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Le competenze dinamiche a supporto
dell’imprenditorialità aziendale: analisi di un caso
visibile di discontinuità tecnologica*
GIANMARIO VERONA **
Abstract
Obiettivo del paper: Nell’articolo si offre un’analisi del ruolo delle competenze
dinamiche per far fronte ai processi di cambiamento tecnologico.
Metodologia: Dopo aver analizzato il significato del costrutto “competenza dinamica”
cercando in particolare di differenziarlo dal costrutto “competenza organizzativa”, si
passano in rassegna i principali limiti in esso insiti e si richiamano in modo sintetico le sfide
metodologiche per cercare di risolverli. A questo proposito si propone un caso “visibile”
(Pettigrew, 1990) di competenza dinamica, legato all’ascesa, declino e rinascita
dell’elettronica in Olivetti (Danneels et al., 2012).
Risultati: Nell’articolo si illustra una possibile forma di competenza dinamica emersa nel
passaggio dalla meccanica all’elettronica nell’azienda di Ivrea che ha contribuito a fare la
storia del capitalismo italiano.
Limiti della ricerca: Come ogni caso longitudinale, l’articolo presenta i limiti di
generalizzabilità e richiede un test quantitativo per rendere il risultato estendibile ad altri
contesti spazio-temporali.
Implicazioni pratiche: Si evidenzia l’importanza dell’imprenditorialità aziendale e si
illustra il ruolo che le competenze dinamiche giocano a tal proposito.
Originalità del lavoro: Sono pochi i paper che analizzano in profondità il costrutto di
competenze dinamiche. Sono pochi i lavori che lo combinano con eventi legati a shock
esogeni. In quanto tale il lavoro offre un contributo complementare alla letteratura esistente
sul tema.
Parole chiave: competenze dinamiche; competenze organizzative; risorse; discontinuità
tecnologiche; cambiamento tecnologico; Olivetti
*
**
Il paper è sostanzialmente ispirato al lavoro di ricerca svolto con Erwin Danneels di
University of Southern Florida e Bernardino Provera di General Electric, cui vanno i più
sentiti ringraziamenti. La presente versione è stata presentata al workshop di Sinergie
svoltosi a Napoli presso Università Federico II nel 2013 e i commenti ricevuti dai
partecipanti e dai relatori sono stati particolarmente preziosi per migliorarne la stesura.
Ad essi vanno anche aggiunti i commenti preziosi ricevuti da un reviewer in fase di
referaggio. Naturalmente, i vizi di forma e di contenuto sono esclusivamente imputabili
all’autore. Da ultimo, mi preme ringraziare Roberto Vona per la singolare dedizione e
passione con cui ha immaginato e organizzato questo Quaderno di Sinergie.
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università Bocconi
e-mail: [email protected]
sinergie, quaderni
n. 17 Giugno 2014, pp. 161-174
ISSN 0393-5108 – DOI 10.7433/q17.2014.10
Ricevuto: 12/11/2013
Revisionato: 14/02/2014
Accettato: 10/04/2014
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LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
Purpose of the paper: The article analyzes dynamic capabilities to sustain processes of
technological change.
Methodology: After reviewing the “dynamic capabilities” construct - highlighting core
differences with the organizational capabilities literature -, I review its fundamental
limitations according to current critiques and identify some methodological challenges to
unfold its complexity. To this end, I analyze a “visible” case (Pettigrew, 1990) of dynamic
capabilities - a case related to the emergence, decline and re-launch of electronics at Olivetti
(Danneels et al., 2012).
Findings: I specifically identify and discuss a type of dynamic capability used by senior
management to transit from mechanics to electronics.
Research limitations: As a single case study the papr is subject to generalizability
limitations and requires an extensive test to confirm its formal validity.
Practical implications: In the discussion section I highlight the fundamental role of
corporate entrepreneurship and the crucial role of dynamic capabilities as potential driver.
Originality of the paper: Few in epth case study have been provided on dynamica
capabilities. And few more have provided in depth description of technological
discontinuities. As such the paper provides a complimentary description of change
opportunities for incumbents.
Key words: dynamic capabilities; organizational competences; resources; technoplogical
discontinuity; technological change; Olivetti
1. Introduzione
Come fanno le imprese ad adattarsi a cambiamenti tecnologici e di mercato
discontinui? Quali sono i principi strategici che esse possono seguire a fronte di
mutazioni ambientali radicali di tecnologie, clienti e prodotti? Le domande in
oggetto sono diventate particolarmente rilevanti negli ultimi anni in un gran numero
di settori e mercati caratterizzati dalle dinamiche inesorabilmente convergenti
dell’economia globale. Sono domande, peraltro, che stanno andando ben oltre ai
settori che presentano un DNA tecnologico (come, ad esempio, le industrie relative
al calcolo, al farmaceutico, alla telefonia); sono infatti domande sempre più incluse
nell’ordine del giorno delle agende di Amministratori Delegati e Direttori Generali
anche di settori più tradizionali e per loro natura lontani dalla tecnologia, ma che
sono stati investiti trasversalmente negli ultimi anni dal web e dai media digitali (si
pensi solo a titolo esemplificativo all’industria del contenuto, inclusiva di stampa,
istruzione e media televisivi). Nonostante la rilevanze le risposte sono latenti e
spesso carenti.
