ma
il tema dell’adorazione da parte del mare e della terra si ritrova anche nella lettera di
Federico II inviata nel 1243 ai Romani: «[…] nobis Roma subiaceat, quibus terra
servit, mare favet, et ad nutum omnia desiderata succedunt»28.
D’altra parte, Federico II è continuamente raffigurato misticamente come colui
che è stato posto alla guida del mondo dalla provvidenza divina. Infatti, nell’elogio
in suo onore scritto da Pier della Vigna si dice: «hunc siquidem terra, pontus adorant, et ethera satis applaudunt, utpote qui mundo verus Imperator a divino provisus
culmine, pacis amicus, caritatis patronus, iuris conditor, iusticie conservator,
potentie filius mundum perpetua ratione gubernat»29; frase, questa, che è ricolma di
connotazioni cristologiche e culmina nella citazione di Boezio30. E il coevo poeta
Marcovaldo di Ried scrive, anche se in maniera meno perentoria: «subdita sunt
elementa Deo: quos foverit ille, / Illa fovent, e converso quos urserit urgent. / Adveniente Deo famulo magno Friderico / Sol nitet, aura tepet, aqua bullit, terra
virescit»31. Ma anche in un contesto non latino l’immagine viene reimpiegata, così
che il filo-imperiale Giorgio, χαρτοφύλαξ Καλλιπόλεως, archivista della chiesa
greca di Gallipoli32, in un carme fa parlare Roma, che lamentando il suo abbandono,
si rivolge a Federico, «ᾧ καθυπουργεῖ γῆ, θάλασσα καὶ πόλος», «a cui servono la
terra, il mare e la volta del cielo»33; e un’espressione molto simile era stata usata
anche da Eugenio di Palermo nel carme XXIV dedicato al re normanno Guglielmo I,
antenato di Federico: «ὐπηρετεῖ σoι γῆ, θάλασσα καὶ πόλος»34. D’altra parte,
formule simili rientravano già nella tradizione elogiativa e panegiristica antica: la
complicità degli elementi naturali non rappresenta che un aspetto della felicitas del
sovrano. Esse si ritrovano già in Cicerone, in Stazio, nei Panegyrici Latini, in
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Delle Donne 2003, 31 (nr. 15).
Huillard-Bréholles 1852-61, VI 146. Questa lettera si trova anche nell’epistolario di Pier della
Vigna, 2.8. Cf. Böhmer - Ficker - Winkelmann 1881-1901, nr. 3301, e Zinsmaier 1983, nr. 3301.
Il testo è edito in Delle Donne 2005, 63-64: la citazione è a p. 63.
Consolatio Philosophiae, 3 metr. 9, in cui si invoca Dio con «o qui perpetua mundum ratione
gubernas».
In MGH, SS, IX 625. Forse collegabili a tale concetto di signoria mondiale sono anche le
espressioni dell’epistolario di Pier della Vigna, 2.20 («cui precelsa cacumina montium potenter
inclinat»: questa lettera è edita anche in Huillard-Bréholles 1852-61, VI 439; cf. Böhmer - Ficker
- Winkelmann 1881-1901, nr. 3565, e Zinsmaier 1983, nr. 3565); e Winkelmann 1880, 571 (nr.
725), l. 16 («cuius potentia montes atterrit et inclinat»; cf. Böhmer - Ficker - Winkelmann 18811901, nr. 3569, e Zinsmaier 1983, nr. 3569).
Cf. Gigante 1979, 59 ss.; Gigante 1995, 13 ss.
Gigante 1979, 176, carme 13.24; con trad. it., 188; Gigante 1979, 38, v. 24, con trad. it., 45.
Gigante 1964, 127, v. 3.
- 329 -
Fulvio Delle Donne
Claudiano, in Prisciano, in Corippo e, poi, nella letteratura bizantina, a partire da
Temistio35.
