L`IO RINASCE DA UN INCONTRO

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L`IO RINASCE DA UN INCONTRO
L’IO RINASCE DA UN INCONTRO
Incontro con don Eugenio Nembrini
Teatro di Imbersago, 6 febbraio 2012
Piera Braga
Io volevo solo ricordare che nell’invito che vi abbiamo fatto due sono le parole importanti, proprio
a partire anche dal lavoro che abbiamo svolto noi insegnanti leggendo - quest’estate - il libro
“L’eleganza del riccio”. La prima è la parola INCONTRO; e vi leggo quello che la ragazzina del libro
Paloma dice: “Io invece supplico il destino di darmi la possibilità di vedere al di là di me stessa e di
incontrare qualcuno …”. Perché prima aveva fatto questa affermazione: “Abbiamo rinunciato
all’incontro, non facciamo che incontrare noi stessi”. E’ il punto proprio dell’incontro, che vuol dire
scoprire e fare l’esperienza che un altro ha un modo di fare che mi dà la sensazione di esserci, che
io ci sia, che io sono importante per lui. Questa posizione è quella che noi insegnanti tentiamo di
vivere ogni giorno con i vostri bambini.
Ma l’altra parola che abbiamo messo nell’invito è la parola CRISI, cioè quante volte anche noi
insegnanti di fronte a certi atteggiamenti dei bambini andiamo in crisi, ci saltano gli schemi che
abbiamo in mente … “lo scolaro deve essere così”…
Ma appunto, la cosa che stiamo scoprendo e su cui ci sembrava interessante anche dialogare con
don Nembrini è proprio questa: che la crisi è una cosa positiva, cioè è proprio l’esperienza che
mette in gioco noi stessi, che ci provoca a scoprire risorse in noi stessi che non avremmo mai
pensato di avere. Per questo la crisi è un’occasione importante per interrogarci, perché in fondo lì
emerge proprio che cosa vale nel rapporto tra di noi insegnanti, che cosa vale con voi genitori, con
i bambini. Viene fuori ciò che è essenziale nel rapporto.
Lascio quindi la parola ad una persona che ha una grande esperienza in questo.
Don Eugenio Nembrini
La grossa esperienza sapete quale è? Che io ho sempre voluto vivere e gustare tutto e rischiare
tutto. Tant’è che se io avessi dovuto in qualche modo essere misurato da mio papà e da mia
mamma o misurato dai primi preti che ho avuto in seminario, probabilmente io non sarei mai
diventato prete, anche perché per diventar prete ho dovuto essere espulso da uno, poi da due, poi
da tre, poi bocciato, poi espulso ancora. Ma perché? Perché io sono sempre stato così: uno che ha
voglia di vivere, non uno bravo, ma uno che si alzava al mattino e non si accontentava di quello
che la nonna, la zia, la mamma, i fratelli, di quello che a scuola …
Io ho sempre raccontato che in prima elementare sono scappato alle dieci del primo giorno, quindi
il mio amore per la scuola fin dal primo giorno si è dimostrato evidente; perché c’era il mercato,
che al paese in quegli anni era il mercato degli animali. Vuoi mettere passare il tempo a scuola o
passare il tempo al mercato: meglio il mercato!
Cioè questa “voglia di vivere”, teniamo questo termine, secondo me è la grande questione, perché
altrimenti non si capisce né l’incontro né la crisi, non si capisce niente se manca la “voglia di
vivere”, che voglio però introdurre con un altro termine che utilizza il Santo Padre. Vi consiglio
dopo di andare a riprendere, a rileggere l’Omelia del Santo Padre che ha fatto alla Messa
dell’Epifania.
Alla Messa dell’Epifania il Papa ha commentato i Re Magi, ma li ha commentati in un modo che mi
sembra descriva benissimo quello che vogliamo dirci questa sera. Non ve la leggo tutta, però dice:
“Erano persone dal cuore inquieto, che non si accontentavano di ciò che appare ed è consueto”. Si
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potrebbe stare qui a commentare ogni parola … “Erano uomini alla ricerca della Promessa, alla
ricerca di Dio. Erano uomini vigilanti, capaci di percepire i segni di Dio, il Suo linguaggio sommesso
ed insistente. Erano anche uomini coraggiosi e insieme umili. Possiamo immaginare che dovettero
sopportare tante derisioni perché si incamminarono verso il Re dei Giudei, affrontando per questo
molta fatica. Per essi non era decisivo ciò che pensava, diceva di loro questo o quello, anche
persone influenti e intelligenti. Per loro contava la verità stessa, non l’opinione degli uomini. Per
questo affrontarono le rinunce e le fatiche di un percorso lungo ed incerto …”.
A me sembra che la descrizione che il Papa ha fatto di questi tre Re Magi (cos’erano, chi erano non
ci interessa stasera) è la descrizione di uomini veri, interi, di uomini leali, coraggiosi, inquieti, mai
domi, mai succubi di quel che pensano gli altri, dell’immagine, uomini! E’ come se il Santo Padre in
questa predica ci dicesse: “Ma guardate che la questione dell’incontro, l’avvenimento dell’incontro
accade laddove ci sono uomini così!”. Guardate che è impressionante, se notate il Papa non
utilizza mai i termini “buoni”, “bravi”, “capaci”, “che non sbagliano”… proprio no, non gliene
importa niente. Uomini però, uomini!
Di mezze cartucce è pieno il mondo, che pensano che ciò che conta nella vita siano i soldi, la villa,
che cosa pensa la gente, come si va in giro vestiti … beh, se volete far così, non è il vostro posto;
anche mandar i vostri figli in una scuola così … ve li sistemano, ve li controllano, non permettono
che diventino degli storditi, in qualche modo ve li proteggono … Sì, ma non serve a niente! Il Papa
dice “uomini”!
Ma quel che mi impressionava è quel che il Papa dice dopo: “Ma il cuore inquieto è il cuore che in
fin dei conti non si accontenta di niente che sia meno di Dio, e proprio così, per questo, diventa un
cuore che ama”. Il cuore che ama è un cuore inquieto. “Il nostro cuore è inquieto verso Dio e
rimane tale anche se oggi con narcotici molto efficaci si cerca di liberare l’uomo da questa
inquietudine”.