Nel cercare di dare una risposta convincente al cambiamento tecnologico, la
teoria strategica vigente ha storicamente dato supremazia al contesto ambientale
esterno (Porter, 1980; 1985) o alle risorse d’impresa (Barney, 1991; Peteraf, 1993).
Seppur difatti il fenomeno in questione non fosse centrale nelle dissertazioni di libri
e articoli appartenenti al cosiddetto Strategic Management, una risposta plausibile al
problema del cambiamento tecnologico deducibile dalle teorie strategiche dominanti
è ascrivibile rispettivamente all’adattamento e all’attivazione (si veda per ricche
review sul tema e proposte interpretative: Vicari, 1989; Di Bernardo e Rullani,
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1990; Golinelli, 2000). Adattamento all’ambiente esterno o in alternativa effetto
leva sulle risorse d’impresa sono i due processi strategici suggeriti a chi si trova ad
affrontare un cambiamento radicale.
Ma a quale ambiente occorre far riferimento quando l’intero ecosistema muta - e
muta radicalmente? E quale può essere l’effetto leva sulle risorse, se le risorse a
disposizione di chi fa strategia sono rese obsolete dal cambiamento radicale?
A partire dalla fine degli anni Novanta, un gruppo di ricercatori ha cominciato a
fornire una risposta plausibile alle domande poste a inizio di queste pagine
impiegando il costrutto delle “competenze dinamiche” (Teece et al., 1997; Helfat et
al., 2007). Stando all’articolo seminale che ha dato origine a questa scuola di
pensiero, tali competenze di interfaccia tra le risorse d’impresa e il contesto esterno,
servirebbero proprio alla capacità di adattamento al contesto tecnologico e di
mercato che muta nel corso degli anni. Ma in cosa si differenziano specificamente
tali competenze rispetto alle competenze ben illustrate dalla teoria strategica
tradizionale (come ad esempio in Prahalad e Hamel, 1990; Grant, 1996)? E di cosa
consta la loro natura empirica?
In questo lavoro passo in rassegna alcune prospettive di riferimento per
approfondire il costrutto delle competenze dinamiche e cercheremo di illustrare le
competenze dinamiche “in azione” attraverso un caso visibile (Pettigrew, 1990) che
ne consente una possibile visualizzazione. Attraverso una breve illustrazione
dell’ascesa, del declino e della rinascita delle competenze elettroniche rispetto alle
competenze meccaniche nel caso Olivetti (Danneels et al., 2012), si evidenzia come
le competenze dinamiche afferiscono all’azione compiuta da agenti organizzativi in
grado di influenzare la strategia e la politica aziendale e in grado di combattere
l’inerzia tecnologica, cognitiva e istituzionale che caratterizza per sua natura le
competenze organizzative. Si conclude, con alcune indicazioni per la ricerca futura
legata al tema delle competenze dinamiche, illustrando il loro ruolo centrale rispetto
al tema dell’imprenditorialità aziendale.
2. Competenze organizzative e competenze dinamiche
Le competenze sono un sistema basato sulla conoscenza (Grant, 1996), che
consta essenzialmente di quattro dimensioni: skill; sistemi tecnici; sistemi
manageriali; valori e norme (Leonard Barton, 1992). Mentre le skill degli individui e
i sistemi tecnici (quali sistemi di produzione e sistemi informativi) ne rappresentano
i “contenitori”, i sistemi manageriali (quali i sistemi di incentivo, programmi di
apprendimento, sistemi di controllo e così via) e le norme e valori d’azienda ne
rappresentano gli elementi di creazione e controllo.
Il problema delle competenze così rappresentate è che hanno nel proprio DNA
una forma di inerzia endogena che non permette loro di evolvere verso orizzonti
alternativi. E seppure distintive, da competenze possono trasformarsi nel corso degli
anni in rigidità - altrettanto distintive (Leonard Barton, 1992).
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LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
L’inerzia può assumere varie forme. Quella di natura tecnica ad esempio
riguarda la natura intrinseca delle competenze che cambiano nel corso del tempo
nell’ambito dei settori e che richiedono di andare oltre le conoscenze esistenti
(Tushman e Anderson, 1986) - si pensi a quanto accaduto nel settore farmaceutico
con la rivoluzione biotecnologica e al conseguente cambiamento del paradigma di
formulazione di un farmaco. L’inerzia può anche assumere forme di natura
economica in quanto un’azienda non ha incentivo a cannibalizzare i propri profitti
con nuove tecnologie (Christensen e Bower, 1996).