Tuttavia, l’espressione usata nella lettera che stiamo esaminando per caratterizzare il sovrano appare troppo ben connotata culturalmente36. Tanto che non risulta
impensabile che quella epistola sia attribuibile a un dictator dell’ambiente federiciano, e, forse, addirittura a Terrisio di Atina37, anche se è impossibile sostenere
attribuzioni perentorie. E, in un contesto connesso col Regno di Sicilia di epoca
federiciana, se nella lettera si fa riferimento a una precisa situazione contingente, la
menzione della tregua concordata tra il rex gentium e il rex ferarum potrebbe far
pensare alla pace di Ceprano, siglata nel 1230 tra Federico II e Gregorio IX, in
seguito alla invasione del Regno da parte delle truppe papali e alla successiva
riconquista da parte dell’imperatore.
A questo punto, se in quest’ultima epistola il rex ferarum è assimilabile al papa,
anche nelle prime due ci potrebbe essere la medesima assimilazione, anche se, però,
l’eventuale identificazione tra l’imperatore e la volpe non risulterebbe molto
gratificante, se fosse proposta da un sostenitore della fazione sveva. Tuttavia, proseguendo sulla stessa strada, se l’ultima lettera fu effettivamente scritta in connessione
con la pace di Ceprano, le prime due potrebbero essere connesse con il correlato
contesto dei ritardi nell’organizzazione della crociata, promessa da Federico II e
sempre rinviata. In effetti, nell’estate del 1227, Federico partì da Brindisi e subito
tornò indietro, perché si era ammalato: situazione che, da parte papale, fu interpretata come l’ennesima scusa da parte dell’imperatore che non voleva mantenere
gli impegni assunti, e che portò, poi, alla scomunica38. Fu in seguito a quella
scomunica – approfittando dell’assenza di Federico II, partito, nonostante tutto, nel
1228-1229 per la sua crociata incruenta e diplomatica – che il Regno fu invaso dalle
truppe papali e fu poi riconquistato da Federico, per poi tornare alla pace con i
menzionati trattati di Ceprano. Insomma, se l’ipotesi fosse giusta, l’assimilazione di
Federico alla scaltra volpe, che pure si finge ammalata, potrebbe essere suggestiva.
E, a questo punto, tutte e tre le lettere potrebbero essere state prodotte nello stesso
contesto. Ma si tratta solo di un’ipotesi, su cui non conviene insistere ulteriormente,
perché abbiamo a disposizione elementi troppo scarsi e imprecisi.
In conclusione, al di là di interpretazioni tese a proporre contestualizzazioni
storiche e politiche precise, rimane l’interesse culturale e letterario delle tre epistole
esaminate, che da un lato rivelano le interferenze culturali tra due mondi che
generalmente vengono tenuti troppo distinti: quello latino e quello romanzo;
dall’altro dimostrano la ricercatezza retorica di dictatores attivi nelle cancellerie del
35
36
37
38
Cic. Manil. 16.48; Stat. sylv. 4.1.24; pan. Lat. 8(5).7; 4(10).32, 6; Claud. carm. 7.97-98; Prisc.
Anast. 107-11; Coripp. laus Iust. 1.361; Themist. or. 18.221b.
Quasi certamente è attraverso la mediazione dei dictatores svevi che essa ricompare anche in una
lettera (riportata nell’epistolario di Pier della Vigna, 1.38) di Carlo I d’Angiò a Pietro d’Aragona,
ma per esaltare la Chiesa: «Haec est quam terra, pontus aetheraque colunt, adorant, praedicant
[…]».
Sulla questione dell’attribuzione della lettera a Terrisio di Atina si è espresso anche Schaller 1988,
85 e n. 38.
La situazione è nota, ma per un inquadramento complessivo si veda almeno Stürner 2009 e Musca
2005.
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Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
XIII secolo, che, una volta cessati i pesanti impegni quotidiani, amavano svagarsi
con gli stessi strumenti della loro professione, ma mutandone finalità e contenuti.