La prima osservazione che il Papa fa è che la grande ricchezza mia, del Papa, dice, e di tutti gli
uomini è questa inquietudine per il vero, per l’incontro possiamo anche dire, per il bello, per il
grande, per il bene. L’inquietudine che non ti permette di addormentarti, anche se tutto intorno a
noi cerca in qualche modo di fare addormentare questa inquietudine. Guardate che è una
fotografia del nostro mondo terribile … ma poi dice: “Ma non soltanto noi esseri umani siamo
inquieti, ma il cuore di Dio è inquieto per l’uomo. Dio attende noi, è in ricerca di noi. Anche lui non
è tranquillo finché non ci abbia trovato. Il cuore di Dio è inquieto e per questo si è incamminato
verso di noi. Dio è inquieto verso di noi” e continua a ripeterlo “è in ricerca di persone che si
lasciano contagiare dalla sua inquietudine, dalla sua passione per noi”.
Io non ho studiato molto, anche in Seminario ho studiato pochissimo, poiché erano gli anni della
contestazione e quindi sono riuscito a diventare prete senza studiare molto, ma vi assicuro che
non ho mai sentito nessuno parlare di Dio così. A me hanno sempre tutti spiegato che Dio è lì
pronto a mandarti all’inferno, a tagliarti i piedi, la testa … se facevi qualcosa! Sentire dire dal Papa
che Dio è inquieto per me e non ha pace (ma pensate che roba!) finché io non cedo a questa sua
passione per me, descrive in maniera straordinaria che cos’è l’avvenimento di un incontro, cosa
accade dentro l’incontro. L’incontro è questa roba qui: due cuori, due persone, l’avvenimento di
due che non sono mai quieti. Per questo personalmente, per me, per Eugenio, per la struttura con
cui sono fatto, per il carattere che ho io, le persone che sono belle vive mi piacciono da morire,
anche se è evidente che una persona viva può essere fastidiosa: una persona viva non è ferma, si
muove, chiede, domanda, mangia, beve, dorme, ritorna in piedi, rimangia … è una rottura un
uomo vivo! Perché è vivo, cosa devo dirvi! Tant’è che spesso l’esito è il desiderio di noi adulti di
narcotizzare, perché il desiderio vero è che nessuno ci sia fastidio. Il bello della vita è la
tranquillità, quindi un marito tranquillo, una moglie tranquilla, dei figli tranquilli. Addirittura si sta
arrivando a questo: ho sentito un dialogo davanti a scuola tra una mamma che diceva di
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desiderare un altro figlio e di un’altra mamma che le suggeriva di prendersi un cane, che tanto è la
stessa cosa, anzi la compagnia te la fa meglio il cane. Guardate che questa mamma non è l’atea
miscredente, è una mamma normale che viene a scuola a portare i suoi figli: è quel che pensano in
tanti!
Quindi io la prima cosa che voglio dirvi è proprio questa: un uomo così! Voi potreste chiedermi
“Ma che cosa c’entra?!”; eh, c’entra! Poter alzarsi al mattino leali col proprio cuore, come la
descrizione che il Papa ha fatto. Tu sei fatto, tu esisti così, e lo può dire perché ci ha fatto Lui: “Ti
ho fatto proprio così, sempre alla ricerca, perché prima o dopo tu possa trovare me che ti sto
cercando”. Allora è interessante.
Provate a fare questa prova a casa, su un quaderno segnate tutti gli incontri che avete fatto nella
vostra vita e scoprirete che di incontri che in qualche modo hanno segnato, che in qualche modo ti
hanno fatto sobbalzare, che in qualche modo hai detto “che roba!”, ne scoprirete tantissimi, molti
ma molti di più di quelli che neanche voi immaginate, perché Dio non è tranquillo finché non ci
trova, quindi le inventa tutte, le prova tutte, ma tantissime, sono sicuro, sono certissimo.
Ma dove sta allora il grande casino? Che il sobbalzo del cuore è di un istante, ma poi ognuno è
indaffarato ancora con il suo mondo … Se voi siete cristiani e se qualche volta avete letto il
Vangelo scoprite che è sempre stato così, anche allora: Gesù passava, Gesù faceva, Gesù muoveva,
Gesù incontrava, Gesù predicava, Gesù compiva miracoli,… magari un istante di “che roba!”, ma
subito dopo la gente di nuovo a far le sue cose. Per questo il Papa dice che occorre un uomo
inquieto, occorre un uomo grande, perché dopo, quando accade, accadono davvero cose
impressionanti.
Allora io stasera non voglio parlarvi di me, già il fatto che io ci sono ancora, e sono prete, e
contento di esserlo, limitato e peccatore come tutti, ma il fatto che io ci sono ancora e non sono
finito male è già un segno straordinario. Perché quando accade un incontro accade qualcosa di
grande: quella persona, quell’uomo non è misurato, non è fotografato per quanto è capace, ma
incontra uno che l’ha accettato così come è, che o te lo dice o soprattutto ti guarda e nello
sguardo c’è dentro una cosa sola: “Io son contento che tu ci sei e sono contento che tu ci sei così.
Per questo io ti amo così come sei”. Uno lo dice, uno lo scrive, uno ti abbraccia, ma l’incontro ha
dentro questa caratteristica. Io posso dire che nella mia vita è successo, in particolare a me è
successo a diciassette anni.
Io sono entrato in Seminario nel Sessantotto, in un periodo di gran casino, e io ed i miei compagni
di Seminario ne combinavamo: dai furti, alle canzoni porno agli insegnanti al liceo… le ho fatte
tutte, da seminarista, compreso lo sparo al crocifisso con la carabina ad aria compressa, non c’era
più un crocifisso in tutto il Seminario!
Io a diciassette anni ho avuto la fortuna per caso di trovarmi nell’entroterra genovese (mi avevano
invitato ad una vacanza al mare, mi son trovato in montagna a tagliare la legna, mi sono
arrabbiato come una iena,…) e di rendermi conto in un istante, quando ormai avevo deciso con i
miei amici di andarmene, in un istante di intelligenza, non lo so come chiamarla, di dire: “Ma
questi qui sono contenti! Ma questi qui, lavorando gratis, sono contenti e si vede dalle facce”. E mi
ricordo benissimo tutto: persone, situazioni, domande che ci siamo fatti: “O qui si sono dati
appuntamento i 150 più stupidi.. ma è difficile! Ma non è che forse questi qui hanno il segreto
della felicità?”. E allora il giorno dopo, invece di andare a casa, con altri tre miei amici del mio
paese, abbiamo detto: “Ci stiamo, fino in fondo. Vogliamo capire questa cosa qui!”. A me è
capitato allora, ma io sono certo, insisto, che a tutti voi fatti, momenti, circostanze e incontri che
hanno dentro questa portata (qui c’è qualcosa di bello per me, di vero per me) sono capitati
tantissime volte. E insisto che quando capita succede l’ira di Dio!
E allora stasera ve ne racconto un po’ di questi incontri.