L’inerzia tuttavia può anche assumere nel corso degli anni anche delle
sfaccettature più complesse. Ad esempio, essa può riguardare la comprensione dei
problemi e assumere quindi valenza cognitiva - come è accaduto nel celebre caso di
Polaroid che non è riuscita a passare alla tecnologia dell’instant imaging digitale
(Tripsas e Gavetti, 2000). Essa in alcune circostanze può addirittura intaccare la
sfera morale e politica degli attori coinvolti nei processi aziendali e limitare così il
cambiamento anche per un problema istituzionale (Danneels et al., 2012). In
estrema sintesi, la teoria delle competenze e delle risorse, seppur centrale nella
formulazione strategica non riesce a fornire una risposta plausibile al cambiamento
tecnologico. Una ricca letteratura di matrice sociologico-organizzativa, difatti,
giunge a proporre l’idea dell’impossibilità delle imprese di cambiare proprio a causa
dell’inerzia strutturale (Hannan e Freeman, 1984).
La spiegazione del comportamento altamente dinamico di alcune imprese è
invece proprio da ricercarsi nella loro abilità di abbracciare una logica di
cambiamento tecnologico - il cui fenomeno viene messo al centro della scuola delle
competenze dinamiche. In ambienti dinamici, tipici dei contesti ad alta intensità di
tecnologia, le competenze devono cioè presentare natura dinamica 1. Il sostenimento
del vantaggio competitivo è frutto cioè di una competizione “Schumpeteriana”
ovvero della capacità di introdurre con continuità innovazioni di prodotto e di
processo. Teece et al., (1997), evidenziano che per poter generare valore le
competenze devono essere in grado di esercitare tre processi di fondamentale
importanza: l’integrazione; l’apprendimento; la riconfigurazione.
In primo luogo, le competenze devono essere in grado di coordinare tra loro le
risorse di cui l’impresa dispone per finalizzarle in modo coerente alla generazione
del vantaggio competitivo. Le competenze sono infatti cluster integrati di risorse che
permettono di realizzare attività distintive nell’ambito dell’impresa. Le risorse, al
contrario, sono firm-specific asset (si veda anche Grant, 1996), sono considerate
delle vere e proprie “posizioni” di natura statica; sono, in altre parole, delle unità
1
Nel manifesto delle competenze dinamiche gli autori espongono l’idea alla base del
costrutto portante della teoria nel seguente modo: “The term ‘dynamic’ refers to the
capacity to renew competences so as to achieve congruence with changing environment
(…). The term ‘capabilities’ emphasize the role of Strategic Management in appropriately
adapting, integrating, and reconfiguring internal and external organizational skills,
resources, and functional competences to match the requirements of a changing world”
(Teece et al., 1997, p. 510).
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aziendali elementari quali gli asset tecnologici (impianti, brevetti, sistemi
informativi), finanziari (cash e crediti), e di marketing (marchi, insegne, sistemi di
CRM). Spesso, inoltre, gli asset si riscontrano all’esterno dell’azienda ed è quindi
opportuno avere l’opportunità di integrarli dall’esterno. L’operato delle aziende di
successo in contesti ad alta velocità è innanzitutto frutto di questa capacità di
integrazione degli asset interni ed esterni.
In secondo luogo, la generazione del vantaggio competitivo in contesti dinamici
porta le competenze sopracitate a esercitare continuamente capacità di
apprendimento. Apprendere significa generare nuova conoscenza sia con attività di
problem-solving sia tramite creazione di errori (Argyris e Schoen, 1978).
L’apprendimento interno ed esterno deve essere una prerogativa delle competenze
dinamiche, poiché l’evoluzione dei mercati comporta un continuo cambiamento
nell’utilizzo delle tecnologie e una evoluzione rispetto ad esse. Per questa ragione
diventa estremamente utile l’attività di learning che l’implementazione della
competenza consente di attivare.
Come evidenziano gli esempi legati alla convergenza nel settore delle
telecomunicazioni, l’apprendimento viene abitualmente esercitato lungo una
traiettoria lineare (path), che spesso può delimitare il percorso di crescita della stessa
impresa, generando l’annoso problema della dipendenza da traiettoria pathdependency - (Nelson e Winter, 1982). È quindi opportuno andare oltre i vincoli
imposti dalla traiettoria stessa per generare competenze dinamiche. Per questa
ragione, le competenze dinamiche che consentono di sostenere il vantaggio
competitivo in condizioni di profondo cambiamento ambientale, portano anche alla
riconfigurazione delle risorse stesse. La riconfigurazione è un processo che
garantisce il cambiamento della logica di gestione, entro il sentiero di
apprendimento, a favore di un percorso che permetta un’evoluzione più completa
(Argyris e Schoen, 1978; Nelson e Winter, 1982).
