SUONO LA SCOPERTA DELL`AMERICA DI

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SUONO LA SCOPERTA DELL`AMERICA DI
SUONO
LA SCOPERTA DELL’AMERICA
DI ENNIO MORRICONE
Dopo il successo dei concerti di New
York e il ritiro dell’Oscar alla
carriera a Los Angeles il compositore
italiano è pronto per incontrare di
nuovo il pubblico statunitense
Per Ennio Morricone i premi non sono
importanti. Secondo lui “quando si
scrive musica non si pensa mai ai
riconoscimenti, si scrive e basta”.
Eppure quando Clint Eastwood lo ha
invitato sul palco del Kodak Theatre
di Los Angeles il 25 febbraio scorso
per consegnargli l’Oscar alla carriera,
il grande compositore italiano non
poteva tirarsi indietro. Non poteva
sottrarsi
all’entusiasmo,
l’ammirazione e al calore che il
pubblico
americano
voleva
comunicargli. Così il maestro ha
baciato la moglie e, visibilmente
emozionato, è salito sul palco più
ambito del mondo dello spettacolo. Il
pubblico era lì ad attenderlo. Si è
alzato in piedi entusiasta e felice di
applaudirlo solennemente. Il momento
in cui il compositore italiano ha
ritirato la statuetta è stato un vero
elogio al sentimento dell’Amore. Tra
gli attimi più commuoventi della
cerimonia per tutti, non solo per gli
italiani. La dedica dell’Oscar alla
moglie Maria (“il premio è per lei che
mi ama moltissimo e io la amo allo
stesso modo”) e l’aver definito
l’evento “non un punto di arrivo, ma
un punto di partenza al servizio del
cinema e della mia personale estetica
sulla musica applicata” mostrano
perfettamente l’identità di Morricone.
Quella di un uomo che cerca
continuamente il progresso e che sa
amare in maniera totale sia nella vita
privata, sia nel lavoro. Le sue parole
hanno commosso perché erano
pronunciate
con
il
linguaggio
dell’Amore. Quel sentimento che il
maestro ha sempre trasferito in ogni
sua composizione e che oggi
finalmente, dopo 5 nomination a vuoto
(“Days of Heaven” 1978, “The
Mission” 1986, “The Untouchables”
1987, “Bugsy” 1991 e “Malèna”
2000), è stato gratificato anche da una
statuetta. “L’Oscar è come un gioco al
lotto – ha detto il maestro - non puoi
farne una tragedia se non scelgono te.
Riceverlo ora però significa molto
perchè non è frutto della fortuna ma
dell’esito di una votazione di oltre
4.000 membri dell’Academy ed è la
considerazione dell’intera opera che
ho dato al cinema. Questo mi rende
fiero”. L’arrivo del premio ha
sconvolto completamente gli ultimi
mesi della sua vita normalmente
sedentaria e ordinata. Dall’arrivo della
telefonata
del
presidente
dell’Academy a oggi nella sua casa a
Piazza Venezia non c’è stata più la
solita tranquillità. Impegni fuori casa,
festeggiamenti,
allegri
brindisi,
telefoni infuocati, valigie pronte,
interviste a raffica, regali a sorpresa,
ammiratori in cerca di autografo
hanno movimentato le sue giornate.
Ma la gioia era così grande da
accettare
qualsiasi
interruzione
dell’adorata routine. Anche il fitto
plaining dei giorni trascorsi a Los
Angeles in cui il maestro ha
partecipato a ricevimenti, cene e party
mondani (dal defilè di Armani alla
festa di Vanity Fair), pur non amando
il mondo delle paillette, delle star e dei
falsi sorrisi, non gli è pesato. Però
anche sotto le luci di Hollywood,
accolto ovunque come una rock-star e
coccolato dai tanti amici, da Giuseppe
Tornatore a Dino De Laurentiis, a
Clint Eastwood, la mente del
compositore romano non si è mai
distaccata dai suoi progetti, dalle
musiche lasciate in sospeso sulla
scrivania di Roma e dalle nuove idee
nate durante l’esperienza americana.
