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Le competenze dinamiche a supporto dell’imprenditorialità aziendale: analisi di un caso visibile di discontinuità tecnologica* GIANMARIO VERONA ** Abstract Obiettivo del paper: Nell’articolo si offre un’analisi del ruolo delle competenze dinamiche per far fronte ai processi di cambiamento tecnologico. Metodologia: Dopo aver analizzato il significato del costrutto “competenza dinamica” cercando in particolare di differenziarlo dal costrutto “competenza organizzativa”, si passano in rassegna i principali limiti in esso insiti e si richiamano in modo sintetico le sfide metodologiche per cercare di risolverli. A questo proposito si propone un caso “visibile” (Pettigrew, 1990) di competenza dinamica, legato all’ascesa, declino e rinascita dell’elettronica in Olivetti (Danneels et al., 2012). Risultati: Nell’articolo si illustra una possibile forma di competenza dinamica emersa nel passaggio dalla meccanica all’elettronica nell’azienda di Ivrea che ha contribuito a fare la storia del capitalismo italiano. Limiti della ricerca: Come ogni caso longitudinale, l’articolo presenta i limiti di generalizzabilità e richiede un test quantitativo per rendere il risultato estendibile ad altri contesti spazio-temporali. Implicazioni pratiche: Si evidenzia l’importanza dell’imprenditorialità aziendale e si illustra il ruolo che le competenze dinamiche giocano a tal proposito. Originalità del lavoro: Sono pochi i paper che analizzano in profondità il costrutto di competenze dinamiche. Sono pochi i lavori che lo combinano con eventi legati a shock esogeni. In quanto tale il lavoro offre un contributo complementare alla letteratura esistente sul tema. Parole chiave: competenze dinamiche; competenze organizzative; risorse; discontinuità tecnologiche; cambiamento tecnologico; Olivetti * ** Il paper è sostanzialmente ispirato al lavoro di ricerca svolto con Erwin Danneels di University of Southern Florida e Bernardino Provera di General Electric, cui vanno i più sentiti ringraziamenti. La presente versione è stata presentata al workshop di Sinergie svoltosi a Napoli presso Università Federico II nel 2013 e i commenti ricevuti dai partecipanti e dai relatori sono stati particolarmente preziosi per migliorarne la stesura. Ad essi vanno anche aggiunti i commenti preziosi ricevuti da un reviewer in fase di referaggio. Naturalmente, i vizi di forma e di contenuto sono esclusivamente imputabili all’autore. Da ultimo, mi preme ringraziare Roberto Vona per la singolare dedizione e passione con cui ha immaginato e organizzato questo Quaderno di Sinergie. Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università Bocconi e-mail: [email protected] sinergie, quaderni n. 17 Giugno 2014, pp. 161-174 ISSN 0393-5108 – DOI 10.7433/q17.2014.10 Ricevuto: 12/11/2013 Revisionato: 14/02/2014 Accettato: 10/04/2014 162 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE Purpose of the paper: The article analyzes dynamic capabilities to sustain processes of technological change. Methodology: After reviewing the “dynamic capabilities” construct - highlighting core differences with the organizational capabilities literature -, I review its fundamental limitations according to current critiques and identify some methodological challenges to unfold its complexity. To this end, I analyze a “visible” case (Pettigrew, 1990) of dynamic capabilities - a case related to the emergence, decline and re-launch of electronics at Olivetti (Danneels et al., 2012). Findings: I specifically identify and discuss a type of dynamic capability used by senior management to transit from mechanics to electronics. Research limitations: As a single case study the papr is subject to generalizability limitations and requires an extensive test to confirm its formal validity. Practical implications: In the discussion section I highlight the fundamental role of corporate entrepreneurship and the crucial role of dynamic capabilities as potential driver. Originality of the paper: Few in epth case study have been provided on dynamica capabilities. And few more have provided in depth description of technological discontinuities. As such the paper provides a complimentary description of change opportunities for incumbents. Key words: dynamic capabilities; organizational competences; resources; technoplogical discontinuity; technological change; Olivetti 1. Introduzione Come fanno le imprese ad adattarsi a cambiamenti tecnologici e di mercato discontinui? Quali sono i principi strategici che esse possono seguire a fronte di mutazioni ambientali radicali di tecnologie, clienti e prodotti? Le domande in oggetto sono diventate particolarmente rilevanti negli ultimi anni in un gran numero di settori e mercati