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Una delle amiche più grandi che sto avendo in questo periodo, che ho incontrato settimana scorsa
a un pranzo, è la famosa Ada. Ada era una poliziotta di ventuno anni che nell’86 (fino all’85 non
c’erano poliziotti femmina) diventa famosa perché è la prima donna poliziotto ferita in un agguato
dove muoiono altri due poliziotti. Lei viene ferita da una trentina di pallottole, tutte dal bacino in
giù, rimane viva un po’ per miracolo e ha ancora un po’ di pallottole in giro che non ha potuto
togliere perché si trovano in punti vitali. Solo anni dopo scoprirà che chi ha ammazzato i suoi amici
e ferito lei erano altri poliziotti, in particolare uno, con cui lei lavorava: era la famosa “Banda della
Uno bianca”. Venti giorni fa ne hanno ancora parlato molto giornali e televisione perché hanno
dato gli arresti domiciliari a Marino Occhipinti, uno di questi della Uno bianca. Lei quando scopre
che ad averla ferita era addirittura il suo collega, quello che la portava anche a far le cure, vive un
dramma terribile, anche perché questa banda in quegli anni ha fatto 23 morti e 103 feriti, non è
che ne ha fatti pochi, e tutti gratis, cioè tutti freddati quando si poteva fare a meno di ammazzarli.
Lei fonda l’associazione “Vittime dalla Uno bianca”, ne diventa la presidentessa, segue tutti i
processi, perché non può reggere davanti a tutto questo dolore, si fa carico di tutto il dramma di
queste famiglie, di questi morti, una striscia di dolore impressionante!
La cosa va avanti, va avanti, va avanti, non ce la fa più a reggere neanche lei questo dramma, lascia
la presidenza dell’Associazione, incomincia la sua ricerca personale che la porta anche a farmaci,…
insomma per farla breve, fino all’anno scorso quando per grazia, per fortuna, per disegno
misterioso di Dio io dico, per quello che il Papa diceva (“Dio non è tranquillo finché non ti trova e
utilizza chiunque”), la conosco, diventiamo amici. Lei mi diceva:”Eugenio, tu forse non ci credi, non
puoi neanche immaginare cosa vuol dire vivere vent’anni con questo dramma, con la paura che
questi escano di galera, perché me l’hanno promesso (“non ti abbiamo ucciso oggi, ma quando
usciremo, e usciremo, ti facciamo fuori in quel giorno …”), il dramma, la paura, tu mettici tutto… Il
film che io vivo tutte le mattine, come apro gli occhi, è il film di tutti i morti che ho visto, del
dramma di questa gente, è una cosa soffocante… Da quando vi ho conosciuto, eravamo in vacanza
con alcuni amici, è finito. Al mattino, quando mi sveglio, improvvisamente non c’è più quel film ma
è iniziato il film delle vostre facce. Scomparso! Eugenio, ma ti rendi conto: psichiatri, medicine,
lavoro, vent’anni … all’improvviso, quasi quasi senza fare niente mi ritrovo con negli occhi le vostre
facce”.
Si capisce che cosa può essere un incontro? Non ho cambiato, sono diventato bravo, ho fatto …
niente! ma perché quando un uomo leale, mai domo, mai tranquillo, come in fondo è stata lei,
incontra in modo misterioso, al tempo che Dio vuole, la faccia del Mistero che può utilizzare te o
te, la vita diventa un’avventura straordinaria, fino al punto poi di dirmi questo:”Eugenio, io oggi ho
incontrato Dio e sono in pace. Per questo ho perdonato Marino Occhipinti e i fratelli Savi, che sono
i peggiori”. Poi mi ha detto: “Eugenio, se Dio ha voluto che io vivessi vent’anni di tutto ‘sto casino
per vivere oggi questa pace e questa gioia, va bene così!”. Terzo: “e se Dio ha voluto che Marino
Occhipinti e i fratelli Savi abbiano fatto tutto quello che hanno fatto per incontrare Gesù, va bene
così!”. Ma come può succedere una cosa di questo tipo?!
Tra parentesi, io ho anche la fortuna, o la grazia misteriosa di Dio, di conoscere benissimo anche
Marino Occhipinti e i fratelli Savi perché frequento il carcere di Padova. La prima volta che ho
detto la Messa, tra chierichetto e lettore erano 70 omicidi! La prima volta, ma non l’avevo
preparato (per questo dico che Dio è un genio!), volevo preparare delle letture, sceglierle per loro,
un po’ “adeguate”, ma poi non ho avuto tempo, ed allora ho detto “va beh, dico quelle del giorno,
quelle che capitano capitano”. La Prima Lettura era dal Libro del Profeta Tal dei Tali, che dice:”Hai
visto popolo di Israele, che hai voluto fare di testa tua, guarda come ti sei conciato, guarda dove
sei finito …”. Come dire … eh!? Il Vangelo: Gesù che racconta dei due che vanno in chiesa ed il
primo dice: “Grazie Dio che mi hai fatto bravo, buono, non come i Samaritani, peccatori, ladri …”.
Cioè, non potevano esserci due letture più azzeccate.
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E così è iniziata questa amicizia con loro, molto semplice, che comunque dopo un po’ di anni ha
portato anche loro drammaticamente a rendersi conto di tutto quello che hanno fatto e allo stesso
tempo, come la Ada da vittima, loro da carnefici, a vivere la stessa identica pace e letizia, ed io
posso stare davanti ai Savi, a Marino e alla Ada. Anzi, adesso aspetto il momento, ormai è vicino,
che ci si possa incontrare tutti e guardarci per il mistero che il Signore ci ha presi. Che sia permesso
anche un cammino così drammatico, è la modalità con cui accade l’incontro.
La mia amica Chiara. La mia amica Chiara e suo marito. E’ un’altra coppia che io in questo periodo
ho negli occhi, che racconta di cosa vuol dire un incontro.
Bravi, buoni,… ad un certo punto vivono un momento di fatica, chiamiamolo così, come tante
copie: stanno per lasciarsi, in sintesi. Io non li conosco, la sorella di lui, che non conoscevo bene
neanche lei, è venuta da me e mi ha chiesto se poteva mandarmi suo fratello ed io le dico di
mandarmelo. Vengono a trovarmi e la situazione è veramente un bel casino, quelle situazioni in
cui tu dici: ”Qui non c’è proprio più niente da fare, fine!”. E’ impressionante, perché in quella
circostanza io ho detto solo: ”Ma voi siete disposti a rischiare? Se siete disposti, io vi accompagno,
che vuol dire che sono compagno alla vostra vita, anche dentro tutto ‘sto casino, però dovete fare
una scelta, subito: lasciate il paese, te ti licenzi, e venite ad abitare a Milano. Nel giro di tre giorni.