Ma, evidentemente, se effettivamente quelle lettere fanno riferimento a contesti ben
precisi, anche quando si svagavano non potevano fare a meno di dare voce alle loro
passioni politiche, parteggiando – magari con leggerezza e ironia – per l’una o per
l’altra fazione. Passioni e coinvolgimenti politici, che, alla caduta della dinastia
sveva, portarono alcuni dei più illustri e apprezzati maestri di retorica attivi nella
cancelleria, come Pietro da Prezza, Nicola da Rocca o Enrico di Isernia39, a non
accettare di passare al servizio dei nuovi sovrani angioini, preferendo l’esilio in terre
lontane, magari cercando, da lì, di riannodare le fila della ormai dispersa fazione
ghibellina per il riscatto dell’impero.
APPENDICE
1
Ms.: Palermo, Biblioteca della Società siciliana per la storia patria, I.B.25 (Codice Fitalia), f. 95v
Missiva Leonis ad Asinum et Leporem.
Rex Leo, fortissimus animalium, Asino et Lepori bonam voluntatem.
Cum omne genus ferarum et omnis bestiarum terrestrium multitudo, tam mitium quam
inmitium, nostre iurisdicionis subsint imperio et obediant incunctanter, sola deceptrix
Vulpecula contumax invenitur, que nostre potencie magnitudinem nec veretur nec reveretur,
eademque citata multociens in nostra nunquam voluit curia comparere. Pro cuius excessibus
sedes nostra tota est impleta querelis, et conquerentes de ea nullam potuerunt consequi
racionem. Quapropter fidelitati vestre precipiendo mandamus, quatenus ipsam perhemptorie
citare debeatis, ut pro sibi obiectis nostro se debeat conspectui presentare septimo kalendis
aprilis, gallis40 et gallinis in iudicio responsura. Diem vero citacionis, formam presencium,
coram quibus eam citaveritis vestris nobis licteris rescribatis41.
2
Ms.: Palermo, Biblioteca della Società siciliana per la storia patria, I.B.25 (Codice Fitalia), ff.
95v-96v
Responsiva ad eandem.
Fortissimo regi regum, dominanti omni generi ferarum42 et bestiarum que sub celo sunt,
magnifico domino Leoni Asinus et Lepus sui servi humiles, cum omni recommendacione,
ad vestigia pedum oscula beatorum43.
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41
42
Sui personaggi cf. Müller 1913, Kloos 1954, 88-108, l’introduzione a Delle Donne 2003, Schaller
1993.
Il ms. Fitalia riporta gallinis, ripetendo la medesima parola anche dopo: si tratta di un evidente
errore del ms., che, pertanto, è stato corretto sulla base degli altri testimoni.
L’ultima frase, nel ms. Fitalia, è piuttosto diversa da quella tràdita dagli altri codici, che
generalmente – ovvero al di là di piccole varianti – riportano questa forma: «Formam citationis,
diem, coram quibus et quicquid inde feceritis nobis postmodum per litteras vestras intimare
curetis». Questa variazione dimostra l’assoluta peculiarità del ms. Fitalia.
Il ms. Fitalia scrive ferrarum, che poi viene corretto successivamente con l’espunzione di una r.
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Fulvio Delle Donne
Regalis magnificentie summos apices et metuendos pronis vultibus, osculo suscipientes
ad prosequendum vestre iussionis officium, nobis iniunctum iuxta formam vestri mandati
cum idoneis testibus, sine aliqua tarditate Vulpem adivimus citaturi, quam in quadam specu
valde prerupta, nimie altitudinis, ultra orrenda Menala44, que ascensus nec homini facilis
erat nec adeunda feris, invenimus, rebellionis pocius quam obedientie animum pretendentem. Cumque ad locum tam arduum ascendere non possemus, cum alterum nostrum
reliquum timor urgeret45, fidum et fidelem socium nostrum, dominum Caprum barbatum,
senem et circumspectum in omnibus, sursum rogavimus ascensurum. Qui, non egre ferens
nostrarum precum instanciam, ascendit ad locum et ipsi Vulpi egrotanti et simulanti
adventum nostrum exposuit et causam; qui46 vix obtinuit ut ex illa supereminenti nobis
specula loqueretur, nedum quod ad nos vellet descendere mandatum regium subsceptura.