caratterizzati dalle dinamiche inesorabilmente convergenti dell’economia globale. Sono domande, peraltro, che stanno andando ben oltre ai settori che presentano un DNA tecnologico (come, ad esempio, le industrie relative al calcolo, al farmaceutico, alla telefonia); sono infatti domande sempre più incluse nell’ordine del giorno delle agende di Amministratori Delegati e Direttori Generali anche di settori più tradizionali e per loro natura lontani dalla tecnologia, ma che sono stati investiti trasversalmente negli ultimi anni dal web e dai media digitali (si pensi solo a titolo esemplificativo all’industria del contenuto, inclusiva di stampa, istruzione e media televisivi). Nonostante la rilevanze le risposte sono latenti e spesso carenti. Nel cercare di dare una risposta convincente al cambiamento tecnologico, la teoria strategica vigente ha storicamente dato supremazia al contesto ambientale esterno (Porter, 1980; 1985) o alle risorse d’impresa (Barney, 1991; Peteraf, 1993). Seppur difatti il fenomeno in questione non fosse centrale nelle dissertazioni di libri e articoli appartenenti al cosiddetto Strategic Management, una risposta plausibile al problema del cambiamento tecnologico deducibile dalle teorie strategiche dominanti è ascrivibile rispettivamente all’adattamento e all’attivazione (si veda per ricche review sul tema e proposte interpretative: Vicari, 1989; Di Bernardo e Rullani, GIANMARIO VERONA 163 1990; Golinelli, 2000). Adattamento all’ambiente esterno o in alternativa effetto leva sulle risorse d’impresa sono i due processi strategici suggeriti a chi si trova ad affrontare un cambiamento radicale. Ma a quale ambiente occorre far riferimento quando l’intero ecosistema muta - e muta radicalmente? E quale può essere l’effetto leva sulle risorse, se le risorse a disposizione di chi fa strategia sono rese obsolete dal cambiamento radicale? A partire dalla fine degli anni Novanta, un gruppo di ricercatori ha cominciato a fornire una risposta plausibile alle domande poste a inizio di queste pagine impiegando il costrutto delle “competenze dinamiche” (Teece et al., 1997; Helfat et al., 2007). Stando all’articolo seminale che ha dato origine a questa scuola di pensiero, tali competenze di interfaccia tra le risorse d’impresa e il contesto esterno, servirebbero proprio alla capacità di adattamento al contesto tecnologico e di mercato che muta nel corso degli anni. Ma in cosa si differenziano specificamente tali competenze rispetto alle competenze ben illustrate dalla teoria strategica tradizionale (come ad esempio in Prahalad e Hamel, 1990; Grant, 1996)? E di cosa consta la loro natura empirica? In questo lavoro passo in rassegna alcune prospettive di riferimento per approfondire il costrutto delle competenze dinamiche e cercheremo di illustrare le competenze dinamiche “in azione” attraverso un caso visibile (Pettigrew, 1990) che ne consente una possibile visualizzazione. Attraverso una breve illustrazione dell’ascesa, del declino e della rinascita delle competenze elettroniche rispetto alle competenze meccaniche nel caso Olivetti (Danneels et al., 2012), si evidenzia come le competenze dinamiche afferiscono all’azione compiuta da agenti organizzativi in grado di influenzare la strategia e la politica aziendale e in grado di combattere l’inerzia tecnologica, cognitiva e istituzionale che caratterizza per sua natura le competenze organizzative. Si conclude, con alcune indicazioni per la ricerca futura legata al tema delle competenze dinamiche, illustrando il loro ruolo centrale rispetto al tema dell’imprenditorialità aziendale. 2. Competenze organizzative e competenze dinamiche Le competenze sono un sistema basato sulla conoscenza (Grant, 1996), che consta essenzialmente di quattro dimensioni: skill; sistemi tecnici; sistemi manageriali; valori e norme (Leonard Barton, 1992). Mentre le skill degli individui e i sistemi tecnici (quali sistemi di produzione e sistemi informativi) ne rappresentano i “contenitori”, i sistemi manageriali (quali i sistemi di incentivo, programmi di apprendimento, sistemi di controllo e così via) e le norme e valori d’azienda ne rappresentano gli elementi di creazione e controllo. Il problema delle competenze così rappresentate è che hanno nel proprio DNA una forma di inerzia endogena che non permette loro di evolvere verso orizzonti alternativi. E seppure distintive, da competenze possono trasformarsi nel corso degli anni in rigidità - altrettanto distintive (Leonard Barton, 1992). 