Ci state?”. Provate ad immaginare … ti licenzi, poi scappi dal paese, uno di quei paesini della Bassa,
poi erano anche un po’ i capi di certe comunità … comunque mi hanno detto di sì.
Sono venuti su, gli ho trovato una casa e in modo impressionante anche questi, nel giro di
pochissimo, legandosi un po’ a me ed agli amici che avevo, hanno ricominciato a volersi un bene,
ma un bene, che è impressionante, fino al punto (la modalità con cui hanno abbracciato ed hanno
accolto questo momento) che aspettano un figlio, felicissimi, mi dicono che forse ha dei problemi,
bisogna stare un po’ a riposo … cose che voi conoscete benissimo. Poi però dopo una visitina
dicono che forse non è solo una cosa così, i problemi sono un po’ più seri, fino alla terza visita,
quando emerge un problema serio: una malattia, Trisomia 18, che comporta in pratica che non è
possibile la vita extrauterina, nascono morti o muoiono pressoché subito, perché hanno una serie
infinta di problematiche.
Bene, Chiara viene a trovarmi dopo questa visita a Monza, passa a trovarmi al Sacro Cuore, siamo
in cortile e mi sta raccontando che ha scoperto che il suo bambino non vivrà, probabilmente
nascerà morto. Mentre mi sta raccontando questo, arriva una ragazza che frequenta la scuola,
tutta felice, che mi dice:”Don Eugenio, oggi sono contentissima perché è morto il nonno!”. Ed io le
chiedo: “No, aspetta, spiegami perché sei contentissima.”. E lei mi dice: “Perché il nonno, 93 anni,
era 5 anni che era a casa malato, non ce la faceva più, poveretto! Finalmente è andato in paradiso.
Erano ormai anni che pregavamo insieme per questo. E quindi, dai, che bello che è andato in
paradiso!”. E va via … Rimango ancora con Chiara, che mi dice:”Vedi Eugenio, ci troviamo davanti
veramente ad un mistero, perché il mio bambino probabilmente non vedrà neanche la luce del
sole, nasce morto. Questo signore ha vissuto 93 anni. Ma chi tra i due è più fortunato? Il mio
bambino o questo di 93 anni? Io fino a ieri pensavo: 93 anni! Il mio bambino non vedrà la luce, non
sarà nelle braccia della mamma, non gusterà i suoi fratellini, tutte le cose belle della vita. No!
Questo figlio è il più fortunato di tutti, perché in un istante di vita guadagna quello per cui siamo
tutti la mondo. E questo figlio, per me e mio marito, non sta diventando solo un figlio, sta
diventando un compagno al destino; ed io da questi giorni sto guardando anche gli altri figli con
questo sguardo. E se Dio” ha aggiunto “Se Dio l’ha voluto così, visto che è Dio che fa tutto, che fa
me, che ha fatto questo che è campato 93 anni, e fa questo bimbo ammalato di Trisomia … se a
Dio va bene così, ma chi sei tu per dire che non ti va bene!!”.
Ci siete? Stiamo parlando di una mamma che ha appena scoperto che il suo bambino morirà, e
che ti dice:”Ma se Dio lo vuole così, ma te chi sei per rompere l’anima e dire che … no!”.
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Io ve le racconto perché queste sono le persone che sostengono la mia di vita! Io ho una fortuna
impressionante, perché io di gente così ne incontro tantissima.
Poi Dio se la gode, si diverte, per cui il papà di questo bimbetto mi chiede per il Battesimo, e io gli
dico di prendere l’acqua benedetta ed appena nasce di benedirlo, se nasce vivo; se nasce morto,
gli dico di dire un L’eterno riposo. Mi racconta che appena nato, un’ora dopo lo chiama già
l’infermiera e gli dice di andare di corsa perché il cuore si sta già fermando, … lui va con la sua
acqua benedetta e lo battezza … il cuore ha ripreso a battere, ed adesso dopo otto mesi è lì che
batte, vive, cresce, non si capisce come faccia! Ma pensate questa mamma, che poi mi
raccontava:”Ma Eugenio, ma tu hai l’idea di cosa vuol dire tenere in braccio un bambino e dire
“adesso muore! Mi han detto che deve morire subito … adesso!”. E, dopo 8 mesi, mi dice:”Io con
lui ho capito cosa vuol dire quello che diciamo tra di noi, cioè che è Dio che ci fa adesso. Io ti
assicuro che con questo bambino in braccio ho veramente capito che è Dio che mi fa adesso”.
L’altro ieri sono stato a Lecco a trovare delle amiche, delle mamme, da cui viene sempre anche
Chiara, che però in questo caso mi ha scritto che non veniva perché l’avevano chiamata in un
paese a raccontare un po’ della sua storia. All’inizio non voleva andare perché diceva di non essere
capace neanche di parlare, però poi ha detto: “Ma se Dio mi dà la grazia di vivere tutto ‘sto ben di
Dio, perché, come tu sei stato strumento per me, non può essere anche la mia storia, la mia vita,
strumento per altri? E allora io vado! Entro nel mondo con questa letizia, con questa certezza”.
Uno potrebbe obiettarmi che ho raccontato di situazione estreme: 23 e 103 feriti, delinquenti e
assassini; adesso mamma con un bambino handicappato … ma è la normalità!
Prima dicevamo con Piera che adesso nella scuola tutti i genitori stanno un po’ impazzendo sulle
varie “dis-“: discalculico, disgrafico, … allora, tutti siamo “dis-“ qualcosa, è chiaro?!
In un incontro settimana scorsa, ad un certo punto interviene un ragazzo balbuziente, che mi ha
commosso come poche volte è successo (quindi siamo arrivati a qualcosa di molto più semplice,
no?). E comincia:”Ioioio vollllevvo ddddire cche sono balbuziente!”. Certo che si capiva!! Mi ha
impressionato perché questo ragazzo dice: “Io faccio fatica, sono balbuziente, però o la mia
balbuzie è una sfortuna ed io sono uno sfortunato oppure io sono uguale a tutti e la mia balbuzie
solo un limite”. Ma l’ha detto con una intensità e raccontando di un fatto: a scuola i professori gli
han chiesto di leggere una poesia di Leopardi, quindi immaginate: balbuziente, un po’ agitato … e
dice:” mi prendevano tutti in giro, ma io non mi son fermato, perché o sono sfortunato ed allora è
finita per me, o valgo esattamente come voi”. Poi io gli ho detto: “Ti ringrazio per quello che hai
detto, però sappi una cosa: qui siamo in trecento, duecentonovanta stanno pensando che tu sei
uno sfortunato. Anche se sorridiamo, anche se ci vengono le lacrime agli occhi perché ci
commoviamo, almeno duecentonovanta su trecento, per salvarne qualcuno, stanno pensando che
tu sei uno sfortunato …”. Perché dei nostri figli, o dei figli degli altri, pensiamo sempre così:
discalculico, disgrafico, dislessico… è allucinante! Poi dicevamo: ”Guardate che la balbuzie ce
l’abbiamo tutti, la balbuzie qualcuno ce l’avrà sulla parola, qualcuno ce l’avrà sull’affetto, siamo
tutti balbuzienti, siamo tutti limitati. Ma io voglio essere guardato non per la mia balbuzie!”.