Al centro dei suoi pensieri c’è sempre
stata solo la musica. Bastava
osservarlo durante il pranzo nell’hotel
di Hollywood che lo ospitava, poche
ore prima di cambiarsi d’abito per
ritirare l’Oscar, per capirlo: il maestro
smorzava la tensione facendo suonare
i bicchieri con la forchetta mentre
mangiava una cotoletta con patate
fritte insieme alla moglie, i figli e a
parte del suo staff. Il maestro si è reso
conto di essere davvero al centro
dell’attenzione forse solo quando,
mentre passeggiava con la moglie su
Sunset Boulevard poco prima della
cerimonia, un gruppo di persone lo ha
riconosciuto e gli ha chiesto
l’autografo. Un piccolo episodio che
però dice tanto: dimostra la grande
ammirazione che gli americani hanno
per lui e l’enorme popolarità raggiunta
negli Stati Uniti nell’ultimo mese.
Complici sono stati anche i due
concerti che il maestro ha tenuto a
New York il 2 e il 3 febbraio scorsi
che hanno rappresentato, nella sua
lunga biografia, il vero esordio davanti
al pubblico americano. Sembra strano,
ma nonostante il compositore abbia
scritto decine di colonne sonore per
diversi registi americani e per
numerosi film ambienti in Usa, non si
era mai esibito prima d’ora in
America. “Nessuno me lo aveva mai
chiesto prima d’ora” ha risposto ai
giornalisti che gli chiedevano il
motivo di questa mancanza. Grazie
all’intuito e all’impegno del promoter
italiano Massimo Gallotta, che ha
lavorato per due anni per organizzare
la trasferta americana del maestro,
questo sogno è diventato realtà. Il
primo concerto ha visto protagonista
Mr Morricone con l’Orchestra Roma
Sinfonietta nell’aula dell’Assemblea
Generale dell’Onu per un pubblico
ristretto, dove ha eseguito prima la
composizione “Voci dal silenzio”,
scritta dopo la tragedia dell’11
settembre e dedicata alle stragi del
mondo, e poi una selezione delle sue
musiche per film. Il giorno successivo,
invece, ha incontrato il grande
audience al Radio City Music Hall con
un
repertorio
più
gioioso
comprendente i suoi grandi successi.
Oltre 6 mila persone lo hanno
applaudito, per oltre dieci minuti, in
uno dei principali teatri della musica
mondiale. Con questi due concerti
memorabili per la sua carriera Mr
Morricone ha incontrato per la prima
volta l’America e l’America ha
incontrato lui. Un incontro pieno di
adrenalina che ha portato il
compositore romano, “un genio che
vive come un impiegato” – come lo ha
definito Damon Albarn, leader dei
Bur, poi dei Gorillaz e ora dei The
Good, The Bad & The Queen - fuori
dall’ordine, la stasi e la metodicità che
tanto ama. Eppure l’America gli
girava intorno sin dal 1961 quando il
giovane compositore, all’epoca aveva
31 anni, firmò la colonna sonora per la
serie tv per la Rai “La scoperta
dell’America” di Sergio Giordani. E
lui non se ne era mai accorto.
L’America era lì: nei vuoti e gli spazi
immensi evocati dalla sua musica, ma
infondo non l’aveva mai guardata
dritto in faccia. Troppo concentrato a
stare nel suo piccolo-grande mondo
fatto di pane e spartiti non gli aveva
mai prestato attenzione. Troppo
impegnato nel suo lavoro solitario,
metodico e disciplinato svolto nel suo
appartamento a Roma di fronte al
Campidoglio non è stato lasciato
attrarre dal mito degli Usa, dal sogno
americano,
da
Hollywood,
il
bailamme dei party, le amicizie
facoltose, il successo. Il maestro è una
persona esigente. “Rispetto ad altri
compositori – ha detto – il mio tempo
è sfruttato bene, ma se penso a
compositori classici come Bach,
Frescobaldi, Palestrina o Mozart io mi
definirei un disoccupato”. Quando è
arrivato all’aeroporto di New York
insieme all’inseparabile moglie, Maria
Travia, la sua traduttrice e parte della
famiglia – i figli Giovanni, Alessandra
e Marco - lo attendeva una limousine.