Ma come fanno le competenze dinamiche a conciliare integrazione,
apprendimento e riconfigurazione con l’inerzia che incontra la natura stessa delle
competenze? Quali sono le loro caratteristiche indipendenti dall’inerzia se pure sono
competenze?
Allo stato attuale la risposta è duplice. Anzitutto, è possibile interpretare da un
punto di vista gerarchico l’organizzazione delle competenze (Grant, 1996). Ad
esempio, Winter (2003) a partire dall’idea di Collis (1994) illustra efficacemente
come le competenze dinamiche siano un ordine di competenze superiore alle
competenze organizzative tradizionali (chiamate nel suo lavoro competenze
operative). Quest’ultime sono le competenze che permettono all’azienda di
raggiungere un guadagno in equilibrio, le competenze dinamiche sono invece
competenze che permettono di mutare le competenze operative stesse. Danneels
(2002) offre a questo proposito interessanti casi concreti di competenze dinamiche
di mercato di ordine superiore. Così come Stadler et al., (2013) forniscono una
rappresentazione delle competenze dinamiche tecnologiche nell’industria del
petrolio. Le aziende in questione hanno determinate competenze legate
all’identificazione di pozzi petroliferi e all’estrazione di petrolio negli stessi. La
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LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
gestione di specifiche tecnologie legate allo scanning e alla perforazione consente
una sostanziale mutazione delle competenze in oggetto e in quanto tali sono una
forma di competenza dinamica. In quest’ottica, recentemente Teece (2007) ha
riassunto in tre principali attività il ruolo svolto dalle competenze dinamiche: il
monitoraggio (scanning), la configurazione (seizing) e la riconfigurazione
(reconfiguring).
Una seconda risposta porta a un’interpretazione delle competenze dinamiche non
tanto gerarchica (cioè verticale), quanto legata alla divisione del lavoro
(orizzontale).
Questa
spiegazione
risiede
nella
visione
ambidestra
dell’organizzazione offerta da O’Reilly III and Tushman (2008; 2013). Stando agli
autori, le aziende riescono a superare i cambiamenti tecnologici attivando una
divisione del lavoro organizzativo in grado di coltivare la sperimentazione del futuro
senza per questo negare lo sfruttamento del presente. La logica ambidestra permette
alle imprese di continuare ad alimentare le business unit dedicate alla gestione del
presente e allo stesso consente di creare spazi strategici per la sperimentazione.
Sperimentazione, i cui risultati, nel corso degli anni vengono trasferiti nell’unità di
sfruttamento quando i tempi diventano maturi. Questa capacità di coltivare il futuro
in spazi adeguati e differenti dal presente e, congiuntamente, di trasferirlo nella
gestione dell’azienda quando diventa necessario è quella che gli autori chiamano
ambidextrity as dynamic capability (O’Reilly III e Tushman, 2008). Ne è prova ed
esempio la divisione Emerging Business Opportunity di IBM, che rappresenta una
unità separata di exploration e che incide anche sul presente in quanto trasferisce
l’operato una volta che l’organizzazione IBM è pronta a riceverlo (O’Reilly III et
al., 2009). Ne è anche prova empirica il processo di internal corporate venturing
messo in campo dalle multinazionali (Burgelman, 1983).
3. Obiezioni e opzioni metodologiche
Le competenze dinamiche rappresentano una risposta tanto affascinante quanto,
agli occhi di molti, discutibile. Tre sono le principali critiche metodologiche che
passeremo in rassegna e che si riconducono: (a) alle molteplici interpretazioni
(spesso divergenti) di competenze dinamiche; (b) all’eccessiva teorizzazione del
costrutto che richiede analisi empiriche a trecentosessanta gradi, (c) alla tautologia
insita nel costrutto che include la variabile dipendente.
Una prima critica che rischia di compromettere l’evoluzione teorica del tema si
riconduce alle molteplici interpretazioni e assunti presi a riferimento per teorizzare
le suddette competenze. Come è stato recentemente osservato, vi sono almeno due
visioni dominanti che rischiano di essere spiazzanti per la loro diversità agli occhi di
chi cerca di usare questo frame come modello interpretativo (Peteraf et al., 2013).
Una prima interpretazione vede le competenze dinamiche alla base di una teoria del
vantaggio competitivo e le interpreta come una combinazione di asset e risorse ad
elevato livello di complessità che vengono intenzionalmente gestite dal senior
management attraverso una serie di sotto processi tra cui il monitoraggio, il
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deployment e la riconfigurazione (Teece et al., 1997; Teece, 2007). Una seconda
interpretazione vigente le intende invece come best practice organizzative (quindi
per definizione non finalizzate alla generazione del vantaggio competitivo) che
hanno una complessità differente a seconda della velocità degli ambienti in cui
vengono attivate - in ambiente moderatamente dinamici esse assumono la forma di
best practice, ma in ambiente altamente dinamici una configurazione estremamente
semplice e altrettanto volatile (Eisenhardt e Martin, 2000).