164 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE L’inerzia può assumere varie forme. Quella di natura tecnica ad esempio riguarda la natura intrinseca delle competenze che cambiano nel corso del tempo nell’ambito dei settori e che richiedono di andare oltre le conoscenze esistenti (Tushman e Anderson, 1986) - si pensi a quanto accaduto nel settore farmaceutico con la rivoluzione biotecnologica e al conseguente cambiamento del paradigma di formulazione di un farmaco. L’inerzia può anche assumere forme di natura economica in quanto un’azienda non ha incentivo a cannibalizzare i propri profitti con nuove tecnologie (Christensen e Bower, 1996). L’inerzia tuttavia può anche assumere nel corso degli anni anche delle sfaccettature più complesse. Ad esempio, essa può riguardare la comprensione dei problemi e assumere quindi valenza cognitiva - come è accaduto nel celebre caso di Polaroid che non è riuscita a passare alla tecnologia dell’instant imaging digitale (Tripsas e Gavetti, 2000). Essa in alcune circostanze può addirittura intaccare la sfera morale e politica degli attori coinvolti nei processi aziendali e limitare così il cambiamento anche per un problema istituzionale (Danneels et al., 2012). In estrema sintesi, la teoria delle competenze e delle risorse, seppur centrale nella formulazione strategica non riesce a fornire una risposta plausibile al cambiamento tecnologico. Una ricca letteratura di matrice sociologico-organizzativa, difatti, giunge a proporre l’idea dell’impossibilità delle imprese di cambiare proprio a causa dell’inerzia strutturale (Hannan e Freeman, 1984). La spiegazione del comportamento altamente dinamico di alcune imprese è invece proprio da ricercarsi nella loro abilità di abbracciare una logica di cambiamento tecnologico - il cui fenomeno viene messo al centro della scuola delle competenze dinamiche. In ambienti dinamici, tipici dei contesti ad alta intensità di tecnologia, le competenze devono cioè presentare natura dinamica 1. Il sostenimento del vantaggio competitivo è frutto cioè di una competizione “Schumpeteriana” ovvero della capacità di introdurre con continuità innovazioni di prodotto e di processo. Teece et al., (1997), evidenziano che per poter generare valore le competenze devono essere in grado di esercitare tre processi di fondamentale importanza: l’integrazione; l’apprendimento; la riconfigurazione. In primo luogo, le competenze devono essere in grado di coordinare tra loro le risorse di cui l’impresa dispone per finalizzarle in modo coerente alla generazione del vantaggio competitivo. Le competenze sono infatti cluster integrati di risorse che permettono di realizzare attività distintive nell’ambito dell’impresa. Le risorse, al contrario, sono firm-specific asset (si veda anche Grant, 1996), sono considerate delle vere e proprie “posizioni” di natura statica; sono, in altre parole, delle unità 1 Nel manifesto delle competenze dinamiche gli autori espongono l’idea alla base del costrutto portante della teoria nel seguente modo: “The term ‘dynamic’ refers to the capacity to renew competences so as to achieve congruence with changing environment (…). The term ‘capabilities’ emphasize the role of Strategic Management in appropriately adapting, integrating, and reconfiguring internal and external organizational skills, resources, and functional competences to match the requirements of a changing world” (Teece et al., 1997, p. 510). GIANMARIO VERONA 165 aziendali elementari quali gli asset tecnologici (impianti, brevetti, sistemi informativi), finanziari (cash e crediti), e di marketing (marchi, insegne, sistemi di CRM). Spesso, inoltre, gli asset si riscontrano all’esterno dell’azienda ed è quindi opportuno avere l’opportunità di integrarli dall’esterno. L’operato delle aziende di successo in contesti ad alta velocità è innanzitutto frutto di questa capacità di integrazione degli asset interni ed esterni. In secondo luogo, la generazione del vantaggio competitivo in contesti dinamici porta le competenze sopracitate a esercitare continuamente capacità di apprendimento. Apprendere significa generare nuova conoscenza sia con attività di problem-solving sia tramite creazione di errori (Argyris e Schoen, 1978). L’apprendimento interno ed esterno deve essere una prerogativa delle competenze dinamiche, poiché l’evoluzione dei mercati comporta un continuo cambiamento nell’utilizzo delle tecnologie e una evoluzione rispetto ad esse. Per questa ragione diventa estremamente utile l’attività di learning che l’implementazione della competenza consente di attivare. Come evidenziano gli esempi legati alla convergenza nel settore delle telecomunicazioni, l’apprendimento viene abitualmente esercitato lungo una traiettoria lineare (path), che spesso può delimitare il percorso di crescita della stessa impresa, generando l’annoso problema della dipendenza da traiettoria pathdependency - (Nelson e Winter, 1982). È quindi opportuno andare oltre i vincoli imposti dalla traiettoria stessa per generare competenze