Il maestro ne era lusingato, vi è salito
sorridente ma il suo sguardo è rimasto
distratto, quella “distrazione attenta”
che per chi lo conosce è segno di
“elaborazione”. Segno che pur
essendo nel cuore di New York,
circondato da grattaceli, luci e suoni, i
suoi pensieri lo portavano altrove. Un
altrove produttivo dove non c’è tempo
per fare il turista perché quello che
conta davvero è far maturare le idee,
elaborale di continuo. “Sono stato
almeno trenta volte a New York – ha
detto – ma non ho mai visitato la
città”. Pur avendo percorso gli Stati
Uniti in diverse occasioni, sia per
incontrare i registi a Los Angeles, sia
per andare a trovare il figlio Giovanni,
solo ora Mr Morricone scopre davvero
l’essenza di questa Nazione. La
differenza dai precedenti viaggi
risiede nel fatto che questa volta è
stata l’America a chiamarlo con
entusiasmo, annunciando il suo arrivo
con titoloni sui principali giornali
americani, dal New York Times al
New Yorker, dal New York Post al
Los Angeles Times che lo ha definito
“A genius for the wild, high-low mix”
(….). “Finally the genius italian
composer riders into the City” hanno
urlato molti e il titolo del film di
Giordani non può non rimbombare
con tono profetico oggi. Nella sua
prima apparizione pubblica in Usa,
alla conferenza stampa tenutasi
all’Istituto Italiano di Cultura di Park
Avenue, alla domanda: “Qual è il suo
rapporto con l’America?” il maestro
ha risposto “buonissimo” e, per
associazione di idea, ha cominciato a
raccontare vari aneddoti. “Sono
venuto a New York per incontrare
Brian De Palma (nel pubblico al Radio
City) per parlare del film “Mission to
Mars”. Ricordo che venne a prendermi
all’aeroporto, mi portò in una stanza e
mi disse che, fino a quel momento,
non credeva che la musica potesse
creare emozioni così forti. Lo diceva
piangendo, così pensai che stava
dicendo qualcosa di brutto. Anche la
sua interprete cominciò a piangere.
Solo allora capii che era un
complimento. Fu indimenticabile. Alla
fine piangevamo tutti e tre”. Il pianto,
alternato all’euforia esplosa in una
lunghissima standing ovation, è stata
anche la reazione di molti spettatori
presenti al Radio City che, alle prime
note dei suoi capolavori, sono saltati
in piedi dalla poltrona e si sono
commossi collegando la sua musica
alle scene di film che li hanno
emozionati, da “Gli intoccabili” di De
Palma a “Nuovo Cinema Paradiso” e
“Malena” di Giuseppe Tornatore,
“Queimada” di Gillo Pontecorvo, “H2
S” di Roberto Faenza, “Il clan dei
Siciliani” di Henri Verneuil, “Metti
una sera a cena” di Giuseppe Patroni
Griffi, fino a vari temi di “The
Mission” di Roland Joffe e ai
capolavori composti per gli SpaghettiWestern di Sergio Leone da “Il buono,
il brutto e il cattivo” a “C’era una
volta il West”, da “Per un pugno di
dollari” a “C’era una volta in
America”. Musiche per le quali il
maestro ha ricevuto i primi successi
dal 1964 e si è fatto conoscere dal
pubblico
internazionale,
pur
conservando dentro di sé il desiderio
di una carriera differente, più vicina ai
suoi studi accademici e non alla
musica popolare. Bernardo Bertolucci
lo ha sempre definito “l’uomo con due
identità”. Per una vita, infatti,
Morricone ha cercato un equilibrio tra
questi due mondi e oggi, a 78 anni,
alla vigilia del riconoscimento più
importante della sua carriera, non lo
dice ma sa che lo ha trovato, sia nella