L’incontro è una roba così. Certo, ma per poter essere guardato perché ci sono, e così, occorre che
qualcuno mi guardi così.
Io faccio parte del movimento di Comunione e Liberazione e nel nostro movimento uno dei canti
più diffusi, soprattutto nei matrimoni, è “Io vorrei volerti bene”. Dice: “Io vorrei volerti bene come
ti ama Dio ma non sono capace, perché sono fragile, sono debole, sono piccolo”. Poi va anche di
moda che magari lei o lui alla Comunione vada a cantarlo guardando nelle palle degli occhi l’altra
metà. Tutti cantano questo canto: “Io vorrei volerti bene ma non sono capace, tu vorresti volermi
bene ma non sei capace”, poi quando questo succede vi mandate a quel paese! Ma perché,
scusa!? Lo cantate tutti a tutte le Messe e poi quando scoprite che è proprio così, chiuso! Chiuso!
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Non voglio entrare nel merito, ma è per capire che per poter guardare uno, anche abbracciando il
limite, dis- di qualsiasi tipo o balbuziente di qualsiasi tipo, occorre che tu abbia fatto un’esperienza
di uno sguardo così, uno sguardo amoroso così.
Io ve l’assicuro, perché ormai è un dato: nella scuola io vedo che tutti i veri problemi dei ragazzini,
fino ad arrivare all’anoressia, a problematiche grosse che normalmente prendono quelli più
grandi, l’origine di tutti i problemi dei figli è uno: si sentono misurati, pesati, non c’è mai un
abbraccio per quello che sei. E’ una pretesa, un’attesa, a volte psicologica, a volte non ci si accorge
neanche, non è che è solo cattiveria. Ma è proprio questa percezione che uno ha di dover essere
sempre adeguato, di dover sempre rispondere … quando invece la natura dell’uomo, la struttura
dell’io, del nostro cuore, è il desiderio di essere guardato e voluto bene così come sei. O no? O hai
altri desideri te che sei la mamma o il papà? Voluto bene così come sei. Voluto bene così come sei
è la grande caratteristica, secondo me, che descrive un incontro che accade nella vita, un incontro
vero.
Uno potrebbe obiettarmi: “Se nessun uomo ha questa capacità, se nessuno di noi ha questa
capacità, chi può permettere a due persone di rimettersi in discussione, di perdonarsi, di guardarsi
così?”. E’ proprio l’avvenimento di un incontro, ma di un incontro semplice: si chiama Gesù.
Chiamatelo come volete, chiamatelo amore, ognuno metta quello che vuole, ma si chiama così
quella passione, irrequietudine, come ha descritto il Papa, di Dio per la tua vita, che ti vuol così
bene che non molla l’osso. Quanto? Lui non ha problemi, aspetta anche tutta la vita, aspetta
anche l’ultimo secondo della tua vita, aspetta come col ladrone sulla croce, aspetta, non ti molla,
ti segue, e ti dà, e ti dà, e ti dà, e ti manda,e ti manda continuamente segni, la realtà, le
circostanze, perché in un cammino così l’incontro non è solo l’incontro tra me e una persona, ma
tra me e la realtà.
Vi racconto un’altra cosa che mi ha commosso in questi giorni.
E’ morto il marito di una mamma che ha tre figli al Sacro Cuore. Il bimbo più piccolo, di terza
elementare, viene a scuola il giorno prima del funerale, (giustamente la mamma ha deciso di
mandarli a scuola). Al mattino escono di casa e questo bimbetto dice alla mamma: ”Mamma hai
visto che sole questa mattina? E non solo questa mattina. Hai visto che sole in questi giorni? Che
dono che Dio ci fa tutte le mattine“. Il bimbo ha tutte le ragioni e tutte le capacità esattamente
come noi, alla sua portata, non è che se un bimbo dice “ti voglio bene“, dice una sciocchezza, dice
“ti voglio bene” con tutta la certezza, anzi con più certezza di quella che diciamo noi. Se rimanesse
la forma dei 10 anni “mamma ti voglio bene” e a 20 anni usasse ancora la forma dei 10 anni,
avrebbe dei problemi, ma cambia la forma. E quando dice “E’ tutto dono di Dio, anche le cose
brutte ce le manda Dio” probabilmente in quell’istante pensava alla morte del papà. Questo per
dire che l’incontro per quella mamma quella mattina lì, cos’è stato? Chi è stato? Suo figlio.
Probabilmente non si sarebbe mai aspettata di poter star davanti a suo figlio facendo diventare
quel momento un incontro, cioè la possibilità attraverso cui il mistero riprende il tuo cuore. E
allora proprio la mamma mi diceva: “ Io in questi giorni ero molto preoccupata di dover farmi forza
per i miei figli mi sto accorgendo che sono loro che danno forza a me“: più incontro di questo qui.
24 ore su 24 Dio è all’opera. Domanda: ma voi, noi, abbiamo cuore aperto, occhi spalancati,
orecchie ben sveglie per beccare questo mistero di Dio all’opera in mezzo a noi? Questo mistero di
Dio presente tra di noi? Che ti vuol bene. L’unico motivo per cui ti vuole incontrare è perché
questo cuore, questa passione, questa voglia che hai per te, per la tua famiglia, per i tuoi figli,
mettici tutte le persone che ami, per il mondo intero, possa davvero fare esperienza della realtà.