dinamiche. Per questa ragione, le competenze dinamiche che consentono di sostenere il vantaggio competitivo in condizioni di profondo cambiamento ambientale, portano anche alla riconfigurazione delle risorse stesse. La riconfigurazione è un processo che garantisce il cambiamento della logica di gestione, entro il sentiero di apprendimento, a favore di un percorso che permetta un’evoluzione più completa (Argyris e Schoen, 1978; Nelson e Winter, 1982). Ma come fanno le competenze dinamiche a conciliare integrazione, apprendimento e riconfigurazione con l’inerzia che incontra la natura stessa delle competenze? Quali sono le loro caratteristiche indipendenti dall’inerzia se pure sono competenze? Allo stato attuale la risposta è duplice. Anzitutto, è possibile interpretare da un punto di vista gerarchico l’organizzazione delle competenze (Grant, 1996). Ad esempio, Winter (2003) a partire dall’idea di Collis (1994) illustra efficacemente come le competenze dinamiche siano un ordine di competenze superiore alle competenze organizzative tradizionali (chiamate nel suo lavoro competenze operative). Quest’ultime sono le competenze che permettono all’azienda di raggiungere un guadagno in equilibrio, le competenze dinamiche sono invece competenze che permettono di mutare le competenze operative stesse. Danneels (2002) offre a questo proposito interessanti casi concreti di competenze dinamiche di mercato di ordine superiore. Così come Stadler et al., (2013) forniscono una rappresentazione delle competenze dinamiche tecnologiche nell’industria del petrolio. Le aziende in questione hanno determinate competenze legate all’identificazione di pozzi petroliferi e all’estrazione di petrolio negli stessi. La 166 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE gestione di specifiche tecnologie legate allo scanning e alla perforazione consente una sostanziale mutazione delle competenze in oggetto e in quanto tali sono una forma di competenza dinamica. In quest’ottica, recentemente Teece (2007) ha riassunto in tre principali attività il ruolo svolto dalle competenze dinamiche: il monitoraggio (scanning), la configurazione (seizing) e la riconfigurazione (reconfiguring). Una seconda risposta porta a un’interpretazione delle competenze dinamiche non tanto gerarchica (cioè verticale), quanto legata alla divisione del lavoro (orizzontale). Questa spiegazione risiede nella visione ambidestra dell’organizzazione offerta da O’Reilly III and Tushman (2008; 2013). Stando agli autori, le aziende riescono a superare i cambiamenti tecnologici attivando una divisione del lavoro organizzativo in grado di coltivare la sperimentazione del futuro senza per questo negare lo sfruttamento del presente. La logica ambidestra permette alle imprese di continuare ad alimentare le business unit dedicate alla gestione del presente e allo stesso consente di creare spazi strategici per la sperimentazione. Sperimentazione, i cui risultati, nel corso degli anni vengono trasferiti nell’unità di sfruttamento quando i tempi diventano maturi. Questa capacità di coltivare il futuro in spazi adeguati e differenti dal presente e, congiuntamente, di trasferirlo nella gestione dell’azienda quando diventa necessario è quella che gli autori chiamano ambidextrity as dynamic capability (O’Reilly III e Tushman, 2008). Ne è prova ed esempio la divisione Emerging Business Opportunity di IBM, che rappresenta una unità separata di exploration e che incide anche sul presente in quanto trasferisce l’operato una volta che l’organizzazione IBM è pronta a riceverlo (O’Reilly III et al., 2009). Ne è anche prova empirica il processo di internal corporate venturing messo in campo dalle multinazionali (Burgelman, 1983). 3. Obiezioni e opzioni metodologiche Le competenze dinamiche rappresentano una risposta tanto affascinante quanto, agli occhi di molti, discutibile. Tre sono le principali critiche metodologiche che passeremo in rassegna e che si riconducono: (a) alle molteplici interpretazioni (spesso divergenti) di competenze dinamiche; (b) all’eccessiva teorizzazione del costrutto che richiede analisi empiriche a trecentosessanta gradi, (c) alla tautologia insita nel costrutto che include la variabile dipendente. Una prima critica che rischia di compromettere l’evoluzione teorica del tema si riconduce alle molteplici interpretazioni e assunti presi a riferimento per teorizzare le suddette competenze. Come è stato recentemente osservato, vi sono almeno due visioni dominanti che rischiano di essere spiazzanti per la loro diversità agli occhi di chi cerca di usare questo frame come modello interpretativo (Peteraf et al., 2013). Una prima interpretazione vede le competenze dinamiche alla base di una teoria del vantaggio competitivo e le interpreta