musica stessa scritta per i film – ricca
di invenzioni originali -, sia nella
possibilità di eseguire in un unico
concerto composizioni di musica
contemporanea e colonne sonore come
è avvenuto sul palco delle Nazioni
Unite. “Questo concerto è stato
importante per me – ha spiegato –
anche perché conteneva la dedica a
tutte le stragi della storia umana: al
centro c’era la pietas, nessun
significato politico. E’ giusto che
all’Onu, dove si radunano le voci dei
politici di tutto il mondo, trovino
spazio anche le voci dei poveracci che
non hanno mai avuto visibilità e che
invece
meritano
di
essere
commemorate”. La serata sarà
ricordata anche per gli interventi che
hanno preceduto il concerto, da quello
del
nuovo
segretario
generale
dell’Onu, Ban Ki-Moon, a quelli di
vari ospiti del mondo del cinema e
della musica, da Eli Wallach, a
Angelique Kidjo, da Pat Metheny, a
Lou Reed che il maestro neanche
conosceva. “Chi è? Un regista?” aveva
detto il giorno prima durante un
incontro con la stampa italiana. Un
ennesima conferma del fatto che il
mondo che gli gira intorno gli è
sempre interessato poco. Al centro dei
suoi pensieri c’è la musica, la moglie e
la famiglia che ama vedere unita ogni
mattina nella grande fotografia esposta
nel salone di casa dove figli, nipoti,
nuore e generi sorridono abbracciati.
Idealmente anche un gruppo variegato
di cantanti e musicisti si sono
abbracciati intorno a lui per incidere il
cd-tributo distribuito dalla Sony-Bmg
a partire dal 23 febbraio “We all love
Ennio Morricone” in cui artisti come
Renée Fleming, Andrea Bocelli, YoYo Ma, Bruce Springsteen, Celine
Dion, Roger Waters, Quincy Jones e
Metallica (da decenni il gruppo usa il
tema del “Buono, il brutto e il cattivo”
per aprire i concerti) interpretano le
sue musiche in un medley di 17 cover
lungo più di un’ora “disomogeneo ma
funzionale”.
“La
discontinuità
stilistica e la sua disomogeneità – ha
spiegato il maestro - ora mi sembrano
un pregio”. La cosa che colpisce di più
sentendo parlare quest’uomo alla
soglia degli 80 anni è la giovinezza
interiore, la voglia di “progresso,
avanzamento,
miglioramento
continuo”, uguale a quella di un
trentenne. “Ho ancora voglia di
lavorare, ho tante idee e nuovi progetti
tra cui un film dedicato a Dostoevskij
con Giuliano Montando – ha spiegato
– E continuo a cercare il progresso: le
musiche scritte per “La sconosciuta”
di Tornatore ne sono un esempio.
Rappresentano un passo in avanti nel
mio modo di comporre: ho evitato la
ripetitività melodica. Non fa niente se
il pubblico non se ne accorge. Anzi,
deve essere così: lo spettatore non
deve sapere cosa fa il compositore,
deve solo emozionarsi”. E di emozioni
Mr Morricone ne ha regalate davvero
tante negli ultimi mesi all’Italia e al
mondo. La sua agenda è già fitta di
impegni per i prossimi mesi. La
Massimo Gallotta Productions ha già
fissato una serie di concerti in Italia e
negli Stati Uniti, sia a New York, sia a
Los Angeles. Naturalmente il maestro
sarà in compagnia della moglie che,
come specifica, “è la mia più stretta ed
efficace collaboratrice. E’ a lei che
faccio ascoltare le mie composizioni
prima dei concerti e prima di
sottoporle ai registi dei film. Ed è lei
che mi consente di fare una preselezione dandomi il suo giudizio su
quali sono i brani migliori”. Ecco
perché l’Oscar era anche per lei.