Per quandam tamen rimulam emisso capite cucullato, prorumpens in verba, quod non erat
ad curiam citanda47, excepcionem duplicem allegavit: primo, quod gravi se dicebat
infirmitate detentam; secundo, quod rediens48 ad cor suum pro multis maleficiis dudum
commissis religionis susceperat habitum, Deo celi et non regi ferarum de cetero responsura;
et ideo, retrusa in heremo, contemplacioni dedita, reddire49 nullatenus <vitam>50 proposerat
ad activam. Unde cum multa instancia se volens ostendere, de vicio ad virtutem esse
divinitus permutatam, fratrem leporem demulcebat, ut ad ipsam secure ascenderet, sibi
reconciliaturus, propter multa mala que fratri lepori et persecuciones innumeras multociens
irrogavit; qui, saniori utens consilio, fraudulentam51 reconciliationis gratiam evitavit. Nos
tamen volentes plenius de infirmitate cognoscere, frater noster Asinus, cuius sensus in omni
parte medicine theoricus invenitur, urinam sibi petiit presentari; qua presentata nullius
infirmitatis signa cognovit, ymmo pocius integrata sanitatis. Denique attendentes quod nil
proficeremus ibidem, inde discessimus et divertimus ad villam Mennoni52, que non multum
distabat, ibi pernoctare credentes. Sed tanta erant ibi lamenta, tot ploratus et ululatus que
galli et galline promebant perditis filiis et filiabus, quos vulpes ipsa voraverat, quod ab ipso
loco discessimus, cum leta tristibus non concordent. Et cum transitum haberemus per
quedam devia lustra53, ecce frater Lupus prono vultu nobis occurrit, volens nos ducere in
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Anche in questo caso, nella sua assoluta peculiarità, il ms. Fitalia porta come mittenti sia l’asino
che la lepre, mentre gli altri testimoni – e in maniera logicamente più coerente, perché alla fine si
dice che l’asino era stato sbranato dal lupo – solo la lepre. Anche in seguito, di conseguenza, il
ms. Fitalia fa parlare entrambi gli animali – modificando congruentemente il testo – invece che la
sola lepre.
Il ms. Fitalia riporta menia, ma Muller 1910, 214, scrive Menala, basandosi sul ms. di Utrecht,
lezione sicuramente corretta, perché rimanda a Ov. met. 1.219: Maenala transieram latebris
horrenda ferarum.
Gli altri mss. riportano generalmente e più congruamente: «cum alterum nostrum gravitas,
alterum vero timor urgeret». Il testo, tuttavia, non è stato corretto, perché dimostra con evidenza
un tentativo di adattamento o una precisa volontà di riscrittura.
Anche qui è stato corretto il meno perspicuo que del ms. Fitalia.
È stato emendato il sicuramente errato citandam del ms.
Il ms. scrive reddiens.
Il ms. scrive reddire.
L’integrazione, recuperata dagli altri testimoni, è necessaria.
È stato emendato il sicuramente errato fraudulentem del ms.
Il ms. Fitalia riporta l’incomprensibile Neemoth; Muller 1910, 215; si è deciso di emendare in
Mennoni, che, come attesta il glossario di C. Du Cange, sta a indicare il caprone castrato.
L’espressione per devia lustra rimanda a Ov. met. 3.146.