come una combinazione di asset e risorse ad elevato livello di complessità che vengono intenzionalmente gestite dal senior management attraverso una serie di sotto processi tra cui il monitoraggio, il GIANMARIO VERONA 167 deployment e la riconfigurazione (Teece et al., 1997; Teece, 2007). Una seconda interpretazione vigente le intende invece come best practice organizzative (quindi per definizione non finalizzate alla generazione del vantaggio competitivo) che hanno una complessità differente a seconda della velocità degli ambienti in cui vengono attivate - in ambiente moderatamente dinamici esse assumono la forma di best practice, ma in ambiente altamente dinamici una configurazione estremamente semplice e altrettanto volatile (Eisenhardt e Martin, 2000). Le due prospettive derivano da una posizione disciplinare differente: la prima relativa all’economia evoluzionista e agli studi di strategia; la seconda alla teoria organizzativa e più precisamente alla teoria di comportamento organizzativo. Oltre a partire da assunti differenti, offrono implicazioni radicalmente differenti dal punto di vista del vantaggio competitivo. Da questo punto di vista, quando si prende a riferimento il costrutto delle competenze dinamiche occorre chiarire a cosa si vuol far riferimento dal punto di vista della prospettiva teorico/disciplinare - pena il rischio di far riferimento a un costrutto generico senza avere un appiglio e una strumentazione (sia concettuale sia operativa) consona. Una seconda critica si riconduce all’eccesso di teorizzazione delle competenze in oggetto. Seppur una importante scusante è la relativa giovane età della disciplina e il fatto annesso che gran parte dei lavori si trovino ancora a uno stato fondativo (Di Stefano et al., 2010), è altresì vero che è disarmante osservare il costante tentativo di ridefinire il costrutto anziché il cercare di operazionalizzare empiricamente il fenomeno (Helfat e Winter, 2011). Da questo punto di vista diventa cruciale investigare empiricamente il costrutto possibilmente con studi longitudinali che siano in grado di valorizzare anche una serie di variabili di controllo. Una terza critica sistematicamente rivolta alla scuola di pensiero in oggetto si riconduce all’annessa tautologia (Arend e Bromiley, 2009). Se le competenze dinamiche includono nella propria definizione l’adattamento al cambiamento come è possibile verificarne il loro valore? Se esse cioè si autodefiniscono con la variabile dipendente che cercano di spiegare, come è possibile trarne utilità teorica e pratica? A questa critica, i principali sostenitori della prospettiva tradizionale hanno proposto una netta separazione tra la definizione del costrutto e l’abilità effettiva di conseguire una perfomance tecnica o evolutiva (Helfat et al., 2007). In particolare, le competenze dinamiche sono state semplicemente definite in qualità di “capacity of an organization to purposefully create, extend, and modify its resource base”. Dove la “resource base” include “the tangible, intangible, and human assets (or resources) as well as capabilities which the organization owns, controls, or has access to on a preferential basis” (Helfat et al., 2007, p. 4). Separando in misura netta la variabile dipendente (performance legata alla capacità di adattamento e alla capacità di conseguire risultati) dalle definizione di competenze dinamiche, è possibile avere una idea precisa e non endogena della variabile esplicativa della capacità di adattamento. 168 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE In estrema sintesi, il chiarimento della prospettiva di analisi teorico/disciplinare di riferimento e gli annessi assunti, lo sviluppo di una analisi empirica possibilmente micro dal punto di vista delle variabili e in grado di separare le competenze dinamiche dall’outcome rappresentano tre importanti strade per aiutare alla comprensione di questo importante fenomeno. 4. Un caso empirico di competenze dinamiche per la transizione tecnologica Il caso “visibile” riguarda Olivetti e, in particolare, il periodo di leadership che ha visto l’azienda transitare dalla meccanica delle macchine da scrivere all’elettronica dei computer da tavolo e che è stato riprodotto con dettaglio grazie all’impiego di tre archivi storici (Archivio Olivetti, Fondazione Natale Capellaro, Archivio Fiat) e alla generosa disponibilità di diciotto manager che hanno vissuto i gloriosi anni dell’azienda di Ivrea (tra cui Gianluigi Gabetti, Bruno Lamborghini, Elserino Piol e Ottorino Beltrami) e Quattro esperti (Giovanni DeWitt, Francesco Novara, Giuseppe Rao, Giuseppe Silmo), che si sono tutti resi disponibili, grazie a una serie di incontri e interviste, a ricostruire nei dettagli il passaggio dalla meccanica all’elettronica (si rimanda a Danneels et al., 2012). Il caso è visibile in quanto mi sembra risponda bene ai tre punti espressi nel paragrafo precedente. In primo luogo fa riferimento a un problema strategico rilevante che riguarda un ambiente che ha subito un cambiamento tecnologico repentino e discontinuo e può essere analizzato attraverso le lenti strategiche dell’approccio evoluzionista alle dynamic capabilities. In secondo luogo, è un caso ricco che permette non solo di osservare empiricamente le variabili sotto osservazione, ma consente di includere altre possibili spiegazioni in qualità di controllo. In terzo luogo consente di visualizzare separatamente la variabile dipendente (passaggio da meccanica ad elettronica) rispetto alle competenze che hanno consentito la transizione. Il settore delle macchine da calcolo si è evoluto nel corso degli anni nel settore dei personal computer e la Olivetti era leader in meccanica prima dell’avvento dell’elettronica ed è divenuta una delle aziende principali in Europa dei personal computer. Capire quali sono le competenze che hanno permesso questo passaggio esclude il problema della tautologia. Breve storia di Olivetti Nata nel lontano 1908 per opera di Camillo Olivetti, l’azienda di Ivrea iniziò a produrre voltmetri e macchine da scrivere, le quali diventano, tra le due grandi guerre, un punto di riferimento per affidabilità e design. Grazie alla lucidità del figlio Adriano, a partire dagli anni quaranta l’azienda inizia un processo di espansione geografica e produttiva che porta a estendere il business verso il segmento lucrativo delle calcolatrici. A inizio anni sessanta l’azienda conta 24.000 dipendenti e un capitale sociale di circa 30 milioni di dollari e rappresenta un esempio di interesse mondiale, come peraltro testimoniato dalla presenza del caso GIANMARIO VERONA 169 Olivetti nel primo manuale ufficiale di strategia prodotto dalla Harvard Business School. Nonostante la leadership nelle macchine da scrivere e da calcolo e, quindi, il “peso” della meccanica, Olivetti riesce a partecipare e vincere la corsa ai primi mainframe computer, con la produzione di Elea 9003 (elaboratore elettronico automatico), primo prodotto integralmente a transistor lanciato nel mercato mondiale nel settembre 1959 e cioè tre mesi dopo il prodotto a tubi catodici di Univac e sei mesi prima del prodotto a circuiti integrati di IBM. Olivetti è anche l’azienda che nel 1966 lancia il primo desktop computer, il Programma 101 di Piergiorgio Perotto, che sbalordì il mondo per essere stato il primo elaboratore da tavolo con una capacità elettronica e per aver pionieristicamente interpretato il concept di prodotto del personal computer, affermatosi poi a fine anni settanta. E nel corso degli anni ottanta, prima del disinvestimento a favore del mondo delle telecomunicazioni, Olivetti si trasforma interamente in un’azienda elettronica lasciandosi alle spalle il passato di azienda meccanica. Inerzia in Olivetti L’aspetto singolare (e che rende il caso visibile) della transizione di Olivetti si riconduce al fatto che tale passaggio non è avvenuto senza il manifestarsi di forti resistenze legate alle forme di inerzia precedentemente indicate, né è stato indolore. Il passaggio non è stato estraneo all’inerzia organizzativa perché, da un punto di vista tecnico, la popolazione di Olivetti era meccanica al cento per cento e non aveva le competenze richieste per l’ideazione e produzione di prodotti elettronici: la meccanica è difatti tangibile, richiede competenze creative e manuali e si basa su una logica di in-sourcing; l’elettronica, al contrario, è invisibile, si basa su competenze scientifiche, strumentazioni idiosincratiche e richiede una forte dose di out-sourcing. Da un punto di vista cognitivo, la base meccanica dell’azienda, la cui roccaforte era rappresentata dagli importanti stabilimenti industriali e dalle funzioni di design e di produzione, semplicemente non comprendeva la produzione di bit e quando, per esempio, ha cercato di comprenderla, ha sviluppato il “bit meccanico”, un complicatissimo marchingegno che impiegava la logica degli 0 e degli 1 in un sistema di lamiere meccaniche. Da un punto di vista economico, la produzione dei primi Elea ha fatto accusare importanti perdite, non compensate dal sostegno finanziario offerto dai governi, come invece accaduto nel caso di concorrenti internazionali quali la francese Bull e l’americana IBM. Similmente, il lancio di prodotti come Programma 101 produceva valori di marginalità incredibilmente inferiori ai prodotti “da mungere” della gestione meccanica: si pensi che la Divisumma, prodotto centrale della logica meccanica, aveva un rapporto “costo di produzione/prezzo” di 1 a 10. Il passaggio all’elettronica, peraltro, non