Potenzialitá del trattamento a fiamma nel settore del food packaging

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Potenzialitá del trattamento a fiamma nel settore del food packaging
Potenzialitá del trattamento a fiamma nel settore
del food packaging
di Stefano Farris e Simone Pozzoli
DiSTAM – Dipartimento di Scienze eTecnologie Alimentari e Microbiologiche, Laboratorio di
Food Packaging
Universitá degli Studi di Milano
Riassunto
In questo breve scritto verranno messe in evidenza le enormi potenzialitá del trattamento a fiamma quale tecnologia
per l’attivazione superficiale di imballaggi plastici, destinati fra l’altro, al settore dell’imballaggio alimentare.
In particolare, sará nostra premura soffermare l’attenzione sugli aspetti di processo relativi al materiale plastico
che maggiormente possono incidere sul risultato finale derivante dal trattamento.
Con la diffusione su larga scala dell’utilizzo di materie plastiche in vari settori e per le più svariate applicazioni,
è cresciuta anche la necessità di avere polimeri altamente performanti, che si prestino adeguatamente alle
lavorazioni a cui generalmente vanno incontro. I settori che fin da subito hanno beneficiato dell’avvento delle
materie plastiche sono stati quelli automobilistico e dell’oggettistica domestica, seguiti negli anni da settori minori
come quello dell’imballaggio alimentare. In seno a quest’ultimo, i polimeri maggiormente utilizzati ricadono
all’interno del gruppo delle poliolefine, tra cui polietilene (PE) e polipropilene (PP), che rappresentano circa la
metá del consumo totale di materie plastiche in Europa occidentale. A fronte di numerosi vantaggi universalmente
riconosciuti (basso costo, ottime proprietà ottiche, flessibilità, barriera al vapor d’acqua, resistenza allo stresscracking, inerzia ad acidi, oli ed alcoli), le poliolefine possiedono scarse proprietà superficiali. Nel settore
dell’imballaggio alimentare le proprietà di superficie svolgono un ruolo di primaria importanza in specifiche
operazioni di ‘converting’ come lo stampaggio, la laminazione e la deposizione di sottili strati ( coatings). In
particolare, la realizzazione delle suddette operazioni risulta particolarmente difficile quando, a causa della natura
chimica del substrato, l’adesione all’interfaccia “substrato plastico/polimero da depositare” è minima o
totalmente assente. In queste situazioni si rende pertanto necessario ‘attivare’ la superficie del polimero plastico,
riducendo la sua intrinseca recalcitranza alla deposizione di altri polimeri mediante l’instaurarsi di nuove forze di
adesione all’interfaccia substrato/coating. In termini più tecnici, questo vuol dire rendere la superficie del
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substrato bagnabile, aumentandone l’energia superficiale. In particolare, scopo di ogni trattamento di attivazione è
quello di conferire alla superficie polimerica un valore di energia superficiale il più vicino possibile alla tensione
superficiale del liquido da depositare.
Fra le varie tecnologie tutt’oggi disponibili a tale scopo, il trattamento a fiamma è sicuramente quella più
promettente, non solo per gli indubbi vantaggi annessi (elevate velocità di produzione, assenza di ozono quale
prodotto di neo-formazione, persistenza del trattamento nel tempo, azione limitata ai primi 45 Å della superficie),
ma anche perché, in molti settori, non se ne conoscono ancora le enormi potenzialità. Trattare a fiamma un
qualsiasi substrato significa sottoporlo all’azione (controllata nel tempo e nello spazio)di una fiamma (controllata
nella composizione e nella natura), al fine di modificarne la struttura chimica superficiale mediante l’innesto di
nuovi gruppi funzionali polari (in particolare gruppi ossidrilici – OH, carbonilici – C=O, carbossilici – COOH)
mediato dalle numerose specie radicaliche che si formano durante il fenomeno della combustione. Sarà proprio la
presenza di questi nuovi gruppi funzionali che determinerà l’aumento di energia superficiale del substrato e
quindi la sua bagnabilità. Questo processo, apparentemente semplice, richiede in realtà la conoscenza di vari aspetti
affinché possa garantire il raggiungimento dell’obiettivo finale (ovvero la deposizione sul substrato) in maniera
soddisfacente. In particolare, elevati valori di energia superficiale del substrato trattato potranno essere ottenuti
prendendo in attenta considerazione sia parametri legati al processo che fattori esogeni, legati ad esempio alla natura
del substrato, alle condizioni esterne ambientali, ecc.
Un primo fattore da considerare è la tipologia di gas impiegato per la fiammatura. In tal senso, i nostri studi hanno
evidenziato come, a seconda dell’idrocarburo selezionato, i risultati ottenibili in termini di incremento
dell’energia superficiale siano molto diversi. Come riportato in Tabella 1, infatti, metano, butano e gas di petrolio
liquefatto (GPL, talvolta indicato anche come gas propano liquido) hanno fornito, a parità di altre condizioni,
risultati differenti. Fra i tre gas, quello che ha garantito l’incremento maggiore in termini di energia superficiale
del substrato poliolefinico trattato è stato il GPL, seguito dal metano e dal butano. Più nello specifico, è stato
possibile osservare come, per tutti e tre i gas, la variazione di energia superficiale sia da imputare all’aumento
della componente polare, a dimostrazione del fatto che nuovi gruppi polari compaiono lungo lo scheletro molecolare
in seguito al trattamento.