Le due prospettive derivano da una posizione disciplinare differente: la prima
relativa all’economia evoluzionista e agli studi di strategia; la seconda alla teoria
organizzativa e più precisamente alla teoria di comportamento organizzativo. Oltre a
partire da assunti differenti, offrono implicazioni radicalmente differenti dal punto di
vista del vantaggio competitivo.
Da questo punto di vista, quando si prende a riferimento il costrutto delle
competenze dinamiche occorre chiarire a cosa si vuol far riferimento dal punto di
vista della prospettiva teorico/disciplinare - pena il rischio di far riferimento a un
costrutto generico senza avere un appiglio e una strumentazione (sia concettuale sia
operativa) consona.
Una seconda critica si riconduce all’eccesso di teorizzazione delle competenze in
oggetto. Seppur una importante scusante è la relativa giovane età della disciplina e il
fatto annesso che gran parte dei lavori si trovino ancora a uno stato fondativo (Di
Stefano et al., 2010), è altresì vero che è disarmante osservare il costante tentativo di
ridefinire il costrutto anziché il cercare di operazionalizzare empiricamente il
fenomeno (Helfat e Winter, 2011).
Da questo punto di vista diventa cruciale investigare empiricamente il costrutto
possibilmente con studi longitudinali che siano in grado di valorizzare anche una
serie di variabili di controllo.
Una terza critica sistematicamente rivolta alla scuola di pensiero in oggetto si
riconduce all’annessa tautologia (Arend e Bromiley, 2009). Se le competenze
dinamiche includono nella propria definizione l’adattamento al cambiamento come è
possibile verificarne il loro valore? Se esse cioè si autodefiniscono con la variabile
dipendente che cercano di spiegare, come è possibile trarne utilità teorica e pratica?
A questa critica, i principali sostenitori della prospettiva tradizionale hanno proposto
una netta separazione tra la definizione del costrutto e l’abilità effettiva di
conseguire una perfomance tecnica o evolutiva (Helfat et al., 2007). In particolare,
le competenze dinamiche sono state semplicemente definite in qualità di “capacity
of an organization to purposefully create, extend, and modify its resource base”.
Dove la “resource base” include “the tangible, intangible, and human assets (or
resources) as well as capabilities which the organization owns, controls, or has
access to on a preferential basis” (Helfat et al., 2007, p. 4). Separando in misura
netta la variabile dipendente (performance legata alla capacità di adattamento e alla
capacità di conseguire risultati) dalle definizione di competenze dinamiche, è
possibile avere una idea precisa e non endogena della variabile esplicativa della
capacità di adattamento.
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LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
In estrema sintesi, il chiarimento della prospettiva di analisi teorico/disciplinare
di riferimento e gli annessi assunti, lo sviluppo di una analisi empirica possibilmente
micro dal punto di vista delle variabili e in grado di separare le competenze
dinamiche dall’outcome rappresentano tre importanti strade per aiutare alla
comprensione di questo importante fenomeno.
4. Un caso empirico di competenze dinamiche per la transizione
tecnologica
Il caso “visibile” riguarda Olivetti e, in particolare, il periodo di leadership che
ha visto l’azienda transitare dalla meccanica delle macchine da scrivere
all’elettronica dei computer da tavolo e che è stato riprodotto con dettaglio grazie
all’impiego di tre archivi storici (Archivio Olivetti, Fondazione Natale Capellaro,
Archivio Fiat) e alla generosa disponibilità di diciotto manager che hanno vissuto i
gloriosi anni dell’azienda di Ivrea (tra cui Gianluigi Gabetti, Bruno Lamborghini,
Elserino Piol e Ottorino Beltrami) e Quattro esperti (Giovanni DeWitt, Francesco
Novara, Giuseppe Rao, Giuseppe Silmo), che si sono tutti resi disponibili, grazie a
una serie di incontri e interviste, a ricostruire nei dettagli il passaggio dalla
meccanica all’elettronica (si rimanda a Danneels et al., 2012). Il caso è visibile in
quanto mi sembra risponda bene ai tre punti espressi nel paragrafo precedente.