Che il cuore desidera un bene grande non è una fregatura, non è un sogno, ma è una possibilità
reale. Per questo allora che c’è qualcuno che fa anche le scuole. Perché val la pena diventar matti
per far le scuole, se non perché possa emergere questo bene. Ma dove? Nei dialoghi? Anche, nel
far matematica, nel far grammatica decidi. Ho sentito prima che si proponeva la vacanza. Adesso
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tocca a voi: qualcuno potrebbe dire: “Non mi interessa, ho già le mie cose” potete ritirarvi sempre
dalla vita o potete stare nella vita da protagonisti. A me sembra questa la condizione, unica
condizione perché l’avvenimento di Cristo, l’incontro come lo avete chiamato questa sera, possa
veramente accadere. Come vi ho detto di questi amici, ma vi assicuro tantissimi, la vita cambia,
non c’è più niente che ti frega, né la vita né la morte, né la malattia, né il bambino che c’è e quello
che non c’è, né voto, né compiti … date i compiti voi? La maggior parte dei litigi che io vedo nelle
famiglie ormai sono per i compiti che bisogna far fare ai figli il sabato e la domenica. Non voglio
entrare in polemica con nessuno, evidentemente servono. Non servono … io non ho ancora capito
se servono o no, non avendoli mai fatti. Essendo diventato rettore sarei tentato di dire non
servono però … Sono 3 le cose che contano nella vita, sono semplicissime, uno sguardo così
desiderato per voi e per i vostri figli, allora diventate amici anche tra di voi. Trovarsi anche a una
serata come questa o fra un mese, è il desiderio, il tentativo di trovarsi e di aiutarsi, di sostenersi in
questo desiderio buono, senza avere paura dei limiti e degli errori che ciascuno di noi comunque
nella vita quotidiana può fare.
Piera Braga
Penso che le cose che ci ha detto siano veramente all’origine del desiderio di essere adulti. Io
volevo solo dire una cosa perché avevo già sentito don Eugenio l’anno scorso alle medie, ma gli
esempi che lui ha fatto oggi mi colpiscono ancora di più proprio perche c’è una dimensione di
questo sguardo che dice “tu vali“. Quando appunto raccontava di questa sua amica Ada, del
carcere, proprio per la responsabilità che quest’anno ho di fare la coordinatrice, mi colpiva
appunto il fatto che Dio usa come correzione, in fondo, la misericordia e appunto io capisco che è
proprio estraneo alla cultura nostra il fatto di fronte all’errore dell’altro di .. non di far finta di
niente, ma di giudicare il gesto. Ma di dire tu mi piaci lo stesso e questa mi sembra un’indicazione
a livello educativo radicale. Mi colpisce il fatto che, tante volte, noi adulti di fronte all’errore
abbiamo la condanna, non il giudizio. Il perdono comunque è l’esperienza dell’imitare Cristo. E’
perché uno l’ha visto in un altro e coglie una umanità che gli interessa vivere perché si accorge che
corrisponde a sé.
Mi piaceva che tu raccontassi anche qualcosa rispetto ai ragazzi, al rapporto coi ragazzi.
Don Eugenio Nembrini
Io i ragazzi li sfido sempre. Faccio catechismo alla IV elementare perché in IV elementare facciamo
a scuola la Prima Comunione e li preparo io. L’inizio è sempre un po’ drammatico: devo
distruggere tutto quello che le mamme e i papà gli hanno detto perché la pensano tutti allo steso
modo. Allora, Gesù, dov’è Gesù? Vogliamo incontrare Gesù. E allora cominciano, dove? ..dal
cuore, chissà cosa vuol dire, ..qui in chiesa, … quando siamo buoni, … quando siamo bravi, e lì mi
arrabbio e dico: qui se c’è uno buono, non fa la comunione! Glielo dico così, allora cominciamo a
ragionare. Primo, se è una persona la vogliamo incontrare e secondo non c’è una parola nel
Vangelo che dica che bisogna essere buoni, anzi l’unica volta che c’è quando chiamano Gesù
maestro buono e Lui dice “ Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non il Padre che è nei
cieli”. Anche a loro quest’anno ho letto questo del Papa perché secondo me rimane un intervento
straordinario. Il buon cristiano è un uomo che ha un cuore così e poi dico sempre a loro e lì
rimangono, spalancano gli occhi “Vedete, Gesù, sapete cosa ha detto a noi adulti? a me rettore,
alla vostra preside, alla vostra insegnante, ha detto che se non torniamo come voi, se non
diventiamo come bambini, non capiamo niente della vita. Se noi vogliamo capire e gustare la vita
dobbiamo essere come voi. Allora adesso inizia un percorso e io voglio imparare da voi. Cosa devo
imparare da voi? Quando fate i capricci? Spero di no! Io vedo anche con loro, quando rischi un
rapporto vero, reale, capiscono, ma guardate che i figli capiscono tutto, ma tutto, non i
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ragionamenti ma con una verità e una bellezza respirano. La prima cosa che faccio è rischiare sulla
loro libertà, anche se sono piccoli, perché il gusto più bello è proprio l’affermazione della libertà.
Diamo uomini liberi. Anch’io faccio così, nel mio ufficio ho cesti di caramelle, figurine,
mostriciattoli, perché che uno riceva qualcosa non dovuto, non perché sei stato bravo, che è
questa mania che avete voi mamme in genere, sei stato bravo quindi… È una sciocchezza, dal
punto di vista educativo è una stronzaggine, perché se fosse così con noi Dio, avremmo nebbia
tutto l’anno, il sole ce lo scordiamo, solo pioggia, vento. E invece dice la bibbia che Dio fa sorgere il
sole sopra i buoni e sopra i cattivi. Perché sempre la misura? Anche in queste formule qui. Però
non vuol dire essere sciocchi, ma non puoi sempre misurare. Su certe cose siate più liberi, ma non
è il premio per una capacità, il premio per una capacità introduce un percorso che non è il nostro.