GAS USATO
ENERGIA
SUPERFICIALE
COMPONENTE
DISPERSA
COMPONENTE
POLARE
Non trattato*
30.65
30.64
0.01
Metano
38.72
32.82
5.91
Butano
36.21
29.2
7.01
GPL
39.8
32.28
7.55
GPL + aria
45.30
32.06
13.25
* Campione di polipropilene tal quale (10 cm
2
x
10 cm x 0.1 cm)
Un altro parametro molto importante riguarda la possibilità di utilizzare un agente ossidante (ad esempio
l’ossigeno contenuto nell’aria) secondo proporzioni ottimali. In Tabella 1 (ultima riga) si può notare
l’effetto benefico sui valori di energia superficiale derivante dall’uso di aria in combinazione con
l’idrocarburo GPL. Il valore finale di energia superficiale aumenta considerevolmente, grazie ad un
marcato aumento della componente polare (circa il doppio rispetto ai casi precedenti). Il rapporto gas/aria
diventa pertanto un altro parametro da tenere bene in considerazione. Di solito, tale rapporto viene fissato
leggermente al di sotto del rapporto stechiometrico, ovvero si preferisce lavorare con fiamme leggermente
ossidanti (eccesso di aria), al fine di garantire un adeguato numero di specie radicaliche per la
modificazione superficiale del substrato. Un altro parametro di processo da considerare è il flusso della
miscela, espresso come volume gas-aria per unità di tempo (m 3 h-1). In generale, l’attivazione
superficiale del substrato plastico avviene grazie all’esposizione dello stesso ad una certa quantità di
energia termica. Tale quantità, tuttavia, deve essere fissata con accuratezza, poiché per flussi troppo
elevati il vantaggio che ne scaturisce in termini di attivazione superficiale tende ad assottigliarsi fino ad
annullarsi, quindi determinando inutili sprechi di energia nonché stress termici sul materiale. Un ultima
voce che può incidere fortemente sull’esito del trattamento a fiamma è la distanza substrato-fiamma,
ovvero i mm che separano la superficie da trattare ed i coni luminosi della fiamma. E’ stato osservato
come i valori di energia superficiali di films poliolefinici non aumenti, ma anzi peggiori, nel caso in cui il
film stesso passi all’interno della fiamma. Al contrario, decisi incrementi nei valori di energia
superficiale si riscontrano quando il substrato è in prossimità dei coni luminosi. In particolare, la distanza
ottimale sembra essere compresa tra i 5 mm ed i 10 mm. La spiegazione di ciò risiede nella cosiddetta
teoria del profilo di fiamma. Infatti, la parte di fiamma più utile ai fini dell’attivazione superficiale è
quella relativa alla zona luminosa, che è la più ricca in specie radicaliche e quella a più alta temperatura.
Invece, per distanze inferiori ai 2 mm, l’efficacia del trattamento decresce conseguentemente alla minore
concentrazione di specie radicaliche attive e di temperature sempre più basse.
Tra i fattori esogeni che possono influenzare l’esito del trattamento a fiamma, vogliamo soffermare
l’attenzione su un aspetto che, in molte situazioni, viene sottovalutato e che è legato al substrato
plastico. Se, da un lato, la natura chimica è sicuramente il fattore principale che determina l’entità
dell’attivazione (un poliestere è sicuramente più ‘attivabile’ di qualsiasi poliolefina), la presenza di
additivi all’interno della formulazione può sicuramente portare ad inaspettate deviazioni dai valori di
attivazione attesi. Fra tali additivi, alcuni sono aggiunti direttamente in masterbatch (cioè direttamente
aggiunti ai granuli di polimero in fase di estrusione), come ad esempio agenti antistatici, plasticizzanti,
anti-ossidanti, anti-blocking. Altri additivi possono derivare da operazioni successive all’ottenimento del
manufatto plastico da trattare a fiamma, come ad esempio i residui lasciati dallo stampo per facilitare il
distacco del prodotto nel caso di oggetti stampati ad iniezione. Infine, non sono da trascurare le
contaminazioni esterne, come ad esempio i numerosi additivi usati per la pulizia dell’estrusore quando si
effettua un cambio di materiale. Le nostre ricerche hanno evidenziato l’influenza che può avere la
presenza di additivi nel polimero. Come si può osservare dalle immagini sotto riportate, il trattamento
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eseguito su un polipropilene contenente un’elevata quantità di additivi (PP1) determina un incremento
dell’energia superficiale nettamente inferiore rispetto ad uno stesso polipropilene ma con un maggior
grado di ‘purezza’ (PP2). Infatti, l’angolo di contatto della goccia d’acqua subito dopo il
trattamento risulta pari a ~ 66°, cui corrisponde un valore medio di energia superficiale di 44.05 mN/m.
Nel caso del campione di polipropilene più puro, invece, si osserva come, a parit à di angolo iniziale (~
98°), il valore dell’angolo di contatto dopo il trattamento risulta pari a ~ 38°, cui corrisponde un
valore medio di energia superficiale di 56.32 mN/m. Tale valore, estrememente alto, consente di
depositare water-based coatings senza ricorrere all’uso dei cosiddetti primers, o attivatori di adesione. La
spiegazione di tali risultati risiede nel fatto che, in seguito al trattamento e quindi all’esposizione al
calore, tali additivi (generalmente rappresentati da molecole a basso peso molecolare) tendono a migrare
verso la superficie (blooming effect), rappresentando quindi un ostacolo fisico-chimico all’azione della
fiamma.
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PP1, non trattato
PP2, non trattato
PP1, trattato
PP2, trattato
Pertanto, possiamo concludere dicendo che l’efficacia di un trattamento a fiamma dipende fortemente da
numerose variabili. Alcune di esse dipendono strettamente dal processo, e pertanto l’affidarsi a personale
qualificato nel set-up dell’impianto è di fondamentale importanza. Tuttavia, appare necessario conoscere
anche le caratteristiche del materiale e quindi, in tal senso, un continuo scambio di informazioni tra tutte
le figure all’interno dell’intero processo risulta indispensabile.
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