In primo luogo fa riferimento a un problema strategico rilevante che riguarda un
ambiente che ha subito un cambiamento tecnologico repentino e discontinuo e può
essere analizzato attraverso le lenti strategiche dell’approccio evoluzionista alle
dynamic capabilities. In secondo luogo, è un caso ricco che permette non solo di
osservare empiricamente le variabili sotto osservazione, ma consente di includere
altre possibili spiegazioni in qualità di controllo. In terzo luogo consente di
visualizzare separatamente la variabile dipendente (passaggio da meccanica ad
elettronica) rispetto alle competenze che hanno consentito la transizione. Il settore
delle macchine da calcolo si è evoluto nel corso degli anni nel settore dei personal
computer e la Olivetti era leader in meccanica prima dell’avvento dell’elettronica ed
è divenuta una delle aziende principali in Europa dei personal computer. Capire
quali sono le competenze che hanno permesso questo passaggio esclude il problema
della tautologia.
Breve storia di Olivetti
Nata nel lontano 1908 per opera di Camillo Olivetti, l’azienda di Ivrea iniziò a
produrre voltmetri e macchine da scrivere, le quali diventano, tra le due grandi
guerre, un punto di riferimento per affidabilità e design. Grazie alla lucidità del
figlio Adriano, a partire dagli anni quaranta l’azienda inizia un processo di
espansione geografica e produttiva che porta a estendere il business verso il
segmento lucrativo delle calcolatrici. A inizio anni sessanta l’azienda conta 24.000
dipendenti e un capitale sociale di circa 30 milioni di dollari e rappresenta un
esempio di interesse mondiale, come peraltro testimoniato dalla presenza del caso
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Olivetti nel primo manuale ufficiale di strategia prodotto dalla Harvard Business
School.
Nonostante la leadership nelle macchine da scrivere e da calcolo e, quindi, il
“peso” della meccanica, Olivetti riesce a partecipare e vincere la corsa ai primi
mainframe computer, con la produzione di Elea 9003 (elaboratore elettronico
automatico), primo prodotto integralmente a transistor lanciato nel mercato
mondiale nel settembre 1959 e cioè tre mesi dopo il prodotto a tubi catodici di
Univac e sei mesi prima del prodotto a circuiti integrati di IBM. Olivetti è anche
l’azienda che nel 1966 lancia il primo desktop computer, il Programma 101 di
Piergiorgio Perotto, che sbalordì il mondo per essere stato il primo elaboratore da
tavolo con una capacità elettronica e per aver pionieristicamente interpretato il
concept di prodotto del personal computer, affermatosi poi a fine anni settanta. E nel
corso degli anni ottanta, prima del disinvestimento a favore del mondo delle
telecomunicazioni, Olivetti si trasforma interamente in un’azienda elettronica
lasciandosi alle spalle il passato di azienda meccanica.
Inerzia in Olivetti
L’aspetto singolare (e che rende il caso visibile) della transizione di Olivetti si
riconduce al fatto che tale passaggio non è avvenuto senza il manifestarsi di forti
resistenze legate alle forme di inerzia precedentemente indicate, né è stato indolore.
Il passaggio non è stato estraneo all’inerzia organizzativa perché, da un punto di
vista tecnico, la popolazione di Olivetti era meccanica al cento per cento e non
aveva le competenze richieste per l’ideazione e produzione di prodotti elettronici: la
meccanica è difatti tangibile, richiede competenze creative e manuali e si basa su
una logica di in-sourcing; l’elettronica, al contrario, è invisibile, si basa su
competenze scientifiche, strumentazioni idiosincratiche e richiede una forte dose di
out-sourcing.
Da un punto di vista cognitivo, la base meccanica dell’azienda, la cui roccaforte
era rappresentata dagli importanti stabilimenti industriali e dalle funzioni di design e
di produzione, semplicemente non comprendeva la produzione di bit e quando, per
esempio, ha cercato di comprenderla, ha sviluppato il “bit meccanico”, un
complicatissimo marchingegno che impiegava la logica degli 0 e degli 1 in un
sistema di lamiere meccaniche.
Da un punto di vista economico, la produzione dei primi Elea ha fatto accusare
importanti perdite, non compensate dal sostegno finanziario offerto dai governi,
come invece accaduto nel caso di concorrenti internazionali quali la francese Bull e
l’americana IBM. Similmente, il lancio di prodotti come Programma 101 produceva
valori di marginalità incredibilmente inferiori ai prodotti “da mungere” della
gestione meccanica: si pensi che la Divisumma, prodotto centrale della logica
meccanica, aveva un rapporto “costo di produzione/prezzo” di 1 a 10.
Il passaggio all’elettronica, peraltro, non è stato indolore perché, in seguito alla
prematura scomparsa di Adriano nel novembre del 1960, l’azienda ha trascorso un
periodo di profonda crisi finanziaria iniziato nel 1961 e conclusosi ufficialmente
intorno al 1968. In questo momento storico il capitale di controllo dell’azienda è
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LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
passato dalle mani della famiglia Olivetti a un gruppo di intervento, orchestrato da
Mediobanca e Fiat, che ha sostanzialmente cambiato i vertici aziendali e ha deciso
nel 1964 di cedere la divisione elettronica a General Electric.