Non è vero. Non è da uomini. Perché l’uomo è fatto per essere voluto bene così com’è. Guardate
che questa cosa qui è impressionante. Lo sapete quando un bambino combina qualcosa e vi
guarda di traverso, abbassa la testa, sta aspettando solo di rivedere il sorriso del padre o della
madre. Se l’ha combinata grossa sa che le deve prendere, una volta si faceva così da noi, si
prendevano, non vi dico quante … ma l’occhio non gliene importa niente di prenderle, ma che
quello non interrompa un rapporto, questo ha voglia di vedere e percepire il figlio. Non dico di
prenderli a sberle, ognuno faccia come gli pare, provi, io non so cos’è la formula migliore:
perdonare, non perdonare, a letto senza cena, tolgo la play station.. Io vi dico che il bambino,
come me, ha voglia solo, ha solo il desiderio di sentirsi voluto bene ancora una volta e che il suo
limite, il suo sbaglio, il suo errore, non taglia, non rompe un rapporto. Questa è la cosa più
straordinaria che c’è in tutto. Proviamo a fare così. Anche io provo a fare così, se poi diventano
ragazzi delle superiori il livello del rapporto e della sfida diventa da adulti e non concepisco più che
ci sia qualcuno che a 16/17 anni non faccia niente. Tuo padre non ti prende a calci nel sedere? O
tuo padre ha tanti soldi da buttare via per farti venire qui a fare il cretino, ma io ti sputo in un
occhio, se non lo fa tuo padre lo faccio io e se non lo fa tuo padre, ti butto fuori io, non ti voglio più
a scuola. Una sfida che a 16/17 intuisci che la può capire e magari ci sta, proviamo, non è mai per
chiudere. Il rapporto alla fine cosa sarà ai 21/22? Un uomo che è in grado di stare di fronte alla
realtà. Tutto quello che avremo fatto, il nostro compito si vedrà proprio lì se abbiamo tirato su un
uomo che non ha paura della realtà, non ha paura delle circostanze, che entra nella vita con
questa percezione di bene, che quindi avrà la possibilità di incontrare una morosa, e si ricomincia
ancora una volta, fare una famiglia, altri figli … Bravo o tranquillo per me è odioso. Bambino
tranquillo? Per me un bambolotto è uguale. Cosa vorrà dire bambino tranquillo? Ci sono anche
quelli, menomale che Dio ogni tanto mette in qualche classe anche dei bambini tranquilli perché
se fossero tutti di quelli.. sarebbe un bel casino, ma è un dono anche quello.
Domanda
Volevo sapere che differenza c’è tra la voglia di vivere che ha citato all’inizio e la voglia di vivere
dopo l’incontro.
Don Eugenio Nembrini
La voglia di vivere è la stessa, è affascinante perché è la struttura dell’essere, dell’io. Io sono stato
10 anni in Kazakistan. Sono arrivato nel 1995 qualche anno dopo il crollo dell’Unione Sovietica e
voi non avete neanche l’idea. Mi piacerebbe portarvi, portare quelli a cui piaceva quel mondo lì, li
porterei tutti per un mesetto o due, è una roba da piangere hanno distrutto proprio l’io. Tutti
tristi, nessuno che parla, nessuno che guarda, perché? Tutto era il dubbio, la paura che l’altro
potesse in qualche modo essere un delatore. Tutti sapevano che in un qualsiasi incontro, in una
qualsiasi famiglia, in qualsiasi classe, in qualsiasi gruppo, c’era qualcuno che era una spia. Quindi
tutti stavano arroccati sul nulla, quindi un mondo davvero a riccio. Anche lì però impressionante,
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perché bastava un io, arriviamo noi, italiani in particolare, con un io che canta, parla, parla
sull’autobus, parla per strada, sta a scuola con i ragazzi, un io che vive … è impressionante cosa
succede, diventa come le bombette che fanno scoppiare nei centri, esplode l’io. Ma perché lì
esplode l’io? Anche quando sembrerebbe tutto morto, fermo. Perché è la struttura con cui ci ha
creati Dio, ci ha fatti così. Anche quando hai provato a tenerlo schiacciato, schiacciato, schiacciato.
Una ragazzina una volta mi ha fatto questo esempio, bellissimo: é come quando tu tenti di tenere
sott’acqua un pallone: devi fare forza per tenerlo sotto, ma più lo cacci sotto, quando lo molli il
pallone salta fuori dall’acqua con un balzo.
Cosa succede ad un certo punto della vita, questa voglia di vivere è come se trovasse casa, è come
se trovasse un volto, una carne. A 15/16/17 anni non basta più la mamma, grazie a Dio. A voi
piacerebbe molto, ma invece arriva quel giorno in cui la mamma non basta più. Ma un ragazzo non
sa ancora di che cosa ha bisogno, può immaginare che sia la ragazza, la fidanzata, la morosa ma
finché non accade non lo sa. Manca qualcosa, ma quando incontra Giovanna, manca ancora
qualcosa, certo, ma chi manca? Giovanna. E’ una mancanza che ormai ha una faccia, ha una storia.
Io cosa ho fatto, la differenza è tutta lì. Prima era come un tentativo mio di trovare, inventarmi che
cosa potesse rispondere al mio cuore, poi da quel giorno io ho detto questi qui non li mollo più. E
non mi stavano neanche molto simpatici come tipi, ma io questi qui non li mollo più.
Il mio papà (questa sera non ho parlato del papà e della mamma che sarebbe un altro capitolo
interessantissimo) ammalato, sclerosi a placche, 10 figli, quando rientro da questa vacanzina, (da
questo periodo che chiamo vacanza) e ci siamo dati appuntamento dopo 2 settimane per reincontrarci a Bergamo tutti quelli che avevano partecipato alla vacanza, prima di uscire di casa mio
papà mette la giacca e dice: ”Vengo anch’io”. Cosa centri tu? “Perché da quando siete tornati vi
vedo più lieti, più contenti, vuol dire che avete incontrato una cosa vera, ma se è vera, è vera per
tutti e interessa anche a me”. E mio papà è venuto con noi a Bergamo. Chi è questo papà, questa
mamma tra di voi disposto a questo? Ve lo dico io: nessuno. Al massimo: “Dove vai a quest’ora?”
Vengo anch’io.
Tutto quello per cui è fatto il mio cuore è come se ad un certo punto trova un luogo, una casa, è
quello che si chiama incontro. Che può accadere dove? Boh? Più tu sei curiosa, più tu sei all’opera,
più non sei ferma, più hai la possibilità di vederla, di incontrarla. Poi Dio può usare anche altre
forme, San Paolo l’ha buttato giù dal cavallo, stava andando tranquillo e beato non pensava… può
usare anche queste forme qui, ma nella norma usa un cuore che cerca, che desidera una cosa che
non c’è. Ad un certo punto cerchi una cosa che hai visto. Io ho sempre fatto l’esempio, per far
capire questa cosa, del prosciutto crudo in Kazakistan. In Italia sapevo benissimo cos’era il
prosciutto crudo. Quegli anni in Kazakistan c’era la fame, non c’era niente. Dopo un anno che ero
la, in quei “supermercati” per la prima volta vedo un pezzo che sembra prosciutto vado lì, lo giro e
vedo 130 dollari, lo metto giù e giro, dopo un po’ ripasso e riguardo il prezzo, sono passato 3 o 4
volte e alla fine l’ho preso. Tu, se hai mangiato il prosciutto crudo, possono anche dirti che è
buono quel prosciutto là, ma se hai provato una volta, non desideri di meno. Ti accontenti, certo,
ma sai il gusto, dico prosciutto ma potrebbe essere qualsiasi aspetto della vita, tu sai il gusto di
quel momento, di quella circostanza, di quel lavoro, di quell’abbraccio, di quell’amore, di quella
gita, di quello sguardo, lo sai e allora cosa fai? Torni lo ri-cerchi e se l’hai beccato là, torni là e se
l’hai visto con quella persona, cerchi ancora quella persona, se sei leale e intelligente, se invece sei
disattento ti passa via.