è stato indolore perché, in seguito alla prematura scomparsa di Adriano nel novembre del 1960, l’azienda ha trascorso un periodo di profonda crisi finanziaria iniziato nel 1961 e conclusosi ufficialmente intorno al 1968. In questo momento storico il capitale di controllo dell’azienda è 170 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE passato dalle mani della famiglia Olivetti a un gruppo di intervento, orchestrato da Mediobanca e Fiat, che ha sostanzialmente cambiato i vertici aziendali e ha deciso nel 1964 di cedere la divisione elettronica a General Electric. Nonostante questa rappresentazione “da manuale” dell’inerzia e dei suoi effetti, la transizione si è conclusa con esito positivo e rappresenta quindi un’interessante prospettiva di insegnamento per chi voglia comprendere la delicatezza di queste transizioni e la capacità di innovazione continua. Competenze dinamiche in Olivetti Cosa è accaduto in Olivetti e cosa è stato fatto razionalmente per far sì che l’elettronica alla fine avesse il sopravvento sulla meccanica? Tre sono gli aspetti più eclatanti di questa storia e che sono riassunti in misura sintetica nella Figura 1. In primo luogo, la sensibilità nei confronti del futuro. Seppur tra i risultati meno interessanti e, forse, più scontati, la presenza di leader visionari e competenti è indiscutibilmente utile a scatenare la vis creativa del cambiamento, poiché ne è il fuoco iniziale. La presenza di personaggi del calibro di Adriano, che già nel 1959 predicava che: “Non dobbiamo farci prendere di sorpresa dagli avanzamenti tecnologici che porteranno i nostri prodotti a essere trasformati da meccanici a elettronici”, è tanto rilevante quanto necessaria. La capacità di far salire a bordo del proprio progetto personaggi che sanno anticipare le esigenze del mercato quali Mario Tchou (nel 1954 giovane ricercatore italo-cinese dell’allora “meccatronica” nell’ambito della Columbia University), Elserino Piol (primo direttore Marketing in Olivetti in grado di vendere al gruppo Marzotto il primo Elea nel lontano 1959) o Marisa Bellisario (prima business plan manager in Olivetti) è certamente alla base della capacità di cambiamento. Fig. 1: Competenze dinamiche in azione nel caso analizzato Livello delle competenze Competenze dinamiche: • Leader visionari • Capacità di coltivare nuove competenze • Capacità di rispettare le vecchie competenze Competence di ordine superiore Competenze organizzative Competenze meccaniche Anni ’50 Fonte: Nostra elaborazione Competenze elettroniche Anni ’70 Tempo GIANMARIO VERONA 171 In secondo luogo, la gestazione e protezione iniziale della nuova tecnologia. L’elettronica si sviluppa in Olivetti grazie all’intuizione, già alla fine degli anni quaranta, di alcuni manager, tra cui Adriano, il fratello Dino e il figlio Roberto, i quali decidono di separarla fisicamente dal resto dell’azienda. L’azienda apre anzitutto un piccolo laboratorio a New Canaan nel New Jersey, per beneficiare degli spillover delle prime venture elettroniche. Il primo gruppo di elettronica italiano lavora invece a Barbaricina, un piccolo sobborgo di Pisa, a contatto con l’unica università italiana dove era maturato un progetto di sviluppo di un calcolatore elettronico, grazie all’intuizione del nobel per la fisica Enrico Fermi. E anche quando il primo prodotto dell’era elettronica venne partorito, l’aggregazione delle forze di progettazione, produzione e commercializzazione viene locato lontano da Ivrea, e in particolare a San Giuliano Milanese, alle porte di Milano. Separare e proteggere sembra un passo necessario per irrobustire le nuove competenze. In terzo luogo, e cosa certamente più eclatante, il caso Olivetti ci aiuta a meglio rappresentare il problema della sclerosi prodotta dalle competenze distintive di un’azienda. In particolare, di fronte alla produzione di innovazioni radicali, le competenze meccaniche non solamente diventano delle rigidità da un punto di vista tecnico, cognitivo ed economico. Esse tendono addirittura ad alimentare una vera e propria battaglia culturale e valoriale all’interno dell’azienda poiché portano a rigettare ogni nuova forma di competenze in quanto “illegittima” rispetto alla precedente. Ciò è inizialmente evidenziato dall’ostracismo di Ivrea nei confronti dell’emergente divisione elettronica (chiamata nel linguaggio dei meccanici “il giocattolo di Adriano”), del gruppo di elettronici (ribattezzati “mangiapane a sbafo”), della loro ricerca (rappresentata come l’“andare a caccia di farfalle”) ed è successivamente messo in luce dall’infelice frase pronunziata dal gruppo di intervento nel 1964 in fase di cessione della divisione elettronica: “Nonostante la difficile situazione finanziaria, Olivetti è un’azienda solida con un futuro