Nonostante questa rappresentazione “da manuale” dell’inerzia e dei suoi effetti,
la transizione si è conclusa con esito positivo e rappresenta quindi un’interessante
prospettiva di insegnamento per chi voglia comprendere la delicatezza di queste
transizioni e la capacità di innovazione continua.
Competenze dinamiche in Olivetti
Cosa è accaduto in Olivetti e cosa è stato fatto razionalmente per far sì che
l’elettronica alla fine avesse il sopravvento sulla meccanica? Tre sono gli aspetti più
eclatanti di questa storia e che sono riassunti in misura sintetica nella Figura 1.
In primo luogo, la sensibilità nei confronti del futuro. Seppur tra i risultati meno
interessanti e, forse, più scontati, la presenza di leader visionari e competenti è
indiscutibilmente utile a scatenare la vis creativa del cambiamento, poiché ne è il
fuoco iniziale. La presenza di personaggi del calibro di Adriano, che già nel 1959
predicava che: “Non dobbiamo farci prendere di sorpresa dagli avanzamenti
tecnologici che porteranno i nostri prodotti a essere trasformati da meccanici a
elettronici”, è tanto rilevante quanto necessaria. La capacità di far salire a bordo del
proprio progetto personaggi che sanno anticipare le esigenze del mercato quali
Mario Tchou (nel 1954 giovane ricercatore italo-cinese dell’allora “meccatronica”
nell’ambito della Columbia University), Elserino Piol (primo direttore Marketing in
Olivetti in grado di vendere al gruppo Marzotto il primo Elea nel lontano 1959) o
Marisa Bellisario (prima business plan manager in Olivetti) è certamente alla base
della capacità di cambiamento.
Fig. 1: Competenze dinamiche in azione nel caso analizzato
Livello delle
competenze
Competenze dinamiche:
• Leader visionari
• Capacità di coltivare
nuove competenze
• Capacità di rispettare
le vecchie competenze
Competence
di ordine superiore
Competenze
organizzative
Competenze
meccaniche
Anni ’50
Fonte: Nostra elaborazione
Competenze
elettroniche
Anni ’70
Tempo
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In secondo luogo, la gestazione e protezione iniziale della nuova tecnologia.
L’elettronica si sviluppa in Olivetti grazie all’intuizione, già alla fine degli anni
quaranta, di alcuni manager, tra cui Adriano, il fratello Dino e il figlio Roberto, i
quali decidono di separarla fisicamente dal resto dell’azienda. L’azienda apre
anzitutto un piccolo laboratorio a New Canaan nel New Jersey, per beneficiare degli
spillover delle prime venture elettroniche. Il primo gruppo di elettronica italiano
lavora invece a Barbaricina, un piccolo sobborgo di Pisa, a contatto con l’unica
università italiana dove era maturato un progetto di sviluppo di un calcolatore
elettronico, grazie all’intuizione del nobel per la fisica Enrico Fermi. E anche
quando il primo prodotto dell’era elettronica venne partorito, l’aggregazione delle
forze di progettazione, produzione e commercializzazione viene locato lontano da
Ivrea, e in particolare a San Giuliano Milanese, alle porte di Milano. Separare e
proteggere sembra un passo necessario per irrobustire le nuove competenze.
In terzo luogo, e cosa certamente più eclatante, il caso Olivetti ci aiuta a meglio
rappresentare il problema della sclerosi prodotta dalle competenze distintive di
un’azienda. In particolare, di fronte alla produzione di innovazioni radicali, le
competenze meccaniche non solamente diventano delle rigidità da un punto di vista
tecnico, cognitivo ed economico. Esse tendono addirittura ad alimentare una vera e
propria battaglia culturale e valoriale all’interno dell’azienda poiché portano a
rigettare ogni nuova forma di competenze in quanto “illegittima” rispetto alla
precedente.
Ciò è inizialmente evidenziato dall’ostracismo di Ivrea nei confronti
dell’emergente divisione elettronica (chiamata nel linguaggio dei meccanici “il
giocattolo di Adriano”), del gruppo di elettronici (ribattezzati “mangiapane a
sbafo”), della loro ricerca (rappresentata come l’“andare a caccia di farfalle”) ed è
successivamente messo in luce dall’infelice frase pronunziata dal gruppo di
intervento nel 1964 in fase di cessione della divisione elettronica: “Nonostante la
difficile situazione finanziaria, Olivetti è un’azienda solida con un futuro prospero:
vi è solo un neo da estirpare per riuscire a raggiungerlo, la divisione elettronica”. La
consapevolezza di questo conflitto valoriale e la sua gestione “istituzionale”
diventano quindi una modalità per sfuggire all’inesorabile destino del leader che
non sa reinventarsi.