- 332 -
Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
domum suam, hospicium prestaturus; quod frater noster Asinus penitus recusavit, stillans
mihi in auribus hoc secretum, illa esse fugienda hospicia, que introrsum habent vestigia et
non retrorsum54. Nocte vero superveniente, iam nos quiescere oportebat; Simius55 domine
Vulpis camerarius nobis occurrit, qui ducens nos ad suum hospitium, pullos, gallos, gallinas,
columbas, anseres et omnia genera pennatorum mense apposuit et famem nostram multis
deliciis epulavit. Sed, pro dolor!, ad primum gallicinium ecce clamor factus est. Venit enim
et latro lupus, qui cum complicibus suis, hostia propulsavit. Quo percepto vix ego lepus per
posticum evasi; sed socius noster Asinus utpote tardus et gravis ad fugam, lupinis faucibus
preda remansit et esca.
Quod regie maiestati duxi presentibus intimandum, quod pro nimia fuga ita confracta
sunt omnia ossa mea, quod ad pedes56 vestre celsitudinis venire non potui tot pericula
relaturus. Actendat itaque, si placet, prudencia vestra regia sui regni pericula, et, antequam
crescant57 in inmensum, sumatis58 gladium ad vindictam. Multa namque ulcioni debentur in
regno vestro, que si non fuerint in brevi tempora resecata, ita dilatabitur malicia et crescet
iniquitas, quod nullam poteritis sumere59 medicinam, iuxta illud: «Principiis obsta, sero
medicina paratur, / Cum mala per longas convaluere moras»60. Nam si vestris legatis et
nunciis talia facta sunt, quod aliis peiora fiant vestris non est sensibus dubitandum.
3
Ms.: Reims, Bibliothèque Municipale, 1275, f. 43r
Universis animalibus eadem lege viventibus fere bestie de regno Apullie, gressus elegere
tuciores.
Communis participii regula nos monere vos ammonet, et a nobis ipsis addicimus, quod
vestram innocenciam cupimus edocere, cottidiane siquidem retributionis experiencia
cognita, quod de vobis futurus eventus insinuet, infallibiliter sillogizat. Nam cum ad hoc
nostra creata sint corpora, ut fuge semper presidium amplectamur et timoris nos species
apprehendat, de quibus canes peribent testimonium veritati, prout in hoc nostra mutetur
condicio, cui naturalis conveniencia suffragatur, argumentum ex impossibili formaretur.
Licet ergo sit nobis lex eadem et condicio non diversa, in hoc precipue status noster
relevatus esse dignoscitur, quod, quamquam non perpetuo, temporali tamen utimur
privilegio libertatis. Princeps enim gencium, cui terra favet, quo mare stupet, de cuius
potencia sol et luna mirantur, de nostra et nostrorum visitatione letatus61, quem nostra
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61
Il ms. scrive rectorsum; anche et non è stato aggiunto sul rigo da mano posteriore. È evidente la
citazione di Hor. epist. 1.1.74-75: me vestigia terrent, / omnia te aduersum spectantia, nulla
retrorsum, che è quello che risponde «vulpes aegroto cauta leoni».
Gli altri mss. non danno un nome o una precisa raffigurazione zoomorfa a questo personaggio, ma
scrivono generalmente: «ecce camerarius domine vulpis nobis occurrit». Indubbiamente l’introduzione della poco comune forma maschile, nonché dell’animale, che non si incontra di certo nei
boschi italiani o europei, lascia perplessi, ma si è preferito non intervenire su questa lezione, così
caratterizzata, del codice Fitalia.
Nel ms. segue cel poi cancellato.
È stato emendato il sicuramente errato crescat del ms.
Il ms. scrive summatis.
Il ms. scrive summere.
Ov. rem. 91-92.
Il ms. riporta locatus: si è accolto l’emendamento proposto da Wattenbach 1892, 94.