Domanda
Posso chiederti una cosa? Sulla questione dei fratelli Savi e sulla loro conversione, non vorrei fare
l’avvocato del diavolo, d’altra parte non mi sento con tutti questi morti … non c’è giustizia.
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Don Eugenio Nembrini
Non c’è. Sono radicale. La giustizia non è di questo mondo. A me mi ha fatto bello e a te brutto. I
belli e i brutti ci sono? E’ un’ingiustizia radicale. Uomini e donne. Lombardi e teroni altra giustizia
radicale. Bianchi e neri. Io quando prego al mattino “Ti adoro mio Dio e ti amo con tutto il cuore, ti
ringrazio di avermi creato e fatto cristiano bianco, bergamasco, maschio“, lo dico, non scherzo..
Che ognuno aggiunga i propri. E’ per dire sano e ammalato, ricco e povero, intelligente e ignorante
è un’infinità già di per sé nella natura della realtà che non è così, non è giusto, c’è un’ingiustizia
radicale. Ma c’è un’ingiustizia radicale sotto gli occhi di tutti. A me ha colpito moltissimo aver
incontrato questa donna, l’ha faccio breve, ma la prima volta è stata affascinante perché io, con
alcuni amici, raccontavo di questa cosa che a me stupiva. Questi sono in galera, ma se a questi è
capitato di rendersi conto di quel che hanno fatto sono profondamente addolorati. All’inizio no,
ma adesso vi assicuro profondamente, quel dolore lì non glielo porta via più nessuno. Io stavo
raccontando di questo cambiamento e questa donna interviene e dice: ”Fai presto tu a parlare
perché non sei dall’altra parte. Chi sei? Io sono una delle prime vittime” e ci ha raccontato.
Perché vi ho fatto questo esempio? Perché era una che la giustizia l’ha cercata per 25 anni. Anche
lei, sarebbe bellissimo incontrarla e sentirla. Neanche il fatto che questi sono tutti in galera e che
ci rimangano per tutta la vita a me chi mi ridà la mia salute, il mio lavoro? A chi gli è morto il
marito? C’è un’ingiustizia, qualsiasi tentativo di giustizia. C’è una domanda drammatica sulla vita,
questo sì. Io non te la risolvo, ti ho raccontato alcuni esempi. Conosco mamme che hanno il figlio
malato o che abortiscono dei figli per dei difetti a volte piccolissimi, allucinante, non li vogliono..
Cosa fa la differenza? Io non so se questo va in paradiso, all’inferno. Se questo è cattivo o buono.
Incontro gente che vive il dramma dell’ingiustizia sulla salute e lo vive in un certo modo, da libero
e c’è qualcuno che invece no. Io nel mio cuore sento, percepisco, sarà per il fatto di essere prete. Il
prete, qualunque cosa tu gli dici, finisce sempre con la frase “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome
del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Va in pace.“.Non ti dice niente per quello che hai
fatto. Vi assicuro che io ho lavorato in certi ambiti dove i peccati sono a un certo livello, ti verrebbe
voglia, a volte, di uscire dal confessionale prendere quello lì o quella lì e menarlo. E invece no: io ti
assolvo … ma non sono io che ti assolvo, io ti assolvo a nome di un altro. L’Altro ti dice: ricomincia,
anche se hai fatto la cosa più.. Ricomincia. La descrizione della giustizia più bella é quel dialogo
straordinario tra Gesù risorto e san Pietro. San Pietro, peccatore come tutti, “Io non ti
abbandonerò mai“. “Lascia passare, vedrai …” “Ma io ti assicuro.”. “Prima che il gallo canti mi avrai
già tradito tre volte” E succede. “Tu sei amico di quello là” “Io?“ “Ti abbiamo visto con lui” “Io?“
Riuscite a vederlo Pietro? Quando sente il gallo, dice il Vangelo, uscito fuori, pianse amaramente.
Muore Gesù, ma dopo tre giorni lo becca. Provate a immaginare san Pietro, qualche giorno dopo
beccato da Gesù. “Ma tu Pietro mi vuoi bene?” Avrebbe potuto dire che contava su di lui, invece
no, gli chiede “Mi vuoi bene?” “Sì, ti voglio bene“. “Ma hai capito? Mi vuoi bene?” “Ma Gesù Tu sai
tutto e sai che ti voglio bene“. Questa è la giustizia, l’emergere di un bene così, la giustizia è solo
misericordia, ma non è roba di noi uomini. Pensa a Gesù, alla Madonna, che sapeva com’è nato.
Fin dall’inizio la vita di Gesù è un casino. Giuseppe non ci dorme sopra.. Tutti i bambini della zona
vengono ammazzati … La venuta di Gesù ha portato subito la pace e la felicità nel mondo? Ma che
vinca nel tempo una misericordia così, questo proprio è un’altra misura che non è nostra. Anche
quando nelle cose più semplici vedo genitori che litigano, il livello è sempre: di chi è la colpa?
Finché non succede che uno dei due cede, allora lì forse c’è la possibilità di costruire qualcosa.
Certo uno può dire: “Bisogna ammazzare della gente per accorgersi?” Speriamo di no!
E’ di questa zona Castagna? L’avete conosciuto? Una volta incontratelo. E’ impressionante. Noi
siamo andati insieme nel carcere di Padova perché abbiamo fatto un incontro “vittime e carnefici”
e c’era anche lui. E diceva che il perdono non è roba sua e che tutti pensavano che la vittima fosse
lui o la sua famiglia, ma le vittime sono quei due poveretti che non sanno o non sapevano in quel
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momento per che cosa val la pena vivere, questa è la vera povertà e io dal primo giorno ho
cominciato a pregare per loro. La vittima è quella: un uomo che vive senza ragioni. Capisco che è
una bella sfida. Se il giorno che qualcuno di voi avrà la fortuna/sfortuna, le metto insieme, di avere
magari in casa o in famiglia qualche casino sa che il livello del rapporto o arriva qui o non regge. E i
testamenti? Le beghe più grandi testamenti o litigi famigliari, sono quando uno ti dice che non lo
fa per i soldi, lo fa per una questione di giustizia, allora non perdere tempo perché, lo sapete
anche voi, da lì non viene fuori niente.
Appunti non rivisti dal relatore
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