Il riuscire a comprendere l’esistenza di un conflitto di questa natura e saperlo in
seconda battuta sedare se non addirittura risolvere, conferendo risorse in modo equo
e chiaro alle nuove competenze, diventa la chiave per favorire un ambiente di
continua innovazione. Nel caso di Olivetti, la cooptazione e il tentativo di
integrazione delle risorse messo in campo dai vertici aziendali vicini all’elettronica e
in particolare da Roberto Olivetti, Mario Tchou e Piergiorgio Perotto, rappresentano
una modalità di gestione di tale legittimazione. La strategia di lavoro del laboratorio
di Barbaricina si caratterizzava per cercare comunque di comprendere e compiacere
la meccanica di Ivrea e non di contrastarla. Per esempio, uno dei principali progetti
al centro del laboratorio riguardava le schede perforate, che rappresentavano un
primo rudimentale sistema elettronico che permetteva di centralizzare a livello di
sistema il lavoro di calcolatrici e macchine da scrivere da tavolo. Similmente, anche
172
LE COMPETENZE DINAMICHE A SUPPORTO DELL’IMPRENDITORIALITÀ AZIENDALE
quando la divisione elettronica fu ceduta, l’azienda eliminò ufficialmente tutta
l’elettronica, ma nella sostanza eliminò solo la “grande” elettronica, quella, per
intenderci, dei grandi calcolatori per applicazioni militari e universitarie. Tenne
invece al suo interno la cosiddetta “piccola” elettronica, ovvero i progetti di
elettronica che più erano allineati con i prodotti del proprio portafoglio, che
portarono alla formulazione del Programma 101 e che permisero poi di partecipare
al business dei personal computer.
5. Conclusioni
Nell’articolo ho passato in rassegna i principali meriti e le principali critiche
legate all’approccio competenze dinamiche, costrutto che consentirebbe alle imprese
di superare importanti discontinuità tecnologiche nell’ambito di singoli settori.
Grazie al caso studio Olivetti, ho anche cercato di proporre un’analisi visibile che
permette a un’impresa radicata in un insieme di competenze tecnologiche - nel caso
di Olivetti meccaniche - come sia possibile effettuare il passaggio verso nuove
forme di competenze - in questa circostanza elettroniche - e conseguire vantaggio
competitivo in un contesto spazio-temporale differente rispetto a quello originario.
Cosa serve quindi al leader per reinventarsi? Immaginare le nuove competenze e
nutrirle a livello organizzativo con soluzioni protette può essere una soluzione
vincente per testare il terreno dell’innovazione radicale (si rinvia ancora alla Figura
1). Allo stesso tempo, Olivetti ci permette anche di comprendere che le difficoltà
legate all’impiego delle nuove competenze rappresentano un problema più profondo
di tante altre considerazioni emerse negli ultimi anni. L’inerzia si manifesta
certamente a livello tecnico, cognitivo ed economico, ma purtroppo il suo entrare in
scena produce un’amplificazione che va a toccare i valori e la cultura delle aziende
stesse e che le porta a delegittimare tutto ciò che non sia in sintonia con il passato. Il
caso Olivetti, tuttavia, ci insegna anche che il destino del leader, seppur inesorabile,
è non necessariamente inevitabile. Avere una strategia per anticipare e gestire
l’inerzia può essere il punto cruciale per l’innovatore che desidera continuamente
stupire i mercati. Tale strategia è legata alla gestione di competenze dinamiche.
Come si osserva le competenze in oggetto sono centrali per l’attività di
exploration messa in campo dalle aziende leader in un determinato momento storico
(O’Reilly and Tushman, 2013). In quanto tali esse possono essere centrali per lo
studio dell’imprenditorialità aziendale. Come evidenziato in altre sedi (e.g.,
Burgelman, 1983; Byers et al., 2013), l’imprenditorialità è centrale particolarmente
nelle aziende tecnologiche. In questo senso, le aziende leader di un determinato
settore tecnologico devono sistematicamente stimolare l’imprenditorialità per
sviluppare nuove competenze. Come illustrato nel caso Olivetti, le competenze
dinamiche possono servire a questo scopo: conoscerne i semi e i frutti può solo
aiutare la comprensione del pensiero e dell’azione strategica.
In sintesi, con il lavoro ci auguriamo di stimolare la ricerca esplorativa, ma
anche quantitativa, sul tema delle competenze dinamiche per riuscire a esplorare le
GIANMARIO VERONA
173
forme di sostenimento del vantaggio competitivo, tema negli anni a venire centrale
dello Strategic Management. Così facendo sarà forse possibile trasformare un
semplice approccio strategico in una importante teoria, che alla luce degli
avvenimenti in molto settori sembra particolarmente rilevante per la pratica
aziendale.
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