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Fulvio Delle Donne
presencia recreat, quem noster ludus renovat, nolens nos, suos62 subditos, sub cuiuslibet
pedibus cunculcari, nolens etiam, ut capta de nobis preda, que ora solummodo delicata
perfundit, illorum ventrem reficeret, quem miliarius crebro panis vix reficit famescentem,
treugam cum rege ferarum63 iniit et securitatem nobis prestitit temporalem, gressus nostros,
de quibus motus predicatur et cursus, in melius dirigens, in quietis nos vertit speciem, et
artem nostram mutans in regulam et vertens naturalia in statutum. Leporis etiam fratris
nostri passus agilitas in actum non proditur, sororis nostre vulpis ingenium nullum sue artis
operatur effectum, et desertum in parte deseritur feris silvestribus habitandum. Cuncta nobis
arrident prospera, fertilitatis gaudemus indiciis, super aquas refectionis64 est locus noster,
solito more non quatimur, cursu precipiti non vexamur. Iacet pro nobis acuta lancea, laquei
non parantur insidie, canis insequentis austeritas nec vocem provocat nec singultum, et viri
sanguinum, ut nostre sint cedis immunes, manus in cinere lavaverunt.
Invitamus vos, fratres, ad terram viventium, ad terram fluentem securitatis ex amne65, ut
cortina cortinam trahat, et congregationis nostre dispersio coadunetur ad invicem, et
societatis nostre diffuse particule reducantur ad punctum, et tunc dicat qui viderit: «Ecce
quam bonum et quam iocundum, habitare fratres in unum»66.
Quid enim in hac vita felicius quam libertas? Quid miserius quam timide subiectionis
instancia? Sane si opinionis recte iudicium investigatur ad plenum, si facti qualitas verum
prebeat intellectum, si sensualitatis nostre credulitas, que omnem sensum exuberat, utpote
tot et tantis ornata ministris, veritatem exquirat, ad quid aliud fremuerunt gentes meditantes
inania67, nisi ut crescat nostre societatis industria? O quam vane sunt cogitationes hominum,
quam insipienter reducuntur ad metam! Numquid enim tute domestici stabunt in domibus et
homines castra repetent, cum cumpago nostri corporis intacta remanserit et excrescet
silvestrium multitudo? Quod si aliud excogitate fraudis nequicia incaute precogitent, ut cum
ferarum68 copia fuerit, copiosa sibi preda paretur, pro preda forsan guerram invenient et pro
cibo vulnera reportabunt et plagas, et sic frustrabitur eorum oppinio et evacuabitur iniquitas
preoccupata.
Cum igitur, quod a pluribus queritur, facilius soleat inveniri, omnes unanimiter
properetis ad iter, et idemptitatis spiritum inducentes totis viribus armemur ad69 bellum, ut,
cum necessitatis imminebit articulus, nostram victoriosam potenciam armatam inveniant, et
a sue furiositate voluntatis exclusos et a sua nequicia senciant se deceptos. Esset namque
forte possibile, ut nostre congregationis armata milicia de suis hostibus triumphante,
obtineret triumphum.
Università degli Studi della Basilicata
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Fulvio Delle Donne
Il ms. riporta esse: si è accolto l’emendamento proposto da Wattenbach 1892, 94.
Il ms. scrive ferrarum.
Cf. Vulg. ps. 22.2: me conlocavit super aquam refectionis.
Il ms. riporta examen: si è accolto l’emendamento proposto da Wattenbach 1892, 95.
Vulg. ps. 132.1.
Cf. Vulg. ps. 2.1: fremuerunt gentes et populi meditati sunt inania.
Il ms. scrive ferrarum.
Il ms. riporta ab: si è accolto l’emendamento proposto da Wattenbach 1892, 95.
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Narrativa zoologica, letteratura romanza ed epistolografia cancelleresca latina
in epoca sveva
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Abstract: The ars dictaminis is the most original form of theory and application of medieval
rhetoric: it was used mainly in establishing rules for the perfect composition of letters, both official,
and friendly. In this paper will be examined and published three letters written by notaries of the
royal chancery. They are fictitious and have animals as protagonists: they refer to the romance
literature and to the Roman de Renart, but contain specific links with the political organization of
Southern Italy in the 13th century and with the political conception of its Swabian kings.
Keywords: Ars dictaminis, Medioeval epistolography, Petrus de Vinea.
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