prospero: vi è solo un neo da estirpare per riuscire a raggiungerlo, la divisione elettronica”. La consapevolezza di questo conflitto valoriale e la sua gestione “istituzionale” diventano quindi una modalità per sfuggire all’inesorabile destino del leader che non sa reinventarsi. Il riuscire a comprendere l’esistenza di un conflitto di questa natura e saperlo in seconda battuta sedare se non addirittura risolvere, conferendo risorse in modo equo e chiaro alle nuove competenze, diventa la chiave per favorire un ambiente di continua innovazione. Nel caso di Olivetti, la cooptazione e il tentativo di integrazione delle risorse messo in campo dai vertici aziendali vicini all’elettronica e in particolare da Roberto Olivetti, Mario Tchou e Piergiorgio Perotto, rappresentano una modalità di gestione di tale legittimazione. La strategia di lavoro del laboratorio di Barbaricina si caratterizzava per cercare comunque di comprendere e compiacere la meccanica di Ivrea e non di contrastarla. Per esempio, uno dei principali progetti al centro del laboratorio riguardava le schede perforate, che rappresentavano un primo rudimentale sistema elettronico che permetteva di centralizzare a livello di sistema il lavoro di calcolatrici e macchine da scrivere da tavolo. Similmente, anche 172 LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE quando la divisione elettronica fu ceduta, l’azienda eliminò ufficialmente tutta l’elettronica, ma nella sostanza eliminò solo la “grande” elettronica, quella, per intenderci, dei grandi calcolatori per applicazioni militari e universitarie. Tenne invece al suo interno la cosiddetta “piccola” elettronica, ovvero i progetti di elettronica che più erano allineati con i prodotti del proprio portafoglio, che portarono alla formulazione del Programma 101 e che permisero poi di partecipare al business dei personal computer. 5. Conclusioni Nell’articolo ho passato in rassegna i principali meriti e le principali critiche legate all’approccio competenze dinamiche, costrutto che consentirebbe alle imprese di superare importanti discontinuità tecnologiche nell’ambito di singoli settori. Grazie al caso studio Olivetti, ho anche cercato di proporre un’analisi visibile che permette a un’impresa radicata in un insieme di competenze tecnologiche - nel caso di Olivetti meccaniche - come sia possibile effettuare il passaggio verso nuove forme di competenze - in questa circostanza elettroniche - e conseguire vantaggio competitivo in un contesto spazio-temporale differente rispetto a quello originario. Cosa serve quindi al leader per reinventarsi? Immaginare le nuove competenze e nutrirle a livello organizzativo con soluzioni protette può essere una soluzione vincente per testare il terreno dell’innovazione radicale (si rinvia ancora alla Figura 1). Allo stesso tempo, Olivetti ci permette anche di comprendere che le difficoltà legate all’impiego delle nuove competenze rappresentano un problema più profondo di tante altre considerazioni emerse negli ultimi anni. L’inerzia si manifesta certamente a livello tecnico, cognitivo ed economico, ma purtroppo il suo entrare in scena produce un’amplificazione che va a toccare i valori e la cultura delle aziende stesse e che le porta a delegittimare tutto ciò che non sia in sintonia con il passato. Il caso Olivetti, tuttavia, ci insegna anche che il destino del leader, seppur inesorabile, è non necessariamente inevitabile. Avere una strategia per anticipare e gestire l’inerzia può essere il punto cruciale per l’innovatore che desidera continuamente stupire i mercati. Tale strategia è legata alla gestione di competenze dinamiche. Come si osserva le competenze in oggetto sono centrali per l’attività di exploration messa in campo dalle aziende leader in un determinato momento storico (O’Reilly and Tushman, 2013). In quanto tali esse possono essere centrali per lo studio dell’imprenditorialità aziendale. Come evidenziato in altre sedi (e.g., Burgelman, 1983; Byers et al., 2013), l’imprenditorialità è centrale particolarmente nelle aziende tecnologiche. In questo senso, le aziende leader di un determinato settore tecnologico devono sistematicamente stimolare l’imprenditorialità per sviluppare nuove competenze. Come illustrato nel caso Olivetti, le competenze dinamiche possono servire a questo scopo: conoscerne i semi e i frutti può solo aiutare la comprensione del pensiero e dell’azione strategica. In sintesi, con il lavoro ci auguriamo di stimolare la ricerca esplorativa, ma anche quantitativa, sul tema delle competenze dinamiche per riuscire a esplorare le GIANMARIO VERONA 173 forme di sostenimento del vantaggio competitivo, tema negli anni a venire centrale dello Strategic Management. 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